Il Mosai K o i
Il Mosaiko Kids si riceve tramite abbonamento annuale, richiedendolo al seguente indirizzo: Favolarevia Editore, via C. Alberto 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) - Tel. 0131 856018 e-mail: ilmosaiko @tiscali.it
Un anno con Mosaiko
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on l’inizio del 2006 sarà un anno che scrivo regolarmente su Mosaiko kids. Ho cominciato a far parte della sua redazione grazie alla mia amica Marta Poggio che un giorno mi ha parlato di questo giornale sapendo che mi piaceva scrivere. Mi emozionava l’idea di pubblicare le mie storie e di avere la possibilità di farle leggere a tante persone. Così, ho deciso di aderire incoraggiata anche da mia mamma che riteneva questa occasione come un passatempo istruttivo. La mamma di Marta ci ha dato il numero telefonico di Mimma Franco, l’esuberante ed instancabile direttrice di Mosaiko kids. Dopo averla contattata ho iniziato a spedirle via e-mail i miei articoli. Solitamente scrivo storie fantastiche, ma mi è anche capitato di produrre recensioni dei libri che mi sono piaciuti di più in quanto sono una lettrice appassionata. Far parte di Mosaiko kids non ha voluto dire soltanto lavorare da sola sul mio computer per produrre il materiale da pubblicare, ma mi ha permesso anche di incontrare in diverse occasioni gli altri membri della redazione che sono per la maggior parte più grandi di me; inoltre, mi ha dato la soddisfazione di vedere i miei lavori pubblicati e di sentire che sono apprezzati. Queste esperienze mi hanno aiutato a confermare la mia autostima, e sono fiera di collaborare con Mosaiko kids perchè ho capito che non è il solito giornalino scolastico, ma è un vero giornale con un progetto serio per la diffusione delle voci dei giovani. Per ciò, avrei intenzione di continuare a scrivere per questo mensile e invito tutti i ragazzi che hanno qualcosa da dire a contattare Mimma Franco per iniziare a pubblicare i propri scritti. E’ bello sentirsi coinvolti in questo gruppo: c’è un clima di amicizia e di apertura, e Mimma è una persona che crede molto nei giovani e nelle loro capacità. Sofia Falchetto
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Anno 3 - n° 2, febbraio 2006 Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004 Proprietà ed Editore: Favolarevia, via C. Alberto, 13 - Castelnuovo S. (AL) Periodico mensile Direttore responsabile: Antonella Mariotti Stampa: Tipografia-litografia Fadia, via Soldini 12 - Castelnuovo Scrivia (AL)
mamma e casa u n a
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“ a n n i d a m e n t o ”
quarantenni comodamente parcheggiati dai genitori nera disagi e difficoltà alla famiglia. Altre volte invece, soprattutto per quanto riguarda i figli unici, i genitori, le madri in particolare, sono contenti di godere al più lungo possibile della compagnia del pargoletto, magari ultratrentenne. Anche in quest’ultimo caso la situazione non è ottimale. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il primo ad essere svantaggiato dal fenomeno è il diretto interessato, l’individuo che non si assume le responsabilità all’età che ne comporterebbe l’assunzione, che non percorre per tempo le tappe fisiologiche della crescita, che non diventa adulto a tutti gli effetti. Al di là del fatto che credo fortemente nella famiglia e pertanto nel tentativo di crearsene una propria, ritengo giusto che, per lo meno al termine degli studi o non appena le condizioni lo consentano, i giovani si separino dal tetto dei genitori. L’aumento delle responsabilità, dei doveri e delle preoccupazioni, che sono parte integrante e inscindibile dalla natura umana, permette a ciascuno di avvicinarsi alla dinamica del mondo e di provare ad adattarsi ad essa, con tutto l’impegno, il coraggio e l’intraprendenza richiesti. Vivere la vita al cento per cento, ovvero viverla in prima persona, affrontando con le proprie forze le difficoltà e i problemi permette di godere a fondo le piccole gioie e conquiste di ogni giorno e di dare il giusto peso alle cose, distinguendo quelle che hanno davvero valore da quelle che non ne hanno.
Marta Lamanuzzi
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irillo ha appena trentasette anni, è figlio unico, ragioniere. Ha già qualche capello bianco, ma un fisico piuttosto tonico grazie ai tre allenamenti di calcio alla settimana e alla partitella della domenica. Non rinuncia all’inter nello schermo del baretto dell’angolo per tutto l’oro del mondo. Lavora con ritmo, ma senza strafare. All’una e alle otto rispettivamente lasagne e bistecca alla milanese, i suoi piatti preferiti, sono serviti in tavola da Teresa, la madre, una donna premurosa, apprensiva e piena di attenzioni. A volte anche lei sbaglia: usa l’origano, che Cirillo odia, o gli compra le calzette di spugna anziché di cotone. È lei ad occuparsi delle sue commissioni e dei suoi acquisti. “Comoda”, commenterebbero molti di voi, e lo penso anch’io, ma anche giusto? Ogni caso ha la sua specificità, la sua origine e i suoi perché, non si può giudicare né “fare di tutta l’erba un fascio”. Però sta di fatto che al giorno d’oggi, grazie allo sviluppo economico, alla diffusione del benessere, al prolungamento degli anni di studio da parte di molti studenti, i giovani tendono a sposarsi o andare a vivere da soli sempre più tardi e ad indugiare ad oltranza nella casa natia. A mio avviso il fenomeno non è affatto positivo. Talvolta mantenere un figlio adulto, che potrebbe cercare l’indipendenza economica, ge-
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prolatata protectio
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figli che pagano e figli pagati la dura legge dell’indipendenza che a noi poco interessa Silvia Pareti
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foto Silvia Pareti
anni. Sei grande abbastanza per mantenerti. Sei grande, se vuoi continuare a vivere nella casa dove hai sempre vissuto, ma che non è tua ma dei tuoi genitori, devi iniziare a pagare. Ci sono un sacco di spese, la vita costa e bisogna guadagnarsi il pane, prima lo impari meglio è. Vogliamo insegnarti come funziona il sistema, presto non avrai più bisogno di noi, sarai pronto ad essere indipendente a prendere tra le mani la tua di vita. A 16 anni lavorano tutti in Inghilterra, non ci sono motivi per cui non si abbia un lavoro. È facile trovarne uno, anche solo part-time, o magari per l’estate. La scuola non impegna molte ore, le vacanze sono più lun-
ghe, c’è tempo per lavorare. Sarà un’esperienza preziosa per la tua vita e il solo modo di pagarti i divertimenti. 16 anni. Sei ancora troppo giovane per scontrarti con la dura realtà del mondo del lavoro. Questa è la tua casa da sempre, non solo, un giorno sarà completamente tua, non anche dei tuoi genitori. Puoi tornarci quando vuoi. In qualunque momento della tua vita, se anche per necessità te ne sei dovuto allontanare, puoi sempre trovare qui il tuo nido e rifugio ad aspettarti. Vogliamo che tu ti impegni a scuola, a 16 anni non puoi trovare abbastanza tempo, dedicalo alla scuola, tutto. Vai più avanti che riesci, ti sorreggeremo sempre. A 16 anni in Italia puoi
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UN MONDO MIGLIORE...POSSIBILE?
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di Cecilia Sacco, Giada Gatti, Andrea Accatino
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di Mauro Mainoli
Il prof. Charmet ad Alessandria IL CORPO GOFFO, PECCAMINOSO IL CORPO CHE CAMBIA di Elisa Pareti
FABRIZIO CONSOLI LIVE a Castelnuovo Scrivia di Sofia Falchetto SPECIALE CALCIO di Marcello Spinetta, Elena Pisa, Daniele Accatino Università a confronto INGHILTERRA 1 - ITALIA 1 di Silvia Pareti
PIKKOLI PIKKOLI A PAG. 7 PIANETA CANE n.9 A PAG. 8
2 Cecilia Sacco
abbiamo questa fortuna cosa facciamo? Allaghiamo le scuole per non fare un compito in classe, ma che assurdità è? Sogno un mondo che non sia schiavo dei giornali, telegiornali, televisione e reality. L’informazione e la telecomunicazione sono necessarie perché importanti e non lo metto in dubbio, ma non devono schiavizzarci. Non è importante sapere cosa fa alle 4 di mattina un ragazzo chiuso in una casa a Cinecittà o un vip in Marocco in mezzo a cammelli e dromedari, magari abbiamo in casa un famigliare, fratello o sorella che vorrebbe parlarci per un consiglio e magari noi lo azzittiamo per seguire quella scatola che trasmette immagini a volte veritiere a volte inventate. A mio parere: tutte le informazioni che ci giungono dobbiamo prima filtrarle poi assimilarle ovvero capire quanto c’è di vero in ciò che ci trasmettono, questo implica però far lavorare il cervello, esercizio che però è sempre meno richiesto. Mi piacerebbe un mondo dove le persone non si fermano alle apparenze ma colgano la vera essenza dell’individuo con cui stanno parlando. Più fiducia gli uni negli altri. Il papa ha chiesto rispetto tra le culture e le religioni ma come può esserci rispetto tra le reli-
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difficile descrivere un mondo a mia dimensione senza cadere nella banalità o nel pensiero comune perché penso che ognuno di noi voglia un mondo migliore, evadere da questa realtà satura di menefreghismo, indifferenza, abusi e conflitti. Vorrei un mondo”alla pari” senza l’assurda follia: c’è chi muore di fame e chi muore di obesità. Nei paesi poveri ci sono bambini che vorrebbero fare lezione in una vera scuola con una struttura che li ripari dal maltempo e dei banchi su cui scrivere; nei paesi “civilizzati” i ragazzi scrivono sui muri, rigano i banchi e fanno buchi sul soffitto. Dov’è qui la civiltà? Il sapere serve a tutti perché con l’ignoranza non si va da nessuna parte: il ragazzo che ha la possibilità di andare a scuola non sa quanto è fortunato! Ci vorrebbero molti altri ragazzi come lui che vorrebbero andare a scuola, imparare, conoscere cose nuove e avere un futuro davanti, ma che non hanno le possibilità economiche o forse perché nel posto in cui abita non ci sono strutture adeguate. Noi occidentali che
Giada Gatti
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el mio mondo ideale sono due gli elementi fondamentali: l’uomo e la natura; il progresso tecnico e tutte le invenzioni umane sarebbero eliminate e si avrebbe, perciò, una retrocessione verso uno stato “primitivo”. La terra offrirebbe spontaneamente i suoi frutti e gli uomini potrebbero godere dei benefici naturali, vivendo in modo semplice e aiutandosi tra di loro. I rapporti tra gli esseri umani e tra uomo e natura verrebbero valorizzati e nessuno distruggerebbe la natura poiché necessaria per la vita, né ucciderebbe un suo simile; in questa dimensione infatti non ci sarebbe spazio per l’invidia, la malizia, l’odio, la violenza, la gelosia, la superbia…e dopo un litigio si tornerebbe sempre a una situazione di armonia e concordia attraverso la comprensione e l’affetto per i propri simili. Le differenze di razza e di cultura verrebbero considerate delle ricchezze, mai derise o disprezzate. Ogni persona condurrebbe un’esistenza semplice, non perdendo mai di vista i veri valori della vita, amando sé stessa e donando amore al prossimo. Questo è il mio sogno, la mia dimensione ideale, nella quale amo rifugiarmi, quando la vita appare ai miei occhi crudele e quasi insostenibile. Ovviamente, solo l’immaginazione può trasportarmi in un luogo simile; non è possibile, infatti, cancellare tutti i progressi e i cambiamenti sia positivi sia negativi ,avvenuti nel corso dei secoli per mano umana. I tempi, infatti, sono cambiati ma l’uomo non è riuscito ad adattar-
si a essi e sempre più spesso le persone si dichiarano insoddisfatte della loro esistenza e del mondo in generale, ma non fanno nulla per migliorare questa condizione, per cercare di avvicinare il mondo reale alla loro idea, al loro concetto di mondo. A mio parere ciò è dovuto al fatto che i grandi problemi mondiali appaiono come idee astratte e lontane dalla vita quotidiana di ognuno. Se si pensa per esempio all’ambiente, si collega questa parola a: inquinamento, abbattimento degli alberi, costruzioni umane che non sono affatto in “sintonia” con il paesaggio….. Non si riflette su ciò che si potrebbe fare concretamente per migliorarlo, per esempio la raccolta differenziata dei rifiuti, il non gettare oggetti per terra. Nelle società industrializzate l’uomo non si interessa delle problematiche mondiali, come se queste non lo riguardassero direttamente. I problemi quotidiani sono di ben altro genere: vestirsi all’ultima moda, avere il telefonino più all’avanguardia sul mercato, mettersi a dieta per assomigliare ad una modella vista in tv…E sono proprio i mezzi di comunicazione di massa che, attraverso la pubblicità, creano nell’uomo bisogni inutili e futili in modo da aumentare la produzione, e le persone sempre più spesso si identificano con ciò che possiedono, come se conquistarsi un posto nella società dipendesse da quali vestiti indossano o quale automobile guidano. Si genera così un senso di insoddisfazione, poiché si vorrebbe avere sempre di più di ciò che si ha e si arrivano ad invidiare le persone che possono permettersi di essere sempre al “Top”. Non si attribuisce nessuna importanza alle cose sempli-
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gioni se non c’è rispetto tra le persone della stessa cultura? Vorrei un mondo dove c’è sicurezza di viaggiare in tutti i posti sia in treno sia in aereo senza la paura di saltare in aria per scoprire la bellezza del paesaggio afgano, iracheno e israeliano. Vorrei, vorrei, vorrei… mi farebbe piacere che alcuni di questi messaggi magari anche uno solo venga recepito da qualcuno e magari messo in pratica. Rispetto reciproco vuol dire libertà di pensiero quindi democrazia ed infine pace nel mondo. Ecco il mondo che vorrei.
Andrea Accatino
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er realizzare un mondo perfetto, la cosa più ovvia che verrebbe da pensare ad uno studente sarebbe l’abolizione della scuola, e questo vale in parte anche per me. Perché dico in parte? Perché nel mondo che costruirei ritengo molto importante il ruolo della scuola, perché forma i ragazzi sia sotto il punto di vista culturale, che come persone: insegna loro a vivere insieme, a rispettarsi, ad ave-
un mondo migliore...
re regole comuni che vanno seguite. Inoltre essa offre lavoro a molte persone: ai professori, ai segretari, ai bidelli, ecc… Certamente diminuirei le ore lavorative e lascerei più spazio al dialogo e alla discussione che, secondo me, sono molto importanti. Inoltre affiggerei ai muri delle città cartelli e manifesti con slogan inneggianti al rispetto, alla non violenza e alla pace. Inoltre porrei le basi del mio nuovo mondo sullo sport: questa è tra le riforme più importanti che vorrei. Farei costruire, obbligatoriamente in ogni città o paese, almeno una piscina, un campo da basket e uno da calcio. Offrirei premi e riconoscimenti a chiunque pratichi uno sport così, oltre a far crescere “piccoli campioni”, diminuirei sicuramente il fenomeno dell’obesità. Inoltre farei costruire vere e proprie città per i senzatetto, darei loro una casa e un certo numero di Euro al mese, in base al numero dei famigliari. Un’altra cosa a cui darei molta importanza sarebbe il rispetto per l’ambiente; vivere in un paese più pulito e meno inquinato sarebbe uno degli obiettivi primari che mi porrei e che porrei ai miei cittadini. A questo proposito dislocherei nei parchi e nei pochi “luoghi verdi” rimasti “vigili dell’am-
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biente”: il loro compito sarebbe quello di multare salato chiunque non butti una cartaccia negli appositi cestini, chi non raccolga i bisogni del proprio animale, ecc… Un altro aspetto importante del mio mondo, ora che mi viene in mente, sarebbe quello riguardante gli animali: troppi vengono uccisi, abbandonati o talvolta fatti combattere tra di loro: io, che amo molto gli animali ed in particolare i cani, farei costruire pensioni NON a pagamento in cui lasciare i propri animali nel periodo delle vacanze estive. Il progetto più importante e penso più bello, in cui darei tutto me stesso per la sua realizzazione, sarebbe quello di creare più città in cui possono vivere pacificamente cinesi, italiani, marocchini e arabi. Sarebbe una cosa bellissima vedere persone di razze diverse che collaborano, che dialogano e che esprimono le loro diverse idee; alla base di tutto c’è sempre e comunque il rispetto, per qualsiasi progetto. In queste poche righe ho cercato di illustrare quello che farei se potessi costruire un mondo tutto mio. Per ora, devo pensare solo a diventare un buon cittadino e a contribuire, con il mio umile aiuto, a migliorare questo mondo che proprio non mi piace.
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figli che pagano e figli pagati Silvia Pareti
possibile? ci e a tutti quei gesti quotidiani che possono donare felicità, poiché si considerano scontati, quasi banali. L’uomo ha quindi perso di vista i veri valori dell’esistenza, quelli che sono in grado di dare un senso alla vita, come la gioia di mangiare insieme alla propria famiglia, o compiere un gesto d’amore verso i propri cari e verso le persone meno fortunate. Dimenticando quindi l’utopia di un ritorno alle origini, per co-
struire un mondo all’altezza dei nostri sogni, dovremmo riconoscere che il senso della vita non è quello di alimentare inutili esigenze, lasciandoci condizionare dai mass media; ciò che si chiama esistenza è, invece, l’insieme delle azioni quotidiane che possono aiutare noi stessi e il prossimo e che non devono sembrare banali, poiché in loro è nascosto il segreto per giungere ad una realtà migliore.
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trovare solo un lavoro in nero, ed è difficile trovare anche quello. Ti daremo noi dei soldi, una paghetta, ti servirà solo per pagarti i divertimenti, per il resto ovviamente non hai che da chiedere e ci pensiamo noi. I soldi che guadagniamo col nostro lavoro li risparmiamo da sempre anche per te. Due approcci diversi, entrambi portano con sé un po’ d’amore e un po’ di crudeltà. Quello inglese nel rifiutare un figlio che loro hanno scelto di mettere al mondo trattandolo come indesiderato o un peso per la famiglia, ma al solo scopo di farne una persona in grado di affrontare la vita. Quello italiano col suo sostegno incondizionato estremo, col suo troppo amore a mascherare l’egoismo di chi non ti lascia spiegare le ali per paura che voli via e ti condanna ad essere pollo.
I risultati sono riflessi sulla società e aumentano il divario tra le due. In Inghilterra tra i 18 e i 20 anni, praticamente tutti se ne vanno di casa, è il loro obiettivo essere indipendenti, non dover rendere conto a nessuno. Un ragazzo di 23 che ancora vive coi genitori è oggetto di scherno e ci si chiede cos’ha che non và. In Italia uno di 23 che già vive da solo è una mosca bianca e di sicuro più che ammirazione desta sospetto. È più comune andarsene verso i 30 e poi solo se è necessario, se ci si sposta per lavoro o ci si sposa, ma poi nemmeno sempre e comunque molte volte si ritorna. In Inghilterra poi, per questi motivi, di figli se ne fanno di più e con meno calcoli prima. Presto tanto cominceranno a contribuire alla famiglia, non serve essere sicuri di potersene far carico per tutta la loro vita.
Progetto grafico e impaginazione: Favolarevia - Mauro Mainoli Fotografie: favolarevia - Paola Maggi - Studio Controluce - Silvia Pareti Crivelli Giancarlo Redazione Direttore Resp.: Antonella Mariotti Presidente: Mimma Franco Anna Bruni - Giovanna Spantigati Paola Maggi - Elisa Pareti - Mauro Mainoli - Silvia Pareti - Marta Lamanuzzi - Livia Granata - Giada Gatti Simona Lucarno - Davide Varni Elena Pisa - Paolo Pareti - Marcello Spinetta - Giorgia Bresciani - Cecilia Sacco - Andrea Accatino Piccoli Piccoli Lisa R. Magnaghi - Cecilia Mariotti Martina Ruta - Sofia Falchetto - DaProprietà artistica letteraria niele Accatino - Marta Poggio - FaCasa Editrice bio Porta Scarta - Claudia Poggio Favolarevia Federica Marini - Marta Chiapedi Laura Mandirola. Via C. Alberto, 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) Collaboratori Claudio Bertoletti - Elio Pisa - Manuela Gandolfi - Paola Picena Illustrazioni Carlotta Ruotolo - Martina Delfanti Vietato riprodurre senza autorizzazione testi, fotografie e impostazione grafica
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gli adolescenti in conflitto con loro stessi e con il loro aspetto
il corpo goffo, peccaminoso, il corpo che cambia i l p r o f . C h a r m e t o s p i t e a l l a Vo c h i e r i : l a c u l t u r a d e l l a v e r g o g n a
Elisa Pareti
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uanto è difficile crescere! Ce lo ricorda anche una delle storie più tristi e terribili che ci leggevano da piccoli… quella del brutto anatroccolo, maltrattato da tutti e che vagava sempre in lacrime alla ricerca del suo posto nel mondo e nella società. Non si sentiva meno brutto e sgraziato di tanti adolescenti di oggi e di ieri, non soffriva meno di loro e come loro arrivò a pensare al suicidio. Ogni esperienza è diversa lo ammetto. Ma tutti, in ogni secolo e in ogni luogo hanno attraversato questo periodo o meglio questo limbo, soglia stupenda e pericolosa tra due mondi, questo non essere, questo momentaneo morire. Non essere più, né soffici anatroccoli né sublimi cigni, non più bruchi ma non ancora farfalle. E allora chi siamo, ma soprattutto chi potremo essere? E come possiamo non smarrirci in questa condizione difficile e dolorosa, chi dobbiamo seguire, a chi credere? “Le condizioni per…” è il titolo di un percorso per genitori ed educatori promosso dall’Assessorato alle Politiche Giovanili e della Famiglia della città di Alessandria. Si tratta di tredici incontri mensili da novembre 2005 a giugno 2006: per ogni mese è prevista una serata nella quale un esperto dibatte il tema prescelto e un’altra nella quale i genitori e gli educatori hanno la possibilità di confrontarsi ed esprimere le loro inquietudini, le loro proposte e speranze. Creare le condizioni per crescere, e per chi interagisce con il nostro mondo creare le condizioni perché sia preparato a capirci e guidarci. È una bella sfida da parte dei grandi, un non voler rassegnarsi a delegare ad altri i loro compiti e i loro ruoli, un grande sforzo per capire ed avvicinarsi alle solitudini dei loro piccoli, perché per un futuro migliore l’azione più efficace spesso è quella di rimboccarsi le maniche e lavorare sodo da subito, partendo magari col dare il giusto valore ad una carezza e ad un secco no. Il secondo appuntamento in programma si è svolto martedì 13 dicembre 2005 alle ore 21,00 presso l’aula magna della scuola media Vochieri ed era incentrato
sul rapporto degli adolescenti con il proprio corpo. Nell’ampia sala gremita di un pubblico adulto composto per lo più da genitori, professori, psicologi, educatori, si percepiva una generale curiosità e disponibilità a conoscere e capire l’universo dei più giovani. La signora Marinella Fumarco ha introdotto il tema specifico della serata “Il corpo che cambia. Perché ci volete sempre bambini?”collocandolo all’interno di un percorso più ampio di sostegno alla genitorialità e sottolineando il fatto che “La famiglia deve essere aiutata a riacquistare un ruolo fondante per la personalità del bambino”. Poi la parola è passata al relatore, il dott. Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta e presidente dell'Istituto “Il Minotauro” di Milano che da quarant’anni si occupa, dal punto di vista clinico, dei disagi fisici e psichici degli adolescenti. Charmet ha spiegato quanto sia importante il corpo per gli adolescenti, lo addobbano, lo manipolano, fino a renderlo il mezzo privilegiato della loro comunicazione con il mondo. Partendo dall’assioma che non è possibile non comunicare con il proprio corpo, la sfida è impararne il linguaggio e percepire in tempo i disagi e le sofferenze che l’anima del giovane non riuscirebbe altrimenti a formulare e veicolare. Con l’adolescenza il corpo del bambino cambia e a questo si aggiungono delle pulsioni sessuali e aggressive che la mente non sa gestire. Gli adolescenti un tempo avevano la percezione di un corpo colpevole perché fin da piccoli erano stati allevati nella cultura della colpa, nell’idea che tutto il percorso di crescita è basato sul conflitto natura-cultura e scoprivano poco alla volta di avere un corpo forte che può colpire e fare del male, un corpo erotico, sessuato che porta prepotentemente a pensieri e atti considerati sconvenienti. Questo senso di colpa per la propria sessualità quando era profondamente radicato nell’individuo poteva provocare dei sintomi precisi di natura isterica come lavarsi le mani o il corpo tante volte (perché si aveva la percezione di essere sempre sporchi), la paura di dire parolacce o
Il prof. Charmet, terzo da sinistra.
compiere atti inopportuni (soprattutto per i maschi), frequenti svenimenti e coliche addominali per le femmine, cecità e arti bloccati. I genitori consideravano la natura originaria del loro neonato come luciferina, e tutto il percorso di crescita prevedeva una civilizzazione, un insegnare a stare alle regole e reprimere gli impulsi. Al giorno d’oggi si è abbassata la soglia del pudore, c’è molto meno senso di colpa e i ragazzi non si vergognano più della propria sessualità e nudità. Scomparsi gli atti di isterismo legati al senso di colpa, sono in agguato problemi molto più pericolosi dovuti alla cultura della vergogna. Charmet ci trasmette la sua preoccupazione: “Non mi incontro più con ragazzi che hanno una concezione di colpa e peccato. Si tratta di una vergogna che non ho mai sentito e visto così venti anni fa. Un sentimento ancora più subdolo della colpa. La colpa è facile da risolvere, si chiede scusa, ci si sottomette, è legata ad un pensiero, un gesto. La vergogna invece è in se stessi”. L’origine di questo radicale cambiamento va ricercato proprio nel modo in cui i genitori moderni concepiscono la natura originaria del proprio neonato, hanno smesso di pensare che il loro scopo era quello di civilizzare un piccolo selvaggio e l’hanno considerato come una creatura pura e innocente. In genere la generazione dei genitori di oggi ha sperimentato un’esperienza troppo autoritaria e ha cercato all’opposto di trattare i propri figli alla pari. C’è una crisi della rigidità del ruolo, la madre non è più l’essere inferiore e debole che sta a casa e si occupa amorevolmente della prole mentre l’uomo lavora e diventa il severo garante delle regole. La paternità odierna è un nuovo fenomeno per cui anche il maschio condivide un forte innamoramento verso il proprio cucciolo (anche se in generale minore di quello materno che è di natura più istintiva) ed insieme lo allevano nell’affetto e nella libertà. Con questo nuovo modello educativo non sappiamo esattamente quanti e quali effetti secondari possano insorgere oltre la fragilità narcisistica. La minaccia non è più il castigo ma il sottrarsi alla relazione, la mancanza di approvazione. Sanno tutto di cosa sia l’insuccesso e cosa significhi sentirsi soli, brutti, perdenti, isolati. Sanno che non c’è nulla di peggio, nemmeno la morte, del non contare nulla, di essere trasparenti per le persone che contano, che siano i genitori o il loro gruppo di amici. Gli altri sono il primo specchio che ci rifletta e se ci fanno sentire una nullità perdiamo la nostra identità e non possiamo che rischiare il tutto per tutto per recuperarla.
Michele Mainoli - La grassa e la magra. Dittico, olio su tavola, 1978
I giovani cercano approvazione e consenso, come esseri sociali ne hanno un assoluto bisogno. Prima il successo sociale era graduale e la persona viveva in un consolidato sistema di regole e valori; per la femmina, ad esempio, prevedeva diverse tappe come una breve istruzione, imparare a cucire, sposare un buon partito e procreare. Infrangere un valore provocava un sentimento di colpa tremenda, oggi invece si teme di perdere la faccia. Viviamo una finta libertà, la cultura del narcisismo, del diventare belli e famosi, ma è una legge implacabile: o diventiamo persone giovani, ricche, carismatiche o siamo costrette all’isolamento e al rifiuto dei nostri simili. Per un essere umano non c’è pena peggiore dell’esilio dalla società. Il corpo degli adolescenti così diviene il corpo della vergogna perché non permette di essere all’altezza delle proprie aspettative. Non c’è il super-io che li fa sentire in colpa ma peggio c’è un ideale di bellezza, di successo che esercita un’influenza molto più profonda e radicata. I giovani vorrebbero diventare seduttivi, carismatici e la frustrazione di non riuscirci li rende soggetti narcisisticamente fragili. Per raggiungere il proprio scopo il corpo viene manipolato violentemente senza rispetto della sua natura e delle sue esigenze. Charmet ricollega i tanti disagi giovanili a questo rapporto distorto con il proprio fisico. Si tratta di un corpo sociale che deve essere addobbato secondo le mode, un tempo si andava ad agire soprattutto sulle unghie e i capelli (colorandoli e tagliandoli), ora direttamente sulla pelle. Il corpo viene utilizzato per veicolare dei messaggi sociali, per riconoscersi in una ben precisa tribù attraverso determinati segni di appartenenza, solo ora nella nostra civiltà ha preso piede la cultura del tatuaggio, del piercing. Si ha la fobia della propria immagine o di una parte significati-
va di essa: naso, lineamenti, seno, glutei che per le loro fattezze diventano intollerabili a tal punto da ricorrere a soluzioni drastiche come la chirurgia estetica e si modellano in modo esagerato le masse muscolari, facendo palestra, ed usando integratori e sostanze che drogano il corpo più che la mente per renderlo invincibile e consentirgli prestazioni speciali. Lo si sottomette ad un’ideale che non è di bellezza come potremmo pensare bensì di grassezza o magrezza. L’anoressia secondo Charmet è una malattia etica. Ragazzine molto brave a scuola che costringono il proprio corpo ad una magrezza che confermi la loro bravura, disciplina, indipendenza, o al contrario un corpo obeso che indica passività, rinuncia e un rapporto di sottomissione nei confronti del cibo. Non accettano il proprio corpo se non nel confronto con un altro complementare e sono costretti ad andare in giro con lo scopo di sedurre qualcuno, e anche le ragazze che vediamo vestite da isteriche, da seduttive con le pance nude in tutte le stagioni dimostrano sicuramente una grande rigidità nei confronti del proprio organismo che sacrificano al freddo e alle intemperie. I maschi ingaggiano spesso gare di forza e resistenza ma anche vere e proprie sfide alla morte. Hanno la necessità di esporsi ai rischi per dimostrare che sono in grado di vincere la propria mortalità, ma anche questo è un risultato narcisistico. Nella maggior parte dei casi questi atteggiamenti sono riportabili ad un desiderio di uniformarsi alle mode del momento e questo è del tutto normale negli esseri umani ma in alcuni casi queste manipolazioni celano un profondo conflitto con il proprio corpo che non soddisfa l’immagine mentale alla quale si tende. Ricordiamoci di chiedere ai più giovani se sono felici, soddisfatti di loro stessi e come si percepiscono. Bisogna insegnargli che non possono fare quello che vogliono del loro corpo ma devono rispettarlo e rispettare di più lo-
ro stessi. La partita giocata dagli educatori è importante, i genitori possono soffermarsi a riflettere quale rapporto hanno instaurato con i propri figli, se hanno sviluppato in loro un senso di colpa preventivo e i valori necessari per fargli seguire la civiltà o se gli hanno trasmesso degli ideali affettivi relazionali perché siano in grado di esprimere la propria identità e di trasformarsi in soggetti etici capaci di assumersi delle responsabilità. Infine il dott. Guido Tallone tutor dell’intero percorso “Le condizioni per…” ha ringraziato il preside il prof. Pietro Talarico per l’ospitalità e dato appuntamento a tutti al prossimo incontro. Che le parole del prof. Charmet siano vere lo dimostra la presenza stessa quella sera di tanti genitori preoccupati di instaurare una corretta relazione con i loro figli. E se la conferenza si fosse tenuta cinquant’anni fa, credete che avrebbe partecipato qualcuno? Eppure noi giovani cerchiamo una giusta attenzione. Possibile che sia così difficile capirci? La prossima generazione di genitori è la nostra e mi auguro che saremo meno zelanti nel perseguire gli obiettivi della cultura della colpa o della vergogna. Gli eccessi guastano qualsiasi ricetta e allora andremo a tentativi tra regole e affetto, tra sì e no, attenti a non soffocarli nelle nostre regole e a non smarrirli nella troppa libertà. Le dosi? Sempre q.b. … quanto basta!
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li applausi e le risate non sono di certo mancati la sera del 18 febbraio scorso alla sala Pessini di Castelnuovo Scrivia, perchè si sono esibiti dei bravissimi artisti: Fabrizio Consoli, con il suo gruppo di musicisti di alto livello, e i suoi amici ospiti Max Pisu e Fred Buscaglione junior. Questa serata, organizzata dal comune di Castelnuovo, ha avuto un buon riscontro di pubblico di tutte le età e si è articolata in una prima parte musicale in cui Fabrizio Consoli ha presentato alcune sue canzoni tratte dall’ultimo disco “18 piccoli anacronismi” accompagnato da Gigi Rivetti alla fisarmonica e tastiere, Daniele Sala al contrabbasso, Elvin Betti alle
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batterie. Nella seconda parte sono intervenuti Fred Buscaglione junior, che ha esibito una voce strepitosa e molta simpatia in tre brani di successo, e Max Pisu che ha interpretato Tarcisio, il famoso personaggio televisivo di Zelig. Per me è stata una esperienza particolare perché ho avuto occasione di conoscere da vicino dei personaggi del mondo dello spettacolo e di fare loro alcune domande scoprendo che sono persone “normali”, disponibili, cordiali, che fanno con passione un lavoro che amano e li diverte. Fabrizio Consoli è prima di tutto un grande chitarrista acustico che può vantarsi di aver collaborato con artisti come Eugenio Finardi, Cristiano De Andrè, Grazia di Michele. E’ diventato cantautore all’inizio degli anni novanta partecipando al Festival di San Remo nel 1995 e vincendo nel 2004 il
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Premio Ciampi per la canzone d’autore. La sua musica è molto curata negli arrangiamenti, spazia dal jazz al tango alla rumba, crea atmosfera, comunica sensazioni intense. Le parole delle sue canzoni sono belle come poesie, sono significative e nascono da situazioni di vita vissuta. Mi ha particolarmente colpito il testo della canzone ”Il coraggio” che l’autore scrisse appena seppe la notizia della morte di Borsellino, e di cui vorrei citare il verso che dice: ”il coraggio è un muscolo che devi allenare in una palestra di scelte, di occasioni che passano svelte, e non incontri più …” Prima che iniziasse lo spettacolo Fabrizio Consoli e Max Pisu si sono gentilmente prestati per una breve intervista nella quale ho scoperto alcuni loro aspetti.
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Fabrizio mi ha rivelato che da bambino sognava di diventare un archeologo o un pittore; ma ha iniziato a suonare perché a suo parere se una persona ha qualcosa da dire deve esprimerlo in qualche modo e lui ha scoperto che non può fare a meno di comunicare attraverso la musica. Durante le esibizioni le sue reazioni emotive dipendono dal pubblico; se il pubblico è attento, lui si diverte. All’inizio della carriera era più agitato, perchè aveva l’ansia di dimostrare la sua bravura; ora suona per il piacere di suonare. Ad un giovane che desiderasse diventare cantautore sconsiglia di intraprendere questo mestiere in Italia perchè è molto difficile emergere, ma comunque dice di continuare a suonare perchè secondo lui “chi suona è sempre un po’ meno solo”. Max mi ha spiegato che il personaggio di Tarcisio con cui è diventato famoso è nato in oratorio nell’ambiente della parrocchia che lui ha frequentato fin da bambino; infatti ha iniziato a recitare facendo spettacoli all’oratorio. Da piccolo non aveva in mente che mestiere avrebbe fatto, ma gli è capitato di trasformare questo gioco iniziale in un lavoro ed è soddisfatto perchè si diverte molto a fare l’attore e pensa che per riuscire bene in una professione sia fondamentale divertirsi nel farla. Ha iniziato a esibirsi ufficialmente nel cabaret dal 1990 e consiglia ad un giovane che volesse intraprendere la sua carriera di non partire con il presupposto di diventare famoso o ricco, ma di recitare per il puro piacere di farlo. La sua partecipazione a questa serata nasce dall’amicizia con Fabrizio con il quale sta portando in giro il suo nuovo spettacolo teatrale intitolato “Autogrill - A bathroom reality show” che in aprile sarà al famoso Teatro Ciak di Milano. Ho avuto occasione di vederlo a Mortara e vi assicuro che è uno spettacolo che merita perché è una bella miscela di musica - quella originale di Fabrizio Consoli - e di comicità - quella spontanea di Max Pisu - in una cornice spesso ironica che lascia ampi spazi alla riflessione sulla realtà contemporanea.
j u n i o r
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Fabrizio Consoli (a sinistra), Max Pisu (al centro), Fred
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tra finzioni, insulti e cifre da capogiro
lo sfogo di una tifosa juventina Elena Pisa
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uello che oggi chiamiamo calcio ormai è solo finzione. Basta seguire con attenzione una partita per rendersi conto dei falli vergognosi a cui si assiste, dove si finge persino di essersi rotti un piede per guadagnare un rigore o una punizione. È tutto falso, come il Wrestling: solo e soltanto una presa in giro! Capita di notare alcuni giocatori che corrono per il campo trascinandosi con fatica; con tutti i soldi che guadagnano per calciare un pallone dovrebbero essere fulmini e uomini instancabili. Utilizzano anche sostanze dopanti (come se ne avessero bisogno tanto si affaticano) che infangano la squadra e la loro stessa salute. E tutti quei tifosi che spendono soldi inutili per andare allo stadio o per acquistare Sky e gadget della loro squadra preferita. Passano ore e ore in colonna per poi rischiare di essere uccisi da un motorino volante o da una folla impazzita o per ricevere su una spalla un petardo fumogeno, come successo al portiere del Milan, Dida. Ci si lamenta dei continui atti vandalici degli Ultras ma l’insegnamento che ricevono arriva proprio dal campo di gioco: i giocatori si sputano, si insultano, si picchiano, è logico che i tifosi li prendano stupidamente ad esempio essendo i loro idoli. II calcio di una volta non esiste più, i mass media sono riusciti ad estinguerlo, a sotterrarlo per sempre nel-
le memorie del passato e dei tifosi e giocatori più anziani. Infatti le vecchie partite non sostengono il confronto con quelle del giorno d’oggi; prima si giocava per divertimento, con lo scopo di far divertire i tifosi che assistevano, rispettando l’avversario e la sua squadra, che erano nemici solo per novanta minuti. Non c’era bisogno delle forze dell’ordine pubblico per placare la folla, i tifosi andavano allo stadio solo per passare una domenica diversa di relax e divertimento, tifando la propria squadra ed incoraggiandola alla vittoria. Ora oltre che pagare caro l’abbonamento o il biglietto si rischia anche la vita. VERGOGNOSO! Oltre ad essere diventato sporco, corrotto, fìnto e falso, è anche diventato puro business e continue entrate per le società calcistiche. Pagano giocatori ai quali sembra, dai modi di comportarsi in campo e di giocare, che non interessi nulla della squadra a cui sono legati (escluse le eccezioni, ovviamente) ma solo dei milioni di euro che ricevono di paga. Ormai i mass l’hanno trasformato in puro business. Dovrebbero mettere in vigore leggi più dure che riportino il calcio com’era un tempo, ma ovviamente nessuno delle alte sfere lo vuole perché in questo modo loro guadagnano sempre più soldi e non gliene frega niente delle persone che rimangono ferite o persino uccise dalle resse che nascono negli stadi. Non ho più parole per esprimere la delusione che mi ha dato il calcio e lo dice una tifosa juventina sfegatata!
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in campo, sono concentrato al massimo, mi sento determinato, deciso, sicuro, pronto a ricevere i passaggi del mio compagno di reparto, Ignazio, una grande punta di peso, che spesso mi dà l’occasione di fare gol perché il mio ruolo è quello di attaccante. Era un sabato pomeriggio, gli spalti erano gremiti di persone: dovevamo disputare il derby con l’altra squadra di Tortona. Negli spogliatoi eravamo agitati, an-
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Marcello Spinetta
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l giorno d’oggi una domanda tra le più spontanee da porre ad un adolescente nel vivo della sua maturazione umana e psicologica è : “ Cosa vorresti fare da grande? “ Nella maggior parte dei casi, soprattutto per la massa giovanile dei maschi, la risposta è altrettanto scontata : “Vorrei diventare un calciatore !“ Già , fare il calciatore di professione . E’ questo il sogno, l’obbiettivo, il traguardo che molti ragazzi del nuovo millennio vorrebbero raggiungere. Calcare i campi della serie A, vestire la maglia della propria squadra del cuore, disputare una finale di Champions League: tutte immagini idilliache, stupende, cariche di emozioni che caratterizzano i pensieri e le ambizioni più segrete di noi ragazzi. Credo, infatti, che la maggior parte dei giovani sarebbe disposta a fare ingenti sacrifici pur di realizzare questo desiderio tanto bramato. Siamo sicuri, però, che tale desiderio sportivo sia alimentato solamente dalla pura ed intensa passione per il gioco del calcio? Oppure altre motivazioni di fondo pervadono l’animo incerto e, talvolta, ingenuo dei ragazzi d’oggi? Anche io, nel mio piccolo, sono convinto di esprimere un’opinione adeguata in proposito. Penso, infatti, che, oltre ad un’indiscussa e, in mol-
Una sconfitta che insegna... ono appassionato di calcio e gioco a pallone in una squadra del Derthona F.b.c 1908 nella categoria esordienti. Il mio amore per questo sport mi porta a seguire il calcio in TV, dal quale cerco di imparare i movimenti giusti, gli schemi utilizzati…per poi poterli applicare quando gioco. Devo dire, senza falsa modestia, che sono un bravo giocatore e per questo ricevo spesso le lodi del mio allenatore. Quando sono
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siosi, sapevamo di affrontare una partita difficile ma il mister ci tranquillizzò con le sue parole e ci invitò alla calma. Un lungo applauso ci accolse all’entrata in campo e questo servì a darci ancor più carica. Gli applausi dei nostri sostenitori ci facevano capire che stavamo disputando una bella partita, infatti il primo tempo si concluse a nostro favore con il punteggio di 1-0. Forse per la nostra troppa sicu-
ti casi, smisurata passione per questo sport, siano il grande giro d’affari, i soldi, la notorietà televisiva e la prospettiva di una vita agiata, ad influenzare le
di Daniele Accatino rezza, forse perché eravamo troppo stanchi, il 2° tempo non fu brillante come il 1° e l’incontro finì con la nostra sconfitta. Che amarezza e che delusione! Fu una sconfitta, è vero, ma mi insegnò una cosa importante: non sottovalutare l’avversario e non sentirsi mai troppo sicuri. Fu per me una bella lezione che mi fece capire che nel calcio, come in tutte le altre cose bisogna impegnarsi con costanza, serietà e volontà, sempre!
ambizioni giovanili. Il calcio, infatti, dalla sana e corretta disciplina sportiva di qualche decennio fa, si è tramutato in una sorta di business sempre più evoluto, dove il denaro e la popolarità fanno la differenza e assumono un ruolo di primo piano. Il calciatore, prima di essere considerato uno sportivo, è visto dai più come un divo dello spettacolo, un riccone che investe i suoi guadagni in serate in discoteca, automobili di ultima generazione e per altre finalità simili. Basti pensare che un calciatore, non tra i più pagati, guadagna 13 centesimi al secondo, 7,80 euro al minuto, 11.232 euro al giorno, 336.960 euro al mese che in un anno fanno la cifra esorbitante di 4.043.520 euro, più di 8 miliardi del vecchio conio. Sono certo numeri che fanno riflettere. Come in tutte le situazioni
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quello che ancora viene chiamato calcio
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u m i l t à però, anche nella sempre più agiata e sfarzosa condizione di un calciatore professionista, emerge un’eccezione, in positivo per fortuna. In questi giorni, infatti, si è parlato e riflettuto molto sulla scelta di un giocatore dell’A.S. Roma, una colonna giallorossa e di tutto il calcio italiano: Damiano Tommasi. Questo ragazzo trentunenne di Verona ha fatto il suo ritorno in campo domenica 30 ottobre nella partita della “Sua” Roma contro l’Ascoli. Come molti ricorderanno la sua carriera parve giunta al termine il 22 luglio 2004 per un gravissimo infortunio al ginocchio destro subito durante un’amichevole contro lo “Stoke City”. Venne operato 6 giorni più tardi e solo oltre un anno dopo, il 12 ottobre scorso, è stato riammesso in rosa. E qui arriva la notizia più sconcertante: per iniziare la sua nuova vita da calciatore, infatti, Tommasi respinge l’offerta di rinnovo della presidenza giallorossa, e ne propone una sua chiedendo il minimo sindacale, ossia 1500 euro al mese. Una cifra sbalorditiva ed esageratamente inferiore ai 333.960 euro citati in precedenza. E’ però una cifra che, di certo rende il giocatore romanista un esempio per tutti i ragazzi che amano il calcio; un modello da imitare nella sua umiltà, nella sua passione verso questo sport e nella forza di volontà che gli ha permesso di ritornare a calcare i campi di serie A. La scelta di Damiano è la sintesi più eloquente di tutti quei valori che il calcio, e lo sport più in generale, dovrebbero diffondere ed avere come principi di base al giorno d’oggi. Il suo gesto, infatti, è stato dettato dall’amore per questa disciplina sportiva, dall’attaccamento alla maglia e ai colori della Roma, dalla riconoscenza nei confronti della società che lo ha sempre supportato e dalla voglia di dimostrare che nel calcio i soldi sono l’ultimo aspetto da considerare. Per Tommasi, nella sua vita da calciatore, non è prioritario trascorrere le serate in discoteca, vivere nello sfarzo più assoluto oppure vestire all’ultima moda. L’obiettivo principale per cui lui ogni giorno si allena è, infatti, quello di dare il massimo per la propria squadra e per la società che gli permette di sfogare, nel rettangolo verde di gioco, la sua unica e innata passione. Tutti gli applausi che domenica 30 ottobre hanno sommesso l’olimpico per il suo ritorno al calcio giocato, ci fanno ancor più comprendere che la scelta di quest’uomo non sia da considerare una follia o un assurdità , ma un gesto sincero non solo da accettare ma , soprattutto , da imitare. Tengo a puntualizzare che queste mie parole non vogliono assolutamente criticare i campioni che guadagnano miliardi all’ anno e li investono in spese futili, perché ognuno i propri soldi può gestirli come crede, ma cerco, soprattutto di mettere in risalto due importanti punti di discussione. In primo luogo, come ho già detto in precedenza, voglio sottolineare l’umiltà di un uomo straordinario che non si è fatto tentare dal potere ipnotico del denaro, ma ha voluto lasciare spazio alla sua passione, decidendo di mostrarla a tutti sul campo. Infine vorrei far capire al lettore la contraddizione piuttosto evidente del mondo di oggi dove da una parte ci sono operai che faticano ogni giorno senza sosta e, a volte, non riescono a mantenere la propria famiglia, mentre dall’altra esistono persone che , per tirare due calci ad un pallone, guadagnano cifre come 8 miliardi all’anno!!! A questo punto non ci resta che riflettere.
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K r i t i k a
L ’ a l t r a
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Inghilterra 1-Italia 1 Silvia Pareti
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ome promesso torno a parlarvi delle differenze tra due sistemi di istruzione, differenze fra due culture che sembrerebbero vicine a prima vista, ma non si assomigliano molto. Pregi e difetti. Ancora non ho deciso da che parte far pendere l’ago della bilancia e a chi assegnare il premio per il sistema migliore. In fondo sono tanti i fattori da considerare, preferisco che giudichiate voi, e poi più li confronto più sono convinta che da una conoscenza reciproca avrebbero tutti e due da imparare. Gli inglesi dovrebbero mettere da parte un po’ dell’orgoglio che li fa così sentire migliori da non volere nemmeno mescolarsi all’Europa, e avere l’umiltà di ammettere che peccano un po’ di cultura generale. A noi resterebbe da chiederci, ritrovata un po’ di fiducia in un sistema tanto squalificato dalla stampa, cos’è alla fine che ci proponiamo di insegnare alle nuove generazioni che si vogliono nutrire di cultura fino ai vertici. Chi non conosce l’Università italiana forse farà fatica a capire. Il sistema riassunto per i profani, mi scusino se è un po’ sommario gli altri, in pratica funziona così. Si seguono le lezioni, mattina e pomeriggio dal lunedì al venerdì, per un totale, che varia da facoltà a facoltà, tra le 15 (credo rare) e le 36 ore la settimana, con una media spesso intorno alle 25. Ogni anno si seguono dagli 8 ai 15corsi circa, di nuovo a seconda del proprio corso, e quattro cinque volte all’anno ci sono gli appelli. Puoi ‘dare’ qualunque esame e puoi sostenerli anche molto tempo dopo che hai seguito il corso, decidi tu. Il sistema più comune è il 3+2, tre anni di laurea di primo livello e due di specialistica. Gli esami sono generalmente orali, tranne qualche scritto, soprattutto per le discipline scientifiche. Si lavora tantissimo, non è facile essere studenti lavoratori e di sicuro non è facile laurearsi in tempo. Per il corso di tre anni ce ne vogliono quasi sempre almeno quattro, così non solo iniziamo l’università un anno dopo rispetto ad altri paesi europei, ma ci passiamo dentro molto
più tempo. E mentre i loro laureati hanno 21anni quando si affacciano sul mondo del lavoro, i nostri ne hanno almeno almeno 23, ma spesso 25-27, e non c’è nessun mondo del lavoro ad aspettarli, più vecchi e senza esperienza. Si studiano un sacco di materie, spesso alcune di cui non si capisce bene il senso o la coerenza col corso e i propri interessi, si imparano tantissime nozioni e si dimenticano altrettanto in fretta. Le lezioni sono quasi sempre in aule grandi, con più studenti che posti a sedere, specie il primo anno, poi man mano si sfoltiscono, spesso ci si dimezza in tre anni, a volte la moria è anche maggiore. Dove sono finite le facce che non vedi più? Una parte non ce l’hanno fatta, si sono arresi perché si erano attardati troppo, o si sono persi nei divertimenti e nelle distrazioni o hanno trovato lavoro e hanno deciso che non potevano permettersi di lasciarlo. Qualcuno semplicemente si è stancato, ha capito il sistema e non gli è piaciuto, non era stimolante. L’università inglese è diversa, alla fine ci arrivano tutti. Non esiste restare indietro, ripetere gli anni. Le prove sono programmate e non si può flessibilmente cambiarle. Ogni corso prevede generalmente uno o due essay, che si potrebbe tradurre un po’ come tema, un po’ come saggio o tesina. Ti danno in pratica un titolo, una lunghezza a cui attenersi, tra le 1500 e le 2500 parole nella maggior parte dei casi, 4 o 5 pagine in word tanto per dare un’idea. E poi scrivi. Organizzi il testo e scrivi, ma non in un’aula sorvegliata con un tempo, hai un paio di settimane almeno e lavori per conto tuo, o così dovresti, ma a casa. Ricerchi il materiale in biblioteca, prendi nota di cosa potresti scrivere e poi butti giù il lavoro. Per questo ottieni un voto e spesso è l’unica cosa che ti viene richiesta per il corso. A volte c’è anche un esame a fine anno, verso giugno, ma dopo Pasqua non ci sono più lezioni, e si ha tutto il tempo per ripassare. È un esame scritto ovviamente, di orali nemmeno l’ombra. Le lezioni sono pochissime e si dividono in letture e seminari, tutto insieme per una media tra le 7 e le 15 ore la settimana. Pochissimo. Tutti trova-
no il tempo per lavorare part-time e mantenersi agli studi. Non esistono borse di studio, se non puoi permetterti di pagare coi tuoi soldi, puoi chiedere un prestito al sistema e hai tutto pagato con il solo vincolo di dover restituire la gentilezza il giorno in cui il tuo stipendio raggiunge una certa piuttosto elevata soglia. E la raggiunge di certo, perché il mondo del lavoro è promettente e ti valorizza e quasi nessuno prosegue oltre tre anni perché non è necessario. La cosa più invidiabile e che meriterebbe di essere presa a prestito come i troppi calchi di parole inglesi che non ci sforziamo nemmeno di tradurre, sono i seminari. Sono incontri, più che lezioni, con 8-15 persone, e si discute. Sembra un miracolo. Chi conosce i professoroni intoccabili e irraggiungibili delle nostre università non può non restare stupito alla vista di questi giovani ricercatori, appassionati al loro lavoro, pronti a darti una mano, con cui chiacchieri e discuti e che si interessano alle tue opinioni. Anzi le pretendono. Devi dire la tua, all’inizio fai fatica tanto non eri abituata ad esprimere quello che pensavi per paura di essere in contraddizione con l’idea del professore. Poi diventa bellissimo e non puoi più stare zitta. Ti insegnano a pensare, anche gli essay non sono che trattatelli dove poter esprimere il proprio pensiero. Alla fine forse non si sanno molte nozioni, alla fine è tutto troppo facile e non serve imparare molto per arrivare a una laurea. Ma cosa servirà di più nella vita? Non scherzo e potete credermi se vi dico che sono restata scandalizzata scoprendo che non riconoscono il verbo dal soggetto in una frase, non sanno (studenti di letterature) chi era Circe e hanno letto meno Shakespeare di me, molti non hanno mai sentito parlare della Normandia e hanno problemi a stabilire in quale paese si trovi Venezia. Niente grammatica, pochissima storia, geografia, letteratura. In un certo senso sì, non hanno una vasta e profonda cultura, ma la scuola per loro è una palestra del pensiero, il resto glielo insegnerà la vita quando inizieranno un lavoro. Un meritato compenso che ai nostri preparatissimi laureati è negato.
Bath e Oxford, sedi di importanti Università inglesi (foto Silvia Pareti)
Cosa siamo? Minuscoli puntini condannati O un grande dono per chi ha bisogno di noi? Marta Lamanuzzi
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he cosa siamo se non minuscoli puntini dell’universo che cercano disperatamente di dare un senso a quel fulmineo istante che è la vita umana rispetto all’eternità? Tuttavia molti non ci fanno caso e vivono solo per sé stessi sentendosi molto importanti (i famosi minuscoli puntini), e se non riescono a trovare un senso in
quello che fanno, pensano che lo troveranno in futuro, che hanno tempo, una vita intera (il fulmineo istante) per farlo. Altri invece ci sono riusciti, hanno dato un senso al loro esistere: essere un dono per gli altri. Le reazioni suscitate da questi ultimi sono sostanzialmente di due tipi. Ci sono persone, probabilmente invidiose o palesemente ottuse, che pensano che il volontariato sia una sorta di do ut des, che lo si faccia per un
particolare tornaconto o per una questione di immagine. Altri esprimono immensa ammirazione per coloro che si dedicano agli altri, ma ritengono che il loro atteggiamento sia assolutamente fuori dal comune, che si addica solo a spiriti eletti o dotati di poteri magici. La soluzione di questi fraintendimenti e di tutto questo stupore sarebbe semplicemente che tutti provassero una delle numerose forme di volontariato, quel-
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ad un istante fulmineo?
Un senso...
la più affine alle sue inclinazioni. L’incredibile forza vivificante ed appagante di questo genere di attività non può lasciare indifferente nessun animo umano. Non si guadagna niente, non si obbedisce ad un ordine, non si trova una fidanzata o un fidanzato, ma ci si sente davvero migliori, importanti, soddisfatti come non mai. Mettendo le proprie capacità al sevizio degli altri, si capisce veramente, per la prima volta, quali e quanti poteri ognuno di noi possiede. C’è chi si giustifica con la mancanza di tempo, ma il tempo è nelle nostre mani, non siamo noi ad essere nelle sue, sta a noi decidere come impiegarlo, se investirlo e dargli un senso o sprecarlo. Il volontariato non deve essere una forzatura, né assorbire necessariamente una grande quantità di tempo, bastano poche ore alla settimana per conoscerlo e conquistare l’inaspettato bagaglio di valori e umanità che sa donare.
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Un sabato mattina di fine gennaio, mio papà mi propone un escursione sulle rive dello Scrivia. Armati di macchina fotografica e coperti bene per il freddo pungente ci avviamo. È un mattino soleggiato con temperatura sotto zero. Camminando lungo il sentiero, sulla neve ghiacciata, ci accorgiamo che vicino a noi tra i cespugli, c’è un coniglio; non abbiamo neanche il tempo di fotografarlo che è già scomparso. Proseguiamo lentamente e dopo qualche minuto, veniamo spaventati da un fragore e un battito di ali: una coppia di fagiani, a pochi passi da noi, si alza in volo e ci lascia a bocca aperta. Arrivati nel bosco ci fermiamo un momento: decine di uccelli con il loro canto rompono il silenzio. Riprendiamo il nostro cammino accompagnati dallo “scrocchiare” della neve sotto le nostre foto Giancarlo Crivelli scarpe. All’improvviso sul sentiero appare con un salto una lepre che ci fa fermare, lei invece a grandi balzi scappa via. Arriviamo dunque sulle rive dello Scrivia. Il cielo azzurro dall’acqua un colore blu scuro. Scendiamo l’argine e dalla riva vediamo due nutrie che si tuffano, attraversano il fiume e salgono sulla riva opposta: due bei toponi! Risaliamo l’argine e camminiamo verso Tortona. Vicino a una curva del torrente avvistiamo, da lontano, un gruppo di anatre che accorgendosi della nostra presenza partono in volo “schiamazzando”. A poca distanza da noi vediamo gli alberi dell’amore con i loro ottant’anni. In questa stagione gli alberi anche senza foglie dimostrano la loro bellezza. Purtroppo, però, si è fatto tardi e bisogna tornare. Questa esperienza mi ricorda che nella nostra zona esiste un ambiente ricco di flora e fauna. La raccomandazione a tutti noi è di saper apprezzare questa natura, rispettarla e se necessario difenderla. illustrazione Martina Delfanti
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ra i miei sogni nel cassetto ce n’è uno un po’ particolare: quello di avere le ali. Immagino due grandi ali robuste e veloci dal piumaggio candido come la neve. Volerei nel cielo turchese e proverei ad assaporare un’aria diversa che porta in sé lo strano, ma meraviglioso sapore della libertà. E se qualche volta dovessi sentirmi stanca mi adagerei dolcemente sulla più soffice nuvoletta e mi lascerei cullare dal vento e, magari, arriverei in un posto lontano. Conoscerei sicuramente molti uccelli che mi porterebbero ad esplorare parti del mondo sconosciute e deserte, dove nessuno è mai stato, tranne loro ovviamente, perché niente può nascondersi agli occhi di chi osserva dall’alto, dal cielo. E ancora, potrei giocare a nascondino tra le nuvole e ammirare più da vicino la calda luce del sole. Di notte potrei soffermarmi a riconoscere le stelle ed a chiacchierare con la luna. Non bisogna però credere che la vita in volo sia facile e perfetta, infatti esistono molti pericoli: ci si potrebbe imbattere in grandi uccelli affamati pronti a mangiarti, ma questa è la natura, mentre è ben più triste e grave quando ad uccidere gli uccelli
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Con questo disegno ho voluto rappresentare una speranza di vita per le persone ammalate e sofferenti costrette in letto d’ospedale.
se avessi le ali... sono gli uomini che come passatempo cacciano e che forse non capiscono che anche gli animali hanno il diritto di vivere. Ciò che sul momento può sembrare divertente è in realtà un comportamento ingiusto ed irrispettoso verso queste creature. Ma torniamo ai miei desideri perché non ho ancora parlato della cosa più importante e bella che farei se avessi le ali. Volerei fino in Perù dove vive Otilia, la bambina che insieme alla mia famiglia ho adottato a distanza.
Sono sicura che per me sarebbe una grande emozione conoscerla di persona e scoprire dove e come vive e penso che anche lei vorrebbe vedere l’Italia ed io certamente l’accompagnerei in volo. Questa è per me la vita con le ali, la vita nel cielo sempre divertente, magica e ricca di avventure, ma che è soprattutto in grado di avvicinarti a persone lontane. Purtroppo però credo che questo mio sogno rimarrà solo nella mia fantasia. Cornelia.
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Pianeta n.9 a cura di Paola Maggi
Victoria (10 anni) Cara Paola, leggo ormai da molto tempo la sua rubrica e devo farle tanti complimenti finalmente toglie un po’ di ignoranza sull’educazione dei nostri amici a quattro zampe. Io tutti i giorni sento voci mostruose, poveri animali… Ho sentito un uomo che raccontava tutto orgoglioso come ha insegnato al cane a fare i suoi bisogni fuori casa. Ogni volta che faceva la pipì o la popò in casa botte e picchiava il musetto del cucciolo dentro la pipì. E’ vero? Come si insegna al cucciolo che deve andare fuori casa a fare i suoi bisogni? Cara Victoria, purtroppo questo che ti hanno raccontato è un dei metodi più tradizionali che la gente usa per insegnare al cucciolo… ma è anche uno dei più sbagliati in assoluto!!! Ma andiamo con ordine. Consideriamo il caso più semplice di un cucciolo sano, che è stato cresciuto correttamente. Partiamo dai soliti antenati lupi che tante volte ci hanno aiutato a capire i nostri amici pelosi: i lupacchiotti cercano per istinto di allontanarsi dalla tana per sporcare, non gradiscono affatto avere pipì e popò vicino al luogo dove mangiano e dormono, per non parlare del fatto che l’odore potrebbe richiamare dei predatori e mettere anche in pericolo la loro vita. Certo non sempre fanno in tempo ad andare lontano a sufficienza perché il loro controllo non è perfetto… ma d’altra parte nemmeno noi umani siamo tanto bravi da bambini (chiedi alla tua mamma quanti pannolini ha cambiato quando eri più piccina) quindi perché pensiamo di aspettarci la perfezione da un cucciolo? Quello che dobbiamo fare noi è solo aiutare questo suo istinto e premiarlo quando sporca nel “posto giusto”. Come lo aiutiamo? Lo porteremo fuori molto spesso (in giardino se lo abbiamo a disposizione o per una breve passeggiata se viviamo in appartamento): quando si sveglia da un pisolino (perché allora che gli scappi la pipì è quasi una certezza), dopo i
pasti, la sera prima di andare a dormire e la mattina appena si sveglia… dobbiamo pensare che appena arrivato un cucciolo non riesce a resistere più di due o tre ore quindi appena vediamo che comincia ad annusare per terra e girare in tondo lo porteremo fuori scegliendo un angolo dove desideriamo che sporchi e lo premieremo con parole,coccole, un gioco o un bocconcino quando fa i suoi bisogni nel posto giusto. Capirà presto che siete voi a portarlo fuori e che in casa non si deve sporcare, e vedrete che cercherà di farvi capire che vuole uscire, ad esempio guardandovi e guaendo, facendo la spola fra voi e la porta d’ingresso, o in tanti altri modi. Sicuramente qualche “incidente” è da mettere in conto, quando vediamo che il cucciolo comincia a sporcare (ma dobbiamo “pescarlo” proprio all’inizio perché poi non riesce più a fermarsi) bisogna “distrarlo” con un rumore (battendo forte le mani ad esempio) e poi portarlo fuori e premiarlo quando “la faccenda” si conclude nel giusto modo. Se l’incidente invece capita perché eravamo fuori o non l’abbiamo visto in tempo è proprio INUTILE sgridare il cucciolo perché è provato che i cani non sono in grado di associare la nostra arrabbiatura a qualcosa che è successo un po’ di tempo prima quindi lui penserà che sia qualcosa che ha a che fare con il presente che vi manda tanto in bestia e quindi otterrete solo di fargli paura ma senza insegnargli assolutamente nulla! Anzi potremmo portarlo a fare delle associazioni sbagliate (ad esempio “il mio padrone odia proprio la popò, tutte le volte che la vede si arrabbia da morire allora io la mangio così non la trova più…”) che poi sono ancora più diffidi da eliminare. Quindi a disastro avvenuto la cosa migliore è far finta di niente (se dimostriamo troppo interesse al contrario il cucciolo può pensare che sia qualcosa di gradito e/o molto interessante per noi e quindi continuare a “proporcela”) e pulire tutto molto bene (meglio se il cucciolo addirittura non ci vede mentre lo facciamo) perché è importante eliminare completamente l’odo-
Avviso importante! E’ stata segnalata su tutto il territorio di Castelnuovo Scrivia e zone limitrofe la presenza di numerosi bocconi avvelenati, sia in aperta campagna che in pieno centro abitato. Continuano a giungere in redazione, inoltre, precise e documentate denunce di deliberato uso di esche avvelenate, sparse nei luoghi frequentati dai cani o addirittura gettate all’interno dei cortili. PRESTATE LA MASSIMA ATTENZIONE !!!
foto Paola Maggi
re di pipì e popò per evitare che, sentendolo, il cucciolo pensi che quella è la “toilette”. Per farlo esistono in commercio dei detergenti che si dicono “enzimatici” che eliminano completamente anche gli odori oltre al “fattaccio”, mi raccomando dite alla mamma di non usare assolutamente l’ammoniaca o prodotti che la contengono perché i composti dell’ammonio (l’ingrediente principale dell’ammoniaca appunto) sono presenti anche nella pipì e quindi anziché togliere l’odore come pensiamo noi stiamo invece rinforzandolo… come se mettessimo un bel cartello grande con su scritto “pipì qui!”. Se invece per problemi magari di lavoro non si può essere presenti proprio tutte le volte che il cucciolo deve sporcare e non c’è a disposizione un giardino dove farlo uscire allora ci si deve rassegnare a qualche incidente in più ed un lavoro un pochino più lungo. Si mettono dei giornali (oppure adesso vendono anche dei veri e propri “pannoloni a tappetino” impermeabili e quindi molto comodi) in un angolo, il cucciolo istintivamente andrà a
sporcare lì (anche perché è una situazione che spesso ha già conosciuto in allevamento) e piano piano li si mette sempre più vicini alla porta fino ad arrivare all’esterno. Certo questa non è forse la soluzione ideale ma è comunque un buon compromesso. Quello che invece vorrei ripetere è con NON SERVE sgridare il cucciolo a cose fatte, gli si insegna solo che siamo delle bestie imprevedibili e che è meglio stare attenti perché non si sa mai quando ci arrabbieremo. Tutti quei signori che dicono di aver insegnato al cucciolo con i metodi che tu Victoria mi dici in realtà ci hanno messo sicuramente mooooolto più tempo di quello che avrebbero impiegato con il sistema che ti ho raccontato io: quello che è successo è che il cucciolo crescendo ha raggiunto da solo la capacità di controllarsi per un tempo sufficiente a non sporcare la sua “tana” (è così che vede la nostra casa) e quindi ha smesso di sporcare ma non perché gli sia stato insegnato. L’ultima aggiunta che volevo fare riguarda soprattutto i cani adulti che provengono da una situazione
non proprio ideale (cuccioloni mal allevati o cani presi in canile): dovremo avere ancora più pazienza con loro perché una delle conseguenze dello stress e della paura che prova un cane con alle spalle brutte esperienze quando si trova in un ambiente nuovo è proprio una alterazione del controllo dei livelli di liquidi nell’organismo e quindi i suoi reni lavorano molto di più della norma “costringendolo” a fare pipì più spesso… sarà un chiaro segnale del fatto che si sta ambientando bene nella vostra casa quando vedrete che la frequenza delle pipì diminuisce.
Se mi trovano un buchino volevo anche rispondere alla “carica dei 101”… non pubblico la vostra letterina perché la mia mamma mi ha sempre detto che “chi si loda si imbroda!” ma volevo ringraziarvi tanto, tanto, tanto per le vostre parole. Come ho già detto (che sia davvero l’arteriosclerosi che avanza?) se c’è un futuro migliore per gli animali quello può venire solo da voi ragazzi (cambiare la testa di noi adulti spesso è un’impresa disperata se non addirittura impossibile) e leggere le vostre parole mi fa pensare che allora uno spiraglio di luce c’è davvero… GRAZIE!!!