1950 2000 PRESENZE ARTISTICHE A LONIGO CUMAN, DALLA COSTA, FRA TERENZIO, FRATEL VENZO, A. LAZZARIN G. LAZZARIN, OBOE, ONORATO, TREVISAN, VANZAN
CittĂ di Lonigo Assessorato alla Cultura
Palazzo Pisani - Casa della Cultura
16 dicembre 2012 - 13 gennaio 2013 Palazzo Pisani, piazza Garibaldi - Lonigo (Vi)
Organizzazione CittĂ di Lonigo Assessorato alla Cultura In collaborazione con MV Eventi Sponsor Foto ottica Lucenti Si ringraziano Gli artisti e i collezionisti per la partecipazione.
PALAZZO PISANI
Fatto costruire nel 1557 da fabbriche preesistenti, dal Conte Giovanni Daniele Pisani, passò in eredità al Conte Francesco De Lazzara. L’aspetto severo del portale e l’uso del bugnato hanno fatto attribuire tradizionalmente l’opera all’ambito architetto Michele Sammicheli o, secondo il Dalla Pozza, ad Andrea Palladio, allora impegnato nella fabbrica di villa Pisani a Bagnolo nonostante le valutazioni stilistiche non convalidano nessuna delle ipotesi menzionate. L’edificio si compone di due parti: una centrale e due ali laterali edificate successivamente, nel ‘700. Il corpo abitativo è sviluppato su quattro piani, di cui due nobili, aspetto raro per l’architettura del tempo, e racchiuso dal bignato rustico che ne sottolinea gli spigoli. Il palazzo domina piazza Garibaldi, che è sempre stata il cuore della città dal momento in cui sorse il borgo di Lonigo. Nella partita d’estimo, intestata a Vettor Pisani e fratelli dal 1564, tra i vari possedimenti nel territorio venne registrato anche “un palazzo a Lonigo”. Erano questi gli anni in cui i Pisani s’impegnavano in fabbriche imponenti per ospitare degnamente le famiglie dei tre fratelli. Il Comune accettò di buon grado i progetti, perchè il palazzo dava lustro alla piazza ed arricchiva due visuali ben diverse: dalla strada di Bagnolo e dal fondo della piazza. Finchè Palazzo Pisani appartenne ai conti De Lazzara Pisani, le adiacenze costituivano quasi una fortezza, circondata da mura: quando divenne residenza comunale, fu messo in opera un piano di recupero degli orti e dei cortili che vennero destinati ad area pubblica. Verso la piazza, a sinistra dell’arco, si vede un bellissimo pozzo coevo alla costruzione del palazzo, la cui vera, opera probabile della bottega dei Pedemuro, è ricavata da un monolito. Molto interessate il portale costituito da bugne che guarda la strada in direzione di Bagnolo, i due comignoli, la gradinata, gli stemmi, e la statua della Madonna, che sovrasta il fornice d’ingresso alla città, scolpita nel 1628 per scongiurare il pericolo, allora prossimo, della pestilenza del 1630.All’interno è ammirevole il salone d’onore, con soffitto alla sansovina, sicuramente affrescato già nel Cinquecento.
1950/2000: presenze artistiche a Lonigo 1950/2000 è una mostra che vuole celebrare l’Arte leonicena. Una città il cui fermento culturale è sempre più vivo, tanto da apprezzare personalità tanto diverse, quanto legate da un unico fine: la pittura. Pittura passionale, [è veneto, perciò i suoi colori bruciano affermò Heinrich Pfeiffer a proposito di Fratel Venzo], sopraffina e indagatrice dell’animo dell’artista - genio, colorista, religioso, espressionista, iper/realista, astratto, accennato ed interprete del proprio tempo - che, in soavi pennellate, acuisce i sensi di chi guarda, spettatore finale di stesure che appaiano sia su tele grezze o nell’attenta ricerca per comprendere una pittura che va al di la della fotografia. Pittura di concetto, fatta di pensiero e modulazioni di luce, percettive sensazioni che, a volte, defluiscono in drammi interiori, ghirigori della mente che sfociano in un nuovo mondo, un flusso di coscienza che porta l’artista, ad una nuova consapevolezza. Pittura che vuole spingersi sempre più in la, avvicinandosi alla rappresentazione dell’Io, forma e sostanza presente in tutte le cose. Pittura e oltre, 10 tecniche, 10 stili differenti, il demone dell’arte che entra dentro e rapisce lo sguardo, odore dell’olio e odore dell’acrilico o sensibilità di uno scatto, riuniti, oggi, in questa grande festa.
FRA TERENZIO QUIRINO BARBONE Nato a Fiuggi (Frosinone) il 12 aprile 1916, compì il noviziato a S. Pancrazio di Barbarano (1934-35) ed emise la professione solenne a S. Francesco della Vigna di Venezia il 24 settembre 1938. Giovanissimo frequentò per due anni lo studio del Prof. Barberis in Roma; successivamente, per quattro anni, i corsi di Arte Sacra presso l’Istituto Beato Angelico in Roma. Fu incaricato da personalità del mondo dell’arte di eseguire opere di notevole importanza riscuotendo elogi e onorificenze che la modestia del frate artista mai amò palesare, ma di cui conserva ampia documentazione. Nell’arte Fr. Terenzio ha espresso lo stimolo inconfondibile di parlare chiaramente attraverso il colore e la sua tecnica, affermando la verità della Pittura che deve essere contenuta forma e colore in armonia di accordi sensibili e denunciando le immeritate glorie dell’arte facile. “Nel verismo di Fra Terenzio il ‘vero’ è solo un mezzo, il fine e la trascendenza del mondo fisico che rappresenta, è la trascendenza del mondo fisico stesso trasferito, pertanto, in una realtà non verista ma veritiera in cui la Verità concettuale ha il sapore di speranza, o meglio, di fede propria del Frate e dell’Artista” (Tino Munari)
“Natività”, anni ‘70 - o.t. - cm 115x161 “Sant’Antonio con Gesù bambino”, anni ‘70 - o.t. - cm 100x140
FRATEL VENZO Nato a Rossano Veneto nel 1900, dopo un lungo soggiorno a Parigi dal 1925 al 1939, a partire dal 1941 di dedicò alla vita religiosa, proseguendo in modo intenso la sua attività artistica e vivendo nelle Case dei Gesuiti di Lonigo (Vi) e di Gallarate, dove morì nel 1989. A Venzo, fra i maggiori coloristi italiani della seconda metà del secolo XX, sono state dedicate molte mostre in Italia e all’estero. È veneto, perciò i suoi colori bruciano. È religioso, perciò la sua arte riflette non solo l’artista, ma Dio, creatore della bellezza. Le nature morte e i paesaggi sono i suoi grandi temi. Solo negli anni più maturi è venuto ad aggiungersi un terzo motivo: il Cristo sofferente (Heinrich Pfeiffer) La pittura di Fratel Venzo è un documento impareggiabile della vitalità di coloro che ravvisano nel grande libro della Natura un messaggio divino” (…) “Fratel Venzo s’è accostato ai modi espressionistici riconoscendoli consanguinei. Per affinità elettiva. Però li ha sottoposti a un processo di “venetizzazione” per legittimarne il possesso. La modulazione cromatica, i rossi i viola, i verdi, sono veneti, dall’artista recuperati nell’ambito di una cultura inalienabile, che era già sangue forse prima di essere cultura (Carlo Munari)
“Paesaggio siciliano”, 1958 - o.t. - cm 50x60 “Fiori con libro”, - o.c. - cm 50x70
CLAUDIO CUMAN Claudio Cuman è nato a Lonigo (VI) il 18 Aprile 1926. Si è diplomato presso il Liceo Artistico di Bologna e in pittura presso l’Accademia di Belle Arti “G. Cignaroli” di Verona. Dal 1950 partecipa attivamente a rassegne nazionali e internazionali di pittura, allestendo, inoltre, mostre personali in Italia e all’estero, interessando sempre la critica. I suoi lavori: paesaggi, case e fiori, non nascono da una visione semplicistica della natura; Cuman sente la lezione dell’ informale a cui aggiunge istintivamente il gusto del colore che è forte, degno di un pittore veneto. Le tinte si accostano a note larghe, a scacchiere, che potrebbero portare a un geometrismo colorato, se la poesia non trattenesse la mano del pittore dalle facili schematizzazioni, per guidarlo ad una armonia semplice e spontanea. La sua figurazione è generalmente piuttosto asciutta, senza sforzo e scevra da pericoli di un barocchismo macchinoso e disturbante. Claudio Cuman è un artista particolarmente genuino. Mediante un lento e progressivo maceramento, preferisce prendere coscienza della pittura attraverso il colore, disteso come materia succosa, preoccupandosi d’organizzare nel dipinto le modulazioni delle forme, sino a renderle strumento della sua sensibilità.
“Rami lungo il Guà”, 1993 - o.t. - cm 90x70 “Vecchio pagliaio”, 1984 - o.t. - cm 100x120
EMILIO OBOE Emilio Oboe è nato a Lonigo (VI) nel 1934. Si è interessato alla pittura fin dal 1955, ma ha cominciato ad esporre dieci anni dopo. In circa vent’anni di dedizione alla pittura, Oboe ha percorso un itinerario coerente, anche se contraddistinto da periodi di dubbi, di crisi e di revisione dialettica con le ragioni di una scelta e con l’impegno di conseguire un riscontro tra le modalità emotivo-fantastiche del suo operare pittorico e le modalità espressive. L’amore per la sua terra veneta costituisce il nucleo fondamentale della sua ispirazione. Le pianure, le colline, i sentieri, i casolari, sono da lui contemplati con semplicità di canto e con trepida emozione, dandoci la testimonianza dell’onestà del suo lavoro, fatto di sobria e delicata contenutezza. La sincerità, l’autenticità sono la più profonda e anche la più evidente caratteristica della sua pittura. Le sue opere sono il trionfo del colore che è corpo, forma, atmosfera; la monocromia valorizza le forme solide, limpide nel loro intrecciarsi che non ha niente di contorto, di tormentato, ma riproduce il fascino segreto ed invitante di una natura amica che svela a poco a poco il mistero di una vita pulsante anche nei tronchi spogli o recisi, una vita contenuta, sotterranea.
“Paesaggio veneto”, 1968 - o.c. - cm 70x50 “Paesaggio”, 1978 - o.l. - cm 70x70
ANNAMARIA TREVISAN Annamaria Trevisan ha studiato a Venezia con gli spazialisti Bacci, Pizzinato e Morandis. Da sempre attiva ritrattista capace e sensibile nel cogliere fisionomie e caratteri, negli anni Novanta apre a Vicenza uno studio dedicato alla copia di dipinti antichi. La Trevisan, che attinge a piene mani dalla tradizione, non è in alcun modo inquadrabile come “citazionista” perchè non si pone nell’ottica di un ritorno all’indietro o di un impossibile recupero, ma in quello della elaborazione del linguaggio in sé e per sé. Quando preleva dal passato certe immagini di santi o di figure profane a costruire delle proprie personalissime architetture compositive, non lo fa sulla base della mentalità del Seicento o del Settecento. La mentalità è, a tutti gli effetti, la nostra attuale. La Trevisan ha una mano benedetta dalla sorte, ma questa felice attitudine è per lei motivo di preoccupazione e controllo della forma, perchè ciò che vuole è imprimere una vita peculiare e segreta all’elemento che, pur prelevato dal passato, è integralmente suo. La sua visione implica, così, la messa a fuoco e nel contempo la sparizione dell’immagine secondo un procedimento che mutua i suoi presupposti persino all’idea di decostruzione e ricostruzione espressa da Marcel Duchamp sia pure in tutt’altro contesto.
“Bacco e Arianna” - o.t. - cm 180x120 “Bacco e Arianna” - o.t. - cm 140x100
HERMES VANZAN Hermes Vanzan è nato a Lonigo (VI) nel 1952. Ha studiato all’Accademia “Cignaroli” di Verona. Vanzan rende plausibile la definizione di Croce: “l’arte è una intuizione dello spirito chiusa nel giro di una rappresentazione”. Con il termine intuizione liquida chi la distingue tra razionalità ed intuizione. La razionalità porta alla filosofia, al ragionamento meditato a prezzo di grande fatica, l’intuizione appare semplice, spontanea, e si coglie all’istante senza intermediari. Ecco perché l’opera di Vanzan, pur “colta”, è fruibile con immediata facilità; ma non sarà mai arte fotografica perché va al di là dell’oggetto rappresentato Vanzan vede la quarta dimensione, ossia quello che l’oggetto nasconde. Ad esempio, un ritratto potrà essere vicino al vero, e questo è compito della fotografia, ma un guizzo dello sguardo, una mano sul tavolo, un giro di spalle rivelano la verità del personaggio rappresentato. Un paesaggio sarà sempre bello, come accade in tutta la natura di questo mondo, ma è l’atmosfera che importa. Le ninfee di Monet sono sempre lo stesso fiore, ma è l’artista a collocarle nel suo esatto momento, nel tempo e nello spazio. Ecco perché le immagini di Hermes Vanzan non si possono liquidare con poche parole, esse vanno al di là della semplice rappresentazione.
“Carnosa sensualità, arcobaleno 2”, 2000 - o.t. - cm 80x100 “Arcobaleno 27, occhio azzurro”, 2011 - o.t. - cm 72x60
MANLIO ONORATO Manlio Onorato, nato a Castel Morrone (Caserta) nel 1951 ma residente in provincia di Vicenza sin dalla primissima infanzia, ha allestito la sua prima mostra personale nel 1973, approdando nel 1984, dopo esordi figurativi, ad una pittura aniconica il cui carattere dominante è la ricca modulazione della luce. Ha tenuto numerosissime mostre in Italia e all’estero, tra cui si annoverano le personali alla Casa di Giorgione a Castelfranco Veneto (TV) nel 1992, alla galleria vicentina Moretto Arte nel 1993 e 2002, alla chiesa dei SS. Ambrogio e Bellino di Vicenza nel 2003 e - ancora a Vicenza - alla Biblioteca Internazionale La Vigna nel 2011, all’Arte Studio Clocchiatti di Udine nel 1997 e nel 2000, alla galleria Scoglio di Quarto di Milano nel 2007 e alla galleria Miralli di Viterbo nel 2008, alla Frankfurter Westend galerie di Francoforte nel 2012, oltre che le collettive “Arie Italiane” alla galleria Polhammer di Steyr (Austria) nel ‘93, “Colloqui in forma di pittura” a Palazzo Pisani di Lonigo (VI) nel ‘96, “La luce oltre la forma” alla galleria civica Ai Molini di Portogruaro (VE), alle gallerie Peccolo di Livorno, Folini di Chiasso (Svizzera), Clocchiatti di Udine e al Museo Casabianca di Malo (VI) nel 2004/2005, alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte (Germania) nel 2002 e nel 2008.
“Di colore in colore”, 2011 - o.c. - cm 40x60 “Luci inattese”, 2012 - o.t. - cm 80x100
GINO LAZZARIN Fin da giovanissimo si accosta con curiosità e grande passione al mondo della pittura. Attratto dal figurativo, rimane attento osservatore delle nuove tendenze pittoriche e cerca di capire prima e comporre poi quelle “macchie”, apparentemente senza senso, che gli trasmettono però forti emozioni. E’ proprio questo rapporto tra fotografia e pittura che indirizza, in tempi diversi, il suo modo di vedere e che è presente anche nel suo particolare modo di interpretare la foto paesaggistica. Esaurito quel tema fatto di masse colorate e croste materiche, capisce che il suo vero obiettivo è l’Uomo, protagonista assoluto delle sue immagini, che diventano così espressione immediata e autentica di tale profondo interesse. Inevitabile l’approdo al reportage nella linea tracciata da Cartier Bresson. Gino Lazzarin appartiene alla nobile stirpe dei grandi fotografi, ma, pur rientrando nella figura di artista della fotografia nel senso magistralmente descritto da Roland Barthes, sorpassa il semplice uso dello strumento fotografico, passando da questo all’orizzonte più vasto di colui che crea l’immagine pittorica e dinamica del movimento e del tempo.
“Catching Moving Images 1” - stampa lambda - cm 40x60 “Catching Moving Images 2” - stampa lambda - cm 40x60
GIORGIO DALLA COSTA Giorgio Dalla Costa nasce nel 1970 ad Arzignano, nel 1988 si diploma Grafico Pubblicitario. Nel 2002 decide di dedicarsi esclusivamente all’arte. Il suo cercare è un da sempre confidare in se stesso assecondando l’impulso di tradurre in gesti grafici e segni ciò che sente e vive, annotando il tutto in foglietti, blocchi per appunti, fogli di carta Tintoretto. Dalla Costa, come un miniaturista medievale, calibra nello spazio di pochi centimetri segni precisi, colori morbidamente plastici e un viavai di linee che fluidamente entrano ed escono dal supporto rigenerandosi continuamente. L’artista inizia in questo modo il viaggio introspettivo verso la scoperta della profondità della condizione psicologica e degli stati emozionali, condotti al ritmo di un segno che equilibra, nella composizione, la tensione tra ciò che si minimizza e ciò che si espande, tra il dato reale e il visionario, tra il fisico e lo psichico. Il fare arte diventa quindi un vero e proprio cerimoniale che gli consente di ritrovare una comunicazione con l’abisso del tempo e della memoria collettiva. Sicuro come un funambolo in bilico sull’abisso dell’Io, persegue il senso più alto delle cose scandagliando il tempo dell’eternità.
“Flusso musicale, 85 minuti”, 2012 - a.t. - cm 270x150 “Il bacio, baciarsi e bearsi”, 2007 - v.l. - cm 152,8x102,5
ALESSANDRO LAZZARIN Fotografo professionista dal 1990, Alessandro Lazzarin collabora per l’immagine e la grafica con diversi studi grafici e di programmazione web. Da 10 anni viene selezionato dal World Press Photo fra i migliori fotogiornalisti del mondo; nel 2006 vince il Toscana foto festival con una rassegna sul vino “Wine photo”; nel 2011 entra a far parte dell’ANFM associazione nazionale fotografi di matrimonio e nel Contest nazionale si piazza al 4° posto. Mescolando scatti analogici e digitali, sperimento in continuazione scatti con fotocamere reflex e compatte, iPhone e polaroid, non Si stanco mai di provare, di ascoltare, di vedere quello che succede intorno e impara, impara, impara. La fotografia è la lingua universale, la più diretta, la più immediata, non occorre sapere, non serve imparare, basta osservare…e saper poi trasmettere. Uno scatto per Alessandro è quello che può essere un quadro per un pittore; in esso racchiude se stesso, il suo pensiero, il suo modo di vivere la realtà, di coglierne i particolari. “Uso questa lingua universale per riuscire a trasmettere almeno in parte ciò che ho provato io in quell’istante.”
“Wedding moment 1”, 2012 - s.f. - cm 70x100 “Wedding moment 1”, 2012 - s.f. - cm 50x70
Da sinistra: Alessandro Lazzarin, Giorgio Dalla Costa, il curatore Matteo Vanzan, il Sindaco Giuseppe Bo
oschetto, l’Assessore alla Cultura Roberto Nisticò, Hermes Vanzan, Manlio Onorato, Annamaria Trevisan
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