Il Mosai K o
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Il Mosaiko Kids si riceve tramite abbonamento annuale, richiedendolo al seguente indirizzo: Favolarevia Editore, via C. Alberto 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) - Tel. 0131 856018 e-mail: favola03@favolarevia.191.it ilmosaiko @tiscali.it
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Castelnuovo,
Piazza Italia
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utti di fronte ad uno schermo. Per l’esattezza un maxi – schermo. Non si registrava da almeno vent’anni, neanche in occasione dell’ultimo mondiale, un evento simile. Forse per i funerali del Papa. Ma, in quell’occasione, ognuno era raccolto in casa. In silenzio, forse pregando, con qualche familiare. La domenica della finale le piazze, i bar, i ristoranti e gli spazi aperti al pubblico sono ritornati ad essere luoghi in cui, almeno per il tempo di una partita e per i festeggiamenti successivi, tutti si sono uniti nella grande impresa che ha riportato in terra patria la Coppa del Mondo di calcio. Anche in piazza il nostro comune ha organizzato un maxi schermo. Nella tradizione di spettacolo che lega Castelnuovo Scrivia ai numerosi appuntamenti durante l’anno sicuramente non poteva mancare. E così è stato. Abbiamo visto tanta gente, tanti castelnovesi e parecchi dei paesi vicini. Per la semifinale di martedì, quella storica contro la Germania, forse quella più sentita, c’era gente da Tortona e da Voghera. Insomma anche in quel caso noi al centro della scena. E poi domenica. Con un gruppo di francesi in visita nel nostro paese vestiti con la maglietta di Zidane e bandierone al seguito in piazza, con gli italiani e i castelnovesi. C’è una bella immagine tra le fotografie scattate. Quella che vede italiani ed extra comunitari, tutti insieme, a tifare per gli azzurri. A rammaricarsi per il vantaggio francese, ad esultare per il pareggio. Ad abbracciarsi sul rigore fallito dagli amici d’Oltralpe. A sostenere il tricolore, bianco rosso e verde. A stringersi per l’Italia. Che è il nostro Paese. Che è il loro Paese. Mimma Franco
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Anno 3 - n° 7, luglio - agosto 2006 Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004 Proprietà ed Editore: Favolarevia, via C. Alberto, 13 - Castelnuovo S. (AL) Periodico mensile Direttore responsabile: Antonella Mariotti Stampa: Tipografia-litografia Fadia, via Soldini 12 - Castelnuovo Scrivia (AL)
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Silvia Pareti
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ono emozioni, vanno vissute perché non sempre nella vita ritornano. C’è un momento per tutto, anche per essere orgogliosi e davvero fratelli, e quando quel momento arriva va fissato nella memoria senza filtri televisivi perché l’ “io c’ero” non abbia solo un sapore insipidamente cronologico. La vittoria ha due facce, come tutte le medaglie che si rispettino. Una è euforica, troppo per andare a dormire. Ti sorride sotto un cielo d’artificio, ti tende la mano da un’auto di passaggio, ti introna di clacson e trombe. Dev’essere questo l’essere fratelli, salutarsi senza essersi mai visti, riconoscersi a pelle per gli stessi colori di una bandiera troppo nuova. Fratelli, non lo eravamo mai stati così tanto nell’arco della mia vita. Tutti stretti intorno ai maxischermi, seduti sulle spine sul comodo sofà di casa, italiani, respiravamo all’unisono, tenevamo il fiato nello stesso momento e nello stesso ci coprivamo gli occhi o saltavamo in piedi per lasciare libera l’esultanza troppo a lungo al laccio impaziente della tensione. Dev’essere questo essere fratelli: reggere un lembo dello stesso drappo. C’è una bandiera che copre la piazza come un lenzuolo tanto è grande, la tengono un po’ tutti, la fanno sventolare, bandiera vincente va ostentata e tutti se ne vogliono sentire parte. Tante mani che si sentono unite, che importa se pochi
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I festeggiamenti in piazza a Castelnuovo Scrivia - foto Bruno De Faveri
mesi fa destra e sinistra si spaccavano in due per mettere una croce, e non si parlavano se non a insulti, se alcune si giungono in preghiera e altre non si sudano il pane per la bocca, se alcune
sono graffiate dal lavoro e altre sono anche loro sporche ma da fuori non lo si può vedere, se sono mani abituate a dare o che hanno sempre e solo preteso. Sono tutte sorelle, si stringono, si
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Marta Lamanuzzi
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E’ PROPRIO VERO, i campioni siamo noi... di Marcello Spinetta
della nostra infanzia
on credo che molti di voi da bambini siano stati portati dai genitori tutte le estati alle Maldive, piuttosto che ai Carabi o in Polinesia o in qualche altro posto da sogno, di quelli che si vedono solo nelle cartoline, con le palme, la sabbia d'Avorio e il mare di cristallo. Però credo che nel vostro cuore occupi un posto speciale la località, anche modesta, balneare o montana in cui avete passato gran parte delle vacanze della vostra infanzia. Magari è una località dove hanno la casa i nonni, che offre poche attrazioni entusiasmanti e non pullula di locali “in”, ma l’affetto che vi lega ad essa la rende ai vostri occhi il luogo più magico della terra. Se ci tornate dopo parecchi anni che non ci mettevate piede, girando per le vie, rivedendo case, negozi e strutture indelebili nella vostra mente, proverete un’emozione particolare, una sorta di dolce e sfocata nostalgia. La vista di qualcosa di nuovo potrebbe infastidirvi, gelosi di quel vostro ricordo che vorreste che nessuno modificasse. Se non avete mai smesso di andarci forse non smetterete mai di farlo. In conclusione, quando si parla di vacanze, esistono due tipi di mete: quelle rinomate, caratteristiche, pluriattrezzate, chic, a cui aspirano un po’ tutti e quelle personali a cui solo il nostro cuore gonfio di rosei ricordi aspira. Queste mete non sono universali, ognuno ha la propria. E di rimando questa località, apparentemente anonima e insignificante per chiunque, emana solo a chi la possiede nella memoria un piacevole calore di serenità, un fievole bagliore di gioia, un rincuorante senso di protezione e immortalità e un eterno aroma di vita e di ricordi.
salutano, si fanno notare puntando i pugni al cielo come a chiamare testimoni persino le stelle di questa notte
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cronache del dopo esame UNIVERSO “MATURA” di Simona Lucarno MATURI, EH? di Livia Granata Diario Fotografico Francia: NORMANDIA foto di Chiara Geloni
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LACRIME DI CIGNO - seconda puntata di Chiara Beretta
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Isola Sant’Antonio LA SAGRA DEL MELONE
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foto Favolarevia
do del calcio italiano era stato investito da un grande e vergognoso scandalo: “Calciopoli” o “Moggiopoli”, chiamatelo come volete. Fatto sta che si temeva che questa complicata situazione rovinasse l’immagine italiana a livello mondiale e che, soprattutto, i nostri giocatori ne fossero altamente influenzati. Invece sono riusciti ad estraniarsi da questa vicenda e sono giunti in terra tedesca con un unico e fermo obiettivo: regalare all’Italia il trofeo che mancava ormai da 24 anni, da quel mondiale di Spagna ’82 che ci aveva laureato campioni del mondo per la terza volta. Ora invece le stelline sullo scudetto della maglia azzurra sono diventate quattro. Quattro come le straordinarie partite, ricche di emozioni, che gli azzurri hanno condotto dopo la fase a gironi. Dal rigore all’ultimo minuto di gioco contro l’Australia, siglato da Francesco Totti, al netto 3-0, con cui abbiamo annientato l’Ucraina, ai due gol in due minuti, allo scadere del secondo tempo supplementare contro la Germania, per arrivare, infine, all’esaltante trionfo di Berlino, tutto è stato gioia. Vedere la faccia incredula di Fabio Grosso, un calciatore sconosciuto alla platea mondiale prima di Germania 2006, dopo lo straordinario gol contro i tedeschi che ha fatto impazzire tutti gli italiani, mi ha fatto capire sempre di più che il futuro è di chi crede nella bellezza dei propri sogni. Ognuno di noi, sono sicuro, sognerebbe, in-
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che non sarà una meteora ma una cometa. Ma c’è l’altra faccia della medaglia, una faccia che è una smorfia amara, che non sorride, ma ride e sbeffeggia, si prende gioco dei nostri occhi lucidi e ingenui incantati dai caroselli, del nostro prendere un gioco sul serio mentre ci giochiamo con leggerezza cose importanti, di chi sa tutto dei giocatori e dimentica il nome dei ministri, che studia le formazioni ma non si spreca a sfogliare un giornale. Quelli che sono orgogliosi dell’Italia solo quando vince e non scendono in piazza per le cose che si dovrebbero cambiare. Che i francesi vanno distrutti ma preferiscono lo champagne allo spumante, che i tedeschi sono crucchi ma poi girano in BMW mica in FIAT, che gli USA non contano nulla ma poi vivono all’ombra dell’ormai pensionabile mito americano. Quelli che non hanno proprio capito che anche ieri eravamo italiani e fratelli, ma soprattutto, che anche domani dovremo esserlo. Non solo per gioco.
Marcello Spinetta
quella del 9 Luglio scorso è una di quelle sere in cui ogni italiano sente l’esigenza di gridare per ore e ore in mezzo alle strade del proprio paese che essere nati qui, in Italia, nonostante le difficoltà che circondano il nostro Stato, è bello e soddisfacente più di ogni altra cosa. E’ stata una sera in cui ognuno di noi ha rimosso dalla propria mente problemi e preoccupazioni, perché l’orgoglio nazionale, l’orgoglio di essere italiani ha cancellato ogni altra sensazione. E’ una di quelle sere che vorresti non finissero mai, perché finire,in quel caso, significherebbe staccare la spina, porre termine ad un’euforia e ad una voglia di vivere che provi raramente nel corso della tua esistenza. Sono stati momenti in cui, per una volta, essere qui in questo mondo sempre più difficile ed ingrato, per noi italiani, si è rivelato estremamente appagante. Sì, perché il 9 Luglio la Nazionale azzurra di calcio, i suoi tifosi e l’Italia intera hanno potuto urlare in faccia a tutti con il cuore in gola: “SIAMO I CAMPIONI DEL MONDO”. Dopo una sfida interminabile e appassionante con la Francia, infatti, i 23 azzurri, guidati dal Mister Marcello Lippi, hanno regalato a noi tutti una delle più belle vittorie sportive degli ultimi tempi. Una vittoria che alla vigilia del nostro esordio contro il Ghana sembrava veramente difficile da raggiungere. Tutti i pronostici davano favorito il Brasile, quel Brasile di stelle che sembrava imbattibile e che, invece, proprio contro la Francia, nei quarti, ha rimediato una figuraccia. Dopo i brasiliani erano dati possibili vincitori gli Argentini, gruppo compatto e affiatato, ma che ha dovuto lasciare prima delle semifinali. E poi proprio la Francia, che noi italiani abbiamo, e passatemi il termine, “schiaffeggiato” con cinque tiri dal dischetto davvero implacabili. È una vittoria che ha anche il sapore di rivincita. Infatti, proprio i calci di rigore ci avevano negato il successo mondiale ad Usa ’94 contro il Brasile, con il famoso e triste errore di Roberto Baggio, e ci avevano bloccato ai quarti di finale nel 1998 contro i padroni di casa francesi. E ancora nel 2000 i transalpini avevano avuto la meglio in finale degli europei con un golden gol di Trezeguet, che l’anno dopo avrebbe trovato successo proprio nel campionato italiano. Quest’anno, invece, i nostri ragazzi hanno avuto la meglio, dimostrando sul campo e fuori che il carattere nel calcio conta eccome, e loro, credetemi, di carattere ne hanno avuto in abbondanza. Pochi giorni prima che la Nazionale partisse per la Germania, infatti, il mon-
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fatti, con un’impresa personale, eroica, di far gioire un’intera nazione, la propria nazione, la patria dov’è nato e dove vive. Vedere poi le espressioni gioiose ed euforiche dei giocatori al momento del trionfo credo che abbia fatto dimenticare a tutti gli sportivi italiani come il calcio, al giorno d’oggi, sia sempre meno uno sport pulito e sempre più una questione di soldi. Per una sera i nostri ragazzi ci hanno fatto capire che il calcio è, soprattutto, divertimento allo stato puro, uno sport per il quale vale la pena soffrire e patire ma che,alla fine, regala sempre un sorriso. Sono questi, a mio parere, i principi in cui noi giovani sportivi dobbiamo credere e crescere, è da queste sere di gioia e di passione che noi dobbiamo imparare cos’era e che cos’è il calcio. Non è lo sport fatto di atti violenti, come la testata di Zidane a Materazzi, che ha macchiato la carriera di un grande campione, ma è lo sport che deve accomunare e riempire, talvolta, di orgoglio. E penso che ogni italiano in questi giorni sia pieno di orgoglio nazionale. Perché vedere il nostro capitano Cannavaro alzare al cielo di Berlino la coppa del mondo e, dopo una notte di festeggiamenti, svegliarsi l’indomani, comprare il giornale e constatare che quella vittoria non era un sogno ma la pura realtà, ti rende veramente orgoglioso. E io, credetemi, mi sento di dirlo a tutti voi, amici miei, di essere italiano ne vado veramente fiero.
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universo “matura” l ’ o r d i n a r i o Simona Lucarno
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er ogni cosa che finisce ce n’è subito un’altra che comincia. Mercoledì 28 Giugno 2006 si è conclusa per me la lunga e ricca esperienza liceale e anche se ora mi sto arrotolando tra un relax intriso di domande capitali del tipo “che ne sarà di me alla fine dell’anno? Che università avrò scelto? Dove sarò?” (chiamasi “fase panico”). L’idea che comunque sai che qualcos’altro comincerà è una garanzia di sicurezza e pensare che fino a pochi mesi fa ero così sicura di quello che avrei fatto che iniziavo già a sorprendermi, ma ora che devo davvero scegliere tutto sfuma, ma non voglio certo lagnarmi, soprattutto per tutti quelli (colleghi compresi) che l’anno prossimo faranno la stessa esperienza. Credetemi, ogni singolo sforzo, ogni ora passata insonne sui libri, ogni attacco isterico e ogni singola bustina di vitamine (il cambio di stagione non aiuta di certo) valgono la sensazione che si prova quando tutto è finito, che non è esattamente una semplice euforia, è come una sublime sensazione di vuoto: esalta e spaventa al tempo stesso. Rendersi conto di tutto in un colpo che non ci saranno più verifiche, interrogazioni programmate o compiti a sorpresa ha l’effetto di uno shock… “Non ci credo” viene da ripetersi e se da una parte riporre tutti quei libri, quelle sudate carte in cantina ha un certo fascino perverso e appagante di potere e soddisfazione, oltre a un’improvvisa “disoccupazione” un’altra cosa lascia perplessi: riuscirò a mantenere i
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contatti con tutti quelli del liceo? Con la fine degli esami la diaspora è già cominciata ma mi rendo conto che nonostante le buone intenzioni di tutti, l’energia catalizzata dal momento della firma al termine dell’orale sino ad ora fa prevalere la voglia di evadere, anche un po’ di tagliare i ponti e darsi una botta di vita… Del resto è passato troppo poco tempo per cominciare già a sentire la nostalgia. Però è veramente profonda la sensazione che ho provato la sera della cena di classe: nel salutarsi un po’ di commozione era più o meno negli occhi di tutti. I pensieri sono ancora un po’ confusi… Provo davvero un senso di rinascita, l’aver attraversato un periodo e un’esperienza come la maturità che chiudono un capitolo importante per la formazione globale della persona, in cui si godeva ancora di una certa protezione, e aprono un orizzonte così ampio che lascia quasi paralizzati… E adesso? Forse sono veramente le soglie della giungla… E allora ogni interesse, anche quello più dimenticato e più sopito, rispunta fuori chissà da dove giusto per complicarti ancor più la fatidica scelta: quale facoltà??? Così mi ritrovo a simpatizzare per la medicina, la biologia, l’architettura, la psicologia, le terapie naturali con una spruzzata di interessi artistici… E mi rendo conto di essere più in crisi ora che quando dovevo ripassarmi cinque libroni al giorno. Eppure l’idea di entrare in un mondo nuovo, nuova gente, nuove responsabilità, nuovi pensieri, più autonomia e finalmente poter essere artefici a 360° delle proprie scelte e della propria organizzazione mi dà una gran voglia di cominciare,
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Pablo Picasso, Regina Isabeau (particolare). Museo Pushkin, Mosca.
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anche se non sarà facile comunque. Ma per ora ci sono ancora le vacanze con le amiche, qualche pomeriggio in piscina, gli allenamenti imperdibili, i giri in moto, la patente, la conquista del venerdì sera! E proprio questo è stato il primo cambiamento che ho notato: poter andar in disco al venerdì! Finalmente facce nuove e gente più grande. Tuttavia ancora ricordo il panico di metà maggio… Un calendario che straboccava di interrogazioni su tutti i programmi dell’anno e io e una mia compagna (in quanto rappresentanti di classe) ci mettevamo le mani nei capelli più degli altri per riuscire a distribuire i turni in modo più equo possibile tra i compagni. Quel foglio appeso al muro che scandiva giorno dopo giorno, materia per materia, chi sarebbero stati i prossimi a passare sotto il torchio dell’interrogazione è ancora un incubo! Lo abbiamo strappato tutti insieme una volta finito tutto… Ma non pensiate che i professori se la passassero meglio, certo quando qualcuno usciva dicendo che bisognava farci stare anche la sua materia in quel groviglio, ammetto che tanto simpatico, con tutta la buona volontà, non risultava, ma in fondo la “matura” è un tour de force per tutti: tempi stretti e tanto lavoro da fare. Ritengo che l’ultimo mese di scuola, se affrontato col giusto impegno e una sana ambizione di dare il massimo, fino all’ultima goccia per l’appuntamento finale sia un’esperienza che fortifica e fa maturare. Una sorta di simulazione di quello che sarà l’università o il lavoro:
ci sei solo tu e un obiettivo, ognuno si organizza a modo suo, sceglie un suo metodo e si fissa un risultato da raggiungere nel tempo stabilito… Ma non è più solo una delle tante interrogazioni che puoi recuperare in caso vada male: è un qualcosa di unico e indelebile. E questo senso di responsabilità, l’avere tutto questo in mano superava la tensione e la paura e mi ha aiutata a rimanere abbastanza lucida: dopo tutti quegli sforzi non ci si può permettere per rispetto delle proprie fatiche di danneggiare tutto per un attacco di ansia. E finito l’orale, vedere i professori partecipi della tua felicità ti fa assaporare quanto sia bello che il proprio impegno sia stato capito, apprezzato e alla fine ricompensato. Non vi dico oggi, giovedì 13 luglio alla consegna dei diplomi con annesse tutte le pagelle degli scorsi anni… Forse solo ora mi rendo conto del tempo passato e di tutto quello che è stato. E mi trovo felice e soddisfatta in un immancabile sospiro di pienezza come quello che potrebbe fare un artista nel rimirare la sua opera finalmente terminata… Si può dire che anche questa esperienza, se condotta con costanza e voglia di riuscire, può essere come un’ opera d’arte, un qualcosa di talmente proprio e di cui magari essere anche orgogliosi. Insomma, mille e mille cose si provano si provano dopo la “matura”, quasi da estraniarti da te stesso… Sembra veramente di essere in un film! Il mio consiglio: tenere duro fino alla fine, vale la pena impegnarsi con decisione nonostante la fatica ma soprattutto con metodo e con criterio. Cosa sarà dopo? Questo neanche io ancora lo so.
Maturi…eh? Livia Granata
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Pablo Picasso, Donna con ventaglio (particolare). Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.
uando inizi le scuole sai che alla fine dei cinque anni canonici sarai sottoposto ad un esame chiamato *maturità* che dovrebbe aver il compito di giudicare il tuo grado, appunto, di maturità. Ma nessuno ti spiega che in realtà non si diventa automaticamente maturi dopo aver sostenuto tale esame, nessuno ti spiega, anche se arrivi a capirlo benissimo da solo, che si tratta di una mera formalità, spogliata di qualsiasi effettivo significato e ridotto a simulacro e vestigia di un’antica tradizione che non si riesce proprio a sopprimere. Si è infatti portati a domandarsi come si possa decidere un voto che dovrebbe essere riassuntivo del lavoro svolto in tutti i cinque anni in base ad un singolo esame, il cui esito può essere molto al di sopra oppure al di sotto della solita media dello studente. E’ con questa consapevolezza, con la consapevolezza cioè di svolgere non un vero e proprio esame, ma di adempiere solo ad un’inutile formalità, che la
maggior parte degli studenti di oggi affronta la maturità,consci del fatto che i tuoi professori, che compongono la commissione esaminatrice, ben conoscono il tuo passato impegno e le tue potenzialità, e che quindi sicuramente faranno in modo di darti il voto che loro ritengono sia più giusto per te, a prescindere dagli effettivi risultati conseguiti nel corso dell’esame. La maturità, tuttavia, segna un punto di svolta importantissimo a livello personale. Infatti, nonostante tutto, l’emozione è davvero tanta, specialmente quando ti trovi ad affrontare il colloquio finale: e ciò che ti terrorizza di più non è tanto il non sapere ciò che potranno chiederti, ma piuttosto la consapevolezza che dopo quel colloquio, nel bene o nel male, si concluderà per sempre un periodo della tua vita molto, molto lungo, quello della scuola dell’obbligo, e dopo di ciò dovrai essere pronto ad affrontare un mondo completamente nuovo, quello del lavoro oppure l’università. Il sapere che stai per lasciarti alle spalle la realtà che conoscevi così bene, che ti ha causato così tanti guai e problemi ma a cui, in fondo, ti eri affezio-
nato è il pensiero che più ti paralizza. Non vuoi guardare avanti, non vuoi pensare a ciò che verrà dopo il colloquio, pensi solo alla tua ultima interrogazione e riversi tutte le tue ansie in quella…e quando tutto finisce, quando ti senti dire “Ciao e buone vacanze!” dai tuoi professori nel rispondere per la prima volta ti accorgi realmente che non ci sarà più un “primo giorno di scuola”, che il collante che ti ha tenuto unito,a volte anche contro la tua volontà, a tutti i tuoi compagni che con te sono cresciuti e cambiati è appena venuto meno, ora non ci sarà più nessuna classe comune sotto la cui insegna ritrovarsi, ma bisognerà trovare un altro collante, ancora più forte, per non dimenticare o perdere di vista le persone a cui realmente tieni. E quando per l’ultima volta percorri le scale che ti portano fuori dalla tua scuola, che così tante volte hai maledetto e contro cui hai inveito, inevitabilmente non può non sorgerti un sorriso ripensando a come sei cambiato e a come ti ha cambiato, e con il cuore più leggero puoi finalmente guardare al domani, con la consapevolezza di essere, forse, finalmente pronto e maturo.
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diario fotografico
foto di Chiara Geloni
Normandia
(Francia)
In senso orario:
Mont Saint-Michel, una veduta delle falesie, la cattedrale di Auxerre, un’abitazione tipica ad Entretat.
Via Cavour, 4 CASTELNUOVO SCRIVIA tel. 0131 826588
M. Zucca
progetto grafico favolarevia
“Un giorno portai alla maestra una mela e lei mi diede un bacio. Il giorno dopo le portai un’anguria ma lei non capì”
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L a c r i m e U n ’ a m i c i z i a Chiara Beretta
La prima puntata è stata pubblicata sul Mosaiko numero 5 di maggio 2006
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yler si rivolge a Lucia: “Scusa, ma si è fatto molto tardi. Devo tornare a casa. Ti saluto mamma e papà, ok? Torno domani. Ciao e buonanotte”. Dopo aver salutato Lucia si gira verso di me, mi guarda, sorride e poi esce dalla stanza. Passata una mezz’oretta l’infermiera ci porta la cena e, conversando un po’, abbiamo mangiato tutto. Ho sonno, mi corico e intanto penso. Non riesco a dormire, e continuo a non riuscirci neanche adesso, benché sia già passata un’ora. Mi viene in mente Tyler, il fratello di Lucia. Il suo volto esprime intelligenza e simpatia, i suoi occhi, invece, allegria e dolcezza. Mi sento strana, come se stessi volando… non ho mai provato una sensazione così forte… che sia… Amore? No, non è possibile, non di nuovo, non a me. Non devo affezionarmi a Tyler, non voglio innamorarmi, non posso innamorarmi. Sono già cascata nella trappola di un maschio, ho già provato dolore e non voglio provarne ancora. Non solo per quello, ma anche per un altro motivo. Insomma, che senso avrebbe innamorarmi se tra poco morirò? SE la morte mi accetterà con sé? Non ho amici, non ho nulla, allora perché vivere? Perchè soffrire ancora? Vi è solo un problema. Io ho, e ho sempre avuto, paura della morte. Perché negarlo se è la verità? Perché mentire? Perché rifiutare questa mia paura? In fondo prima o poi sarei morta comunque, no? Ma ho sempre desiderato vivere, prima di incontrare la malattia. Ora, però, è nata una speranza. Lucia. Lei è gentile e simpatica. Mi chiedo se potrebbe diventare mia amica. Da quando è arrivata, mi sento più leggera e serena. Però… ho sentito dire che la dimetteranno presto, e quindi, andrà via e si dimenticherà di me. Un brivido mi ha percorso la schiena. Non voglio pensare a quando se ne andrà, non devo pensarci. Ora voglio solo una cosa, voglio dormire e dimenticare. Dimenticare le mie paure e sognare. Sognare delle amiche, una famiglia, voglio sognare il sole, voglio rivedere Sunny, insomma voglio sognare la vita. E’ passata una settimana dalla prima volta che ho incontrato Lucia, e, puntualmente, i suoi amici. Ho legato molto con lei e con i ragazzi, ma ho legato molto anche con Tyler. Credo che sia ora di raccontare la verità, la vera storia della mia vita. Mi alzo, Lucia è vicino allo specchio che si pettina. La sua gamba ed il suo polso sono quasi guariti, e sul suo viso, c’è sempre quello stupendo sorriso. Mi avvicino titubante. E’ da settimane che non mi avvicino ad uno specchio, e questo mi preoccupa. Sono sicura di avere un aspetto orribile, devo essere magra, pallida e con i capelli raccolti in una maldestra coda. Mi avvicino a Lucia, lei mi guarda e mi rivolge un ciao. Io ricambio e poi pronuncio le orrende parole: “Lucia, devo parlarti. Voglio dirti perché sono qui e perché i dottori non sanno più cosa fare con me”. Lei annuisce e mi dice: “OK. Siediti, io ascolterò la tua storia”. Mi siedo. Lei mi scioglie la coda e inizia a pettinarmi dolcemente i capelli. IO riprendo a parlare. “Ok” faccio un respiro profondo e poi un altro “Tu sai che sono malata, ma non sai di cosa. Ebbene, io sono malata di leucemia” faccio un altro respiro profondo “I dottori stanno cercando una cura, ma per il momento non l’hanno ancora trovata. Vedi, anche mia madre era malata, è morta quando io avevo due anni. Mio padre, invece, morì in un incidente quando io avevo dodici anni. Per un anno ho vissuto da mia cugina Francesca, poi, facendo degli esami, si sono accorti che la mia malattia era peggiorata e che, se presa in tempo, si poteva curare. Così mi trasferii qui, ma le loro macchine non erano sufficienti. Non potendo io trasferirmi a Londra, hanno inviato un mio campione di sangue ad un ospedale. I dottori stanno ancora studiando il mio sangue, cercando una cura. Dicono che possono riuscirci, possono guarirmi, ma io non credo molto alle loro parole. Comun-
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que, da quando conosco te ed i tuoi amici, ho riacquistato la speranza. La speranza di vivere.” Ecco l’ho detto. Le ho detto la verità. Lei non parla. Non mi ha interrotto e ora non mi sta dicendo nulla. Questo silenzio mi fa paura. Ha smesso di pettinarmi. Allunga la mano, prende un elastico e mi raccoglie i capelli in una curatissima coda di cavallo. Non ho i capelli molto lunghi, arrivano all’incirca alle spalle, ma lei è riuscita a farmi una coda bella e curata. Sono riuscita a guardarmi allo specchio. Non sono orribile. Sono un po’ pallida, ma il viso è carino, non sono magra e le mie labbra sono rosse e carnose. Lei apre la bocca: “Anche io devo dirti una cosa. Vedi, la mia gamba ed il mio polso sono quasi guariti, perciò i dottori hanno deciso di dimettermi. Me ne andrò domani pomeriggio”. Ecco, lo sapevo! Una sola volta che mi sento bene, che decido di vivere, la vita stessa mi viene a mancare. Perché se ne deve andare? Perché anche lei mi deve abbandonare? Una volta che se ne sarà andata, si dimenticherà di me, e con lei i suoi amici e anche Tyler. Per loro non esisterò più. Sento le lacrime salirmi agli occhi, sento freddo, voglio urlare. Lucia riprende a parlare: “Alzati”. Obbedisco. Lei mi prende e mi abbraccia. “Senti, voglio dirti una cosa: anche se me ne andrò, voglio che tu sappia che non ti dimenticherò. Verrò a trovarti e rimarrò per sempre tua amica. Devi credermi. Io non ti mentirei mai”. Ci stacchiamo. Lei si osserva il polso destro, quello senza fasciatura. Si toglie una delle due bande: “Dammi la mano” mi dice. Obbedisco di nuovo. Lei mi prende il polso che le ho teso, e mi lega la fascia che ha in mano. Poi mi dice: “Così ogni volta che guarderai la fascia, ti ricorderai di me, e saprai che io non ti dimenticherò, né ora né mai!”. Non riesco trattenere le lacrime, così cedo e piango come una fontana. Mi avvicino a lei e l’abbraccio, forse troppo forte, ma non posso fare altrimenti. Poi la lascio, lei sorride ed io ricambio il sorriso. Ci mettiamo a sedere sul mio letto, e iniziamo a giocare a carte. Giochiamo per tutto il pomeriggio, fino all’ora di cena, ridendo, scherzando e chiacchierando su tutto e su tutti, come due vere amiche. Bussano alla porta. E’ l’infermiera che porta la cena. Non ci eravamo accorte che fosse già sera, ridevamo e ci divertivamo così tanto che avremmo voluto fermare il tempo, ma purtroppo non abbiamo questo potere. Abbiamo mangiato tutto e volentieri, e una volta finito ci siamo messe a parlare. “Sai, tu piaci molto ai miei amici, vorrebbero conoscerti meglio quando uscirai da qui” mi dice. “Non so se uscirò; almeno non so se uscirò da qui ancora viva. Però lo spero tanto” rispondo. “Stai tranquilla, tu uscirai da qui viva e non solo, sarai ancora più bella di quanto non sei adesso”. “Ti ringrazio” le dico “Ti va di dormire? Io ho sonno”. “Sì, ne ho anch’io! Buona notte Lucy”. “’Notte Eli” mi risponde. Mi giro e mi corico. Sto bene. È la prima volta che sto così bene ed è anche la prima volta che mi sento viva. Non ci credo neanche io ma è così. Chiudo gli occhi e mi addormento. Quando mi sveglio è già mattina. Mi alzo, mi guardo in giro, però non vedo Lucia. Mi alzo dal letto e vado allo specchio. Sul comodino vicino allo specchio c’è una lettera. La prendo e la leggo: “Ciao Eli, mi dispiace ma hanno anticipato la mia uscita dall’ospedale. Volevo salutarti, ma tu dormivi così profondamente che non me la sono sentita di svegliarti. Scusa. Però sono riuscita a scriverti questa lettera dove esprimo tutto il mio affetto per te. Ti verrò a trovare e ti manderò dei fiori. Promesso. TI VOGLIO BENE. Lucy” No. Se ne è già andata. Non è possibile. Mi mancherà tantissimo. Pensare che mi manca già adesso. Come farò? Beh, in qualche modo andrò avanti. Aspetterò che mi venga a trovare e aspetterò i suoi fiori. Aspetterò all’infinito se necessario, lo prometto. Sono già passate tre settimane, ma lei non è ancora venuta e non mi ha mandato nemmeno un fiore. Penso che mi abbia dimenticato. Lo sapevo. È successo di nuovo. Non poteva che essere così. In fondo a nessuno importa di me. Sono so-
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n e l l ’ o s c u r i t à la. Lo sono sempre stata. Ora di più. Perché? Perché non sono considerata da nessuno? Perché devo patire così? Io non ce la faccio più! Voglio smettere di soffrire, voglio smettere di essere solo una povera bambolina con una grave malattia! Io voglio tornare ad essere Sunny! Ma se tutto questo dolore è il prezzo, preferirei volentieri scomparire, preferirei volentieri morire! Fin da quando ero piccola sognavo di essere una farfalla, che volava su nel cielo e che poi, dolcemente, si posava su un giglio. Un meraviglioso giglio nel quale erano custodite delle lacrime. Le lacrime di un cigno. Nell’antichità si diceva che le lacrime di un cigno erano rarissime e che, se bevute, curavano ogni male. Io avrei voluto bere quelle lacrime, ma ben presto capii che erano solo una leggenda e che i cigni non piangono. Eppure, nel mio cuore, c’era e c’è ancora la convinzione che le lacrime di cigno esistano e perciò il mio unico desiderio prima di morire, è questo: bere le lacrime di un cigno. Non so perché, ma mi è tornata alla mente questa storia, come un avvertimento, come se stessi per morire da un momento all’altro. Probabilmente è solo una mia sciocca ipotesi, eppure sento distintamente questa sensazione: la sensazione del dolore, del dolore denso, intenso, che solo con la morte puoi provare. Improvvisamente sento freddo. Devo smetterla di pensare a cose così orribili. Sento il bisogno di riposare e così mi corico e chiudo gli occhi. La mia mente inizia a vagare e io non ne ho più il controllo. Mi appare l’immagine distinta di una farfalla che sta volando nel cielo. Molto lentamente scende e si posa su un fiore, ma non un fiore normale, si posa su un giglio. All’interno vedo delle gocce e ci metto giusto pochi secondi a realizzare che si tratta di lacrime, lacrime di cigno. Mi sveglio di colpo e mi accorgo che ho il fiatone e non capisco il perché. Ho ancora quell’orribile sensazione e, purtroppo, non riesco a levarmela dalla mente. Ho i brividi, sento freddo ed ho una terribile sensazione di paura. Mi accorgo che è sera e che di fianco al letto c’è il piatto con la mia cena. Così mangio, bevo, mi corico e mi sforzo di dormire e così cado in un sonno profondo. Quando mi sveglio è già mattina ed ho ancora quella brutta sensazione. Non so perché, ma mi viene da piangere. Non mi piace sentirmi così, vorrei poter cancellare questo orribile sentimento, questa orribile angoscia che mi sta opprimendo. Cosa mi succede? Cosa ho? Perché sto così male? Non lo so nemmeno io. Il tonfo della porta mi distoglie da ogni mio pensiero. È l’infermiera. Entra e mi dice: “Ciao piccola Elisabetta, ti ho portato due cose: … dei fiori ed una ranocchietta di peluche. Te li hanno portati i tuoi amici”. “Oh, grazie di avermeli portati, sei stata davvero gentile. Perché non sono entrati a salutarmi?” le chiedo. “Perché oggi non potete ricevere visite. Mi dispiace. Ora devo andare, torno più tardi, ciao” mi risponde. Esce e chiude la porta. Ha appoggiato tutto sul comodino. Prendo il biglietto che si trova tra i fiori e lo leggo: “Perché tu possa guarire presto. I tuoi amici” poi allungo la mano e prendo la ranocchietta. Al collo c’è appeso un fogliettino. Leggo anche quello: “dolci saluti e dolci baci. Da Lucy e Tyler”. Sono stati gentili. Ad un tratto mi accorgo che non ho più i brividi e che, sul viso, mi è comparso un dolce sorriso. È da tanto tempo che non sorrido più. Mi accorgo di essere ogni giorno più debole e di perdere la gioia che Lucia era riuscita a regalarmi. Ora però sorrido. Sto sorridendo davvero! Chiudo gli occhi e mi immagino fuori, al sole sotto il cielo blu a ridere e giocare con Lucia, Tyler e gli altri. Li riapro e mi accorgo che la mia gioia è già svanita. Il mio sorriso si è già spento ed il mio stato d’animo è mutato. Ho un senso di profonda angoscia e di terribile paura. I brividi sono tornati, il freddo è aumentato. Le mani hanno iniziato a tremare, facendo cadere il pupazzetto. Mi spavento. Che succede? Cosa mi prende? Perchè tremo? No! Basta! Non voglio avere paura. Tutto d’un tratto mi blocco. Non tremo più. I brividi sono cessati ed il freddo è passato. Sono ancora impaurita. Non riesco a spiegarmi tutto ciò. Perché il mio corpo mi gioca questi brutti scherzi? Di colpo mi viene in mente una cosa. Che sia
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m a l a t t i a
2ª puntata
Illustrazione di Martina Delfanti
davvero ciò che penso? No. Non posso aver ragione, non voglio avere ragione. Devo lasciare perdere. Ma se fosse davvero così? Se questi sbalzi siano davvero collegati alla mia malattia? No. Non è possibile. Non può essere. Basta, non ci devo pensare. Tutto ciò che devo fare adesso è rilassarmi e stare bene. Sono passati altri due giorni e, per fortuna, i brividi e tutte quelle brutte sensazioni sono scomparse. Ora sto bene, cioè, sto meglio di prima. Sento bussare. Si apre la porta ed entra l’infermiera. Mi guarda e mi sorride benevolmente. “Ho una sorpresa per te. I tuoi amici sono appena passati e ti hanno lasciato un regalo, solo che ci hanno ripensato e hanno deciso di dartelo di persona!”. L’infermiera si sposta e compaiono le facce felici di Lucia, Tyler e Ryan. Di colpo il mio volto cambia espressione, non è più spento e triste, ma bello, felice e con un enorme sorriso. Mi alzo, scendo dal letto e inizio a correre verso la porta. Ad un tratto, però, le forze mi vengono meno, cado a terra, inizio a tremare e sento freddo. Mentre la paura mi assale, sento in lontananza tante voci spaventate, sento Lucy gridare, sento Tyler e Ryan, sento i dottori, le infermiere e poi la vista mi si appanna, lasciando spazio ad un nero infinito, lasciando spazio all’oscurità. Ho paura: non so dove mi trovo. Intorno a me è tutto scuro e la mia mente non funziona. Ho freddo. Un freddo assillante, ti penetra dentro, fino alle ossa e te le congela. Non vedo né sento nulla e così il mio timore e la mia angoscia continuano a crescere. Cosa posso pensare? Non so. O forse sì. So che sono in bilico. Sto lottando tra la vita e la morte, e credo che stia prevalendo quest’ultima. La vedo. È lì, di fianco a me che sorride. Mi ripugna, ma al tempo stesso riesce a diffondere un senso di pace eterna. Lei non è brutta, almeno non di viso. È carina, magra, bianca coi capelli neri e vestita tutta di nero. Ha un aspetto carino, ma ciò che mi inquieta è la falce che tiene in mano. So che con quella falce può tagliarmi il collo e portarmi per sempre con lei. Sembra pronta per compiere un lungo viaggio in mia compagnia. Non credo che abbia intenzione di andare senza di me.Intanto il freddo aumenta e i battiti del mio fragile cuore si fanno via via più lenti. Sento di non avere forze. So di non riuscire a lottare. D’un tratto mi appaiono nitide le immagini di Sunny. Era bella, dolce, felice, servita e riverita, sempre coccolata da tutti. Aveva un viso pacifico e fiero di non avere paura di nulla. Stava bene con i suoi amici, ma essi la tradirono, mi tradirono, perciò mi rimase solo il calore di mio padre. Io gli volevo bene, ma qualcu-
no decise che non potevo avere felicità e perciò mi tolse anche lui, così rimasi sola. Questi ricordi mi fanno male, mi trafiggono come una lama affilata che piano piano mi penetra dentro, colmandomi di dolore, lo stesso dolore che subisce la mia mente, la mia anima.Non ho la forza sufficiente per respingere tutto ciò, così le immagini si susseguono, una dopo l’altra per farmi più male che mai, per farmi morire dentro. Sento di dover piangere, ma il mio corpo non ha più lacrime; sento di dover gridare, ma il mio corpo non ne ha più la forza. Non mi rimane altro che soffrire, che crogiolarmi nel mio dolce dolore, quello stesso dolore che mi infliggo da sola, che non fa altro che distruggere la mia anima ed il mio corpo. Non riesco a smettere di soffrire, eppure voglio farlo, così decido. Decido di compiere quel passo importante tra vita e morte. Ho scelto la morte. Lei mi tende la mano. Io allungo la mia, ma mentre sto per afferrare la sua, ecco che mi appare un’immagine nitida e gratificante. Lucia. Mi appare il suo volto, il suo sorriso e quello di tutti gli altri. Di tutti i miei amici. Io non sono sola. Non lo sarò mai e non voglio esserlo. Voglio tornare da loro, voglio la vita. Ritiro la mano e cerco in tutti i modi di cacciare via la morte. Se mi vuole, dovrà aspettare, perché io non ho intenzione di arrendermi, io non voglio morire, io voglio stare con i miei amici, io voglio tornare ad essere Sunny, io voglio vivere. Le forze ritornano. Non ho più freddo, né paura, anzi, sento il mio cuore ricolmo di calore. Apre piano e dolcemente gli occhi e davanti a me vedo un cigno, un enorme cigno. Richiudo gli occhi. Forse ho visto male. Li riapro e il cigno è ancora lì. Giro la testa e vedo, finalmente, i volti di Lucia, Tyler, Ryan e tutti gli altri. Li guardo, mi alzo, sorrido, e abbraccio Lucia e con tutte le forze che ho, gridando: “Sono viva!”. Loro ridono e vengono ad abbracciarmi. “Ci hai fatto spaventare. Non vogliamo perderti, noi ti vogliamo bene”. “Anch’io ve ne voglio e proprio voi mi avete salvato”. “Forza, alzati e cambiati” mi dice Lucia “ti dobbiamo portare in un posto”. Così obbedisco. Mi metto una maglia, dei jeans, mi pettino e loro mi prendono e mi portano fuori di peso. Siamo in giardino. Sono tutti con me. Di fianco a noi c’è un albero. Rivedo gli alberi, avverto il profumo del prato e la freschezza del vento Rivedo il cielo blu, le nuvole bianche e rivedo il sole. Sposto gli occhi verso di lui per ammirarlo meglio. Lo sento. Sento la sua forza, la sua dolcezza e, finalmente, sento ancora il suo calore. Il calore del sole. Fine
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A n t o n i o
la sagra del melone D
omenica 16 luglio si è conclusa la sagra del Melone a Isola S. Antonio. Quest’anno la sagra si è conquistata uno spazio maggiore, con due interi fine settimana(7-8-9-luglio e 1415-16 luglio) dedicati alle numerose iniziative collegate. Con questa manifestazione si chiude la prima tranche dei festeggiamenti pre-ferie organizzati dalla Proloco e dal comune di Isola targato Ezio Pallavicini, neo sindaco del paese. Naturalmente la nuova amministrazione comunale può avvalersi della forte esperienza dei componenti della Proloco e dell’ex sindaco Ornella Arfini, attualmente vicesindaco. E proprio ad Ornella, che ha ricoperto la carica di sindaco di Isola per ben 15 anni, un gruppo di suoi collaboratori ha voluto pubblicamente riconoscere il ruolo di grande organizzatrice di eventi pubblici e il merito delle numerose iniziative e manifestazioni portate avanti con successo durante il suo mandato. Commossa, Ornella Arfini ha ringraziato ed ha voluto condividere il merito con tutti coloro che hanno messo a disposizione il loro tempo e la loro preziosa esperienza per portare avanti una serie di iniziative che hanno avuto come unico scopo il miglioramento della qualità della vita per gli abitanti di Isola. Cuore e momento simbolico della manifestazione è stata, comunque, la sagra del melone, divenuta occasione per dare spazio a numerosi eventi culturali. Abbiamo avuto modo di apprezzare l’angolo della cultura con la mostra di pittura “Tensioni Emotive” a cura del
Sopra: una suggestiva portata di meloni, gli ospiti francesi. A fianco, da sin.: Cecilia Crivelli, Laura Mandirola e Federica Marini presentano il Mosaiko.
maestro Paolo Figallo Giustiniani, residente ad Isola, che con le sue opere rappresenta il linguaggio delle passioni e trasforma in segno grafico e in colore il complicato regno dei sentimenti. Nella sala parrocchiale è stato allestito un corposo banco di beneficenza dove la gente poteva confrontarsi con la propria fortuna. Nella piazza della posta, divenuta la cornice degli eventi più ludici e goderecci, si è avuto modo di assaporare la degustazione gratuita del melone, apprezzare l’ottimo ristorante della sagra e godersi i vari spettacoli ricreativi e musicali. Vogliamo ricordare inoltre che durante il secondo week-end della sagra abbiamo avuto il piacere di accogliere tra di noi una famiglia che risiede nel comune di Saint Jean de Folleville, paese della Normandia Francese gemellato con Isola. Venerdì 14 luglio, inoltre, i ragazzi della redazione de “Il Mosaiko Kids” hanno presentato al pubblico di Isola il loro giornale, che è stato apprezzato sia per la veste grafica, sia per le complesse tematiche sociali che riesce ad affrontare in un linguaggio adatto ai giovani. Anche Isola S. Antonio ora è entrata in una sorta di “arcipelago culturale” del Mosaiko, con una rubrica tutta dedicata alle vicende del paese. Il Mosaiko Kids è un mensile che si può ricevere soltanto tramite abbonamento. Chi fosse interessato può rivolgersi al Bar Sport di Venicia e Tatiana. Ora che anche la sagra del melone è terminata e le ferie sono alle porte, una doverosa pausa di riposo e subito dopo al lavoro per preparare la sagra della zucca, che si svolgerà il 15-16-17 Settembre 2006. Un ringraziamento meritato all’infaticabile prof. Ornella Arfini, al presidente della Proloco Cristian Scotti, alle signore che hanno cucinato, ai nostri giovani molto bene organizzati che hanno servito ai tavoli, a tutte le persone del servizio Bar e della griglia e, infine, al gruppo della protezione civile che ha garantito ordine e sicurezza. M. F.
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s p o r t i v e :
d i v e r t i r s i
c r e s c e n d o
Basket!
e s t a t e C
iao, mi chiamo Irene, ho dieci anni. Voglio raccontarvi la mia esperienza di questa estate. L’ultima settimana di Giugno ho frequentato un camp in Valsesia, a Piode, un paesino sulle sponde del Sesia. L’attività principale era il basket ma si praticavano anche altri sport (tennis, golf e tiro con l’arco) e, soprattutto, si “praticava l’amicizia”. Sono partita da Castelnuovo senza amiche, ma una volta arrivata ho fatto subito amicizia con altre bambine. Non sto a raccontarvi tutta la giornata ma vorrei comunicarvi quello che ho provato. Innanzitutto il piacere di far basket anche in vacanza e in un luogo diverso da quello abituale, immersi nel verde. Poi la “gioia” di stare fuori casa, da sola senza genitori e fratello, pur seguendo delle regole. Ogni attività sportiva aveva un punteggio che, alla fine, andava a formare una classifica. Questo, al di là dei risultati, mi invogliava a fare sempre meglio, era un modo per far crescere l’entusiasmo e l’impegno in ogni attività proposta. Ma l’emozione che più mi è rimasta dentro è nata dall’opportunità di conoscere bambine della mia età e anche più grandi, che venivano da varie parti d’Italia, soprattutto dal Nord. Perciò consiglio a tutti i bambini, sia agli amanti dello sport che non, di provare ad andare in vacanza “da soli”, lontano da casa.
Q
uest’estate nella prima settimana di vacanze, in compagnia di Matteo Gavio e Luca Andriolo, sono andato a fare un camp di Basket a Scopello, in Valsesia. Durante la prima sera del camp abbiamo visto dei giocatori di serie che facevano il freestyle (basket acrobatico fatto su una base musicale, con salti e canestri spettacolari). Un giorno, mentre stavamo facendo una partita fra di noi, ho fatto un canestro all’ultimo secondo. Questa esperienza mi è piaciuta molto e vorrei rifarla il prossimo anno. Marco Mandirola.
Congratulazioni!!! Quattro redattrici “storiche” di Mosaiko sono MATURE!!! Siamo orgogliosi, i primi giornalisti in erba della nostra redazione hanno affrontato la maturità con grande classe: Martina Delfanti, Livia Granata, Simona Lucarno e Carlotta Ruotolo sono pronte per il mondo accademico....
Ciao, Irene Gavio
Si comunica che la premiazione del concorso nazionale
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avrà luogo
il giorno 30 settembre 2006 alle ore 9 presso il teatro Civico di Tortona, alla presenza di autorità civili, militari e religiose.
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Buone vacanze a tutti! Arrivederci a Settembre...
va in vacanza per qualche numero. Ricominceremo il viaggio nello straordinario mondo dei nostri amici a quattro zampe al termine delle vacanze estive, che trascorrerete, ci auguriamo,con la vostra famiglia al completo, fedelissimi compresi... Proprietà artistica letteraria Casa Editrice Favolarevia Via C. Alberto, 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL)
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Progetto grafico e impaginazione: Favolarevia Fotografie: favolarevia - Riccardo Torti. Redazione Direttore Resp.: Antonella Mariotti Presidente: Mimma Franco - Giovanna Spantigati - Paola Maggi Elisa Pareti - Silvia Pareti - Marta Lamanuzzi - Livia Granata - Simona Lucarno - Davide Varni - Elena Pisa - Paolo Pareti - Marcello Spinetta - Giorgia Bresciani Cecilia Sacco - Andrea Accatino - Claudio Bertoletti - Elio Pisa - Manuela Gandolfi - Paola Picena - Riccardo Torti - Elvis Quaglia - Mattia Conte. Piccoli Piccoli Lisa R. Magnaghi - Cecilia Crivelli - Chiara Fossati - Federica Oliva - Cecilia Mariotti - Martina Ruta - Sofia Falchetto Daniele Accatino - Federica Marini - Marta Chiapedi - Laura Mandirola - Marco Mandirola - Irene Gavio. Illustrazioni Carlotta Ruotolo - Martina Delfanti Segreteria Elena Pisa
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