negazioni
maledetta fanzine senza paraocchi e paraculi n. 0 - marzo 2012
e h c lo iz ne erve culo n c il a f il a la re acc ap sp e
La Bestia Walerian Borowczyk pag. 18
G.G. Allin Punk criminale pag. 12
le poesie irriverenti:
, e l ho sotterrato meglio ipnopedico me semplicemente scrivere , leccami l onda
scarafaggi rosa pezzi enri il misantropo
Una raccolta di impulsi distorti fuori dal viaggio organizzato figa-tomba sul binario dell’ ovvietà con biglietto di sola andata. C’ è altro oltre all’ immagine accattivante del cartonato che hanno messo davanti, e attento, nel viaggio organizzato sono compresi anche i ruoli di antagonista del sistema, ruoli che hanno già scelto per chi aspira ad essere cattivo nella squallida recita. Ma c’ è qualcuno che non partecipa alla recita, qualcuno che non sale sul palco, né per accarezzare il pubblico né per spaventarlo bonariamente. Può cagarci sul palco o bruciarlo o pisciare sugli altoparlanti. Noi siamo in quella merda, in quel fuoco, in quel piscio. Noi siamo in tutto ciò che esce dagli schemi, dagli schermi, dagli scherni. Persone senza etichette che urlano al vento, fanno sesso nella pioggia e vedono più lontano se c’ è nebbia. Siamo le negazioni di realtà imposte da impostori, oltre ogni limite limitato limitante. In questa fanzine troverete arte a 360 gradi senza paraocchi o paraculaggini. Arte che sprigiona scintille in grado di attizzare fuoco nella menti. E soprattutto se avete la mente in sintonia troverete voi stessi, la vostra essenza, potrete così partecipare alla nostra orgia di cervelli e corpi sul tappetto dell’ umana esistenza.
Indice
E l’ho sotterrato meglio ---- pag. 3 Il vomito ---- pag. 4 ipnopedico me ---- pag. 6 semplicemente scrivere ---- pag. 6 leccami l’onda ---- pag. 7 scarafaggi rosa ---- pag. 7 pezzi ---- pag. 8 sono sempre stata una donna di larghe bevute ---- pag. 9 quel centenario d’un john cage ---- pag 10 compact disk & sto cazzo ---- pag. 11 gg allin punk criminale ---- pag. 12 specchio servo delle mie brame, cos’è questa fottuta puzza di catrame? ---- pag. 13 enri ---- pag. 14 il misantropo ---- pag. 14 doppio cervello e doppio cuore ---- pag. 15 per gli analfabeti ---- pag. 16 clemente di leo ---- pag. 17 la bestia ---- pag. 18 pasto nudo ---- pag. 19
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, e l ho sotterrato meglio S i e t e m a i s tati sbronzi com e me ? S b r onzi e barcollanti S c ivolare e cadere E c h i e d ere un altro drink S b r onzi e barcollanti M e n t r e l a g ente mi ha guardato ma le E d i o me ne sono fregato S o no andato avanti B a r c ollando e sbronzo E so n o scivolato di nuovo C aduto a terra H o v i st o l ’ a sfalto davanti ai m iei oc c hi O le m attonelle O le pietre E m i sono sporcato H o sputato P e r n o n mangiare la terra E mi sono rialzato E h o trovato facce F a cce di merda C h e m i osservavano E v i st o dalla loro dinamica P r o nto al m acero P erché pazzo P erché folle P e r c h é incutevo tim ore P e rché il loro dio N o n aveva fede in me E d io, ed io E d i o u m ano ma non tanto Mi soffiai il naso A lla villana M e ntre m e ne stavo N e lla m ia selva A o sservare le montagne Ma m i annoiavo anche li Av e v o b isogno di m uoverm i H o b i s ogno di m uoverm i C osì feci un giro F r a la cam pagna
E tr ova i un c a ne Mor to Dissotte r r a to da a ltr i a nima li E puz z a va Di c a r ne ma r c ia Un f a stidio tr e me ndo a l na so Me ntr e i mie i c a ni Sc e glie va no il lor o osso E ho c a pito Che c osa ho c a pito? Non ho c a pito nie nte ! Er a sola me nte un c a ne mor to Sotte r r a to ma le Ho pr e so la va nga E il pic c one Ho f a tto una buc a E l’ ho sotte r r a to me glio. Spe r o Fa r a nno c osì Anc he c on me . di Giov anni F a v a z z a Con la c ollaborazione di Tania C a u d u llo Che l’ ha trasc ritta e mi ha su g g e r ito M e ntre io s b ro n z o Glie la d e tta v o .
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il vomito “Come mai la faccia così bianca,oggi?” mi chiedono. Io li guardo. Ho due occhi come fessure e la sigaretta che mi pende disbieco dalle labbra come una protuberanza caliginosa delle mie labbra. Li guardo, Tom e Gina, e gli dico: “La mia faccia non è più bianca del solito. E’ la mia faccia e basta” e accenno a un sorriso che risulta solo un ghigno alterato. Tome Gina contraggono il volto e si squadrano con un’ambigua sfumatura d’intesa. Probabile pensino sia pazzo. Probabile lo sia veramente. Gli faccio un cenno di saluto. Mi fanno un cenno perplesso. Ci separiamo. Ognuno per la sua strada. C’è tutta questa gente che gira, corre e si domanda. Tutto questo affermarsi. E parole. Miriadi di parole senza senso. E ’la giostra del consumo del cervello. Lo si parcheggia, il cervello, dove si può e lo si sguinzaglia. Esso vaga e si afferma. Sputa sentenze. E’un gradasso, il cervello. E’ un bambino che mostra i muscoli. Io giro per le strade e cerco di non pensare. Di non sguinzagliare nulla. Neanche di farlo pisciare, il mio cervello. E’ la disperazione che ha creato quel sortilegio che si chiama società moderna. Un và e vieni di umori allo sbando. Un su e giù senza orgasmo finale. Quel negozio di generi alimentari all’angolo è sempre aperto ma non c’è nessuno che vi entri. Quello di fronte che pro-
pone ingegnose attrezzature erotiche ha la coda di fuori, e la gente si ammassa al suo interno. I clienti brancolano e tastano ogni cosa come fossero bambini o ciechi – è la lettura braille della lussuria al sapor di polivinilcloruro. Ilpane e il latte sono al ribasso, il fallo sempre al rialzo – in tutti i sensi. I nostri bisogni hanno cambiato direzione, a quanto pare. Forse si cominceranno a vendere bambole gonfiabili ripiene di panini al prosciutto. Si chiama squilibrata convergenza di mercato. E gli analisti ai piani alti di piazza Affari si fanno le seghe, non gli manca il materiale. Cammino per la strada rasentando i muri, facendomi scivolare per i vicoli, cercando di non sentire, di non guardare, di passare sottecchi, di intrufolarmi, di scomparire, di diventare anch’io cemento, asfalto, quel rigagnolo di piscio che si dirama tra quelle crepe lungo il marciapiede. Ma la strada è lì e ti agguanta e ti spreme. La strada ti schiaccia, ti ingoia e ti sputa. Sono un soldatino alla mercé dell’enfant terrible chiamato Mondo. E va bene: aspiro dalla sigaretta e la sigaretta si fa aspirare. Un giorno le sigarette mi uccideranno, ma io di sigarette ne uccido una ventina algiorno. Sono più forte. Ho più tacche di loro sul calcio della mia gola. E’ da mezz’ora che sono in giro e già voglio tornare a casa. Questa non si chiama tranquilla passeggiata. O : salutare boccata d’aria. O : fare duepassi.
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Ilnome più appropriato è : lento suicidio. O : cancrena dell’ipotalamo. O : dispepsia morale. Penso realmente di non c’entrare niente con ogni sospiro che questa smaniosa bocca chiamata collettività mi elargisce con tanta prepotenza. QuantiTom e Gina ci sono al mondo che ti domandano petulantemente del tuo insolito pallore. Questo mio, non è pallore. E’ la mia corona, la mia aureola. E’ la discrepanza tra me e voi, caro Tom, cara Gina. Sarà anche il vostro cruccio ma è anche la mia stampella. Ci sono dieci vecchi là, al parco. Ognuno occupa una panchina diversa. Dieci panchine, dieci vecchi solitari. Come pezzi di scacchi impazziti ogni vecchio è vagato verso la propria solitudine. Gli sguardi sono opachi, fissi, come quelli di maiali appesa a testa in giù e sgozzati. Creano smorfie impercettibili con le labbra rinsecchite, tirano su col naso, emettono fievoli soliloqui auto-rassicuranti. Sono gli scarti psichici di un popolo che è già lo scarto di ciò che dovrebbe essere. Società che è scimmia di sé stessa. Ma gli alberi su cui saltare stanno finendo. Questi vecchi sono l’esclusiva psicopatologia di un azzardo chiamato Vita. Va bé, moriranno : una consolazione per tutti. Qualcosa mi si muove nello stomaco ma ancora non ho mangiato. Sarà questo clima che mi sembra un clima finto, non sento caldo, non sento freddo.Sarà che tutto questo cemento che
calpesto mi si sta riversando in piccole percentuali nell’organismo e ne risento, o sarà che le case sono tutte uguali, le auto fanno tutte questo gracchiante rumore, e gli uomini sono divisi in categorie e tipologie ben definite e quel che vedo l’ho già visto dieci, cento,un milione di volte, uguale, e quelle espressioni non sono vere, non possono! perché quelle facce sono solo agglomerati di pieghe di tessuti che si allungano e si ripiegano senza darti nulla. L’uomonon è così. Non può. L’uomo è stato sconfitto. Ma ancora nessuno gliel’ha detto. Stringo gli occhi, faccio l’ultimo tiro dal mozzicone e lo getto in terra schiacciandolo con la punta della scarpa. Un’altra tacca. Fumo da 23 anni. La mia partita della morte con le sigarette dovrebbe essere 167.900a 0. Vinco di molto. E ma ecco, adesso arriva. Arriva inaspettato, ma è da un po’ che mi cova dentro. Prima c’è il conato. Il conato di vomito è strano: è un piccolo supplizio di gola, un malessere della carne ma molto cerebrale. E’ una spia che si accende. Che ti avverte. Il conato è una buona cosa. Ti fa entrare in pieno possesso della tua condizione di carne piangente. Ripristina la consapevolezza della tua imperfezione: siamo solo essere umani! Che non è un bel dire … E col conato ti devi lasciare andare. Inutile trattenere. Inutile trattenerti. Il conato ti insegna una filosofia di vita: lasciarti andare. E perciò vomito: sbocco un cruento e grumoso fiotto marrone che rimbalza sul selciato, gli schizzi che mi arrivano sulle scarpe, sui jeans, sulla vetrina del negozio a lato che si macchia di questo scuro punto esclamativo.
Ho gli occhi appannati e sono piegato in due ma riesco a scorgerla: la distinguo questa signora di mezza età tutta in ghingheri, con criniera platinata, sontuosi anelli violacei e il trucco pesante. Prima mi guarda di sottecchi esdegnata ma poi si blocca e il suo piccolo barboncino bianco si ferma con lei. Gli occhi le si fanno opachi, mi sembra quasi di scorgere le pupille che saettano in alto e che si perdono tra le palpebre, e il cane, questo piccolo fottuto Fufi cotonato, che la guarda curioso. E poi vomita, anche lei, uno schizzo rosato che finisce per metà tra la borsa che tiene in mano e il ciglio della strada e per l’altra metà su Fufi che sbigottito dall’irruente regalo di viscere guaisce e tira il guinzaglio. Allora mi alzo dalla mia posa piegata, un po’ stranito ma attento, e allora me ne accorgo: pochi passi più in là un giovane con capelli a cresta, il trucco sugli occhi e le sopracciglia rasate vomita, copiosamente, vomita anche lui, incurvato,il volto scavato e bianco, gli occhi che si stringono, la mascella e la mandibola aperte come le fauci di un drago. Al posto del fuoco erutta questo sostanzioso succo gastrointestinale. Certo: non si poteva continuare così. Ci voleva un la. L’ho dato. È un po’ la proiezione ortogonale della nostra anima, questo vomito. È la dimensione di noi stessi che di solito non scorgiamo. Mi muovo di qualche passo e lo spettacolo è stupendo. Dalla palazzina che si erge di fronte a me su ogni balcone, da ogni finestra spunta la testa e il torso di qualcuno. Donne, uomini, bambini, tutti accomunati da questa fantastica Idea rigettante. I flutti si riversano dall’alto in maleodoranti flussi come stelle
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filanti di corposi rimasugli gastrici. Vedo getti. Arcobaleni di umori rancidi. Spruzzate vermiglie. Fuochi d’artificio di grumi iridescenti e viola cascate stomacali. E’ il capodanno della presa di posizione di queste nostre viscere. E’ un mantra corporale da ripetere finché non saremo liberati da ogni acidità, ogni stortura. Tutta questa sugosa bile che rigettiamo: forse la nostra vera emancipazione comincerà dagli studi dei nostri scarti. Saranno compresse che porteranno all’illuminazione. Doveva succedere: gli sguardi assassini, le facce truccate, le porte blindate. Questa corsa al superfluo, gli istinti schiacciati, 600 canali: doveva succedere. Sbattiamo la testa sempre sullo stesso muro e le crepe ci sono entrate nel cervello. Questo mondo ora sembra agonizzante nel suo impulso da vomito. Ma è una liberazione, invece. Sulla poltiglia si può costruire. Un attimo di consapevolezza e il vomito, eccolo! è lì, che sonda lo stomaco, si abbarbica sulle pareti del tuo corpo, fluttua deciso e irrompe prepotente e luminoso, da quel taglio di carne che è la tua bocca. Io mi metto a danzare per la via, mentre vomito, mi devo fermare ogni tanto ma imparo a vomitare anche saltando. Allargo le braccia e alzo il viso al cielo e mi faccio baciare da questa pioggia calda di variopinti escrementi orali. Mi faccio baciare da questa nuova era, da questo flusso di negazioni, da questo afflato corposo e maleodorante di rifiuto covato. Che sia vomito, dunque. - di Alessandro Pedretta Kresta
ipnopedico me Faccio fatica ad esprimere concetti sensati che dalla bocca mi vedo sbrodolare pensieri perchè ho accumulato troppi pensieri Sono all'orlo di me che adesso faccio fatica a schedare che ogni sussulto è un vomito Se mi spaccassi la testa in questo preciso momento Sono all'orlo di me avresti a che fare con un vaso di pandora che sono troppo pieno e sono troppo vuoto di ciò che raccogliendo Sono all'orlo di me ho sedimentato in dolore che questo corpo m'ha contenuto abbastanza e forse sul fondo Ed ora ho problemi di spazio quel poco di speranza che speranza non ho -di Nuenni nella ZuenaSarebbe l'urlo abissale di ciò che vedendo non ho raccontato ma accantonando ho rimosso ma rimuovendo ho raccolto ma raccogliendo ho riempito E adesso è tutto un sull'attenti Sono all'orlo di me
semplicemente scrivere Io voglio scrivere come un bambino come un ritardato mentale come scriverebbe un analfabeta che le parole le capiscano tutti che scorrano semplici limpide, fresche,chiare come l’ acqua di un ruscello ma il concetto deve essere devastante deve sconvolgere il modo di pensare stravolgere l’ ordinamento costituito aprire nuove strade verso nuovi modi di essere. Quelli che fanno sfoggio del loro acculturamento palesando sovente il proprio erudimento
con citazioni continue dei libri letti costoro sono esseri uguali a quelli che voglio combattere cioè stronzi. - di Andreas Finottis -
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, leccami l onda La sua figa era salata, come il mare. La sua figa era bagnata, come il mare. La sua figa era profonda, come il mare. La sua figa era piena di pesci, come il mare. La sua figa era pi첫 bella di notte, come il mare. La sua figa era pi첫 calda di notte, come il mare. La sua figa era piena di sabbia, come il mare. La sua figa era piena di piscio, come il mare. La sua figa puzzava, come il mare. La sua figa nascondeva tanti segreti, come il mare... - di stefano Iannuso -
scarafaggi rosa ieri sera tornando al mio appartamento in affitto, ubriaco, ho incrociato nel cortile una decina di scarafaggi. a ogni passo che facevo loro si allontanavano, si
nascondevano, scappavano. e mi sembravano tanto simili a tante
persone che ho conosciuto nel corso della mia breve vita. alla fine gli uomini sono solo scarafaggi rosa. di Maures
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pezzi
, , , questa non e una poesia, e una bestemmia alla divinita del mio essere umano Penso che cadrò in pezzi uno di questi giorni. O forse sono solo un pezzo, o me ne manca qualcuno, o me ne sono fatti troppi. Forse non è possibile che accada questo perché non sono normale: non ho grandi aspettative non mi piacciono le auto veloci mi urtano gli elettrodomestici odio ascoltare la gente non mi drogo più e preferisco il buio. Forse nella mia vita ho vomitato troppo e ora la mia lingua non sente più gusti buoni. Sarà che ho viaggiato poco e girato sempre in circolo. Sarà che ho vissuto con i cani e mi hanno ammazzato le scimmie. E quante botte botti bottiglie. Quanti buchi lutti voglie da lupi. Quanta frenesia senza senso, quanto sesso frenetico senza speranza. E Miller, Céline, Bukowski, i locali loschi, i posti nascosti, il sangue sulle braccia, la caccia ai soldi, dormire ai bordi. Forse sono troppo giovane per alcune cose e troppo vecchio per altre. Forse morendo troppe volte non ho vissuto abbastanza. Forse ho chiesto troppo alla mia carne e la mia carne ha risposto picche. Forse è vero: cadrò in pezzi uno di questi giorni. Alessandro Pedretta Kresta
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sono sempre stata una donna di larghe bevute
Cleide faceva la puttana. Gianmaria non ha mai capito bene cosa volesse dire, almeno fino a tredici anni e tre quarti. Cleide aveva delle tette enormi. Quando stendeva i panni, era come se danzasse a rallentatore. Ogni volta che incrociava Gianmaria, sorrideva ondeggiando il culo come un dondolo, dicendo la stessa frase con forte accento emiliano “guarda che io ti aspetto..”. Il padre di Gianmaria a puttane ci andava. Si agghindava come alla festa del santo patrono. “Vado alla bocciofila stasera” sogghignava immerso in una nuvola di Aqua Velva e la madre, di Gianmaria rispondeva con un flebile vaffanculo. Quando tornava dalla “bocciofila” fischiettava sempre. Lei lo aspettava in piedi, e proferiva solo un “vatti a lavare ”. Uno dei vicini di casa di Gianmaria era l’onorevole Malagoli. Anche lui va a puttane e ha una passione per Clei-
de. Scopa, viene subito e nel mentre parla. Racconta di quando “lui c’era” alle Fosse Ardeatine, da vero fascista. E Cleide ascolta da vera donna. Una mattina di maggio nel bel mezzo di un pompino con gli occhi rivoltati all’indietro, mentre stilava una lista di nomi di sottosegretari all’edilizia corrotti e di mazzette elargite a vari sindaci e forze dell’ordine, un ictus gli tolse la carriera politica e gli lasciò una badante a pulirgli il culo, un rivolo di bava perenne e un braccio immobile. Ma gli rimasero anche molti amici potenti e con parecchia memoria, come tutti i mafiosi. Amici come il maresciallo Fabbri, che puzzava di sugo stantio. Che venne a prelevare Cleide la mattina dopo, con due appuntati dalle strisce vermiglie sui calzoni. Tutti erano affacciati. E il Maresciallo Fabbri che da buon democristiano a puttane non ci andava, ma la moglie la
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scassava di botte perché la famiglia è sacra, rispose “Puttana va bene, ma puttana comunista no”. Gianmaria capì cosa intendeva suo padre quando una sera disse, con gli occhi fissi sul culo grosso di sua madre, che gli uomini politici fanno la politica come le puttane fanno l’amore, per mestiere. Di Agente Patogeno Emma Peel
, quel centenario d un John Cage …ogni processo subisce interferenze parziali o totali ad opere del caso… C.G.Jung John Milton Cage (Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992), musicista americano, tra i pochi che siano riusciti ad influenzare profondamente la musica europea; i suoi interventi in Europa, tra il ’54, ’57 e ’58, suscitano infatti l’immediato interesse delle avanguardiemusicali che avvertono prontamente quanto di nuovo, inquietante e stimolante vi sia nella musica del compositore americano. Egli studia prima con Adolph Weiss, allievo di Schönberg e poi con lo stesso Schönberg e fin dall’inizio le sue composizioni hanno un carattere nettamente sperimentale. Negli anni trenta inizia un legame sia sentimentale che artistico con Merce Cunningham, coreografo precursore della danza postmoderna, che proseguirà per tutta la vita. Non intendendo qui circoscrivere la complessa vicenda artistica e musicale di Cage, questa iniziativa vuole invece porre l’accento sul concetto di casualità – alea – che
dagli anni cinquanta in poi irrompe nella sua evoluzione artistica Influenzato dal Buddismo Zen e dal filoso Daisetz Teitaro, Cage va a sostenere il principio della non intenzionalità nella composizione artistica e cerca di svincolare i suoni da ogni espressività introducendo sia nella composizione che nell’esecuzione il concetto di indeterminazione. Cerca quindi di mettere insieme i suoni in modo del tutto aleatorio e , per farlo si serve di vari procedimenti. Ad esempio, nei 4 libri di Music of Changes (1951) tutto ciò che è scritto è frutto del lancio delle 3 monete de I Ching , o libro dei mutamenti. E noi sappiamo che ne I Ching ci si preoccupa esclusivamente dell’aspetto accidentale degli eventi. Il nesso causa-effetto, tanto caro agli occidentali, passa inosservato. Ne I Ching abbiamo il sincronismo che è l’opposto della causalità;e cioè, mentre per il pensiero occidentale l’importanza è posta sulla sequenza degli eventi, ci troviamo dinanzi ad un pensiero che pone l’accento prima di tutto sulla coincidenza degli eventi in un dato tempo e in un determinato spazio. Gli even-
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ti accadono proprio allora perché sono interdipendenti tra loro così come sono interdipendenti da chi li osserva. L’indeterminazione cageana non è mai assoluta e la sua poetica va ad inserirsi in quel filone culturale che incrina i principi del pensiero occidentale e ne denuncia il fallimento. Diventa allora impossibile non pensare a Tristan Tzara e al movimento dada per l’assoluta preferenza accordata al gioco e alla combinazione casuale di parole e di oggetti, o , tanto per fare un nome, non ricordarci del dripping, ovvero del colore lasciato gocciolare sulla tela, di Jackson Pollock. -di Angela Caporaso -
, compact disc & sto cazzo Quando negli anni 80 cominciava a diffondersi il cd si diceva che costava a produrlo qualcosa meno della metà dei dischi in vinile ( circa 8.000 lire per fare un vinile, meno di 4.000 lire per fare un compact ), ma subito l’ hanno messo ad un prezzo doppio rispetto al disco in vinile, per speculare in maniera indecente, vomitevole, quattro volte il prezzo che avrebbe dovuto avere. Ora leggo che produrre un cd costa 3/4 euro massimo e te lo vendono oltre i 20 euro. Questo sfruttamento ha comportato che non li compra più nessuno e vaffanculo. Io ovviamente sono contrario alla pirateria, è una pratica indecente , una rapina nei confronti di chi ama l’ arte, quindi sono contento che coloro che dirigono le case discografiche falliscano essendo i peggiori pirati che esistano, e rivaffanculo con distinti saluti, loro e i loro artisti gonfi di soldi merdosi.
Se capissero qualcosa più di un cazzo comprenderebbero che mettendo i cd in vendita a 5 euro la gente li comprerebbe e non li copierebbe, venderebbero molto con minori ricavi guadagnando il giu-
sto, avrebbero un maggior numero di appassionati di musica e cosa più importante diffonderebbero l’ arte e la cultura. Poi c’ è anche lo stato con l’ iva al 20% sui cd, una vergogna, dovrebbe eliminare l’ iva sulla cultura o mettere almeno il 4% come i libri. Mettendo i cd al massimo a 7/ 8 euro e se lo stato ridu-
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ce al 4% l’ iva potrebbero guadagnare alla stragrande ancora. Adesso non salti fuori il solito discografico rincoglionito che tira fuori che ha tanti costi per promuovere il disco, il disco se è buono si promuove da solo, se è una merda ricacciatevelo nel culo o vendetevelo anche a 100 euro per i cretini che me ne frega un cazzo, io parlo di musica vera non di merda di suino, la musica buona deve avere un prezzo politico di 5 euro massimo, 8 euro se si vuole esagerare, e ci guadagnate se rivoluzionate il modo di produrli. Altrimenti la gente non ve li comprerà più e voi sparirete come avete ampiamente meritato con le vostre speculazioni. Anzi ripensandoci fate bene a lasciarli ai prezzi attuali, così vi togliete dal cazzo. - di Andreas Finottis -
g.g. allin punk criminale GG Allin, nato nel 1956 nel New Hampshire, morto di overdose a New York il 28 giugno 1993, era un musicista oltraggioso, selvaggio, disturbante e disturbato; è annoverabile soprattutto nello scum punk, il punk della feccia, un incrocio tra hardcore punk e punk rock. GG è stato un calcio in faccia ad ogni perbenismo e ad ogni regola, concerti leggendari nei peggiori locali in cui lui che era tossicodipendente si iniettava sul palco, si denudava mostrando con orgoglio di essere minidotato, si provocava lesioni fino a sanguinare, aveva rapporti orali con gli spettatori, li picchiava e veniva picchiato, arrivando a defecare per poi mangiare la merda o lanciarla sul pubblico. Oltre ogni limite e rompendo ogni regola, un martire della libertà di espressione più totale, un provocatore. Fu perseguitato dai servizi segreti in seguito a una sua corrispondenza con Hinckley, l’ autore di un fallito attentato al presidente Reagan, GG gli scriveva cose tipo “Peccato tu abbia fallito, amico” o “Quando uscirai ti aiuterò a provarci di nuovo”, lo incarcerarono con un accusa di violenza su una fan che in realtà era stata una storia consenzien-
te durata due settimane. Era successo che lei voleva un tatuaggio, lui le disse non ho niente per farlo ho solo il coltello, lei gli chiese di farglielo ugualmente col coltello, GG lo fece e poi bevve tutto il sangue che fuoriuscì e nei giorni successivi volevano sposarsi. Ma venne messa contro di lui e così GG si fece un anno di carcere con accuse basate su dichiarazioni contraddittorie, GG diceva che era tutta una montatura dei servizi segreti per fermare la sua musica. Ha avuto un totale di 52 arresti, soprattutto per atti osceni e danneggiamenti. Voleva morire sul palco suicidandosi ma poi non lo faceva, finché mori a New York di overdose. Tanti lo liquidano come uno mentalmente instabile, relativamente famoso solo per i suoi gesti estremi e affermano che musicalmente non valeva niente .Niente di più sbagliato, GG Allin era un gran conoscitore del rock, ed
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è stato un cantante sinceramente visceralmente punk, la sua missione musicale era di resuscitare lo spirito originario del rock and roll che diceva era andato perso ed era rappresentato da persone finte che recitavano la parte del maledetto solo per ottenere il successo. Lui era un profondo appassionato di rock, dal rock selvaggio degli Stooges al glam rock lascivo dei travestiti New York Dolls, passando per il punk dei Sex Pistols e sfociando nell’ hardcore punk. Era inoltre un fan del cantante country maledetto Hank Williams, infatti registrò delle canzoni country. Ha una discografia caotica, il debutto è stato nel 1980, i due dischi consigliabili sono: “Eat My Fuc” e “Freaks, Faggots, Drunks & Junkies”. Il dvd “Terror In America” è la testimonianza del live tour 1993 che fece nella primavera prima della morte ed è ritenuto il più violento tour che ci sia mai stato nella storia del rock, pieno di una rabbia furiosa fuori controllo con cui intendeva distruggere tutto per ritrovare la devastante selvaggia potenza originaria del rock and roll . - di Andreas Finottis -
specchio servo delle mie brame, ,, cose questa fottuta puzza di catrame?
Tergicristalli, lucidano la tua visuale. Smorfie dentro un abitacolo, mentre nessun dio osserva dall’alto col binocolo, niente di speciale. Strade d’asfalto in rovina, crepe da ogni parte, in macchina non c’è silenzio il suono è quello di una vecchia lavatrice. Pneumatici, affondano su nuove buche, senti una piacevole vibrazione, qualche dosso, non si sta fermi, quasi si balla. Altre auto ti sorpassano, sono mosche, mosche più veloci. Il semaforo è rosso, le mosche si guardano tra loro e ripartono. Fretta, c’è sempre fretta, solitamente al mattino quando i pedoni attraversano le strisce devono darsi una mossa. Calma? Quale calma? Le mosche s’incazzano, alzano le mani, sfoggiano ghigni... ma ripartono, non possono stare a dedicarti bestemmie, ma lo farebbero, hanno come un bisogno, ma non c’è tempo, non c’è mai tempo. Tutti devono compiere un determinato numero d’impegni, tutti devono sprecare le loro ore, magari per andare a lavorare, ma è necessario, per resistere ad un sistema che ti pesta le
dita quando sei aggrappato sul bordo di una fottuta voragine, è il demonio che vuole tutti i tuoi risparmi, l’inferno è qua e l’affitto va pagato. Strade d’asfalto rovinate, e chi le ha fatte? Bisogna risparmiare, l’ha detto l’addetto ai lavori, qualche buca la si deve sempre lasciare. Le mosche rallentano, abbassano i finestrini, tutti si fermano a curiosare i prezzi del gasolio, non si parla d’altro, anzi no, si parla troppo, si chiacchiera più che altro. E’ un continuo chiacchierare, ma purtroppo è legale. Chiacchiere: soliti gossip, titoli in prima pagina, ciò che ti è accaduto nella tua inutile giornata, sconti, saldi, spread, borsa, banche, moneta, petrolio, inquinamento, disastri, missioni, morti e ritorni dall’Afghanistan, tasse, tagli, manovre, scioperi, manifestazioni, proteste, scontri, droga, omicidi, magistrati incompresi, pedofilia, appelli del papa, disoccupazione, satira, troiate e quant’altro. La tv chiacchiera davanti alla gente, la gente chiacchiera davanti alle tv, le chiacchiere inondano le
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folle. E’ un epidemia, i bambini forse si salvano, ma le chiacchiere cadranno anche su di loro, nessuno si interessa di vaccinarli, ignari dei fossi anche loro cadranno nelle pozze di merda. E magari saliranno sulle loro auto e ti sorpasseranno, saranno mosche veloci, ascolteranno musica indecente, ma son gusti, gusti di merda. Si fermeranno al semaforo, ti guarderanno, e ripartiranno a percorrere strade rovinate, in preda alla fretta di riempire le loro giornate di vuotezza, sprecheranno ore per andare a fare un lavoro che non soddisfa affatto, ma è necessario per resistere a quel lurido mostro che ti pesta le dita ogni fottuto giorno della tua vita mal gestita. La vita non è vostra, non lo è mai stato. Siate più figli di puttana, basta ad aggiungere un tocco d’arte a quel ghigno che portate a presso. E’ che forse non basta...ma fatelo per il bene dell’umanità che vi sta sul cazzo, fatelo, oppure continuerete a sguazzare nella noia, e forse vi garba, e allora andate a fanculo. - di Mattia Indavuru -
enri Mentre si dimena sui promontori dell’oltretomba Enri chiama a sé una puttana d’altri tempi che gli tiri su l’uccello in meno di trenta secondi tutto scompare e le stradine e il ponte e il mare e i bar e la luna tutto nel nulla vacuità assurda innocente nel chiaro oscuro del calar delle tenebre. Frammenti di vita innesti di cute artificiale e mantidi religiose obese che succhiano gli acidi delle nostre merende radioattive e domandano al barista di turno se il giorno del giudizio è oggi ma lui è pagato solo per servire e non sa nulla di tutto questo. Enri che corre e grida e gode a squarcia gola urla e latra dappertutto come un animale selvatico libero e in calore. Enri che si masturba. Enri che scopa un albero di cedri e striscia bavoso lungo una corsia d’ospedale. Enri è tormentato dai suoi incubi e si contorce dal dolore inflittogli da anni di torture mediatiche. Enri in depressione. Enri in regressione. Enri non sa cosa fare, dove andare, cosa pensare. Non c’è risposta all’antico vagar tra i fiumi bollenti delle falde acquifere mentali. Trip allucinogeni e viaggi speciali last minute inebrianti tra i caldi umori di una scrofa latente. Enri paranoico. Enri ubriaco fradicio. La popolazione non è mai stata così densa rancida calda infradiciata di merda bagnata. Come larve stese ad asciugare al sole i mozziconi di sigarette chiedono perdono ai margini della fermata del tram. Enri passeggero e mai conducente. Enri spettatore e mai attore. Enri uno qualunque. - di Dr. Cosmo -
il misantropo Mi sono spazzolato due volte i capelli e sono uscito di casa. Anche oggi ho visto delle persone. Ho messo le mie mani in tasca, al sicuro. Ogni raggio di sole che agguantava il loro volto scavava un’ombra di rabbia repressa sugli zigomi e la strada grigia consolava il mio silenzio. Ho visto bene quegli esseri mentre si affannavano hanno vissuto molte imprese il giorno prima devono sbaragliare tutti i concorrenti e tornare a casa come dei costrutti coperti di lava e senza nucleo. E io tra loro cercavo un canto nei loro atteggiamenti ma guardavo a terra per non vedermi riflesso dal Sole soggiogato da quegli esseri con le braccia. E seduto stante, al freddo delle mie maniche corte non ho potuto fare altro che odiarli.
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- di Giuseppe Baldassarra -
doppio cervello e doppio cuore Quando sei come me hai doppio cervello e doppio cuore. Forse solo doppio cervello. Ti chiudono in una stanza in un reparto dove sono simili a te e ti fanno un sacco di domande. Non sono psicologi, ti viene spiegato che è come quando hai la febbre alta: gli psicologi sono la tachipirina, gli psichiatri l’antibiotico. Passi la linea e hai bisogno degli antibiotici. O meglio, degli antipsicotici. Ti etichettano e ti danno la medicina che fa per te, quella che in teoria ti farà stare meglio, ma non conoscono le dosi, devono sperimentare mese dopo mese. Devi fidarti, non hai molte alternative all’inizio. Li prendi, ma non torni a essere un solo cervello e un solo cuore. E’ impossibile, niente può cambiare quello che sei. Però non ti fanno pensare e diventi la dea dell’Assenza. La lentezza diventa la tua dimensione. Capisci quello che ti dicono, ma le parole non vengono subito. Le pensi, ma escono troppo lentamente e ti guardano strano. Non avrai ricordi chiari dei mesi in cui sei sotto farmaci, solo sensazioni vaghe. Non si può essere nati dotati di una mente e rinunciarvi. Credo sia il più grande tradimento che puoi fare a te stesso. Non puoi non avere ricordi, l’essere umano cresce e esiste con i ricordi. Se la tua mente ti dice che ci sono altre persone che vivono e respirano con te, se ti inganna a tal punto da farti pensare che la realtà è sentirli parlare, vederli, conoscere ogni loro gusto, il passato, l’aspetto fisico, come si vestono, cosa stanno facendo ogni minuto della tua gior-
nata è un bel frullato di iperconnessioni cerebrali. Ma è la tua mente, sei fatta così. Prendere o lasciare. E non si può lasciare, no? L’hai provata, l’Assenza, non vale la pena. Allora decidi di rinunciare a ogni cura, affrontare i momenti di delirio, ripeterti che non sono reali. Te lo ripeti molte volte al giorno, decine di volte. Ne sei assolutamente cosciente, NON sono reali, ma fanno parte di te. Incredibilmente ami quelle persone irreali, hai un rapporto con loro, fanno parte della tua vita. Non vuoi rinunciarvi, è come costringerti a rinunciare a un amico, un compagno, un padre. Perché? Quel perché rimbalza nella testa senza una risposta da parte di chi in teoria dovrebbe poterti aiutare. Perché non puoi essere semplicemente così? E’ la tua vita, te la rigoverni tu. Nessuno può sapere fino in fondo come vivi. I deliri te li fai da sola, nella tua testa, ed è difficile far capire che se vuoi stare sola con il tuo compagno devi mandare gli altri a prendere un gelato. Ma sei tu. Almeno sei tu. Nessun farmaco, allora. Ogni giorno tempo per ascoltarsi, cedere ai deliri. Se li ascolti e vivi con loro dopo faranno i bravi. Se non li ascolti per mancanza di tempo presto urleranno e ti metteranno in imbarazzo in pubblico, facendoti fare cose strane. Se conosci qualcuno non puoi dire quello che sei, o scapperà. La schizofrenia spaventa. Pensano che tu possa essere violenta, o completamente pazza, o fastidiosa o, al limite, inquietante. Non sono niente di tutto questo. Io sono io. Né meglio né
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peggio di tutti voi. Non vi parlerò di cosa sento oltre alle vostre parole, non vi dirò mai che Lui è dietro di voi, seduto sul bordo del letto. Perché io so che non è reale e voi non lo vedete. Nessun problema. Forse ogni tanto vi sembrerò distratta, ma non capirete perché. E agli psichiatri che vogliono mantenerti senza pensieri dico fatevela voi l’astinenza dai farmaci, con i dolori, il vomito e i sudori freddi. Soprattutto state voi nella perenne Assenza, rinunciando a rapporti con altri esseri umani e a ricordi futuri. E’ la battaglia più faticosa che abbia combattuto, perché è contro la mia stessa mente. Ma come avviene a due generali dopo decenni di guerra, impari a conoscerti e a rispettarti e magari ci scappa la tregua. Io con me stessa ho fatto pace. E penso, oggi, di avere dei grandiosi superpoteri. Faticosi da gestire, ma grandiosi. E’ come vivere tre volte, come guardare sempre un film. Quando sei in coda e devi aspettare nessun problema: io un bel film ce l’ho nella testa. A Lei piace il doom metal, a Lui Guccini, a me i Pink Floyd. Ascoltiamo tutto, facciamo tutti felici e ognuno di noi impara musica nuova. Essere in tre significa avere tre modi di esistere molto diversi, devi necessariamente imparare la tolleranza e la comprensione dell’altro. Devo considerami una malata di mente? Per gli psichiatri lo sono, per lo Stato lo sono. Io adesso mi considero solo Me, nessuna altra etichetta. Mi sembra già molto. - di Ty Elle -
per gli analfabeti L’anarchia, senza ordine né legge, le leggi e i comandamenti non esistono senza il disordine della realtà, il tempo è la sola legge. Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io. La rivolta generale degli esseri è stata un sogno che ho osservato come un albero, nel mio angolo, con l’epidermide delle mie mani, e non ero morto, né distrutto, ma nel corpo da qualche parte. Sono una macchina che funziona benissimo e parte al primo colpo e sono gli esseri che, con la dialettica, fanno sorgere falsi problemi per comprendere esplicitamente quello che dico: che la mia testa funziona. seguo la mia strada nell’onestà, nel contegno, l’onore, la forza, la brutalità, la crudeltà, l’amore, l’acredine, la collera, l’avarizia, la miseria, la morte, lo stupro, l’infamia, la merda, il sudore, il sangue, l’urina, il dolore. Non sono l’intelligenza o la coscienza ad aver fatto nascere le cose ma il dolore mistero del mio utero, del mio ano, della mia enterocolite, che non è un senso, caro signor Freud, ma una massima ottenuta solo soffrendo senza accettare il dolore, senza rivendicarlo, senza imporselo, senza starselo a cercare [...]Non c’è scien-
za, c’è solo il niente, e non la supereranno la loro scienza se credono. Non si può vivere con tutti questi parassiti mentali attorno. Io sono colui che ha voluto rendere inutile il segno della croce.Il dubbio, l’incostanza, l’ignoranza, l’inconseguenza non costituiscono uno stato alterato, ma il solo stato possibile, non esiste l’essere innato che avrebbe infusa la luce, la luce si fa vivendo, ma la sua natura reale è tenebrosa, non riempie mai lo spirito di consapevolezza, ma della necessità di accatastare il suo essere, di raccoglierlo al centro delle tenebre, affermazione consistente di un essere, di una forma che con la sua misura e i suoi appetiti si affermerà, l’essere, non dio, nessun principio innato.Io non sono mai andato a dire agli intellettuali: che cosa volete? Neppure li ho biasimati, li ho solo scandalizzati con la lingua e i colpi. L’idea che ho di me è che non so nulla e sento sempre qualcosa di diverso in merito a un’idea del dolore e dell’amore che non può non uscirne.Non ho mai amato l’atmosfera delle case di correzione e non accetto che me la si applichi.Lo ripeto, a guidarmi non è l’orgoglio letterario dello scrittore che vuole piazzare e veder pubblicato il suo prodotto.
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Sono i fatti che racconto che voglio che nessuno ignori, i gridi di dolore che lancio e che voglio siano sentiti. No io, Antonin Artaud, no e poi ancora no, io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come che divori il proprio ventre, da dentro. Sotto la grammatica si nasconde il pensiero che è un obbrobrio più difficile da battere, una vergine molto più renitente, molto più difficile da superare quando lo si prende per un atto innato. Perché il pensiero è una matrona che non è sempre esistita. E che le parole gonfie della mia vita si gonfino nel vivere dei bla-bla dello scritto.Io scrivo per gli analfabeti. tratto da Antonin Artaud, Pour les analphabètes, Stampa Alternativa, 1euro
clemente di leo “Hey!Chi laggiù mi chiama fallito? Ebbene si, sono un fallito. Ma tu non sognare,uomo o donna che tu sia, non staccarti dal tuo portafoglio, dal tuo televisore,non uscire mai fuori di casa, non sognare ti dico, oh individuo coi paraocchi.Poiché se sognerai mi cercherai, come i moscerini cercano questa lampada.” (da“Dimensioni”) Clemente Di Leo, detto “Dino”, è stato un poeta abruzzese, nato il 30 marzo del 1946 aColledimacine (Chieti), paese dove morì il 5 luglio del 1970, all’età di soli24 anni. Pervia dei suoi problemi di salute - una malformazione cardiaca – la madre, suconsiglio del medico, decise di ritirarlo da scuola. Non finì nemmeno le medie,ma la sua passione per la poesia era così forte e ben radicata in lui da esseremessa prima di tutto, prima ancora della sua stessa salute. Egli cominciò acomporre versi già dall’età di otto anni, e quando non poté più continuare glistudi, decise di proseguire la sua educazione come autodidatta. Non lasciandosiscoraggiare dalle lunghe ore di viaggio, spesso Dino si recava in autobus aPescara, dove prendeva in prestito dalla biblioteca i più svariati libri diletteratura. Così, leggendo molto e continuando ossessivamente a scrivere,affinò la sua tecnica e trovò un suo stile personale. Egli scriveva senzafreni: la sua poesia è viscerale, istintiva, tumultuosa, priva di accademismo edi artifici, ma sempre spontanea e genuina. “Poesia, ti ho in mano come unamela marcia. Ma se ti lancio, brilli come una cometa.” Non ha potuto viaggiare e allontanarsitroppo da casa sua, e per questo la sua visione del
mondo non può che esserequella di un uomo isolato, ma da questo isolamento Di Leo ha saputo trarreispirazione, un’ispirazione spesso suggeritagli dai suggestivi paesaggi del suocaro paese natio: “Dirupi d’Abruzzo sono la mia reggia. / L’ho coloratad’azzurro con la mia voce / frantumata in getti di parole.” E ancora: “NASCITA/ Mi sono ritrovato con un nome tra pietre; e senza risposte mi consumo conloro.” Da sempre profondamente convinto di esserepoeta, il suo desiderio più grande era quello di essere riconosciuto come tale,ma vivendo in provincia e non essendo laureato, egli venne spesso schernito perquesta sua passione, e la sua poesia non venne mai presa in seriaconsiderazione. Per farsi pubblicare ed accattivarsi maggiormente i lettori, DiLeo propose i suoi primi versi firmandosi con il nome di Massimo Rocòvic,spiegando che questi fosse stato un suo caro e giovanissimo amico straniero,morto suicida. Gli editori credettero alla sua storiella, e pubblicarono le suaprima opera, “Cimeli”. Di Leo scrisse lui stesso la prefazione, dicendo:“Nell’ora più critica della letteratura italiana, adesso che la sfrontatapubblicità e premi spesso scandalosi accecano le masse, ecco sorgere la luce diMassimo Rocòvic (…) che resterà certamente una delle voci poetiche piùautentiche e singolari del nostro Novecento.” Clemente Di Leo, nonostante la giovane età,scrisse moltissimo. La sua è una produzione intensa e tra le sue opere, oltreal già citato “Cimeli”, ricordiamo anche “Frantumi di una reggia azzurra”, “Una-
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lunga puzza”, e il poemetto Gilgàmesh. E proprio grazie a questa sua ultimaopera, il 4 luglio del 1970 finalmente arrivò per lui un meritatoriconoscimento, aggiudicandosi il premio aquilano “La Madia d’oro”. Percelebrare questo evento, Dino volle festeggiare con i suoi amici tutta lanotte, mangiando e bevendo più di quanto gli fosse consentito, per via dellasua salute cagionevole. Tornò a casa che era quasi l’alba, e la madre lo trovòal mattino nel letto che non riusciva a respirare; a nulla valsero i soccorsi. Quella di Clemente Di Leo è stata una morteprematura, sopraggiunta proprio nel momento del culmine della sua carrieraletteraria. Da sempre costretto a vivere nel suo paese senza poter viaggiare,la sua è stata una vita completamente dedicata con passione alla scrittura, eculminata con un abbandonarsi volutamente agli eccessi in un momento di grandeeccitamento per lui; come se Dino, avendo raggiunto il suo scopo, non avesseavuto più nulla da chiedere alla vita. Io che se muovo un ditoposso realizzare i miei sogni questa notte voglio andarmene tutto solodove i sogni non si consumanolieto come un garzone un po’ picchiatoche ha mille lire in tasca ... .Voglio romperla con te, Vita, strega insaziabileche già hai bruciato il mio ultimo passoe mi rubi di bocca la parola più fresca.. Lascio la schiena su questa muragliae gli occhi a perdersi in questocielo stracarico di stelle.” (da“Gilgàmesh”) - di Davide De Maria -
La bestia: del surrealista, oniristico Walerian Borowczyk, 1975
LA BESTIA del surrealista, oniristico Walerian Borowczyk, 1975 Borowczyk si diploma in pittura all’accademia di Belle Arti di Cracovia nel 1951, si occupa di grafica pubblicitaria prima di esordire nel cinema nel 1957. E’ in Francia che il suo cinema d’animazione diventa allucinato e satirico. L’erotismo diviene il tema ossessivo della sua cinematografia sino ai limiti della pornografia in lavori come Racconti immorali (1974), in La bestia (1975), Il margine (1976) e Interno di un convento (1977). La Bestia è un film scomodo, censurato, detestato e, ovvio, guardato morbosamente. Film che precorre con una naturalezza feroce e disarmante i temi più rischiosi che disseminano la società moderna. Non è un porno, ma è stato classificato tale e proiettato solo nelle sale a luci rosse. Non era un porno per tutti i gusti, ma considerato adatto ai pervertiti. Chi pagava il biglietto per
vedersi il suo film, però, rimaneva deluso: troppa trama. Troppa ideologia in quelle scopate. Boro critica pesantemente la società bigotta dell’epoca, la chiesa, il rapporto maschiofemmina, la famiglia, il ruolo stesso del maschio moderno. Ci schiaffeggia le coscienze con un sesso estremo per i benpensanti ma naturale per l’essere umano. Esalta la masturbazione come suprema arte solitaria dove ricercare il piacere vivo, vissuto. In una società dove l’autoerotismo era taciuto e negato, Boro si inserisce come un calcio nel culo di tutti gli ipocriti. La masturbazione è liberazione, pura bellezza, erotismo naturale e finalmente libero. La scena in cui Lucy Brodhurst si masturba con una rosa non scandalizzò tanto per i lunghi primi piani al suo sesso, ma perché il piacere viene vissuto come l’unico istinto naturale che è rimasto all’uomo. Un delirio onirico-erotico con implicazioni psicanalitiche, in cui Lucy, frustrata dalla rigida educazione della zia, trova sfogo alla sua libido con fantasie sulla Bestia che, le avevano raccontato, aveva violentato un’antenata dandole un figlio. E’ anche il grido di autonomia della donna, il suo urlare al maschio la propria esistenza, indipendentemente da lui. Ne La Bestia la donna ha un ruolo ossessivamente soverchiante. Esce vincitrice assoluta nella eterna lotta con il suo compagno, ne è dominatrice. E sem-
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bra non aver nemmeno più tanto bisogno di lui. Il piacere possono darlo l’autoerotismo e gli animali. La nobildonna Romilda ha un rapporto sessuale con un cavallo, scena chiaramente censurata all’istante sia per i contenuti espliciti e per la domanda che ci sbatte in faccia: una donna preferisce un animale, brutale e istintivo, all’uomo denudato di se stesso e inserito in una società bigotta? Si. L’uomo ha il pisello troppo piccolo, in tutti i sensi. Ma Boro non sembra preoccuparsi della reazione del pubblico e diventa ancora più dissacrante quando il prete, nel film, viene chiaramente delineato con tendenze pedofile. “L’erotismo, il sesso, è una delle parti più naturali della vita. L’erotismo non uccide, non stermina, non incoraggia al male, non porta al crimine. Al contrario: rende la gente più gentile, porta gioia, dà appagamento, porta ad un piacere non egoistico” . Questa la lezione di Borowczyk, contro l’ostinata volontà di tacere i più naturali degli istinti per creare frustrazioni devianti. La Bestia non è per chi non ha pelo sullo stomaco e fa pensare. Ti infastidisce, è scomodo, ma apre la mente come pochi altri film. Il surrealismo di Borowczyk trascina impietoso verso una presa di coscienza fin troppo reale. Un maledetto surrealista straordinariamente precorritore dei tempi. - di Ty Elle -
pasto nudo
Se oggi l’uomo non mangia più l’uomo, è unicamente perché la cucina ha fatto dei progressi! (Daniel Pennac)
illustrazione di Giacomo Clerici Grotesquer
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la gente della Redazione Maledetta Alessandro Pedretta Kresta direttore irresponsabile http://illegaleesperienza.blogspot.com/
Giuseppe Baldassarra servo dell’inconscio baldogiupe@live.com
Andreas Finottis guida spirituale http://finottis.blogspot.com/
Maures simpatico sociopatico http://natoperrubarerose.wordpress.com/
Giovanni Favazza scrittore profano jhonnybar@live.it
Ty Elle
Collaboratori Fottuti Nuenni nella Zuena Stefano Iannuso Agente Patogeno Emma Peel Angela Caporaso Mattia Indavuru Dr. Cosmo Davide De Maria I disegni per “Il vomito” e “Il pasto nudo” sono di Giacomo Clerici Grotesquer http://grotslair.wordpress.com/
Per commenti, insulti, proposte di collaborazione: negazioni@gmail.com su facebook: Negazioni - maledetta fanzine senza paraocchi e paraculi
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