Sommario Anno 11 - N° 2 - Maggio 2011
www.lumbriadeisapori.it Direttore Responsabile: Alberto Mesca In redazione: Gilberto Scalabrini, Massimiliano Castellani, Mariolina Savino, Marco Degli Innocenti, Gustavo De Scalzo, Simone Mesca Hanno collaborato: Regione Umbria, Camera di Commercio, Comune di Preci, Comune di Vallo di Nera, Giuseppe Esposito Casa Editrice: Nuova PromoEdit s.r.l. via Monte Acuto, 49 Foligno (Pg) Tel. 0742.321011 (r.a.) Fax 0742.321012 P.iva 02987340540 www.nuovapromoedit.it info@nuovapromoedit.it www.lumbriadeisapori.it info@lumbriadeisapori.it Autorizzazione: Reg. Trib. di Perugia Sez. Periodici N°5/2002 Reg. Periodici aut. del 01/02/2002 Sped. in abb. post. 45% Legge 662/96 art. 2 comma 20b Segretaria di redazione: Cinzia Mancia Grafica e impaginazione: Nuova PromoEdit s.r.l. Pubblicità: Nuova Promoedit s.r.l. ha collaborato Mario Bonucci Foto: Archivio Nuova PromoEdit s.r.l. Tutto quello che viene pubblicato su “L’Umbria dei Sapori” riflette unicamente il pensiero degli autori. Foto e testi anche se non pubblicati non si restituiscono. Finito di stampare - maggio 2011 Stampa: Grafiche CMF Foligno (Pg)
Unione Europea
Regione Umbria
Provincia di Perugia
Editoriale
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“Le istituzioni umbre facciano partenariato”
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“Diamo all’Umbria maggiore spessore turistico”
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Rivive la storia della trebbiatura
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La storia della dinastia Muzzi
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La Romagna & Fratini pastificio di successo
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Preci - Pane, Prosciutto e Fantasia
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Vallo di Nera - Fior di Cacio
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Gelato artigianale: gusto e genuinità
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La fagiolina del lago Trasimeno
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Il fagiolo di Cave
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Ripresa last minute per gli agriturismi
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Donne e “maiali” dei paesi tuoi
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Porchetta? Quella umbra è la più buona
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Regione ospite - Mitica Campania...
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Le ricette dello chef Giuseppe Esposito
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I migliori oli DOP dell’Umbria
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Ercole Olivario premia gli extravergine italiani 2011
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La Roveja è di Castelluccio o di Civita di Cascia?
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Camera di Commercio
Spezie, legumi e frutta secca di Giusy De Pedris - Cascia Pg - tel. 347 5530377
Editoriale a bella stagione è entrata ormai nel vivo e con essa la voglia di vacanze, di movimento, di conoscenza.Conoscere un paese significa informarsi sugli aspetti culturali, storici e artistici che lo caratterizzano. L’enogastronomia fa parte delle tradizioni locali, soprattutto in un paese come l’Italia, dove ogni regione, e addirittura ogni città, ha tradizioni enogastronomiche differenti dalle altre. In Umbria prevale il paesaggio collinare. In collina, dove apparentemente la crescita delle coltivazioni sembra più dura e aspra, vengono coltivati i vitigni e gli oliveti che hanno una superba rendita qualitativa. Fra gli itinerari enogastronomici in Umbria, potete scegliere la strada dei vini, la via dell’olio e la scoperta dei prodotti tipici e piatti regionali. La cucina umbra è molto varia, comprende piatti poveri come le zuppe di legumi, cucina di lago con i lucci e le carpe, cucina montanara come funghi e cucina campagnola piena di erbette aromatiche di campo. Da non dimenticare i famosissimi e prelibati tartufi e prosciutti Igp di Norcia, il cioccolato di Perugia, che richiamano ogni anno un afflusso notevole di turisti interessati all’enogastronomia. La regione Umbria offre una vasta tradizione di vini e di sapori.
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In questa terra generosa sono molti gli itinerari per un turismo enogastronomico. Assaporate le specialità locali e fatevi trasportare dalla bontà dei prodotti genuini e dalla delizia dei profumi della buona tavola. E chi ha voglia di relax? Niente di più facile, la regione più verde d'Italia è costellata di agriturismo e strutture che danno la possibilità di rilassarsi e che mettono in risalto il fascino della natura incontaminata. In Umbria davvero non si contano le località che vale la pena visitare, alla scoperta di realtà folkloristiche e dal prezioso rilievo storico: Assisi, Perugia, Orvieto, Todi, Foligno, Gubbio, Norcia, Cascia solo per citarne qualcuna. In questo numero estivo de “L’Umbria dei Sapori” abbiamo messo in risalto le bellezze e le eccellenze umbre non trascurando però quelle che sono le problematiche ancora aperte ad esse inerenti, anche attraverso le parole degli “addetti ai lavori”, cioè delle massime istituzioni umbre. Ci sono molti “lavori in corso” affinché l’Umbria diventi una delle mete più ambite dell’offerta turistica italiana ed estera.
Alberto Mesca
“Le istituzioni umbre facciano partenariato”
Fernanda Cecchini, Assessore alle Politiche Agricole e Agroalimentari della Regione Umbria
Regione Umbria Assessorato alle Politiche Agricole e Agroalimentari
di Alberto Mesca l giro di boa del 2011 facciamo il punto sulla situazione dell’agricoltura e dell’allevamento in Umbria rivolgendo alcune domande all’Assessore Regionale Fernanda Cecchini. Durante il convegno ''Lavoriamo per il futuro della tabacchicoltura'' svoltosi a Citta' di Castello Lei è intervenuta sostenendo la necessità di un lavoro di squadra a salvaguardia del settore. Qual è la situazione reale dei produttori di tabacco? Quali sono i doveri dei vari soggetti interessati? “La riforma dell’organizzazione co-
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mune di mercato del tabacco ha avuto un forte impatto sulle imprese del settore. Già dal 2010, infatti, chi ha prodotto tabacco ha ricevuto aiuti comunitari ridotti del 50% rispetto agli anni precedente, questo a causa dell’entrata in vigore della riforma che ha introdotto il disaccoppiamento totale. Le conseguenze sul piano economico per le aziende sono facilmente immaginabili, questo, unito alla generale crisi economica, ha posto le aziende dinanzi ad un bivio, continuare a produrre tabacco oppure smettere e riconvertire. Chiaramente l’impatto della seconda scelta, soprattutto in termini occupazionali e di coesione territoriale nelle aree dove è maggiore la presenza di tabacco preoccupa molto la regione. È ovvio che scegliere un’alternativa piuttosto che l’altra dipende essenzialmente dalle prospettive, sia in termini di reddito che di stabilità. Per questo la regione Umbria, consapevole e preoccupata dei pesanti contraccolpi derivanti dall’abbandono della coltura del tabacco, si è attivata per cercare di dare alle aziende tabacchicole una risposta sia di natura economica che di stabilità. Utilizzando le leve di politica agricola gestite direttamente, in primis il Piano di Sviluppo Rurale la regione ha messo in campo un ventaglio di misure per effetto del quale oggi le aziende
Umbre, uniche in Italia, possono accedere agli aiuti agro ambientali che garantiscono quasi 1000 Euro ad ettaro di tabacco coltivato, che, sommati all’aiuto garantito dalle misure per la qualità dell’art. 68 determinano una maggiorazione del prezzo di oltre 50 centesimi al Kg. Questo significa che il tabacchicoltore umbro percepisce, per il suo tabacco, in media, un 25% in più rispetto a quello che percepiscono gli altri produttori italiani. Sappiamo che questo non risolve in toto le criticità del settore, siamo per questo pronti a mettere in campo altre misure. Stiamo per attivare la Misura PSR 144 che, seppure di portata limitata, aggiunge altri 9500 Euro al bilancio delle aziende che continueranno a produrre tabacco nei prossimi 3 anni. Contiamo poi di incentivare azioni di carattere più strutturale finanziando i tabacchicoltori che intendono investire per innovare e ridurre i costi così da rendere competitivo il loro prodotto sul mercato. È chiaro che la regione può intervenire ma ha dei limiti sia in termini di regole che di risorse. Accanto alla sua azione è necessario che la filiera in tutti i suoi segmenti dia il suo contributo. Innanzi tutto dando prova di aver compreso la difficoltà del momento accantonando gli egoismi di parte e le rendite di posizione ed operando una reale semplificazione dei diversi passaggi che subisce il prodotto dall’agricoltore alla manifattura, con una conseguente riduzione dei costi per il produttore. Crediamo che le stesse manifatture, che tanto hanno guadagnato e continuano a guadagnare, debbano includere nella loro politica dei prezzi al produttore parte dei vantaggi
Abbeveratoio per bestiame
che derivano dal poter operare su un grande mercato delle sigarette come quello italiano”. Quali sono i punti salienti della nuova collaborazione istituzionale tra Provincia di Perugia e Regione Umbria in ambito venatorio? Quali sono le problematiche in materia di caccia che sono state affrontate e quali ripercussioni avranno sui cacciatori e le varie associazioni venatorie? “In materia di caccia le scelte fatte nel passato in materia di deleghe e di ruoli istituzionali non sono in discussione. È necessario, tuttavia, rivitalizzare il rapporto e la collaborazione tra istituzioni, in primis Regione e Provincia, per mettere in sinergia i comuni sforzi per dare una risposta soddisfacente ai cacciatori che al contempo sia sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Un primo momento di confronto e collaborazione è l’Osservatorio Faunistico regionale che, grazie al protocollo d’intesa tra la regione Umbria e le Province di Perugia e Terni, permette un confronto su alcuni aspetti molto significativi, tra i quali: il rilevamento dei dati biologici, ecologici ed etologici delle popolazioni di fauna selvatica presenti sul territorio regionale anche al fine di effettuare monitoraggi, studi e ricerche scientifiche; il controllo dello stato dell’ambiente nelle sue relazioni con la fauna e la dinamica delle specie, predisponendo idonei supporti alla pianificazione e programmazione del territorio a fini faunistico-venatori anche per promuovere studi sulle potenzialità faunistiche del territorio; il controllo della consi-
stenza, distribuzione e tendenze delle singole specie selvatiche, con particolare riguardo a quelle: soggette a prelievo venatorio, cagionanti danni di notevole entità all’agricoltura, sottoposte a particolare protezione. L’attività dell’Osservatorio Faunistico regionale per affrontare le problematiche connesse con l’esercizio venatorio è la sede naturale del confronto e dell’incontro tra regione e provincie. Una dimostrazione sono i progetti varati di recente che avvieranno studi mirati all’approfondimento delle conoscenze per le si specie colombaccio, beccaccia e starna. La nuova normativa introdotta dalla legge comunitaria 2009 approvata con legge n.96 del 4 giugno 2010 è oggi una delle problematiche più significative che abbiamo dovuto affrontare. Essa, infatti, rimette in discussione molte cose in materia di caccia. Per questo la regione ha dato particolare rilievo alla necessità di dotarsi di dati scientificamente validi indispensabili per redigere il nuovo calendario venatorio. Il comune interesse della regione e dei cacciatori è di evitare di adottare provvedimenti che possano venire impugnate davanti al TAR con evidenti riflessi negativi sull’attività venatoria. Il confronto costante e costruttivo con le provincie e con le associazioni che rappresentano il mondo venatorio ed l’universo ambientalista reputo sia la strada maestra da seguire. Proprio per questo, quest’anno, ho inteso accelerare tale confronto così da avere un quadro giuridico e normativo definito con largo anticipo rispetto al passato. Dalle reazioni dei vari interlocutori vedo e leggo toni pacati e co-
struttivi che fanno ben sperare”. Si sono recentemente concluse la manifestazioni “BioFest, (l'agricoltura biologica in Provincia di Perugia tra borghi medioevali e sentieri francescani”) organizzate dalla Regione Umbria e della Provincia, con le relative mostre multimediali. Quali sono le sue considerazioni conclusive? “Le manifestazioni tipo Bio-fest rientrano tra le azioni di cooperazione tra la Regione e Istituzioni endoregionali per la promozione delle produzioni locali di qualità in un’ottica di valorizzazione e promozione integrata dei nostri territori. Questo tipo di partenariato è una delle modalità con cui possono essere raggiunti gli obiettivi. E certamente l’iniziativa della Provincia con Bio-fest è un buon esempio di partenariato. La partecipazione e l’interesse registrati per questi eventi testimoniano la necessità di adoperarsi sempre più intensamente per accrescere l’attrattività del territorio e dei nostri borghi, in virtù delle eccellenze che il patrimonio culturale ed agroalimentare della regione è in grado di offrire. Ma se mi si permette formulare una piccola critica, questo lavoro di promozione non può essere limitato alla sola Umbria ed alle sole realtà locali nell’ambito, oltre tutto, di iniziative già esistenti e mature. Penso che dopo questo primo passo il successivo sia costruire un partenariato diverso in cui le istituzioni endo-regionali, Comuni e Provincie, non si limitino ad organizzare ciascuna il proprio mini evento, ma si mettano a ragionare insieme per integrare le azioni di promozione rivolgendosi al pubblico
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extraregionale ed internazionale. . Le esperienze come Bio-fest hanno un senso se diventano vere politiche concrete e stabili di sostegno e di sviluppo della qualità della nostra produzione, in un mercato sempre più attento anche alle questioni legate alla sicurezza alimentare. Non è più il tempo di interventi spot, messi in campo solo perché c’è il contributo regionale occorre fare massa critica concentrando la promozione in iniziative di ampio respiro nazionale e internazionale”. Il finanziamento attivato dal bando dalla Giunta Regionale a sostegno della zootecnia è finalizzato all’acquisto di riproduttori selezionati per il miglioramento del patrimonio genetico regionale. Quali sono le razze che beneficeranno maggiormente di questo contributo e quali saranno gli effetti sull'attività di selezione umbra? “La Regione Umbria crede molto nella zootecnia e, visto che l’acquisto di animali non è più finanziabile con fondi comunitari, ha fatto uno sforzo finanziario per reperire fondi propri, in questo momento di ristrettezze economiche, proprio per attivare un rinnovamento ed una riqualificazione del patrimonio genetico degli animali allevati in regione. Le razze di maggiore interesse nel nostro territorio e che fanno la parte del leone
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nell’accedere agli aiuti sono i bovini di razza Chianina(oltre il 70% degli animali acquistati), oltre agli ovi-caprini di razza Sovravissana e Appenninica, a riproduttori suini ibridi della linea denominata “Suino Umbria”e da ultimo, non per importanza ma per numero, i cavalli di razza AITPR. L’interesse verso la chianina dimostrato dagli allevatori è confermata dal crescente numero di soggetti iscritti al Libro Genealogico, che attualmente è di circa 15.000 capi, ai fini dell’adesione al disciplinare IGP. A favorire il “boom” delle razze locali come la Chianina che rientra nell’IGP “Vitellone Bianco del Centro italia” c’è una buona politica di promozione della qualità certificata. Sempre più i consumatori stanno attenti alla qualità della carne, anche a seguito della BSE che se inizialmente ha provocato una caduta dei consumi di carne bovina, dall’altra ha avuto come effetto la richiesta di carni con una provenienza locale. La regione con gli aiuti specifici intende accompagnare le aziende a produrre sempre meglio per vendere a prezzi sempre più remunerativi così da favorire il mantenimento della zootecnia che è un fattore determinante per la salvaguardia ambientale dei nostri territori, specialmente nelle zone appenniniche”. Nel bando dedicato allo sviluppo e promozione del vino umbro da Lei presentato, quali caratteristiche do-
vranno avere i progetti elaborati dai produttori o dai consorzi di tutela per essere ammessi alla partecipazione? “Il bando per la promozione del vino sui Mercati dei paesi Terzi è sostanzialmente inquadrato nell’ambito delle disposizioni adottate a livello ministeriale. All’interno di questo quadro di riferimento e per ciò che è consentito sono stati adottati dalla regione criteri specifici soprattutto per gli aspetti di valutazione dei progetti. In particolare, per meglio rispondere alla strategia regionale di promozione del settore, sono valutati la coerenza e qualità della proposta e l’impatto prevedibile in termini di sviluppo della domanda, anche in relazione alla presenza qualitativa e quantitativa sui diversi mercati, intendendo con ciò sostenere principalmente progetti che abbiano un effettivo impatto sulla penetrazione di paesi tradizionalmente raggiunti dai nostri vini, quali Stati Uniti e Canada, accanto a nuovi paesi consumatori quali Russia e Cina. La ripresa delle esportazioni a livello nazionale non è ancora percepibile in Umbria, o meglio, solo poche aziende sembrano aver agganciato questo trend, con il nostro sostegno è auspicabile che un numero maggiore di aziende, vero motore delle azioni di promozione, sappiano essere all’altezza delle nuove sfide di questi mercati e veder crescere la quota di prodotto venduta a prezzi remunerativi”.
Agriturismo Santa Serena
“Diamo all’Umbria maggiore spessore turistico”
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio di Perugia
di Marco Degli Innocenti entiamo il parere del Presidente della Camera di Commercio di Perugia Giorgio Mencaroni. Presidente, qual è la Sua posizione in merito alla eccessiva produzione delle eccellenze in Umbria? “Direi che oggi la produzione di qualità rappresenta una necessità e contemporaneamente un obbligo perché i pro-
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dotti del territorio non possono prescindere dalla qualità. Con la globalizzazione assistiamo a fenomeni di produzioni tipiche “imitate” o “copiate” ma a maggior ragione, per combattere l’eccesso di produzione, l’obiettivo qualità deve essere sempre perseguito. Alcuni dei nostri prodotti sono eccellenze sotto ogni punto di vista, basti pensare a quanto è cresciuto l’olio extravergine di oliva o l’olio DOP dopo le esperienze fatte inserendo il disciplinare DOP e l’evento Ercole Oliario. A partire dai raccoglitori di olive, fino ai frantoiani, ecc. il disciplinare ha fatto si che fossero selezionate le olive, che fossero individuati i tempi perfetti di raccolta e si procedesse con determinate tecniche alla spremitura. L’Umbria dovrebbe far in modo di certificare tutte quelle che sono le proprie eccellenze: ciò vale per il vino, per l’olio, per le carni lavorate, per i formaggi, ecc. A volte però non basta avere una eccellenza di prodotto se questo non lo si fa conoscere. Uno dei compiti che la Camera di Commercio sta cercando di assolvere è quello di farli conoscere non solo sul nostro territorio ma anche su piazze nazionali e internazionali. Basta vedere la presenza dei nostri produttori in molte fiere di settore. Quale potrebbe essere, semmai, il li-
mite? Il limite può essere, a volte, la dimensione dell’azienda, la sua capacità di produzione, ma su questo oggi il sistema nazionale ha fatto si di incentivare le reti d’impresa. La stessa Camera ha investito, aprendo dei Bandi, per la costituzione di reti d’impresa e vendere i nostri prodotti a prezzi competitivi sui mercati internazionali. Lo stesso problema si presenta anche sul fronte della ricettività agrituristica? Purtroppo nelle scelte politiche ed economiche fatte nella nostra regione si procede spesso per imitazione e non per esatta valutazione e connotazione di quello che è il mercato. C’è stato il boom degli agriturismi. Io riconosco grande importanza al recupero di un patrimonio edilizio, grazie ai fondi comunitari, che in molti casi sarebbe andato distrutto o disperso. Ma a volte si è rincorso più il contributo senza fare per niente riferimento ad un qualunque business plan per l’azienda negli anni futuri. Oggi sicuramente gli agriturismi sono in troppi e ciò comporta un miglioramento della qualità e dei servizi, ma anche un aumento dei prezzi e quindi andare fuori mercato; in altri casi la concorrenza può far calare troppo verso il basso i prezzi e conseguentemente abbassare eccessivamente la qualità dei servizi”. Quale è, secondo lei, la soluzione? “Devo dire innanzi tutto che in parte è stato snaturato quello che era il concetto originario di agriturismo che nasce come operazione a sostegno del mondo agricolo. Quindi l’azienda agricola doveva essere l’attività prevalente sopportata dalla potenzialità turistica.
Fagiano
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Oggi, nel 90% dei casi, gli agriturismi sono aziende turistiche a tutti gli effetti che nulla hanno a che vedere con l’azienda agricola, che invece è marginalissima rispetto a quella che è l’attività prevalente. Direi di continuare su una politica di qualità, forse è necessario andare a cercare mercati diversi. Se facciamo una politica di un’Umbria vivibile, di un’Umbria verde, come zona del benessere e del vivere positivo, allora anche le politiche sul turismo dovrebbero andare verso la scelta di un turismo sostenibile per la nostra regione, ma che abbia anche una certa capacità di spesa e non rincorrere solo il turismo dei numeri, il turismo sociale o quello dei Cral. Vanno fatte sicuramente politiche di premialità, vanno incentivate le nicchie o aree di mercato Quindi oggi dobbiamo o incrementare i flussi di turismo di qualità oppure dobbiamo ridimensionare quella che è il grado e la capacità di accoglienza dei turisti. Oggi la nostra regione è a basso spessore economico: non riusciamo a far affermare questa regione da un punto di vista dei prezzi e ciò, forse, è dovuto all’eccesso di offerta rispetto alla domanda”. Ci sono iniziative regionali a sostegno dei comparti? “C’è un accordo siglato già lo scorso anno tra la Regione Umbria e il sistema delle Camere di Commercio di Terni e di Perugia per un progetto di marketing territoriale per far conoscere sempre di più quella che è la nostra regione. Dobbiamo fare in modo che il turista nel momento in cui sceglie abbia ben in mente che cosa cercare e pensare al-
l’Umbria. Fare in modo che sia in internet che presso le agenzie l’Umbria possa rappresentare una delle mete più ambite. Come? Facendo promozione e incentivando gli operatori turistici a proporre l’Umbria come meta. Da una recente indagine fatta sulle destinazioni turistiche degli italiani è emerso che tra le mete preferite per week end o brevi periodi l’Umbria non compare nelle prime 10 posizioni. Ma se si davano una serie di possibili risposte tra le quali scegliere l’Umbria compare tra le prime posizioni. Questo perché l’Umbria è ancora poco conosciuta e poco ricordata”. Quali altri settori, secondo lei, stanno soffrendo maggiormente in Umbria? “Un settore che soffre in maniera esponenziale direi che è il vino. La capacità di produzione e il livello qualitativo sono cresciuti, ma non siamo riusciti a far affermare un territorio del vino. Si, ci sono Orvieto e Montefalco, ma ci sono state determinate azioni che hanno privilegiato determinate etichette piuttosto che incentivare un territorio del vino. Oggi parlando di vini dobbiamo fare in modo che ci sia una valorizzazione del territorio. Le nostre aree sono vocate al vino e sicuramente le etichette migliori si affermeranno, ma quando si parla di un area come la Provenza, l’Alsazia la Borgogna, di Mendoza si sa perfettamente che in quelle aeree parlo di vino. In parte la crisi del settore è dovuta proprio al fatto che non siamo ancora riusciti a far affermare la nostra regione come una eccellenza del vino”. Questo vale anche per il prosciutto umbro che non è riuscito a “sfon-
dare”… “Fa parte anche della nostra cultura, del nostro modo di pensare. Innanzi tutto perché siamo degli individualisti e quindi ognuno pensa per la propria bottega senza capire che le fortune di un territorio sono anche fortune per una intera regione. Ci sono imprenditori che hanno delle buone idee e delle buone volontà, però applicano una parte del progetto che è sempre e solo quella del prodotto base, ma non sono in grado di sviluppare la parte di promo-commercializzazione e comunicazione che è una parte fondamentale. Quando si parla di “norcino” ci si riferisce a colui che lavora le carni indipendentemente dal fatto che il nome è espressione di Norcia e della Valnerina. Non siamo riusciti a sfruttare nemmeno questo. Abbiamo fallito in ciò che riguarda la comunicazione e promozione”. Presidente, un’ultima riflessione? “Dobbiamo fare sistema, unire le forze e andare a promuovere le eccellenze. Non solo olio e vino, ma anche cioccolato, ceramica e tartufo. Abbiamo selezionato 120 aziende di cioccolato e abbiamo creato un piccolo distretto di 12 aziende umbre del cioccolato e oggi, quando andiamo fuori con il sistema camerale, promuoviamo anche il cioccolato. D’accordo con comuni e comunità montane stiamo valorizzando il prodotto tartufo costituendo un distretto. Il tartufo deve essere cavato in Umbria e su questa base intraprenderemo delle azioni per agire sui mercati della ristorazione internazionale. Così faremo anche per mettere insieme le tre centrali della ceramica: Deruta, Gualdo e Gubbio”.
Basto da soma per il trasporto di acqua o vino
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Rivive la storia della trebbiatura dal nostro inviato Gilberto Scalabrini ’era una volta, non tanto tempo fa …la trebbiatura, un vero e proprio rito contadino che oggi rivive solo attraverso le rievocazioni storiche che si svolgono in varie parti dell’Umbria. Per lo più si tratta di brevi messe in scena, mentre a Bastia Umbra i fratelli Paffarini Marcello, Gino e Arnaldo, i figli Massimo e Andrea, i cugini Giulio, Rino e Remo hanno dato vita, insieme a tanti amici, a tutta la vera e faticosa fase della trebbiatura antica. Cappellaccio di paglia in testa e panni da contadino, alla fine della giornata raccolgono circa 60 quintali di grano. La divertente (per chi assiste) esibizione vede protagonista una trebbiatrice degli anni ‘50, il cui restyling gli ha restituito il brillante colore arancio mignon. La vecchia signora va orgogliosa del rombo cupo delle pulegge, un concerto fatto di battiti frenetici, ma anche di polvere, sbuffi di fumo, odore di nafta e gesti antichi degli uomini. Com’è nata l’idea di riportare in auge la vecchia battitura del grano? Sorride Massimo Paffarini, un marcantonio d’uomo prestante e robusto, ma col cuore di un pulcino: «Siamo una famiglia di contadini dal 1400. Fino a 51 anni fa i nostri avi abitavano nella frazione di Pilonico Paterno, a Perugia. Poi ci siamo trasferiti a Bastia, in via Cambogia 16, e lo scorso anno, per celebrare il mezzo secolo del nostro arrivo in questo comune, abbiamo fatto una grande festa e ricostruito con foto e nomi l’albero genealogico delle ultime cinque generazioni. Quest’anno abbiamo ripetuto l’esperienza, ma anziché consumarla in due giorni l’abbiamo ridotta a uno. Troppa fatica, perché la nostra non è solo una rappresentazione scenica ma una vera e propria trebbiatura antica». Rino Paffarini, 71 anni, ricorda quando i suoi genitori e i suoi nonni falciavano il grano a mano e allestivano il barcone. Un lavoro faticoso, che iniziava la mattina presto e continuava fino a sera. La trebbiatura si svolgeva con l’aiuto delle altre famiglie e si costruiva un pagliaio grandissimo di 12 metri di diametro. Anche oggi, vicino alla trebbia c’è l’ultimo testi-
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mone del tempo agreste che fu. In cima al palo garrisce il tricolore. Vicino alla trebbia un carro a due ruote, tutto colorato, trainato da due buoi. Rino precisa: «Non è umbro e si vede dalle sponde che sono fisse. E’ un carro marchigiano, chiamato alla partigiana». Infine, c’è da ammirare una bella esposizione di tanti attrezzi, aratri, erpici e trattori d’epoca, fra cui il primo Fiat 25 a cingoli che sostituì le vacche da traino. Sotto la canicola di luglio, fra spighe dorate, canti contadini e un buon bicchiere di vino e l’immancabile polvere, arrivano a bordo di una lussuosa auto di colore nero la padrona e il fattore. Quest’utlimo presenta tutto il quartier generale all’opera e anche alcuni numeri che riguardano la resa del grano. Con un sacco vuoto in spalla, spunta anche un giovane frate questuante che rastrella un po’ di messe per il convento. I Paffarini senior festeggiano con orgoglio, commozione e tanti ricordi quel tempo lontano che non hanno mai cancellato dalla memoria e trasmesso ai figli. La giornata trascorre piena come una volta. Solo una sosta a mezzogiorno per il pranzo. E’ a base di fettuccine fatte in casa con rigaglie di pollo e arrosto d’oca. Tutto annaffiato dal buon vino di cantina. Poi di nuovo tutti al lavoro fino a quando non tramonta il sole dietro le colline che circondano la piana. A sera, i tanti sacchi di grano, dopo essere passati sulla bilancia a bascula, sono trasportati nel granaio col vecchio e ancora generoso carro agricolo, trainato dai buoi. Infine, tutti sull'aia con l'orchestra per consumare le ultime energie rimaste, prima di andare a letto. Ogni anno, rivivere il rito dell’antica trebbiatrura è il segno indelebile delle origini e delle consuetudini contadine, che hanno tracciato nello spirito e nell’anima dei Paffarini il rispetto per la cara madre Terra. Anche quest’anno sono riusciti a riportare indietro nel tempo le lancette della storia, regalandoci un altro pezzo di storia della quale molti di noi non sono stati testimoni. L’hanno fatto con la loro spontanea generosità, in onore del grano e della trebbiatura, per ricordare gli avi e i modi di vivere di un tempo che affondano le radici nel cuore della verde Umbria.
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La storia della dinastia Muzzi
a storia dei Muzzi, pasticceri in Foligno, inizia nel 1795 quando Mastro Tommaso di Filippo Muzzi si specializzò nella produzione di “Minuta Fulignata”, piccolissimi confetti dal cuore di anice, ancora oggi ce-
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lebrati come delizie autenticamente folignate. La passione pasticcera portò poi i Muzzi, padri e figli, in un piacevole rincorrersi di nomi sempre uguali, a specializzarsi nella pasticceria fresca, nata come insostituibile dolcezza domenicale o come complemento al tè delle 5. Il 1912 consacra con il marchio Muzzi, la nascita del primo panettone di Foligno, noto come panettone “Uso Mi-
lano”: fu il primo di una interminabile catena produttiva, che oggi propone esemplari unici e irripetibili per qualità e varietà, presenti in 30 paesi del mondo. La base è sempre il lievito naturale, prodotto con un lungo processo ed ingredienti di prima qualità. La ricetta è quella antica di Tommaso Muzzi, ma reinterpretata con numerose farcie, che accontentano chi ama l’insolito. Cioccolato, limoncello, moscato ma anche fragole, pesche, pere e ciliegie affondano nel cuore morbido dei panettoni Muzzi, senza dimenticare l’aroma del prestigioso Sagrantino, simbolo dell’Umbria nel mondo. Ma oggi Muzzi è anche cioccolato, prodotto da un guru della cioccolateria, che propone un ricco assortimento di praline e cioccolatini: primi fra tutti i magici “Sesto Senso”, afrodisiaci e scaccia-crisi. Oggi a più di 200 anni dalla fondazione i Muzzi: Loredana e i tre figli Filippo, Alfonso e Andrea sono i continuatori ideali di una tradizione che si avvale delle tecnologie più avanzate, nel rispetto della creatività pasticcera e delle esperienze dei padri. Con queste credenziali Muzzi diletta i più importanti clienti del jet-set internazionale che sanno apprezzare il ricco assortimento di raffinatezze, proposte dalle mani esperte dei maestri pasticceri umbri.
La Romagna & Fratini pastificio di successo! l serpente lucido dell'antica via Flaminia che corre verso nord, attraversa quasi subito una verde terra felice: è l'Umbria dal paesaggio francescano incontaminato e dai borghi arroccati sulle colline solcate da vigne e uliveti. Qui si producono ottimi vini e ottimi oli di oliva, fra i più famosi nel mondo, e come clou della dieta mediterranea, poteva mai mancare la pasta? Oltrepassate da poco le celebri fonti del Clitunno eccoci a Foligno, l'antica Fulginia dei popoli umbri, nel cuore della valle umbra. Qui la cucina profuma di antico, e qui si gustano i celebri stringozzi: pasta umile confezionata con acqua e farina che un tempo si preparava rigorosamente in casa. E stringozzi viene dal termine stringa, per la sua forma allungata che ricorda i grossi lacci di scarpe di una volta. Qui si trova il pastificio La Romagna che di questo formato ha fatto un suo vessillo. Romagna era il cognome della nonna e ora la ditta si fregia anche del nuovo marchio "Fratini", che è invece è il cognome del nonno Libio, fondatore del pastificio. Il tutto è cominciato per una scommessa del nonno che negli anni '50 del secolo scorso, anni duri e difficili per un'Italia stremata dalla guerra, du-
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rante una vacanza a Rimini rimase folgorato, come l'apostolo Paolo sulla via Damasco, davanti alla fila di clienti di un piccolo laboratorio di pasta fresca. Lui, ultimo di nove figli, alla ricerca di un lavoro che gli piacesse e che, nello stesso tempo, desse da vivere anche alla famiglia, intravede uno sbocco foriero di grande soddisfazioni. Decidere di aprire un pastificio nella sua Foligno, dove ancora la gente, quando poteva permetterselo, la
pasta la faceva in casa, dovette davvero essere una scommessa. In sei mesi riuscì ad attrezzare un piccolo laboratorio nel centro storico, lo aprì il 24 gennaio per la festa di San Feliciano patrono della città e qui mise subito a lavorare anche la moglie che la pasta a mano la sapeva fare assai bene: agli inizi i formati erano pochi e il nonno lavorava con uno o due dipendenti. Oggi l'azienda, che produce soprattutto pasta fresca, ha incrementato il reparto della pasta secca, anche per l'esportazione verso Olanda, Inghilterra, Stati uniti, Francia, Germania, Belgio, Giappone e Australia. Ma la pasta fresca, che è il vero fiore all'occhiello del pastificio, oltre che in Italia, si colloca soprattutto in Germania e in Spagna, dove si servono i migliori ristoranti italiani.La produzione annuale si attesta oggi sulle 400 tonnellate fra pasta fresca e pasta secca in una cinquantina di formati e di preparazioni gastronomiche pronte all'uso. Questo comporta una rigorosa attenzione nella scelta delle materie prime: anzittutto le farine per le quali il pastificio si rifornisce soprattutto ad Altamura da un mulino che produce sfarinati di eccellente qualità, ed anche presso altri fornitori che siano in grado di fornire le medesime garanzie: tutti ormai risentono delle difficoltà in cui si agita il settore del grano. Per le paste all'uovo, si utilizzano solo uova fresche nazionali. L'azienda, che sta a metà strada fra il laboratori artigianale e l'industria, non fa uso di prodotti semilavorati: tutto quello che si produce, lo si pre-
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para direttamente in laboratorio, e questo da una garanzia e una credibilità di genuinità al prodotto finito. I salumi che vanno nei ripieni dei tortellini sono lavorati in casa e la ricotta usata è quella fresca, non pastorizzata, con un grosso salto di qualità nel gusto finale del raviolo. Entrando nell'ampio laboratorio si è accompagnati dall'ovattato rumore di macchine, fornite prevalentemente dalla Dominioni di Como. Nonno Libio, che era una mente eclettica, amava anche confezionare o presentare il suo prodotto in modi particolari; intorno agli anni '80 del secolo scorso è venuta l'idea di prendere letteralmente a martellate i cilindri, con lo scopo di dare una particolare rugosità alla pasta e lasciando i tecnici delle aziende costruttrici di macchine piuttosto perplessi; ma come sempre nella vita necessità aguzza l'ingegno e il risultato finale è stato esaltante. E questa loro invenzione è ora stata ripresa da molti costruttori di macchine per pastifici. Il bel pastificio si sviluppa su circa 1200 metri quadrati; il nuovo reparto per la produzione di pasta secca, prossimo all'apertura, occuperà una superficie di circa 500 metri quadrati. Il pastificio è tutto un tripudio di pro-
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fumi e sapori: gli stringozzi si preparano con il farro, con il tartufo, con il basilico, con i funghi, con il limone, con gli spinaci e con tanti altri ingredienti. Una piccola nicchia è dedicata anche alla produzione di gnocchi con le patate. Il pastifico la Romagna ha fatto un'ulteriore scelta di qualità: la sua pasta non viene sottoposta ad una seconda pastorizzazione, la cosiddetta sterilizzazione, perchè questo trattamento, se allunga notevolmente i tempi di con-
servazione, va poi a detrimento della qualità del prodotto finito. Nel pastifico lavorano oggi le due sorelle Lori e Franca Fratini, titolari e figlie del fondatore, con i rispettivi figli Elisabetta e Leonardo; a questi si aggiungono 15 dipendenti. E intorno non si vedono che facce sorridenti di chi è consapevolmente contento del lavoro che fa: perchè anche la semplice e umile pasta, se fatta con il cuore, avrà poi nel piatto un altro sapore.
A Preci “gemmellaggio” tra il Prosciutto IGP di Norcia e il formaggio Asiago
Pane, Prosciutto e Fantasia: i visitatori premiano la manifestazione Regione Umbria, la Provincia di Perugia, la Camera di Commercio di Perugia, tutti i partecipanti e i numerosi volontari” Un weekend all’insegna di spettacolo, musica e intrattenimento ma come sempre sono i tradizionali percorsi degustativi le punte di diamante di un programma che conduce alla scoperta del borgo, dalle visite guidate all’antico mulino e al museo della Chirurgia fino alle escursioni a dorso d’asino. Da sem-
pre molto apprezzata la rievocazione storica degli antichi mestieri, il fornaio e il norcino, il contadino e il pastore, la tessitrice e la ricamatrice, il maniscalco e il canestraio. La pioggia incessante di sabato mattina è stata sconfitta dalla passione degli organizzatori e dei visitatori che sono arrivati numerosi per la Notte del Gusto di sabato 2 luglio. A partire dalle 22.30, la Sala Consiliare ha ospitato il Duo Entr’Acte, concerto di chitarra voce e violino, seguito con molta attenzione, è stato un bel momento di partecipazione tra artisti e pubblico. A seguire sono stati i The Beaters, una Beatles Tribute Band che ha suonato fino all'una e mezza di notte emozionando il grande pubblico locale e straniero di tutte le età. Vera novità di questa undicesima edizione è stato l’appuntamento, domenica 3 luglio, con Gli incontri della Fantasia, durante i quali il prosciutto IGP di Norcia ha incontrato le altre specialità dell’enogastronomia italiana, come il formaggio Asiago DOP e il Trebbiano Spoletino, un’occasione unica per degustare i prodotti e gli abbinamenti suggeriti dagli esperti del gusto Dante Renzini, vice-presidente del Consorzio del Prosciutto di Norcia IGP; Renzo Fantucci, Professore all’ Università dei Sapori di Perugia; Tommaso Coricelli, AD dell’Azienda Agraria Tommaso Coricelli. Protagonista della conclusione nella serata di domenica 3 è stato il Trebbiano Spoletino dell’Azienda Agraria Tommaso Coricelli, ospite d’onore del Palazzo del Gusto.
rrivando a Preci, nel cuore della Valnerina, è immediatamente possibile immergersi nella straordinaria ricchezza di storia, tradizioni, natura e paesaggi, assaporare una gastronomia sana e fortemente ancorata alle tradizioni locali, godere della professionalità e della qualità della variegata ed efficiente offerta ricettiva e di animazione culturale. “Grande soddisfazione per questa XI edizione -dichiara Pietro Bellini Sindaco di Preci- Pane, Prosciutto e Fantasia si conferma un iniziativa vincente per la promozione del nostro territorio e dei suoi prodotti. Un successo sempre crescente, infatti nonostante la pioggia la manifestazione ha ottenuto un notevole riscontro. Tengo particolarmente - continua il Sindaco- a ringraziare la
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Cioccolato Augusta Perusia è un'azienda di produzione di cioccolato e gelato di altissima qualità artigianale. In via Bonazzi, una delle vie più caratteristiche del centro storico, a pochissimi metri dalla via principale Corso Vannucci, troverete il nostro negozio Cioccolateria Caffetteria, un negozio elegante dove troverete i gusti del passato in una ambiente che guarda al futuro. Ogni creazione è unica ed è possibile scegliere prodotti e abbinamenti . Nelle nostre caratteristiche e accoglienti salette, potrete gustare 25 tipi di cioccolate calde (con polvere di nostra produzione senza addensante, ne conservanti, ne aromi, ne coloranti o ogm), 15 tipi di caffè speciali (il nostro caffè è composto da un mix di 9 tipi di miscele diverse selezionatissime), 60 tipi di cioccolatini di altissima qualità artigianale, tutti rigorosamente fatti a mano, 18 gusti di tavolette di cioccolato, nocciolati, torte sacher, dolci al cioccolato di vario genere, 11 tipi di creme da spalmare, confetti , drageès, forme e composizioni in cioccolati per tutti i gusti; ed ancora 12 tipi tra i migliori thè ed infusi presenti sul mercato, mousse, gelati, 40 tipi di frappè. Tutti i prodotti che troverete all'interno del nostro negozio sono di produzione propria, la nostra azienda con il laboratorio che sorge in un antico chiostro cinquecentesco sempre in pieno centro storico è custode di intere generazioni della più antica tradizione cioccolatiera della città di Perugia.
Cioccolato Augusta Perusia s.a.s Cioccolateria - Caffetteria PERUGIA centro storico Via Bonazzi , n° 31 a 50 mt da corso Vannucci - Teatro Pavone - Tel 075/9661207 Laboratorio Via Pinturicchio, 87 Perugia Centro storico - Tel /fax 075/9661207 www.cioccolatoaugustaperusia.it
Successo per la manifestazione che si tiene ogni anno a Vallo di Nera
“FIOR DI CACIO” trionfano i formaggi d’autore: primo premio assoluto per un vaccino stagionato con cagliatura di capretto na commissione di esperti, docenti dell’ Università dei Sapori dell’Umbria ha incoronato i cinque migliori formaggi presenti alla manifestazione Fior di Cacio, rassegna gastronomica nazionale che si tiene ogni anno a Vallo di Nera (PG). Cinque vere ricercatezze per intenditori sono salite sul podio di altrettante categorie: per i caprini un formaggio realizzato a latte crudo e a coagulazione lattica (ovvero senza l’impiego di caglio) presentato dall’ Azienda Agricola Rossi Rita di Colforcella di Cascia, brava a capeggiare anche la classifica dei pecorini. Per i vaccini stagionati ha ottenuto il massimo punteggio l’Azienda Agricola dei fratelli Broccatelli di Santa Maria degli Angeli che ha proposto una vera chicca a cagliatura di capretto e ha bissato il successo nella categoria dei canestrati di pecora, squisiti formaggi che devono il nome al particolare contenitore di giunco che accoglie la pasta caseificata. Tra le forme a caglio vegetale la giuria ha scelto il cacio fiore di Columella prodotto dall’Azienda Acquaranda di Anguillara Sabazia. I cinque numeri uno sono stati ulteriormente votati da una giuria popolare che ha confermato il verdetto della commissione di esperti e ha assegnato il primo premio assoluto al formaggio vaccino prodotto dall’
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azienda agricola Broccatelli, stravotato nel corso dei laboratori del gusto. Tra un assaggio e l’altro e grazie alla competente descrizione del gastronomo Renzo Fantucci, uno dei massimi esperti di formaggio a livello nazionale, i numerosi partecipanti ai laboratori del gusto hanno potuto assaporare e conoscere le migliori produzioni casearie dell’Italia centrale accompagnate dai vini delle cantine umbre Le Poggette di Montecastrilli, Tommaso Coricelli di Spoleto, Tabarrini di Montefalco, Di Filippo di
Spoleto e Caprai di Montefalco. A consegnare i riconoscimenti la senatrice Annarita Fioroni, Presidente dell'Università dei Sapori di Perugia e Gianluigi Marcantoni della Regione Umbria. Nelle sale dell’ex convento di Santa Maria, dove si è tenuta la cerimonia, i partecipanti hanno potuto ammirare una singolare cartina geografica con i “formaggi dell’Italia Unita”. Dalle Alpi agli Appennini, dalla fontina valdostana, al pecorino di Norcia umbro, dal piacentino di Enna al caciocavallo di Agnone, un trionfo di paste di latte ha delineato i contorni di una Nazione unita storicamente anche dai pastori che si sono spostati dalle montagne alla pianura e viceversa, caratterizzando produzioni e intessendo rapporti di coesione. Oltre ai formaggi la manifestazione di Vallo di Nera ha offerto ghiotti cesti di tartufo nero, norcineria, miele, farro, zafferano e altri prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato. Nelle vie del bel borgo medievale si sono alternati percorsi golosi a tappe e spettacoli musicali, tenuti dal gruppo ‘8jazz’, dagli stornellatori di Camerino, dall’ottocento sull’aia e dai Sonidumbra, molto applauditi nell’auditorium di Santa Caterina. Una navetta è salita fino al paese di Meggiano per far conoscere ai visitatori i sentieri della transumanza e la delicata ricotta preparata dopo la mungitura. Passeggiate a dorso di mulo, gare di ruzzolone, la mostra degli antichi mestieri e la preparazione della tradizionale giuncata hanno incuriosito i numerosi visitatori che da anni non perdono questo appuntamento in quella che ormai a buon ragione può definirsi la roccaforte dei sapori e delle bellezze artistiche e paesaggistiche.
Giurati e aziende premiate al “Miglior formaggio di Fior di Cacio”
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Gelato artigianale: gusto e genuinità
a parola gelato non esiste da “sempre”, ma viene introdotta solo nell’800 come aggettivo della parola sorbetto. Nel gelato sono presenti tre stadi: solido (cristalli di ghiaccio, grasso consolidato, altre sostanze non solubili), gassoso: (aria incorporata), liquido (acqua non congelata, sali minerali, proteine, ecc.). Gli ingredienti principali del gelato sono latte, zucchero e uova con i quali si produce la base, i vari gusti sono poi ottenuti aggiungendo altri ingredienti (polpa di frutta, cioccolato, panna, ecc.). È possibile anche produrre gelato alla frutta senza latte e uova, che ha meno calorie ma ovviamente è meno cremoso e gustoso. Molti produttori di questo tipo di gelato indicano anche l'assenza di zucchero, in realtà il saccarosio viene semplicemente sostituito con il fruttosio, che ha le stesse calorie ma un indice glicemico più basso.
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Sicurezza Il gelato è un alimento fresco che contiene alimenti facilmente deperibili come le uova e il latte. Tuttavia dal momento della produzione a quello della commercializzazione il
prodotto viene sempre mantenuto a temperature molto basse, che bloccano la riproduzione degli agenti patogeni. Inoltre quasi tutte le gelaterie che non utilizzano preparati industriali pastorizzano la miscela prima di lavorarla nella gelatiera, il che aumenta ulteriormente la sicurezza del gelato stesso. Nel caso dei prodotti industriali (le vaschette che si acquistano nel banco freezer dei supermercati), bisogna avere l'accortezza di non far scongelare il gelato durante il tragitto fino al congelatore di casa, né far scongelare il prodotto, consumarlo parzialmente e poi ricongelarlo. Qualità nutrizionali Il gelato è un alimento glucidico altamente digeribile. L'indice di sazietà abbastanza basso lo fa rientrare in quella categoria di alimenti il cui consumo va valutato attentamente. Infatti il gelato è un alimento decisamente calorico, se si considera che una porzione media è pari a circa 2 etti e contiene dalle 300 alle 500 calorie. Alcuni nutrizionisti durante l'estate, consigliano di sostituire un pasto con il gelato. Chi sostituirebbe un piatto di
pasta con un gelato, sapendo che dovrebbe mangiare solo quello? Se si vuole gustare questa delizia senza avere sgradevoli conseguenze sottoforma di chili di troppo, è bene adottare alcuni accorgimenti che consentano di far quadrare il bilancio calorico giornaliero, senza fare la fame. Per esempio, basta fare un pasto ipocalorico a base di proteine (150 g di carne o pesce con una insalata, per esempio) e concludere con un gelato. Qualità organolettiche Parlando di gelato occorre fare una distinzione molto importante tra gelato artigianale e industriale. Tali differenze riguardano sia i metodi di produzione che gli ingredienti utilizzati. Il gelato artigianale di qualità è composto da materie prime fresche, la fase di incorporatura dell'aria è lenta e raggiunge il 30 - 50% del volume del composto. Non è possibile produrre gelato di qualità senza utilizzare alcuni additivi (peraltro innocui), prima fra tutte la farina di semi di carrube come addensante. Si può certamente affermare che il gelato artigianale è un prodotto che qualitativamente non ha nulla da spartire con quello industriale, tuttavia occorre fare attenzione poichè non è raro trovare prodotti artigianali di bassa qualità. Il gelato artigianale infatti può essere fatto utilizzando una base liofilozzata alla quale va aggiunta acqua o latte, spesso queste basi vengono prodotte con gli stessi ingredienti del gelato industriale. L'unica differenza è dovuta al fatto che questo prodotto non deve essere conservato a lungo poichè viene venduto al dettaglio dal gelataio. È anche vero che attualmente esistono semilavorati industriali di qualità che consentono di produrre un gelato molto buono, dalla consistenza molto cremosa. Se a questi semilavorati neutri vengono aggiunti prodotti di qualità, si otterrà comunque un buon gelato. Per riconoscere un gelato di qualità, quindi, il migliore metodo è affidarsi alla propria esperienza affinando sempre più il gusto e quindi la capacità di riconoscere un buon gelato, sempre partendo dal fatto che non conviene mangiare un gelato senza aver prima letto gli ingredienti. Ecco alcune regole di carattere generale per riconoscere un gelato di qualità. Ingredienti Ogni gelateria deve esporre in vista gli ingredienti del prodotto. Ormai pochis-
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a famiglia Costantin è titolare della Gelateria Veneta a Perugia, ma è originaria della Val di Zoldo in provincia di Belluno. E’ da lì che anticamente la comunità zoldana ha contribuito a diffondere il gelato in tutta Europa. “I miei paesani di circa 130 anni fa - esordisce il sig. Costantin Costantino, titolare della gelateria - emigrarono soprattutto nel centro Europa per lavorare come carpentieri e manovali in quanto la nostra zona era molto povera. Con il tempo si accorsero che anche le loro mogli potevano essere impiegate per vendere perecotte e castagne in inverno mentre d’estate, soprattutto a Vienna, vendevano e producevano il gelato. Mio padre e mio zio vennero a Perugia nel 1935 e aprirono qui la prima gelateria; addirittura mio nonno materno lavorò come ambulante a Città di Castello dagli anni ‘20 agli anni ’50, con il tipico carrettino”dei gelati. Non so se a Perugia esistesse già qualcuno che faceva il gelato, ma la nostra è stata la prima azienda a chiamarsi propriamente “Gelateria”. Rivisitando e migliorando la ricetta dei nostri padri, abbiamo cercato di usare sempre prodotti di alta qualità e di conservare al massimo la naturalità del prodotto. Noi puntiamo esclusivamente sulla qualità delle materie prime: utilizziamo solo uova fresche, minimo 40% di frutta, diversi tipi di zucchero e niente altro. Non ci sono segreti… il nostro segreto è la passione per questo lavoro e la scelta di ingredienti genuini. I gusti “classici” sono sempre i più richiesti, ma il re del gelato resta comunque il cioccolato”.
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... il buon gelato naturale
“Gelateria Veneta” dal 1935 PERUGIA - Piazza Italia, 20 - Tel. 075 5728576
sime gelaterie usano pochi ingredienti semplici perché evidentemente per raggiungere determinate consistenze bisogna usare alcuni additivi e formule ricche di ingredienti diversi, dunque può non essere facile decidere in pochi secondi se la gelateria è da scartare. Ecco un criterio semplice: - se il gelato contiene oli/grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati, scartarlo; - se il gelato contiene oli vegetali nelle prime posizioni nella lista degli ingredienti (ovvero in quantità determinante), scartarlo. Purtroppo non è obbligatorio esporre le calorie e i valori nutrizionali e solo pochissime gelaterie lo fanno. Cremosità Più il gelato è cremoso, ovvero meno si avvertono i grumi di ghiaccio, maggiore è la sua qualità. Tendenza a sciogliersi Se il gelato non si scioglie in fretta, soprattutto se la temperatura è elevata (in estate), allora è probabile che contenga grassi vegatali idrogenati. Meglio evitarlo. Pesantezza Se il gelato è eccessivamente dolce o troppo "pesante" (vi sentite molto appesantiti dopo che lo avete mangiato), probabilmente la scarsa qualità è stata mascherata caricando con lo zucchero e i grassi e quindi con le calorie. Questo è un criterio di valutazione molto empirico che va preso con le molle, ma stando attenti e con un po' di esperienza può essere utilizzato. Il banco di prova di
un gelato di qualità Il gelato a base di frutta secca può essere utilizzato efficacemente per valutare la qualità media delle materie prime di una gelateria. Questi gelati sono prodotti con frutta secca macinata e ridotta in pasta (di nocciole, di noci, di pistacchi, ecc.). Tali prodotti costano molto (al dettaglio dai 4 ai 12 Euro per 250 g) e dunque una gelateria che adotta una filosofia di qualità si differenzierà notevolmente rispetto a una gelateria di media o bassa qualità. Mentre un gelato alla crema costa al produttore la stessa cifra in tutte le gelaterie, perché il costo del latte e delle uova è circa lo stesso e non influenza molto la qualità del prodotto; un gelato alla nocciola con il 30% di pasta di nocciole IGP sarà migliore e costerà al produttore il 50% in più di un gelato con il 15% di pasta di nocciole di media o bassa qualità. Se vi piace il gelato alla nocciola o al pistacchio, scoprirete che esistono poche gelaterie che lo fanno veramente buono, perché disposte a spendere di più delle altre. È molto probabile che la qualità media del gelato di questi produttori sarà più elevato in generale e non solo per quanto riguarda il gelato alla nocciola. Come scegliere Come abbiamo visto, il gelato è un alimento che può compromettere il bilancio delle calorie giornaliere. Di seguito indichiamo alcuni consigli per gustare questa delizia senza dover litigare con la bilancia. 1- Limitare l'acquisto delle vaschette confezionate, e non mangiare mai direttamente dalla vaschetta. Il gelato è un alimento molto appetibile ed è difficile smettere di mangiarlo: chi non è stato
mai tentato di finire 500 grammi di gelato a cucchiaiate? Inoltre la qualità di questi prodotti è a volte discutibile, considerando che la maggior parte (per non dire tutti) contengono oli vegetali e burro (non dannoso, ma utile a mascherare una scarsa qualità), o addirittura grassi vegetali idrogenati. Per quanto riguarda il gelato artigianale, è sempre meglio comprare una cestina piuttosto che un vassoio da 1/2 kilo da mangiare a casa, per evitare di eccedere con le calorie. Tanto nella maggior parte delle gelaterie non si risparmia assolutamente nulla, rimane solo il rischio di esagerare con le porzioni. 2- Evitare gelati che contengono margarina o oli/grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati. 3- Pianificare per quanto possibile la visita alla gelateria, in modo tale da "ammortizzare" le calorie nel pasto precedente o in quello successivo. Se so che andrò a mangiare il gelato, posso mangiare un po' meno, magari qualcosa di leggero. 4- Prediligere la qualità. Visto che dobbiamo assumere tante calorie, facciamo in modo che ne valga la pena. Rechiamoci in una gelateria che produce gelato di qualità, non fermiamoci nella prima che incontriamo. Se poi c'è da fare due passi a piedi, ancora meglio: una bella passeggiata dopo cena è un toccasana per la digestione, e ci farà consumare anche un po' di calorie.
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La fagiolina del lago Trasimeno
a fagiolina del lago Trasimeno è una varietà locale di fagiolo dall’occhio (Vigna unguiculata). La specie è originaria dell’Africa, era diffusa in Italia già in epoca romana (si tratta, infatti, del “phaseolus” più volte citato da Plinio il Vecchio) e viene coltivata da tempo immemorabile intorno al Lago Trasimeno (Perugia), nei terreni di fondovalle più umidi, ideali per l’ottenimento di un prodotto di eccellente qualità. La fagiolina è coltivata a scopo alimentare e se ne consumano sia i semi sia i baccelli freschi detti “cornetti”. Era molto diffusa nel dopoguerra, prevalentemente negli orti: all’epoca rappresentava il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali. A partire dagli anni Sessanta la fagiolina è andata progressivamente scomparendo finché, negli anni novanta, ha rischiato di estinguersi, rimanendo confinata in pochissimi orti familiari. Recentemente grazie all’impegno di alcuni agricoltori, della Facoltà di Agraria di Perugia e della Comunità Montana Trasimeno – Medio Tevere, la coltivazione di questo legume ha conosciuto un nuovo impulso tanto che nell’agosto 2002 è nato
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il Consorzio Fagiolina del Lago Trasimeno, che si propone di tutelare e promuovere il prodotto. Nel 2004 i soci del consorzio erano 20 con un prodotto in totale di circa 6 tonnellate di fagiolina. Il Consorzio si è dotato di un disciplinare di produzione volto alla garanzia della qualità e dell’uniformità del prodotto e svolge, inoltre, funzioni di coordinamento nella filiera di lavorazione del prodotto secco e di confezionamento, garantendo un alto standard qualitativo con l’apposizione del marchio di garanzia. Attualmente si sta valutando la possibilità di richiedere il marchio DOP. Non ci sono elementi che possano far pensare ad una introgressione di sementi non autoctone: dalle indagini dell’Università risulta che il seme attualmente utilizzato dai produttori del Trasimeno deriva direttamente dalle popolazioni locali di fagiolina. La specie Vigna unguiculata è caratterizzata da una notevole eterogeneità tanto che in tutto il mondo sono stati identificati più di 60 tipi differenti di seme. Le popolazione di fagiolina coltivate nella zona del Lago Trasimeno hanno diverse tipologie di seme: - piccolo, colore bianco-panna e privo
di occhio, è il tipo più coltivato (90%) - bianco con l’occhio - colorato con l’occhio - senza l’occhio (peraltro con tipi di colorazione differenti che formano un miscuglio). Si segnala anche la presenza, sebbene oggi molto limitata, del cultivar sesquipedalis, caratterizzato dai lunghissimi baccelli da cui il nome comune di “fagiolo dal metro”. Nonostante tale variabilità le popolazioni del Lago Trasimeno si distinguono chiaramente dalle altre varietà locali e commerciali di fagiolo dall’occhio provenienti da altre regioni d’Italia e anche da altre nazione produttrici quali Nigeria, India, Siria ed Egitto. La Fagiolina è una coltura a semina primaverile, generalmente a fine aprile e necessita di interventi irrigui limitati. Da prove condotte dall’Università è emerso che la coltura si avvantaggia di sistemi di irrigazione a goccia e di sesti di semina a fila binata. L’unico trattamento a cui viene sottoposta la fagiolina consiste nella somministrazione di verderame per prevenire malattie funginee e rendere meno appetibili le foglie agli insetti (afidi). Il sistema di coltivazione attualmente utilizzato richiede molta manodopera, sia per la scerbatura che per la raccolta e battitura. Queste ultime operazioni, infatti, a causa della maturazione scalare si protraggono da fine luglio-primi di agosto a inizio ottobre.
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Il fagiolo di Cave fagioli sono tra le piante coltivate più antiche del Nuovo Mondo e rappresentano da millenni, insieme al mais, l’alimento base delle popolazioni americane. Il genere phaseolus è un complesso tassonomico che ha avuto origine nel Meso-America, a cui appartengono circa 60 specie delle quali solo 5 sono state domesticate. Il phaseolus vulgaris è la più coltivata in Italia. Per rispondere ai requisiti richiesti dal mercato, il fagiolo è stato sottoposto ad un intenso lavoro di miglioramento genetico che ha portato all’affermazione di numerose varietà. Ma il fagiolo è anche una specie da sempre presente negli orti familiari, finalizzata all’autoconsumo. In genere alla coltura erano riservate piccole superfici della parte più fresca del podere e il seme era scelto tra quello prodotto l’anno precedente. Questi due elementi hanno consentito la costituzione di numerose varietà locali particolarmente apprezzate dalle famiglie interessate. Nel corso delle indagini condotte sul territorio, in particolare presso gli orti familiari, sono stati ritrovati numerosi fagioli: alcuni con una tradizione tramandata di generazione in generazione. Fra questi ultimi il fagiolo di Cave di Foligno, una frazione situata sulla riva destra del Topino a 218 metri di altitudine. Qui si coltiva da più di un secolo un fagiolo con habitus di crescita a sviluppo determinato. La semina è eseguita subito dopo la mietitura e la raccolta poco prima della nuova semina del frumento. Dalle informazioni raccolte sul territorio è emerso che esistono due tipi del fagiolo di Cave: “il verdino” e”il giallino”.Quest’ultimo sembrerebbe il primo ad essere introdotto in coltivazione. La presenza di questo fagiolo sul territorio sin dai primi del Novecento è testimoniata direttamente dagli anziani del posto. Fino agli anni Cinquanta la produzione era di circa 10 tonnellate, drasticamente scesa ai giorni nostri a 1 tonnellata per stagione e l’intera produzione viene completamente utilizzata e venduta durante la “Sagra del fagiolo di Cave” che si svolge gli ultimi tre fine settimana di ottobre. Le pregiate caratteristiche culinarie di questo fagiolo sono legate alla buccia sottile, alla facile cottura e al gusto squisito.Queste peculiarità lo rendono adatto per molte ricette tipiche
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Fagioli e Cotiche Ingredienti per 4 persone: gr. 500 di cotenne di maiale fresche, gr. 300 di fagioli borlotti secchi, salsa di pomodoro, gr. 50 di burro, olio di oliva, carote, sedano e cipolle, 1 spicchio d'aglio, pepe e sale. Preparazione: Lasciare i fagioli a bagno in abbondante acqua fredda per una notte quindi, sempre in acqua fredda, metterli a lessare e salarli solo verso la fine della cottura. Mettere in pentola, con acqua fredda, le cotenne già fiammeggiate, raschiate e lavate e unirvi il sedano, la cipolla e l'aglio e portarle a cottura. Quando fagioli e cotenne di maiale sono cotti, in una casseruola, preparare il soffritto con il burro, un po' d'olio, la carota il sedano e la cipolla tritati e un pizzico di pepe macinato. Aggiungervi i fagioli scolati, le cotenne tagliate a pezzetti, un po' di salsa di pomodoro e di brodo delle cotenne sgrassato. Aggiustare di sale e pepe e proseguire la cottura a fuoco basso per mezz'ora circa quindi servire.
della zona di Foligno. Per quanto detto sopra, anche questa varietà locale merita un approfondito lavoro di caratterizzazione e adeguate azioni di valorizzazione, con il coinvolgimento delle popolazioni rurali locali, che giocano un ruolo fondamentale nella conservazione on farm di tale risorsa genetica.
Pasta e Fagioli Ingredienti: 350 gr di fagioli, 150 gr di olio extravergine d'oliva, due spicchi d'aglio, 200 gr di pelati, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, una costa di sedano, origano e prezzemolo, 400 g di pasta mista, un pezzetto di peperoncino forte (o pepe), sale Preparazione: mettere a cuocere i fagioli in acqua abbondante, coperti e a fuoco lento; a cottura quasi ultimata rosolare in un tegame il sedano tagliato e pezzettini e l'aglio, nell'olio. quando l'aglio sarà biondo toglierlo e, fuori dal fuoco, perché non brucino, aggiungere i pelati, il concentrato di pomodoro, il peperoncino , mezzo bicchiere di acqua e il sale; mescolare, bollire per 10 minuti a fuoco lento, poi versare subito il tutto nei fagioli (un poco "disfatti") e continuare per un quarto d'ora la cottura sempre a fuoco lento. per legare meglio la pasta, passare una piccola quantità di fagioli e rimetterli poi nella pentola. calare la pasta nei fagioli, aggiungere l'origano, alzare il fuoco perché il bollore riprenda al più presto e cuocere aggiungendo, se fosse necessario, un poco di acqua. A cottura ultimata, riposare per una decina di minuti. la minestra deve risultare asciutta e legata da una salsa cremosa.
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Ripresa last minute per gli agriturismi? di Mariolina Savino ifficile da prevedere, di certo i dati dicono che il trend negativo dello scorso anno continua ancora, lasciando presagire una stagione 2011 nera per gli agriturismi umbri che, nonostante abbiano lasciato invariati i prezzi e dispongano di una posizione logistico geografica di pregio, fanno prevedere un calo di almeno 10-11% delle presenze rispetto all’anno precedente. Rimane accesa la speranza di quel turismo mordi e fuggi e dell’ultimo minuto, che generalmente, ha caratterizzato il mercato turistico regionale. Eppure va detto che l’Umbria, è fortemente vocata al turismo grazie alla natura generosa che ha distribuito bellezze paesaggistiche in tutta la regione, e una storia ricca di edificazioni architettoniche di pregio che esaltano l’impatto culturale del turista con il territorio, oltre alla presenza di numerosi Santi di prima grandezza, onorati dai fedeli in tutto il mondo e alle numerose eccellenze eno-gastronomiche.
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Inoltre l’Umbria, insieme alla Toscana, è la regione che dispone, su base nazionale, della maggior offerta di agriturismi accessibili ai disabili; circa uno su tre è in regola con la legge quadro n. 96 del 2006 che obbliga gli agriturismi a garantire accessibilità e superamento delle barriere architettoniche. E’ vero, però, che c’è ancora molta strada da fare dal punto di vista della di-
versificazione e caratterizzazione dell’offerta agrituristica dando la possibilità ad ogni operatore di ricercare un proprio target di clientela. Per non parlare poi del problema viabilità che spesso rappresenta un grosso deterrente alla scelta di agriturismi collocati in posizioni di non facile accessibilità stradale. Insomma il cammino è ancora lungo da fare, le strutture alberghiere e para alberghiere in Umbria hanno raggiunto punte di eccellenza, ma l’accoglienza deve raggiungere standard più elevati, dove il turista si senta al centro dell’attenzione, dove offrire servizi e riceverne è uno scambio alla pari.
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Donne e “maiali” dei paesi tuoi di Mariolina Savino utoctono? Ormai sono quasi rare le produzioni di prosciutti provenienti dal sano maiale italiano, si parla addirittura di tre pro-
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sciutti su quattro di origine straniera. Passi il detto donne e buoi dei paesi tuoi, in amore è difficile mettere confini o alzare steccati... ma per le produzioni tipiche italiane, si deve! Il consumatore viene costantemente ingannato durante l’acquisto di alcuni
affettati di pregio, come ad esempio il prosciutto, convinti di portare in tavola un prodotto italiano o umbro, mentre la frode è in agguato a causa di una scarsa ed inadeguata tracciabilità dei tipici allo stato attuale. La Coldiretti ha evidenziato il disagio dei produttori e dei consumatori che stanno subendo un danno enorme, sia economico che sanitario, visto che il cibo è la principale fonte di sostentamento dell’uomo e, deve corrispondere a requisiti sanitari precisi, che cambiano molte volte, da nazione a nazione. Insomma un prosciutto italiano Dop, deve corrispondere a quei precisi dettami imposti dalla legge italiana, cominciando dalla base della filiera agroalimentare, fino al prodotto finale, che giunge in bella vista nei nostri piatti. In realtà i maiali vengono in gran parte importati dall’estero e solo lavorati in Italia, questo passaggio, non viene sufficientemente evidenziato, lo stesso dicasi di mozzarelle o formaggi derivati, che vengono prodotti da cagliate importate e da animali che, non sapremo mai quale foraggio hanno mangiato o in che pascoli sono diventati adulti. La soluzione? Ci può essere, rinforzando i controlli e principalmente puntando su un prodotto italiano firmato doc, dove dal principio della filiera, alla fine di questa, la tracciabilità sia totale e garantita.
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Immerso nel verde delle colline Amerine, l'agriturismo Oliveto è innanzitutto luogo ideale per poter ritrovare tranquillità e pace a contatto con i ritmi della natura. La struttura dispone di 10 appartamenti, tutti con ingresso indipendente
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Porchetta? Quella umbra è la più buona! di Gustavo De Scalzo a carne di maiale trasformata in porchetta, che può essere considerata una specialità umbra, ora è diffusa in tutto il territorio nazionale, ma che affonda le sue origini nelle campagne dell’Umbria. In passato la porchetta era preparata con un maiale di montagna, giovane, spesso selvatico, che non superava i 120-130 chili di peso e nutrito esclusivamente con ghiande e prodotti delle campagne. Nelle nostre pianure fioriva una suinicoltura di prim’ordine, tenuta in vita dagli immensi querceti che si estendevano a perdita d’occhio e davano ghiande in abbondanza per l’allevamento e l’ingrasso dei maiali. I contadini in occasione di feste popolari, usavano, uccidere e preparare il maiale secondo le tradizioni. La domanda di porchetta proveniva principalmente dai frati del Sacro Convento di Assisi e dai canonici in genere. Lo attestano le ordinazioni e i pagamenti per i pasti, trascritti dall’economo nei registri di contabilità delle entrate ed uscite. La porchetta fu una pietanza ricorrente nella mensa dei religiosi. Tra i
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principali estimatori del succulento piatto, figura anche l'imperatore romano Nerone, che, famoso per il palato raffinato, amava imbandire i suoi sontuosi banchetti con la carne di maiale, preparata in porchetta. Sorto probabilmente dall’esperienza dei macellai presenti in Umbria, il mestiere di porchettaio dovette affiancare in seguito quello di piccolo commercio, che iniziò a partire dal 1700 e si tramandava di padre in figlio. Fiorì così una vera e propria industria della porchetta che ha sempre goduto di una fama indiscussa per l’accurata preparazione, l’ottimo condimento e la perfetta cottura, che davano all’arrosto un sapore ed una fragranza unici. La figura del porchettaio, col suo banco di vendita, la bilancia ad asta, l’abbigliamento, il profumo del suo arrosto farcito con sapororitissime frattaglie, divenne caratteristica nei mercati e nelle feste paesane di tutta l’Umbria e non solo. Nei piccoli paesi si continuano a cuocere le porchette nel forno a legna secondo il vecchio sistema tradizionale. Esso è diventato ormai come un rito settimanale. Si continua a scaldare il forno a legna all'antica maniera. Sarà per il conturbante
colore della cotenna o il profumo micidiale, ma quando la incontri non puoi evitarla, la porchetta ti ha già rapito. Si affaccia dalla finestra di certi furgoni, nelle feste di paese o ai margini delle strade. La porchetta è l'ospite indispensabile per rianimare qualche desolante "rinfreschino". Ma da un pò di tempo a questa parte la si incontra facilmente anche in raffinati rinfreschi, banchetti nuziali o merende in certi giardini e parchi che circondano residenze anche prestigiose. E troneggia nei negozi storici circondata da un'aura di rispetto e ammirazione.
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Sì, la porchetta non è solo un alimento, per molti è da sempre un rito che si rinnova e rimanda ad una precisa fenomenologia del desiderio. Dapprima la contemplazione, quasi un rapimento estatico, cui segue l'esame analitico della rosolatura, la consistenza del grasso e il punto del taglio. Due parole con il venditore e lo sguardo fisso sui movimenti del coltello, costituiscono l'ultimo atto. La trasgressione è più forte in presenza di tassi non raccomandabili di colesterolo e trigliceridi. Poi sarà l'irresistibile rosetta, con o senza interiora, o una serie di fette avvolte nella ruvida carta da macellaio. I gusti oggi sono un po' cambiati. Adesso si preferisce una porchetta più delicata, meno ricca di interiora e pepe; ma il segreto è tutto nel condimento e nella cottura. Il canto che si leva da quella pelle rosolata, croccante, battuta ritmicamente con la lama del coltello ci ipnotizza. La preparazione La produzione della porchetta è un'arte affascinante della storia antica, le cui
tecniche di preparazione sono addirittura menzionate in alcuni scritti di letterati ed artisti. La tradizione della porchetta, tipica del-
l'Italia centrale, ha trovato grande successo e seguito in Umbria, dove, esistono zone maggiormente impegnate nella produzione. Questa pietanza, alta-
“La mia ricetta è un segreto” I signori Morroni e Meschini sono produttori della celeberrima Porchetta di Costano. Per poter ottenere una ottima porchetta occorrono maiali maturi di circa 100/120 kg a peso morto e preferibilmente non molto grassi.Il maiale prima di tutto va scelto e selezionato negli allevamenti,poi macellato negli appositi mattatoi,una volta arrivato nel nostro laboratorio viene disossato ed accuratamente condito. “Uno dei nostri segreti sta proprio nel condimento -ci rivela il Sig. Lunghi Luigi-, alla base ci sono sale,pepe,aglio e finocchio selvatico,ma gli altri ingredienti preferisco non dirli. Noi vendiamo al dettaglio la nostra porchetta
nel punto vendita in piazza del mercato a Bastia Umbra e forniamo banchetti e feste private. Sono oltre 50 anni che produco e vendo porchetta -continua Gigi- la nostra è una produzione artigianale,i nostri clienti conoscono perfettamente la qualità del nostro prodotto,vorrei dire solo un’ultima cosa a chi consuma Porchetta,se ne trovano tante in giro per l’Umbria di ‘porchetta di Costano’, non credete a chi vi dice : ‘i maiali sono tutti uguali’ oppure ‘la porchetta è porchetta’, nelle cose che mangiate esigete sempre la freschezza e la qualità”.
La Porchetta di Costano - Lunghi L. di Morroni - Meschini & C. snc
Via Bettona, 5 Costano di Bastia Umbra (Pg) - Tel. 075 8002121 - 349 0583305
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mente gradevole e raffinata, presenta una preparazione alquanto laboriosa e delicata, che consta di numerose fasi. La vera porchetta è fatta da un maiale del peso di circa 120-130 kg che viene cotto intero. Il maiale aperto e disossato viene insaporito con sale, pepe e aromi vari in cui predomina l'aglio ed il finocchio selvatico; viene inoltre farcito con le interiora, fegato, polmone, budella scottate e tagliate a piccoli pezzi, tutto l'insieme riacquista le sembianze di un maialetto quando la carcassa con il suo ripieno vene ricucita legata con spago ed impalata con un palo di legno che fuoriesce dalla bocca e dall'ano per appoggiare su
due supporti che gli consentiranno di stare sollevato dal fondo della leccarda che raccoglierà i liquidi che durante la cottura saranno rilasciati. La cottura a circa 210°C potrà durare anche 7 o 8 ore e ad intervalli di circa un'ora il macellaio tirerà fuori dal forno la porchetta per irrorarla con il liquido formatosi nella leccarda, questo contribuirà a rendere croccante la crosta (cotenna) ed a impedire che la carne secchi troppo. Via via assumerà un colore che solo a vederlo si sente la cotenna scricchiolare sotto i denti. Capirete ora il profumo che si libera nell'aria quando il forno viene aperto. A cottura ultimata,
prima di poterla tagliare deve raffreddare e per questo si deve aspettare qualche ora data la consistenza della massa. Il momento migliore per gustarla è quando è ancora tiepida ed il grasso, non ancora solidificato completamente è trasparente. Con pane ancora caldo, alcune fette di porchetta tagliate nella pancetta, dove il rapporto grasso magro è al 50%, qualche crosticina croccante, qualche pezzetto di fegato e budella, qualche amico a mezzogiorno, con un bel fiasco di vino rosso di quello buono, possono mangiare da veri signori.
Lavorazione tradizionale delle carni suine MASTRINI GIANCARLO è il titolare della TIBERINA CARNI che produce la porchetta di Pantalla, salumi tipici, carni che lavora, trasforma e vende fresche di suino, bovino e ovino provenienti da allevamenti locali. Con la lavorazione del suino produce insaccati e salumi , ma il prodotto leader della Tiberina Carni è la famosa “porchetta di Pantalla”, che si distingue proprio per l’accurata selezione e scelta dei suini e per la lavorazione artigianale che si tramanda oramai da tre generazioni. “La lavorazione della porchetta è curata da me in collaborazione con i dipendenti ed i miei familiari -dice il signor Mastrini-. I maiali di circa 90/120 kg (peso vivo),vengono scelti in allevamenti selezionati di piccole dimensioni, dopo essere stati macellati accuratamente puliti e curati vengono trasportati con automezzi e con personale autorizzato dal mattatoio presso il mio laboratorio a norma CEE, sito in Pantalla di Todi. Per la preparazione, dopo aver dissossato il maiale, utilizzo esclusivamente condimenti naturali: sale, pepe, aglio, finocchio e rosmarino, senza alcun conservante, secondo l’antica ricetta sperimentata da mio padre Bruno, la stessa da ormai 40 anni. La porchetta viene poi riempita con le interiora del maiale ben condite; una volta terminata la preparazione viene cotta nei forni elettrici in acciaio inox, che garantiscono la sicurezza dal punto di vista igenico sanitario”. La Tiberina Carni dispone di 4 autonegozi e con i suoi prodotti è presente nei mercati di Marsciano, Deruta, San Gemini, Torgiano, Terni, Magione, Ponte San Giovanni, Pantalla, Perugia; inoltre, fornisce la Coop Centro Italia, le sagre paesane con prodotti cotti o crudi, ed altri clienti. Si tratta di una vendita prevalentemente al minuto, anzi, al “panino”.
di Mastrini Giancarlo e C Voc. Pontaccio 150 B, Pantalla di Todi (Pg) Tel. 075 888281 - Fax 075 8950091 Cell. 335 7050995 email: tiberinacarni@tiscali.it
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Regione Ospite la “Campania” - A cura di Mariolina Savino
Mitica Campania… terra di pizza, mozzarella e fico bianco del Cilento! Tradizioni italiane sotto la lente d’ingrandimento nella nostra rivista.
n questo numero, i fari si accendono sulle bontà della Campania, una grande regione ricca di molteplici prodotti, funestata dal problema della “munnezza” che sebbene è evidenziata in alcune zone del napoletano, rischia di apparire come un pasticcio molto più esteso e che, invalida l’immagine di un’intera regione virtuosa, amata in particolare dagli stranieri e dagli stessi italiani. Una regione dove luce, colori e sapori, non fanno certo difetto: la Campania. Mare, sole, prodotti di tradizione antica in un vortice ricco di storia, antichi dialetti e vetuste leggende che, fanno da sfondo, ad una cultura culinaria di tutto rispetto, esportata in tutto il mondo. Chi, almeno una volta nella vita, non ha gustato una pizza napoletana o un calzone fumante e profumato appena sfornato? L’italianità dei sapori, nasce da questa terra dove anche il caffè, ha un altro sa-
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pore. In questa gustosa carrellata gastronomica ci soffermiamo sul mitico caciocavallo, un formaggio dolce o piccante, che viene chiamato tradizionalmente così perché appeso a cavallo delle pertiche, per farlo asciugare. Il Caciocavallo Silano DOP è un formaggio semiduro, a pasta filata, prodotto con latte di vacca di diverse razze, tra cui la Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell’appennino meridionale. La produzione del Caciocavallo Silano inizia con la coagulazione del latte fresco a una temperatura di 36-38°C, usando caglio di vitello o di capretto. La fase di maturazione consiste in un’energica fermentazione lattica, la cui durata varia in media dalle 4 alle 10 ore e può dirsi completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata. Segue un'operazione caratteristica, consistente nella formazione di una specie di cordone, che viene plasmato fino a raggiungere la forma defi-
nitiva.La forma, sferica, ovale o troncoconica, varia secondo le diverse aree geografiche di produzione. Il peso è compreso fra 1 e 2,5 kg. La crosta, sottile, liscia, di marcato colore paglierino in superficie, può manifestare la presenza di leggere insenature dovute ai legacci. La pasta si presenta omogenea o con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino. Il sapore è inizialmente dolce fino a divenire piccante a stagionatura avanzata.Il Caciocavallo Silano può essere consumato come formaggio da tavola o utilizzato come ingrediente per tantissime ricette tipiche dell’Italia meridionale. Grazie alle sue qualità nutritive, è particolarmente adatto alle diete dei bambini, degli anziani e degli sportivi. La tesi più accreditata sull’origine della denominazione “caciocavallo” la fa derivare dalla consuetudine di appendere le forme di formaggio, in coppie, a cavallo di pertiche di legno, disposte in prossimità di focolari. Il primo autore che descrive la tecnica usata dai greci nella preparazione del cacio è Ippocrate nel 500 a.C. In seguito diversi autori latini, fra cui Columella e Plinio, hanno trattato dei formaggi nelle proprie opere. In particolare, Plinio esalta le qualità del “butirro”, antenato del nostro caciocavallo, definito “cibo delicatissimo”. La denominazione “Silano” deriva, invece, dalle origini antiche del prodotto legate all’altipiano della Sila. Mare e cielo e entroterra cilentano, ricco di tante bontà come il Fico bianco del Cilento, un frutto dolcissimo e ricercato, da mangiare al naturale o in composta di frutta, o compagno di salumi pregiati come il prosciutto o alcuni formaggi molli. La Denominazione geografica protetta “Fico bianco del Cilento” è riferita al prodotto essiccato della cultivar “Dottato”, pregiata varietà di fico diffusa in tutto il Mezzogiorno. In particolare, il
Bufale al pascolo
prodotto tutelato è quello derivato da uno specifico ecotipo della cultivar Dottato, che si è andato selezionando e diffondendo nel Cilento nel corso dei secoli: il "Bianco del Cilento". Prodotto avente caratteristiche uniche e di assoluto pregio, apprezzate anche all'estero, il “Fico bianco del Cilento” DOP deve la sua denominazione al colore giallo chiaro uniforme della buccia dei frutti essiccati, che diventa marroncino per i frutti che abbiano subito un processo di cottura in forno. La polpa è di consistenza tipicamente pastosa, dal gusto molto dolce, di colore giallo ambrato, con acheni prevalentemente vuoti e ricettacolo interno quasi interamente pieno. Tali caratteristiche, considerate di eccellenza per la categoria commerciale dei fichi essiccati, sono appunto i tratti distintivi che qualificano il “Bianco del Cilento” DOP sui mercati. Confezionati al naturale in diverse forme (cilindriche, a corona, sferiche, a sacchetto) i fichi del Cilento sono commercializzati anche nella maniera antica, posti cioè alla rinfusa in cesti fatti di materiale di origine vegetale che possono arrivare anche a venti chili di peso. Una preparazione tradizionale ancora in uso è quella che vede i fichi “steccati”, infilati cioè in due stecche di legno parallele per formare le “spatole” o “mustaccioli”. Il “Fico Bianco del Cilento” DOP è posto in commercio anche farcito con mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto, bucce di agrumi (ingredienti provenienti dallo stesso territorio di
produzione) o ricoperto di cioccolato, od anche immerso nel rum, con l'obiettivo di ampliare la gamma dell'offerta, soprattutto nel periodo natalizio. Sempre più ricercati sono anche i fichi essiccati e poi dorati al forno, soprattutto quelli farciti. Pregiati, ma sempre più rari per gli alti costi di preparazione, sono i fichi mondi, senza buccia, dal colore chiarissimo tendente al bianco puro e dal sapore prelibato. Le pregevoli caratteristiche del prodotto così come descritte sono dovute, oltre che alle qualità intrinseche della varietà Dottato, anche all’ambiente di coltivazione e di lavorazione dei frutti. Infatti, l’azione mitigatrice del mare e la barriera posta dalla catena degli Appennini alle fredde correnti invernali provenienti da nord-est, insieme alla buona fertilità del suolo e ad un ottimale regime pluviometrico rappresentano le ideali condizioni pedo-climatiche per la produzione dei fichi del Cilento. Inoltre, va posto giusto rilievo al fatto che, oltre alla coltivazione, anche le fasi di essiccazione e lavorazione del prodotto si svolgono per intero nell’area geografica di produzione, presso strutture agricole ed edifici rurali, in un armonico processo di interazione tra prodotto, uomo ed ambiente. La semplicità di coltivazione e la resistenza della pianta ad avversità fitopatologiche, poi, hanno permesso alla coltura di guadagnare anche il gradimento del coltivatore cilentano che ha collocato da sempre il fico nella propria azienda, in coltura specializzata o consociata.
Non va dimenticata, inoltre, la funzione svolta da questa coltivazione nel mantenimento del paesaggio e dello spazio rurale, dal quale appare ormai quasi inscindibile. Non si può parlare di tipicità campane senza menzionare lei, la regina assoluta dei formaggi: la mozzarella di bufala. Elementi di tipicità di questo formaggio fresco a pasta filata, sono soprattutto costituiti dalla materia prima impiegata, il latte fresco di bufala, particolarmente ricco in grasso e proteine, e dalla filatura. Operazione, quest’ultima, consistente nel lavorare a mano la pasta del formaggio a fine maturazione con acqua bollente fino a farla “filare”, in modo da ottenere la particolare consistenza del prodotto finale ed il caratteristico “bouquet”, determinato dalla microflora particolare che si sviluppa durante le varie fasi della lavorazione. La filatura si avvale di un mestolo e di un bastone, entrambi in legno, sollevando e tirando continuamente la pasta fusa fino ad ottenere un impasto omogeneo. Segue poi la formatura, che in molti caseifici si esegue ancora a mano con la tradizionale “mozzatura”, che il casaro effettua con il pollice e l’indice della mano. Le mozzarelle così prodotte vengono poi lasciate raffreddare in vasche contenenti acqua fredda e infine salate. La crosta è sottilissima e di colore bianco porcellanato, mentre la pasta non presenta occhiature ed è leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dalla produzione, e poi sempre più fondente. Il disciplinare, oltre alle clas-
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siche forme tondeggianti, prevede altre tipologie commerciali: i bocconcini, le ciliegine, le perline, i nodini, gli ovolini e le famosissime “trecce”. Il peso varia secondo la forma, da 10 a 800 grammi (3 kg per le trecce). E’ ammessa anche l’affumicatura, un antico e tradizionale processo naturale di lavorazione, ma in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura “affumicata”. Mediamente occorrono 4,2 litri di latte di bufala per produrre un chilogrammo di mozzarella. Una bontà assoluta adatta a tutti i palati, buona da sola o in compagnia di tante varietà di prodotti è la Ricotta di bufala campana. In tutte le aree di produzione della mozzarella di bufala campana, quindi le province di Benevento, Salerno, Caserta, Napoli e altre ricadenti nell’area della DOP “Mozzarella di bufala Campana”, dalla lavorazione del siero della mozzarella si ricava anche la ricotta, che può essere consumata fresca o sottoposta a essiccamento. La ricotta di bufala fresca ha un colore latteo e consistenza morbida e si ottiene riscaldando il siero derivante dalla lavorazione del latte crudo per la produzione di mozzarella di bufala fino alla temperatura di circa 90 gradi. Al siero viene poi aggiunto sale quanto basta per ottenere la giusta sapidità del prodotto. Per ottenere, invece, la ricotta essiccata di bufala, che è a pasta compatta, è necessario che le forme stagionino in cella per circa 10 giorni e poi vengano lasciate per lo meno un mese a essiccare. Vengono poi tolte dai contenitori e lasciate stagionare altri 30 giorni, fino a essere ripulite dalle muffe, private della scorza sottile e messe sotto vuoto. Il piatto più amato da adulti e bambini, è sicuramente la pizza, una semplice composizione di farina, acqua, lievito e sale, che può variare nel condimento a piacere, anche se la più famosa rimane la classica pizza Margherita. Il segreto di una buona pizza, cerchiamo di ricordarlo, è nella semplicità di una pasta ben lievitata, curata e ben cotta e di buona qualità. Queste regole, da sole, esalteranno al massimo la pizza, che, fumante e profumata, verrà sfornata con garbo e maestria. Gli ingredienti per l’impasto ottimale, sono i seguenti: 1 l. di acqua - 2 kg di farina - 20 g di lievito fresco (7 di quello secco) - 50 g di sale marino. Naturalmente le quantità possono essere aumentate o diminuite secondo la
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necessità, come pure il lievito va diminuito se la temperatura ambiente risulta superiore ai 23-25 °C (es. in estate). Un impasto ottenuto secondo la ricetta produrrebbe kg 3,070 di pasta pronta, sufficiente per preparare 4 teglie adatte ad un forno da casa. Uno degli elementi fondamentali per la pizza è il Pomodoro. Preparate la salsa con polpa di pomodoro condita con olio, sale e basilico (o origano se si preferisce). Farla addendare un po’, spegnere il fuoco e lasciare raffreddare. La Margherita è ottima anche col Pomodoro fresco, come nella prima illustrazione. Mentre l’impasto lievita si puliscono 3-4 bei pomodorini maturi e si tagliano a listerelle. Una volta stese le pizze, si coprono generosamente di mozzarella a fette (sarà necessario aumentarne leggermente la dose rispetto alla precedente versione): su di essa si distribuiscono pezzetti di pomodoro e
zarella. Le più usate sono la mozzarella di bufala, la mozzarella fior di latte e le mozzarelle industriali ideate per la pizza. La mozzarella di bufala, a parte qualche altro tipo di mozzarella, e’ piu’ adatta per la pizza napoletana il fior di latte o la mozzarella che viene venduta come “appositamente ideata” per la pizza (Come, ad esempio, la pizzottella). Il fior di latte ha un’umidita’ maggiore e si scioglie molto velocemente mentre il secondo tipo di mozzarella mantiene una certa compattezza anche dopo la
Mozzarella di bufala Fico bianco del Cilento
un pizzico di sale. La mozzarella è una delle specialità italiane fondamentale nella preparazione di pizze. Esistono varie qualità di moz-
cottura. Il basilico è un’erba aromatica che con la sua aggiunta(non più di qualche fogliolina) conclude la preparazione della pizza dando un tocco di classe sia dal punto di vista aromatico e gastronomico che da quello estetico in particola cromatico esaltando la pizza quale piatto prettamente italiano e distintivo di un popolo legato alle tradizioni. Infatti il verde del basilico permette alla pizza di avere una composizione cromatica paragonabile al tricolore italiano.
Le ricette dello Chef Giuseppe Esposito SPIEDINI DI SALSICCIA E PECORINO DEL MONTE S UBASIO IN FOGLIE DI CAVOLO
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i chiamo Giuseppe Esposito e vivo in Umbria a Foligno (PG). La mia carriera è cominciata per un simpatico errore perchè nel lontano 1976, quando mi ero iscritto alla scuola alberghiera, la mia aspirazione e desiderio era di diventare portiere di albergo, ma oggi sono tutt’altro. Ricordo, che eravamo tutti in fila per fare l’iscrizione, sembravamo dei soldatini nella scuola alberghiera di Salerno. Aspettando di essere assegnati ai relativi reparti scolastici mi passava vicino un uomo di statura bassa, con un grosso neo sulla faccia, vestito con una divisa alquanto particolare e sulla testa un maestoso cappello lungo bianco. Mi guardava e prendendomi il braccio con forza mi tirava verso di se. Esclamava : “ Eccoti! Devo completare il mio corso di cucina e tu sarai dei nostri...”. Incominciava così il mio lungo cammino da chef , e con grande stupore da parte mia, mi sono ritrovato a vestire la divisa da cuoco e a partecipare al corso di scuola dello chef Sciamparella. La cucina subito mi ha appassionato e conquistato tanto che oggi è da me amata. Dopo la scuola, con il susseguirsi di vari approfondimenti della professione e lavorando con bravi maestri di cucina in ottimi e prestigiosi Hotel sia italiani che esteri, acquisto tale capacità gerarchica da essere definito chef. Nel 2003, con immenso orgoglio sono approdato nella grande mela (New York o.n.u.) per rappresentare la cucina italiana e poi ancora a Varsavia. La mia felicità arriva anche con una vincita per un meritato primo posto ad una gara di cucina a base di pesce. Il premio di “collegio cocorum”, di “maestro di cucina” e ancora “premio internazionale Caterina dei Medici”, sono stati incisivi per la mia qualità professionale da chef tanto che programmi televisivi mi stanno contattando... Sto orgogliosamente scrivendo ricette per il sito umbriasoft.net il quale vanta il primo premio “marchio Europa per eccellenza”. Concludo questa mia presentazione dicendo che per me la cucina è come uno spartito musicale cioè un pentagramma dove ogni ingrediente si sposa per formare una soave musica. In quel momento, che si vive intorno alla tavola, bisogna saper amare, gustare, assaporare le pietanze piene di colori e gusti e, perchè no, contemplare il retrogusto di una mia inedita ricetta come gli “spaghetti al caffè”. Chef Giuseppe Esposito
Ingredienti per 4 persone: 8 Salsicce di maiale, Pecorino gr 240, Spiedini di legno pz. 8, Olio di oliva dl 1, 8 Pomodori pachino, Pepe q.b., Sale.q.b., 8 foglie di cavolo. Procedimento: Prendere le salsicce di maiale, e dopo aver tolto lo spago, cuocerle su una griglia per circa 20 minuti. Toglierle da fuoco e lasciarle raffreddare. Nel frattempo tagliare il pecorino a cubetti, lavare i pomodori pachino e asciugarli. Tagliare le salsicce a pezzi regolari. Prendere gli spiedini, mettere il pomodoro pachino in fondo, poi la salsiccia, poi il pecorino e in fine il pomodoro pachino. Ripetere l’operazione per tutti gli spiedini. Una volta pronti, prendere le foglie di cavolo lavate e posizionare in ogni foglia uno spiedino. Salare, pepare e irrorare con olio di oliva. Ripetere l’operazione con tutti gli spiedini. Mettere il tutto su una teglia, foderata con carta da forno e metterli in forno a 180 gradi per circa 8 minuti. Togliere dal forno e servire.
PINZIMONIO CON GAMBERI, CALAMARI, ZUCCA E FUNGHI PORCINI ALL’ OLIO DOP UMBRO
Ingredienti per 4 persone: 8 Gamberi mazzancolli , 8 Calamari , Zucca gr 400, 4 Funghi porcini di media grandezza, Olio extra vergine D.O.P. q.b., Sale q.b., Pepe q.b., il succo di un limone, 4 Bicchieri di cristallo, Spiedini di legno.
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Procedimento: Lavare i gamberoni e asciugarli. pulire i calamari, tagliarli a metà e asciugarli. Prendere la zucca, liberarla dalla buccia e tagliarla a quadretti regolari di circa 6 cm. Preparare la brace e sulla graticola cuocere separatamente i gamberoni, i calamari e la zucca. Lasciare il tutto raffreddare, sgusciare i gamberoni e su ogni spiedino di legno infilzare, in sequenza, i calamari, la zucca ed infine i gamberoni. A parte, in una terrina mettere l’olio di oliva, il succo di limone, il sale e il pepe. Intingere gli spiedini, e gustare con l’olio sia i gamberoni che la zucca e i calamari. Fare lo stesso procedimento anche con i funghi porcini.
ZUPPA DI CIPOLLE DI CANNARA ALLO ZAFFERANO CON TRIANGOLI DI PANE NERO
RISOTTO ALLA ZUCCA E TARTUFO Ingredienti per 4 persone: zucca gr. 300, cipolle 2 di media
grandezza, aglio spicchi 1, olio di oliva dl 1, riso Arborio fine gr. 320, formaggio pecorino stagionato gr.200, crema di tartufo gr. 100, sale q.b., pepe q.b., brodo di zucca lt. 2, burro gr. 200, carota 1, sedano 1, cipolla 2, grappa di Montefalco 1 dl, acqua lt. 2. Procedimento: Prendere la zucca, pulirla e lavarla. Tagliarla a pezzettini piccoli. In un tegame capiente sciogliere gr 100 di burro e aggiungere il riso. Farlo tostare rimestando in continuazione con un paletta di legno. Bagnarlo e sfumarlo con la grappa di Montefalco. Aggiungere 200 gr di zucca tagliata a pezzetti e toglierla dal fuoco. In una pentola capiente mettere l’acqua, la carota, il sedano pulito e tagliato a pezzi regolari. Poi a parte, su una padellina antiaderente, tagliare le cipolle a metà e tostarle; una cipolla metterla nel brodo e l’altra cipolla nel brodo. Aggiungere il rimanente della zucca e 10 gr di sale. Fare cuocere a fuoco moderato per 30 minuti. Passare il brodo di zucca con un colino e lasciare sul fuoco in caldo. In una padella con un filo di olio d’ oliva mettere lo spicchio di aglio. E la crema di tartufo. Lasciare cuocere a fuoco moderato per circa 8 minuti, togliere dal fuoco, togliere l’aglio, rimettere il riso sul fuoco e bagnarlo con il brodo ogni volta che evapora, rimestando in continuazione. Dopo circa 12 minuti di cottura aggiungere, la crema di tartufo e amalgamare il tutto a formare la classica onda ( in gergo professionale si dice quando il risotto è perfettamente amalgamato). Togliere dal fuoco e su 4 piatti piani, mettere il risotto. Con una grattugia adatta, fare le scaglie con il formaggio pecorino su ogni piatto e servire. Buon appetito.
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Ingredienti per 4 persone: olio extravergine di oliva 1 dl, alloro 3 foglie, sale q.b., pepe q.b., acqua q.b., formaggio pecorino gr. 200, pane integrale 4 fette, farina gr. 100, origano gr. 10, burro 100 gr, zafferano 1 bustina. Procedimento: Pelare le cipolle e tagliarle a julienne (a fettine fini). In una pentola capiente, versare, l’olio extravergine di oliva e scaldare. Aggiungere le cipolle, le foglie di alloro, l‘origano. Fare rosolare la cipolla, mettere la farina e mescolare bene, poi versare l’acqua . Salare e pepare, tagliare a dadolini il formaggio pecorino e aggiungerlo. Durante la cottura della zuppa, aggiungere la bustina di zafferano e il burro. Prendere le fette di pane integrale, formare dei triangoli e tostarle al forno. Servire la zuppa dopo 49 minuti di cottura. Versare possibilmente in cocci di terracotta, aggiungere il pane e servire.
BARONE DI AGNELLO IN PORCHETTA
Ingredienti per 4 persone: Zampe di agnello giovane disossate gr 800, salsiccia di suino pz 4, olive nere snocciolate gr 100, uova intere pz 4, pane comune gr 200, fegatini di pollo gr 100, latte dl 2, pistacchi sgusciati gr 60, finocchietto selva-
tico gr 3, sale q.b. sepe q.b. formaggio pecorino stagionato gr 100, vino bianco dl 3, cipolla pz 1, sedano coste 2, carota pz 1, pomodori a grappoli pz. 2, olio di oliva dl1, acqua calda, sugna gr 50, salvia e menta fresca gr 100, spago da cucina 1 rotolo. Procedimento: Fare disossare la zampa di agnello in macelleria. In un recipiente capiente, spellare le salsicce e tagliarle a pezzettini, aggiungere le olive nere, i pistacchi, le uova intere, il formaggio pecorino grattugiato, il finocchietto selvatico, poco sale e poco pepe, prendere il pane e farlo a pezzettini piccoli, versarci il latte e aggiungerlo al composto. A parte in una padella mettere l’olio, dopo avere pulito e lavato la cipolla, la carota, e il sedano. Tritare il tutto finemente col coltello sul tagliere e versarlo nella padella. Sciacquare i fegatini con aceto di vino e aggiungerli alle verdure. Pulire e tagliuzzare i pomodori e aggiungerli. Cuocere a fuoco medio, pepare e bagnare con 1 dl di vino bianco, per circa 15 minuti. Poi con il mixer frullare il tutto e aggiungere al composto preparato prima. Mescolare bene il tutto in modo che i vari ingredienti si amalgamino e si incorporino bene come note musicali di una bella sinfonia. Allungare e aprire la zampa di agnello, incorporare bene il composto, e chiudere combaciando i lembi della carne. E poi con lo spago da cucina chiudere bene la zampa, stringendo bene e legandolo con lo spago. In una teglia da forno, mettere un po’ di olio d’ oliva, adagiarvi la zampa e metterla nel forno a 168 gradi. Durante la cottura girarla e bagnarla con il resto del vino bianco e acqua calda ogni volta che tende a restringersi. Dopo circa 50 minuti, togliere dal forno l’agnello, spostarlo in un piatto di portata e fare raffreddare. Nel frattempo prendere la teglia, metterla sul fuoco e aggiungere gr. 50 di sugna ; fare sciogliere e aggiungere le foglie di salvia e menta tagliuzzate finemente, salare e pepare. A parte togliere lo spago dal barone di agnello, tagliarlo a fette e servirlo nei piatti con la salsa calda.
Procedimento: Prendere la fesa di tacchino e tagliarla a fette grossolane, poi ogni fetta tagliarla a bastoncini e passarli nella farina. In una padella capiente, sciogliere il burro sul fuoco e mettere i bastoncini di tacchino dentro. Rimestando farli rosolare, bagnare con l’aceto balsamico, aggiungere i ceci lessati in acqua bollente e scolati in precedenza. Aggiungere un po’ di acqua calda. Salare e pepare. Poi aggiungere la maggiorana. Completare la cottura che sarà di circa 20 minuti. Servire in piatti piani.
BASTONCINI DI TACCHINO CON CECI E ACETO BALSAMICO
Ingredienti per 6 persone: 3 beccacce di peso medio, 120 gr di burro, 3 ½ dl di vino rosso Sagrantino di Montefalco, sale q.b., pepe q.b., tempo di cottura 9-10 minuti. Procedimento: Preparare le beccacce per la cottura togliendo gli intestini, eliminando il ventriglio ed il fiele. Passare al mixer e mettere da parte. Tagliare le beccacce in 6 pezzi ciascuna, farle saltare in una capace padella in cui siano 100 gr di burro spumeggiante e caldo. E quando i pezzi di beccaccia appaiono ben rosolati su ambi i lati, insaporire con sale e pepe. Ritirare la padella dal fuoco, coprirla con un coperchio e lasciare riposare per 6-7 minuti. Dopo di che estrarre dalla padella le beccacce e lasciarla in caldo. Versare nel fondo di cottura della padella il vino Sagrantino, le interiora mixate in precedenza, rimettere sul fuoco e lasciare levare una volta sola il bollore. Insaporire col sale e passare al passino fino la salsa, legare con il rimante burro e quindi su dei piatti piani fare un nido con foglie di alloro e posizionare le porzioni di beccacce. Versare la salsa sopra.
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BECCACCIA SALTATA SAGRANTINO DI MONTEFALCo
PARMIGIANA DI GOBBI
Ingredienti per 4 persone: Ingredienti per 4 persone: fesa di tacchino gr 600, burro gr 100, aceto balsamico dl 2, ceci gr 150, farina q.b., sale q.b., pepe q.b., acqua q.b., maggiorana q.b.
Ingredienti per 4 persone: gobbi (cardi) gr 800 puliti, salsiccia gr 150, pomodori passata gr 500, cipolla 1 media, olio di oliva dl 1, formaggio grattugiato gr. 200, sale e pepe q.b. Procedimento: Prendere i gobbi, pulirli e lavarli bene, sbollentarli, in acqua bollente, per 10 minuti, scolarli e farli raffreddare. In un tegame capiente, mettere l’olio di oliva, tritare la cipolla e metterla nell’olio caldo, fare rosolare e aggiungere la salsiccia sbriciolata, fare rosolare e aggiungere il pomodoro
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passato, salare e pepare. E fare cuocere per circa 15 minuti. Prendere una pirofila e mettere uno strato si salsa preparata, i gobbi e poi un’altro strato di pomodoro, il parmigiano grattugiato e così via fino ad esaurimento degli ingredienti. In forno caldo a 170 gradi mettere la pirofila e far cuocere per 15 minuti. Togliere e servire.
AGRETTI IN SALSA DI ACCJUGHE
zucchero e i rossi d’uovo a crema. Sciogliere in un pentolino su una pentola d’acqua calda, ( a bagno Maria ) insieme al latte il cioccolato fondente e fare raffreddare. Aggiungere il peperoncino tritato fine al cioccolato e il rhum. Aggiungere la farina setacciata e il lievito alla crema fatta in precedenza. Unire la crema con il cioccolato fondente e la bustina di lievito e lavorarla amalgamando bene il tutto. Incorporare gli albumi d’uovo montati in precedenza a neve ferma. Nel frattempo imburrare e infarinare degli stampini di alluminio e versarvi il composto. Riscaldare il forno a 170 gradi e in una teglia capiente, mettere gli stampini a cuocere per circa 50 minuti. Farli raffreddare e sfornarli. Servire su un piatto con il cioccolato fondente divertendovi con la fantasia
MOUSSE ALLE FRAGOLE
Ingredienti per 4 persone: agretti gr 650, olio di oliva 2 dl, filetti di acciughe gr 100, Sale q.b., peperoncino gr 10, capperi gr 30, Acqua q.b. Procedimento: Prendere gli agretti, pulirli e lavarli bene. In una capiente pentola con acqua salata, fare bollire e cuocere gli agretti per 10 minuti. Scolarli, raffreddarli in acqua con ghiaccio e scolarli di nuovo. In un pentolino mettere l’olio di oliva, i filetti di acciuga, i peperoncini e un po’ di sale fino. Scaldare sul fuoco a calore moderato, finchè si sciolgono le acciughe. Lasciare raffreddare. Aggiungere i capperi lavati dal sale. Condire gli agretti con la salsa preparata. Salare, pepare e servire.
IL CAPRICCIO DEGLI DEI AL PEPERONCINO Ingredienti: burro gr 400, zucchero gr 250, cioccolato fondente gr 250, rossi d’uovo 6, albume d’ uovo montati neve ferma 6, peperoncino tritato fine gr 10, 1 dl di liquore rhum, farina setacciata gr 400, lievito vanigliato per dolci 1 bustina, latte 2 dl, stampini di alluminio. Procedimento: Montare con la frusta il burro ammollito, lo
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Ingredienti per 6 persone: fragole gr 500, albumi d’uovo 4, zucchero a velo gr 150, panna montata dl 4. Procedimento: Dopo aver pulito e lavato le fragole col vino bianco, frullarle con il mixer. Al composto ottenuto aggiungere gli albumi d’uovo sbattuti in precedenza a neve ferma, poi incorporare lo zucchero a velo e la panna montata. Versare in bicchieri di vetro e decorare con le fragole e la menta fresca. Lasciare raffreddare nel frigorifero per un ora e poi servirle.
I migliori oli DOP dell’Umbria remiati i migliori Olio Dop dell'Umbria. Sono stati selezionati dalla giuria del premio Olio Dop Umbria 2011, la prestigiosa manifestazione giunta alla dodicesima edizione. Una rassegna da record: erano presenti 33 aziende produttrici, provenienti dalle cinque sottozone Dop nelle quali è diviso il territorio regionale. Gli oli che hanno raggiunto il più alto punteggio di qualità, secondo il regolamento del concorso, parteciperanno alla fase finale dell' “Ercole Olivario”, il premio nazionale per l'olio extravergine di qualità che ha proclamato i migliori oli italiani del 2011. Ecco i “magnifici sei” oli umbri finalisti: Contessa Geltrude di Amelia; Società agricola Mascio di Trevi; Cantine Giorgio
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Lungarotti di Torgiano; Azienda agricola Pucciarella di Magione; Azienda agraria Viola di Sant'Eraclio di Foligno e Società agricola “Il Frantoio” di Torre Matigge di Trevi; Il primo premio per le piccole produzioni certificate è andato alla Società agricola San Biagio di Vasciano di Todi. Il riconoscimento è riservato a chi assicura la commercializzazione in proprio di un lotto omogeneo di almeno10 hl. Il premio “Qualità ed immagine 2011” è andato invece alla Azienda agraria Giulivi Fabio di Narni. Un riconoscimento, che oltre alla qualità organolettiche del prodotto, premia la capacità di dare chiare informazioni al consumatore, l'eleganza dell'etichetta,
il design e la funzionalità della bottiglia e i materiali innovativi usati per la confezione. I vincitori delle cinque sottozone sono stati i seguenti: Contessa Geltrude (Colli Amerini); Società agricola Mascio (Colli Assisi-Spoleto); Cantine Giorgio Lungarotti (Colli Martani); Azienda agricola Pucciarella (Colli del Trasimeno) e Al Vecchio Frantoio F.lli Bartolomei (Colli Orvietani). L'Umbria è l'unica regione italiana nella quale tutto il territorio è tutelato dalla denominazione di origine protetta. Un vanto di qualità per l'olio di casa nostra. Per questo il presidente Mencaroni ha voluto assegnare un premio speciale anche alla Dop Umbria. Il riconoscimento è stato ritirato dal professor Gianfrancesco Montedoro, la massima autorità dell'olivocoltura regionale. Un segno di vitalità per tutto il settore, che, come ha sottolineato Giorgio Mencaroni, presidente di Unioncamere, nel suo applaudito intervento “punta con serietà e rigore, sulla qualità e sulla certificazione, che faranno sempre più la differenza sui mercati nazionali ed esteri. Una scelta chiara, proprio a pochi giorni dall'entrata in vigore di una normativa europea che autorizzerà i deodorati. Una contestata legge “compromesso” che permetterà di aumentare nell'extravergine di oliva le concentrazioni massime di alchil esteri, i composti chimici che si formano nei prodotti di scadente qualità. E di conseguenza, autorizzerà, la commercializzazione di “condimenti” deodorati. Il rischio, evidente sarà quello di spalancare le porte dei supermercati di tutta Europa a delle miscele di qualità dubbia”. Mencaroni è tornato ad invocare una carta degli Oli in tutti i ristoranti regionali ed ha invitato produttori e addetti ai lavori a ragionare su un unico brand: “Si può lavorare insieme: il sistema camerale, la Regione, il mondo produttivo e le associazioni agricole. Uniti per valorizzare un marchio: quello dell'Umbria. Fernanda Cecchini, assessore regionale all'Agricoltura, ha lodato la capacità dei frantoi umbri di insistere, anche in questa fase di crisi, sugli investimenti e l'innovazione tecnologica. E ha parlato di misure in grado di sostenere sui mercati un prodotto che “va oltre la capacità di generare reddito ma fa parte della storia secolare della nostra terra”.
Ercole Olivario premia gli extravergine italiani 2011 Consegnati a Spoleto gli ambiti riconoscimenti: 4 premi al Lazio, 2 alla Toscana, seguono Umbria, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia e Veneto
’olio extravergine di oliva di qualità, con oltre 250 milioni di piante che caratterizzano il nostro Paese anche dal punto di vista paesaggistico, è il prodotto che unisce l’Italia. Un prodotto quindi ancora più importante e rappresentativo in questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E le migliori etichette della campagna olearia 2010/2011 sono state premiate a Spoleto, presso il Teatro Caio Melisso, durante la cerimonia finale dell’Ercole Olivario. Il premio, giunto alla XIX edizione, racconta la storia delle eccellenze olearie italiane. L’olio diventa così il vero protagonista sulle tavole degli Italiani, confermandosi il motore dello sviluppo economico di un sistema di imprese che trova oggi, nel legame tra origine obbligatoria e territorio, il punto di equilibrio più alto. Un legame forte che rappresenta un importante plus per questo prodotto, vero portabandiera del made in Italy di qualità. Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere Nazionale, ha definito
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l’edizione 2011 “una gara virtuosa che modifica in positivo l’approccio del nostro sistema produttivo oleario con i mercati nazionali e internazionali, contribuendo ad accrescere nel mondo l’offerta di eccellenza che è tipica di un sistema di imprese che fa leva sul vero made in Italy”. Questa del 2011 è stata un’edizione da record per il concorso. 355 aziende concorrenti, in rappresentanza di 17 regioni. 92, invece, i finalisti dai quali, una giuria di 16 assaggiatori guidati da un capo panel, ha scelto i migliori extravergine nelle varie categorie in gara. “Quello dell’Ercole Olivario – ha affermato Giorgio Mencaroni, Presidente della Camera di Commercio di Perugia e del comitato di coordinamento del premio nazionale – è l’appuntamento dell’alta qualità italiana del settore olivicolo con il mercato e il commercio. Per questo abbiamo coniugato, nel rispetto della tradizione camerale, la formula del concorso con incontri B2B e B2C, proprio allo scopo di offrire alle aziende finaliste l’opportunità di incrociare buyer e altri gruppi di compratori
durante lo svolgimento delle fasi del concorso. Il tutto grazie anche a una collaborazione ormai consolidata con l’ICE”. L’Italia, quindi, si conferma sempre più la patria dei mille sapori dell’extravergine di qualità come dimostra la mappa del gusto di questa XIX edizione. Basilicata, Calabria, Umbria e Veneto si aggiudicano i primi posto per la categoria del fruttato leggero. A Campania, Sardegna, Toscana e Lazio, invece, vanno quelli della categoria fruttato medio. Ancora Lazio, Toscana e Sicilia si aggiudicano i premi per il fruttato intenso. A questi riconoscimenti si aggiungono il premio speciale Amphora Olearia, per la migliore etichetta, ottenuto a un’azienda abruzzese, e la menzione speciale per il miglior olio biologico che è andato ad arricchire il già cospicuo palmares del Lazio. Risultati XIX Edizione concorso nazionale “Ercole Olivario” FRUTTATO LEGGERO Olio Extravergine di Oliva 1 Classifi-
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cato: Olio Extravergine della Soc. Agr. Ceraudo Roberto srl - Marina di Strongoli (KR) - CALABRIA 2 Classificato: Olio Extravergine dell’ Oleificio Trisaia di Laguardia Giuliana - Rotondella (MT) – BASILICATA Olio Extravergine DOP 1 Classificato: Olio Extravergine DOP “Veneto Valpolicella” Cantina Sociale della Valpantena -Quinto di Valpantena (VR) - VENETO 2 Classificato: Olio Extravergine DOP “Umbria” della Soc. Agr. Trevi Il Frantoio - Torre di Matigge - Trevi (PG) UMBRIA FRUTTATO MEDIO Olio Extravergine di Oliva 1 Classificato: Olio Extravergine dell’Azienda Chisu Sandro - Orosei (NU) - SARDEGNA 2 Classificato: Olio Extravergine dell’Azienda Badevisco di Cassetta Franco - Sessa Aurunca (CE) - CAMPANIA Olio Extravergine DOP 1 Classificato: Olio Extravergine DOP “Colline Pontine” dell’ Azienda Cetrone -Sonnino (LT) - LAZIO 2 Classificato: Olio Extravergine DOP “Terre di Siena” dell’ Az. Agr. Carraia di Bardi Franco - Trequanda (SI) – TOSCANA
FRUTTATO INTENSO Olio Extravergine di Oliva 1 Classificato: Olio Extravergine dell’Azienda Quattrociocchi Valentina - Alatri (FR) - LAZIO 2 Classificato: Olio Extravergine dell’Azienda Giannini Giancarlo – Arezzo - TOSCANA Olio Extravergine DOP 1 Classificato: Olio Extravergine DOP “Valli Trapanesi” dell’Az. Agr. Titone di Antonina Anna Titone –Trapani - SICILIA 2 Classificato: Olio Extravergine DOP
’azienda Gradassi possiede circa 20000 ulivi tra proprietà ed affitto. La cultivar prevalente è il Moraiolo, ma abbiamo anche Leccino e Frantoio, anche se in musira molto ridotta. La raccolta viene eseguita sia meccanicamente, nei punti più pianeggianti, che manualmente nei punti più scomodi. Le olive vengono portate al nostro frantoio e lavorate internamente; una parte del prodotto, circa 1500 quintali viene venduto ai privati direttamente dal frantoio, mentre la parte restante, circa 5000 quintali va alla Cufrol, una azienda nostra consociata, che im-
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“Colline Pontine” dell’Az. Agr. Orsini Paola - Priverno (LT) – LAZIO PREMIO SPECIALE AMPHORA OLEARIA Olio Extravergine della Soc. Agr. Forcella s.s. di Giovanni e Paolo Iannetti & C. – Pescara – ABRUZZO MENZIONE SPECIALE PER L’OLIO BIOLOGICO Olio Extravergine dell’Azienda Quattrociocchi Valentina Alatri (FR) - LAZIO
bottiglia e commercializza il nostro olio. Alla Cufrol si fa commercializzazione del marchio Gradassi che viene esportato in 27 Stati del mondo. Il 65% dell’intera commercializzazione viene eseguita all’estero e questo è l’unico modo per cui possiamo sopravvivere, altrimenti solo con il mercato italiano non ci sarebbe margine di guadagno. Negli ultimi anni stiamo “sbarcando” anche nelle nazioni emergenti come la Bulgaria, la Svolenia, ecc. In Russia, invece, siamo presenti già da un decennio con un marchio abbastanza affermato. L’azienda produce un grosso quantitativo di olio DOP, anche se quest’anno abbiamo deciso di ridurre un po’ la produzione. Oggi, il comparto sta versando in una grave crisi, perché purtroppo molte olive rimangono sugli alberi e molto olio rimane invenduto. Quest’anno la qualità è ottima, l’olio è meno aggressivo degli anni passati, molto più morbido ed elegante. Anche per questo ci dispiace dovere lasciare sugli alberi il prodotto a causa delle eccedenze che penalizzano molto il settore. Secondo me la Regione Umbria dovrebbe puntare molto di più sulla pubblicità televisiva dell’olio umbro, come avviene nelle altre regioni, perché solo in questo modo riusciremmo ad arrivare veramente a tutti. Carlo Gradassi
La Roveja è di Castelluccio o di Civita di Cascia? Giuseppe Iacorossi afferma che è Castelluccio la patria di questo legume
Silvana Crespi rivendica la “riscoperta” nel territorio casciano e la tutela di Slow Food
omenica 30 gennaio ho avuto modo di vedere su Rai 1 alle ore 12,35 il programma “Linea Verde” dove un cronista Rai intervistava la Signora Silvana di Civita di Cascia. La Signora Silvana asseriva di aver riportato alla luce un seme che il nonno aveva nascosto in cantina dentro un barattolo di vetro. Sicuramente la Signora Silvana era in buonafede e così pure il signor Alberto Mesca, Direttore del periodico “l’Umbria dei Sapori”, che nel n. 3 di ottobre 2010, pag. 49, riporta che la Roveja è un seme che è stato riscoperto nella zona del Casciano. Tutto falso. A Castelluccio di Norcia (PG), tutti sanno che la Roveja è stata sempre coltivata e consumata in quantità che io ho stimato in due chili pro capite. Mio padre, classe 1916, ancora vivente, durante le semine primaverili riservava un pezzo di terra di circa 3.000 metri quadrati per seminare Roveja, Farro e “Orzo Munno”. Questa produzione era per il solo uso familiare. Io ho seguitato la tradizione ed ho sempre seminato un pezzetto di terreno a Roveja e Farro, mentre non ho più seminato l’ “orzo munno”. Molti agricoltori di Castelluccio, e in particolare le due Cooperative del posto, ogni anno seminano diversi ettari a Roveja per la commercializzazione. Ripeto che a Castelluccio la Roveja è stata sempre seminata. Il raccolto della roveja viene quasi interamente macinato per fare una farina finalizzata alla preparazione della “farecchiata”, una specie di polenta, condita con olio extra vergine d’oliva e con sardelle o alici spinate fatte soffriggere in una terrina di coccio. La “farecchiata” è ottima anche il giorno dopo, tagliata a fette e abbrustolita in padella o sulla griglia. Per il suo condimento di magro, veniva consumata quasi tutti i giorni nel periodo della quaresima. Con la roveja intera si possono preparare anche delle minestre. La roveja, nella tradizione castellucciana, viene seminata con il metodo detto “a cotica” in primavera e viene raccolta e trebbiata in agosto. A Castelluccio viene seminata nei campi del Pian Grande a 1.200 metri slm e sui campi nei costoni del Vettore fino a 1600 metri slm. Giuseppe Iacorossi
ono Silvana Crespi e vorrei replicare all’articolo del Signor Giuseppe jacorossi, apparso sulla rivista “L’Umbria dei Sapori”, n. 1 febbraio 2011, dedicato ad un servizio della trasmissione televisiva “Linea Verde” sul presidio Slow Food della “Roveja di Civita di Cascia”, servizio cui io ho partecipato. Il Sig. Jacorossi contesta le ragioni affermate nel servizio televisivo che la roveja sia stata riscoperta nel territorio casciano, sostenendo che questo legume è coltivato da sempre nei terreni di Castelluccio. Un più attento ascolto delle mie risposte all’intervista del conduttore non avrebbe indotto il Sig. Jacorossi a considerazioni così superficiali. Nel servizio non c’è mai stata da parte mia la rivendicazione di essere l’unica a coltivare e utilizzare la roveja, tanto più che, in altre trasmissioni televisive, su specifiche domande, ho sempre asserito come questo legume sia prodotto anche nei Monti Sibillini, nelle vicine Marche e in altre regioni d’Italia. Ho sempre accompagnato le mie asserzioni con riferimenti sia ad antichi documenti che a ricerche attuali condotte da Università ed altri enti di ricerca. La differenza che rivendico tra la mia attività e quella dei coltivatori di Castelluccio è questa: se è vero che loro coltivano la roveja da sempre, è pure vero che io l’ho “riscoperta”, con il significato di aver voluto rivalutare un legume povero dei nostri vecchi, di averlo fatto conoscere e di averne fatto rivivere la storia. Questa è stata la mia passione dal 1999, anno in cui scoprii un barattolo di semi tra alcuni oggetti di mio suocero. Erano semi di roveja. Li seminammo, da quei semi nacquero le piante, ma nacque anche la curiosità di saperne di più, la determinazione di far conoscere quella pianta e la sua storia e quante più persone possibili e di interessare a quel legume gli enti e le istituzioni utili per tramandare con quel seme le tradizioni della nostra gente. Nel corso di più di dieci anni io ho portato la mia roveja in tantissimi mercati, mostre, fiere e manifestazioni. Ne ho parlato con tantissime persone, ne ho raccontato il passato ed il presente e descritto le caratteristiche ai più curiosi ed appassionati. Ed è proprio in una di queste manifestazioni, a Foligno nel 2004, che la “Roveja di Civita di Cascia” veniva riconosciuta dall’autorevole Slow Food come Presidio. Ricordo che in questo caso “presidio” vuole significare tutela dei piccoli produttori e del prodotto di qualità, promozione e valorizzazione dei sapori e dei territori. I coltivatori di Castelluccio hanno avuto il torto di sottovalutare la loro roveja, probabilmente perché si sono adagiati sui profitti della enorme produzione di lenticchia. Io preferisco cercare nei libri, nei documenti e preferisco i piccoli appezzamenti, la piccola commercializzazione. In più sono una donna: tutte le donne tramandano il seme, danno la vita, vanno avanti, guardano nel profondo e sanno vedere più di altri che, superficialmente, danno tutto per scontato.
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Articolo pubblicato nel n°1 dell’Umbria dei Sapori - Febbraio 2011
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Silvana Crespi
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