La drammaticità nel rapporto con la natura da locus amoenus a forza distruttrice

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Nicolò Chierichetti – matr. 847205

Politecnico di Milano Storia dell’Arte Contemporanea a.a 2016-2017– Prof. Stefano Levi

da locus amoenus a forza distruttrice

La drammaticità nel rapporto con la natura


La Grande Onda di Kanagawa (神奈川沖浪裏), 1830-31 – Hatsushika Hokusai Xilografia in stile ukiyo-e


Letteralmente “Sotto un’onda al largo di Kanagawa” nella traduzione giapponese, è una xilografia in stile ukiyo-e del pittore giapponese Hokusai Katsushika (1760-1849) realizzata nel 1830-31 durante il periodo Edo. È la prima e più celebre xilografia appartenente alla serie “Trentasei vedute del monte Fuji - 富嶽三十六景 Fugaku sanjūrokkei), e occupa le dimensioni di 25,7 cm x 37,9 cm. L’opera raffigura un’onda tempestosa che minaccia alcune imbarcazioni nel mare al largo dell’odierna prefettura di Kanagawa, da cui la composizione de titolo. Come nelle altre opere appartenenti a questa serie, ritroviamo sul fondo la presenza del Monte Fuji. Sebbene questa xilografia sia un elemento simbolo della pittura giapponese e caposaldo della nascita del Giapponismo (Japonisme) nella seconda metà del XIX secolo, è possibile ritrovare nella composizione alcuni elementi orientali e altrettanti elementi di stampo occidentale. La pittura paesaggistica Durante la fase di composizione dell'opera, Hokusai si trovava in un periodo della sua vita particolarmente stressante e difficoltoso. Afflitto da gravi problemi economici e tormentato da problemi di salute, dopo la morte della moglie nel 1828 fu costretto a prendersi cura del nipote e accollarsi i suoi debiti: ripercussioni finanziarie che pesarono sulla sua attività per gli anni a venire e, probabilmente, furono il motivo per cui egli decise che il tema principale della serie Trentasei vedute del Monte Fuji sarebbe stato il contrasto tra la sacralità del Fuji e la vita secolare

Hokusai sperimenta questi concetti fin dalle sue prime illustrazioni a stampe, riprendendo lo studio del movimento dell’acqua dallo stile shan shui cinese, con gli studi anche di montagne, fiumi, cascate e altri elementi naturalistici. Nello Shan Shui la natura veniva raramente raffigurata come forza divina in grado di condizionare la vita umana, tanté che in Hokusai è più evidente l’influenza dello stile giapponese yamato-e in cui la forza dell’acqua e delle onde viene utilizzata per dare risalto agli sforzi umani. Frutto di queste interazioni fu la serie di miniature de “Motivi Moderni per pettini e pipe” in cui figuravano il monte Fuji e il motivo delle onde. I rapporti con l’occidente e l’Europa Durante il periodo Edo (1603-1868) in Giappone vigeva una politica di isolazionismo (sakoki) voluta dallo shogunato Tokugawa che inibiva ogni contatto e contaminazione con l’esterno, salvo qualche eccezione come ad esempio la Cina ispiratrice di Hokusai. Nel campo della pittura erano molto apprezzati i tratti occidentali della precisione e del realismo, nonché gli studi prospettici per tradurre sul foglio la profondità degli spazi (ad esempio con “Primavera a Enoshima” nella rappresentazione del monte Fuji sullo sfondo e dei pescatori sulla spiaggia). I rapporti con Cina, Corea e Olanda risultavano quindi gli unici collegamenti con la cultura occidentale. Lo sviluppo dell’opera Nei primi anni ottanta del XVIII secolod, Hokusai elaborò altre opere in stile occidentale che possono essere considerate come precursori de La grande Onda. Nella Veduta di Honmoku vicino a Kanagawa e Imbarcazioni da trasporto in mezzo alle onde, il primo piano è occupato da una enorme onda nell’atto di travolgere l’imbarcazione, rivelando l’esistenza dell’idea di fondo che si evolverà fino all’opera vera e propria.


Nello stesso periodo, Il Blu di Prussia divenne largamente accessibile permettendo una migliore resa della profondità senza ricorrere alla prospettiva lineare. Sempre per migliorare la resa, venne abbandonata la forma rotonda e gentile dell’onde per avere un migliore impatto visivo, con la ripresa dei dipinti della Scuola Rimpa. In sviluppi successivi ci furono nuove rielaborazioni, poiché l’assenza di barche e di esseri umani non permettevano la resa della drammaticità che Hokusai voleva integrare nell’opera. L’analisi dell’opera L’immagine è stampata in formato orizzontale (yoko-e) seguendo il modello oban (25cmx38cm circa). La composizione è costituita da tre elementi fondamentali: il mare in tempesta, le barche e una montagna. La firma di Hokusai è infine posta in alto a sinistra nell’angolo. 1) La montagna dalla vetta innevata è appunto il Monte Fuji, simbolo nazionale giapponese e soggetto ricorrente nell’arte giapponese come elemento associato alla bellezza. Il colore scuro attorno al monte ci evidenzia il momento della giornata: ci troviamo nelle prime ore del mattino con il sole che sorge da dietro l’osservatore e in un momento di quiete, senza traccia di pioggia o presagi di tempesta. La forma del monte Fuji viene riproposta all’interno delle onde stesse. Per la filosofia taoista le montagne del Giappone rappresentano la forza e l’onnipotenza: l’imponente natura di fronte alla quale l’uomo si pone. Nelle stampe di Hokusai, le montagne sono delineate con la stessa sottile delicatezza di chi raffigura le effimere onde. Come un’altra onda, le montagne si alzano, lontane e imponenti, per ricordarci come siamo piccoli e fragili di fronte alla natura. L’arte delle sue pitture parla da sola, le sue opere ci trasmettono la serenità e la semplicità di un uomo che considerava giusto rappresentare la natura del suo paese come un’opera di monumentale bellezza.

2) Nell’immagine ritroviamo tre imbarcazioni chiamate oshiokuri-bune (押送船 , ovvero veloci chiatte lunghe circa 12-15m adibite al trasporto di pesce ancora vivo. Le imbarcazioni si trovano al largo del porto di Kanagawa, importante punto di scalo nel collegamento tra Edo e Kyoto. Il monte Fuji dista approssimativamente 90km dall’osservatore. Ritroviamo otto vogatori per barca e altri due passeggeri a prua. Indossano una veste color indaco chiamate samue, elemento che ci permette di collocare la scena in una giornata primaverile. 3) Il mare è chiaramente l’elemento predominante della composizione, con un’onda che si estende per tutta la composizione, nel momento subito prima di infrangersi. Contrariamente a quanto si pensi, l’onda non rappresenta uno tsunami, sebbene l’altezza stimata sia di circa 10-12m. La ripetizione delle forme è ancora più evidente nella superfice dell’acqua, che presenta riccioli, anche nelle onde più piccole. Queste rappresentazioni frattali possono essere considerate come una rappresentazione dell’infinito. 4) Ritroviamo due scritte. La prima presente il titolo dell’opera in un riquadro rettangolare in alto a sinistra, portando la scritta “ Fugaku sanjūrokkei Kanagawa oki nami ura (冨嶽三十六景 神奈 川冲 浪裏” che significa “Trentasei vedute del Monte Fuji / Al largo di Kanagawa / Sotto un’onda”. La seconda scritta è posta alla sinistra del riquadro e reca la firma dell’artista: “Hokusai aratame Iitsu hitsu (北斎改为一笔” traducibile con “Dal pannello di Hokusai, che cambiò il nome in


Litsu”, uno dei suoi 30 pseudonimi, spesso dovuti al frequente cambiamento di stile e produzione artistica. L’uso del colore La sacralità della montagna e la forza prorompente dell’onda possono essere poste sullo stesso piano: entrambe sono caratterizzate dall’uso del colore bianco e blu, legati simbolicamente alle forze elementari del fuoco e dell’acqua. Il blu di Prussia è noto in Giappone come bero (ベ) o berorin-ai (ベ ロリン藍 "blu di Berlino"). Prima di questo periodo gli unici pigmenti blu disponibili per la stampa artistica erano coloranti organici che sbiadivano rapidamente una volta esposti alla luce. L'importanza dell'aggiunta del blu nella tavolozza dell'artista, particolarmente efficace nel rendere la profondità dell'acqua e la distanza atmosferica, era tale che Hokusai concepì la sua importante serie sul Monte Fuji con il solo utilizzo del blu. In un'inserzione pubblicitaria datata 1831 ad opera dell'editore di Hokusai, Yohachi Nishimuraya, la serie venne presentata come interamente realizzata con lo stile aizurie (藍摺絵? "immagini stampate in blu"). Difatti solo nove o dieci stampe della serie possono essere catalogabili sotto questo stile mentre tutte le altre, compresa La grande onda, posseggono altri colori che variano dal bruno-rossastro al giallo, passando per il beige. Il colore predominante de La grande onda rimane comunque il blu, utilizzato non solo per l'onda ma anche per il Monte Fuji. L’espressione dell’artista (A) La grande onda di Kanagawa può essere considerata come l’immagine iconica della moderna contrapposizione tra forza della natura e fragilità dell’uomo: l’abilità di Hokusai risiede infatti nella raffigurazione della natura, attraverso la grande onda, come forza violenta pronta a inghiottire gli uomini, che a loro volta rappresentano la secolarità della vita in contrapposizione all’indifferenza e religiosità del monte Fuji. (B) Essa viene rappresentata come un’onda mostruosa, come uno scheletro bianco che minaccia i pescatori con i suoi “artigli” di spuma, infatti, se analizziamo la parte sinistra della schiuma dell’onda, ritroviamo la forma di una mano artigliata pronta ad afferrare i pescatori. “Poi un giorno in segno prende significato. Quei riccioli di spuma come tanti artigli, di cui mi ero sempre chiesto perchè.”

(C) La silhouette dell’onda richiama anche un drago gigante, soggetto caro ad Hokusai, che rappresentava solitamente di fianco al monte Fuji. (D) Con la rappresentazione dell’onda in modo così drammatico, si pensa che l’autore volesse esprimere il forte sentimento di disagio della nazione, costretta a vivere circondata dall’acqua, così come il primordiale terrore dell’uomo per il mare ignoto. (E) Significati alternativi potrebbero riguardare il desiderio dei Giapponesi di proteggersi dalle incursioni straniere (dovute alla politica di sakoku) oppure, in modo opposto, come desiderio di viaggiare e spostarsi all’estero. (F) L’onda può essere considerata anche come una rappresentazione spettrale della morte che sovrasta i marinai condannati allungano le sue braccia come fa il polipo con i suoi tentacoli. L’immagine della grande onda rimanda subito alla grandezza e forza della natura, che con i suoi artigli (la grande onda) sovrasta la insignificante forza umana (i marinai). La natura non è solo forza, ma


bellezza: il monte Fuji, nella sua eterna immutabilità, fa da sfondo all’immagine, rimane imperturbabile e osserva silente il misero destino degli uomini, inesorabilmente travolti dalla forza della natura. Gli elementi principali che occupano interamente lo spazio visivo sono la grande onda nella sua violenza, che si oppone alla serenità dello spazio vuoto, ricordando: o

il simbolo dei principi di yin e yang nella concezione taoista del cosmo, con l’uomo impotente che lotta nel mezzo o Un allusione al buddhismo, per cui le cose fatte dall’uomo sono effimere come le barche spezzate dall’impeto della natura. Ne La grande onda i pescatori si trovano al largo della costa di Kanagawa, di ritorno da Edo, probabilmente dopo aver venduto i loro pesci. Le loro barche non fuggono dall'onda, bensì le vanno incontro, poiché è quella la direzione che devono seguire per raggiungere la loro meta o E allo shintoismo con l’onnipotenza della natura. Il concetto di Yin e Yang viene anche ripreso nel contrasto tra l’onde nella sua violenza e nell’apparente calma dei pescatori di fronte al pericolo. Inoltre, la curvilineità delle forme delle onde, del Fuji e anche delle barche trasmette all'osservatore una sensazione di fluidità e continuo movimento che accomuna l'intera immagine, alludendo alla fondamentale idea taoista del mutamento responsabile degli andamenti del mondo. Per la filosofia zen, l’universo è un equilibrio tra il bene e il male, tra lo yin e lo yang, la luce e l’oscurità: queste forze contrapposte rivelano la lotta per la sopravvivenza nella natura e nello spirito umano. Allo stesso modo, attraverso le sue immagini, Hokusai rappresenta l’armonia dell’universo che non dobbiamo permetterci di spezzare. Le proporzioni e le linee dei suoi disegni non solo catturano il movimento e il flusso dell’universo, ma esplicitano esattamente anche questo equilibrio sul piano umano e terreno. L’onda è instabilità, il continuo muoversi delle cose e degli eventi, quel movimento che ci fa rimanere continuamente in bilico tra ciò che è e ciò che non è, tra ciò che vogliamo e non, tra ciò che siamo e che non siamo. L’onda diviene il riflesso di un animo agitato, sconvolto, sballottato continuamente e che non ha mai tregua. L’onda è un respiro bloccato, un’inspirazione a cui non segue una espirazione, un momento di stallo, è la fotografia che l’artista ha “scattato” ne “La grande Onda”: l’inspirazione dell’onda e quella dei marinai, questo è il rumore che si sente, quello del nulla e dell’essere in bilico. L’onda, nella sua instabilità, è la scossa, ciò che muove e che è motivo di vita, una fiamma vitale. La grande ondata forma quindi un massiccio yin in contrasto allo yang, lo spazio vuoto sotto di essa. Il crollo imminente delle onde porta tensione nella pittura. In primo piano, una piccola onda ha raggiunto il picco e forma una miniatura del Fuji che si vede, a chilometri di distanza, nella grande montagna, ridimensionata dalla prospettiva. La piccola onda, così, è più grande della montagna reale. Invece di shogun e nobili, vediamo modesti pescatori rannicchiati nella loro barca mentre scivola giù da un'onda e si tuffa nella successiva. La violenza della natura yin è controbilanciata dallo yang della rilassata fiducia dei pescatori esperti. Anche se è una tempesta di mare, il sole splende. Non piove e non ci sono tempeste, riflesso del fatto che, come nella filosofia zen, si deve mantenere la calma anche se è in corso una tormenta.


Il senso di lettura Per dare ulteriore enfasi drammatica all'opera, Hokusai disegnò l'onda nell'atto di spostarsi da sinistra a destra, in contrasto con il modo in cui i giapponesi sono abituati a leggere le immagini. Negli emakimono gli artisti ricorrevano spesso a questo stratagemma per stupire il lettore, e Hokusai ne riprese il concetto utilizzando l'onda quale elemento di sorpresa. Per un occhio occidentale, abituato a leggere le immagini da sinistra verso destra, il senso di sorpresa viene meno in quanto l'onda verrà erroneamente interpretata come soggetto principale data la sua posizione a sinistra nell'immagine. L’influenza occidentale della Prospettiva Nella pittura tradizionale giapponese, e più in generale in quella dell'Estremo Oriente, la rappresentazione della prospettiva come era intesa dagli occidentali non esisteva. Come nell'Antico Egitto, le dimensioni degli oggetti o dei personaggi non dipendeva dalla loro vicinanza o lontananza, ma piuttosto dalla loro importanza all'interno del contesto dell'immagine: in un paesaggio, il rappresentare i personaggi più grandi rispetto agli alberi e le montagne intorno faceva intendere che i protagonisti dell'opera fossero i primi, oltre a far sì che l'attenzione dell'osservatore si monopolizzasse su di essi. Il concetto di punto di fuga non esisteva. Alcuni studiosi sostengono che La grande Onda non rappresenti appieno la pittura giapponese in quanto risentirebbe troppo degli influssi europei e, probabilmente, non avrebbe avuto così tanto successo in Occidente se il pubblico non avesse avuto già una certa familiarità con questo tipo di opere. Per gli occidentali, questa xilografia sembra essere l'immagine giapponese per eccellenza, invece è molto lontana da quella tradizione. Un dipinto tradizionale giapponese, infatti, non avrebbe mai ritratto pescatori delle classi inferiori (a quel tempo i pescatori facevano parte di una delle classi sociali più basse e disprezzate). Gli artisti nipponici, inoltre, ignoravano la natura, non avrebbero usato la prospettiva e non avrebbero prestato molta attenzione alle sottili sfumature del cielo. Gli elementi di questo dipinto giapponese hanno origine nei contenuti dell'arte occidentale: come il paesaggio, la prospettiva a lunga distanza, la natura e gli esseri umani ordinari, tutte componenti estranee all'arte giapponese di quel periodo. "La grande onda" in realtà è una pittura occidentale, vista attraverso gli occhi giapponesi. Hokusai non si limitò ad utilizzare l'arte occidentale, trasformò i dipinti pastorali olandesi con l'aggiunta dello stile giapponese dell'appiattimento e con l'uso di superfici di colore. Dal 1880 le stampe giapponesi erano di moda nella cultura occidentale e quelle di Hokusai sono state studiate da giovani artisti europei, come Van Gogh e Whistler, in uno stile denominato "Giapponeseria".



(1) Questo è un sumisen (linee di inchiostro). E' l'immagine di base intorno alla quale si crea tutta la stampa

(2) Ora viene aggiunto il colore delle barche sommerse dalle onde

Le barche stanno cominciando a prendere forma. Si può vedere dove è stato aggiunto il colore.

(3) Ora vengono aggiunti i colori scuri delle barche

Le barche così sono ben definite.

(4) Ora si tinge il cielo con una leggera tonalità rossa

Con un po' di colore nel cielo, cambia tutto il dipinto

(5) Quindi viene aggiunto un po' di colore alle nuvole

Ora che il cielo ha acquisito profondità, tutto l'insieme ha una prospettiva reale

(6) Ora viene aggiunto il colore scurro attorno al monte Fuji. Questo mette a fuoco la montagna attirando l'attenzione su di essa

Il monte Fuji ora si staglia ben definito contro il cielo

(7) Ora si aggiunge colore alle onde. Vengono usate due differenti tonalità di blu per dare più contrasto e profondità

Con più colore sulle acque, le onde sembrano muoversi realmente

(8) Viene aggiunta una sfumatura più profonda di blu

Ora l'Ukiyo-e è finalmente completo


Notte stellata – Vincent Van Gogh Olio su tela


La Notte stellata è un olio su tela delle dimensioni di 73,7 cm x 92,1 cm databile al giugno 1889 e conservato nel Museum of Modern Art di New York. Se La grande onda di Hokusai è un’icona per la cultura artistica orientale, la Notte stellata è una vera e propria icona della pittura occidentale, raffigurante anch’essa un paesaggio, questa volta notturno, di Saint-Rémy-de-Provence, poco prima del sorgere del sole.

La storia e il background dell’opera “Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”: in un lettera al fratello Theo, van Gogh annuncia così il dipinto che costituisce uno dei suoi capolavori, Notte Stellata.

Dal maggio 1889, il pittore è internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole, vicino SaintRémy-de-Provence, diretto dal dottor Peyron. Il gesto dell’automutilazione del lobo dell’orecchio destro, seguito alla rottura con Gauguin, aveva messo clamorosamente in luce i problemi psicologici e il profondo disagio interiore dell’artista, deciso però a voler guarire, come dimostrano le struggenti lettere indirizzate al fratello. A Saint-Rémy, dove gode di una certa libertà e può continuare a dipingere anche all’aperto, van Gogh realizza tra i più bei capolavori della sua pittura. Questo è per l’artista il periodo di maggiore solitudine e sofferenza interiore, caratterizzato da crisi ricorrenti e terrificanti allucinazioni, ma anche quello più visionario, ricco di grafismi concitati e ossessivamente ripetuti. I soggetti delle sue opere durante questa fase sono soprattutto i paesaggi circostanti l’istituto, trasfigurati da una intensa carica espressiva. Nascono a Saint-Rémy dipinti come “Notte stellata”, “Ulivi con le Alpilles sullo sfondo”, “Strada con cipresso sotto il cielo stellato”.

Una rapida analisi In primo piano l'artista ha dipinto un alto cipresso scuro. In una piccola valle è situato un paesino, simile a un villaggio olandese in cui era nato, dominato dalla cuspide di un campanile. Sullo sfondo, alte colline tagliano la tela diagonalmente, così che la maggior parte della superficie pittorica è occupata dalla falce di luna e dal vasto cielo stellato. Nel periodo di realizzazione di questa tela, i quadri di Van Gogh si caricano di significati simbolici: il cipresso rappresenta quasi l'aspirazione all'infinito, la forza della pace cercata, specchio dell'anima del pittore; il paesaggio, a prima vista idilliaco e riconciliante, manifesta invece la personalità tormentata di Van Gogh. Le colline, trattate con linee ondulate e parallele, sembrano minacciose acque ribollenti, mentre il cielo vorticoso, con stelle più o meno splendenti, pare percorso da pericolose palle di fuoco trascinate dalla corrente dello spazio. Questo effetto è dato dall'artista grazie alla particolare tecnica pittorica: il colore, di consistenza molto fluida, è steso con uno spessore minimo, a piccoli tocchi ravvicinati, lasciando a tratti piccoli spazi vuoti, dai quali si intravede anche la trama della tela sottostante che, in corrispondenza delle stelle, ne simula il tremolio.

Nell’analisi della Notte stellata si possono distinguere tre elementi : il cipresso cupo, il paesino con la chiesa tradizionale ed il cielo ondulato con le sfere luminose. Nella notte stellata Van Gogh lascia sullo sfondo i ricordi del suo paese natio olandese così ordinato e tranquillo, con la sua chiesa (non a caso presa dai ricordi e non dalla visione diretta ) simbolo della religiosità passata. Una corrente ascensionale, informe e vigorosa, come una nera fiamma, espressa nel cupo cipresso, lo porta in un vortice di sfere di luce e di fuoco che vorticano in un cielo sereno, abbagliano e stupiscono . Il pittore si lascia prendere dalla luce, dalla passione , dal vorticoso movimento per partecipare alla


tormentata vita dell’Universo, privo delle sue certezze ma immerso su uno sfondo azzurro sereno e saldo. L’intensità dei sentimenti è espressa da un'esecuzione vigorosa, esaltata, brutale, intensa. Il disegno della Notte stellata è rabbioso, potente forse un po' grossolano, ma efficace. Il cielo, le stelle, la luna sono uniti da un movimento ondulatorio che coinvolge lo spettatore in un’osservazione estatica. Una misteriosa energia sospinge il movimento delle stelle. Pare che... “la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”, scrive Vincent Van Gogh in una lettera al fratello Theo. Nella notte stellata Van Gogh cerca di rappresentare quella vita, quell'angosciosa vita, che attribuisce alla notte. Il tormento che si sente nella Notte stellata, il fuoco, la luce, sono il riflesso del proprio tormento esistenziale che partono direttamente dal cuore e si esprimono nei tratti incisivi, forti, quasi violenti della pittura. In questo senso van Gogh è considerato precursore, se non il primo esponente dell’espressionismo. Non è infatti il paesaggio, come negli impressionisti, che arriva all’anima ma è il sentimento dirompente, come il nero ed informe flusso ascensionale, che trasforma la natura rendendo la notte stellata una realtà trasfigurata dai sentimenti di Van Gogh. La notte stellata è proprio una delle più significative opere dell’espressionismo di Van Gogh, un van Gogh quasi visionario, sia per aver riversato nella sua visone della notte stellata la sua esperienza di vita, sia per la brillantezza dei colori, sia per le distorsioni emotive della realtà, tutti elementi che furono assimilati dall’Espressionismo.

Il rapporto con la natura Vincent ama passeggiare immerso nella natura perché crede che solo così si possa creare un legame davvero forte con la natura stessa.

Diversamente da altri dipinti di van Gogh, Notte stellata non fu dipinto all’aria aperta. Il pittore scrive nelle sue lettere di essere rimasto sveglio tre notti ad osservare la campagna che vede dalla sua finestra, affascinato soprattutto dal pulsare di Venere, l’astro mattutino che appare come una stella più grande delle altre. Il quadro, tuttavia, non è una fedele riproduzione del paesaggio circostante, ma un’immaginaria visione in cui affiorano ricordi della sua terra natale, quali il quieto villaggio sotto il cielo notturno, con il tipico campanile olandese. Van Gogh aveva sempre sostenuto di non voler creare “astrazioni” e di cercare sempre il contatto diretto con la realtà naturale. Il risultato, tuttavia, è qui tutt’altro che realistico: il cielo è tormentato da movimenti vorticosi e il villaggio appare immerso in un’atmosfera soprannaturale. Dal quadro possiamo intuire come il pittore olandese si rapporti con la natura: questa si presenta come un mondo che affascina e atterrisce per la sua maestosità, per tutta la forza e l’energia che riesce a sprigionare. Ancor prima dei soggetti raffigurati, è questa forza che acquista vita dal tratto tortuoso delle vigorose pennellate. Per esprimere ciò, van Gogh utilizza colori puri, quasi violenti, privi di sfumature o passaggi tonali, che realizzano un cielo sfolgorante di astri, di bagliori, di scie luminose. Le pennellate sono dense di materia, con un valore quasi gestuale.


Nell’insieme della composizione, prevale la volta stellata, che sovrasta il paesaggio sottostante; i due luoghi sono resi con evidente dualismo: calma e tranquilla la terra assopita nel buio della notte, pulsante di forza e di energia il cielo notturno. Un’energia vitale, che imprime movimenti rutilanti e scatena bagliori, ma che, nello stesso tempo, avvicina così tanto le stelle alla superficie terrestre da dare l’impressione di essere vicini all’apocalisse. Vita e morte, animazione e travolgimento, slancio e distruzione: nella volta celeste di van Gogh sembra consumarsi la notte dei tempi della creazione dell’universo, “come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura”, scrive lo stesso pittore. In primo piano si stagliano la sagome nere di alcuni cipressi, alberi da cui il pittore si sente particolarmente attratto, che qui appaiono come enigmatici mediatori tra il cielo e la terra. Essi sono caratterizzati da un andamento ascensionale e sembrano animati da una cupa forza interiore, che li fa vibrare come fossero oscure lingue di fuoco che assorbono la luce invece di emanarla. Proprio in quel periodo l’artista aveva cominciato a dedicarsi alla pittura di questi alberi, accennandone nelle sue lettere: “I cipressi mi preoccupano sempre […]. Il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca”. E ancora: “Voglio tornare all’attacco per averla vinta sui cipressi”, quegli alberi cupi e vibranti che, davanti, al delirio sfolgorante degli astri vorticosi, innalzano al cielo la propria sagoma cinerea ed inquietante come un fosco presagio di morte. Scrive ancora il pittore a proposito di questo dipinto: “Tra i vortici terrorizzanti del cielo notturno, solo gli astri si presentano come punti fermi, e dunque, come elementi attorno ai quali possono gravitare colore e pensiero”. In Notte stellata, van Gogh cerca di rappresentare quella vita che si agita nel cuore della notte, come le tempeste si agitano nelle profondità oscure dell’animo umano. Il tormento che muove le linee vorticose e ondulate, il fuoco, la luce, sono il riflesso del proprio tormento interiore che parte direttamente dal cuore e si esprime nei tratti forti, quasi rabbiosi della pittura. Non è il paesaggio, come negli impressionisti, che arriva all’anima; al contrario è il sentimento che trasforma la natura in poesia, trasfigurandola fino a renderla un autoritratto in forma di paesaggio. La pittura si libera dalla diretta osservazione dell’elemento naturale; essa non cerca gli aspetti nascosti del paesaggio ma l’espressione, attraverso l’immaginazione, del proprio stato d’animo. Scrive van Gogh: “Non conosco migliore definizione della parola arte di questa: L’arte è l’uomo aggiunto alla natura; la natura, la realtà, la verità, ma con un significato, con una concezione, con un carattere, che l’artista fa uscir fuori e ai quali dà espressione”. E ancora: “Il mio grande desiderio è d’imparare a fare delle deformazioni, o inesattezze o mutamenti del vero; il mio desiderio è che vengano fuori, se si vuole anche delle bugie, ma bugie che siano più vere della verità letterale”. Non un’arte d’impressione dunque, ma d’espressione, in grado di rivelare la profonda sostanza delle cose, non la loro verità apparente. E per esprimere la sostanza, non resta che semplificare, alterare, deformare la natura quale si presenta alla percezione dei sensi e lo spazio che la contiene. “Al posto di cercar di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo dei colori arbitrariamente per esprimermi in maniera più forte”. È qui contenuta una delle chiavi della pittura moderna: un


arbitrio dell’artista che distoglie il colore dall’imperativo di riprodurre la realtà e lo indirizza verso un “uso violentemente psicologico” (De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento).

Secondo Octave Mirbeau, van Gogh “non si era immedesimato nella natura, aveva immedesimato in se stesso la natura; l’aveva obbligata a piegarsi, a modellarsi secondo le forme del proprio pensiero, a seguirlo nelle sue impennate, addirittura a subire le sue deformazioni […] “. Tramite la sua pittura, van Gogh trasporta lo spettatore all’interno dei suoi sentimenti, ansie, paure, gioia, tristezza. Ma la sua arte riesce a fare molto di più: è capace di far rivivere nell’osservatore le stesse emozioni, gli stessi sentimenti che l’artista ha dipinto sulla tela. La Notte stellata è proprio una delle più significative opere dell’espressionismo di van Gogh, sia per aver riversato nella sua visone della notte stellata la sua condizione esistenziale, sia per l’uso antinaturalistico dei colori, sia per le distorsioni emotive della realtà, tutti elementi che furono assimilati in seguito dall’Espressionismo. Se è vera l’affermazione secondo la quale in van Gogh arte e vita si sovrappongono e la pittura è l’espressione diretta delle profondità del suo animo, tuttavia la stessa affermazione, pur trovando indubbiamente riscontro nella dolorosa vicenda umana dell’artista, non spiega in modo esaustivo la peculiarità del suo talento creativo. Il luogo comune, secondo il quale l’ispirazione artistica è frutto di uno stato di “disadattamento”, di “anomalia”, spesso riconducibile a una qualche patologia, è essenzialmente da ascrivere al tentativo operato dalla cultura borghese di fine Ottocento di rendere marginale, cioè collocata all’esterno del normale tessuto sociale, una figura anticonformista e potenzialmente eversiva come quella dell’artista, a renderla inoffensiva rispetto all’impianto ideologico dominante. Produsse una tela dopo l'altra, come se temesse che la sua ispirazione, esaltata dalle novità del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall'emozione, che van Gogh identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura. Le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale erano così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, nello stesso modo in cui non si possono fermare i pensieri quando si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente. D'altra parte affermava di mettere sulla tela non impressioni momentanee, ma immagini studiate dettagliatamente e assimilate nel suo spirito attraverso una lunga e precedente osservazione del modello. Del modello naturale confessava di non poter fare a meno. Non si sentiva in grado di inventare un soggetto, anzi per quanto riguarda le forme, aveva «il terrore di allontanarsi dal verosimile», ma non aveva problemi a combinare diversamente i colori, accentuandone alcuni e semplificandone altri. Alla sorella Wilhelmina scrisse[: « La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l'armonia »

Nella Notte stellata van Gogh sembra allontanarsi decisamente dalla diretta osservazione della natura per esprimere uno stato d'animo attraverso la libera fantasia, per liberare le proprie emozioni piuttosto che ricercare un aspetto nascosto del paesaggio. Ma in quella visione della Luna, delle stelle e di fantasiose comete è «come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura»


L’uso del colore L’arrivo in Francia comportò la scelta di colori molto intensi, più intensi di quelli degli stessi impressionisti. L’intensità cromatica – per certi aspetti violentemente anti-naturalista – s’accrebbe con il suo trasferimento nel Sud della Francia e forse con i colloqui con Gauguin. Per questo fu un postimpressionista, cioè un artista che tenne conto, superandoli, di alcuni aspetti dell’impressionismo, collocandosi più in là. I suoi dipinti, a differenza della maggior parte delle opere degli impressionisti, non colgono l’istante transitorio della realtà; non sono “istantanee”, non fissano l’attimo fuggitivo; non sono attenti al gioco variabile della luce; non si collocano sul piano del presente, nonostante nascano dal confronto con la realtà, ma occupano una dimensione temporale eterna. Van Gogh è poi molto fedele alla struttura del disegno, a differenza degli impressionisti che, tendenzialmente, evitano le linee conchiuse. Non procede sulla tela con macchie, ma attraverso un tratteggio compiuto con il pennello, come se fosse una stesura disegnativa, traendo questa modalità da due elementi: l’essere stato, in gioventù, un disegnatore indefesso e l’aver osservato con amore e attenzione il calligrafico procedere dell’arte giapponese, particolarmente di moda in quel periodo. Il tratteggio del colore – in barre minute, accostate, flesse, orientate, parallele a blocchi – asseconda la forma dell’oggetto o ne potenzia il rilevamento della struttura. Per certi aspetti il tratteggio ricorda una scrittura, attraverso la quale egli fornisce indicazioni direzionali e strutturali rispetto all’oggetto dipinto. Siamo ben distanti – nonostante lui si dichiari un pittore attento al reale – dalla sintesi ottica degli impressionisti. La forte marcatura cromatica, il grafismo disegnativo, la sottolineatura, attraverso linee di contorno, dei margini delle figure portano ad un potenziamento dell’espressione, in base al proprio modo di sentire. Per questo la tendenza della sua pittura post-impressionista è di matrice espressionista. Egli inciderà infatti – con i colori violenti e puri – sui fauves e su parte dell’espressionismo tedesco. Il termine espressionismo – utilizzato anche per definire, in culture d’ogni tempo, scrittori od artisti che potenziano, secondo una percezione soggettiva, la rappresentazione della realtà, rispetto al grado zero della presunta oggettività – non è applicato soltanto a soggetti cupi o a temi terribili o a soggetti deformati, come avviene nella cosiddetta pittura degenerata tedesca degli anni della Prima guerra mondiale o della repubblica di Weimar. I colori utilizzati da Van Gogh all’interno di questo quadro sono ricchi, duri e violenti, senza sfumature o cambi di tonalità, che esprimono fortemente il contrasto accennato poc’anzi. Le stelle nel cielo dominano staccandosi in modo deciso dal colore del cielo che ricopre gran parte del quadro; ci sono colori chiari che vanno dall’azzurro al violetto passando anche ad un blu molto forte che predomina l’intera composizione. Utilizzando anche diversi elementi di giallo, arancio e bianco in la notte stellata vince tutta l’atmosfera della notte, con i suoi colori particolari che non potrebbero essere trovati in nessuna altra parte. Le stelle stesse, grazie alla propria grandezza e differenza dal cielo in cui “navigano” sembrano essere dei veri e propri punti a cui si possono aggrappare sia colore che pensiero.


Van Gogh e il Giapponismo Nella seconda metà dell’Ottocento in Europa si assiste all’affermazione di un forte interesse per la cultura giapponese. Fra il 1850 e il 1855 cominciarono a giungere nelle principali città del Vecchio continente oggetti orientali d’ogni genere e molto presto la presenza della arti giapponesi alle Esposizioni Universali di Londra (1862) e Parigi (1878) favorì la rapida diffusione di questa moda. La conseguenza più significativa del fenomeno va individuata nella relativa diffusione di un diverso modo di percepire la realtà: infatti, i giapponesi disegnano e dipingono a partire da inquadrature differenti rispetto a quelle utilizzate dagli occidentali, proponendo nuovi punti di vista. L’interesse per le stampe giapponesi divenne sistematico: gli impressionisti si entusiasmarono per i loro soggetti lievi e quotidiani, per le caratteristiche formali – come l’inconsueto taglio delle inquadrature, con la particolare distribuzione dello spazio e l’insolito modo di spostare dal centro il soggetto principale – e per l’abilità degli artisti giapponesi nel cogliere le variazioni atmosferiche. I postimpressionisti furono invece attratti per lo stile grafico, fondato principalmente sul linearismo, per il raffinato gusto decorativo e le audaci sintesi formali, e ancora per i colori puri e la mancanza di chiaroscuro In molti quadri impressionisti, ad esempio di Monet e Manet, e più tardi nelle opere di Van Gogh, si notano le riproduzioni di alcune di queste stampe. Van Gogh interpreta, in alcune copie creative, dipinti giapponesi. Punto di contatto tra Van Gogh e la pittura giapponese è il grafismo, che sottende un’importante pratica nel disegno, fondamentale, come abbiamo visto, per il pittore olandese. Vincent Van Gogh, che incorporò magistralmente quegli elementi nella sua pittura - si pensi alla Notte stellata o al Ramo di mandorlo in fiore -, ammirava dei maestri giapponesi lo studio lungo e paziente di ogni filo d'erba, che insegna a guardare le cose in profondità, con l'effetto di svelarne il miracolo e di generare nuove idee, nuova arte. «Il filo d'erba porta a disegnare le piante e poi le stagioni, i grandi paesaggi, gli animali e, infine, la figura umana», scrive il 24 settembre 1888 al fratello Theo. «Non potremo studiare l'arte giapponese, mi sembra, senza diventare più felici e più allegri». In effetti dalla mostra di Palazzo Reale si esce sorridenti.

Lo stato d’animo Il cielo, la natura, la notte stellata diventano in un certo senso il sostituto della religione attraverso cui Van Gogh si collega all’infinto, all’Universo. (Deus sive natura). Molti sono stati i pittori post-impressionisti e, ancor più di pittori espressionisti, che hanno saputo immortalare i propri stati d’animo nei loro dipinti e a trasmetterci le sensazioni che la visione di un paesaggio aveva suscitato in essi, ma primo fra tutti, ha maggiormente attirato la mia attenzione per la sua singolare espressività il grande Vincent Van Gogh. Realizzato nel 1882 con gessetto nero e bianco, inchiostro nero, matita, acquerello e tempera chiara, questo disegno, di dimensioni 50 x 69 cm, rappresenta un albero nodoso dalle radici scoperte che riempie della sua presenza quasi spettrale un paesaggio nordico brumoso. Il gessetto bianco dà rilievo al disegno eseguito a gessetto nero. La matita verde e l’inchiostro contornano i rami e il tronco, mentre l’acquerello crea la suggestione ambientale.


Come in tutti i post-impressionisti si nota in questo disegno la tendenza a cercare la solidità dell’immagine, la sicurezza del contorno e la libertà del colore, appigli sicuri per il suo inquieto vivere. L’affinità del soggetto alla selva di pensieri contorti di chi si sente abbandonato e solo e non trova comprensione in chi gli sta intorno è rappresentata dall’essenzialità nodosa di un albero senza foglie immerso in una natura gelida e ostile. In maniera ancora più incisiva, il disegno “Campo di grano con volo di corvi” indica la più grande testimonianza di quella solitudine che condusse l’artista allo squilibrio mentale e al suicidio.

La natura: la migliore amica di Van Gogh La natura come espressione di una vita inquieta e tragica. Campi di grano, distese di fiori, fogliame d'autunno, la pesca di primavera, cipressi monumentali e giardini selvatici, come il diario intimo di un'esistenza febbricitante e tragica. Scorci di un mondo bucolico che diventano lo specchio di un'anima insofferente e straniata attraverso la forza di pennellate corte e nervose, massicce e dense che riversano colore sulla tela come fosse magma incandescente. Nessun artista come Vincent van Gogh (1853-1890) ha contagiato il genere del paesaggio con la sua tensione ed energia vitale, quasi a tracciarne i paragrafi di un'autobiografia. Un'unicità che viene raccontata dalla bella mostra "Vincent van Gogh. Tra le Terra e il Paradiso: i Paesaggi" visitabile fino al 27 settembre al Kunstmuseum, che spicca sul panorama espositivo per essere la più completa rassegna dedicata al tema del paesaggio nella leggendaria e brevissima (appena quattro anni) carriera dell'artista olandese.


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