BB: CHIUDETE I MATTATOI. Brigitte Bardot ha chiesto pubblicamente per i suoi 80 anni un regalo al presidente francese François Hollande: l’abolizione della macellazione rituale e la chiusura dei mattatoi per cavalli
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Hilary Mantel: «Ho immaginato di uccidere Margaret Thatcher» UN PENSIERO oscuro è passato per la testa di Hilary Mantel nel 1983: assassinare Margaret Thatcher. La scrittrice britannica,vincitrice del Booker Prize nel 2009 (in Italia è pubblicata da Fazi), ha spiegato di aver fantasticato sull’idea quando dalla finestra del suo appartamento ha visto l’allora primo ministro passare senza scorta. Quel pensiero ha poi ispirato un racconto dal titolo “The assassination of Margaret Thatcher, 6th August 1983”, inserito in una raccolta in uscita il 30 settembre in Gran Bretgana. Mantel è sempre stata una grande oppositrice della defunta statista.
LA MOSTRA
ROTHKO, L’ULTIMO URLO È ROSSO L’AJA. Si pensava che gli ultimi quadri di
Mark Rothko prima del suicidio fossero tutti neri. Neri come le 14 grandi tele del suociclodel1964,alleparetidellacappella che porta il suo nome a Houston in Texas, e come ciascuno di noi immagina l’oscurità della morte. Non è così. È invece di un rosso assoluto, che prende allo stomaco e tocca il cuore, l’ultimo quadro finito poco prima di togliersilavita.Inpredaalladepressione, il 25 febbraio del 1970, l’artista si avvelenaesitaglialeveneaNewYork,nellostudio di Manhattan. Le pennellate che creano quel capolavoro estremo, dal colore molto simile alla pozza di sangue in cui lo trovarono la mattina senza vita, erano state tracciate poche settimane prima di quel gesto. La tela rossa, senza titolo come quasi tutti i suoi quadri, sigla la mostra aperta ieri al Gemeentemuseum dell’Aja, unica tappa mondiale di un evento straordinario che dura ben cinque mesi, fino al 1° marzo del prossimo anno (info: www.gemeentemuseum.nl). L’ultimo lavoro di Rothko è esposto in una delle grandi sale, ciascuna profondamentecoinvolgenteedestinataasuscitare un turbinio di emozioni forti, accanto all’ultima tela di Piet Mondrian, “Victory Boogie Woogie”, trovata incompiuta sul cavalletto del pittore morto nel 1944, anche lui a New York. Non si sono incontrati questi due colossi del Novecento. Si sono sfiorati nella città dove Mondrian arriva nel 1940, allo scoppiodellaSecondaguerramondiale,e cheaccoglienel’25l’ebreolettone,immigrato nell’Oregon con la famiglia già nel 1913. Li separa una generazione e un mododiversodideclinareilnuovocredodell’astrattismo che stava spazzando via la tradizione figurativa del secolo precedente: l’uno con un approccio mentale, l’altro più spirituale ed emozionale. All’alba del successo di Rothko in America, nei primi anni Cinquanta, un critico azzarda un paragone tra i due, vista la notorietà consolidata di Mondrian e la dirompente novità di un giovane poco conosciuto, che è definito “un Mondrian sfocato”. Scontato dire che questa etichetta non piace a Rothko, che però dichiarerà poi la sua profonda ammirazio-
ne per l’olandese. È grazie a Mondrian, quindi, che il Gemeentemuseum dell’Aja ha la possibilità di accogliere questa straordinaria retrospettiva: «Da una ventina d’anni collaboriamo con la National Gallery di Washington», spiega Franz-W. Kaiser, direttore delle mostre al Gemeentemuseum, ricordando che l’istituzione americana possiede 285 dipinti e centinaia di disegni di Rothko, donati dai figli dopo l’annosa querelle giudiziale seguita alla morte del padre, a 66 anni, quando loro erano minorenni. «Da tempo pensavamo a questa mostra, e finalmente abbiamo trovato una chiave di lettura interessante focalizzando l’attenzione sul confronto diretto con Mondrian, che gli americani amano moltissimo». La star olandese ha funzionato dagrimaldello,mapoisonocominciatele trattative per rendere fattibile il trasferimento di una sessantina di opere plurimilionarie dalla Est Coast americana alla costa ovest dell’Europa: «Lavoriamo al progetto da tre anni e avevamo già una stima approvata delle opere in prestito», spiega Kaiser, «quando il record del 2012
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SCOPRIRE I SUOI DIPINTI AL GEMEENTEMUSEUM
La mostra “Mark Rothko” si potrà visitare al Gemeentemuseum dell’Aja fino al primo marzo 2015. Nell’esposizione le opere del pittore americano sono accostare a quelle di un altro grande artista, l’olandese Piet Mondrian, che fanno parte della collezione permanente del museo. La mostra si potrà visitare con il seguente orario: dal martedì alla domenica dalle 11 alle 17. Costo dei biglietti 13,50 euro. È possibile prenotare e acquistare i biglietti direttamente online sul sito internet del museo: www.gemeentemuseum.nl. Per ulteriori informazioni: tel: +31 70-3381111 oppure mail: info@gemeentemuseum.nl
DOMENICA 21 SETTEMBRE 2014
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PARLA L’EREDE DEL PITTORE
SEGANTINI “PRIVATO” NELLA SUA MILANO «MISSIONE COMPIUTA, FINALMENTE» ROBERTA OLCESE
MILANO. «Cosa ci è rimasto della produ-
Tra i capolavori esposti all’Aja, l’opera realizzata dall’artista poco prima di togliersi la vita
ANNA ORLANDO
IL SECOLO XIX
Sopra un primo piano di Mark Rothko, sullo sfondo il dipinto, senza titolo, ultimato dall’artista poco prima di togliersi la vita. Il pittore americano si è tagliato le vene e si è avvelenato nel suo studio di Manhattan il 25 febbraio del 1970. Il mattino dopo il suo corpo venne ritrovato senza vita, immerso in una pozza di sangue
ci ha imposto una totale revisione». Chistie’shavendutounasuatela,quell’anno, per 87 milioni di dollari. È chiaro quindi che una mostra di questo livello, con un capitale assicurato che si avvicina al miliardodidollari,selapossonopermettere in pochi. Può il Gemeentemuseum dell’Aja, che oltre ai requisiti di sicurezza e credibilità scientifica ha anche dalla sua unastraordinariamercediscambio.Cioè la più grande collezione al mondo di Mondrian, che fa gola a qualsiasi museo che voglia averlo in prestito. L’accordo è stato raggiunto, senza rinunciare ai capolavori, anche per la partecipazione di un anonimo privato, oltre alla Turing Foundation e alla generosità dellaNationalGallerydiWashingtonche presta quasi tutte le opere in mostra. «Tranne i due Rothko delle collezioni pubbliche olandesi, lo Stedelijk di Am- Mark Rothko, “No 2”, 1947 sterdam e il Boijmans Van Beuningen di Rotterdam», spiega ancora Kaiser «oltre ai nostri Mondrian esposti nella sala del raffronto tra la conquista dell’astrattismo da parte dell’uno e dell’altro». Mondrian trasforma gradualmente, nel giro di pochi anni, la visione di un albero con tronco e fronde nella purezza di poche linee. Rothko arriva alla sua formula magica, capace di portare alle lacrimelospettatore,dopoaversondatoilterreno dell’espressionismo classico e del surrealismo. Quando i suoi colori, intornoaglianni1947-’48,proprioglistessidei primi “dripping” di Jackson Pollock, iniziano a liquefarsi, e le forme si sfaldano, allorasìcheRothkoattingedaunprofondo in cui trascina vorticosamente anche chi guarda. Che si perde nelle sue grandi tele, dimenticando chi è e da dove viene, per approdare dove dimora l’assoluto dello spirito.
annaorlando1@tin.it
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Mark Rothko, Senza titolo, 1941-’42
zione di mio bisnonno Giovanni Segantini? Vuole proprio saperlo? Non abbiamo niente, nemmeno un quadro, solo due disegni e le lettere. Curioso no?». Diana Segantini, nipote di uno dei quattro eredi del pittore divisionista nato ad Arco in Trentino nel 1958 e scomparso a soli 41 anni sul monte Schafberg in Engadina quando già i suoi dipinti avevano alte valutazioni, risponde alla domanda in automatico. Classe 1975, Diana si occupa dell’archivio di famiglia, ed è una dei due curatori autorizzati ad autenticare per la Svizzera le opere dell’artista. Ha appena tenuto a battesimo a Palazzo Reale a Milano la mostra antologica “Segantini”, 130 opere su un percorso di 1.500 metri quadrati, aperta fino al 18 gennaio, curata con Annie-Paule Quinsac, massima esperta al mondo dell’artista. Qual è lo spirito della mostra? «Riportare Segantini a Milano e farlo con una mostra tematica e non cronologica. Otto sale con molte opere mai esposte in Italia. È dal 1886 che non c’è una sua esposizione nel capoluogo lombardo. Segantini era un uomo abituato a dialogare con il mondo. Ha lasciato Milano dopo l’Accademia a Brera, prima è andato in Brianza e poi sulle Alpi svizzere, ma ha sempre mantenuto lo studio a Milano d’accordo con i suoi galleristi Vittore e Alberto Grubicy». Che tipo era il suo bisnonno? «Lavorava quattordici ore al giorno, ma la famiglia era il suo nido. Mia nonna Bice Bugatti era pazza di dolore quando morì. Lo conobbe quando aveva 17 anni, lei apparteneva alla cosiddetta “intellighenzia lombarda”. Abbiamo ancora i mobili Bugatti e “Ritratto della i lampadari di Murano Signora Torelli” della loro collezione: entrambi li amavano molto». Non si sono mai sposati, però. «Per un equivoco con l’Austria sul servizio militare. Giovanni era apolide quindi senza documenti: per quanto fossero due tipi alternativi, hanno sofferto molto per questa unione di fatto. La Svizzera gli ha conferito la cittadinanza onoraria solo nel 1902, un riconoscimento postumo». Perché nella mostra sono state inserite le lettere private dei Segantini? «Dodici anni fa sono tornata nella nostra casa, ho preso in mano il patrimonio culturale dei Segantini e ho iniziato a leggere la corrispondenza. È stato molto emozionante. Ma ho mantenuto segrete le lettere che raccontano storie di famiglia». Le è servito per conoscerlo meglio? «Anche. Ma, vede, per noi Giovanni era parte del nostro presente, chi l’aveva conosciuto tramandava le sue storie, lo descriveva come una persona aperta alla tolleranza e al rispetto, era parte di noi senza che ce ne rendessimo conto. Io sono cresciuta e ancora vivo nella sua casa a Maloja. Siamo cresciuti tutti con grande rispetto per l’arte». C’è un’opera in mostra che lei giudica più importante di altre? «Sì, l’“Oca appesa” della Kunsthaus di Zurigo: non ha solo la luce tipica di Segantini, ha qualcosa in più, sembra proprio viva». A questa mostra manca qualcosa? «Segantini aveva già venduto molte opere. Tanti quadri tardivi divisionisti sono conservati in Germania. Purtroppo non li hanno prestati». © RIPRODUZIONE RISERVATA