EVA SØRENSEN
Disegni
EVA SĂ˜RENSEN Disegni a cura di / edited by Gaspare Luigi Marcone Testi di / Texts by Gaspare Luigi Marcone Pierre Restany Vanni Scheiwiller
con il patrocinio di:
Art Gallery
10 ottobre - 30 novembre 2009 10 october - 30 november 2009 LAKESIDE Art Gallery Via A. Tacchini 26 28922 Verbania Tel. 0323 556252 info@lakeside.vb.it www.lakeside.vb.it Promozione e comunicazione mostra: Beatrice Ferri Ringraziamenti / Thanks to: Lorenzo Camocardi Sally Davenport - Working Law Solicitors Rosalia Pasqualino di Marineo
Testo ITA 1
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Disegni Drawings
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Pierre RESTANY Pietre rimosse e intagliate che non mentono Blocchi irregolari di granito verde di Montorfano alti due metri e che si direbbe direttamente usciti dalla loro cava originale: Eva Sørensen ha disposto più di 60 tonnellate di pietra nel parco della Triennale. Già di per sé questo genere di schieramento che trasferisce la montagna nel cuore della città, ha il valore di un simbolo ecologico e geofisico: si pensa alle pietre sollevate della tradizione celtica, all'accordo profondo e fondamentale tra uomo e natura che implica un senso dell'organizzazione dello spazio. Ma questi « menhirs » parlano un linguaggio diverso da quello della loro semplice collocazione. Guardiamoli da più vicino: la loro superficie presenta zone grezze e lucidate. Una geografia sensuale e sagomata scaturisce dalla pietra, definendo la spiaggia liscia delle cosce di non si sa quale Nereide o le spalle delle colline care a Cézanne, della Montagne Sainte-Victoire o delle rocce di Bibémus. La pietra si fa chiara pur restando pietra, fissando così in noi la pulsazione elementare ctonica che Gaston Bachelard assimilava poeticamente ai « sogni della volontà ». C'è di meglio, se si sta attenti: lo scalpello dello scultore non si è limitato a definire le zone da lucidare. A volte ha inciso la pietra in sottili solchi paralleli che sembrano irrigarne la carne in sottili nervature. Tracce d'onde, camminamenti angolari, ricordo di non si sa quale discorso runico. È tale l'interesse di questo procedimento che resta riservato nelle sue intonazioni allusive e che stimola in noi latini l'immaginazione proiettandola fuori delle normali sfere della nostra sensibilità, nell'universo di una mitologia nordica in cui il sogno è mistero, la natura contiene la sua forza, la magia nasconde i suoi segreti. È un mondo poetico omogeneo, compatto, inalterato di cui Eva Sørensen si accanisce a incidere le tracce nella pietra delle Alpi: il mondo autentico delle proprie origini, la visione della propria verità. Le pietre rimosse e intagliate dell'artista danese sono testimonianze vere, che non mentono. Pietre rimosse e intagliate che non mentono INGLESE Blocchi irregolari di granito verde di Montorfano alti due metri e che si direbbe direttamente usciti dalla loro cava originale: Eva Sørensen ha disposto più di 60 tonnellate di pietra nel parco della Triennale. Già di per sé questo genere di schieramento che trasferisce la montagna nel cuore della città, ha il valore di un simbolo ecologico e geofisico: si pensa alle pietre sollevate della tradizione celtica, all'accordo profondo e fondamentale tra uomo e natura che implica un senso dell'organizzazione dello spazio.
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Ma questi « menhirs » parlano un linguaggio diverso da quello della loro semplice collocazione. Guardiamoli da più vicino: la loro superficie presenta zone grezze e lucidate. Una geografia sensuale e sagomata scaturisce dalla pietra, definendo la spiaggia liscia delle cosce di non si sa quale Nereide o le spalle delle colline care a Cézanne, della Montagne Sainte-Victoire o delle rocce di Bibémus. La pietra si fa chiara pur restando pietra, fissando così in noi la pulsazione elementare ctonica che Gaston Bachelard assimilava poeticamente ai « sogni della volontà ». C'è di meglio, se si sta attenti: lo scalpello dello scultore non si è limitato a definire le zone da lucidare. A volte ha inciso la pietra in sottili solchi paralleli che sembrano irrigarne la carne in sottili nervature. Tracce d'onde, camminamenti angolari, ricordo di non si sa quale discorso runico. È tale l'interesse di questo procedimento che resta riservato nelle sue intonazioni allusive e che stimola in noi latini l'immaginazione proiettandola fuori delle normali sfere della nostra sensibilità, nell'universo di una mitologia nordica in cui il sogno è mistero, la natura contiene la sua forza, la magia nasconde i suoi segreti. È un mondo poetico omogeneo, compatto, inalterato di cui Eva Sørensen si accanisce a incidere le tracce nella pietra delle Alpi: il mondo autentico delle proprie origini, la visione della propria verità. Le pietre rimosse e intagliate dell'artista danese sono testimonianze vere, che non mentono. Vanni SCHEIWILLER Appunti per le sculture e le idrosculture di Eva Sørensen Gli anni di apprendistato di Eva Sørensen a Parigi nel 1959 e il suo primo soggiorno in Italia ad Albisola, nel 1961 1962, dove lavora alla ceramica (l'amore del “Gran Fuoco” lo chiamò il futurista Tullio d'Albisola), nel clima cioè di Lucio Fontana e Piero Manzoni, corrispondono all'inizio della mia amicizia e collaborazione con Vincenzo Agnetti, il cui ultimo libro, datato “New York, maggio 1979”, è appunto La dimensione di Eva Sørensen. Ad Agnetti devo la conoscenza di Eva Sørensen, fin dal 1966 quando in Danimarca si andò in pellegrinaggio a ritrovare la « base del mondo » del nostro Manzoni. Ad Agnetti dobbiamo la prima monografia e la prima intelligente lettura delle sculture di Eva Sørensen: « Già: Perché mi menti? Sì, perché mi menti dicendomi che sono delle sculture in granito verde perché io creda di intravedervi erosioni cosmiche, paesaggi demoniaci, o impronte voluttuose, quando in realtà sono proprio sculture in granito verde? Nella trappola involontaria, non tesa, cadono sempre in due: l'osservatore superficiale e il critico accanito ». Ecco, sulle orme di Agnetti, questi appunti di lettura, di semplice cronaca d'arte (attenzione, diffidate dei critici perché la critica « rimane una storia a posteriori ») intorno alle sculture che Eva Sørensen espone alla Biennale di Venezia, intorno ai suoi disegni che magistralmente Agnetti ha definito « peraltro bellissime » ma che « sono sole e solo delle sculture bidimensionali ». 19
Parlo anche del gruppo di “idrosculture” eseguite nel 1979 81 per Copenhagen, purtroppo non esposte a Venezia. Quelle sculture, che io ho visto-toccato-udito-ammirato nel suo cantiere di Mergozzo dove Eva Sørensen lavora soprattutto col granito verde di Montorfano, mi hanno suggerito l'idea di chiamarle non sculture-fontana ma “idrosculture”. Un'idea idrica tutta futurista, che è costata alla scultrice due anni di vita. Eppure le foto non rendono neanche lontanamente l'idea: mancano il suono e il movimento dell'acqua. Ciò che ammiro di più in Eva Sørensen è il suo modo di darsi tutta al lavoro, senza compromessi: per creare un lavoro buono, fatto bene. Pierre Restany in un suo scritto da Parigi (aprile 1978) per la mostra al Parco Sempione Milano afferma che il trasferire la montagna nel cuore della città ha per Eva Sørensen un valore di simbolo ecologico e geofisico. Non so cosa ne pensi la scultrice, ma io credo che Eva studi la natura per rubarle la forma, per appropriarsene. Non è mai una scultura “naturalistica” ma altamente “formalistica”. Un'interpretazione formale, una perfetta corrispondenza tra le sue forme e il luogo dove Eva Sørensen sta: le montagne, le rocce, i graniti attorno a Mergozzo. Eva segue attenta le leggi del ruscello che precipitando dall'alto crea suoi disegni e suoi colori, una geometria “organica”, mai “meccanica”: perché appunto l'acqua dà vita alla materia dura, arricchisce la forma. L'acqua che scende dall'alto lascia una traccia, cambia il colore della pietra, diventa “idroscultura”. Nel lavoro di Eva Sørensen però la traccia dell'acqua non è mai casuale,, ma guidata dall'intelligenza, da un'idea formale. In tutte le sue sculture, fin dalle ceramiche del primo tempo di Albisola, Eva Sørensen insiste nella forma, nella sua forma monumentale. Importanza della materia, dei contrasti tra le materie, ma sempre, ripeto, in maniera formale e così la forma modula in maniera dolce il disegno-scultura come potrebbe e come sa modulare la volontà di Eva Sørensen: idroscultura (idea-scultura). Appunti per le sculture e le idrosculture di Eva Sørensen INGLESE Gli anni di apprendistato di Eva Sørensen a Parigi nel 1959 e il suo primo soggiorno in Italia ad Albisola, nel 1961 1962, dove lavora alla ceramica (l'amore del “Gran Fuoco” lo chiamò il futurista Tullio d'Albisola), nel clima cioè di Lucio Fontana e Piero Manzoni, corrispondono all'inizio della mia amicizia e collaborazione con Vincenzo Agnetti, il cui ultimo libro, datato “New York, maggio 1979”, è appunto La dimensione di Eva Sørensen. Ad Agnetti devo la conoscenza di Eva Sørensen, fin dal 1966 quando in Danimarca si andò in pellegrinaggio a ritrovare la « base del mondo » del nostro Manzoni. Ad Agnetti dobbiamo la prima monografia e la prima intelligente lettura delle sculture di Eva Sørensen: « Già: Perché mi menti? Sì, perché mi menti dicendomi che sono delle sculture in granito verde perché io creda di intravedervi erosioni cosmiche, paesaggi demoniaci, o impronte voluttuose, quando in realtà sono proprio sculture in granito verde? 20
Nella trappola involontaria, non tesa, cadono sempre in due: l'osservatore superficiale e il critico accanito ». Ecco, sulle orme di Agnetti, questi appunti di lettura, di semplice cronaca d'arte (attenzione, diffidate dei critici perché la critica « rimane una storia a posteriori ») intorno alle sculture che Eva Sørensen espone alla Biennale di Venezia, intorno ai suoi disegni che magistralmente Agnetti ha definito « peraltro bellissime » ma che « sono sole e solo delle sculture bidimensionali ». Parlo anche del gruppo di “idrosculture” eseguite nel 1979 81 per Copenhagen, purtroppo non esposte a Venezia. Quelle sculture, che io ho visto-toccato-udito-ammirato nel suo cantiere di Mergozzo dove Eva Sørensen lavora soprattutto col granito verde di Montorfano, mi hanno suggerito l'idea di chiamarle non sculture-fontana ma “idrosculture”. Un'idea idrica tutta futurista, che è costata alla scultrice due anni di vita. Eppure le foto non rendono neanche lontanamente l'idea: mancano il suono e il movimento dell'acqua. Ciò che ammiro di più in Eva Sørensen è il suo modo di darsi tutta al lavoro, senza compromessi: per creare un lavoro buono, fatto bene. Pierre Restany in un suo scritto da Parigi (aprile 1978) per la mostra al Parco Sempione Milano afferma che il trasferire la montagna nel cuore della città ha per Eva Sørensen un valore di simbolo ecologico e geofisico. Non so cosa ne pensi la scultrice, ma io credo che Eva studi la natura per rubarle la forma, per appropriarsene. Non è mai una scultura “naturalistica” ma altamente “formalistica”. Un'interpretazione formale, una perfetta corrispondenza tra le sue forme e il luogo dove Eva Sørensen sta: le montagne, le rocce, i graniti attorno a Mergozzo. Eva segue attenta le leggi del ruscello che precipitando dall'alto crea suoi disegni e suoi colori, una geometria “organica”, mai “meccanica”: perché appunto l'acqua dà vita alla materia dura, arricchisce la forma. L'acqua che scende dall'alto lascia una traccia, cambia il colore della pietra, diventa “idroscultura”. Nel lavoro di Eva Sørensen però la traccia dell'acqua non è mai casuale,, ma guidata dall'intelligenza, da un'idea formale. In tutte le sue sculture, fin dalle ceramiche del primo tempo di Albisola, Eva Sørensen insiste nella forma, nella sua forma monumentale. Importanza della materia, dei contrasti tra le materie, ma sempre, ripeto, in maniera formale e così la forma modula in maniera dolce il disegno-scultura come potrebbe e come sa modulare la volontà di Eva Sørensen: idroscultura (idea-scultura).
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Biografia:
Biografia:
Eva Sørensen nasce a Herning nel 1940; studia a Parigi con lo scultore Laszlo Szabo. All'inizio degli anni Sessanta si trasferisce in Italia dove frequenta, tra Milano e Albisola, artisti come Piero Manzoni, Lucio Fontana, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti e il pittore danese Asger Jorn. Nel 1961 vince il Primo Premio al IV Festival della Ceramica ad Albisola. Nel 1963 vi è la sua prima mostra personale nella prestigiosa Galleria Birch di Copenhagen. In questi anni diversi musei, enti pubblici e istituzioni scandinave le commissionano sculture monumentali per le loro sedi. Dopo un soggiorno a Pietrasanta tra il 1972 e il 1977 dove esegue diverse opere in marmo, si trasferisce sul territorio verbanese per lavorare il granito verde di Montorfano a Mergozzo. Nel 1978 il Comune di Milano le organizza una grande mostra di sculture monumentali collocate nel Parco Sempione. Nel 1982 partecipa alla XL Biennale di Venezia con una mostra di disegni e sculture esposte nel Padiglione Danese. Nel 2006 riceve la cittadinanza onoraria dal Comune di Mergozzo. Nel 2008 le sono dedicate due mostre personali a Domodossola e nella Galleria Antonia Jannone a Milano. Opere di Eva Sørensen sono esposte in modo permanente in musei ed istituzioni pubbliche di Randers, Silkeborg, Herning, Aarhus, Taarnby e in altre città della Danimarca, nelle Raccolte d'Arte del Fondo Ny Carlsberg e del Fondo Statale d'Arte Danese.
Eva Sørensen nasce a Herning nel 1940; studia a Parigi con lo scultore Laszlo Szabo. All'inizio degli anni Sessanta si trasferisce in Italia dove frequenta, tra Milano e Albisola, artisti come Piero Manzoni, Lucio Fontana, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti e il pittore danese Asger Jorn. Nel 1961 vince il Primo Premio al IV Festival della Ceramica ad Albisola. Nel 1963 vi è la sua prima mostra personale nella prestigiosa Galleria Birch di Copenhagen. In questi anni diversi musei, enti pubblici e istituzioni scandinave le commissionano sculture monumentali per le loro sedi. Dopo un soggiorno a Pietrasanta tra il 1972 e il 1977 dove esegue diverse opere in marmo, si trasferisce sul territorio verbanese per lavorare il granito verde di Montorfano a Mergozzo. Nel 1978 il Comune di Milano le organizza una grande mostra di sculture monumentali collocate nel Parco Sempione. Nel 1982 partecipa alla XL Biennale di Venezia con una mostra di disegni e sculture esposte nel Padiglione Danese. Nel 2006 riceve la cittadinanza onoraria dal Comune di Mergozzo. Nel 2008 le sono dedicate due mostre personali a Domodossola e nella Galleria Antonia Jannone a Milano. Opere di Eva Sørensen sono esposte in modo permanente in musei ed istituzioni pubbliche di Randers, Silkeborg, Herning, Aarhus, Taarnby e in altre città della Danimarca, nelle Raccolte d'Arte del Fondo Ny Carlsberg e del Fondo Statale d'Arte Danese.
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Disegni:
Drawings:
6 - mag - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 82 cm, 2008, p. 9
6 - mag - 8, indian ink on paper, 72 x 82 cm, 2008, pg. 9
19 - nov -8, inchiostro di china su carta, 72 x 102 cm, 2008, p. 10
19 - nov - 8, indian ink on paper, 72 x 102 cm, 2008, pg. 10
3 - nov - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 102 cm, 2008, p. 11
3 - nov - 8, indian ink on paper, 72 x 102 cm, 2008, pg. 11
18 - mag - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 82 cm, 2008, p. 12
18 - mag - 8, indian ink on paper, 72 x 82 cm, 2008, pg. 12
3 - mag - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 82 cm, 2008, p. 13
3 - mag - 8, indian ink on paper, 72 x 82 cm, 2008, pg. 13
9 - nov - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 102 cm, 2008, p. 14
9 - nov - 8, indian ink on paper, 72 x 102 cm, 2008, pg. 14
6 - nov - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 102 cm, 2008, p. 15
6 - nov - 8, indian ink on paper, 72 x 102 cm, 2008, pg. 15
21 - ap - 8, inchiostro di china su carta, 72 x 82 cm, 2008, p. 16
21 - ap - 8, indian ink on paper, 72 x 82 cm, 2008, pg. 16
Senza Titolo, inchiostro di china su carta, 73 x 102 cm, 1982, p. 17, (opera esposta alla XL Biennale di Venezia, 1982)
Untiteled, indian ink on paper, 73 x 102 cm, 1982, Pg. 17, (work exhibited on XL Biennale di Venezia, 1982)
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Finito di stampare nel mese di settembre 2009 Š Tutti i diritti riservati / All rights reserved
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