Intervista a Hiromi Uehara

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Andrea Boccalini

UNa playstation con 88 tasti. Da bimba la stupivano i complimenti per le giornate trascorse al pianoforte: per lei era come giocare 8 ore con la playstation.

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Focus

Nel vecchio stride ho trovato la libertà HIROMI UEHARA: LA PIANISTA GIAPPONESE È STATA PRONTAMENTE ADOTTATA DAGLI STATI UNITI E DA CHI ERA UN SUO IDOLO, COME CHICK COREA di Gigi Sabelli

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ata a Shizuoka, in Giappone, nel marzo del 1979, Hiromi Uehara ha iniziato a studiare pianoforte da bambina per poi affermarsi in tutto il paese orientale grazie a un precoce talento. A soli dodici anni faceva già concerti, a quattordici ha avuto occasione di suonare dal vivo con l’orchestra filarmonica ceca e a diciassette si è esibita in duo con Chick Corea. Dopo alcuni anni passati componendo jingles per varie aziende giapponesi, nel 1999 s’è trasferita a Boston, dove ha iniziato a frequentare il Berklee College Of Music, prendendo lezioni dal bassista Richard Evans, poi produttore dell’esordio discografico di Hiromi nel 2003 («Another Mind», Telarc): un lavoro che ha venduto — soprattutto sul mercato giapponese — centomila copie. Negli ultimi anni Hiromi ha aggiunto altre perle alla collana della sua brillante carriera: nel 2009 è stata chiamata da Stanley Clarke per la registrazione del disco «Jazz In The Garden» assieme al batterista Lenny White, mentre lo stesso Corea l’ha coinvolta per la registrazione di «Duet». Il suo ultimo Cd è «Place To Be», uscito l’anno scorso e costituito di dodici pezzi originali di solo pianoforte. Vi si alternano momenti di velocità funambolica

e passione funky ad altri in cui emerge il grande rispetto per la tradizione boppistica e pre-boppistica, quella dello stride piano del boogie, e per Art Tatum. Hiromi, com’è iniziata la tua carriera? C’è un momento della vita in cui si capisce di avere talento? Ho iniziato a studiare pianoforte a sei anni e il mio primo insegnante era un grande appassionato di jazz; così a soli otto anni mi sono messa ad ascoltare e suonare jazz. In quel periodo ho preso anche a cimentarmi con l’improvvisazione e con la composizione: pezzi brevissimi, di uno o due minuti. Invece di scrivere il classico diario, scrivevo queste canzoni. Ho dato il mio primissimo concerto quando avevo dodici anni. Successe a Taiwan. Mi ricordo un grande senso di soggezione: non sapevo una parola di cinese e non sapevo chi avrebbe ascoltato la mia musica. Poi vidi che tutti sorridevano ed erano contenti ascoltandomi, e questo mi fece un grandissimo piacere. Mi resi conto di quanto è bello rendere felice qualcuno suonando. Forse fu quello il momento in cui capii che non ero solo una brava studentessa di pianoforte. Studiavi molte ore all’inizio? Amo moltissimo il pianoforte e da bambina per me era un giocattolo, e non è mai stato difficile studiare. Perciò non ho mai contato le ore di studio. Diciamo che mi sedevo sullo sgabellino alla mattina e mi alzavo alla sera. Quando mi facevano i complimenti per quanto studiassi, rimanevo stupita: era come se mi dicessero che ero brava a giocare con la playstation per otto ore. 15


focus Come hai incontrato per la prima volta Chick Corea? È successo a Tokio nel 1996. Avevo diciassette anni e il mio maestro mi chiese se sapevo che quella sera suonava Corea in città. Gli dissi di sì ma senza dare troppo peso a quella domanda. Poi mi propose di incontrarlo. Rimasi folgorata perché era il mio idolo. Dopo due ore andammo da lui che stava facendo il soundcheck. Si presentò, mi disse che aveva sentito parlare bene di me e mi chiese di mettermi al pianoforte. Lo feci e alla sera mi invitò sul palco per suonare con lui i due brani con cui si concluse lo spettacolo. C’è un pianista italiano che ha duettato recentemente con Corea… Sì, Stefano Bollani. L’ho conosciuto sette anni fa e ci siamo incontrati un paio di volte. Non abbiamo mai suonato assieme ma mi piace la sua energia vulcanica. È simpatico. Mi dà l’idea di una persona autentica e solare. Ho visto che ha duettato con Corea e ho ascoltato qualcosa… Bello. Cos’è il jazz per te? Il jazz per me rappresenta la forza e il coraggio di rischiare improvvisando, ma anche la capacità di creare ogni volta un proprio scenario, un nuovo paesaggio.

Nella musica del disco sembra di sentire gli echi di una certa passione stride. È così? Sì, senza dubbio. Ho grandissima ammirazione per figure come Willie «The Lion» Smith, ma soprattutto per Fats Waller e Art Tatum. Non saprei dirti di preciso come sia nato l’interesse per lo stile stride. Forse perché all’inizio della mia carriera suonavo spesso da sola: io vengo da una città di provincia e non c’erano molti musicisti jazz. Così lo stride mi dava la possibilità di fare un po’ tutto da sola: melodia, armonia e bassi. 16

Andrea Boccalini

Il tuo ultimo disco, «Place To Be», sembra un lavoro più maturo rispetto alle prove in trio cui ci avevi abituati. Com’è nata l’idea di un piano solo? Da sempre volevo realizzare un disco in solitudine. Penso che per un pianista sia un’esperienza importantissima: è come fermarsi e guardarsi allo specchio. È un modo per capire chi sono come musicista e come persona. Ogni dieci-quindici anni vorrei registrare e suonare da sola, come per segnare delle tappe.

Chi ti piace tra i giovani jazzisti della nuova generazione? Amo ogni musicista che abbia una personalità. Non farei tante distinzioni tra giovani e vecchi. Mi piace Brad Mehldau, ma mi piacciono anche Chick, John McLaughlin e Pat Metheny e soprattutto amo in modo particolare Ahmad Jamal: lui ha suonato i più bei concerti che io abbia ascoltato negli ultimi dieci anni. L’ho visto tre volte e ogni volta è stato più bello e intenso. È un musicista che sembra crescere sempre di più, alla ricerca di un continuo arricchimento, e ha ottantacinque anni! È un pianista capace di trasformare ogni concerto in un’avventura. La tua carriera è iniziata in Giappone e poi è proseguita negli Stati Uniti. Che differenza c’è tra i due ambienti musicali? La prima differenza è che in Giappone ci sono solo giapponesi e negli Stati Uniti c’è di tutto. E non è così ovvio, perché in Giappone non esiste quel melting pot musicale e culturale che ha portato al jazz e che ancora oggi fa vivere il jazz. Anche se da noi la musica afroamericana ha un grande seguito, il Paese vi si è avvicinato in tempi molto recenti: il livello dei musicisti sta crescendo esponenzialmente, ma siamo ancora indietro rispetto agli Stati Uniti. Che dischi ti porteresti su un’isola deserta? Su un’isola deserta senza poter suonare il pianoforte? Non mi porterei dischi. Sarebbe una specie di tortura. E se su quest’isola ci fosse un pianoforte? Davvero difficile rispondere in un minuto. Be’, vediamo un po’… Direi innanzi tutto «Concert By The Sea» di Errol Garner e poi «We Get Requests» di Oscar Peterson. Gigi Sabelli

Hiromi con Stanley Clarke.


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Il genio è quello che più somiglia a se stesso. _Thelonious Monk

Non suonare quel che c'è già, suona quel che non c'è. _Miles Davis

La boxe è come il jazz: meglio è, e meno la gente la apprezza. _George Foreman

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Questo è così buono che dev'essere illegale. _Fats Waller Questo è così buono che dev'essere illegale. _Fats Waller

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In quindici secondi, la differenza fra composizione e improvvisazione è che nella composizione hai tutto il tempo che vuoi per decidere cosa dire in quindici secondi, mentre Lo studio rende perfetti.hai L'imperfezione è meglio. nell'improvvisazione quindici secondi. _Paul BleyLacy _Steve

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