IL GIORNO NON E' MAI TROPPO LUNGO

Domenico Distefano

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Domenico Distefano

IL GIORNO NON E’ MAI TROPPO LUNGO

Edizioni Terzo Millennio (2016) - supplemento omaggio – Collana ROBINSON copyright © Tutti i diritti riservati all'autore Rivista Letteraria no profit – Registrazione Tribunale di Barcellona P.G. (Me) n° 70/2009 del 01-6-2009 2

Il giorno non è mai troppo lungo

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Estratto delle poesie contenute nel testo IL GIORNO NON E’ MAI TROPPO LUNGO versioneintegrale del 2014 MAGI editore

Un bellissimo libro di poesie che racchiude in sé i palpiti della vita, i sentimenti più profondi, i frutti più dolci della memoria.

I versi suadenti, soavi, armoniosi si dipanano in un dolce sciogliersi di parole come suoni delicati, come un canto melodioso che è anche inno alla vita, alla passione, all’amore.

Nel vortice malinconico del suo mondo poetico Domenico Distefano, lungo le vie del passato, ritrova i suoi passi, i ricordi e le emozioni che danno colore all’esistenza come un irripetibile incanto tra passeggiate sui pendii fra gigli di campo e castagneti. Non mancano l’amore per il paese natio, la meraviglia della prima neve, conchiglie sulla spiaggia, tramonti, il grande amore per i propri genitori e attimi di felicità come batter d’ali di farfalla.

Distefano scrive con immediatezza, scioltezza, con tutta la bontà del suo animo nobile e riesce ad innalzare a lirica ogni suo pensiero ed ogni suo sentimento per rivelare al lettore la propria interiorità che rigurgita di bellezze e di armonia.

Attraverso la sua poesia aleggia la speranza di un domani diverso per l’umanità poiché quel senso dell’incanto con un pizzico di nostalgia di cui sono pervase le sue poesie è canto perenne e sintesi di profondi accenti culturali.

Nicla Morletti 3

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POESIA Poesia, parli di noi, esuli in terra e assetati di vita, che ci stupiamo davanti al creato, davanti ad un prato fiorito, ad un gorgoglìo, ad un germoglio, ad un battito d’ali, ad un’alba o tramonto, al cielo stellato, all’innocenza di un bimbo.

Sei corda pizzicata dal dolore, se un uomo soffre e porta una croce, perché ha perso il lavoro o una persona cara, perché ha subìto ingiustizie, violenze, sopraffazioni, perché ha perso la libertà, la dignità, la pace.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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Tu sei libertà interiore.

Diffondi armonie con tuoi versi, teneri distillati di cuore, e non serve denaro per comprare ciò di cui l’anima ha bisogno.

Tu comunichi emozioni, adeguate a tutte le culture; apri orizzonti, risvegli le coscienze, cogli l’essenza delle cose e delle esperienze umane.

Ci arricchisci di sogni e di fantasia, preziosi tesori, che nessuno ci può rubare o tassare.

Stupisci con associazioni di suoni.

Ci fai meditare con un’allegoria, che del poeta nasconde il pensiero.

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Domenico Distefano

Le tue parole crescono in immagini e il mare si tinge di azzurro intenso in lontananza e brilla il faro e la spiaggia s’ingrandisce nella schiuma, e nella conchiglia ritrovata risuona un’eco di tempesta.

Ingialliscono le tue pagine col passar dei lustri, ma rimangon fresche e profumate le rose dei tuoi versi, sbocciate nei giardini, ove tacciono i rumori molesti.

Tu, antica e imperitura arte, ispirata da eliconie Muse, addolcisci e dai un senso alla vita con il sentire e l’immaginare, con il sognare e il ricordare.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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ROSE ROSSE

Aveva la ragazza occhi castani, più giovane di me sol di tre anni.

Dolce il sorriso e accattivante era, senso di lieta fiducia infondeva.

Una bambolina mi pareva, quando corte vesti lei indossava:

esile e snella, rara la bellezza, lunghe le gambe e morbida la pelle.

Io le portai in dono rose rosse, con trepida dolcezza glieli porsi.

“Dimmi, allora, cosa devo fare, se tu m’hai fatto tanto innamorare.”

Arrossì lei e i rai chinò per terra, ma non mi diede subito risposta.

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Era ridente per le mie attenzioni: nessuno influenzò la sua decisione.

“Sei un caro amico, ci vedremo ancora; non mi privo di star in un cuor che ama.

Intreccerò con te nidi di sogni, di intese disseminerò la via.

Se l’amore è vero, dura, non si spegne, illumina il buio della vita.”

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L’ANGELO DELLA CASA

Fuori il grecale soffia sulla neve.

Nella casa riscaldata vaga un passo, leggero, come d’angelo.

E’ il tuo passo, amore.

Impegnata in lavori domestici, cerchi di non far rumore, di non disturbare, di non svegliare i nostri due piccoli figli.

Il tuo cuore è pieno di affetto, colmo di tenerezze, di premure, di rispetto, è dimora d’infinito.

Un dì io ti sfiorai con gli occhi e un palpito di cuore mi tradì.

Quel dì una svolta segnò nella mia vita.

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GUARDANDO I MIEI FIGLI BAMBINI

Preziosi frutti del mistero divino, boccioli di candide rose dalle verdi foglie, colti nei giardini dei desideri.

Hanno bisogno di protezione, di carezze da mani sincere, generose, affettuose.

Quando protendono le manine e dispensano sorrisi, gesti unici d’innocenza, o vogliono raccontate le fiabe dei saggi, riscaldano il cuore del loro tenero amore e rendono noi genitori felici.

Rinvigoriscono la voglia di affrontare le avversitĂ , le incognite del domani.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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Alla loro età, i sogni non sono mai irraggiungibili.

Il mondo è una scoperta continua.

Si riempiono di meraviglia per ogni nuova piccola cosa e inondano di perché.

Per quei delicati boccioli, che si schiudono alla vita, rivolgo un’orazione al Cielo, affinché illumini il loro cammino e ogni giorno regali un po’ d’amore, disdegnando il ricorso all’apparenza a danno della sostanza e auguro di conservare sempre il sorriso e la serenità, la salute e la fiducia in sé.

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PER UN PEZZO DI PANE Nell’affollato aeroporto andirivieni di partenze e arrivi.

Sull’antistante marciapiede, planando, si avvicina un passero a noi che, nell’attesa di partenza, un panino imbottito mangiavamo.

Si ferma a breve distanza, ci guarda, non ha paura.

Sbriciolo una mollica di pane e gliela butto a lui vicino.

La spezzetta col becco, la mangia, continua a guardare.

Sbriciolo un’altra mollica, gliela butto e così una terza.

Mangia avidamente, poi guarda soddisfatto o riconoscente e vola via lontano.

Come il passero è l’uomo, acquista coraggio, sfida l’ignoto e vola anche in capo al mondo per un pezzo di pane.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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MILANO Metropoli industrializzata, centro di studi e di commerci, tanto cemento e nero asfalto, traffico convulso e luci artificiali.

Ancor non è l’alba e la vita riprende frenetica, in corsa con l’orologio a piedi o in bicicletta, in macchina o in pullman, in treno o in aereo.

E’ un formicolìo, un’ansia, un affanno, forse un inganno inseguire spesso mete effimere (denaro, successo, potere) senza lasciare spazio per ascoltare la voce dell’anima e della natura, una natura dall’epidermide, resa sempre più malsana, a causa di profittatori senza scrupoli, di profittatori senza prossimo.

Procedendo per strade, avare di verde e affollate di case, vedo siringhe dietro umidi portoni: 13

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vede la gente, ma rimane indifferente.

Da giorni, stazionano nell’aria i vapori inquinanti: fumo dalle ciminiere, gas di scarico, chimiche esalazioni miste a nebbia.

Ho la tosse e gli occhi rossi.

Mi sento estraneo tra un via e vai di gente e penso al mio paese, dagli ampi spazi verdi, amato, pulito, assolato, tranquillo, dove ho nascosto i miei pensieri e sogni.

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PASSEGGIATA S’inerpica la strada sul pendìo tra folti noccioleti e castagneti.

Si lamentano le foglie sotto i passi, a cui fan eco i muggenti armenti e lo scroscio dell’acqua nella valle tra ciuffi d’erba incolta e macchie lungo l’argine.

Inaspettati e profumati, sul ciglio del sentiero più scosceso, gigli da campo fan bella mostra: attendono qualcun che li raccolga.

Canori uccelli gareggiano col vento, liberi volteggiano, precipitano, si posano, riprendono a volare.

Tra un occhieggiar di sole, alte transitano le nuvole senza passione, senza patria.

Lo sguardo sprofonda nel panico silenzio degli ininterrotti Nebrodi.

In lontananza il Paese, intriso di credenze, 15

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ma ancor scrigno di valori, che l’uomo di città svilisce.

Tra mesi, la neve e la nebbia nasconderanno i contorni, ma rimarranno i ricordi di una passeggiata sui monti.

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CIGOLA L’ANTA Quando viene aperta, cìgola l’anta della vecchia credenza di castagno tarlato.

Non vuole essere toccata e si lamenta.

E’ là, dimenticata, da quando la padrona se n’è andata.

E’ piena di vecchiume e odora di rinchiuso.

In un angolo è una ragnatela, in geometrie concentriche, per catturar la preda.

L’ha intessuta un ragno agile, carnoso, spregevole.

Se potesse parlare, chissà quante storie familiari potrebbe raccontare!

Un dì risonanti di vive voci, ora sono mute quelle stanze: non più in cucina pranzetti appetitosi, accompagnati da discussioni, né musiche e balli nel salone; all’aria si sgretola l’intonaco, quando si aprono le porte e i balconi.

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TRENO IN CORSA Fischia il treno sull’angusto binario e stridono le ruote per l’attrito volvente.

Alla prossima stazione dovrò scendere; altri saliranno.

Chissà da chi posata sopra il sedile accanto langue una fragile rosa.

Profuma ancora.

Per gioco la prendo e la sfoglio.

Poi smetto e rifletto.

Attraverso il finestrino osservo, lontano, il tramonto incorniciato di rosso e il disco solare che, stanco, va a riposare nelle acque del mare.

M’inebrio di gioia e, mentre sfumano i colori, socchiudo gli occhi 18

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e scruto la mia corsa.

Appena ieri ho sentito palpitare il mio cuore in questo mondo rumoroso e spesso ostile ed oggi odo gli echi rimbalzare dal passato e fondersi con le carezze del vento.

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FOLGORI NELLE TENEBRE

Fòlgori nelle tenebre e cupi rimbombi lontani.

Il crepitìo della pioggia sui tetti assomiglia a castagne tolte appena dal fuoco.

Dalla strada un lampione irradia luce ad un camino: sul comignolo a punta, come cappello cinesino, rimbalzan le gocce più sonore, più dolci.

Da lì salgono e scendono mostri, befane e fate e si spargon nell’aria mescolandosi alle volute di fumo e al buio della notte.

Non si vedono stelle, che brillano tremule.

Mi ricordo: bambino mi facevan sognare.

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SULLA SPIAGGIA

Raccolgo sulla spiaggia una disseccata conchiglia, levigata dal moto del mare incessante, sempiterno.

Odo mitici echi di sirene, rivedo Afrodite in viaggio per Cipro, Giovanni Battista al fiume Giordano, il vuoto sepolcro di Cristo Risorto.

E’ tiepido il sol d’autunno, ritmato lo sciabordìo delle onde, lento il dondolìo dei natanti, placido il volo di gabbiani.

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E’ bello indugiare, osservare, meditare, percepire quel soave incanto, intessuto di pace e di mistero.

E mentre alita la brezza profumata di salsedine, inesorabile miete il tempo le ore.

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PESCATORI

La superficie increspata del mare era punteggiata di stelle, tremolanti, innumerevoli, inghiottite dagli abissi salati.

Sull’onda vagabonda oscillava e vacillava una barca, quasi un puntino, lontana, nel buio.

Pescatori, alla luce di lampare, tiravano con fatica una rete, ritmando i gesti con cadenzate grida, il cui eco giungeva a riva a noi spettatori, al sicuro.

A noi, che porgevamo orecchio al frangersi dell’onda sugli scogli e al frusciar della risacca su sabbia e ciottoli della spiaggia.

Lasciando a poppa una scia e opponendosi al lieve furore del mare, la riconducevano poi 23

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al piccolo porto, al riparo da venti e da correnti, per scaricare il pesce pescato e farlo arrivare ai mercati rionali.

Quanto è duro il loro lavoro e quanto è pieno di rischi!

Lo conferma il proverbio: “Meglio povero in terra che ricco in mare”.

Quante ossa dilavate, smerigliate dalle onde, residuo di imbarcazioni naufragate, il mare ha restituito al suo lido e talvolta neppure quelle!

Sono eroi del lavoro i pescatori.

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QUESTA TERRA

Il sole, ogni mattina, coi suoi raggi illumina e riscalda questa terra, giardino curato da mani invisibili.

Nulla nasconde delle cose create, che hanno il sigillo di un eterno soffio.

Io le ammiro, mi inebrio di gioia, pur sapendo che esse sono capaci di fare a meno di me, e mi rincresce guardare quella porta, che serve solo per andare via.

Tutti di là sono usciti coloro che mi hanno amato più di se stessi e sono usciti di diverse età, come di diversa grandezza sono gli anelli concentrici degli alberi con prospettiva di ceppo secco.

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Qui ogni conoscenza è parziale, ogni sentimento ha un limite, ogni inizio ha una fine.

Solo la tensione verso l’Assoluto, suprema Bellezza e Perfezione, ricolma il provvisorio.

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24 AGOSTO Dal Santuario, in processione, sfilano i fedeli, scalzi alcuni per voto, autorità civili e militari, preti e confraternite dietro la pesante vara della Provvidenza miracolosa dallo sguardo amorevole, trasportata a spalla per tortuose e poco agevoli vie.

Cantano in coro al sole che cede, alle ombre che invadono.

Suona la banda musicale, venuta da lontano.

Esplodono i fuochi d’artificio.

Tutti pregano. Fiduciosi, chiedono protezione e grazie alla Mediatrice presso Dio, provano conforto alle umane croci.

Quale grande potere unificante ha la religione, la fede, prodigiosa luce di speranza alla tacita pena che consuma.

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MADONNA DI TINDARI La Tua casa è il Santuario, costruito su un promontorio, impastato di sole, vento e mare per i secoli sfidare.

Hai l’altare più addobbato, più artistico, angelicato.

La lignea statua sul basamento è stata incisa da autore ignoto: “Nigra sum, sed formosa”.

Sei, o Madonna, miracolosa.

Sorreggi il Bambino benedicente, dall’oriente proveniente.

Ai fedeli, assetati d’Amore, doni serenità interiore, indichi la via della carità, della pace, della fraternità.

Contro le avversità e le ingiustizie, Tu, dispensatrice di Grazie, a chi contempla con gli occhi del cuore dai la forza per reagire, per lottare, per far capire quanto la vita sia sacra e unica, prezioso dono del Creatore.

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ALLO SPECCHIO A passi felpati si avvicina la sera, mentre si dispone al tramonto la grande corolla dell’incaico girasole, di luce ancor avido.

Un nuovo chiarore rischiara il mio volto e vedo allo specchio una ruga e i primi capelli ingrigire, naturale metamorfosi di un divenire senza fine.

Ho il mio fardello di anni!

Onde di pensieri si accavallano e mi trascinano, s’infrangono e mi feriscono.

Rivedo i luoghi di partenza, le strade che ho percorso, le creature che ho amato e quelle che mi hanno amato; i mille sguardi innocenti di speranzosi alunni.

Seguo gesti fugaci, brevi discorsi, immagini sfocate, sfuggenti di carovane di ombre, forse non paghe del loro vagare.

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Provo gioia per le cose semplici, per la bellezza della natura.

Mi piace ammirare la vetta dei monti, il corso dei fiumi, le erbe dei prati, i colori dei fiori, le onde del mare, il moto degli astri e immaginare celata la mano divina, che tutto governa e implacabile arriva a punire gli ingiusti.

Dopo il tramonto dell’astro splendente, anch’io cadrò.

Buon Dio, il più tardi però...

Ho ancora tanta voglia di vivere.

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AUSCHWITZ - BIRKENAU In campi di concentramento, delimitati da reticolati e sorvegliati da soldati, stava appollaiato Satana in mezzo ai camini dei forni crematori, di rimpetto alle camere a gas.

Progettava e ordinava sinistramente; annientava i prigionieri, numeri tatuati senza un nome, umiliati in ruvida divisa.

Aveva il volto nazista, le mani sporche di sangue, per cuore una pietra.

Aveva seppellito la bontà, l’amicizia e la solidarietà, il perdono e la pietà, la compassione e la comprensione.

Aveva spento tutti i sogni, le musiche e i canti, che donavano ai miseri 31

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consolazione.

Soddisfatto, ogni tanto, guardava nel cielo gli anelli di fumo delle vite spezzate e all’umanità rubate.

- Come è potuto accadere nella civile cristiana Europa del ventesimo secolo?

Come ha potuto Dio tollerare il fanatismo sterminatore, l’odio di razza, il disprezzo, il trionfo del male?

Oggi c’è incredulità, stupòre, sbalordimento, senso di sconfitta dell’uomo, ma anche compianto per i caduti, solidarietà con i superstiti, volontà di testimoniare per non dimenticare, affinché simili orrori non si possano ripetere.

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27 GENNAIO 1945

27 Gennaio 1945 ore 11, 45: i russi entrano ad Auschwitz.

E’ libero il campo di sterminio, dove quattro milioni di uomini furono annientati dalla follia nazista, protesa a rincorrere il mito della razza pura e del dominio del mondo.

Sono finite le sofferenze, le torture, le morti pianificate.

Di quale orrendo crimine si erano macchiati gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, gli handicappati, i bambini, finiti nelle camere a gas o nei forni crematori o morti tra atroci tormenti e mille sofferenze: fame, sete, freddo, paura, sporcizia, lavori forzati, 33

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numero tatuato sul braccio come se fossero buoi?

Sono rimasti, là, ammucchiati, anche gli indumenti dei bambini: nessuno gliel’ha restituiti.

Ci penso e mi commuovo.

Non trovo una ragione.

Osserverò un minuto di silenzio, per riflettere e meditare sui tanti sogni infranti, per non dimenticare l’umanità offesa, ingannata, disprezzata.

O Dio, non permettere che simili barbarie si ripetano.

Fa che nel mondo trionfino l’uguaglianza e la fratellanza, la solidarietà e la pace.

Il tempo lenisce le ferite, ma il ricordo del passato rimane e nel bene e nel male ci appartiene.

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UGUAGLIANZA

Non sono le lingue o i capelli o i diversi colori della pelle a rendere diversi i fratelli.

Simili Iddio volle creare gli uomini nel nascere e morire, nel pensare e nel sentire, nel piangere e gioire.

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VIOLE

Modeste, umili e timide viole, fiorite a gruppi sul finir del verno tra fili d’erba, all’ombra.

Preannunciate la giovane stagione, la ciclica rinascita e la vittoria della vita.

Tu non calpestarle, raccoglile: anche quando appassiranno, sentirai che profumeranno ancora.

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LUCE INEFFABILE

Quando sei solo, c’è pace, e il divino silenzio ti consola, socchiudi gli occhi e ascolta la sua voce.

Scoprirai che la luce non solo vien dal sole, ma ce n’è un’altra ineffabile dentro il cuore.

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MISURO IL TEMPO

Questa sera, la luna sembra che mi pedini sulla strada dei rimpianti.

Misuro il tempo in giorni ed anni e i fuochi delle passioni, pur vive, non bruciano più.

Già scricchiola il mio corpo, lampada che va spegnendosi alla finestra delle ombre.

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UN SUON DI “MAMMA”

Semplice, armonioso e nitido, come l’acqua cristallina d’una fonte, mi torna ancora in mente un suon familiare, che in verba si tramuta “mamma”.

Ed ei è sol ricordo, ora, dolce.

Quante speranze s’è con sé portata…

Quanto amore non più mi si riversa…

Mi vegliava e guidava, mi consolava e difendeva, m’amava e temeva, mi raccontava tante cose belle antiche e pur moderne.

Come un lucignolo al fondo giunto lentamente si è spenta, reclinando il capo come spiga matura 39

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sul suo stelo.

Immane il duolo, incolmabile è il vuoto.

Amara realtà la vita.

E’ una scena.

Ognun sua parte recita e poi… niente si sa di lui.

Qual tarlo il legno, tale il tempo col suo tacito fluir par che tutto corroda e annienti, ma un mistero rimane imperscrutabile: può tutto con la morte finire e diventare polvere, spazzata via dal vento?

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AGLI AMICI D’INFANZIA Indomita cade la pioggia a scandire le ore di giorni, che sanno di scuola e di scherzi, di giochi e di spensieratezze con gli amici della gioiosa infanzia, quando non finivamo di stupirci di fronte alle bellezze del creato e la vita ci appariva piena di lusinghe, di speranze, di promesse.

Distinguo ancora e riconosco i volti, le voci, i passi.

Nessuno aveva abiti di seta; c’erano, però, sincerità e affetto.

Unica è la radice a molte foglie, sparse da allora in ogni dove.

Come i fili bianchi tra i capelli, le assenze aumentano d’anno in anno e un brivido scuote le mie membra ai lenti echi di bronzee campane.

Il tempo non è nelle nostre mani, ma noi siamo nelle mani del tempo.

Dalla nascita al trapasso è un breve batter di ciglio e i ricordi nella tomba rivivranno, anche lontani dai consueti cieli.

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PRESBIOPIA DELLA MEMORIA Nelle pieghe del tempo sfioro frammenti di vita sospesi a ragnatele, costruite con certosina pazienza, e poi quasi dimenticati nel segreto ripostiglio di memorie.

In un susseguirsi di albe e tramonti riemergono lontani echi d’amore, emozioni fugaci come il vento, sogni svaniti sulla via, speranze deluse chissà da chi, chissà perché.

Grovigli di ricordi, che riaprono ferite e lasciano lacrime di rimpianti.

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ANTICO PALAZZO Si attenua lo scirocco.

Esco.

M’incammino in un groviglio di medioevali vie.

Mi fermo ad osservare l’imponenza d’un palazzo, ora disabitato, quasi cadente e nidi di uccelli tra le crepe.

Stemma e ringhiere, archi e bassorilievi, porte e balconi, sono erosi dal sole, dal vento e dalla pioggia.

Tra suppellettili di lusso (comò e specchiere, cassapanche e cassettiere, scrivanie e librerie intarsiate e decorate, tappeti e quadri), mi fingo aggirarsi un labirinto di facce: poche ben pasciute, altére, superbe, ambiziose, sprezzanti, con voci di comando e ipocrite maniere cortesi; 43

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molte scarne, umili, remissive, rispettose, servizievoli.

Divoro i miei pensieri.

Respiro. Vivo.

Inneggio al cambiamento, all’uguaglianza costituzionale, alla riacquistata dignità, al valore dell’istruzione obbligatoria e gratuita, essenziale strumento per la presa di coscienza dei diritti e dei doveri.

Dimenticare è impossibile, come il perdonare tutto.

Non si può staccare un fossile sigillato nella pietra.

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PROFUGHI Come novelli barbari, su imbarcazioni insicure e sovraffollate, sbarcano nei porti del Sud. Sono in cerca di pace, di riconosciuta dignità, di garantita libertà, di tutelato lavoro.

Fuggono in conseguenza ad assurdi eventi bellici o a persecuzioni politiche.

Spesso senza documenti, lasciano nella terra nativa casa, affetti, lavoro, usanze, cultura, lingua.

Unico loro fardello è la vita e qualche indumento in una valigia o fagotto.

Con occhi impauriti e stanchi, tormentati da fame e sete, sfidano l’ignoto.

Nel cuore una speranza: 45

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non più fame, sfruttamento, ingiustizie, prepotenze, violenze, uccisioni.

Vogliono rifarsi una vita, senza rimpiangere il passato.

Saranno ben accolti ed aiutati, per potersi integrare, o proveranno, come Dante, il sapore amaro del pane altrui, l’angosciosa umiliazione di chi è considerato un estraneo?

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SBARCHI NOTTURNI Sui lidi meridionali d’Italia, clandestini extracomunitari sbarcano ad ondate, a decine, a centinaia, guidati da rapaci scafisti, che venerano il dio Denaro, sopra il ruggente mare.

Lo scirocco e il libeccio, loro venti, riscaldano i cuori di speranza e fanno sognare una terra ospitale, senza ortiche, cardi e rovi, una terra che assicuri il lavoro, garantisca la giustizia, dia dignità e libertà.

Sognano… nella loro sete ad essere, ma nella celeste volta la notturna candida luna, che veglia sulla terra addormentata, sembra insensibile spettatrice alle tragedie umane.

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IL RITORNO DEL CONTADINO

Torna sereno a sera il contadino accompagnato dal suon d’una campana, che lo induce a dire una preghiera: l’aveva imparato da bambino.

Nella dolce e idilliaca campagna, da miriadi di ricordi colorata, ogni giorno tesse i fili della vita dalle varie stagioni cadenzati.

Egli fatica per l’intero dì: falcia, zappa, semina, pianta, innesta, pota, concima, irriga, raccoglie.

Ringrazia sempre il provvido buon Dio, che fa germogliare e sviluppare il seme, fiorir le piante e maturare i frutti.

Con polvere e sudore sulla pelle, or, contento, ondeggia al mutar dei passi, pensa alla famiglia che l’aspetta 48

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e lo riempie di tenero affetto.

Nella sua casa infin trova riposo, come l’onda, che si acquieta sulla riva.

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L’UVA MATURA

Tra il vibrar d’un canto di cicala sugli assolati colli addormentati di grappoli facevan bella mostra le piante sacre a Bacco, dio del vino.

Asciugandosi il sudore con la mano, guardava soddisfatto il contadino l’uva annerita dal calor del sole, bontà d’un frutto carico di miele, meritata ricompensa di lavoro.

Curata con amore, come figlia, ogni pianta distingueva nei filari, allineati a grani di rosario.

L’imminente vendemmia programmava e il divino liquore pregustava, che avrebbe rallegrato la sua tavola, avrebbe inumidito le sue labbra e avrebbe allontanato l’umor nero.

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IL MELO

Dondolato da un vento leggero, oscilla la chioma del melo.

Al bimbo dice ora si, ora no, ora no, ora si.

Fa ombra coi rami ai passanti, nasconde i nidi agli uccelli festanti, dona agli uomini frutti aulenti.

Quanti anni avrà?

Solo leggendo gli anelli, si scoprirà l’età: conserverà il segreto, finché sarà florido e vegeto.

Mentre osservo e rifletto, nel cielo sconfinato un jet lascia una bianca scia.

Ecco: la natura viva immutabile nei suoi ritmi e la scienza umana nel suo continuo progredire.

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L’ANZIANO CONTADINO

Grigio il cielo, pungente il freddo alla casa di campagna intorno.

Sibila il vento tra le fessure di lignee imposte.

Nel caminetto, legna di rovere arde, riscalda, si consuma.

L’anziano contadino, fiero lo sguardo e ruvide le mani, vaga col pensiero alla sua gente.

Tanti volti amici si susseguono, s’alternano, s’accavallano, scompaiono, ricompaiono.

Molti gli han già detto addio e tanti ciao.

La parola, tra loro, un patto, senza bisogno di carte bollate.

Prega Iddio che allontani i temporali e la siccità.

Poi guarda con amarezza i campi incolti, fino a ieri ricchezza e vanto per i nostri padri e nonni.

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Cespugli hanno ingoiato i viottoli e sferze di rovi si allungano sull’erba, là dove spighe si piegavano al vento.

Non si dà pace.

Accusa amministratori di inefficienza, di incapacità, di non aver voluto o saputo valorizzare l’agricoltura e non sa, se ci sarà una nuova alba, un nuovo risveglio per i paesi ad economia agricola.

Per i giovani, intanto, una valigia è pronta, ma il cuore rimane qui, inchiodato, dove hanno visto la luce e si sono saziati di latte da seni opulenti.

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Domenico Distefano

AURORA

Eterna fanciulla dai veli leggeri diffondi la luce ancor prima del sole.

Ti è fedele compagna la stella del mattino, col nome Lucifero era nota agli antichi.

Il carro precedi coi quattro cavalli, che galoppano in cielo nelle quattro stagioni.

Al seguito danzano le dodici Ore, che ripartiscono il giorno e le umane azioni.

Tu canti vittoria sull’oscurità della notte, infondi speranza e gioia di vivere.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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LA MIA VECCHIERELLA

Nella tua sera, o mamma, petali di neve tra i capelli, sinuose rughe e mani rattrappite, un incurabil morbo celatamente cova e il tuo penar mi accora.

I giorni ancor ti colmano di gioie ed amarezze.

Dal tuo nome Rosa conservi le spine dentro il cuore, agli altri dispensi il tuo sorriso.

Tu sai che la vita é un dono, una continua meraviglia, un’occasione unica e irripetibile, che non si può sprecare.

Sei il fulcro della famiglia, in te è l’unità di affetti.

Con lo sguardo dolcemente sfiori i pensieri dei tuoi figli, di tua sorella, dei tuoi nipoti e li aspetti paziente dietro i vetri.

Ora il Grande Tessitore 55

Domenico Distefano

ti ha spento ogni giovanil vigore e ti ha convinto a depor la tela.

E tu Lo preghi intensamente, guardando oltre l’orizzonte; dono di fede avuto da Maria, tua protettrice e tuo secondo nome.

Col passar degli anni, riflettendo su come “il nostro viver vola”, mi sono accorto anch’io che sono solo due o tre le verità che contano, i grandi princìpi della vita e sono quelli che tu mi hai insegnato da bambino.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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A MIO PADRE

Pallido moriva l’ultimo raggio di luna, quando anche tu svanivi come nebbia al sole, in un tiepido mattin di mezz’aprile.

Ironia della sorte: “Aprilis” da “aperire” è “aprire, nascere, sbocciare”, perché si schiudono i germogli.

Tu, invece, nascesti a nuova vita, altre porte si schiusero per te.

T’incamminasti verso luoghi, ove fioriscono altre primavere, altri prati, altri giardini e non ti curasti dell’imminente festa, né di me, che ritornavo.

Né a te valsero i consigli di un luminare della scienza, che, là, ti ha preceduto.

Lenti rintocchi 57

Domenico Distefano

di bronzee campane scandirono l’addio, che mi echeggia ancora dentro l’anima.

Ogni giorno rinnova l’angoscia dell’assenza.

Ti rivedo nel passato: negli occhi mi è rimasta la tua immagine, il tuo sorriso; nelle orecchie ho ancora la tua voce, il canto; nel cuore conservo i valori: la fede, l’affetto, il rispetto, il senso di giustizia, il desiderio di pace, la dignità del lavoro, la gioia di vivere.

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Il giorno non è mai troppo lungo

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NOTA BIOGRAFICA Domenico Distefano è nato il 18/02/1948 a Montalbano Elicona (ME), dove risiede.

Laureato in lettere classiche presso l’università di Messina, ha insegnato materie letterarie nelle scuole secondarie.

Attualmente è pensionato.

Ama la vita e la natura e nel tempo libero coltiva la passione per la poesia.

I suoi versi lasciano intravedere una personalità protesa a carpire i segreti dell’anima.

Ha partecipato ed ottenuto diversi riconoscimenti in concorsi letterari.

Sue liriche sono pubblicate in riviste e antologie di premi letterari.

Nel luglio 2014 ha pubblicato con la MA.GI. Editore la raccolta di poesie dal titolo “IL GIORNO NON E’ MAI TROPPO LUNGO”.

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