Italo Svevo

ITALO SVEVO

UN GRANDE SCRITTORE TRIESTINO DI ELEVATO VALORE EUROPEO ANCORA DA SCOPRIRE IN NUOVE CONNOTAZIONI TEMATICHE E LINGUISTICHE

di CARMELO ALIBERTI

Edizioni Terzo Millennio 2018 copyright Š Tutti i diritti riservati all'autore

Il momento in cui il Decadentismo italiano, incomincia a dissolvere i miti vitalistici nella coscienza desolata ed ironica della insita malattia spirituale è documentato dall’opera del triestino Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmidtz, scrittore ignorato per molto tempo e scoperto da Joyce, autore del capolavoro l’Ulisse, conosciuto a Trieste, che gli diede lezioni d’inglese, e da Montale che gli dedicò un saggio, riconoscendo la grandezza del suo romanzo “La coscienza di Zeno”, non accettato favorevolmente dalla critica italiana, che incominciava ad intrupparsi verso aree di appiattimento del loro vitalismo, sotto l’incubo di rappresaglie dell'avanzante clima restrittivo, preludio delle torbide e crudeli dittature. Svevo nacque a Trieste il 19 dicembre del 1861 da padre tedesco d’origine ebraica e da madre italiana, Compì gli studi elementari nella città natale sotto la guida di un rabbino, poi entra in un collegio della Baviera, sceltogli dal padre che vuole farne diventare un continuatore della sua attività commerciale ed essendo Trieste un crocevia europeo occorre che il figlio conosca almeno quattro lingue, per essere un commerciante rispettabile. Nel collegio Svevo rimase cinque anni dal 1873 al 1878, approfondendo la conoscenza del tedesco e del francese, ma aveva anche incominciato ad interessarsi di letteratura, particolarmente di Shakespeare e soprattutto i romantici tedeschi e russi, da cui imparò le tecniche di esplorazione dell’universo interiore dell’io. Dopo il rientro a Trieste, senza voglia, per volontà paterna, si iscrisse all’Istituto superiore per il Commercio, ma il fallimento dell’azienda familiare, lo indusse a cercarsi un lavoro, ma incontrò molte difficoltà per le sue origini ebraiche, finché fu assunto dalla Banca Union di Vienna come corrispondente commerciale in tedesco e in francese. Trascorre il tempo libero nella biblioteca civica, si occupa di manifestazioni culturali, scrive articoli e testi teatrali, collabora con testi di critica al giornale triestino “L’indipendente”, tra cui il suo primo racconto L’assassino di

Via del Poggio Negli anni ottanta si avvicina ai naturalisti francesi e scrive un saggio su Zola, si applica ad apprendere gli strumenti critici desantisiani e con il supporto della acquisita critica di De Sanctis, legge classici italiani, tra cui Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini. Ma ad incidere profondamente sulla sua visione ottimista della vita, appreso da Darwin, e trasformarla in visione pessimistica è fondamentale, negli anni ’90, la lettura del volume Il mondo come volontà e rappresentazione di Shopenauer, che completò la sua formazione, con una concezione della vita come teatro di cieche forze irrazionali, per cui l’arte non deve essere una passiva rappresentazione del reale oggettivo, ma un tentativo di conoscenza del groviglio del sottosuolo interiore del soggetto, rafforzata dall’acquisizione della psicoanalisi freudiana, trasferita a Trieste dalla vicina Vienna da Freud e, pur non riconoscendone la funzione terapeutica, lo riconoscerà come strumento capace di captare le onde emotive oscure del subcointerpretarle nel modo più verosimile. Le riflessioni sulle dinamiche psichiche e sulle oscillazioni della coscienza caratterizzeranno la sua inchiesta sulle vibrazioni degli enigmi dell’inconscio. Influirà su tale metodologia decriptante dei sotterranei segreti che intrecciano gli umani destini, anche le suggestive radiografie di Dostoevskij, l’atmosfera decadente europea dominante nei romanzi di Musil, Proust, Joyce, che spazzano via i valori prima della 1 guerra mondiale. Ritenendosi già maturo, Svevo nel 1892 il primo romanzo Una vita pubblicato con il nome di Italo Svevo. Il romanzo non suscitò alcun interesse della critica, suscitando molta amarezza nello scrittore. Nel 1896 sposa una sua parente Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale di vernici per navi, ma, nonostante i molti impegni di lavoro, non abbandona la sua vocazione di scrittore e nel 1897 pubblica a puntate su L’Indipendente (e poi in volume) il secondo romanzo “Senilità”, che non consegue

migliore accoglienza del primo. La delusione ora è totale e lo scrittore decide di abbandonare la narrativa, giudicandola una cosa ridicola e nociva. Si associa all’industria del suocero e viaggia per varie nazioni per motivi di lavoro. Nel 1903 si iscrive alla Berlitz Scool, dove ha la fortuna di conoscere Joyce, lo scrittore irlandese che insegna l’inglese. A lui fa leggere i suoi scritti, riscuotendo giudizi entusiasti e incoraggiamento a proseguire. Durante la 1 guerra mondiale, in molte occasioni manifesta concretamente la sua italianità. Alla vigilia della liberazione di Trieste, fa parte del Comitato di salute pubblica e a guerra finita, incomincia la sua collaborazione con il nuovo giornale “L Nazione”. Nel 1923, dopo 25 anni di mancanza dalla scena letteraria, pubblica con Cappelli, La coscienza di Zeno Che invia subito a Joyce, che lo presenta a due grandi critici francesi Labaud e Creimeus che lo recensiscono molto favorevolmente e ottengono di dedicare un intero fascicolo della Rivista “Navier d’argent” all’autore de La Coscienza di Zeno.

L’anno precedente(1925), sulla rivista milanese “L’esame”, Eugenio Montale ha pubblicato un Omaggio a Itali Svevo, per evidenziare il valore di uno scrittore che è riuscito a riflettere nella sua opera gli impulsi e le inquietudini, le difficoltà e i molteplici conflitti sociali, nazionali e internazionali, scaturite dalla crisi del Positivismo che aveva alimentato un vertiginoso progresso scientifico disomogeneo nella distribuzione della ricchezza, per cui all’accumulo di immensa ricchezza a vantaggio di alcune categorie di imprenditori e le grandi masse popolar i che , dopo la conseguita unità nazionale, erano state relegate in un recinto di maggiore miseria, in quanto fiumi di contadini e di disoccupati avevano abbandonato le loro terre, in cerca del posto in fabbrica .Ma la maggior parte dei disperati, a causa del non assorbibile numero di lavoratori, restava a vagabondare per le vie delle città del Triangolo industriale, in attesa di una qualche anche precaria occasione di lavoro, lo

stesso processo unitario aveva creato una classe dirigente conservatrice, sempre più avida di possesso e di potere totalmente scevra di attenzione verso i dilaganti problemi che ingigantivamo le necessitò , sempre inutilmente invocate, di fronte ad una gigantesca massa di problemi , insiti atavicamente nei nuovi territori inglobati. Uno incredibile disagio umano troncava ogni speranza palingenetica, Spentasi l’ondata positivista, crollarono tante illusioni e nei cuori delusi montò esasperatamente la disperazione e la rabbia che alimentò focolai di rivolta in diverse regioni del Nord, come i sanguinosi scioperi del minatori della Lunigiana, i Fasci siciliani del ’92 ( in cui si svolge il racconto di Verga” “Dal tuo al mio”ed altri di minore spessore , capeggiate dalle nascenti organizza zioni sindacali o da spontanei comitati di rivolta, come la rivolta di Milano del 1898, provocata dall’aumento del prezzo del pane, stroncata con le armi e i cannoni, per ordine del generale Bava Beccaris, che per tale strage fu premiato con la medaglia d’oro al valore militare, segno inequivocabile del volto repressivo del governo unitario, che, consolidava la supremazia violenta della nuova borghesia capitalistica. Il torchio fiscale statale, le ancora vigenti dazi doganali, la restrizione dei salari e la contrazioni del numero di posti di lavoro con un rapido avanzare della disoccupazione, i venti di guerra che incominciavano a soffiare tra le potenze europee in gara per la conquista di nuove colonie ricche di materie prime, indispensabili per le industrie europee e alle quali si unì in ritardo anche l’Italia, resero turbolento il clima sociopolitico e civilee accese nei popoli imprevedibili sbocchi del malcontento collettivo. Tale condizione generale infiacchì il desiderio di ribaltamento dei popoli, desiderosi di conquista di una vera libertà e di un miglioramento delle condizioni di vita.

L’eclisse dei sogni, dopo secoli di disumani soprusi subiti e dopo la ultramillenaria schiavitù implacabile, oscurò ogni residuo entusiasmo e di speranza, per cui gli animi si assopirono e si

ripiegarono nel circuito del privato. Anche il mondo della letteratura rimase vittima delusa del clima rovente e dominante in tutta l’Europa e, per poter sopravvivere alle forzate restrizioni, preferirono rinunciare all’euforia progressista, ma eccessivamente discriminante, e, per evitare censure , persecuzioni o condanne a morte, scelsero il ripiegamento dentro se stessi per poter scoprire, nelle profondità dell’io, il vero senso dell’esistere, prima eccessivamente attenti ad analizzare i vantaggi collettivi del fainomenon , generato dai postulati del positivismo che aveva generato la nascita di una società, lanciata verso traguardi materialistici, cioè di appagamento di ogni piacere con la suggestione del benessere e del potere, e ora con il dissolvimento dell’abbaglio del positivismo , riemergono le pulsioni effervescenti del cuore, che non si rassegna ad essere sommerso da beni effimeri e l’intellettuale ora anela a capire l’essenza decodificabile del “noumenon”, cioè incomincia a rastrellare i meandri e i labirinti del suo universo interiore, nella speranza di capire i meccanismi invisibili dell’origine e del dinamismo esitenziale . L’atmosfera di crisi che domina nella società mitteleuropa si riflette l’opera dei grandi scrittori sopracitati sotto forma di crisi dei valori oggettivi. Svevo risente molto della linea decadente generata dagli sconvolgimenti già delineati e, avendo molta fiducia nella positiva influenza della letteratura nella coscienza dell’essere, scrive commedie, novelle, saggi, articoli di vario argomento sui giornali. L’approdo al romanzo aumentò il desiderio ai appagare la sua vocazione per l’inchiesta psicologica, ma anche di dispiegare su uno scenario più vasto la sua visione del mondo, grazie alla capacità di saper coniugare, senza pleonasmi superflui, il piano dell’analisi introspettiva e la realtà oggettiva in un dinamico contesto narrativo, con un’acuminata perforazione della coscienza e di situazioni patologiche complesse, non come arido reperto scientifico, ma con asettico

linguaggio del reperto clinico. Il repertorio oggettuale viene utilizzato come occasione dell’impianto strutturale e della scintilla creativa, per cui l’interesse dell’artista rappresenta il vero obiettivo dello scrittore sulla strumentazione scientifica, distribuendo, in maniera misuratamente narrativa, ansia gnoseologica, proiezione fantastica e simbolica, in un’armonica composizione strutturale. Tali connotazioni emergono già nel primo romanzo “Una vita”, in cui affiorano legami con gli ingredienti naturalisti e veristi, in sintonia con procedimenti e corrispondenze con la contemporanea tendenza europea, intrisa di inquietudine decadente e di angosciosa solitudine esistenziale, in cui l’uomo è impigliato nei contorti percorsi della coscienza e disperatamente si sforza di liberarsi o di sciogliere gli enigmi di cui è prigioniero, per poter scoprire un qualche autoinganno che lo ha trasformato in marionetta pilotata dal dirigismo produttivo degli allettamenti fatui del consumismo e della conseguente condizione di alienazione e della disintegrazione della identità creaturale, riducendosi a strumento di consumo.

Anche altri argomenti, non alieni, ma integrativi dello scavo nel buio intrigato della coscienza, vengono esplicitati con un linguaggio e uno stile personale, pigmentati da connessioni sintagmatiche di impronta tedesca e di forme espressive localistiche o gergali che evidenziano artificiose forzature, ma che si rivelano organiche, che tuttavia riscuotono un certo fascino per la spontaneità di quello stile, reso necessario all’energico dinamismo narrativo, con cui rende accettabili le incertezze razionali e il trapianto di elementi lessicali estrapolati da altri sistemi linguistici.

Nel suo primo romanzo, risultano evidenti le connotazioni naturalistiche e veriste, particolarmente nell’impianto narrativo di ascendenza zoliana e flaubertiana e nella scansione del repertorio documentaristico dell’ambiente impiegatizio, ma l’attenzione dello scrittore è rivolta, non alla fotografia dei

dettagli oggettivi, ma alla coscienza del protagonista Alfonso Nitti, un inapparente impiegato di banca a Trieste, messo al centro del romanzo, non come oggetto di analisi scientificonaturalistica, ma come metafora di una condizione esistenziale, ideata da Svevo sulla base di proprie esperienze autobiografiche e costellata di un’amara ironia che avvolge un modello di vita decadente.

UNA VITA Alfonso Nitti, piccolo impiegato di banca a Trieste, dove è giunto dalla provincia contadina, consuma i suoi giorni tra le frustrazioni del lavoro d’ufficio e il vagheggiamento di un’ascesa sociale che gratifichi le sue velleità letterarie. Timido e introverso, non riesce a integrarsi nell’ambiente cittadino ed ha per amici solo i membri della famiglia Lanucci, ove alloggia da pensionante. Un giorno il titolare della banca, il signor Maller, lo invita nel suo salotto, come è solito fare con i suoi dipendenti, ed egli conosce la famiglia di lui, Annetta, bella e volubile creatura, che lo attrae come l’incarnazione dei suoi sogni provinciali. Ma la donna lo tratta con distacco altero, che lo fa sentire socialmente inferiore. Umiliato dal capoufficio per un negligente impegno di lavoro, si lascia trascinare dallo sconforto e per superare la condizione dolorosa cerca sollievo nella lettura e pensa di scrivere un’opera saggistica. Un giorno, incontrando Annetta, scopre che anche lei coltiva ambizioni letterarie e decide di conquistarla, Con un corteggiamento assiduo, riesce a fidanzarsi con la donna, con cui incomincia a scrivere un romanzo, ma una sera durante la scrittura, improvvisamente la possiede. Ma il loro rapporto non è facile, per l’opposizione dei genitori, la superficialità della donna e i timori di Alfonso di essere giudicato in cacciatore di dote. La grave malattia che ha

colpito la madre, lo costringe a tornare al paese per assisterla durante l’agonia. Costretto a fermarsi in paese per un malessere, constata che la vita di provincia è più avvilente di quella di città, per cui torna a Trieste, dove trova Annetta già fidanzata ufficialmente. La scoperta non suscita reazioni in Alfonso, che si sente liberato dalle responsabilità inerenti ad uno sviluppo del loro rapporto e la sua condizione di inetto viene mascherata dalla finzione del perdono. Mimetizzato sotto la maschera del perdono, si affeziona al ruolo del generoso, tanto da offrire tutto il suo denaro alla figlia dei padroni di casa, Lucia, sedotta da un tipografo. Intanto, Annetta lo invita ad un appuntamento, ma ad attenderlo c’è il fratello della ragazza che lo sfida a duello, ma, incapace di affrontare la sfida e logorato da un senso di colpa (pensa di essersi comportato inconsciamente) decide di suicidarsi asfissiato dal gas.

SENILITA’ Anche nel secondo romanzo, Svevo approfondisce il tema del personaggio impotente e inetto a vivere, di cui è prigioniero il protagonista, che non riesce a scongelare la sua reattività spirituale, declinata da un precoce infiacchimento della volontà, scaturito dalla crisi generale di fine secolo e dalla emergenza di una società delusa e amareggiata per il deterioramento di tanto ottimismo suscitato dalle lusinghe del Positivismo. La tecnica narrativa è diversa da quella del primo romanzo, in quanto risulta più organica l’intersecazione di piani diversi. La narrazione è intesa a rappresentare la vita nelle aziende industriali, generati dal “boom” economico di quegli anni, ed i suoi effetti alienanti sulla psicologia della classe operaia e, conseguentemente, sull’intera società e su ogni suo componente, come evidenziano le opere di scrittori che hanno interpretato a 360 gradi le

conseguenze collettive e l’incidenza dell’esplosione economica sulla individuale realtà interiore delle classi subalterne e in precarietà, come i rivolgimenti valoriali e la crisi morale di scrittori, artisti e membri di altri settori esistenziali, trasparenti anche nella narrativa di Svevo, che, tra l’altro, analizza universi interiori, diversi e instabili fatalmente condannati alla sconfitta, all’inettitudine e all’alienazione.

Il trentacinquenne Emilio Brentani, modesto impiegato con velleità letterarie, vive con la sorella Amalia, una vita monotona e rassegnata, quando si invaghisce di una bella ragazza, Angelina Zarri, che accetta di diventare sua amante. Lo scultore Stefano Balli, amico del Brentani, assume un comportamento paternalistico nei confronti della ragazza, perché non vuole che la relazione tra i due rimanga una superficiale avventura, per poterla plagiare e avere per sé ; ma le vicende si sviluppano diversamente, in quanto Angelina, sotto l’aspetto angelico e ingenuo, nasconde il cinismo dell’avventuriera e tradisce frequentemente il suo non amato protettore, che certo dei tradimenti frequenti della ragazza si lascia sopraffare dalla gelosia, Intanto Angiolina, svegliata dal torpore dal fratello, esce dalla solitudine e s’innamora del Balli, che quando Emilio lo invita a diradare i loro incontri, non resiste all’abbandono e si lascia consumare dall’etere. Il Brentani, preso dal rimorso, dopo una valutazione etica, la innalzerà a simbolo della giovinezza e dell’Amore, Il protagonista innesta le sue argomentazioni con quelle del narratore, senza pause sospensive del binario centrale del procedimento analitico tra i due piani che s’intrecciano naturalmente nel sistema dialogico-confessionale, in quanto le incertezze, gli enigmi, le ambiguità, gli interrogativi, i dubbi del protagonista si amalgamano nella voce dell’autore, per cui protagonista ed autore sono speculari tra loro e si incastrano, come se fossero contemporaneamente giudice e complice nella

indagine dentro la psicologia del profondo e nella tendenza alle antitesi, come nel caso di Angiolina, ”animale sano”, contrapposta ad Emilio “animale malato”; il vitalismo ottimistico del Balli, contro la crepuscolare malinconia di Amalia. In Senilità risente ancora dell’influenza del metodo narrativo tradizionale, ma è evidente la tipologia di decrittazione usata dallo scrittore per raggiungere l’obiettivo di una esauriente illuminazione delle doline oscure della coscienza, dove si intrecciano, in maniera misteriosa, i fili degli umani destini, la verità e le finzioni, l’autentico e l’inautentico, il seme del bene e del male, un’inchiesta penetrante e convincente, carica di un disperato amore per la vita, grondante di pietà e verniciato di vibrante poesia.

LA COSCIENZA DI ZENO Il tema più traumatizzante della poetica di Svevo è il più tormentoso della sua attività di scrittore, è costituito dall’inettitudine a vivere, per uno sgretolamento della volontà, come appare più nitidamente ed eloquente nel suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, il suo capolavoro, coniugando la “noluntas schopenaueriana e l’assioma darwiniano dell’incapacità di alcuni esseri di assecondare il principio dell’evoluzione della specie, l’ironia e lo “spleen” decadente che plasmarono l’opera di Svevo e la innalzarono a documento della coscienza europea, smarrita di fronte al disastroso naufragio di ogni sistema di certezze, La struttura del romanzo presenta elementi di novità, in quanto l’io narrante, il protagonista e lo scrittore si identificano, esentando lo scrittore da inserimenti diretti, annulla le sequenze temporali, in quanto l’autore innesta il passato al presente della coscienza individuale, evocando il vissuto sotto le lenti dell’analisi critica, assumendo come

esempio l’Ulisse di Joyce, cioè la tecnica del monologo interiore che consente al protagonista di trascrivere, senza interruzione logico-sintattica, il flusso di coscienza. Il grande valore dell’opera è stato individuato dalla critica nella capacità rappresentativa nel duplice ruolo di analista e di raccontatore.

La coscienza di Zeno è un romanzo diverso e nuovo, nel quale emerge la totale corrosione delle tradizionali strutture narrative, Si tratta di un diario autobiografico, scritto dall’industriale Zeno Cosini su consiglio di uno psicanalista, a cui si era rivolto per la cura di turbe nevrotiche, Il racconto del protagonista si articola in cinque episodi, Il primo registra i tentativi compiuto da Zeno, per liberarsi dal vizio pericoloso del fumo, ma il fallimento gli suggerisce a ricorrere ad autoinganni, perché non crede che possa sradicare dai suoi vizi quell’antica assuefazione che gli ha procurato incomprensibili malesseri esistenziali. Il secondo costituisce un resoconto minuzioso dei rapporti di antagonismo edipico che il protagonista instaura con il padre ( il collegamento di tale rapporto autobiografico è dimostrato dalla famosa letteraconfessione-pentimento de “Lettera al padre”);il terzo declina il percorso delle fasi compiute per celebrare il matrimonio con la più brutta di tre sorelle, scelta suggerita dalla forza d’inerzia di una vita (che lo scrittore detesta per l’irrazionalità del suo essere e per il cinismo con cui si è condannato l’uomo al martirio del non-sense di esistere) tanto da sospingere il protagonista coautore a relazioni adulterine, più per nausea che per piacere. Il quinto descrive i rapporti industriali con la realtà del conflitto italo-austriaco. Dalla scansione dei racconti emerge un uomo abulico e inetto, incapace di accettare la vita ad una dimensione, perché egli ha la convinzione che ogni tentativo di guarire si rivelerà inutile. Ne deriva l’ironia che lo scrittore-protagonista Dissemina nelle intercapedini della confessione e che nel contesto acquista il senso di sfiducia nelle metodologie

psicanalitiche e di altre forme di cura. Talvolta l’ironia è espressione del compiacimento di vivere o osservare situazioni anomale o come quando accetta con ironico sorriso lo schiaffo, (invece che una carezza) del padre morente; o nell’episodio in cui il protagonista che arriva in ritardo alle esequie del cognato suicida, si accorge di trovarsi nel corteo funebre di un altro deceduto sconosciuto, Tale stranezza comportamentale è spesso la testimonianza di una sconfitta. Zeno Cosini, industriale e non uomo di cultura, spinge l’autoanalisi fino all’ultimo stadio della tensione conoscitiva, per cui alla fine può pervenire alla piena coscienza di sé, ma anche le ragioni della malattia che corrode e corroderà il mondo contemporaneo, fino al giorno in cui una catastrofe inaudita, provocata dagli ordigni di morte ci riporterà alla salute. La chiusura del libro offre un quadro apocalittico che è una premonizione di una catastrofe finale, provocata da ordigni ancora più terrificanti che l’uomo scoprirà per autodistruggersi e salvarsi sotto altre mimesi: “Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come gli altri, ma degli altri più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra, per porlo sul punto dove il suo effetto può messere il massimo, Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli, priva di parassiti e di malattie”.

Le numerose opere minori riscoperte tra il 1949 e il 1967, sono alcune commedie modellate sull’esempio di Ibsen e dello Strindberg (Un marito, Inferiorità, La rigenerazione e alcuni racconti incentrati sul contrasto tra istinto e ragione (Proditoriamente, La novella tra il buon vecchio e la bella fanciulla, Vino generoso). I saggi e alcune pagine sparse testimoniano l’intelligente accostamento ai problemi politici e della cultura e del costume. C’è da ricordare che le prime opere dilettantesche furono recuperate dal nipote durante l’incendio doloso e vandalico dell’abitazione dello scrittore, da cui si può

ripartire per scoprire le radici della vocazione di scrittore e i nuclei sotterranei della sua ispirazione e di pagine diverse dell’esordiente scrittore.

CARMELO ALIBERTI Bibliografia essenziale della critica E.Montale, Omaggio a I.Svevo, in “L’esame”, anno IV, fasc.

XI-XII, 1925, ora in E.Montale-Italo Svevo, Lettere con gli scritti di Montale su Svevo, Bari, 1966: Debenedetti:Svevo e Schmitz, in Convegno, anno X, n 1, 1929, ora in Saggi critici, Milano 1955. E.Bonora, Svevo, in Gli ipocriti di Malebolge, ilano, Napoli, 1953, G. DEVOTO, Italo Svevo, in Studi di stilistica, Firenze 1960. A. LEONE DE CASTRIS, Italo Svevo, Pisa, 1959.BRUNO MAYER, I.Svevo, Milano, 19611978.S.MAXIA, Lettura di Italo-Svevo

Collana ROBINSON

Carmelo Aliberti Edizioni Terzo Millennio 2018 copyright Š Tutti i diritti riservati all'autore Progettazione e cura di Monica Bauletti, segretaria di redazione