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TOTEM E TRIBù I ‘trofei’ di Giorgio Carpintieri riportano alla memoria i totem e le maschere di millenaria tradizione cui strettamente si associavano i rituali propiziatorii della caccia e gli emblemi in cui ciascun clan riconosceva le proprie qualità distintive e identificava lo ‘spirito’ protettore. Nelle esibizioni e nelle cerimonie gli animali totemici rappresentavano l’anima stessa e la forza del gruppo, che nei singoli membri si trasfondeva grazie alle maschere, simboli della trasfigurazione per la quale ciascun volto svelava la natura profonda e divina. Come poi ribadisce la tradizione teatrale europea dalla classicità alla commedia dell’arte, la maschera non serviva a celare, al contrario rendeva visibile quanto di non effimero legava ciascuna identità alla vicenda comune, quanto di immutabile e imperibile si trovasse alla sorgente del transitorio e gli desse senso. Maschere zoomorfe e mostri (apparizioni prodigiose e fuor del comune) manifestavano il numinoso e lo rendevano percepibile e accessibile all’uomo; una simmetrica trasformazione e un analogo travestimento potevano allora dare all’uomo sensi più acuti, più ampi poteri su sé stesso e sulla natura. Perché e come un artista di oggi, sempre più attento nell’osservare i comportamenti umani, può riprendere totem e maschere per esprimere la propria personale e originale visione del mondo? La lunga esperienza, i contatti con modalità espressive diverse, l’esplorazione avvertita di tecniche e di eredità stratificate hanno portato Carpintieri, con l’affinamento
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della mente e dell’età, a svolte di leggerezza giocosa e di ludico straniamento. I ‘trofei’ così spesso esibiti dall’umana vanità e i simboli di prosopopea appaiono infine nella loro quasi astratta autonomia: sono usati, indossati ed esibiti non più per rappresentare – e svelare! – occulte e segrete profondità, bensì per rivestire di frivoli clichés l’inconsistenza e la vacuità. Simboli e maschere si giocano, per così dire, a un secondo livello, per rinviare a codici iconici presi in quanto materiale combinatorio: basta pensare alle mode cangianti e di breve durata, ai berrettini, agli occhiali, alle ciocche colorate, a certi pantaloni fuori taglia, e abbiamo ogni giorno davanti agli occhi un’ampia antologia di immagini con le quali si gioca non per comunicarsi reciprocamente sentimenti o realtà profonde ma per specchiarsi vicendevolmente nell’apparenza, senza impegno né coinvolgimento. E’ d’altronde caratteristica pertinente di una civiltà (?) che può ‘usare’ gli oggetti e consumarli, addirittura usare e consumare le persone, proprio perché ne ignora il senso e non ne considera più i valori storici e simbolici. Ben diverso il gioco, ironico e meditato, che Carpintieri opera – al suo ‘secondo livello’ di artista – sui trofei di un siffatto mondo di immagini effimere e di appariscenti colori. Il disegno minuzioso e fittamente ricco, la cartapesta colorata con sagacia restituiscono narrazioni e rappresentazioni che rievocano le favole esopiche e il teatro dei pupi. Le figure zoomorfe ‘smascherano’ volti umani deformati da finzioni talora abili talaltra grossolane, tolgono dunque ai ‘trofei’ ogni traccia di eroicità, come i
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gesti meccanici e disarticolati dei pupi smitizzano le figure magniloquenti dei paladini. Quanto Leonardo Sciascia aveva osservato della sicilianità e dell’ironia di Carpintieri si conferma e si approfondisce nelle opere che egli espone a Verbania. Vi si ricompone e vi si legge, con moltiplicato piacere dello sguardo e dell’intelligenza, una arguta e perspicace riflessione (un gioco di rispecchiamenti e di calcolate deformazioni) sul caotico e grottesco addensarsi e sovrapporsi di finzioni, di trucchi, di maquillage cui ogni giorno si ricorre per le quotidiane rappresentazioni. Opportunamente Nancy è la figura-guida del percorso: stereotipo di gioventù e di modernità, è allusiva ed ambigua quanto basta a ‘mascherare’ e insieme sottolineare certe contraddizioni (o inibizioni?) truccandole da esibizioni, mentre la sua spontaneità e la sua disinvoltura sono l’effetto di un incedere studiato, di posture ben apprese… Quanto durerà la sua baldanza nello scortarci tra i ‘trofei’ e le corna, nell’introdurci in edifici con protomi e fauci mostruose? Potremo far buon uso a nostra volta di luoghi magici che si trasformano a ogni nostro passo? Nel ritrovarci membri di una tribù dominata da totem in parte minacciosi in parte giocosi, quali reazioni potremo avere fra timore e riso, diffidenza e volubilità? Ci troveremo infine ‘smascherati’ noi stessi, consapevoli infine di essere caduti troppo spesso in trappole speciose? Pronti a rigiocare una nuova parte? Pier Angelo Garella
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