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NUMERO 1 路 ANNO XI 路 INVERNO 2014 路 www.liceoeinsteinte.gov.it


NUMERO 1 · ANNO XI · INVERNO 2014

SOMMARIO

Coordinatore

Editoriali 3 A lo parlare agi mesura? · nando cozzi 3 “Je suis Charlie” · chiara pesci

Prof. Nando Cozzi

Caporedattrice Chiara Pesci

Il castello 4 Il Castello della Monica · chiara pesci Oltre noi stessi 8 8 9 10 10 12 14

REDAZIONE

Copertina Gianmarco Paterna

Un “intramontabile classico” · babila barreca Sono necessari i professori? · giordano pompilii In partenza. . . · lorenza fabiocchi I ragazzi del ’99 nel 2014 · alessia coruzzi Intervista a Valerio Di Benedetto · sara scapolo Il film · pamela primula Palazzetto dello sport · davide e federico

Forza Albert 16 La 10° dimensione · fabio caiazzo 18 Missione Rosetta · daniel di febo 19 Epidemie · giulia di giuseppe Recensioni e spettacoli 21 Tavola rotonda sul fantasy · lorenzo pesci 22 Recensioni · anthea di salvatore 23 I gruppi emergenti · francesco cameli TEXnologia 24 L’uomo che rifiutò la Apple · marcello pichini Fumetti 25 Naruto · pamela primula Appendice enigmistica 28 Sudoku per tutti! · anonimo

Codifica LATEX e grafici Igor ["aIgO:*]

Vignette e disegni Pamela Primula, Alice Matoni

Fotografie Chiara Pesci

Supporto tecnico D.S.G.A. Giovanna Troiani

Redazione Francesco Maria Cameli, Marcello Pichini, Daniel Di Febo, Anthea Di Salvatore, Giordano Pompilii, Chiara Pesci, Alessia Coruzzi, Pamela Primula, Lorenza Fabiocchi, Lorenzo Pesci, Federico Ioannoni Fiore, Filippo Leonzi, Davide Lucantoni, Sara Scapolo, Giulia Di Giuseppe, Babila Barreca, Fabio Caiazzo

Colophon Realizzato all’interno del Liceo Scientifico “Albert Einstein”, Via Luigi Sturzo 5, 64100 Teramo. Composto in LATEX con le famiglie di font Palatino di Hermann Zapf e TEX Gyre Heros (basato su URW Nimbus Sans L e Helvetica) di Max Miedinger e Eduard Hoffmann.

Sito web del liceo www.liceoeinsteinte.gov.it

c 2014 − 2015 · Liceo Scientifico “Albert Einstein” · Teramo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode


Bevi (e ridi) responsabilmente!

Libertà d’opinione e censura

a lo parlare agi mesura?

“je suis charlie”

di NANDO COZZI

di CHIARA PESCI

in seguito alla strage dello scorso 7 gennaio nella sede di Charlie Hebdo, si è molto discusso nei media sui limiti della satira e, più in generale, della libertà d’espressione. È ammissibile censurare il cattivo gusto1 o la blasfemía se offende milioni di persone? È vero, come disse Nanni Moretti2 , che le parole sono importanti e possono fare davvero male, ma mai quanto un kalašnikov. Ricordiamoci che: (i) se uno ha paura non è obbligato a fare satira (né esprimersi liberamente)3 (ii) la blasfemía in Francia non è un reato; (iii) neanche le Nazioni Unite hanno mai voluto censurare la blasfemía in modo formale; (iv) è impossibile censurare preventivamente un giornalino di nicchia; (v) se la satira viene reputata ingiuriosa, vi sono i giudici e la legge; (vi) se uno non è soddisfatto dalla legge, può chiedere di modificarla (secondo le regole democratiche); (vii) il terrorismo non ha affatto quella “geometrica potenza” di cui si vanta4 e i terroristi nostrani ci dimostrarono ampiamente la spaventosa puerilità del loro sogno. La quaestio non si risolve con la logica, però. Si tratta di problemi antichi, ma soprattutto nuovi in quanto sorgono all’interno di una società democratica multiculturale in cui è difficile conciliare le differenze. Perfino il grande disegnatore Garry Trudeau è scivolato su considerazioni molto discutibili5 accostando la satira sicuramente volgare e spesso anche stupida di Charlie Hebdo con l’incitamento all’odio (che è reato anche in Francia). Infatti, la libertà di parola rimane problematica anche nell’occidente secolare. Solo negli USA il primo emendamento della Costituzione la difende perfino nei casi di hate speech (incitamento all’odio) come il negazionismo. È un atteggiamento estremo (e non condiviso in molti paesi europei) che, però, produce un mercato di idee dal quale prima o poi dovrebbero emergere (magari in modo confuso) quelle migliori. Purtroppo, non c’è una “soluzione” facile. Ed è impossibile non offendere qualcuno qualche volta. Chi si sentirà ingiuriato cercherà qualche tipo di rivalsa e, se il clima culturale lo permette6 , la rivalsa potrebbe essere violenta.

“je suis charlie”. è questa la frase che compare su giornali, telegiornali, blog, profili facebook; esprime prima di ogni altra cosa la necessità di affermare di esserci ancora nonostante tutto, di confermare la volontà di continuare di non fermarsi di fronte ad un atto di assoluta barbarie. Il mondo civile esprime indignazione, solidarietà per la morte di persone pronte a difendere ad ogni costo il loro diritto alla libertà di espressione. L’attentato di Parigi è un attacco ai valori fondamentali del mondo civile e colpisce nel cuore i nostri diritti costituzionalmente sanciti e indiscutibili come la libertà di opinione e di espressione. Un atto terroristico e intimidatorio che ha avuto come obiettivo una testata giornalistica satirica e focalizza l’attenzione sul forte potenziale della comunicazione qualunque essa sia: scritta, disegnata, fotografata, mediatica. Nel mondo occidentale tutti i cittadini hanno la stessa libertà di opinione e di espressione. Fin dall’inizio del percorso scolastico si è educati a pensare, si è spinti a creare un proprio spirito critico e viene data la possibilità di esprimerlo. Non sempre si è ascoltati, ma c’è una sempre maggiore resistenza contro ostacoli come la censura. La nostra cultura è molto diversa da quella dei paesi orientali, nei quali per tradizione, per religione, la libertà viene negata o censura in modi che per noi risultano distanti e talvolta incomprensibili. Atti come questo devono farci riflettere sull’importanza dei nostri diritti frutto di lotte e di un percorso di crescita civile. Sono il portato della nostra storia e della nostra cultura liberale. Abbiamo l’obbligo di difendere ciò che ci appartiene e di diffondere civiltà. L’impegno di tutti è necessario per sostenere e rendere vivi i nostri diritti. Iniziamo qui, dalla nostra scuola, dalla redazione de la voce ad invitare tutti a farsi garanti di civiltà a servirsi del dialogo e di tutti gli organismi che il Ministero dell’Istruzione ha inserito negli istituti per avviare noi ragazzi alla società democratica. I rappresentanti di classe, di istituto, di consulta hanno una loro autonomia e una loro voce nei consigli decisionali. Spesso tali organi sono sottovalutati da presidi, insegnanti e dagli stessi ragazzi che si sentono succubi delle istituzioni e non fanno valere i loro diritti per incuranza o per disinformazione: è ora di prendere parte al cambiamento, di sfruttare le opportunità, di informarci e di farci sentire. Anche noi ci siamo.

Continua (e note) a p. 23

Editoriali 3


Visuale esterna del Castello della Monica, Teramo. Testo e foto: Chiara Pesci.

C’era una

4 Il castello


A Teramo si può entrare nel mondo delle fiabe anche solo partendo dalla centrale Piazza Garibaldi e proseguendo in direzione colle San Venanzio a ovest della città. Qui si trova il Castello della Monica. Il complesso, progettato dall’artista teramano Gennaro della Monica sul finire dell’ottocento, si compone del castello vero e proprio, di due edifici a valle, di una dipendenza e di un ampio giardino. La ricchezza di citazioni storiche, l’abbondanza di torri, merli, telamoni, archi, edicole e dipinti collocano gli edifici nella tipologia delle ville a castello, tipiche del gusto eclettico del periodo. Per molto tempo il castello è stato dimenticato dalle amministrazioni che si sono succedute nel corso degli anni, tanto da suscitare l’indignazione dei cittadini che hanno cercato di richiamare l’attenzione sulla necessità di intervenire per restituire l’edificio alla città. Nasce da questa esigenza l’iniziativa del gruppo giovani del fai “Fai. . . una bella scoperta: il castello ti aspetta” che nella primavera del 2014 ha riaperto le porte del giardino ai visitatori. Le numerose richieste per il recupero del Castello sono state accolte dall’amministrazione comunale che ha stanziato nel Dicembre 2014 oltre 2 milioni di euro per la ristrutturazione. Ho avuto modo di visitare e fotografare il castello durante le riprese del regista teramano Marco Chiarini. Il videomaker ha realizzato un documentario di supporto ad una mostra dedicata a Della Monica (http://vimeo.com/113234771), nel quale ha voluto ricreare la magica atmosfera del castello grazie all’intervento di figuranti, animali, luci, fuochi e prospettive che hanno dato vita ad una meravigliosa fiaba.

volta. . . Il castello 5




In scena le riflessioni di un “Intamontabile classico” di Babila Barreca

L

a celeberrima opera di Goethe I dolori del gioÈ molto piú moderna la versione teatrale rivisitata I vane Werther sin dalla sua pubblicazione nel nuovi dolori del giovane Werther, a cura di Ulrich Plenzdorf, lontano 29 Settembre del 1774, ha portato pubblicata per la prima volta sotto la Germania Nazifascicon sé una nuvola macabra ad oscurarne il sta ma ancora oggi replicato un un gran numero di teatri successo. di tutto il mondo. A lungo si è discusso della sua presunta diseducatiIl principale interrogativo posto dall’opera è il seguenvità e dura è stata la battaglia di coloro che lo vollero di te: il giovane Werther suicida per amore o per dispetto? nuovo sul commercio dopo che, qualche anno dopo la È molto interessante vedere i due punti di vista sulla sua pubblicazione, ben cinque giovani si trovarono ad dipartita dell’introspettivo personaggio, ma è soprattutto emulare l’insano gesto dello sventurato protagonista. divertente — pur se macabro — riflettere su come il gioLa trama, al giorno d’oggi, potrebbe sembrarci un po’ vane possa aver odiato la coppia a tal punto da togliersi trita e ritrita: il giovane di buona famiglia che si innamora la vita solo per rovinare la festa del loro fidanzamento, della ragazza bella e responsabile, perfetta donna di casa usando per giunta le pistole del futuro marito di Carlotta, che però è già promessa in sposa ad un altro. che proprio quest’ultima aveva prestato all’amico. La nota di novità si può cogliere nel fatto che questa volta non esiste amore adultero e proibito: la dolce CarIl messaggio lanciato dall’ultima scena, con Carlotta, lotta infatti vede Werther come un amico prezioso, ma i suoi fratellini e il marito in lacrime è chiaro: la vita è mai come un amante e questo provoca tanto dolore al preziosa, e non dovrebbe esistere donna, uomo o vendetta giovane da indurlo a togliersi la vita. per la quale valga la pena togliersela.

Fonte: Storia del Teatro, Mondadori 2009

I Professori sono davvero necessari? di Giordano Pompilii

S

econdo un articolo della BBC gli insegnanti, nel futuro, potrebbero non essere piú fondamentali. Come dovrebbe essere la scuola del futuro? I professori ci saranno ancora, oppure verranno dai computer? Molto, negli ultimi anni, si è dibattuto sui metodi di insegnamento e sugli insegnati che dovrebbero “adeguarsi”, alle nuove tecnologie, tanto che negli ultimi anni, si è arrivati a sperimentare, negli USA e nel Regno Unito, innovativi metodi di istruzione. Una delle proposte, fornite da diverse software house, tra le quali Microsoft ed Electronic Arts, è risultata essere, quella di inserire nelle ore di lezioni curricolari, un laboratorio di apprendimento attraverso i videogiochi.

giocare a Little Big Planet, opportunamente modificato, per fungere da libro durante la lezione. Alcuni di questi giochi, sono stati lasciati invariati, mentre altri sono stati adattati agli studenti stessi, in modo tale da immergere gli alunni in complessi problemi e fargli cosí ottenere, oltre alle nozioni di base, abilità come la cooperazione e un modo di pensare innovativo, per prevedere i possibili sviluppi di una situazione. Nel Regno Unito, invece, la “Interactive Software Federation of Europe (ISFE)”, ha condotto insieme a Take Two, la casa produttrice di Gran Theft Auto, un sondaggio, su 2300 studenti e 1000 professori per capire la popolarità e l’utilizzo dei videogiochi da parte dei docenti e degli studenti stessi: il 70% dei professori, dichiara di non aver mai avuto direttamente Da questa proposta è nato nel 2011, presso la “Quest a che fare con un videogioco, né su console né su PC, To Learn High School” a New York, un progetto, nel mentre oltre l’80% degli studenti, dice di aver giocato quale i ragazzi della scuola secondaria, al suono della ad un videogioco nelle ultime due settimane. Da ciò è campanella, impugnano il joypad della PS3 e iniziano a

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emerso anche, che l’opinione sull’intrattenimento video ludico, è piuttosto negativa; infatti, piú del 70% degli insegnanti considera i videogiochi, come una fonte di “deviazione” per i ragazzi che potrebbero essere indotti ad avere comportamenti antisociali e anche tra gli alunni, è abbastanza diffusa l’idea che l’uso di videogames potrebbe portare alla violenza, soprattutto fisica, tanto che quasi il 40% degli studenti è contrario a questa innovazione. Nonostante questi feedback negativi, però, piú della metà degli intervistati è propensa all’introduzione di attività video ludiche a scuola, in quanto, ciò coinvolgerebbe maggiormente gli studenti alle lezioni, e li manterrebbe concentrati sulle lezioni per ore. Un altro importante aspetto che porterebbe l’avvento

dei videogiochi nelle scuole è quello di un eventuale sbocco lavorativo; infatti, dagli inizi del ventunesimo secolo, le opportunità di lavoro in questo settore sono cresciute a dismisura e ciò ha anche portato a un forte incremento economico, tanto che si conta oggi un fatturato annuo, per l’intero settore video ludico, di oltre 15 miliardi. Gli sviluppatori, i concept designer e i programmatori, oggigiorno sono richiestissimi, come afferma anche Rob Cooper, il managing director di Ubisoft UK, dicendo che i giovani devono rendersi conto del potenziale artistico, culturale e sopratutto quello economico dei videogiochi, puntando quindi ad un futuro in questo sempre piú fiorente settore.

Preparazione del “Bagaglio” di Lorenza Fabiocchi

Q

ui parla Lorenza Fabiocchi, la vostra inviata speciale! Mi sto preparando per la partenza verso le ignote terre del Nord: Dublino mi aspetta! Ultimamente sta aumentando il numero di ragazzi che decidono di frequentare un periodo scolastico all’estero. Ciò avviene perché, spinti dalla crisi economica, molti ragazzi decidono di voler lavorare all’estero, e dunque cercano di potenziare la loro conoscenza della lingua straniera oggetto di studio. A gennaio io stessa mi cimenterò nell’impresa: un intero quadrimestre alla scoperta di un paese straniero. Spero che il resoconto che vi proporrò nei miei articoli, presenti e futuri, possano informarvi e spronarvi in questo senso. Riuscire a partire per questo genere di esperienza non sempre è facile, soprattutto quando ci si affida, come nel mio caso, ad agenzie statali. In buona sostanza il risultato dipende dalla determinazione, dall’impegno e da una dose non indifferente di fortuna. Ma forse è meglio se lascio a voi i giudizi del caso e se vi descrivo la trafila burocratica cui mi sono sottoposta per raggiungere il mio obiettivo: lo stage!

È innegabile che in molti scelgano di approfondire la propria conoscenza della lingua inglese e dunque tra le mete piú ambite troviamo l’Inghilterra, l’Irlanda del Nord, gli USA e il Canada. Io con il ripescaggio sono stata destinata a Dublino, e da lí vi scriverò. b. Passo numero 2: Dopo essere stati selezionati e aver scelto l’agenzia e la destinazione, dovrete affrontare un test che valuterà il vostro livello linguistico e l’idoneità a sostenere il periodo all’estero da soli. La prova a cui sono stata sottoposta io era abbastanza semplice, sullo stampo degli esami di inglese quali PET e FCE, composto da uno scritto, un ascolto e un orale. Per superare l’esame e partire, assicuratevi di essere ben armati di volontà, determinazione e un po’ di coraggio, che fa sempre comodo. c. Passo numero 3: Raggiunta la sicurezza di partire, avvisate la vostra scuola. Il preside dovrà convocare un consiglio di classe speciale, con il quale i vostri professori dovranno darvi il loro benestare per partire tramite la stesura di una lettera di presentazione da inviare all’agenzia.

a. Passo numero 1: Presentare la domanda in tempo d. Passo numero 4: Anticipatevi il piú possibile del alle organizzazioni competenti, come INTERCULprogramma scolastico che sarà svolto durante la voTURA, privata, o l’INPS, statale, che offre questo stra assenza coordinandovi con gli insegnanti: piú genere di servizi ai figli dei dipendenti pubblici (con riuscirete a fare prima di partire, meglio riuscirete alcune agevolazioni). I tempi sono molto importanti a gestirvi al vostro ritorno e a godervi l’esperienza, per darvi maggiori possibilità di partire e per avere oltre a permettervi di concentrarvi al meglio sulla il vantaggio di scegliere la meta della vostra avvenlingua che state approfondendo. tura: quando io ho fatto la mia domanda all’INPS era troppo tardi, e anche le altre agenzie avevano È normale essere ansiosi prima della partenza, ma non già tutti i posti occupati. Ma qui è entrata in gioco preoccupatevi! Se sarete coraggiosi e determinati andrà la mia fortuna: sono stata ripescata in extremis dalla tutto bene e le difficoltà vi sembreranno solo granelli di graduatoria dei ragazzi esclusi. polvere.

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I ragazzi del ’99 nel 2014 di Alessia Coruzzi Quattro anni. Cento anni fa. Quattro anni di guerra, di morte, di giovanissimi soldati, di trincee, di imprese coloniali, di battaglie, armi pericolose, trattati di pace. . . Nozioni scolastiche che sono solo la punta dell’iceberg di quella che fu in realtà la Grande Guerra. La propaganda tedesca, al culmine delle tensioni profonde delle potenze europee sempre piú determinate all’affermazione dei rispettivi interessi imperialistici spronò all’intervento armato. Quella che era stata immaginata con una guerra lampo vide per la prima volta l’utilizzo di armi nuove e micidiali: aeroplani, carri armati, armi automatiche e gas nervini, il cui utilizzo si consolidò tra il 1914-18. Cosí le linee di difesa rese quasi inespugnabili trasformarono gli eventi bellici in un conflitto di trincea, in cui numerosissime truppe furono inviate in massa in battaglie sterminatrici che registrarono centinaia di migliaia di morti. Solo nella compagine italiana caddero 650.000 soldati, peraltro giovanissimi. Gli uomini coinvolti furono sottoposti obtorto collo ad un ferrea disciplina militare che, a causa di numerose diserzioni e insubordinazioni, portò a decine di fucilazioni. La 1° Guerra Mondiale, la piú sanguinosa della storia, ma anche la piú sconosciuta dalle nuove generazioni per l’indisponibilità della memoria dei testimoni diretti che oggi non ci sono piú. . . Come è possibile rendere consapevoli di quanto accadde cento anni fa i giovani (e non solo) di oggi? Con il progetto “Ragazzi del ’99” (www.ragazzidel99. it) noi studenti del Liceo Scientifico “A. Einstein” abbiamo voluto coinvolgere proprio i giovani della stessa età di coloro che, nell’Italia ancora parzialmente unita, furono chiamati alle armi ancor prima di essere diventati maggiorenni. Ragazzi di circa 17 anni, abbastanza grandi da poter combattere, troppo giovani per poter morire in battaglia.

Erano ragazzi nati nel 1899, arruolati in un momento di grave crisi bellica e istruiti al combattimento in pochissimo tempo da ufficiali che notarono subito le loro mani grandi e robuste, avvezze a lavori pesanti, li conobbero come ingenui figli di contadini, falegnami e artigiani e ne ammirarono il valore eroico quando combatterono al fronte per ricacciare l’invasore. In tal modo abbiamo voluto offrire a tutti gli studenti del liceo la possibilità di indossare i panni e infilarsi gli scarponi di coloro che hanno vissuto, visto e udito l’indicibile, ciò che nessun manuale di storia potrà mai esaustivamente restituire. Per ricordare chi non c’è piú, chi immolò la propria vita, chi visse immense privazioni, chi perse gli affetti piú cari. . . Utilizzando le vie digitali della rete, noi studenti ci siamo documentati nell’archivio digitale dello storico quotidiano torinese “La Stampa”, leggendo con attenzione le colonne delle pagine pubblicate proprio nel 1914 all’indomani dello scoppio del conflitto. Poi ciascuno ha provveduto a pubblicare, in un giorno prestabilito, una frase d’effetto (tradotta anche in inglese) che sintetizzasse ciò che di importante era accaduto quel giorno, un pensiero significativo, a volte accompagnato da una foto, da condividere sulla rete, in particolare attraverso il social network Twitter. In questo modo abbiamo ripercorso l’universalità delle emozioni piú profonde impresse negli eventi storici della 1° Guerra Mondiale attraverso le cronache, le lettere, gli scritti personali e le corrispondenze di guerra. È stato davvero un modo nuovo ed efficace di studiare la storia, perché attraverso emozioni e sensazioni si è riusciti a capirla, sentirla, viverla nell’intimità del proprio animo e condividerla con coloro che non vogliono dimenticare chi è morto per la patria, chi ha dovuto abbandonare la famiglia e chi è tornato a casa lasciando una parte di sé sul campo di battaglia.

Intervista a Valerio Di Benedetto di Sara Scapolo

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na buona idea e tanta voglia di fare, questi e Luca Vecchi. Noi, piccoli scrittori de la voce abbiamo sono gli ingredienti per un ottimo cortome- avuto la possibilità di intervistare Valerio Di Benedetto traggio come Dylan Dog Vittima degli eventi che ha vestito i panni di Dylan in questo progetto. nato dalle geniali menti di Claudio Di Biagio ü A che età hai iniziato recitazione?

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sara scapolo

A 20 anni, ma era una passione che mi portavo dietro da un po’. Ho sempre fatto video stupidi con i miei amici, non ai livelli di youtubers famosi, e non rimpiango il fatto di aver iniziato ipoteticamente troppo tardi perchè penso ci sia posto per tutti e ognuno ha il suo percorso di vita quindi non ho neanche l’ansia di avere 29 anni e non aver ancora fatto molte cose.

ü Qual è stato il tuo percorso di studi? Elementari, medie, liceo, al primo anno di università scopro il teatro e inizio a portare avanti tutte e due le cose. Inizio a frequentare le lezioni solo quando erano obbligatorie ma neanche tanto e a dare esami quando potevo perchè troppo preso dalla recitazione, mi laureo la mattina dopo aver debuttato a teatro e qui il bivio era evidente. Decido di rinunciare ad uno stipendio fisso per il teatro perchè preferisco tornare a casa con il portafoglio vuoto ma contento e senza rimorsi. Penso sempre che il lavoro lo devi volere, devi cercarlo e se proprio non lo trovi, lo inventi! ü L’esperienza che piú ti ha colpito nel girare “Dylan Dog”? Milena Vukotic che mi chiede di ripassare la scena offrendomi del cioccolato e insiste perchè l’ha portato per noi. Capisci da una donna che ha lavorato con Fellini e con i grandi del cinema francese la professionalità e il rispetto per questo mestiere e per gli altri. ü Il cast mentre giravate era affiatato? Si, molto. Claudio sa amalgamare bene la folla, è riuscito a creare un set in cui c’era cooperazione e il punto

di arrivo era comune a tutti. Di solito c’è la costumista che litiga con il fonico che a sua volta litiga con la truccatrice, invece qui no. Tendo anche a sottolineare una cosa, noi abbiamo girato il tutto in 15 giorni e con un tempo cosí limitato non hai neanche un momento per metterti a discutere su queste piccole cose. ü Avevate quindi un calendario fisso per girare le scene? Si, l’unico problema che abbiamo avuto è stato sul ponte di Castel Sant’Angelo che durante la settimana delle riprese era l’unico ponte di tutta Roma con le luci spente per dei problemi elettrici. Per questo le riprese non sono durate quindici giorni esatti ma abbiamo avuto qualche giorno in piú per questa scena e per un flashback. ü Cosa ti ha portato al livello artistico questo cortometraggio? Sicuramente ho appreso molto e ho guadagnato tantissimo anche grazie al fatto di aver lavorato vicino a grossi calibri perchè a volte si impara di piú osservando e capendo alcune cose. Una delle esperienze piú significative è stata fare l’aiuto registra all’inizio dei miei studi di recitazione, sono ü Avete da poco presentato Dylan Dog Vittima degli eventi a New York; cosa ti ha colpito maggiormente di questa città? New York è una bomba. Ti ritrovi in una città in cui non esiste il giudizio, perchè vedi persone con le creste o anziani vestiti strani ma nessuno che le guarda. Io le guardavo ma solo per dire: “Sei una forza!” e non per criticare o giudicare qualcuno. ü Hai ricevuto molte critiche per questo cortometraggio? Quando sono usciti i primi trailer (che erano stati improvvisati) ho dovuto filtrare le critiche. Ho dovuto fare una scrematura di tutti i commenti positivi e non che ho ricevuto, insomma un secondo lavoro finalizzato al mio lavoro. Potevo anche non fare tutto ciò e seguire altri “canali”. Abbiamo fatto tutto un lavoro sul personaggio cercando di accentuare alcune sue fobie e ci siamo soffermati sul concetto di perdita perchè l’abbiamo contestualizzato nella società dei nostri giorni che è in crisi e di conseguenza abbiamo creato un Dylan che non ha soldi e non lavora da sette/otto mesi. Tutto questo è stato fatto tenendo conto delle critiche e delle visualizzazioni ma non abbiamo ascoltato tutti altrimenti saremmo ancora qui, a chiedere a tutti come vorrebbero il loro Dylan Dog. ü Un augurio? Trovate la vostra strada e seguitela. Tocca a noi migliorare questo paese e dobbiamo mostrare a tutti che abbiamo le capacità adatte per farlo. Questo cortometraggio è stato realizzato da ragazzi di 20/30 anni e finanziato da persone che credono in noi. Se noi siamo riusciti a creare Dylan Dog Vittima degli eventi e a presentarlo in tutta Italia fino ad arrivare a New York voi potete fare tutto, ed è questo che vi auguro!

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Un Piccolo Grande Guinness a Teramo di Davide Lucantoni e Federico Ioannoni Fiore

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’opera del palazzetto dello sport fu progettata nel 1982 dall’ingegnere Giampiero Castellucci. Inizialmente il progetto consisteva nella costruzione di una palestra e successivamente divenne il “PalaScapriano” della città di Teramo che oggi conosciamo. Tale opera aveva le funzioni di ospitare eventi sportivi e non, per poi essere teatro delle vittorie e delle sconfitte della squadra di basket locale. Nonostante si possa pensare che questa struttura sia un “semplice” campo da basket, alla base di essa ci celano diversi studi ingegneristici e architettonici complessi e accurati che la caratterizzano. Negli anni sessanta l’allora giovane ingegner Castellucci iniziò a lavorare sul progetto, ma solo nei primi anni settanta esso iniziò a prendere una forma concreta per ragioni burocratiche ed economiche. La costruzione prende spunto dallo studio dell’architettura classica e rinascimentale, lasciando però ampio margine all’ambizione e alla voglia di sperimentare dello stesso ingegnere. Il palazzetto nasce dunque da un disegno classicheggiante (basti pensare alle somiglianze con la cupola del Pantheon) e dalla voglia di superare questi canoni con una concezione architettonica piú moderna che non si limiti solamente alle tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità), ma ne comprenda altre come quelle del movimento e del suono, ad esempio. Il desiderio, tuttavia, di “creare” lo spazio da parte di Castellucci in ridotta economia: il budget infatti per la palestra era assai limitato. Si realizza attraverso alcuni piccoli artifici ideati da quest’ultimo come ad esempio la disposizione delle colonne all’interno, la collocazione del campo di gioco lievemente decentrata, la disposizione, il colore degli spalti originali del progetto e il disegno dell’illuminazione diurna stabile. Tutto questo insieme al forte eco presente all’interno contribuisce alla presenza di una originale dimensione dinamica dello spazio, da noi personalmente provata. Ciò che contraddistingue questa costruzione è la presenza di una cupola ellittica, di spessore sottile, di laterizio e calcestruzzo.

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Grazie alle misure dei suoi assi, sessantasei quello maggiore e quarantaquattro quello minore, fu riconosciuta nel congresso di Stoccolma nel 1982 (congresso dedicato alle opere piú complesse d’Europa) come la cupola piú grande del mondo, notizia testimoniata anche da Wikipedia e dalla nota rivista L’industria italiana del cemento, rivista specifica del settore industriale sia sulla tecnica costruttiva in cemento sia nei suoi profili tecnico-sperimentali e nelle sue applicazioni. Anche altre importanti megazines citano la cupola del nostro palazzetto. Il progetto sostanzialmente comprende una visione simmetrica dello spazio (al centro vi è un asse di simmetria che lo suddivide in due parti speculari) che sfalza sul piano verticale lo spazio generato in pianta da una famiglia di ellissi tutte tangenti in un punto (punto di tangenza multiplo). La cupola, posizionata su centine di legno e terminante in alto con un “oculus” (non poteva essere rivestita interamente per ragioni tecniche e di peso), quindi è stata realizzata grazie anche all’uso di blocchi spessi 20 cm, sostenuti da una catena ad anello perimetrale e svincolata da pilastri mediante dei cuscinetti d’appoggio tale che la copertura fosse svincolata dai pilastri. Per assorbire i momenti di bordo è stata utilizzata inoltre una soletta in calcestruzzo armato. La stessa presenta anche caratteristiche antisismiche quali isolatori sismici sugli appoggi. In conclusione possiamo definire il nostro PalaScapriano un lavoro di grande modestia e semplicità nella costruzione (tendendo sempre presente le scarse disponibilità economiche) che però ingloba complesse ricerche e talune insicurezze date dall’ansia riguardo un innovativo esperimento architettonico le cui responsabilità gravavano tutte su un solo ingegnere. Una semplice, ma grande opera che esalta la nostra città nel panorama internazionale, dato anche che essa fu analizzata da alcuni ricercatori della NASA e un suo modello in scala è conservato anche alla Sorbonne di Parigi e soprattutto opera di cui non tutti i cittadini conoscono storia e fama.


Oltre noi stessi 15

davide lucantoni e federico ioannoni fiore

davide lucantoni e federico ioannoni fiore


Come Immaginare 10 Dimensioni Spaziali di Fabio Caiazzo

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uest’articolo avrà inizio, contrariamente agli Questo oggetto tridimensionale avrà, in aggiunta alla altri, con un punto. Un punto, inteso (co- lunghezza e alla larghezza, la profondità. me ci hanno già ricordato i professori di [3° dimensione] matematica) come “un’entità spaziale senza dimensione, senza lunghezza, senza larghezza e senza Arrivati a questo punto. . . come facciamo ad profondità”. immaginare la quarta dimensione? Semplice, allo stesso modo con cui abbiamo immagi[0° dimensione] nato le altre dimensioni: prendendo ogni punto dell’ogPrendendo un secondo punto, in una posizione diffe- getto tridimensionale e collegandolo con un altro oggetto rente, avremo 2 punti senza dimensioni che si trovano in tridimensionale. . . parti differenti dello spazio. Se andiamo a congiungere Se siete stati bravi ad immaginare, avrete notato che questi 2 punti attraverso un segmento di infiniti punti, se collegassimo ogni punto di due oggetti tridimensionaavremo creato una linea, che a differenza del punto di par- li, avremmo comunque un oggetto tridimensionale ma tenza, avrà una lunghezza, ma non avrà né una larghezza, “allungato”, allora torniamo indietro. né una profondità. Per immaginare un oggetto quadridimensionale, non [1° dimensione] bisogna collegare i punti dell’oggetto attraverso una linea Facendo allo stesso modo, come con il punto, per im- che passi per lo spazio, ma attraverso una linea che passi maginare la 2° basterà immaginare una seconda linea in per il tempo. Mi spiego meglio: prova ad immaginarti una posizione differente nello spazio e unire, nuovamente, in questo momento, ed ora prova ad immaginarti a cotutti i punti che formano la prima linea, con tutti i punti me stavi prima; nel corso del tempo ti sei mosso e hai che formano la seconda linea. Questo ente, a differenza cambiato posizione (proprio come abbiamo fatto con il del punto e della linea, ha due dimensioni: lunghezza e punto, con le linee e con gli oggetti). Adesso, prova ad immaginare di collegare ogni punto del tuo io presente larghezza, ma non ha profondità. Edwin Abbott Abbott nel XIX secolo scrisse “Flatland” con tutti i punti del tuo io di 5 minuti fa: questa è solo un racconto fantastico in cui i protagonisti erano per- una parte di tutto il tuo io quadridimensionale, in realtà sonaggi a due dimensioni, che vivevano in un mondo per immaginarti quadridimensionalmente, dovresti probidimensionale. Per immaginare come potesse vivere un vare ad immaginare di collegare ogni punto del tuo io flatlander provate a pensare che questi personaggi, ad appena nato, al tuo io. . . morto; quindi il lungo insieme esempio, non avevano tratto digerente; in tal caso que- del tuo io, sembrerà una linea nella 4° dimensione. Come il flatlander che percepisce solo sezioni bidimensto avrebbe diviso in due il corpo dell’abitante. La cosa sionali del mondo tridimensionale, noi percepiamo solo interessante da notare, è anche il fatto che ogni abitante sezioni tridimensionali dello spazio quadridimensionale. di una ipotetica Flatlandia (di qualunque dimensione si Quest’oggetto quadridimensionale, avrà come dimenparli) non può percepire le dimensioni superiori, come noi non possiamo percepire la 4° dimensione, i flatlander sione aggiuntiva a lunghezza, larghezza e profondità, il non possono percepire la 3°, ma si accorgono solo di se- tempo. zioni bidimensionali di questa; cosi noi percepiamo solo [4° dimensione] sezioni tridimensionali della quarta dimensione. Nota particolare: immagina di prendere un foglio Ora immaginiamo lo spazio pentadimensionale: conti(facendo finta che non abbia profondità) e di curvarne i nuando ancora, sempre allo stesso modo, analogamente a bordi, congiungendoli; adesso il foglio occupa una dimenquando abbiamo immaginato di rappresentare la terza disione in piú ed è possibile arrivare istantaneamente da un mensione partendo dalla seconda, immagina di collegare bordo all’altro del foglio senza passare necessariamente una linea della 4° dimensione con un’altra linea. Questa per tutto il foglio. volta ogni punto della linea corrisponde ad un momento [2° dimensione] della vita; quindi, collegando un momento della vita ad Continuando allo stesso modo, se uniamo ogni punto un altro, si avranno infinite possibilità di avvenimenti. del nostro ente bidimensionale e lo andiamo a congiunge- Questo viene percepito come un “piano” a 5 dimensioni. re ad ogni punto di un altro ente bidimensionale, saremo Le particelle che permettono tutto ciò nella 5° dientrati nella 3° dimensione, quella con cui noi siamo abi- mensione, vengono percepite come tempo nella 4° tuati a relazionarci e quindi non difficile da immaginare. dimensione.

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[5° dimensione] Adesso, per immaginare lo spazio esadimensionale, ripercorri il ragionamento del foglio di carta curvato. Allo stesso modo, se si curva un piano pentadimensionale, si avrà uno spazio esadimensionale, dove gli abitanti, potrebbero “curvare” il tempo per arrivare ad un momento all’altro della loro vita, senza dover aspettare che queste avvengano per lo scorrere del tempo (come un abitante non deve necessariamente percorrere tutto il foglio per passare da un bordo all’altro, cosí nella sesta dimensione è possibile arrivare a un momento all’altro della vita senza far passare tempo).

[7° dimensione] Immaginando la settima 7° dimensione come una linea, per immaginare l’8° dimensione, ragioniamo allo stesso modo di quando abbiamo immaginato la 2° dimensione; tracciamo una seconda linea ettadimensionale e colleghiamo ogni punto esadimensionale della prima linea, a ogni punto della seconda. Se qualcuno dovesse spostarsi su questo “piano” a 7 dimensioni, ad ogni spostamento equivarrebbe un passaggio in un altro universo. [8° dimensione]

pamela primula

Ora, per immaginare la 9° dimensione, basterà applicare nuovamente la regola del foglio di carta, cosí che [6° dimensione] sarà possibile muoversi da una linea ottadimensionale, Siamo arrivati alla settima dimensione. Per immagi- senza passare necessariamente per quelle intermedie. nare come sia fatta la settima dimensione, dovremmo [9° dimensione] collegare tutte le possibili linee temporali del nostro universo, ad altre (in pratica dovremmo unire tutta la vita E ora “rullo di tamburi”: siamo arrivati alla decima del nostro universo ad un altra). Per far ciò dovremmo dimensione, essendo l’ultima dimensione immaginabile, immaginare la sesta dimensione come un unico punto, dovrà comprendere tutti i salti, di tutte le linee temporali, che rappresenti tutte le linee temporali, a partire da tut- di tutti gli universi immaginabili, quindi. . . immagina ti i possibili inizi del Big Bang a tutte le possibili fini che la 10° dimensione sia come una sfera, in cui tutti i dell’universo. punti sono collegati mediante linee. Ma quale potrebbe essere un punto posto in posizione [10° dimensione] differente dal nostro? La risposta è: un altro universo che ha avuto origine E ora? Per poter immaginare un’undicesima dimensiocon condizioni differenti al nostro che ha dato vita ad un ne dovremmo collegare 2 sfere della decima dimensione universo differente, con leggi fisiche differenti. La linea mediante una linea che le congiunga, ma non ci sono altri che congiunge i due universi avrà 7 dimensioni. mezzi di collegamento.

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La Missione Rosetta di Daniel Di Febo

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en quarantacinque anni dopo la fatidica frase recitata da Neil Armstrong: “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l’umanità.” l’uomo torna a far capolino nell’universo con un’altra delle sue imprese ovvero sbarcare su una cometa. « Rosetta, cacciatrice di comete » è atterrata sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko 12 Novembre 2014 dopo un corteggiamento durato dieci anni e un viaggio di sei miliardi di chilometri. Ed ecco che per la prima volta, una sonda interplanetaria è riuscita ad atterrare sul nucleo di una cometa, per andare a studiare in modo assai piú dettagliato rispetto alle precedenti missioni, le caratteristiche, ancora piuttosto misteriose, di questi corpi celesti e di svelare i mattoni della vita. La storia di Rosetta però è assai piú vecchia di quanto sembri; infatti è stata pianificata nell’ambito del progetto della European Space Agency (ESA) chiamato Horizon 2000, iniziato nel 1985 con l’obiettivo di esplorare i corpi minori — principalmente comete e asteroidi — del Sistema Solare. La missione è partita il 2 marzo 2004, con il lancio della sonda attraverso il razzo Ariane 5 dal Centro spaziale della Guyana Francese e insieme ad essa il lander Philae, trasportato all’interno della sonda (I lander sono un tipo di navicelle spaziali usate per atterrare sulla superficie dei corpi celesti nella quale tuttavia non possono muoversi. I veicoli che prevedono questa possibilità sono invece detti rover). Dalla data di lancio si sono succedute varie fasi e una volta raggiunta la parte del Sistema Solare piú distante dal Sole, in cui i pannelli solari non sono stati in grado di funzionare, Rosetta ha raggiunto uno stato di ibernazione. Per questo, la sonda è stata messa in profondo letargo nel giugno 2011, rimanendovi per 31 mesi. Rosetta si è poi risvegliata da sola, senza segnali provenienti dalla Terra, grazie a un proprio orologio interno, lo scorso gennaio. Il 6 agosto è avvenuto l’incontro con la cometa 67P/Churjumov-Gerasimenko. Il 12 novembre scorso il lander Philae è stato rilasciato e ha raggiunto senza problemi la cometa: l’unica complicazione è avvenuta nella procedura di ancoraggio, il

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che non ci permette ancora di accertare la stabilità della navicella sulla superficie del corpo celeste. Il lander Philae ha iniziato il 14 novembre le perforazioni sul suolo della cometa 67P/Churjumov-Gerasimenko ma, dal momento che è atterrata in un punto diverso rispetto a quello inizialmente previsto, l’energia solare non è sufficiente per tenere attiva la batteria della navicella. Il 15 novembre, dopo aver inviato le ultimi immagini della cometa, il lander Philae ha esaurito le batteria ed è entrato in stand-by. Tornerà attivo quando i pannelli solari saranno nuovamente in grado di fornire energia alla navicella. Nel breve periodo di lavoro sulla cometa, la sonda ha inviato sulla terra centinaia di foto e dati che testimoniano la presenza di molecole organiche (contenenti carbonio) e una temperatura sulla superficie di 153 gradi sotto lo zero. Il nome Rosetta deriva dalla celebre stele di Rosetta, la lastra di granito rinvenuta nel 1799 che, contenendo iscrizioni sia in geroglifico che in greco, permise agli archeologi di decifrare la scrittura degli antichi egizi. La decisione di dare alla missione un nome cosí altisonante si spiega con le grandi aspettative che l’ESA ripone in essa: tramite i campioni che il lander sarà in grado di prelevare tramite alcune trivellazioni, oltre a risposte inerenti la conformazione del nucleo della cometa stessa, la speranza è di trovare elementi che permettano di risalire alle origini del Sistema Solare. Il lander ha invece preso il nome di Philae, da una piccola isola sul Nilo, in Egitto, in cui nel 1815 fu ritrovato un obelisco con iscrizioni in greco e geroglifico. Il luogo del’atterraggio del lander è invece stato chiamato Agilkia, una piccola isola del Nilo dove sono stati trasferiti, nel 1977, alcuni templi che sorgevano sull’isola di Philae, sempre in Egitto, allagata a causa della costruzione della diga di Assuan. Anche l’Italia ha partecipato con non poco impegno e materiale alla missione; infatti a capo delle operazioni è l’italiano Paolo Ferri ed alcune parti come la trivella che perforerà la superficie della cometa sono state fabbricate in Italia.


Le Epidemie dei Nostri Giorni di Giulia Di Giuseppe

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olera, Vaiolo, Peste. Ormai non fanno piú paura. Le abbiamo lette sui libri di scuola cosí tante volte, che ormai abbiamo smesso di prestarci attenzione, giudicandole realtà avulse e lontane da noi. Fino a qualche secolo fa non era affatto cosí, anzi, soltanto il sentir pronunciare quei nomi scatenava reazioni di vero e proprio panico: ci si rinchiudeva in casa per stare al sicuro, al riparo dai “flagelli”, dalle “punizioni divine”. Certo, anche allora come ai giorni nostri c’era la paura della morte, ma contenuta, purchè restasse un fenomeno isolato all’interno di una singola famiglia, in cui ci si consolava con interminabili preghiere e riti in onore del defunto. Ma quando si è iniziato a parlare di “epidemie”, cosí sono stati classificati questi mali dalla medicina moderna, non rimanevano nemmeno piú le preghiere, ne tantomeno i riti. L’unica preoccupazione era evitare il “contagio”, divenuto sinonimo di morte. Non si seppellivano i cadaveri, venivano bruciati o ricoperti di calce. Non c’erano piú tombe su cui piangere, soltanto cumuli di ceneri e terra. Sin dall’antichità le epidemie erano associate a vere e proprie catastrofi, o calamità naturali, poiché colpivano la stragrande maggioranza della popolazione, causando innumerevoli vittime quasi in contemporanea. Il terrore si diffondeva in tutta l‘area contagiata (il cosiddetto “focolaio”) e nelle zone attigue, a causa di quelle che vengono ricordate come vere e proprie morti di massa, che hanno portato conseguenze, oltre che a livello demografico, anche sociale ed economico. La storia dell’umanità è strettamente legata alle malattie che l’hanno scossa. La prima vera e propria epidemia di cui abbiamo fonti certe, fu quella che colpí Atene nel 430 a.C. durante la guerra del Peloponneso. La leggenda narra che gli Spartani catapultarono all’interno delle mura cittadine dei cadaveri infetti, per indebolire le fortificazioni nemiche, come in una vera e propria “guerra batteriologica”. In realtà gli studiosi hanno stabilito che non si trattava della peste come la intendiamo oggi, bensí di una forma di vaiolo, o febbre emorragica (come l’ebola, ad esempio). Nel 541-43 a.C. si registra la pestilenza che colpí Costantinopoli, sotto il regno di Giustiniano. Si tratta del morbo causato dal batterio Yersinia pestis, che andando a colpire i linfonodi, sviluppava una reazione infiammatoria con rigonfiamenti e dolore; o in altri casi, poteva diffondersi fino ai polmoni, causando una grave polmonite, responsabile della trasmissione umana tramite tosse, che portava alla morte in pochi giorni. La peste fu por-

tata a Costantinopoli con un carico di grano proveniente dall’Africa settentrionale. Le navi erano infestate da ratti e parassiti, principali portatori dell’agente patogeno, che entrando in contatto con il grano, e quindi con l’alimentazione umana, decimarono piú del 40% della popolazione totale. Quella del 1348 è nota a tutti come “Black Death”, la “morte nera”, cosí denominata per via della livida colorazione che assumevano i cadaveri interamente ricoperti di piaghe piene di pus, negli istanti successivi al decesso. Dettagli disgustosi a parte, la morte nera giunse in Europa dall’Asia, probabilmente dal deserto del Gobi, anche in questo caso dalle rotte commerciali. Quando i mercanti genovesi riportarono il morbo nel continente, l’Europa viveva un periodo particolare di carestia, dovuto ad una piccola era glaciale (PEG) che aveva inaridito di parecchio il suolo. La peste trovò quindi terreno fertile per la sua diffusione, colpendo molto duramente dove le condizioni igieniche erano piú disperate. Le conoscenze medico-scientifiche erano alquanto inadeguate e decisamente confuse, cosí ci si affidava a preghiere, confessioni, e penitenze (inclusa la flagellazione). Nel 1495 ci fu invece la prima epidemia di sifilide, esplosa a Napoli per via delle truppe francesi presenti presso la corte di Carlo VIII, e da lí si diffuse presto in Europa e Asia. Per anni conosciuta come “il male francese”, la sifilide è causata dal batterio Treponema pallidum, e si trasmette principalmente sessualmente, oppure per via transplacentare (dalla donna incinta al feto). Altre malattie che si diffusero in tutto il mondo a partire dal 1400 furono il colera, la tubercolosi, il tifo, il vaiolo, la malaria, l’influenza spagnola e la pertosse. Esse sono tutte causate da agenti patogeni che una volta insidiati nell’organismo umano, si riproducono ad un ritmo spaventoso andando a compromettere le normali funzioni vitali. Ma non c’è bisogno di allarmarsi. Questi mali sono stati debellati brillantemente dalle sensazionali scoperte in campo medico (ad esempio con la penicillina ed i vaccini). Ma ci sentiamo realmente al sicuro? Senz’altro non sentiamo parlare di peste o vaiolo da diversi secoli, dunque perché preoccuparsi? Coerentemente con il progresso scientifico e tecnologico, le malattie progrediscono, si raffinano, diventano piú intelligenti ed insidiose, pronte a colpire chiunque, dal ricchissimo attore di Hollywood, all’operaio che stenta ad arrivare a fine mese. Nella società odierna, dove non esistono piú problemi a livello igienico o sanitario (riferito ai paesi industrializzati), continuano comunque ad esistere persone che muoiono a causa di malattie infettive. Analizziamo la situazione.

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fa non si era della stessa opinione. Basta chiedere ai nostri genitori, senza il bisogno di risalire ai nonni. È incredibile come l’uomo sappia dimenticare milioni e milioni di morti, con la scoperta di un vaccino. Come possa essere totalmente indifferente, per poi ricadere inevitabilmente nel caos piú totale alla diffusione di un nuovo morbo. Sotto questo aspetto possiamo parlare di vera e propria ipocrisia, da parte dei governi e della popolazione stessa. Si crede semplicemente che basti non pensarci, non parlarne, esorcizzare le paure per scongiurare nuove ed imprevedibili sciagure. Ci si crede invincibili, si è convinti che nulla possa sfiorarci, che si tratti di un mondo lontano anni luce, e invece si trova dietro l’angolo, molto piú vicino di quanto pensiamo.

pamela primula

Non serve tornare indietro agli anni ’50 per menzionare la meningite, che fece numerose vittime, o la tremenda epatite C (HCV) che devastò l’America negli anni 70; basti pensare alla SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave) che colpí la Cina nel 2002, al virus dell’Aviaria, o all’A-H1N1, comunemente nota come “influenza suina”, ecc.. . . In fondo cosa hanno di diverso queste malattie e le antiche epidemie? Nulla. Sono tutte dovute ad agenti patogeni (batteri o virus) che alterano le funzioni metaboliche e, in caso di degenerazione, possono condurre alla morte. Ultimamente, parlare non tanto di Cancro, quanto di AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), non fa piú scalpore, non crea piú tanta confusione. Ma vent’anni

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Il Fantasy in una Tavola Rotonda di Lorenzo Pesci

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el giorno 22 dicembre 2014, durante l’assemblea d’istituto, si è svolta una tavola rotonda del genere fantasy a cura del prof. Cozzi, della prof.ssa Fabiocchi, Anthea Di Salvatore e di Marco. Si parte subito con Anthea Di Salvatore che spiega il genere fantasy illustrando le tematiche principali e i sottogeneri piú importanti (urban fantasy ad esempio). Dopo l’infarinata sulle cose piú importanti del genere fantasy, l’intervistatore Marco Cappelli pone la sua prima domanda al prof. Cozzi chiedendo da cosa hanno preso spunto autori come Talkien. Il prof. Cozzi risponde dicendo che Talkien prende ispirazione da temi medievali e li rende appetibili ai lettori. In seguito Marco domanda ad Anthea e alla professoressa Fabiocchi dei fantasy molto riusciti in Italia. Anthea risponde dicendo che i fantasy piú famosi in Italia sono quelli di Licia Troisi, mentre la prof. Fabiocchi cita Buzzati e Pandolfi. Il nostro Cesar Flickerman (l’intervistatore dei tributi in Hunger Games) rivolge una domanda a Marco che ha scritto un fantasy su cosa lo abbia spinto a pubblicare il libro. Marco risponde dicendo che all’inizio non voleva pubblicare il libro solo che, dopo aver vinto un concorso, ha mandato il suo libro ad alcune case editrici che hanno entrambe accettato di pubblicare. Marco decise di pubblicare il suo libro intitolato Il vaso di Pandora con una casa editrice locale in quanto il processo di pubblicazione dello scritto non era una cosa meccanica come invece avviene in una casa editrice nazionale. Marco Cappelli pone una domanda ad Anthea. Quest’ultima risponde dicendo che oggi è indispensabile rivolgersi a diverse fasce di lettori. Interviene Cozzi dicendo che, a causa di questi cambiamenti la cultura italiana diventa periferica in Europa. Inoltre il professore dice che (in Inghilterra) nel 1874 circa vi fu una frammentazione dei generi e, di conseguenza, della richiesta. La prof. Fabiocchi sostiene che, grazie alla nascita dell’industria editoriale, nascono numerosi sottogeneri destinati ad un pubblico con minore disponibilità economica. Inoltre l’insegnante sostiene che la divisione in fasce d’età sia una trovata economica e che vi sono opere scritte destinate ad una determinata età ma che in realtà dono destinate a persone piú colte.

Infine Anthea consiglia dei libri (che consiglio caldamente anch’io) che sono la saga di Harry Potter di J. K. Rowling e Percy Jackson di Rick Riordan. Marco Cappelli propone ai professori una domanda nella quale chiede come mai la scuola ignora il fantasy. La prof. Fabiocchi dice che loro sono cresciuti con dei determinati schemi e che la scuola deve far leggere libri classici con un alto canone letterario. Però questi classici non fanno aumentare in noi ragazzi la voglia di leggere. L’insegnante continua dicendo che molte antologie stanno iniziando a proporre frammenti di romanzi moderni. Interviene Cozzi dicendo che l’italiano nell’800 era conosciuto solo come lingua letteraria e che solo nel secondo dopoguerra l’italiano diventa una lingua veramente condivisa. Inoltre il professore afferma che ora stanno cambiando i lettori. Marco Cappelli porge una domanda a tutti chiedendo se esiste un legame tra fantasy e fumetto. Interviene Anthea dicendo che il collegamento è tramite i supereroi. Marco (l’autore del libro) sostiene che il fantasy e il fumetto siano collegati dal fatto che entrambi sono considerati sottogeneri. Ora il fumetto sta diventando un genere commerciale poiché molti film sono tratti dai fumetti. Subentra alla discussione la prof. Fabiocchi dicendo che molti romanzi di Verne sono stati trascritti in fumetti. Inoltre aggiunge che il fumetto nasce come forma satirica in quanto capace di trasmettere il messaggio in tutta la sua essenza. Cozzi aggiunge che nel fantasy moderno sono fondamentali le mappe e i disegni. Marco Cappelli chiede a Marco l’autore del libro chiedendogli come mai avesse scelto il mito di Pandora. Marco risponde dicendo che il mito di Pandora è molto conosciuto e che nel suo libro sono presenti miti orientali. Marco Cappelli fa una domanda a tutti e chiede di consigliare ai lettori un libro. Anthea consiglia Le cronache di Narnia, Percy Jackson e Hyperversum poiché contiene numerose informazioni storiche. La prof. Fabiocchi consiglia la lettura dei romanzi di Michael Ende e il libro Gli eventi di Mut in cui troviamo la ricostruzione fantastica di comunità di Homo sapiens e Homo sapiens sapiens. Infine Cozzi consiglia Ursula Le Guin.

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Recensioni di Anthea Di Salvatore Divergent di Veronica Roth

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cco: immaginate un mondo in cui tutta la popolazione si divida in Fazioni per perseguire la pace. Chi pensa che l’equilibrio sia rotto dalle menzogne e persegue la verità: sono i Candidi; chi ritiene che colpevole sia l’ignoranza e cerca il sapere: Eruditi; chi trova conforto nella tranquillità: Pacifici; chi scansa la vigliaccheria e sceglie il coraggio: Intrepidi; chi rinnega l’egoismo in favore dell’aiuto e della collaborazione: Abneganti. Ora immaginate che queste fazioni condizionino tutta la vita della società. Pensate al motto “la Fazione prima del sangue”. Al compimento dei 16 anni, con il raggiungimento della maturità, ognuno deve scegliere in quale Fazione trascorrere il resto della propria vita: continuare a stare

nella Fazione dei propri genitori, l’unica realtà conosciuta fino a quel momento, oppure diventare un Transfazione, sapendo che dovrà immediatamente troncare di netto ogni rapporto con tutte le persone che conosce. Cercate di immaginare che l’unica prova in grado di aiutarvi a scegliere, non dia un risultato univoco per una Fazione, ma Divergente. Ora supponete di trovarvi a compiere la Cerimonia della Scelta in queste condizioni. Bene, cosí comincia la storia di Beatris Prior. Un romanzo distopico che prosegue la tradizione iniziata da George Orwell con Nineteen Eighty-Four, in cui il futuro della società umana appare distorto e stravolto. Voto llll w

Percy Jackson presenta gli Dei dell’Olimpo di Rick Riordan

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a storia della creazione del mondo nella mitologia greca. L’immortale soap-opera ha inizio agli albori dell’universo con Caos, Gea e Urano, passando per Titani fagocitati dal padre, atroci vendette e parricidi. E continua con gli dei che spodestano i Titani. Nascite improbabili, unioni sospette, tradimenti e

maledizioni. Tutto questo e molto altro raccontato in modo ironico, dissacrante e irriverente da Percy, il protagonista della celebre saga di Rick Riordan “Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo”. Voto llllm

Shadowhunters — Città di Ossa di Cassandra Claire

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Andiamo a ballare al Pandemonium. » Una normale serata comincia con questa premessa e si conclude con un efferato omicidio. Ma il cadavere scompare nel nulla davanti agli occhi di Clarissa Fray. Gli assassini sembrano piú sconvolti per il fatto che lei li possa vedere che per l’atto appena commesso. Questo incontro ambiguo e inquietante scatena una catena di eventi che portano alla scomparsa della madre di Clary e alla scoperta del Mondo Invisibile, ignoto ai Mondani, popolato da creature fantastiche e demoniache, e soprattutto dagli Shadowhunters, cacciatori di demoni che proteggono un mondo ignaro da secoli. Jace, Alec e Isabel sono Shadowhunters.

22 Recensioni e spettacoli

Clary scopre di avere la “Vista” e cosí riesce ad osservare ciò che per gli altri non esiste. Ma da dove viene il suo collegamento con il Mondo Invisibile? Chi sono davvero i suoi genitori? Perché ha questa capacità? Che cos’è stata la sua vita fino a quel momento? E che cosa nascondono gli occhi dorati di Jace? Perché è come se una forza incredibile la spingesse verso di lui e verso il suo mondo? E chi è Valentine? Tante domande per una serie che sorprende con colpi di scena e personaggi affascinanti. Voto llll w


I Gruppi emergenti Teramani di Francesco Cameli

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e avessi rispettato le volontà del professor Cozzi, avrei scritto questa breve rubrica sui gruppi emergenti di Teramo tempo fa, ma quando mi è stato assegnato il compito mi sono ritrovato molto in difficoltà a causa della povertà, celata da un’apparente ricchezza, di materiale su cui scrivere: è vero che a Teramo i gruppi nascono come funghi, ma molti si limitano a fare cover, altri si sciolgono con la stessa velocità con cui si formano, cosí diventa difficile distinguere i gruppi emergenti da quelli senza particolari ambizioni. A un anno di distanza alcuni di questi si sono differenziati per la loro perseveranza e creatività. I piú giovani sono i DEMOTERION, nati nel 2012 quando Alen, Gianmarco e Riccardo si sono incontrati a un concerto e hanno deciso di formare un gruppo epic pagan metal. Subito dopo aver trovato gli altri componenti, senza perdere tempo i ragazzi hanno lavorato sul loro primo EP, Prometheus, nel quale si sentono le influenze di tutti i membri della band, che vanno dai Finntroll ai Dark Tranquillity, tutto in chiave molto semplice e di facile accesso. Andando avanti, la formazione si è modificata ulteriormente e i Demoterion hanno continuato a scrivere quei pezzi, sempre meno scontati, che si troveranno nel loro primo album, dalla forte componente epica, barbara e aggressiva nella musica e nei testi. Tematiche completamente diverse sono quelle trattate dai SONS OF REVOLUTION: le loro canzoni sono degli spaccati della loro vita di tutti i giorni e rispecchiano appieno ogni membro, poiché nascono da jam session in studio, durante le quali ognuno può mettere del suo, idee, cuore e passione. Si sono formati nel 2012 quando Paolo e Mario hanno deciso di formare un gruppo per diffondere lavori originali. Fanno un genere contaminato dal blues, ma piú moderno rispetto a questo, ispirato a Jack White e Rival sons, anche con contaminazioni progressive e grunge. Molto moderni anche nei mezzi di comunicazione, si possono trovare, oltre che su facebook,

anche su twitter, instagram, cosa che non si può dire per il momento delle STRADE DISSESTATE, che hanno scelto di farsi trovare solo su facebook finché non avranno lavori registrati professionalmente da presentare; per sentire la loro musica bisogna andare a divertirsi vedendoli suonare dal vivo. Il loro genere non è facilmente classificabile perché quando si sono formati, nel 2011, metà del gruppo era ispirato dal punk rock e dal grunge, l’altra metà dalla musica italiana come Area e PFM e, nonostante i cambi di formazione, che negli anni è diventata sempre piú professionale, il cuore compositivo del gruppo è rimasto invariato. Nel loro CD, che non uscirà prima di un anno, si potranno trovare influenze ska, funk, punk e altre ancora, che miscelate tutte insieme creano un genere che il gruppo chiama folk swing. Compromessi del genere non sono stati fatti dai TNP, nati con l’obiettivo di fare pezzi con un buon groove, e il loro primo EP, uscito nell’aprile 2014, non ha deluso nessuna aspettativa. Intervallati l’uno dall’altro da qualche secondo di musica etnica, nei pezzi dell’EP si sentono le influenze di gruppi thrash/groove metal come i Pantera e i Testament; ascoltandolo, ci si può fare un’idea di quello che sarà presente nel loro prossimo album, sul quale i TNP sono già al lavoro e, sebbene non si possano ancora avere molte anticipazioni, da esso ci si devono aspettare “violenza e catapugni”. Sarà che lavorare in gruppo comporta molti sacrifici e molte rinunce, sarà che non esistono delle giovani groupies come si deve che danno ai ragazzi la spinta per suonare (e non solo quella), ma ben pochi nei gruppi di cui ho parlato sono ancora adolescenti. Spero che in un futuro prossimo, colui che continuerà il mio lavoro potrà scrivere di gruppi piú giovani e sfrontati, desiderosi di esprimersi, di sentire le proprie idee e le proprie frustrazioni che prendono vita in canzoni suonate in dei localacci, circondati da amici e da litri di birra, a godersi il frutto di tutto il tempo “perso” tra prove, incazzature, prove, litigi, perfezionamenti e ancora prove.

Continua da p. 3 Ma dopo le chiacchiere rimane solo il dolore per il sangue innocente versato. Di contro, le vacche sacre delle ideologie magnifiche e progressive si rivelano ridicole e si trovano in saldo permanente sul primo scaffale. Mio povero Wolinski. . . In occidente abbiamo molto da farci perdonare,7 ma sicuramente non la satira o la libertà di parola.

1 Charlie Hebdo venne definito « journal bête et méchant » (“giornale stupido e cattivo”) dagli stessi fondatori. 2 Palombella rossa (1989) 3 cfr. Benjamin Franklin, “They who can give up essential liberty to obtain a little temporary safety deserve neither liberty nor safety” (Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza). 4 Franco Piperno dixit

NOTE

5 http://goo.gl/SB929Q 6 cfr. Robert Hughes, Culture of Complaint (La cultura del piagnisteo), 1993 7 Ogni volta che le potenze occidentali si sono impelagate in zone di conflitto (ad es. Afganistan, Iraq, Libano, Libia, Kossovo ecc.) hanno alimentato estremismi, diaspore e nuovi conflitti.

Recensioni e spettacoli 23


L’Uomo che Rifiutò la Apple di Marcello Pichini

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ella vita ci troviamo spesso costretti ad affrontare delle scelte, da quelle piú banali come prendere un cornetto alla crema o uno alla nutella (ma si sa già che la vostra scelta ricadrà su quello con la nutella), a quelle piú ardue che possono condizionare il vostro futuro. Noi ragazzi incontriamo il primo bivio significativo alla fine delle superiori: cosa fare? prendere medicina? ingegneria? Andare all’estero? Rimanere in Italia? O restare a casa e fare il mantenuto? Per questo motivo la voce, per aiutare i ragazzi in questa e nelle varie scelte che ci propone la vita, ha deciso di intervistare un ex studente del nostro liceo, una persona fuori dal comune, che si è trovata ad affrontare varie scelte nella sua vita, a volte anche prendendo la strada sbagliata, ma che con caparbietà, nonostante le difficoltà, si è realizzato nella vita: Manuel Mazzilli. ü Ciao Manuel, passate bene le vacanze? Sappiamo che anche tu frequentavi il nostro liceo, che tipo di studente eri? Ciao, sí, molto bene, tornare a Teramo è sempre bello, qui ci sono molti dei miei amici e la mia famiglia. Comunque sí, frequentavo la vostra scuola, e ad essere sincero ero uno studente un po’ “pigro” però andavo bene in matematica, la capivo facilmente. ü Noi sappiamo che eri anche rappresentante d’istituto. . . Sí sí, per 3 anni ho rivestito questa carica. Tanto che mi soprannominavano Andreotti. (ride) ü Bene Emanuel, abbiamo rotto un po’ il ghiaccio. . . Passiamo a domande piú serie. Parlaci della tua prima scelta davvero importante, quella del percorso universitario. Inizialmente ero molto indeciso, ma alla fine ho scelto psicologia. Dopo sei mesi però ho capito che non era la strada giusta e per questo lasciai. Nel frattempo, prima di scegliere la nuova facoltà, per guadagnare qualcosa ho lavorato come cuoco a Roma. Dopo questa esperienza, molto formativa, ho capito che ingegneria informatica era la strada giusta. Cosí ho scelto di andare a Modena e mi sono laureato in meno di 3 anni, per recuperare l’anno perso. ü Come mai proprio Modena? Modena era molto buona, e mi dava l’opportunità di andare a studiare lontano da casa, esperienza che ritenevo molto formativa. In piú la mia famiglia, ha sempre fatto molti sacrifici per farmi studiare, e questa università offriva borse di studio molto buone.

24 TEXnologia

ü Poi avviene la svolta nella tua vita. . . Sí, al termine della triennale, sono stato chiamato dalla Mercedes per uno stage a Palo Alto in California. Era piaciuto il fatto che avevo vissuto un’esperienza come l’Erasmus e che avendo lavorato per alcune aziende avevo maturato una certa esperienza. ü Un anno di stage e poi sei stato contattato da alcune delle piú importanti aziende americane. In America mi sono trovato molto bene, mi piaceva e mi piace tuttora la mentalità e cosí ho deciso di rimanere anche dopo lo stage. Alla fine di quest’esperienza avevo trovato un po’ di difficoltà a trovare lavoro a causa della lingua, ma alla fine ho tenuto un colloquio presso Twitter e mi hanno preso. ü Emanuel, la cosa che ti caratterizza di piú e che crea molta curiosità è (il fatto) che tu abbia rifiutato la Apple. Perché hai fatto questa scelta? Bene, l’Apple mi aveva contattato e cosí ho avuto un colloquio con loro. Ero andato lí pensando che non mi prendessero e invece gli ero piaciuto e mi hanno offerto un posto per creare il sistema operativo del nuovo iPhone. Ci ho riflettuto a lungo ma alla fine ho deciso di rimanere a Twitter. Qui a Twitter mi trovavo e mi trovo tuttora molto bene, qui ho fatto e amicizie e mi sembra quasi come una famiglia. Nella vita non contano solo i soldi, ma anche molte altre cose. ü Una scelta molto difficile e non da tutti. Bene, Emanuel abbiamo parlato della tua carriera, ora vorrei concludere facendoti tre domande. Ti manca l’Italia? Molto. Come ho detto in precedenza in Italia ci sono molti dei miei amici e la mia famiglia; inoltre, l’esperienza all’estero, oltre ad essere molto formativa, ti fa apprezzare molto di piú il tuo paese. ü Che piani hai per il futuro? E che consiglio dai a noi studenti che devono scegliere quale strada intraprendere dopo il liceo? Innanzitutto vorrei fare ancora un po’ di carriera per almeno altri 4-5 anni. Il mio sogno sarebbe di tornare in Italia e aprire una mia attività. Per quanto riguarda l’ultima domanda, io vi consiglio vivamente, di fare ciò che vi piace. Di scegliere con la vostra testa perché solo voi sapete ciò che piú vi coinvolge. Inoltre ribadisco l’importanza di fare un’esperienza universitaria il piú lontano possibile da casa, perché è davvero un’esperienza molto formativa. ü Grazie Emanuel da parte de LA VOCE, questa era l’ultima domanda. Grazie a voi e buon anno a tutti.


Naruto di Masashi Kishimoto di Pamela Primula

Q

uanti di voi non conoscono il ninja biondo che sogna di diventare Hokage? Penso che le persone che alzeranno la mano siano davvero poche visto che ormai Naruto è famoso in tutto il mondo, tra grandi e piccini. Avevo deciso di non recensirlo perché non ne ha bisogno, è una colonna portante della storia del fumetto giapponese ormai da quindici anni ma, dopo averci riflettuto, ho cambiato idea. La ragione è una sola: è appena terminato. È giunto al capolinea quel treno che ha fatto sognare, durante il suo lungo viaggio, milioni di “passeggeri” (noi) con le grandi e sempre piú stupefacenti idee del suo creatore che, personalmente, non mi hanno mai delusa e fatto perdere la voglia di continuare a seguirlo. Naruto è uno shonen manga (fumetto giapponese destinato a un pubblico adolescenziale maschile) scritto e disegnato da Masashi Kishimoto, edito la prima volta sulla rivista Weekly Shonen Jump nel settembre del 1999 e conclusosi il 10 novembre 2014 con 700 capitoli (72 volumi). È arrivato in Italia attraverso le traduzioni della Planet Manga (Panini Comics) nell’aprile del 2003, ma sicuramente l’anime (cartone animato giapponese) è quello piú conosciuto dalle masse. Infatti è stato trasmesso su piú canali italiani ripetutamente dal 2006 senza ancora arrivare al traguardo giapponese di piú di 600 episodi. La storia a prima vista può sembrare semplice, ma andando avanti emerge la complessità del progetto del mangaka (fumettista) con i suoi intrecci che ruotano vorticosamente intorno ai due protagonisti e che vengono spiegati mano a mano, con relativa sorpresa e sbigottimento del lettore. Non esistono singole vicende, tutte sono collegate da un filo conduttore che il mangaka già all’inizio conosce e sa come sviluppare cosí che molte cose non spiegate da subito si ritrovano trattate alla fine. Naruto, ragazzo orfano di entrambi i genitori, protagonista indiscusso del manga, ha sempre vissuto nella solitudine, tra i pregiudizi della gente che lo discriminava come portatore di sventure poiché egli aveva dentro di sé sigillato un demone. Sasuke, anch’egli orfano, coprotagonista, vive compatito e omaggiato da tutti per le sue capacità geniali ma cova un odio profondo e una vendetta senza eguali dentro di sé per colui che gli ha tolto ciò che aveva di piú caro. Questi due ragazzi si troveranno a combattere le ostilità in uno scenario popolato da ninja la cui società e le cui dinamiche sono state create da Kishimoto sulla base della storia della sua patria. I protagonisti cosí simili ma comunque diversi nel carattere diventeranno rivali, pronti a sfidarsi per migliorare se stessi, amici fraterni e purtroppo anche nemici, conserveranno quel legame che il destino ha deciso di non recidere ma consolidare nonostante la loro lontananza, i

diversi percorsi e ideologie. Anche se la storia si incentra su di loro, raccontando la loro crescita, l’autore sviscera appieno la psicologia degli altri personaggi, anche quelli che solamente fanno da sfondo, dimostrando di avere una visione completa del mondo fantastico creato, senza dimenticarsi dei nemici. Infatti i nemici presenti sono molteplici ma andando avanti si riducono sensibilmente fino ad arrivare a quello vero che di nascosto aveva progettato un piano pericoloso per la vita dei nostri eroi. Ciò non toglie che i nemici non siano cattivi: in molti manga di questo genere si trovano cattivi che, per il gusto di farlo, mettono i bastoni fra le ruote ai buoni ma qui non è cosí. Non solo c’è una visione piú profonda dei motivi che hanno portato il cattivo a fare quelle azioni ma ti trovi inaspettatamente impietosito da quella figura perché probabilmente anche tu avresti reagito cosí. Si può dire veramente che, anche se si parla di un contesto irreale popolato da demoni e arti magiche segrete, i personaggi sembrano reali, vivi e incredibilmente vicini al lettore. La lotta tra il bene e il male non solo viene rappresentata tra i buoni e i cattivi ma anche dal rapporto tra Naruto e Sasuke che costituisce uno dei fattori piú importanti della storia, ogni qualvolta si trovano uno contro l’altro sembrano immersi in un mondo tutto loro, impenetrabile, l’unica cosa possibile è guardarli soffrire insieme. Infatti è improbabile che qualcuno vedendo uno dei momenti piú “alti” di Kishimoto non abbia provato qualcosa, un’emozione che solo i grandi mangaka attraverso un semplice disegno riescono a infonderti. Di certo i manga non sono semplici libri, gli anime non sono semplici cartoni animati: in modo semplice riescono ad arrivare al cuore dell’altro suscitando emozioni e impartendo anche lezioni di vita. Naruto infatti insegna che l’amicizia, quella semplice, profonda e indiscussa vince l’odio; la famiglia è l’insieme di quelle persone che ti amano e ti proteggono a costo della loro vita; la solitudine è dolorosa e nessuno dovrebbe provarla; i pregiudizi possono essere cancellati attraverso il duro lavoro e il riconoscimento degli altri; la guerra che porta odio può essere solamente sconfitta dalla pace con l’aiuto dall’amore; un sogno può essere realizzato ma solo se ci si crede e ci si lavora duramente. Gli insegnamenti comunque sono dati a piccole dosi, supportate dai disegni semplici e puliti e il genere avventuroso e d’azione del manga. I combattimenti, ovviamente, sono sempre presenti proprio per non annoiare il lettore e far capire che non ci sono solamente cose belle in questo mondo. Esso è crudele, egoista e bisogna imparare a sopravvivere, a farcela con le proprie forze superando la sofferenza e la tristezza cosí da poter anche cambiare la società in meglio in futuro ma, quello che l’autore con la

Fumetti 25


Se consideriamo anche l’inizio di un nuovo progetto chiamato “Naruto: Shin Jidai Kaimaku” (Naruto: L’inizio di una nuova era) che comprenderà un sequel a primavera, un’opera teatrale, una serie di romanzi e un film (agosto 2015) sui futuri avvenimenti dopo la fine del manga. . . di sicuro continueremo ad avere notizie e a vedere per molto tempo i cosplayer di Naruto. Nell’attesa è di dovere un saluto a colui che ci ha influenzato dall’infanzia fino all’adolescenza, che ci ha strappato qualche risata quando eravamo tristi con gag a dire la verità stupide, che ci ha fatto affezionare, piangere, preoccupare, esultare per una vittoria e rattristare per una sconfitta, tremare per una scarica di adrenalina durante un combattimento, arrabbiare, tenere il fiato, sognare, imparare l’importanza dell’amicizia e dei nostri sogni. Ti ringrazio Naruto per aver ammaliato milioni di persone in tutto il mondo con il tuo carattere estroverso, sincero, testardo, perché, come altri protagonisti di grandi e famosi manga, rimarrai nella memoria di noi tutti, tuoi fan, con le tue imprese, non solo sei riuscito a influenzare i fumetti giapponesi ma anche tutti i lettori del mondo. Naruto, hontoni arigatou gozaimashita. Otsukaresama deshita. Naruto, davvero grazie mille. Hai fatto un buon lavoro. Voto lllll

pamela primula

sua opera ci ha voluto comunicare di piú, è che un sogno può diventare realtà solo se decidiamo di andare avanti e non fermarci ed essere sopraffatti da sentimenti negativi, bisogna credere nei propri amici e non arrendersi mai anche se ad altri sembra sciocco quello che desideriamo ardentemente. Ora che il manga è finito molti, me compresa, si rattristeranno per la perdita di un’opera che ci ha accompagnati nella nostra crescita; altri diranno “finalmente” perché chiaramente da molto tempo si aspettava il famoso finale che ho trovato molto commovente e adatto alla situazione. Naturalmente non solo i fan del manga ma anche altri mangaka hanno espresso i loro pensieri: il primo è stato il collega di Kishimoto, l’autore di One Piece, Eiichiro Oda, e in seguito gli altri che attualmente pubblicano nella stessa rivista. Oda gli ha dedicato la prima pagina del capitolo 766 nascondendo alcuni fattori che rimandavano al ninja con una frase d’addio e in risposta a ciò Kishimoto ha fatto lo stesso nel suo ultimo capitolo. Gli altri mangaka hanno scritto le loro dediche e addii nella sezione dei commenti degli autori della rivista salutandolo in modo originale: un vero e proprio rapporto di amicizia, solidarietà e naturalmente rivalità tra di loro. Ma sarà davvero un addio? È già uscito il film di Naruto in Giappone (6 dicembre) chiamato “The Last — Naruto The Movie”, ormai il decimo, e in Italia è uscito il nono, “Naruto — Road to Ninja”, al cinema il 6-7-8 dicembre.

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Sudoku per tutti i gusti!

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4. Sudoku (molto difficile)

Sudoku di questa pagina sono tratti da Solo da Simon Tatham’s Portable Puzzle Collection

NOTE

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NOTE

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2. Sudoku (difficile)

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3. Sudoku (media difficoltĂ )

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1. Sudoku (triviale)

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