Ai miei genitori
00. Introduzione
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01. L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
pag. 14
- Storia dell’edilizia residenziale pubblica in Italia - Napoli e il piano INA-Casa (gli abusi de”Vele dopoguerra) - Dalla legge 167/62 al fallimento delle le del quartiere Scampia”
02. La “doppia” Napoli
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- Una città “divisa” in due - "Abitare" anche la strada
03. L’arte di “alterarsi”
pag. 46
04. Casi Studio
pag. 54
05. Il Progetto
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- Aspetti Urbanistici e Pianificatori Il contesto territoriale Lo spazio urbano Strategie progettuali - Aspetti Architettonici e Funzionali Principio insediativo dell’organismo L’ elemento fondativo: il parcheggio Qualità dell’accessibilità all’organismo Funzione integrative diverse dall’abitare Il tipo edilizio e l’alloggio La possibilità di incremento: l’autocostruzione - Aspetti Costruttivi e Tecnologici L’organizzazione del cantiere per l’autocostruzione Sistema tecnologico
06. Bibliografia
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07. Sitografia
pag. 175
INTRODUZIONE
Introduzione
Il tema centrale della tesi è il binomio “Housing Sociale – Architettura Incrementale”. Siamo a Napoli, città in cui la residenza popolare è una tematica che negli anni ha suscitato molti dibattiti, soprattutto per il fallimento di Housing Sociale più conosciuto d’Italia, ovvero le Vele nel quartiere Scampia. Il quartiere preso in esame è quello di Poggioreale a pochi passi da Scampia, vicino all’area industriale ma anche vicino al centro della città. L’area scelta è stata, nel corso degli anni, già scenario di progettazione a carattere residenziale, tuttavia nel 2000 gli edifici sono stati abbattuti per la presenza di Eternit tra i materiali di costruzione. La tesi si prefigge l’obiettivo di intervenire laddove la residenza pubblica ha già fallito, imponendosi come istanza “guida” quella di ricucire il quartiere, migliorandone la qualità di vita urbana prima, e privata poi. Nonostante nell’area siano presenti piccole realtà produttive e servizi per la collettività, il degrado, dovuto all’abbandono, caratterizza negativamente il contesto. Partendo dal potenziale intrinseco dell’area, il progetto ha l’intento di coinvolgere le realtà “positive” del quartiere e limitarne il degrado. Per risolvere la questione urbana, si è proceduto con l’analizzare il tessuto individuandone tutti i layers che lo compongono, e progressivamente scendendo di scala al fine di focalizzare l’isolato che riguarda l’area interessata. Consapevoli della situazione del contesto urbano, e nello specifico di quella del quartiere, si è stabilita la strategia da perseguire che punterebbe prima alla riqualificazione dell'area, mediante la stesura di un masterplan di assetto del isolato, poi l'ideazione di quelli che saranno i nuovi edifici di Social Housing. La strategia, volano del masterplan, cerca di risolvere il proble-
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Introduzione
ma del degrado, introducendo nuovi servizi, che vengono suggeriti direttamente e indirettamente dal contesto, in modo da rispettare il legame con l’area circostante dove sono già presenti episodi di residenze popolari. Per quanto riguarda l’aspetto residenziale, gli alloggi mirano a coinvolgere nuovi nuclei familiari, che negli ultimi anni sono entrati a far parte dello strato sociale di Poggioreale e non solo, ovvero single precari e giovani coppie. L’architettura incrementale, che si fonda sull’autocostruzione, riesce a fornire una risposta alle esigenze abitative di questi nuovi scenari familiari, risultando uno strumento valido e dinamico. Lo spunto ideologico per l’elaborazione della proposta progettuale è suggerito direttamente dal popolo napoletano e dal suo modo di vivere e di interpretare gli spazi abitativi. Fase iniziale è stata l'osservazione, e quindi lo studio, degli elementi privati abitativi che più si rapportano con la sfera pubblica: i balconi. Dallo screening delle facciate degli edifici di Napoli, si nota come questo elemento venga, in non poche occasioni, “assorbito” (in modo abusivo) dallo spazio abitativo. Un discorso analogo a quello dei balconi, va fatto per le finestre che, in diverse casistiche, vengono completamente tamponate. Quindi durante l’osservazione si è dedotto che esistono diverse forme di alterazioni che penalizzano l'integrità della facciata; tra queste, quella che ha suggerito la risposta dell’architettura incrementale, è stata l’aumento di superfice abitabile. L’autocostruzione, alla base del progetto rispetta, e in qualche modo tende a continuare, in maniera regolamentata, l’operato dell’abitante napoletano che spontaneamente, in casi di necessità, pratica le più svariate soluzioni di autocostruzione. In altre parole si è notato che il cittadino napoletano tende ad adattare alle proprie esigenze abitative, spazi e soluzioni, talvolta stravolgendole del tutto, dell’ambiente in cui vive.
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Introduzione
In conclusione, il punto di forza dell’intervento in scala urbana è la progettazione di scenari e spazi “resistenti” al degrado e quindi durevoli nel tempo. Tale caratteristica è il risultato di un accurato trattamento delle superfici, infatti alle aree verdi si è preferito aree cementate e asfaltate in modo da non favorirne il degrado causato da una scarsa manutenzione dello stesso. Il drenaggio delle acque piovane è, infatti, garantito da superfici trattate con ghiaia. Oltre alla durabilità degli spazi, si è cercato di garantirne anche una certa qualità con l’utilizzo del colore e delle forme. La falsariga dell’intervento architettonico proposto, invece, può essere perpetuata anche in contesti diversi da quello napoletano, in quanto la pratica dell’architettura incrementale risulta essere un valido modello in risposta alle attuali esigenze di flessibilità e resilienza dell’offerta abitativa.
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L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA A NAPOLI Capitolo 1
L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Osservando le città nelle quale viviamo sono facilmente riconoscibili i luoghi dove le politiche del Novecento hanno cercato di rispondere ai bisogni abitativi delle famiglie disagiate. Alloggi, edifici, spazi aperti, giardini, aree attrezzate per la collettività hanno composto quartieri e complessi residenziali che sono andati a formare la “città pubblica”1. Già nell’Ottocento si pongono le basi per quello che sarà definita “la questione abitativa”, ma è solo nel secolo successivo che si diffonde e concretizza l’idea che sia obbligo della collettività e delle istituzioni pubbliche provvedere a un miglioramento delle condizioni di abitabilità e delle qualità di vita delle famiglie meno abbienti. È dunque nel Novecento che si realizza la nascita e lo sviluppo di questa “città programmata” dove intervengono, secondo diversi gradi di interesse, Comuni, IACP, Ministri ed enti statali vari. Nel XX secolo le periferie si vestono di un manto urbano fatto da quartieri popolari e case economiche divenendo allo stesso tempo palestra di innumerevoli ricerche progettuali di architetti, urbanisti e ingegneri. Alcuni cenni storici sono utili per una maggiore comprensione del processo evolutivo a cui il Piano INA-Casa2 fu sottoposto. Nel secondo dopoguerra italiano, il Governo De Gasperi cercò di promuovere la rinascita economica dell’Italia attraverso lo sviluppo edilizio, al fine di provvedere, contestualmente al problema della disoccupazione postbellica. La legge n. 43 del febbraio del 1949 “Provvedimento per incrementare l’occupazione operaia. Case per lavoratori” rese attuativo il disegno di legge dell’allora Ministro del Lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani per questo conosciuto anche come “Piano Fanfani”. Il piano rappresentò un evento di straordinaria rilevanza sociale dando avvio all'attività dell'ente INA-Casa, con presidenza di Arnaldo Foschini, coadiuvato da Adalberto Libera nel ruolo di direttore dell'ufficio tecnico. Il programma INA-Casa
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Storia dell’edilizia residenziale pubblica in Italia
L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
è distinguibile in due fasi: un primo settennio (1949-1955) dove impera la corrente neorealista e un secondo settennio (1956-1962) guidato dalla sperimentazione. Il sistema di finanziamento del Piano prevedeva la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti; questi ultimi, attraverso una trattenuta sul salario mensile. L’originalità del Piano consisteva nella sua duplice finalità: la realizzazione di nuove case era prospettata, in primo luogo che come misura per soddisfare l’ingente fabbisogno abitativo accumulato prima e durante il conflitto, e in secondo luogo come mezzo per far fronte ad un problema politicamente considerato ancora più urgente, ovvero la disoccupazione. L’edilizia funge, così, da volano del sistema economico del paese, assorbendo mano d’opera non qualificata, in transito dall’agricoltura all’industria; innescando un processo di radicale trasformazione sociale, politica ed economica all’intera Nazione. L’avvio del Piano è immediato: nel mese di luglio viene inaugurato il primo cantiere a Colleferro, nei pressi di Roma. Dal 1950 fino al 1962, saranno aperti circa 20.000 cantieri. Il piano, nel suo processo iniziale, non riscuote grande entusiasmo tra gli urbanisti italiani, delusi dall’assenza di un piano nazionale capace di operare una ricostruzione postbellica. Dopo le iniziali perplessità, il piano Fanfani comincia a raccogliere pareri favorevoli. Quella dell’INA-Casa sembra essere la prima e vera occasione per realizzare una grande ricostruzione dove l’unità quartiere è materiale utile a modellare l’informe e diffusa crescita che già sta allargando e diffondendo le nostre città3. Il quartiere, con le sue case, attrezzature collettive, spazi aperti, giardini, non è semplice addizione urbana: “non case ma città” come afferma il Sindaco Giorgio La Pira quando si inaugura l’Isolotto a Firenze4. Il quartiere va a identificare un ambito di formazione e
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
vita del cittadino. Esso diventa un’unità sociale nel quale la vita individuale, di famiglia e associata migliora in termini di qualità. L’ importanza del “Piano Incremento Occupazione Operaia. Case per lavoratori” attuato tra il 1949-1963, si è rivelata nel tempo sempre più crescente. Gli spazi comuni, facilitando i rapporti tra nuovi abitanti, danno “spazio” alla crescita di una vita collettiva, alla creazione di una comunità cittadina. Il quartiere svolge così la funzione di collettore sociale. In risposta a questo nel 1954 viene istituito l’Ente gestione Servizio sociale Case per lavoratori, che propone diversi obiettivi, tra i quali degni di nota, sono la valorizzazione delle risorse degli abitanti delle nuove realtà collettive urbane, lo sviluppo dei rapporti interni per la partecipazione dei membri di tale collettività alla vita cittadina. Tutto è finalizzato a contribuire al miglioramento sociale e materiale con attività e servizi di interesse collettivo5. Il piano INA-Casa ha fuso la modernizzazione tecnica dell’edilizia residenziale e dello spazio abitabile; il Piano ha mostrato infatti l’aspirazione a raggiungere un progresso nelle tecniche, nei modi di abitare, nell’idea di città, pur continuando a rispettare le tradizioni italiane e regionali. Si pose l’attenzione ai caratteri del paesaggio e dei centri storici preesistenti, alle abitudini di vita degli abitanti, al clima, ai materiali da costruzione, ai sistemi costruttivi locali, ecc. Dopo quasi quattordici anni di attività, il 14 febbraio 1963 con l’approvazione della legge n. 60, “Liquidazione del patrimonio edilizio della Gestione INA-Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori” il progetto INA-Casa si chiuse definitivamente. Altri enti e leggi (legge n. 167 del 1962 promuoverà piani comunali per l’edilizia economica e popolare), assolveranno il compito nella programmazione, nel finanziamento e nella costruzione di edilizia sociale. La legge del 18 aprile 1962, n. 1676 “Disposizioni per favorire
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Immagine a lato: Case economiche e popolari al “Palazzo dei Diavoli” Isolotto, Firenze
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
l'acquisizione di aree ... per l'edilizia economica e popolare”, che introdusse in Italia i cosiddetti "Piani di Edilizia Economica Popolare" (PEEP), venne emanata con lo scopo fondamentale di fornire all'ente pubblico gli strumenti concreti per programmare gli interventi nel settore della casa e per incidere, tramite questi, sull'assetto del territorio urbano, contrastando la speculazione fondiaria e indirizzando lo sviluppo edilizio con i piani di zona (di contenuto analogo ai piani particolareggiati) da realizzare su aree espropriate, all’edilizia economica e popolare. Per la prima volta l’esproprio era utilizzabile non solo per i terreni destinati per le opere pubbliche, ma anche per quelli destinati a residenza, e veniva stabilita un’indennità di esproprio inferiore al valore di mercato, fissata al valore che le aree avevano sul mercato due anni prima dell’adozione del piano PEEP. Questo doveva consentire ai comuni (e agli enti, istituti e cooperative costruttori case popolari, a cui potevano essere assegnati i terreni edificabili) di acquisire ad un costo relativamente contenuto aree più centrali e di dotarle di tutti i servizi sociali necessari, che dovevano essere previsti nello stesso piano di zona. Si prevedeva, infine, di innescare un processo di finanziamento a rotazione: i comuni, ottenendo i terreni a basso prezzo e rivendendoli (una volta urbanizzati) agli assegnatari pubblici e privati, avrebbero potuto ricavare fondi da reinvestire in acquisto di altre aree ed in costruzione di servizi. A decorrere dal 30 ottobre 1967 la filosofia della pianificazione pubblica, elaborata dal Ministero dei Lavori Pubblici sotto la guida di Fiorentino Sullo mutò, in virtù della legge 765 del 1967 (cosiddetta “Legge Ponte”) e del relativo decreto ministeriale 2 aprile 1968.
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Una riflessione sulle vicende napoletane e sulle sue, assolutamente specifiche caratteristiche.
Napoli e il piano INA-Casa: gli abusi del dopoguerra
Napoli nel corso della sua storia è stata teatro di molteplici episodi di edilizia economica popolare, che hanno contribuito a delinearne il volto attuale. Durante la seconda metà del 1800 furono redatti numerosi progetti di espansione urbana, sotto il governo borbonico, essi prevedevano la realizzazione di una periferia operaia in zona orientale, ossia Poggioreale, Rione Arenaccia e zona Vasto, e altre opere previste attorno alla Stazione Centrale e a ridosso del Centro Storico. Nella periferia risultava un sovraffollamento urbano provocato dagli sventramenti sanitari che portò una stratificazione orizzontale da parte dei ceti poveri e della piccola borghesia, vennero così a intensificarsi le iniziative filantropiche. Molti ingegneri napoletani presentarono progetti di abitazioni di tipo economico, con il supporto finanziario di associazioni filantropiche che avevano a disposizione i capitali adatti all'edificazione di un edificio. Un altro momento fondamentale nella strutturazione della città fu il Piano di Risanamento, emanato a seguito dell’epidemia di colera che colpì la città introno al 1883; per risanare la città si ricorse alla demolizione di ampie parti del centro storico per far posto a nuovi rioni con un’organizzazione urbanistica più razionale. Le zone da realizzare ex novo furono i quartieri della prima periferia che si espanse ad oriente dove erano localizzati gli impianti industriali e la stazione della ferrovia. Tutti gli interventi non contemplavano le aree destinate al verde. Le abitazioni avevano un modulo con dimensioni che oscillavano tra i 90x90/120 metri, i caseggiati si sviluppavano in pianta chiusa con corte al centro, come le antiche abitazioni napoletane, su tre o quattro piani. L'ambiente interno di un'abitazione aveva, nel peggiore dei casi, una stanza con loggetta per i sanitari mentre il migliore di casi era un bilocale.
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
La parte orientale della città fu lasciata ai privati, su concessione della Società del Risanamento, che costruivano a proprie spese gli edifici, mentre ad occidente (fuori dalle mura urbane) si iniziava a progettare abitazioni economiche; in tale contesto nasce l'Istituto Autonomo Case Popolari di Napoli (IACP). La società aveva alcuni suoli ad occidente della città, donati dalla Banca d'Italia, e fu supportata anche da una cerchia di intellettuali napoletani che appoggiavano l’edificazione di questo tipo di edilizia, tra questi spicca Matilde Serao. Nelle abitazioni di nuova costruzione esisteva un sovraffollamento da parte del popolo che contribuiva alle precarie condizioni sanitarie dell'epoca, che nel giro di pochi anni avrebbero provocato focolai di epidemie. L'IACP progettò i primi interventi sia ad oriente che ad occidente. L’isolato delle case popolari era composto da un costruito senza cortile con piano terra rialzato, scantinato e tetto piano. Le prime tipologie edilizie dell'Istituto prevedevano un alloggio di due o tre vani con cucina e latrina poste in una nicchia; successivamente questa tipologia di alloggio verrà abbandonata per la realizzazione di ambienti più larghi e indipendenti, nascono così il corridoio, il bagno e la cucina (questi ultimi ambienti erano contigui). Mentre si edificavano i primi rioni popolari per operai ad opera degli istituti pubblici, la città iniziava a sviluppare nuovi sistemi di crescita urbana, come la realizzazione della prima linea metropolitana del Paese nel settembre 1925. Nei primi anni del regime fascista furono completati i progetti già iniziati negli anni precedenti con la Legge speciale del 1904. Il grosso degli interventi di edilizia popolare si concentrano soprattutto nella nuova area occidentale di Fuorigrotta e Bagnoli, nell’area orientale prossima alla zona industriale e sull’arco collinare che va dal Cimitero di Poggioreale a Capodimonte. Gli interventi dell’Istituto Case Popolari, che momentaneamente assunse il nome di Istituto
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Immagine a lato: Case economiche e popolari al Rione “La Loggetta” Napoli
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Fascista Autonomo Case Popolari (IFACP), assunsero un carattere stilistico conservatore. La casa popolare napoletana di quel periodo si caratterizzava con soluzioni tipologiche e morfologiche tipicamente ottocentesche, nonostante fossero tecnologicamente all'avanguardia con l'adozione di soluzioni strutturali in calcestruzzo armato. I primi tentativi di rinnovo progettuale da parte dell'Istituto Case Popolari furono il Rione Gioberti a Capodichino, il Rione Ammendola allo Scudillo e il San Tommaso d'Aquino dove furono adattate soluzioni di progettazione tipologicamente più razionale. Gli interventi di edilizia popolare a Napoli acquisirono un’importanza notevole a partire dalla ricostruzione postbellica. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale si mise a punto il nuovo PRG da adottare come strumento urbanistico di sviluppo della città e tra le sue molteplici istanze c’era lo sviluppo delle nuove periferie intorno ai casali, che costituivano la nuova corona urbana della città. Alla fine del conflitto mondiale, le aree industriali, le infrastrutture portuali e ferroviarie furono completamente compromesse dai numerosi bombardamenti anglo-americani prima e tedeschi dopo, furono distrutti anche tutti gli impianti pubblici di rifornimento della città. Nel 1945, venne redatto un nuovo PRG repubblicano che affrontava la questione degli alloggi e della ricostruzione parziale ed integrale di vaste aree danneggiate. Il Piano mirava a trovare una soluzione alla ricostruzione edilizia e industriale e all’incremento demografico di Napoli. Nella produzione architettonica dei nuovi quartieri venne abbandonata la tipologia a blocco ottocentesca favorendo lo sviluppo di nuove tecniche compositive che economizzarono i processi costruttivi: vennero introdotte le stecche, le case a ballatoio e le torri. Negli anni che seguirono vennero eseguiti una serie di interventi, in zone diverse della città e della periferia napoletana. Il Piano Casa Fanfani, del 1949, ebbe forti ripercussioni in
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Campania, ed in particolare a Napoli; l'edificazione dei quartieri popolari rappresentò il laboratorio linguistico per eccellenza della nuova architettura. Sul finire degli anni Cinquanta furono realizzati i complessi di Ponticelli nel 1951, progettato dall'ufficio tecnico INA-Casa guidato da Adalberto Libera, e quello di Capodichino concluso nel 1967. Uno dei più rappresentativi interventi dell'istituzione è l'Unità di Abitazioni ai Granili di Giorgio Cozzolino, realizzate nel 1952, che si caratterizzano per la ripresa tipologica delle Unità abitative di Le Corbusier e degli Hof viennesi. Degno di nota è il progetto del Rione La Loggetta, situato tra Soccavo e Fuorigrotta, coordinato da Giulio De Luca . Il quartiere assecondava le linee orografiche naturali, attraverso la scelta tipologica delle abitazioni in linea, conferendo il carattere di borgo, racchiuso intorno ad una piazza. Contemporaneamente, nello stesso rione e con esito diverso, furono realizzare unità prefabbricate su progetto dello studio BBPR per conto della CECA. Il secondo settennio del Piano INA-Casa fu inaugurato con la progettazione e realizzazione del quartiere Secondigliano II a nord della città. Con questo intervento Carlo Cocchia, coordinatore del gruppo di progettazione, cercò di ritrovare l’ordine armonico che esiste nei tessuti compatti consolidati. Nel 1956 vennero progettate da Ridolfi e Frankl sei torri in via Campegna a Fuorigrotta. Nel 1957 si tentò di superare la concezione dei piccoli nuclei edilizi, per approdare ad interventi di larga scala. In questa prospettiva fu progettato il Rione Traiano, intervento misto che vede attive diverse istituzioni finanziatrici dell’intervento e tra queste anche l’INA-Casa. Il progetto fu curato da Marcello Canino in veste di coordinatore urbanistico coadiuvato da diversi progettisti che lavorarono ai vari nuclei che costituiscono il quartiere. Due anni dopo è il turno dell’altro grande intervento a scala urbana, il Complesso Soccavo-Canzanella. Progettato da Mario Fiorentino, Giulio De Luca, Stefania Filo Speziale,
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Canino e Maione, è ubicato in un’area triangolare a ridosso del Vomero. Il mito della grande scala spunta nel panorama urbanistico ed architettonico napoletano a partire dal nuovo piano urbanistico redatto nel 1958 dalla giunta comunale. Il passaggio risultò abbastanza graduale, già i quartieri del secondo settennio INA-Casa de La Loggetta, Soccavo Canzanella e Secondigliano riuscirono a gestire egregiamente grossi carichi abitativi rispetto a quelli usuali degli altri rioni INA-Casa. Dal Piano redatto nel 1958, e mai attuato per i troppi interventi di speculazione sui suoli, presero spunto due grandi interventi che si localizzavano uno a valle del quartiere Soccavo e l'altro in un pianoro tra Secondigliano, Miano e Piscinola. In fase di realizzazione il primo intervento attuato fu il Rione Traiano a Soccavo, concepito come quartiere satellite che doveva essere il motore per una futura congiuntura ad occidente con Pozzuoli e Cuma. Nel frattempo, sul panorama nazionale, sorgeva una riflessione sui nuovi quartieri di edilizia popolare e sul loro fallimento sociale che stavano producendo risultati negativi. Tra le soluzioni trovate ci fu quello di dover rifondare completamente il rapporto tra architettura ed urbanistica che ebbe un parziale esito tra il 1967 e il 1968 con l’approvazione della cosiddetta “Legge Ponte”. I temi centrali di questa acuta riflessione furono l’abbandono ad un’estetica urbana puramente razionale/funzionalista in favore ad una di carattere organico e storicistico che potesse leggere integralmente le funzioni del tessuto storico stratificato. Il Rione Traiano in parte riuscì a percepire questa riflessione trasformandosi nel classico quartiere dotato di forma urbana ma carente di contenuti, trasformando il rione in un classico quartiere dormitorio privo degli standard minimi per il carico abitativo. A contribuire il degrado fu l’elevata densità abitativa di progetto. L’impianto è organizzato su una strada parco, viale Traiano, che funge da supporto per i sette nuclei edilizi.
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Immagine a lato: Case economiche e popolari al Rione “La Loggetta” Napoli
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Nel 1962 a seguito dell' approvazione della legge 167/62, riguardante le “Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare” vengono istituiti nei piani attuativi comunali la necessità di introdurre aree destinate ai PEEP (Piani di Edilizia Economica e Popolare). La nuova legge rese disponibile l'espropriazione per pubblica utilità anche per terreni destinati alla residenza, fissando una indennità di esproprio inferiore al valore di mercato. Con questa legge, nel 1965, venne approvato e individuato il sito di edificazione del nuovo quartiere residenziale di Scampia. Il nuovo quartiere, realizzato nella periferia a nord della città, aveva il compito, insieme al contemporaneo quartiere 167 di Ponticelli, di spostare il baricentro urbano verso l'interno favorendo una diffusione nel territorio di un sistema di centri urbani7. Entrambe gli interventi, Scampia a nord e Ponticelli a nord-est, erano stati programmati per ospitare il primo una popolazione di sessantacinquemila abitanti e il secondo di sessantamila abitanti su una superficie leggermente più vasta di Scampia. Il Piano di Zona del comprensorio 167 di Secondigliano ha una natura libera, regolata solamente dal sistema infrastrutturale e dalla lottizzazione dei grandi lotti (da 1 ha fino a 11 ha) producendo risultati positivi e negativi allo stesso tempo. L'aspetto positivo fu quello che “contrappone alla ineluttabilità della norma una condizione di libertà nelle scelte che è condizione indispensabile per buone ed interessanti soluzioni planimetriche e formali”8. D'altro canto questa libertà ha prodotto “la perdita completa della forma urbana non sostituita da altre relazioni strutturanti”9. Un aspetto secondario che ricade sul piano edilizio fu quello di affidare con autonomia degli appaltatori i vari interventi, causando una proliferazione di progetti diversificati ad ogni intervento. Il caso più emblematico è avvenuto alle sfortunate unità abitative delle Vele di Scampia di Franz Di Salvo rappresentavano
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Dalla legge 167/62 al fallimento delle “Vele del quartiere Scampia”
L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
in maniera chiara la progettazione a grande scala del nuovo quartiere. L'edificazione del complesso venne affidato ad un ente appaltante che autonomamente ha manomesso l'idea di Di Salvo partendo dalle soluzioni strutturali con l'adozione del solo calcestruzzo armato in sostituzione degli elementi prefabbricati brevettati dallo stesso progettista e dal punto di vista formale venne completamente alterato il sistema modulare originale. Il fallimento di questi esperimenti urbanistici iniziati a partire dal 1957, anno della posa della prima pietra del rione Traiano, all'indomani del sisma del 1980 ha generato nei successivi anni delle riflessioni sull'organizzazione dei nuovi nuclei residenziali post-sisma. I quartieri appena citati furono occasione di una rivisitazione degli spazi pubblici e sociali che vennero aggiunti nei successivi anni cercando di arginare il più possibile il processo di degradazione della vita collettiva. Dopo il terremoto, tali valori critici ebbero ricadute sia per la vivibilità che per le condizioni socio-economiche. Uno dei casi più rinomati sono le “Vele di Scampia”. Nel 1985 il Comune di Napoli decide la costituzione di un nuovo quartiere amministrativo coincidente con una nuova circoscrizione, Scampia, formato sottraendo territorio ai quartieri limitrofi di Miano, Piscinola e Secondigliano. Il caso riveste grande interesse sia per la sua portata, (oltre 40.000 abitanti), sia perché costituisce un banco di prova di una amministrazione che cerca di essere protagonista nelle politiche urbane di tipo innovativo che propongono una rivitalizzazione della periferia pubblica adottando iniziative di tipo multisettoriale ed integrato. La zona quindi assunse una vocazione esclusivamente residenziale al punto tale da condizionare radicalmente gli sviluppi successivi. Un quartiere monofunzionale (prevalentemente dormitorio), che ha comunque un’articolata composizione sociale effetto della compresenza di diverse tipologie edilizie. Assegnatari di alloggi
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
pubblici, abitanti proprietari degli alloggi degli edifici delle cooperative, occupanti abusivi degli edifici di edilizia pubblica non completati, scantinatisti, Rom del campo nomadi. La dislocazione dei lotti, la sezione e gli assetti delle strade, l’ampia presenza di edifici destinati dal progetto ad attrezzature che o non sono stati effettivamente completati, arredati o resi funzionali (oppure sono stati vandalizzati) e soprattutto l’assenza di manutenzione degli spazi pubblici e delle parti comuni, hanno dato ad ampie parti del quartiere un connotato di ambiente anonimo, di difficile fruizione, privo delle componenti indispensabili per realizzare un effetto città, anche nell’ambito delle tipologie di quartieri pubblici, con forte carattere monofunzionale. A seguito di un’ampia serie di accadimenti, nel 1995 l’amministrazione comunale approva un piano straordinario che ha come obiettivo l’abbattimento e ricostruzione delle Vele. Il nuovo programma di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) prevedeva l’abbattimento di alcune Vele e di sostituire con nuovi edifici residenziali pubblici, diversi per tipologia edile, taglia, altezza e composizione, per un totale di 926 alloggi, per gli abitanti delle vele dei lotti L e M. Accanto a questo l’ERP prevedeva anche la riutilizzazione di altre vele del lotto M, grazie all’intervento di investitori privati che avrebbero dovuto rivitalizzare la zona realizzando interventi per consentire l’insediamento di attività terziarie e servizi anche di scala urbana, con una piccola quota di case private, per variegare gli usi e le presenze nella zona. Contestualmente furono previsti anche interventi di razionalizzazione e rifunzionalizzazione della viabilità e dei sottopassi. L'errore più rilevante da parte dei pianificatori fu di non aver incentivato l'introduzione di infrastrutture all'interno della zona. Ciò ha portato alla cementificazione dell'intera area per un totale di 3315 alloggi e di circa 20000 vani, abbandonate alla più completa incuria10.
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L’edilizia residenziale pubblica a Napoli
Note Carughi 2006, p. 50; DI BIAGI 1986, p. 39. Sul piano INA-Casa si veda: L. Beretta Anguissola 1963 (a cura di) I 14anni del piano INA-Casa, Roma 1963; P. Di Biagi (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA-Casa e l’Italia degli anni ’50, Roma 2001. 3 Carughi 2006, pp. 52-53. 4 Bernini 2001, pp. 100-101. 5 Carughi 2006, p. 55, nota 19 6 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 111 del 30/04/1962 7 De Luca 1965, p. 118 8 Ibidem 9 Stenti 1993, p. 178 10 Pellecchia 2001, pp. 14-23. 1 2
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LA "DOPPIA" NAPOLI Capitolo 2
La "doppia" Napoli
Si racconta che un viaggiatore inglese in visita a Napoli la definì «l'unica città orientale senza un quartiere europeo». Questa definizione verrà fatta propria e resa celebre da Edoardo Scarfoglio, fondatore de “il Mattino” (fra i più importanti quotidiani cittadini). Di certo questa città si discosta di molto dalle città europee assomigliando, infatti, più a qualche città della sponda meridionale del Mediterraneo. La città partenopea si dimostra infatti in bilico tra modernità e arretratezza, immobilizzata dall’incapacità di mostrarsi “occidentale”, conservando una doppia anima: da un lato la povertà delle periferie e della casbah del centro storico, dall’altra i quartieri aristocratici. Risulta difficile leggere in maniera organica e unitaria la città di Napoli, perché piena di contraddizioni ed offuscata dalla sua stessa immagine. Tra le immagini con le quali è stata dipinta, la più celebre è la metafora di Benjamin: “L'architettura è porosa quanto questa pietra. Costruzione e azione compenetrano in cortili, arcate e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove impreviste circostanze. Si evita ciò che è definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre, nessuna forma dichiara il suo «così e non diversamente». È così che qui si sviluppa l'architettura come sintesi della ritmica comunitaria: civilizzata, privata, ordinata solo nei grandi alberghi e nei magazzini delle banchine - anarchica, intrecciata, rustica nel centro in cui appena quarant'anni fa si è iniziato a scavare grandi strade” .1 Una città che resiste ai criteri schematici (programmaticamente esatti e ben definiti) e si abbandona alla “passione per l’improvvisazione”2 .
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Una città "divisa" in due
La "doppia" Napoli
Questa immagine della città è viva e attuale sia nella sua accezione negativa che in quella positiva. Nella città napoletana è rimasto invariato il carattere tipico delle città mediterranee, secondo il quale nulla avanza secondo direttrici lineari. Questo è un carattere di straordinaria modernità che la maggior parte dei critici legge come arretratezza e che tende a suggerirne l’abbandono per equipararla e diventare essa stessa “città europea”. La forma di queste città quindi non si definisce mai per attività programmatiche ma sempre secondo un apparente caos. Oltre che nel rapporto tra spazio costruito, architettura e ambiente, pare che questa porosità sia innanzitutto nelle relazioni sociali. Questa armonia perduta si accompagna a una ferita profonda che divide in due la città. Così come, accanto a una struttura urbana di tipo moderno ne sopravvive un’altra enormemente arretrata; anche sul piano sociale vi è uno strato della popolazione povera e disagiata che vive strettamente connessa con un’altra ricca e benestante. Va precisato che un dualismo analogo è riscontrabile in tutte le metropoli, ma a Napoli ne assume un carattere peculiare: invece che in periferia, la parte depressa è situata prevalentemente nella zona centrale della pianta cittadina, corrispondente ai quartieri più antichi.3 Napoli è quindi una città paradossale, contraddittoria e duale. Questa dualità è il frutto di “due città” del tutto diverse e spesso antitetiche, dove si contrappongono scenari spaziali e stili di vita. Una delle città, la “casbah” del centro storico, è il risultato di una resistenza al cambiamento, alla modernizzazione a difesa del legame con la tradizione; l’altra è protesa verso la modernizzazione esasperata, senza radici, che rifiuta la “napoletanità”, i comportamenti e i modi di pensare, tanto cara all’altra “città”.4 La dualità di Napoli è ben spiegata da Dal Lago- Quadrelli:
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La "doppia" Napoli
“Due città, ovviamente, in una posizione profondamente diversa e asimmetrica: la prima non conosce la seconda, ma la evoca in continuazione, ne fa la fonte di ogni disagio o, come si dice oggi, “degrado” urbano e civile, vedendovi il terreno di coltura di ogni possibile minaccia, popolandola di anormali e devianti; la seconda vive nell’ombra dell’economia informale, semilegale o illegale, in luoghi scarsamente visibili dalla città legittima e soprattutto non è dotata di voce”.5
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Immagine a lato: Spaccanapoli fotografata da Mimmo Fontanella
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La "doppia" Napoli
Il disagio e l’arretratezza che subiscono quotidianamente gli abitanti di una delle “due” Napoli, ossia quella povera, si manifesta con l’espressione dell’abitazione tipica della “casbah” partenopea: il basso. Esso consiste in un locale posto sul piano stradale (in passato usato come stalla o deposito commerciale) in cui vivono delle persone e si connota come una tipologia abitativa quasi esclusivamente napoletana, di estremo interesse perché al suo interno si registrano fenomeni di annullamento degli elementi che filtrano la sfera pubblica a discapito della vita privata. Alle origini del problema dei “bassi” c’è il fenomeno della migrazione di masse dei contadini dalla campagna alla città, che nel corso del Quattrocento interessò il Regno di Napoli. La città infatti si trovò impreparata ad accogliere l’ingente massa di persone che, fuggendo dalla miseria e dall’arretratezza delle campagne, invase la città in cerca di una qualità di vita migliore; fu perciò difficile trovare casa per tutti, soprattutto a buon mercato, in una città sovraffollata come quella partenopea. Nel corso dei secoli non si è riusciti a trovare una risposta adeguata alla questione abitativa, probabilmente per inadempienza o inadeguatezza dei vari governi della città. Tali singolari fenomeni abitativi risultano tacitamente accettati dalle amministrazioni, nonostante sia stata dichiarata la non adattabilità ad uso abitativo, perché totalmente assorbiti nel paesaggio urbano. Dall’ultima rilevazione sul numero dei “bassi” a Napoli, risalente al 1978, emerge il dato di 7000 unità con una popolazione di 25000 persone che in queste vi dimorano. Il fenomeno dei bassi varia da quartiere a quartiere, nel numero e nell’aspetto esterno oltre che nella vivibilità delle “abitazioni”. Le strade del centro antico di Napoli sono tutt’oggi puntellate di
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"abitare" anche la strada
La "doppia" Napoli
“bassi”. Il recente riuso commerciale dei terranei non deve far dedurre che vadano scomparendo, infatti nei quartieri di recente costruzione esistono “bassi”, spesso seminterrati di moderni edifici, tuttora utilizzati come abitazioni6. Accanto a questa linea di tendenza, si registra nello stesso tempo un lieve aumento dei terranei usati come abitazione, in conseguenza del caotico e disordinato processo di urbanizzazione avuto a partire dal secondo dopoguerra. Per cautelarsi dall’occhio dei passanti i proprietari hanno ricreato “schermi” che proteggono la sfera privata dal pubblico, erigendo abusivamente, sul piano stradale, piccoli muri e realizzando strutture in ferro che consentono una maggiore privacy dal diretto contatto con la strada. Nascono così “bassi” anche graziosamente abbelliti da balconcini e verande. I proprietari di quei terranei ubicati nei vicoli, dove non c’è il passaggio veicolare, hanno assorbito più spazio esterno per ricreare una diversa dimensione dell’abitare. La maggior parte dei locali al piano stradale resta però fatiscente, buia e misera: minuscole porte senza nessun riparo dalla strada che conducono in una sola, al massimo due, stanzette. In molti casi l’unica fonte di luce risulta essere la stessa porta d’ingresso e da essa viene ricavata una piccola finestra per consentire meglio il ricambio d’aria e luminosità. Nei quartieri del centro storico, anche con un solo sguardo frettoloso, è possibile sbirciare le scene di vita quotidiana e soprattutto la miseria nelle quali si sviluppano: nessun ornamento all’esterno, solo porticine che introducono a un misero vano in cui si fa tutto. La carenza di spazio vitale risulta essere il problema più rilevante per chi vive nei “bassi”. Grazie alle occasioni di ristrutturazione vengono infatti realizzati soppalchi e suddivisioni interne. Come già accennato, lo spazio antistante all’abitazione, come soluzione ad
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un inadeguato spazio interno, viene indebitamente assorbito dalla residenza, diventando “salotto” d’estate e “spazio” lavanderia durante il resto dell’anno. Come spiega Luciano De Crescenzo in “La Napoli di Bellavista”: “Chi ha vissuto per tutta la vita in una casa dove la porta d’ingresso è sempre aperta per consentire il ricambio d’aria, finisce per considerare la strada parte integrante della propria abitazione e le persone di passaggio ospiti graditi”.7
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Note Benjamin 2007, pp. 6-7 SamonĂ 1959, pp. 36-37 3 Luongo, Oliva 1959, p. 60 4 Lamberti 2006, p. 35 5 Dal Lago, Quadrelli 2003, p.13 6 Mezzacane 1978, pp. 35-36 7 De Crescenzo 1979 1 2
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L’ARTE DI “ALTERARSI” Capitolo 3
L'arte di "alterarsi"
L’abitante napoletano risolve a suo modo le difficoltà e i disagi della residenza popolare e del “basso” improvvisando la costruzione di spazi, l’obliterazione di aperture e la creazione di altre. In termini tecnici modifica lo spazio abitativo che lo circonda mediante le “alterazioni”. Queste non sono altro che modifiche allo spazio semi-permanenti e auto-progettate e costituiscono i tentativi attraverso i quali l’abitante trasforma l’ambiente per farlo corrispondere alle proprie esigenze: sono interventi di riprogettazione degli ambienti attraverso cui gli abitanti prendono possesso di un luogo, cercando di adattarlo ai propri bisogni in termini di spazio1. Queste variazioni d’immagine quindi sono la conseguenza dell’uso attivo dei manufatti e dei vani da parte degli abitanti. Nella tradizione italiana, ma soprattutto meridionale, l’edilizia residenziale pubblica mostra il massimo grado di variazione. Questo tema non appartiene all’autocostruzione dell’architettura, che prevede un progetto più ampio e complessivo delle trasformazioni perpetuate nel tempo da parte dei residenti, ma trattasi di una serie infinita di piccoli e grandi atti di modificazione di originari assetti tipo-morfologici. I progetti INA-Casa realizzati a Napoli nella metà del ‘900 seguivano regole compositive ben precise: ponevano infatti l’attenzione alle relazioni tra le dimensioni e la tipologia delle bucature, osservavano una precisa ritmica che scandiva il susseguirsi di parti piene e vuote, il basamento era definito e si distingueva dai piani delle abitazioni e dal coronamento. Erano rispettati i dettami razionalisti con l’influenza del tema mediterraneo: ingressi privi di pensiline, piccoli balconi alla “napoletana”, logge incassate, strette aperture a nastro, tetti piani senza alcuna sporgenza. Sulla base di queste griglie razionaliste sono intervenute, soprattutto in prospetto, le variazioni che definiscono nuovi disegni
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L'arte di "alterarsi"
in facciata, generati dall’uso e dalle necessità: verande, nuove aperture in facciata, cancelli, allungamento dei balconi e pensiline. Queste immagini possono sembrare disordinate, ma non sono prive di una logica interna. È possibile sintetizzare e, quindi, schematizzare le azioni di alterazione compiute dall’abitante, operazioni che non hanno riguardato solo i quartieri INA-Casa ma tutte le proprietà in modo più diffuso. I procedimenti più rilevanti e diffusi quindi possono essere sintetizzati secondo questa classificazione: 1) Ampliare e/o unificare: impossessarsi di parti inutilizzate (trasformare le finestre in balconi e/o creare finestre più grandi). 2) Accrescere: migliorare ciò che già esiste, modificandolo (trasformare piccoli affacci in balconate, passaggi semi-chiusi in nuovi ambienti, costruire piccole tettoie su portoni). 3) Circondare: delimitare la proprietà (costruire muri di recinzione o barriere). 4) Serrare: letteralmente aggiungere altri serramenti (proteggere ingressi e finestre con cancelli o serrande). 5) Innalzare: costruire nuovi ambienti a quote superiori (costruire una veranda o un ambiente di servizio provvisorio e poi chiuderlo definitivamente, sopraelevare in copertura). 6) Chiudere: trasformare uno spazio semi-aperto in un ambiente chiuso (impossessarsi di ambienti di servizio o spazi semi-aperti condominiali e coprirli). 7) Tamponare: ovvero posizionare verande o arredi mobili esternamente (costruire nuovi ambienti a servizio della casa)2.
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Queste variazioni di immagine riguardano soprattutto la tipologia degli edifici in linea, mentre per quelli a torre i cambiamenti sono piĂš contenuti. Ad ogni modo questa analisi dovrebbe abbracciare anche tematiche di tipo socio-economico, per meglio comprendere le relazioni tra le azioni di trasformazione e il ruolo di chi le genera.
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Note 1 2
Chiesi 2010, p. 65 Belfiore, Morelli 2006, p. 139
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CASI STUDIO Capitolo 4
Casi Studio
Lo scopo di questo capitolo è presentare le opere che hanno assolto la funzione di riferimento. Si tratta di sette opere in cui gli architetti hanno cercato di risolvere lo spazio che è immediatamente in relazione con il privato e con il pubblico: lo spazio esterno. Si è cercato di inserire esempi che dimostrano come tale tema possa essere risolto con una grande varietà di scelte architettoniche, ma soprattutto tecnologiche. Questi progetti sono descritti secondo un preciso ordine: si è scelto di presentarli prima a grandi linee, con una scheda che ne individua la locazione, i progettisti, l’anno in cui il progetto è stato redatto e lo stato dell’opera (se è realizzata o meno). La scheda si chiude con una serie di loghi che sintetizzano come i progettisti hanno risolto il tema dello filtro tra pubblico e privato, e quali conseguenze ne sono scaturite dalle scelte attuate. Accanto la scheda di descrizione il lettore troverà un’immagine esplicativa che presenterà il progetto nel suo insieme. Le pagine seguenti meglio descriveranno il progetto e lo presenteranno nei particolari, fino presentare i disegni tecnici. Il capitolo si apre con una mappa globale (pagina accanto), nella quale sono localizzati i riferimenti.
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GEOLOCALIZZAZIONE 2. Social Housing Units in Nantes 4. Pradenn Housing 7. Quinta Monroy
6. Outside
3. Carré Lumière
1. Honeycomb Apartments 5. Entre Deux Rives
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Come già accennato, nella scheda descrittiva di riferimenti ci saranno dei loghi che individueranno con che “mosse” gli architetti progettisti hanno risolto determinate questioni. Questi simboli identificano: la tipologia edilizia, il livello di privacy, la tipologia di spazio esterno e come condiziona la facciata. In più c’e un logo “jolly” che specifica quando si tratta di esempi di esempi di architettura incrementale. 1) Tipologia edilizia: descrive il tipo di insediamento che ha adottato il progettista per risolvere questioni di tipo urbanistico. Le tipologie vanno dall’edificio a torre a quello in linea, passando per gli insedimanenti puntuali, a corte e con elementi allineati. 2) Livello di privacy: indica se lo spazio esterno, balcone o loggia, è introspettivo oppure protetto dalla vista del passante, potezione garantita dal parapetto, tende o frangisole. 3) Tipologia di spazio esterno: specifica l’identificazione tipologica della pertinanza esterna, quindi se si tratta di un balcone o una loggia. 4) Facciata: logo esprime se si tratta si una facciata che può morfologicamente modificarsi con l’azione degli abitanti o una facciata statica, bloccata intensionalmente dal progettista. 5) Architettura incrementale: l’ultimo simbolo identifica se c’è la possibilità da parte dell’abitante di intervenire direttamente sull’opera, aggiungendo o sottraendo parti ad esse.
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SIMBOLI elementi allineati
elementi individuali
corte chiusa
edificio verticale
edificio orizzontale
Privacy/ No Privacy
No Privacy
Privacy
loggia
balcone
facciata libera
facciata bloccata
architettura incrementale
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1. HONEYCOMB APARTMENTS Izola / Slovenia
Architetto OFIS Arhitekti Anno 2006 Stato Realizzato
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Il progetto “Honeycomb” realizzato nel 2006 dallo studio OFIS Arhitekti, è il vincitore di un concorso indetto dallo “Slovenia Housing Fund”, un programma governativo che fornisce social housing per le giovani famiglie. Questa proposta è risultata la migliore sia per questioni economiche, razionali e funzionali, e per la flessibilità degli alloggi; è stato stimato che la costruzione dell’edificio sia costato circa 600 euro per metro quadro di superficie netta. I blocchi che compongo il complesso edilizio sono ubicati su una collina, con vista della baia di Izola da un lato e delle colline circostanti dall’altro; ciascuno è dotato di uno spazio esterno e delle necessarie protezioni dall’eccessivo irraggiamento solare dei mesi estivi. I colori forti creano diverse atmosfere all’interno degli appartamenti, mente le “scatole” poste a lato di ogni loggia scandiscono un ritmo piacevole che definisce una facciata molto vivace. Il complesso è composto da 30 appartamenti di diverse dimensioni e strutture, che variano da monolocali a appartamenti con 3 camere da letto; gli appartamenti sono di piccole dimensioni, con camere di dimensioni minime secondo gli standard sloveni. Non ci sono elementi strutturali all’interno degli appartamenti, fornendo in tal modo la possibilità di organizzare gli spazi in modo estremamente flessibile. Grazie agli effetti d’ombra delle tende esterne, i piccoli ambienti diventano visivamente più grandi poiché l’ombra crea un effetto di prospettiva che collega parte degli esterni con l’interno.
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Immagine a pagina 59: HoneyComb Apartments Immagine a lato: Particolare facciata
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I moduli delle logge sono progettati come un sistema efficiente che fornisce agli appartamenti ombreggiatura e ventilazione nei mesi caldi, e accumulazione di calore mesi più freddi. Gli elementi tessili fissi sul fronte, bloccano la luce solare diretta e aumentano la zona “cuscinetto d’aria”. In estate l’area calda accumulata dietro i sistemi oscuranti è naturalmente ventilata attraverso i pannelli laterali traforati delle logge. In inverno l’aria calda rimane nella zona e fornisce riscaldamento supplementare agli appartamenti. Inoltre gli spazi esterni prevedono un angolo completamente schermato quindi più protetto, per l’alloggiamento del materiale di pulizia o della raccolta differenziata, ma sopratutto per la collocazione delle unità meccaniche di condizionamento per il raffrescamento estivo. Questa “scatola” si colloca, in modo alternato, una volta a destra e una volta a sinistra della loggia creando, come già detto, cosi una piacevole scansione ritmica in facciata. La tenda esterna protegge le logge e l’appartamento da occhi indiscreti, ma grazie alla sua semitrasparenza consente ai proprietari di godere la vista della baia; i pannelli laterali forati permettono il passaggio della brezza estiva per la ventilazione naturale dell’interno. Il parapetto della loggia è costituito da una semplice ringhiera in ferro e risulta essere l’unico elemento permeabile alla vista del passante. Ad ogni modo la soluzione formale dall’elemento esterno, con un connubio tenda-legno-ringhiera, riesce a tutelare egregiamente la privacy dell’abitante.
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Immagini a pagina 62: Dettaglio loggia Immagine a lato: Pianta tipo Prospetto sud
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2. SOCIAL HOUSING UNITS IN NANTES Nantes / Francia
Architetto Antonini + Darmon Architectes Anno 2014 Stato Realizzato
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Situato in un’area in via di sviluppo della cittadina francese di Nantes, l’edificio è stato progettato dagli architetti per garantire ai residenti alloggi con una variegata possibilità di servizi oltre che un nuovo comparto residenziale. L’edificio si compone di due parti: la zona commerciale di 600 m2 nella parte inferiore e una torre di 30-unità residenziale, seduta quasi precariamente sopra la base. A livello della strada una piastra rivestita con lamelle in legno contiene attività commerciali e riesce a mettere in rapporto il micro-sistema dell’ edificio con la circostante scala urbana; si tratta di un blocco a sviluppo orizzontale su cui poggia il fabbricato, in grado di trasformare la propria copertura in una piazza al servizio dei residenti. La torre verticale si dispiega su una struttura reticolare di travi e pilastri tali da alternare pieni e vuoti; questo permette al sistema di non essere congestionato da superfici opache che ne avrebbero appesantito la percezione d’insieme. La grande forza del progetto e della sua articolazione risiede nella dualità che esiste tra lo zoccolo su scala pedonale, dedicato ai negozi e alle abitazioni intermedie e ai parcheggi, e la sistemazione del blocco residenziale che si staglia, diventando quasi aereo. E’ questa la peculiarità che rende i due sistemi ben distinguibili e riconoscibili. “La nostra architettura sfrutta gli elementi speciali del suo ambiente e attinge la sua bellezza dalla reinterpretazione di questi. Situato in una posizione ideale, la parte basamentale dell’edificio diventa un ottimo luogo di incontro per la gente del quartiere. Oltretutto la costruzione di una zona per la comunità e la realizzazione di un volume snello e alleggerito verso il cielo, dimostra come forme semplici possono essere allo stesso tempo forti e decise” è quanto sostiene il team di Architetti.
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Immagine a pagina 65: Social Housing in Nantes Immagine a lato: Particolare facciata
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La loggia quindi è l’elemento che restituisce alla facciata una trama regolare, trama che può movimentarsi e stravolgersi con l’intervento dell’abitante che potrà scegliere di chiudere o meno gli elementi schermanti che risultano essere l’unico mezzo di protezione garantita dai progettisti per l’irraggiamento solare e gli occhi indiscreti. Gli spazi esterni della torre avvolgono la facciata con una griglia, di cui alcune parti di essa sono coperte da pannelli ciechi, mentre altre sono aperte o schermate con persiane traforate in alluminio. I moduli degli elementi esterni grazie alla loro forma ed alla dimensione dell’aggetto garantiscono una discreta ombreggiatura, qualora invece si volesse uno spazio del tutto protetto dal sole, gli abitanti potranno usufruire dei pannelli e le persiane in dotazione. La ventilazione trasversale è garantita dal fatto che le logge che appartengono alla stessa unità di alloggio, risultano essere continue e quindi riusciranno a canalizzare meglio le piacevoli correnti estive. Il parapetto si concretizza con una semplice e leggera ringhiera di metallo, appunto per non contrastare il patterne creato dalle logge. Questo elemento esercita meramente una funzione di sicurezza senza invece schermare le attività che gli abitanti svolgono negli spazi esterni.
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Immagine a pagina 68: Dettaglio loggia Immagine a lato: Pianta tipo Prospetto nord
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3. CARRÉ LUMIÈRE Rue de Bègles / Francia
Architetto LAN Architecture Anno 2015 Stato Realizzato
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I I due edifici di alloggi sociali del Carré Lumière sorgono nell’area un tempo occupata dal “grand ensemble” Terre Neuve e rispondono a cinque principi, individuati da Umberto Napolitano e Benoit Jallon come cardini imprescindibili per la progettazione del futuro: la costruzione di un tessuto urbano denso come antidoto al consumo di suolo, la capacità degli alloggi di mutare nel tempo secondo le differenti esigenze degli abitanti, l’individuazione di tipologie intermedie in cui si fondano desiderio di privacy e possibilità di socializzazione. E ancora, la volontà di evidenziare il legame sempre più stritolante tra economia dei servizi e costi di costruzione e la necessità di individuare modelli energetici sostenibili, capaci di dare concrete risposte agli sconvolgimenti climatici in atto. Inteso non come progetto statico e concluso, ma come “forma in movimento”, il Carré Lumière si caratterizza per le ampie logge esterne schermate da pannelli in lamiera industriale delle facciate. Nel tempo, le logge potranno essere inglobate come stanze interne o ampliate secondo le esigenze dei fruitori, senza alterare impatto e caratteristiche dell’involucro esterno. Il disegno degli alloggi ruota attorno al concetto che il bisogno di privacy dell’abitante debba avere il giusto mix con il piacere della socialità. «Nonostante sia costruito come un parcheggio e rivestito di elementi industriali, questo progetto non ha nulla di standardizzato», spiegano i LAN. «Ci tenevamo molto a dimostrare che una scelta radicale può esprimersi anche attraverso un linguaggio quotidiano, quasi banale».
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Immagine a pagina 71: CarrÊ Lumière Immagine a lato: Particolare facciata
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L’adattabilità si basa sul fatto che ad ogni appartamento si possono aggiungere o togliere stanze a seconda delle diverse esigenze dei residenti. Il progetto mira infatti a consentire alle persone di vivere in un posto che può evolvere con loro: ogni alloggio può cambiare il proprio giardino d’inverno per uno spazio interno al fine di aumentare la propria superficie abitabil La parte formale, che è stata implementata in funzione delle esigenze urbanistiche, ha permesso anche agli architetti di utilizzare un modello climatico ibrido che corrisponde al clima di questa parte della Francia. Il progetto bio-climatico è a metà strada tra il modello nordico fortemente isolato e l’architettura a patio in stile mediterraneo. Si basa sul principio di compattezza variabile, che introduce la nozione di adattamento del contenitore al ritmo delle stagioni o addirittura della giornata. Tutti possono utilizzare il proprio spazio esterno come frangivento, come serra, o, al contrario, come un gruppo di raffrescamento. Si tratta quindi di un involucro che può raddoppiare le dimensioni e, di conseguenza, la sua densità. Ogni appartamento può accedere al suo giardino d’inverno, aumentando la propria zona giorno; gli abitanti possono farlo da soli senza dover ottenere permessi di costruzione. In risposta alla crescita di una famiglia, possono aggiungere una camera in una struttura già predispost ed eventualemente rimuoverla una volta che i bambini hanno lasciato la casa.
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Immagine a pagina 74: Soluzioni in facciata Immagine a lato: Schema climatico Masterplan
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4. PRADENN HOUSING Saint-Herblain / Francia
Architetto Block Architectes Anno 2013 Stato Realizzato
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Il progetto prevede 89 alloggi sociali in un sito che risulta essere un’importante area di sviluppo della Grande Nantes e cerca di coniugare la densità, ad uso misto e comfort per gli abitanti. Un paesaggio reinventato: l’intervento viene inserito e integrato al contesto. Un filtro gradaduato tra pubblico e privato è stato organizzato attraverso sequenze costruite e paesaggistiche: rampa di accesso, lo spazio pubblico, parcheggio sullo spazio pubblico o sotto le costruzioni, percorso pedonale, sale, alloggiamenti e logge. La forma dell’edificato proviene da una tipologia agricola, che esisteva nella storia del sito, un fienile alla scala del paesaggio. Il progetto cerca di catturare questa materialità del capannone, attraverso l’uso di un rivestimento industriale. Questa forma semplice ed efficace guida anche la definizione di una grande “casa di campagna”. La scala interna è presa dal vicino contesto suburbano e integrata con l’aggiunta di recinzioni in legno e le serre prese in prestito dai tradizionali giardini. Questo esempio, come un processo di copia / incolla, ricorda il totale degli abitanti che alloggiano nell’edificio, e mostra la dimensione residenziale e individuale in un edificio collettivo che cerca di scappare dalla sua solita espressione. I tre edifici sono “posizionati” su una base di cemento, sollevato dal pavimento. Lo spazio in mezzo è comunque aperto, dove il parcheggio è affiancato da pendii di vegetazione in una continuità della piazza centrale, integrando gli edifici. L’intero progetto è un esempio reinterpretato dell’ambiente circostante.
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Immagine a pagina 77: Pradenn Housing Immagine a lato: Particolare facciata
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L’elemento che subito risalta all’occhio di chi esternamente osserva questo intervento è il balcone. Si tratta di pertinenze esterne molto aggettanti in struttura portante in legno dalle dimensioni considerevoli, basti paragonare la superficie di un singolo elemento a quella degli spazi interni per capirne le generose proporzioni. Per rendere i balconi frubili in diverse occasioni dell’anno, i progettisti inoltre hanno preventivato un abaco di ipotetici interventi a cui l’abitante può attenersi qualora volesse chiudere totalmente o in parte lo spazio esterno. Le soluzioni spaziano da un balcone completamente vuoto a uno totalmente chiuso, includedo l’occupazione per la sua metà e quella per un quarto della sua superficie. In termini di spazio abitabile,da questa operazione se ne ricava, nella più generosa delle ipotesi, una vera e proprio “stanza in più”. Considerado fattori ambientali, queste soluzioni rappresentano la materializzazione di una vera e propria serra, che di inverno può giovare gli abitanti che vogliono godersi il panorama offerto dal contesto, nonostante le temperature poco permissive. L’elemento che garantisce la protezione è una comunussima righiera in ferro, ma anche questa, come gli spazi esterni, può essere personalizzata dall’abitante (intervento sempre previsto dai progettisti). Infatti le famiglie che vogliono godere di maggiore privacy possono applicare sulla ringhiera uno steccato in legno (tipico dei paesaggi rurali).
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Immagine a pagina 80: Pianta tipo Immagine a lato: Pianta tipo Prospetto est
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5. ENTRE DEUX RIVES 7 Quai Châtelier / Francia
Architetto PHILIPPON - KALT Architects Anno 2014 Stato Realizzato
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Il progetto residenziale Entre Deux Rives, dello studio Philippon-Kalt, annuncia l’inizio della riqualificazione del lungofiume di Île-Saint-Denis, con ampi spazi dedicati al verde e alla socialità. Il progetto di social housing Entre Deux Rives rivitalizza un’area industriale dismessa. Lo sviluppo comprende 165 unità residenziali distribuite in 8 edifici da 3 a 7 piani e si sviluppa su 3 piccoli isolati. Vivere qui significa adottare un’identità di isola, una mentalità specifica di Île-Saint-Denis. L’edificio, all’interno del quartiere verde, è stato sviluppato come uno spazio condiviso, da utilizzare collettivamente. Aree comuni e abitazioni condividono le stesse scale. I passaggi tra i blocchi sono progettati per favorire gli incontri. Gli spazi vuoti invitano i residenti ad appropriarsene; i giardini a loggia possono diventare spazi di incontro tra vicini di casa. Ambienti condivisi con ampie finestre e persiane, e le recinzioni basse intorno ai giardini incoraggiano l’apertura reciproca. Lungo il ramo più largo del fiume un fronte continuo di 7 piani delinea il Quai du Chatelier, e tre volumi colorati emergono dalla linea degli alberi. Sul lato opposto, più selvaggio, i volumi a 3 piani adottano la scala delle case della città. Giardini alberati collegano i vari punti di accesso per ogni piccolo isolato e rappresentano il 50% della superficie. Sono spazi progettati per favorire le relazioni tra i residenti grazie ai muretti e alle aree patio dove incontrarsi e svolgere attività di gruppo. Il progetto è caratterizzato da ampi spazi esterni privati, uno spazio addizionale del quale può godere l’80% degli appartamenti sotto forma di terrazza o loggia, con una superficie minima di 12 mq e una profondità di almeno 2 metri.
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Immagine a pagina 83: Entre Deux Rives Immagine a lato: Particolare facciata
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La loggia in questo intervento ha una intrinseca funzione di spazio per la socialità e mezzo per instaurare rapporti di vicinato. Si tratta si logge in struttura metallica con una “pelle” il rete metallica che permette le diverse relazioni tra coinquilini, sia quelle di visive che quelle verbali. La “non superficie” del rivestimento delle logge si apre in alcuni punti, con forme rettangolari, inquadrando, con un carter il lamiera bianca, delle finestre che mirano sul contesto e permettono di apprezzare il panorama del territorio circostante. In termini di raffrescamento, la conformazione di questi spazi, e il fatto che siano avvolti da una rete, permettono il flusso correnti d’aria e quindi situazioni di benessere nei mesi più caldi dell’anno. L’abitante, nonostante ciò, può comunque scegliere di non permettere l’introspezione da parte del vicinato o dei passanti, e quindi garantire una maggiore privacy per se e per la sua famiglia, coprendo la superficie del rivestimento o con pannelli opachi oppure, come la maggior parte degli abitanti ha preferito, con la vegetazione. La rete infatti si presta perfettamente ad essere aggredita da piante rampicati che assolvono la funzione di creare una barriera visiva, e nel contempo disegnano una facciata “verde” e “spontanea” agli occhi del passante. La protezione è garantita da una struttura in ferro posta dietro la rete che funge da scheletro per il parapetto disegnato nello stesso rivestimento.
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Immagine a pagina 86: Dettaglio balcone Dettaglio apertura Immagine a lato: Pianta tipo 1 Pianta tipo 2
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6. OUTSIDE
Ballerup / Danimarca
Architetto FORA + Beth Hughes Anno 2013 Stato Concorso
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Ellebo Housing Estate, con la sua struttura urbanistica semplice, è un manifesto costruito dell'ideale moderno. Blocchi collettivi con servizi in comune riuniti intorno ad un ampio spazio esterno comune che può essere goduto da tutti. Gli edifici sono già sopravvissuti alle modifiche apportate nel 1990: sono stati introdotti balconi chiusi che hanno esteso gli spazi di vita, ma anche separato i residenti dall'esterno, questo spiega il divario tra il privato e la collettività. La ristrutturazione degli edifici presenta la possibilità di ricucire questa frattura, e reintrodurre lo spazio comune e uno all'aperto, una qualità fondamentale del luogo. La strategia di progettazione si basa su tre principi: comunità, estensione e densità. 1) Comunità: Il verde centrale ha un enorme potenziale come risorsa della comunità che iniettato nella trama interna: campi sportivi, parchi giochi per bambini, area di soggiorno, l'edificio comunale e altri collettiva. Le strutture vengono spostate verso il centro della trama fornendo spazio per incontri ed eventi. 2) Estendere: Ogni appartamento è dotato di un generoso nuovo balcone, un prolungamento dello spazio interno. Questi balconi sono protetti da una facciata in vetro, li riparo dagli elementi. 3) Densità: L'aggiunta di nuove tipologie per i blocchi esistenti è la possibilità di aumentare positivamente la complessità programmatica del complesso residenziale. Il nuovo livello avrà nuove vie di accesso che si intersecano e sfruttare quelli esistenti, utilizzando due dei nuclei scale esistenti. I nuovi appartamenti saranno completamente accessibili tramite una galleria che collega ogni nuovo appartamento con un balcone, e con ascensori ad entrambe le estremità di ogni edificio.
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Immagine a pagina 89: Outside Immagine a lato: Particolare facciata
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In questo intervento i balconi e lo spazio esterno giocano un ruolo fondamentale. Come si evince dal concept, è intensione dei progettisti creare uno spazio filtrante tra la sfera pubblica/collettiva e quella privata, uno spazio condiviso dagli abitanti sociali. Questo spazio si colloca tra l’edificio e lo spazio esterno, proprio in corrispondenza della fascia destinata ai balconi. Con l’applicazione di una doppia pelle che separa solo simbolicamente questo nuovo layer da quello collettivo, gli architetti creano un corridoio di socialità che scorre lungo tutta la facciata. In questo spazio si instaurano rapporti di vicinato in modo interattivo grazie alla vicinanza tra i balconi e al sottile strato di pelle che lo protegge. La seconda facciata si apre in corrispondenza degli spazi esterni abitativi per concedere la visione totale all’abitante sullo spazio collettivo centrale, dove ancor di più interagiscono gli abitanti, e quello pubblico esterno. La pelle esterna ha una funzione protettiva per le utenze che condividono lo spazio e nel contempo, essendo realizzata con materiale opalino, lascia passare i raggi solari permettendo l’illuminazione degli spazi. Per per la sua conformazione a “corridoi” lo spazio di condivisione rappresenta anche un mezzo per la ventilazione trasversale, infatti grazie a questo espediente è garantito il benessere degli abitanti sociali anche nei mesi più caldi dell’anno.
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Immagine a pagina 92: Concept Dettaglio assonometrico Sezione assonometrica Immagine a lato: Masterplan Alloggio tipo
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7. QUINTA MONROY Iquique / Chile
Architetto ELEMENTAL Anno 2003 Stato Realizzato
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La sfida del progetto è stata quella di ospitare un centinaio di famiglie che utilizzano un sussidio di $ 7.500 dollari che nel migliore dei casi consentiti per trentasei metri quadrati di spazio costruito in un sito di 5000 mq, che costano tre volte quello che l’edilizia sociale potrebbe normalmente permettersi. Nessuna delle soluzioni nel mercato ha risolto l’equazione. Così gli architetti hanno pensato a una tipologia che, come gli edifici, potrebbe fare un uso molto efficiente del territorio e come case consentiti per l’espansione. Dopo un anno, ogni valore della proprietà era oltre $ 20.000 di dollari. Tuttavia, tutte le famiglie hanno preferito rimanere e continuare a migliorare la propria abitazione, invece di vendere. Grazie ai laboratori di appoggio tecnico e progettuale coordinati dagli architetti di Elemental, gli abitanti, coinvolti anche nella fase di progettazione in un articolato dialogo partecipativo, hanno iniziato un processo di ampliamento e modificazione delle architetture e degli spazi del quartiere: preservando i caratteri del progetto architettonico originario, gli interventi di completamento vanno dall’integrazione di elementi di arredo, all’assemblaggio di frammenti delle vecchie case, fino a interventi più complessi di ampliamento, similmente ad altre esperienze di architettura residenziale sovvenzionata in America Latina. l progetto di architettura è una strategia di appropriazione del territorio che permette molteplici tattiche abitative differenti, evitando un ruolo predittivo e prescrittivo ma anzi lasciandosi manipolare dai suoi abitanti – indifferente alla permanenza della propria forma.
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Immagine a pagina 95: Quinta Monroy Immagine a lato: Particolare facciata
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I progettisti hanno identificato 5 condizioni di progetto come l’ABC delle abitazioni incrementale: 1) Buona posizione: progetti abbastanza denso in grado di pagare caro i siti ben posizionato. 2) Crescita armoniosa nel tempo: costruire strategicamente la prima metà (partizione strutturale e firewall, bagno, cucina, scale, tetto), in modo che l’espansione avviene grazie al design e non nonostante. Scegliere prestazioni individuali e azioni, in modo da ottenere una personalizzazione al posto del deterioramento del quartiere. 3) Urbanistica: introdurre tra spazio privato (lotto) e lo spazio pubblico (strada), lo spazio collettivo, non più grande di 25 famiglie, in modo che gli accordi sociali possono essere mantenute. Fornire la struttura per lo scenario finale di crescita (classe media) e non solo per quello iniziale. 4) Classe media DNA: piano per uno scenario finale di almeno 72m2 o 4 camere da letto (3x3m), con spazio per armadio o letto matrimoniale, il bagno non dovrebbe essere vicino la porta d’ingresso (che è il caso tipico per salvare tubi) ma dove è posizionata la camera da letto; essi possono includere una vasca da bagno e non solo un box doccia e spazio per lavatrice; ci dovrebbe essere la possibilità di parcheggio per una macchina. Niente di tutto questo è anche vicino a essere il caso in alloggi sociali al giorno d’oggi. 5) In altre parole, assicurarsi il bilancio dei seguenti fattori: vita bassa ad alta densità, senza sovraffollamento, con possibilità di espansione (da edilizia sociale a classe media abitazione).
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Immagine a pagina 98: Concept Masterplan Immagine a lato: Sezione Pianta tipo
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Sitografia http://www.archdaily.com/ https://architizer.com/ https://divisare.com/ http://www.landezine.com/
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IL PROGETTO Capitolo 5
Il progetto
ASPETTI URBANISTICI E PIANIFICATORI
Il contesto territoriale Poggioreale (Puciuriale in napoletano) è un quartiere della zona orientale di Napoli il cui numero di abitanti è stimato di poco superiore ai 25.000. Poggioreale mostra un volto molto eterogeneo presentando luoghi depressi accanto ad altri invece economicamente ben avviati. In passato la zona è stata considerata periferica e marginale, ma con l'ampliamento della città durante il periodo fascista accompagnata da uno sviluppo infrastrutturale l'area ha acquisito rilevante peso nel capoluogo. Durante il secondo conflitto mondiale furono distrutte la stazione e le numerose industrie che il quartiere ospitava. A seguito di ciò alcune zone del quartiere furono interessate da uno sviluppo edilizio “selvaggio”. Tuttavia la costruzione della nuova rete di trasporti, attualmente in fase di progettazione, assolve la funzione di sbocco occupazionale in stretta connessione con un recupero urbanistico e culturale. Il quartiere ospita il carcere più famoso della città. Costruito nel 1914 e intitolato a Giuseppe Salvia nel 2013, è un elemento presente nella tradizione novecentesca napoletana (persino nella famosa smorfia) e citato in molte canzoni. Nel quartiere sorgeva il mercato ortofrutticolo generale, per anni il più grande d'Italia, chiuso nel 2008. Oggi l'area risulta adibita in parte a parcheggio, dopo essere stata degradata dai vandali.
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A Poggioreale è anche presente il più grande cimitero di Napoli, nonché tra i maggiori d’Europa, che ne occupa una larga porzione del versante orientale. Nella zona sud del quartiere c'è inoltre la cosiddetta Zona Industriale. Anni addietro ospitava importanti stabilimenti, mentre ora appare in una condizione di marcato declino economico e sociale. Tuttavia nella zona sono ancora presenti importanti fabbriche, soprattutto nel settore chimico e delle raffinerie. Al lato della stazione centrale, costruito negli anni ottanta e novanta, svetta il famoso Centro Direzionale di Napoli con le caratteristiche forme futuristiche ed i tipici grattacieli. Il complesso ospita importanti servizi: il palazzo della Regione Campania, il Palazzo di Giustizia e numerose imprese. Il quartiere dirigenziale comprende anche diversi palazzi destinati ad uso abitazione che negli ultimi anni hanno fatto incrementare il numero di abitanti del quartiere. Il Centro Direzionale ha subito varie critiche legate alla sua architettura che mal si concilia col resto dell'abitato circostante, ma ha avuto l'indiscusso merito di avviare il risanamento di un'area altrimenti molto depressa. Alle spalle del Centro Direzionale, verso est, è presente una grande area di fabbriche dismesse da vari decenni, che presto diverrà oggetto di una grossa riqualificazione, che sistemerà questa zona come estensione del Centro Direzionale, con altri grattacieli, nonché circoli didattici, aree verdi ed un grande lago artificiale contornato da chalet e ristoranti.
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Il progetto
Il tessuto urbano del quartiere di Poggioreale risulta essere molto complicato poiché privo di predominanze o ordini morfologici.
Lo spazio urbano
Il costruito risulta essere molto eterogeneo, infatti sono presenti, in percentuali variabili, diversi tipi di tipologie insediative. Le predominanti sono quelle a stecca, singole puntuali e soluzioni singole affiancate. Le tipologie a corte si concentrano ai bordi del quartiere, dove è collocato l’edificato più storico; mentre le torri compaiono nella zona più affaristica, quella più vicina al Centro Direzionale. Analizzando, invece, le date di costruzioni degli edifici di Poggioreale si evince che la maggior parte degli insediamenti che compongono il quartiere sono stati eretti tra il ventennio che va dagli anni quaranta agli anni sessanta del secolo scorso. Nonostante il tessuto rado in molti punti (soprattutto nelle aree prossime al Centro Direzionale e all’area produttiva) il quartiere è in grado di offrire ai residenti i servizi necessari alla vita e alla partecipazione comunitaria. Numerosi sono gli istituti scolastici (soprattutto tecnici) che permettono l’istruzione alla popolazione napoletana di Poggioreale. Di rilevante importanza sono anche i numerosi presidi militari, anche a carattere sportivo e infrastrutturale, sono presenti infatti il Genio Militare e uno stadio dell’Esercito Italiano. I complessi cimiteriali delle “366 Fosse” e “dei Colerosi”, ormai non più in uso, rappresentano una meta di carattere storico-culturale, quindi attrattiva turistica del quartiere. Nonostante ciò, il degrado urbano caratterizza la zona e l’assenza di parchi urbani e spazi verdi coadiuva e favorisce l’incremento di questa caratteristica. Le poche aree verdi presenti nel quartiere riversano in uno stato di abbandono totale; tuttavia c’è una minima percentuale di aree verdi che, di proprietà di centri sportivi privati, risulta essere curata e regolarmente manutenuta. Dal punto di vista infrastrutturale il quartiere risulta ben collegato con il resto della città e la provincia limitrofa. L’autostrada A56
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(ossia la tangenziale di Napoli), che con i suoi 20 Km collega Pozzuoli a Capodichino, costeggia l’area nord di Poggioreale fornendo al quartiere un importante svincolo autostradale. Un’altra strada extra-urbana che collega la zona agli altri quartieri della città metropolitana è la strada statale 162. Oltre alle connessioni viarie a scorrimento veloce, vanno citate anche due arterie importanti che connettono Poggioreale al centro storico, nonché addirittura alla provincia di Caserta. Le strade in questione sono: via Nuova del Campo e via Nuova Poggioreale. Importante in termini connettivi è anche il Corso Malta che permette il raggiungimento immediato della stazione centrale di Napoli. Oltre che con le infrastrutture pubbliche, è possibile raggiungere il centro della città mediante il servizio pubblico di trasporto. L’area è infatti servita in modo discreto con numerose fermate dell’autobus, oltre alla stazione metropolitana con la fermata proprio nel quartiere di Poggioreale. Ad aumentare le alternative di mobilità per il cittadino c’è anche un servizio pubblico di tranvia lungo la via Nuova di Poggioreale. Molto vicine, inoltre, sono situate sia la stazione ferroviaria di Napoli centrale, che la stazione aereoportuale di Capodichino, elementi raggiungibili in pochi minuti qualora si dovessero compiere spostamenti sia in contesto nazionale che internazionale.
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La strategia perseguita è quella della rigenerazione dello spazio urbano, l’intervento infatti, mira alla trasformazione di un’area degradata in un nuovo quartiere residenziale. L’obiettivo centrale del progetto di masterplan è quello di collegare l’area residenziale INA-Casa, con il resto del tessuto urbano; l’area risulta isolata dai servizi forniti nella parte occidentale del quartiere, quella più vicina al centro storico. Uno degli ostacoli più evidenti è appunto il lotto di progetto che rappresenta un vuoto urbano rilevante nel tessuto della Municipalità 4, e più specificatamente nel quartiere di Poggioreale. L’area risulta completamente abbandonata quindi epicentro locale di degrado e sporcizia. Immediatamente accanto al lotto, in direzione del centro storico, un agglomerato di piccoli capannoni industriali in disuso sottolinea l’esclusione del quartiere residenziale dalla parte di città più attiva. Per operare e realizzare la ricucitura del quartiere, la prima operazione da effettuare è quella di rimuovere, mediante la demolizione, tutte quelle preesistenze che caratterizzano in negativo la zona in questione. Tra i vari elementi di svantaggio si annovera la presenza di capannoni di produzione ormai dismessi perché abbandonati, simbolo ormai del fallimento economico di quest’area. Un altro problema dell’area è la presenza di piccoli capanni e rimesse abusive immediatamente vicino la zona residenziale INA-Casa. Oltre alla demolizione di tutti questi elementi di degrado, naturalmente sarà necessario abbattere alcune recinzioni murarie, come quella che delimita l’area di progetto. Successivamente, per la ricucitura del tessuto urbano, quindi per collegare il quartiere INA-Casa con il nucleo cittadino, si è scelto di intervenire considerando lo sviluppo longitudinale dei nuovi edifici residenziali, assecondando la direzione dell’area di progetto. Il motivo di questa scelta è dovuto al fatto che a sud dell’isolato c’è una caserma militare che costituisce un limite invalicabile che nega
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Strategie progettuali
Il progetto
Immagine a pagina 105: Il quartiere di Poggioreale Immagine a pagina 109: L'area di progetto, vista dall'alto Immagine a lato: Strategie di progetto
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collegamenti con il tessuto urbano. A nord, in modo analogo, c’è un declivio dove sorgono i complessi cimiteriale delle “366 fosse” e “dei Colerosi”, che impedisce lo sviluppo e le connessioni del progetto con la parte nord del quartiere; tutte le strade che si dirigono verso nord sono cieche ed esistono solo per accedere alle residenze, quindi si presuppone siano strade private. Gli unici elementi che hanno una disposizione trasversale sono una palestra (che delimita la piazza urbana) e un edificio nell’area esistente INA-Casa che servirà come spazio comune per gli edifici esistenti. Per collegare il nuovo intervento alle preesistenze e allacciarlo al tessuto urbano di Poggioreale, il masterplan prevedrà alcuni punti nodali che rappresentano spazi a servizio, non solo dei residenti, ma dell’intera comunità locale. L’intervento quindi si prefigge lo scopo di riqualificare il quartiere con l’innesto di nuove residenze e nel contempo rivitalizzare l’area con la progettazione di una piazza, uno spazio sportivo, spazi ricreativi e un’isola a servizio della mobilità locale, che con una nuova fermata dell’autobus, costituirà l’elemento connettivo più significativo dell’intervento. il punto di forza dell’intervento in scala urbana è la progettazione di scenari e spazi “resistenti” al degrado e quindi durevoli nel tempo. Tale caratteristica è il risultato di un accurato trattamento delle superfici, infatti alle aree verdi si è preferito aree cementate e asfaltate in modo da non favorirne il degrado causato da una scarsa manutenzione dello stesso. Il drenaggio delle acque piovane è, infatti, garantito da superfici trattate con ghiaia. Oltre alla durabilità degli spazi, si è cercato di garantirne anche una certa qualità con l’utilizzo del colore e delle forme.
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Immagine a lato: Strategie di progetto
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Masterplan
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ASPETTI ARCHITETTONICI E FUNZIONALI
Il principio insediativo dell'organismo L’intensione di ricreare all’interno dell’isolato una spazialità racchiusa ha suggerito il modello insediativo dell’intervento. L’eterogeneo contesto è stato un elemento di poco aiuto nella scelta del modello d’insediamento, ma un input significativo è stato suggerito dalla morfologia del lotto che risulta essere stretto e allungato. L’intervento, infatti, sorge in un’area suburbana, dove non sono riconoscibili caratteri e morfologie, e quindi la scelta dell’insediamento travalica la continuità con l’immediato contesto e si concentra su caratteri identitari più generali, con il fine di migliorarne la vivibilità del luogo. L’intento “pratico”, già meglio spiegato nelle “strategie progettuali”, che ha determinato e che giustifica la scelta del masterplan, è quello di ricucire il quartiere INA-Casa con il tessuto consolidato della città. Questa operazione è realizzata con il trattamento dello spazio pubblico, infatti una macchia di colore rosso, “invadendo” l’isolato, definisce l’intervento e il nuovo insediamento, collegando al nuovo masterplan anche le preesistenze residenziali.
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Immagine a lato: Studio del soleggiamento nei mesi di dicembre, giugno, marzo e settembre
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L'elemento fondativo: il parcheggio L’elemento al quale si è rivolta maggiore attenzione nelle prime fasi della progettazione dell’intervento è stato il parcheggio, che quindi può essere definito l’elemento “fondativo” sia in termini astratti, considerandolo appunto come l’incipit del percorso che porterà alla definizione degli alloggi, che nel termine letterale, ovvero come elemento di fondazione del complesso edilizio. Posto sul primo (e unico) livello interrato, contiene il numero di 143 posti auto a fronte delle 128 unità abitative del complesso residenziale. Per consentire la naturale areazione dello spazio interrato sono stati progettate delle bocche di ventilazione, “vulcani” microforati che canalizzano il flusso d’aria; opposti a questi elementi sono stati posizionati degli scannafossi. La superficie per la ventilazione rispetta i limiti stabiliti dalla legge, ovvero 1/25 della superficie in pianta del compartimento. L’accesso all’autorimessa, divisa in due compartimenti, è garantito da due rampe disposte sul lato nord e il lato sud dell’intervento. Oltre ai posti auto, nel piano sono collocate anche 94 cantine di 16 m2 ciascuna. Come già accennato, l’autorimessa si pone come elemento generatore dell’architettonico, definendo sia l’alloggio che l’attacco a terra. Realizzare parcheggi interrati è oneroso, ma necessario per preservare l’integrità dell’area, perché posti auto a raso potrebbero degradare ulteriormente una situazione già compromessa.
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Qualità dell'accessibilità dell'organismo Il sistema di accessibilità all’organismo identifica dei flussi, ovvero un insieme organizzato di elementi che consentono l’accesso all’insediamento. La continuità al percorso pedonale è data dal colore giallo, mentre la loro forma risulta disordinata a differenza di una collocazione del costruito precisa e regolare, che stabilizza un ordine con gli accessi ai corpi di fabbrica. L’insediamento è dotato quindi di un sistema distributivo interno che può essere interpretato come una strada interna o come una galleria che vivacizza lo spazio. Funzioni integrative diverse dall'abitare Con la presenza di attività diverse, oltre a quella residenziale, gli insediamenti diventano più ricchi, significativi e accoglienti. Queste attività integrative all’abitare soddisfano le necessità pratiche, generando maggiori interazioni sociali e contribuiscono a rafforzare l’identità del luogo. Le tipologie delle attività introdotte con il progetto di masterplan sono “suggerite” nell’immediato dal contesto dell’area d’intervento e, a maggiore scala, potrebbero costituire motivo di attrazione dall’esterno, generando un ambiente più vivace. I servizi introdotti sono di due tipi: servizi urbani e locali, e servizi integrativi all’abitare. Entrambe le tipologie sono localizzate al piano terra, in prossimità degli ingressi negli spazi aperti all’interno dell’isolato. I servizi urbani introdotti con il masterplan sono: due caffetterie, una lavanderia, spazi ricreativi per anziani e per adolescenti, e spazi vuoti polifunzionali (utilizzabili per feste o eventi collettivi). I servizi locali invece riguardano: una lavanderia comune,
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spazio riunioni, ambienti per proiezioni e una biblioteca per il book sharing, uno spazio studio e palestre comuni. La disposizione dei nuovi edifici e il trattamento dell’attacco a terra, definiscono spazi accessibili sia dalla strada che dal parco urbano da cui è possibile accedere direttamente ai servizi.
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Immagine a pagina 119: Assonometria funzionale dell'autorimessa Immagine a pagina 121: Una vista dell'isediamento Immagine a lato: Schema funzionale dell'isediamento
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Attacco a terra
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Il tipo edilizio e l'alloggio La scelta della tipologia edilizia è ricaduta sul tipo “a linea” per meglio mediare tra le torri del quartiere INA-Casa esistente e il costruito che compone la restante parte dell’isolato. Come già accennato al piano terra dell’edificio sono collocati gli spazi comuni e, per consentire il passaggio dal lato strada all’interno del masterplan, questo è stato “bucato” determinando così due “portali”. L’edificio è servito da un ballatoio distributivo sul lato nord, mentre a sud la maglia strutturale a vista definisce la facciata e lo spazio buffer che filtra la sfera privata dal contesto pubblico. La distribuzione verticale invece è consentita da un corpo scala centrale aperto sul lato nord. L’individuazione degli ingressi alle residenze è immediata perché ogni uno dispone di uno spazio antistante all’ingresso dell’alloggio determinato da una rientranza della pianta. Questo spazio funge da spazio “filtro” tra la parte privata e quella comune. Mentre nel lato opposto all’ingresso il ballatoio si interrompe per garantire una privacy maggiore al vicino di casa. Questi spazi quindi determinano una conformazione della pianta dell’edificio simile ad un pettine. Questo sistema di distribuzione agli edifici, molto semplice, aiuta nell’orientamento e accresce il senso di sicurezza e di riconoscibilità degli spazi. I ballatioi di distribuzione diventano luoghi di esperienza spaziale e d’incontro, in uno spirito di condivisione dei luoghi e di appartenenza ad una comunità, il tipo “in linea” con ballatoio infatti è più conforme a modelli sociali più comunitari.
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Pianta piano tipo
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Propetto sud
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Sezione-prospetto trasversale
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Per quanto concerne l’alloggio invece, il bagno come gli altri spazi di servizio, sono collocati a nord, cioè nella zona fredda della casa, mentre gli spazi più utilizzati, come le camere e il soggiorno/pranzo, sono disposti sul lato sud, quello più caldo. Gli alloggi, a forma di T ed L capovolte, risultano essere sufficientemente compatti e con la profondità di 9,1 m, compresi il ballatoio e lo spazio dei balconi, definiscono una profondità del corpo di fabbrica di 14,80 m. Se si osserva con attenzione la pianta dell’alloggio si comprende come schematicamente lo spazio centrale (composto da bagno, cucina e soggiorno-pranzo) diventi una costante e ai suoi lati si aggiungono una volta una camera da letto (definendo i bilocali), un’altra volta due camere da letto (definendo così i trilocali). Il monolocale invece ha una forma che prescinde da quelle del bilocale e del trilocale, che in prevalenza compongono l’edificio. La fascia inter-esterna (quella definita dalla maglia strutturale a vista esterna) consente di arricchire gli spazi interni con balconi (e come vedremo poi, con “aggiunte”) e nel contempo caratterizza l’involucro del fronte. Si ricreano così occasioni spaziali che giovano all’alloggio, e quindi all’abitante, e nel contempo definiscono il guscio che contribuisce alla qualificazione dello spazio pubblico.
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Immagine a lato: Calcolo del fattore medio di luce diurna e rapporto aeroilluminante
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La possibilità d'incremento: l'autocostruzione Lo spazio a sud, definito dalla maglia strutturale e racchiuso tra essa e l’alloggio, rappresenta un’occasione di espressione per l’abitante. Infatti oltre ad ospitare i balconi, che solitamente sono immagine dell’antropizzazione di un edificio (ed elemento per favorire l’interazione sociale), questo spazio può essere “continuato” dal residente aggiungendo, mediante la pratica dell’autocostruzione, o un altro balcone, da affiancare a quello esistente, oppure un volume per aumentare lo spazio abitativo. Questo potrebbe definirsi come uno spazio di appropriazione, di compensazione e di identificazione familiare; come dei “terreni di conquista” per gli abitanti delle residenze i quali possono occuparlo nella maniera più inerente ed efficiente alle loro particolari e mutevoli esigenze. Le tipologie di aggiunte sono predeterminate e sono di quattro tipi: tre di tipo volumetrico (camera da letto matrimoniale, camera da letto singola e studio) e una di tipo superficiale (balcone). Ogni residente potrà incrementare il proprio alloggio o con una superficie o con un volume. Gli incrementi volumetrici non dovranno essere incolonnati e affiancati. Potranno scegliere di trasformare il volume virtuale compreso tra due superfici in cubo d’incremento, aggiungendo un’altra superficie accanto ad esso, oppure costruire un cubo d’incremento accostandolo alla superficie esistente. La falsariga dell’intervento architettonico proposto, invece, può essere perpetuata anche in contesti diversi da quello napoletano, in quanto la pratica dell’architettura incrementale risulta essere un valido modello in risposta alle attuali esigenze di flessibilità e resilienza dell’offerta abitativa.
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Elementi d'incremento
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Schemi d'incremento
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Immagine a lato: Calcolo del fattore medio di luce diurna e rapporto aeroilluminante
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Pianta tipo con aggiunte
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Prospetto sud con aggunte
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ASPETTI TECNOLOGICI E COSTRUTTIVI
L'organizzazione del cantiere per l'autocostruzione Per la realizzazione del incremento gli abitanti potranno usufruire di ponteggi a sbalzo per le opere di cantiere provvisorie. Questi sono considerati come un elemento del patrimonio condominiale quindi ognuno dovrà preoccuparsi di preservarne l’integrità. Le fasi che porteranno al concepimento dell’aggiunta sono classificate secondo il tipo di incremento. La realizzazione della superficie comporterà una durata dei lavori di massimo tre giorni, mentre per realizzare il “cubotto” si prevedono approssimativamente sei giornate lavorative. Per lo spostamento dei grossi elementi e delle parti pre-assemblate a terra sarà necessario l’utilizzo di una piccola gru, il resto delle opere può essere svolto da due operai semplici non specializzati in settori particolari dell’edilizia.
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Incremento di superficie
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Immagine a lato: Incremento di volume
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Immagine a lato: Elementi dell'incremento di volume
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Il sistema tecnologico La scelta del sistema tecnologico è ricaduta su una struttura di tipo tradizionale in cemento armato. La griglia strutturale è composta da setti 120x20 cm posti ad una distanza di 6 m, formando così una maglia regolare che si ripropone per tutto il corpo di fabbrica. Questa soluzione ha permesso una particolare libertà compositiva e si è ben adattata alla tipologia edilizia adottata per l’insediamento. Per le realizzazioni delle chiusure orizzontali si è scelto di applicare lastre prefabbricate di solaio predalle, mentre le chiusure verticali sono permesse grazie alle tamponature con blocchi in laterizio di tipo Poroton rettificati. Le scelte tecnologiche sono state guidate dall’intento di beneficiare l’edificio di una buona inerzia termica così da riuscire a fronteggiare le torride estati napoletane. I balconi sono realizzati con una struttura in acciaio composta da profilati UPN (per il collegamento con il solaio e la trave) e lamiera grecata. La copertura a verde estensivo (tipo Daku) aiuta ad aumentare l’inerzia termica complessiva dell’involucro.
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1 Solaio PREDALLE [H 25] Guaina impermeabilizzante Massetto di pendenza Pavimento in calcestruzzo tipo industriale [spess. 8 cm]
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2 Rivestimento (a scelta) Doppia strato di pannello KNAUF ACQUAPANEL outdoor [spess. 2,5 cm] XLAM [spess. 10 cm] Isolante lana di roccia TERMOLAN [spess. 5 cm] Doppio strato di pannello KNAUF STD [spess. 2,5 cm] 3 Isolante LAPE EPS K800 [spess. 9 cm] Lamiera grecata TECNODEC 150 OSB [spess. 2,5 cm ] Anticalpestio CALPESTOP [spess. 5 mm] Isolante LAPE EPS K800 [spess. 3 cm] Listelli in legno [a sezione variabile] OSB [spess. 2,5 cm] Guaina impermeabilizzante Listelli in legno [5 x 5 cm] Pavimento in legno [spess. 2 cm]
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4 Struttura portante in profilati di IPE 80 Lamiera grecata LG 55/750 irrigidita Anticalpestio CALPESTOP [spess. 5 mm] Listelli in legno [5 x 5 cm] OSB [spess. 2,5] Guaina impermeabilizzante Listelli in legno [a sezione variabile] Guaina impermeabilizzante OSB [spess. 2,5] 5 Doppio strato di pannello KNAUF STD [spess. 2,5 cm] Isolante lana di roccia TERMOLAN Doppio strato di pannello KNAUF STD [spess. 2,5 cm] 6 Intonaco a base di calce idraulica idrata [spess. 2 cm] Laterizio di tamponamento POROTON PLAN RETTIFICATO [spess. 24,5 cm] Isolante lana di roccia TERMOLAN [spess. 5 cm] Intonaco a base di gesso [spess. 1,5 cm] Finitura 7 Solaio PREDALLE [H 25] Isolante LAPE EPS K800 [spess. 5 cm] Guaina impermeabilizzante Impianto radiante a panneli [spess. 3 cm] Massetto a secco KNAUF doppio strato [spess. 5 cm] Parquet [spess. 1 cm]
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8 Isolante LAPE EPS K800 [spess. 10 cm] Lamiera grecata TECNODEC Anticalpestio CALPESTOP [spess. 5 mm] OSB [spess. 2,5 cm] Guaina impermeabilizzante Isolante LAPE EPS K800 [spess. 5 cm] Massetto a secco KNAUF doppio strato [spess. 5 cm] Parquet [spess. 1 cm] 9 Isolante LAPE EPS K800 [spess. 9 cm] Lamiera grecata TECNODEC 150 OSB [spess. 2,5 cm] Anticalpestio CALPESTOP [spess. 5 mm] Guaina impermeabilizzante Listelli in legno [a sezione variabile] Isolante LAPE EPS K800 [spess. 5 cm] OSB [spess. 2,5 cm] Guaina impermeabilizzante Manto di copertura in lamiera di alluminio
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10 Solaio PREDALLE [H 25] Massetto di pendenza Guaina impermeabilizzante Isolante LAPE EPS K800 [spess. 5 cm] Guaina impermeabilizzante antiradice Pannello di accumulo e drenaggio DAKU FSD 20 [spess. 8 cm] Filtro DAKU STABILFILTER SFE [spess. 1,3 mm] Substrato DAKU ROOF SOIL 2 [spess. 8 cm (assestati)] Vegetazione DAKU SEDUM 11 Struttura portante in profilati IPE 80 Lamiera grecata LG 55/750 irrigidita Anticalpestio CALPESTOP [spess. 5 mm] OSB [spess. 2,5] Guaina impermeabilizzante Listelli in legno [a sezione variabile] Guaina impermeabilizzante OSB [spess. 2,5] Guaina impermeabilizzante Manto di copertura in lamiera di alluminio
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BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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Aggio fatte tutto chisto sempe ccu te, ppe te e graziè a te.
Gràzie assàje