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Testimoni di un massacro: responsabilità e rinascita

Francesca Romana Poleggi

Abbiamo raccolto le testimonianze di diversi operatori sanitari che hanno lavorato in strutture dove si pratica l’aborto. Sono testimoni di un orrore che per un certo tempo, per un motivo o per un altro, hanno voluto e potuto ignorare. Sono testimoni del massacro di bambini innocenti, delle profonde ferite che le madri portano per sempre, e dei seri problemi psicologici che devono affrontare anche gli stessi medici e paramedici coinvolti nella crudele pratica. Del resto, è acclarato che la sindrome post abortiva non colpisce solo madri e padri, ma anche altri parenti e altre persone coinvolte nell’aborto: i chirurghi e gli infermieri mostrano spesso gli stessi sintomi dello stress post traumatico (Ptsd) che colpisce i soldati reduci dal fronte dove hanno ucciso. Ma i soldati hanno rischiato di essere uccisi a loro volta, mentre gli operatori sanitari hanno procurato (o assistito) la morte di piccoli innocenti

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Maria

Conosciamo il vero nome e il cognome di questa signora che chiameremo Maria. E sappiamo anche in quale strutt ura sanitaria ha lavorato. Riteniamo giusto, però, rispett are il suo diritt o alla riservatezza e i nostri Lett ori lo comprenderanno bene. Le testi monianze che

Credo di aver vissuto l’inferno.

seguono non sono anonime, ma sono più lontane nel tempo e nello spazio.

«Avevo 23 anni quando ho cominciato a lavorare in quella strutt ura sanitaria come infermiera generica. Era proprio la mia vocazione. Ed ero parti colarmente felice quando mi assegnarono al reparto maternità. Era una gioia veder nascere i bambini. Tutt o cambiò nel ‘78, perché in quel reparto cominciarono a fare aborti . Alle donne dicevano sistemati camente che era solo “un grumo di sangue” e che non c’era vita, in quella “cosa” che si andava ad eliminare. Non veniva fatt a alcuna consulenza psicologica, né prima né dopo l’aborto. Il “consenso informato”

E al Cav ho potuto salvare diverse donne e i loro bambini. Sono riuscita a far capire loro che aborti re vuol dire strapparsi via un pezzo di se stesse.

non parlava aff att o delle conseguenze avverse, fi siche e psichiche, che potevano capitare. Anche io ci credevo. O - meglio - ci volevo credere. E mi convincevo che io stavo solo facendo il mio lavoro e non ero io a fare materialmente quelle cose. Ma da quando ho cominciato ad assistere agli aborti ho cominciato a star male, a stare sempre male. Nella mia vita, fuori di lì, c’era sempre qualcosa che non andava.

Ero profondamente infelice.

Vedevo venire ad aborti re tante ragazzine, accompagnate dalle madri. Mi ricordo una che avrà avuto massimo 15 anni. La madre ci diceva: “Mi raccomando, siate delicati , la bambina non sa niente. Sa che deve fare un piccolo intervento perché non le viene più il ciclo”. Dopo tre o quatt ro mesi ce la vediamo di nuovo davanti . Allora le chiediamo perché è tornata ancora. E la “bambina” ha risposto: “Mamma crede che sono creti na... ma a me piace fare l’amore!”. Noi abbiamo cercato di spiegarle che aborti re non era come tagliarsi i capelli. Ma che peso potevano avere le nostre parole in quel contesto familiare? Un’altra donna tra quelle che ricordo niti damente è una che era venuta sola, sola come un cane, ed è scappata come una ladra... Vedevo spesso le stesse donne andare e venire più volte, con una cinica spensieratezza. Io, però, conti nuavo a star male, sempre a disagio. Mi sono allontanata dalla Chiesa. Tutt o intorno a me era brutt o.

Credo di aver vissuto l’inferno.

E non c’ero solo io, in quell’inferno. I medici, l’anestesista… erano costretti dal bisogno di lavorare. Solo qualcuno ha avuto il coraggio di andarsene. Tutti soff rivano lo stress e il disagio. Ci si prova a distaccarsi, a dirsi che si sta facendo un lavoro e non si fa male a nessuno.

Ma dentro c’è un malessere che non capisci, ma che non ti lascia mai.

Un momento parti colarmente terribile fu quando rimasi incinta di due gemelli e fui ricoverata per minacce d’aborto. E persi i miei bambini. Mentre stavo lì sul lett o col cuore spezzato, una giovane vicino a me mi diceva che non era niente: lei era al suo setti mo aborto. Un secondo momento tremendo è stato quando incontrai lo sguardo di una certa paziente che era lì per aborti re. Uno sguardo supplicante, che chiedeva aiuto. Cercava qualcuno che le dicesse di non farlo. Quegli occhi mi hanno scosso così profondamente che ho capito che non potevo più lavorare là. Ma ho dovuto aff rontare tante diffi coltà. Ero brava. Lavoravo senza risparmiarmi, con att enzione e velocità. Ma per dispett o, perché non volevo più stare nel reparto maternità, mi hanno messo a fare i turni più pesanti . È stata dura. Un giorno una mia vicina mi convinse ad accompagnarla a Messa e mi presentò alle sue amiche. Una di loro percepì il mio malessere e, senza chiedermi il perché, mi disse se poteva pregare per me. Da quel momento mi sono riavvicinata alla Chiesa. Conobbi un sacerdote che mi disse: “Dio ti ama”. E che dovevo smett erla di giudicarmi per quello che avevo fatt o: l’unico Giudice è Dio misericordioso. Nella sua parrocchia ho poi conosciuto un Cav, un Centro di Aiuto alla Vita. Ci lavoro come volontaria da quando sono andata in pensione. E al Cav ho potuto salvare diverse donne e i loro bambini. Sono riuscita a far capire loro che

aborti re vuol dire strapparsi via un pezzo di se stesse. Mi ricordo una madre di tre fi gli che voleva prendere la Ru486: non poteva permett ersi un altro bambino. Dopo tanti incontri e tanti colloqui, le ho dett o: “Invece di eliminare questo nella pancia, perché non uccidi uno di quelli che è nato? Quale ammazzeresti ?”. Ha rinunciato all’aborto. Oggi, a distanza di ott o anni ancora ci senti amo e ancora mi ringrazia.

Mai una donna di quelle che abbiamo aiutato ad accett are il fi glio si è penti ta di averlo fatt o

nascere. Anzi ci mandano le amiche e le amiche delle amiche che si trovano in diffi coltà. I volti di queste donne e dei loro bambini, hanno curato le ferite lasciate nel mio cuore da quell’inferno. E spero tanto che questa mia storia possa servire a salvare almeno un’altra mamma e il suo bambino. Ogni piccola vita ha un valore infi nito».

Judith Feltrow

Pro choice convinta, ha lavorato come volontaria in una clinica Planned Parenthood a Freemont e poi è stata assunta ad Hayward, in California (nella foto), fi nché non ha incontrato un certo sidewalk counselor...

«Mi ci sono volute sei setti mane di lott a fati cosa con me stessa per prepararmi il discorso che sto per fare. Mi sono resa conto che ancora non sono guarita. L’aborto fa male. Lascia cicatrici. Il mio aborto mi ha ferito. Gli aborti a cui ho partecipato mi hanno ferito. Prima di converti rmi ero una femminista agguerrita, un membro della sinistra radicale. Bisogna capire le donne che lavorano per la Planned Parenthood. Donne devote ai diritti delle donne e quindi all’aborto. Devote in modo totale, quasi religioso. La clinica era la nostra

chiesa, l’aborto era il sacramento, i bambini erano

il sacrifi cio. Nella clinica eravamo adoratori dei diritti delle donne e della loro libertà riprodutti va. Il nostro credo era: “Non ci sono conseguenze, non c’è peccato. L’aborto libera le donne”. Questa è in realtà una delle più grandi bugie dell’ideologia femminista. Così le donne fi niscono per pagare un prezzo molto alto emoti vamente, fi sicamente e spiritualmente. Ho visto spesso donne ferite dall’aborto. Tutt avia,

i miei capi dicevano che chi ha un problema dopo l’aborto, è perché aveva un problema prima

dell’aborto. Quindi incolpavo le donne, se stavano male. Come se avere conseguenze emoti ve post aborto fosse una colpa.

Lavorare all’aborto ha lasciato una cicatrice sulla mia anima e pago ancora un caro prezzo: non riesco a vivere in pieno i senti menti e sono emoti vamente distaccata da tutt o.

È difficile lavorare in una clinica per aborti per un certo periodo di tempo e continuare a credere che sia una procedura sicura. Anche con i migliori medici, l’aborto comporta infinite complicazioni minori e talvolta “maggiori”. Ho visto perforare l’utero di una donna e poi mentire sulla gravità della perforazione (una cosa che può rivelarsi fatale). Spesso le donne ritornavano con gravi infezioni causate da aborti incompleti, specialmente quando capitavano con medici giovani in fase di formazione. Una volta ho visto una donna che ha smesso di respirare durante l’aborto. Il medico è uscito dalla stanza nonostante gli dicessi che la paziente non respirava: mi ha lasciato sola con lei. Quando è stato costretto a tornare, non ha nemmeno seguito il protocollo di emergenza per quella situazione. È stato un miracolo che quella donna non sia morta. È estremamente difficile sopportare di vedere medici mentire e impiegati della clinica nasconderlo. Ho sentito storie orribili di donne trascinate fuori dalle cliniche per Quelli che lavorano nelle cliniche per l’aborto dicono di sostenere il diritto alla “scelta” delle donne, ma dicono anche che non vogliono vedere le manine e i piedini minuscoli dei bambini abortiti. Non vogliono affrontare le conseguenze delle loro azioni.

morire in auto mentre correvano all’ospedale. È stato inevitabile che cominciassi a chiedermi se ci stessimo davvero prendendo cura delle donne o se stessimo semplicemente lavorando per un’impresa il cui unico interesse era raggiungere un obiettivo aziendale.

Nonostante quello che appare, quelli che lavorano nelle cliniche hanno sentimenti

molto contrastanti sull’aborto. Dicono di sostenere il diritto alla “scelta” delle donne, ma dicono anche che non vogliono vedere le manine e i piedini minuscoli dei bambini abortiti. Non vogliono affrontare le conseguenze delle loro azioni. E se anche si può riuscire a evitare di vedere i corpicini macellati dei bambini, non c’è modo per immunizzarsi dall’odore del sangue che permea la clinica in quei giorni. Alla Hayword io ero addetta a “sistemare” i bambini abortiti. Ho dovuto guardarli. Ho dovuto metterli in scatola. Nessuno voleva fare questo lavoro. Non avrei voluto farlo neanche io, ma non sopportavo di vedere che i piccoli fossero trattati in modo irrispettoso. Mi sono, però, messa di fatto di fronte a cosa

Le spillett e dei “Piedini preziosi”, che possiamo spedirvi contro off erta se lo desiderate, riproducono fedelmente (1:1) i piedini di un bambino concepito da dieci setti mane. È stato il dott or Russel Sacco che nel 1970 scatt ò questa foto delle minuscole membra, grazie ad un amico anatomopatologo che lo convinse così dell’umanità del concepito.

sia davvero l’aborto: la morte di un minuscolo essere umano.

Ho dovuto guardare le manine e i piedini minuscoli.

Ci sono stati momenti in cui avrei voluto piangere. Per mantenere la mia salute mentale, ho stabilito un rituale personale per il lutt o. Ho dett o le preghiere per i morti . Ho anche chiamato per nome ogni bambino quando lo mett evo nel contenitore dei rifi uti . E c’erano giorni in cui andavo a casa e pensavo: “Questo non è giusto”. C’erano due ti pi di donne che lavoravano lì. Alcune avevano trovato un modo per aff rontare il costo emoti vo e spirituale del loro lavoro. Altre si erano chiuse emoti vamente. Erano morti viventi . Potevi guardarle negli occhi e vedere che erano emoti vamente

L’aborto fa male. Lascia cicatrici. Il mio aborto mi ha ferito. Gli aborti a cui ho partecipato mi hanno ferito.

morte, non disponibili per se stesse o per

chiunque altro. Decisi che non sarei diventata una di loro. Ciò signifi cava che dovevo ammett ere a me stessa che la vita iniziava al momento del concepimento e che ciò che facevamo era un omicidio. Questo ha lett eralmente aperto la strada alla mia salvezza. Tutt avia, lavorare

all’aborto ha lasciato una cicatrice sulla mia

anima e pago ancora un caro prezzo: non riesco a vivere in pieno i senti menti e sono emoti vamente distaccata da tutt o. Fortunatamente, Dio ha mandato un atti vista pro-vita a fare il sidewalk couselor fuori dalla clinica un giorno in cui non facevamo aborti . Quest’uomo non mi ha giudicata, non mi ha condannata. È stato amichevole con me. Mi ha dett o il suo nome e ha chiesto il mio nome. Mi ha parlato di quanto freddo avesse davanti alla clinica in pantaloncini corti . Mi ha dato una cassett a di Carol Everett [un’altra ex impiegata di Planned Parenthood che si è converti ta e ha cambiato vita, NdR]. Mi ha invitato ad andare in chiesa con lui e quando ho dett o di no, mi ha invitato a prendere un caff è con lui. Era sempre amichevole. Mi ha off erto accett azione incondizionata. C’è voluto del tempo. C’è voluta una dedizione enorme e ci è voluta la pazienza di un santo. Ma nel

corso di diverse setti mane abbiamo sviluppato un’amicizia ed è nata una certa fi ducia reciproca. Ha chiesto alle persone della sua comunità di pregare per me e lo hanno fatt o. Ho visto un amore in quelle persone che non avevo mai visto prima e volevo anche io quell’amore. Dio ha preso un cuore di pietra

e ha cominciato a trasformarlo in un cuore di carne.

La Planned Parenthood vorrebbe che i prolife fossero inti moriti , inibiti , in modo da “non disturbare il personale”. La Planned Parenthood dice bugie, intenta azioni legali, ordini restritti vi, ingiunzioni e ricorre ad ogni mezzo per tenerli lontani dalle cliniche. Lo fanno perché una presenza pro vita è molto effi cace. Gli roviniamo gli aff ari. Gli roviniamo il personale. Il personale della Planned Parenthood è stato istruito a non parlare con i pro life, perché troppo personale ascoltando la verità si è penti to e ha abbandonato. Nella mission della Planned Parenthood c’è scritt o che “crede che tutti gli individui abbiano il diritt o fondamentale di gesti re la propria ferti lità e che l’autodeterminazione riprodutti va debba essere volontaria e privata”; crede che tale autodeterminazione “migliori la qualità della vita, la forza , relazioni familiari e contribuisca alla stabilità della popolazione”. Aff erma di seguire “i più elevati standard di condott a eti ca e professionale”. E però la maggior parte delle cliniche Planned Parenthood si trova in quarti eri economicamente disagiati : conti nuano la selezione eugeneti ca pianifi cata da Margaret Sanger (la fondatrice di Planned Parenthood, NdR). Che ne siano consci o inconsci, la Planned Parenthood sta uccidendo le minoranze con la benedizione della sinistra liberale. Si tratt a di genocidio, dell’uccisione sistemati ca di gruppi razziali, politi ci e culturali. Dio non permett erà che questo conti nui. A noi chiede di impegnarci in tal senso».

Kathy Sparks

Ha sempre desiderato di diventare un’infermiera. Amava vedere i bambini nascere. Poco dopo il matrimonio ha avuto una bambina, ma si trovava in condizioni economiche disagiate per cui ha sospeso gli studi ed è andata a lavorare. Le è stato off erto, grazie a un amico, un posto nella clinica per aborti Hope Aborti on Center, in Illinois. Era “pro choice” ed era felice di poter lavorare in campo medico senza una laurea, quindi ha accett ato.

«Mi hanno assunto principalmente per assistere il medico durante gli aborti , ma ho potuto lavorare in ogni singolo reparto di quella clinica. All’inizio rispondevo al telefono e prendevo gli appuntamenti . Poi sono stata addestrata a fare cose interessanti , come misurare la pressione sanguigna: mi piaceva il mio lavoro. Avevo il camice bianco. Il mio desiderio di fare l’infermiera si stava in qualche modo realizzando. Non vedevo quanto fosse malvagio l’aborto, non mi dava aff att o fasti dio. Quando ho assisti to per la prima volta a un aborto, non l’ho vissuto diversamente dalla dissezione di una rana durante una lezione di biologia. Avevo i paraocchi, come molte

Era un bambino, erano tutti bambini. Avevo partecipato all’omicidio di quasi 1.000 bambini.

persone coinvolte nell’industria dell’aborto. Parte importante in questa clinica era la consulenza. Ho assisti to una consulente “bravissima”: riusciva a capire qual era il punto di pressione che induceva la donna ad aborti re. E poi era in grado di amplifi carlo. Se per esempio una ragazza diceva che i suoi genitori “l’avrebbero uccisa”, e lei non sapeva come dir loro che era rimasta incinta, la consulente la rassicurava: “Non c’è bisogno di dirglielo, ecco perché c’è l’aborto, vogliamo aiutarti , questa è la risposta ai tuoi problemi”. Se il problema era economico, spiegava quanto costano gli arti coli per bambini.

La consulenza era così effi cace che 99 donne

su 100 andavano avanti e aborti vano. Successivamente ho lavorato nella sala di risveglio, quindi nella stanza di pulizia. La stanza di pulizia era la parte peggiore della clinica: lì portavano i resti dei bambini. Quelli più piccoli, fi no a 12 o 13 setti mane, li mett evamo in un baratt olo, li eti chett avamo e li mett evamo in uno scatolone che andava al laboratorio di patologia.

Ho cominciato ben presto a drogarmi e a bere: stavo molto, molto male.

Quando i bambini venivano messi nei baratt oli, li facevamo girare e guardavamo i piccoli arti che galleggiavano. Per quanto possa sembrare un comportamento malato, è così che è stato, ed è così che è: e sta avvenendo in molti posti in questo preciso momento. E così andavo avanti , giorno dopo giorno, e le cose si stavano mett endo molto male nella mia vita.

Tutt o il male a cui avevo partecipato mi stava

uccidendo dentro. Ed entravo ogni giorno in clinica senza sapere cosa stessi facendo alla mia anima. Una sera ho avuto una crisi nervosa. Mi sono rivolta a mia suocera, che consideravo una matt a bigott a, in preda alla disperazione. Ci siamo sedute in veranda e lei mi ha raccontato tutt o di Gesù Cristo. Quella nott e, era il 28 luglio, abbiamo pregato insieme e ho dedicato la mia vita a Gesù Cristo.

Quando ho assisti to per la prima volta a un aborto, non l’ho vissuto diversamente dalla dissezione di una rana durante una lezione di biologia. Avevo i paraocchi, come molte persone coinvolte nell’industria dell’aborto.

Ma per tre mesi ho conti nuato a lavorare alla clinica per aborti . Un giorno faceva un freddo cane. Non riuscivo a scaldarmi. Ero gelata fi no alle ossa. È stato incredibile perché nessun altro sembrava accorgersi del freddo. Uno dei primi aborti fatti quel giorno è stato su una donna incinta di 23 setti mane. Lei giaceva sul tavolo. Era una persona di costi tuzione regolare e aveva una bella pancia. E ho pensato che no, non poteva esserci dentro un bambino così grande! Tremavo, ero nervosa. L’aborti sta ha iniziato la procedura. Ha iniziato a dilatarla e le ha rott o le acque. Una procedura che normalmente richiede da cinque a ott o minuti ha richiesto un’ora. La donna soff riva molti ssimo. Urlava. L’infermiera le urlava a sua volta di tacere perché nella sala d’att esa si senti va tutt o. Le ossa del bambino erano troppo sviluppate per la curett e, quindi il medico ha dovuto estrarre il bambino con una pinza. Lo ha ti rato fuori in tre o quatt ro pezzi. Ho preso quel bambino che era stato disteso sul tavolo. Lo ho portato nella stanza delle pulizie e ho cominciato a piangere, in modo incontrollabile. Era un bambino, erano tutti

bambini. Avevo partecipato all’omicidio di

quasi 1.000 bambini. Ho pianto e pianto. Quel faccino era perfett amente formato; i suoi occhietti erano chiusi, tutt o era perfett o in quel bambino. Un’infermiera è venuta a vedere cosa mi stava succedendo. Mi ha guardato, ha chiuso la porta ed è andata a chiamare la dirett rice della clinica. Questa è entrata, ha chiuso la porta dietro di sé e ha cominciato a rimproverarmi: “Rimetti ti in sesto, sei una professionista…”. Poi ha preso il bambino e lo ha butt ato nel water. Le ho dett o che non potevo più lavorare così, sarei rimasta a fare le pulizie. Quella sera ho raccontato a mio marito l’intera esperienza. Non sapevo cosa fare, avevamo migliaia di dollari di debiti . Abbiamo pregato: “Signore, se mi vuoi fuori da quel posto, parlami e so che andrà tutt o bene, e me ne andrò, Signore”. La matti na dopo alla clinica per aborti , stavo lavorando nella stanza delle pulizie ed è entrata la dirett rice. Era turbata e mi disse che aveva fatt o un sogno che sembrava reale: aveva sognato che io le dicevo che dovevo lasciare il posto a causa della mia religione. Le ho risposto che era un sogno, ma che ora diventava realtà: “Devo andarmene ed è a causa della mia religione”. Ho lasciato la clinica ed è stato un sollievo incredibile. Mi ci sono voluti almeno sei mesi prima di capire che il Signore mi aveva perdonato. Mi ci sono voluti sei mesi prima di poter accett are davvero il Suo perdono. Poi sono diventata una nuova creatura vecchia era morta per sempre». . Quella

Joan Appleton

Joan Appleton era una femminista, atti va nell’Organizzazione nazionale per le donne (Now). Ha accett ato un lavoro presso la Commonwealth Women’s Clinic di Fall’s Church, in Virginia.

«Come infermiera pensavo di avere una meravigliosa opportunità: ero una ferma sostenitrice del diritt o alla scelta e potevo eff etti vamente mett ere in prati ca le mie convinzioni politi che. Una delle cose che mi infasti diva era che l’aborto fosse un trauma emoti vo per le donne e che fosse una decisione così diffi cile da prendere. Se era giusto, perché era così diffi cile? Consigliavo le donne così bene, erano così sicure della loro decisione, quindi perché ritornavano mesi o anni dopo, ridott e a relitti psicologici? Tutti negavamo che esista qualcosa di simile alla sindrome

post aborto. Eppure, le donne ritornavano, ridott e malissimo. Non potevo negare la loro esistenza. Un’altra cosa che mi ha disturbato profondamente è stato l’aver visto un aborto con l’ecografi a, probabilmente all’inizio del secondo trimestre. Io facevo l’ecografi a mentre il medico eseguiva la procedura. Lo dirigevo mentre guardavo lo schermo.

Ho visto il bambino che cercava di

allontanarsi dagli strumenti chirurgici. Ho visto il bambino aprire la bocca. Avevo visto il documentario “The Silent Scream”, ma non mi aveva colpito. Per me era solo propaganda pro life. Non potevo però negare quello che stavo vedendo sullo schermo con i miei occhi. Quando tutt o fi nì tremavo, lett eralmente, ma sono riuscita a rimett ermi in sesto e a conti nuare il lavoro della giornata. I medici che lavoravano lì erano principalmente medici alle prime armi: avrebbero prati cato aborti fi no a quando non avessero avuto abbastanza soldi per aprire il proprio studio privato. Oppure erano medici non proprio bravi che facevano aborti per pagarsi l’assicurazione che li copriva per gli errori che commett evano con i loro pazienti . Non ho mai e poi mai conosciuto un medico, nei cinque anni in cui sono stata lì, che credesse che l’aborto fosse un diritt o della donna. Intanto ero sempre più impegnata politi camente. Eravamo una clinica che forniva un servizio completo. Ci siamo

Non ho mai e poi mai conosciuto un medico, nei cinque anni in cui sono stata lì, che credesse davvero che l’aborto fosse un diritt o della donna.

occupati di tutti i ti pi di malatti e sessualmente trasmissibili, controllo delle nascite, preservati vi, tutt o. Ho iniziato a collaborare con Planned Parenthood e Naral (Nati onal Aborti on Rights Acti on League) . Quando sono stata incaricata di distribuire le pillole anti concezionali alle donne che avevano aborti to ho imparato il vero business dell’industria dell’aborto: davamo pillole a basso contenuto di estrogeni con un tasso di fallimento del 30%. Quindi, il trenta percento delle donne sarebbe tornata per aborti re di nuovo. E ci “dimenti cavamo” di dire che se si prendono degli anti bioti ci, la reazione chimica tra la pillola anti concezionale e l’anti bioti co rende la pillola anti concezionale inuti le: un altro 20% sarebbe tornato. Quando ho iniziato l’atti vità di consulenza c’erano sett e ti pi di malatti e sessualmente trasmissibili. Adesso sono venti . (“Ma non preoccuparti , puoi tornare da noi anche per le infezioni. Ovviamente ti daremo noi degli anti bioti ci” e così avremmo avuto un altro dieci, quindici per cento che sarebbe tornato per aborti re!). Andavamo nelle scuole a insegnare il “sesso sicuro” con la consapevolezza che avremmo incenti vato i rapporti sessuali precoci e una certa percentuale di ragazze sarebbe venuta poi ad aborti re. Un’altra percentuale di maschi e femmine sarebbero venuti per farsi curare le malatti e sessualmente trasmissibili (diciamo di usare il preservati vo, ben sapendo che il virus dell’Aids è 100 volte più piccolo dello sperma).

A un certo punto ho dovuto fermarmi.

Non mi piaceva quello che stava succedendo. Non mi piaceva quello che stavamo facendo per le donne. Se era giusto, perché soff rivano? Sono andata a parlare con una sidewalk counselor, Debra. Ho iniziato a fare domande. Abbiamo parlato e parlato. Siamo diventate amiche...»

Kathi Aultman

La dott .ssa Kathi Aultman è oggi ricercatrice associata presso il Charlott e Lozier Insti tute e membro dell’American Associati on of Pro Life Obstetricians and Gynecologists. «Ho ucciso più persone di Ted Bundy.

Accett are il fatt o che ero un’assassina seriale professionista è stato devastante, ma era la verità.

Ho iniziato la mia carriera di medico credendo negli slogan secondo cui le donne devono avere il controllo totale sui loro corpi e che è irresponsabile e immorale portare bambini indesiderati in un mondo sovrappopolato. Io stessa, prima di entrare all’università ho scelto l’aborto.

Scoprii presto che gli aborti possono essere

molto redditi zi. Quando ho lavorato come aborti sta nei fi ne setti mana, guadagnavo più soldi di quelli che avrei guadagnato lavorando al pronto soccorso. Rimanevo sbalordita dalla perfezione delle piccole dita delle mani e dei piedi, ma tratt avo i resti fetali come qualsiasi altro campione medico, senza alcuna emozione. Ho eseguito aborti nel secondo trimestre, col metodo dilatazione e smembramento; ho anche eseguito aborti

Ted Bundy (1946 – 1989) è stato un serial killer americano che dopo più di un decennio di smenti te, ha confessato di aver rapito, violentato e ucciso 30 donne, giovani e giovanissime, in sett e Stati tra il 1974 e il 1978. Ma gli inquirenti ritengono che in realtà egli ne abbia uccise molte di più.

mentre ero incinta. La diff erenza era chiara per me in quel momento: il mio bambino era desiderato; i bambini delle mie pazienti non lo erano. Non ho visto alcuna contraddizione in questo. L’unica volta che ho messo in dubbio il mio lavoro è stato durante il mio servizio nel reparto di terapia intensiva neonatale, quando mi sono resa conto che stavo

cercando di salvare bambini che avevano la stessa età di alcuni dei bambini che facevo

aborti re. Tre pazienti hanno cambiato la mia vita professionale. Mi stavo preparando a eseguire un aborto quando mi sono resa conto che ne avevo già eseguiti tre in passato su quella stessa paziente: stava usando l’aborto come anti concezionale. Ho protestato, ma mi sono senti ta dire dal mio capo che non avevo il diritt o di negarglielo. Gli risposi: “Facile da dire per te, non sei tu quello che sta uccidendo”. Uccidevo? Quella mia risposta mi ha sorpreso davvero. La seconda paziente era una giovane donna accompagnata da un’amica che le ha chiesto se dopo voleva vedere il “grumo di cellule”, e lei ha risposto con rabbia che no, voleva solo ucciderlo. “Cosa ti avrà mai fatt o questo bambino?” mi chiesi. Ancora una volta rimasi sorpresa dalla mia reazione. Non avevo mai pensato ai “grumi di cellule” come a dei bambini prima di allora. Ma è stata una madre di quatt ro fi gli che senti va di non poter allevare un altro bambino a farmi piangere. Ha pianto prima, durante e dopo la procedura. È stato il dolore di una donna che conosceva la gravità morale di ciò che stava facendo a mett ere fi ne alla mia carriera aborti sta.

Ho smesso quindi, di fare aborti , ma sono

rimasta pro choice. Nel corso del tempo, però, ho visto fi orire giovani pazienti che avevano scelto di non aborti re, e pazienti più anziane e più colte che avevano aborti to sviluppare seri problemi psicologici. A poco a poco, ho iniziato a vedere

Ho ucciso più persone di Ted Bundy. Accett are il fatt o che ero un’assassina seriale professionista è stato devastante, ma era la verità.

la fragilità della narrati va femminista secondo cui l’aborto dà potere alle donne.

Alla fi ne, non potevo più ignorare la consapevolezza che l’unica cosa che decideva il desti no di un bambino era il fatt o di essere voluto o no. La vita o la morte di un essere umano non dovrebbe essere decisa in modo così arbitrario.

Sono diventata pro life.

Per anni, molte cliniche per aborti sono riuscite a farla franca pur con prati che scadenti che a nessun altro centro chirurgico sarebbero mai perdonate. Questo è sicuramente dovuto al fatt o che i medici, la pubblica amministrazione e le forze dell’ordine temono di essere accusati di limitare l’accesso all’aborto, se mett ono sott o inchiesta le cliniche. Una ex manager di una di quelle strutt ure mi ha dett o che le era stato ordinato di usare il

detersivo per piatti per pulire gli strumenti quando erano rimasti senza l’apparecchio per

la disinfezione, così non avrebbero dovuto chiudere mentre veniva riparato. Del resto le ispezioni, in più Stati , hanno rilevato che le cliniche non disinfett ano adeguatamente i loro strumenti . Una paziente che è venuta da me per le complicazioni di un aborto tardivo ha dett o di essere stata tenuta in una stanza fredda durante tutt a la nott e, senza una coperta, dopo che le hanno indott o il travaglio. È stata costrett a a partorire in un bagno, la matti na dopo, e ha visto il suo bambino ancora vivo annegare. Come ginecologa di guardia al pronto soccorso, ho curato personalmente le donne che presentavano gravi complicazioni post aborto, tra cui emorragie potenzialmente letali e infezioni. Nessuno, da nessuna clinica per aborti ha mai chiamato per darci informazioni sulle pazienti che mandavano al pronto soccorso. Uno dei moti vi per cui viene dett o che certi standard di sicurezza non sono necessari è perché “l’aborto è sicuro”, ma in realtà non

conosciamo il vero numero di donne che hanno avuto complicazioni.

Solo 28 Stati richiedono di segnalare le complicazioni post aborto e non sono tenuti a presentare i dati ai Centri federali per il controllo e la prevenzione delle malatti e. Le cliniche per l’aborto non vogliono dare queste informazioni e spesso hanno portato gli Stati in tribunale per evitare di dover fare queste segnalazioni. Eppure gli americani sono rimasti inorriditi quando sono state scoperte le condizioni in cui si facevano gli aborti nella clinica di Kermit Gosnell (che poi è stato condannato), e sono rimasti scioccati quando si è diff usa la noti zia che Ulrich Klopfer aveva accumulato migliaia di feti aborti ti nel suo garage e violato innumerevoli standard eti ci, medici e legali».

I “sidewalk counselor” (consulenti da marciapiede) stazionano nei pressi delle cliniche aborti ste. Pregano e off rono una buona parola ai passanti , in parti colare alle donne che vogliono aborti re e al personale delle cliniche.

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