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MEDITERRANEA L i b r i

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o t t o b r e AttualitĂ Intervista con Andrea Vallicelli Moreno Salvatore Alte latitudini Nicola Ricchetti Il mio naufragio

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2 Nicola Corda Maestri d’ascia Assaggi Andrea Pendibene Una grande avventura. La mia Transat 6.50

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Hendrik Willem van Loon Navi del Seicento e del Settecento Dietrich V. Haeften Brutto tempo, che fare?


c o m e av e r e mediterranea

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Mediterranea è distribuita gratuitamente nelle librerie di mare, nei negozi di nautica, nei circoli, nelle scuole di vela, nei porti turistici e nelle principali fiere nautiche in Italia. Se avete un’associazione, un circolo di appassionati, o un punto vendita di nautica e volete ricevere Mediterranea da distribuire ai vostri soci e clienti, non dovete far altro che richiedere il numero di copie che pensate vi possano essere necessarie scrivendo una e-mail indirizzata a:

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info@mediterranea.tv o telefonando allo 06 70492976. Per ricevere tutti i numeri di Mediterranea a casa propria, basta pagare un contributo per le spese di spedizione di 5 euro l’anno sul ccp 69312031 intestato a Nutrimenti srl, specificando il proprio indirizzo esatto e segnalando come causale: Abbonamento Mediterranea.

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Ed i t o r i al e

L’estate se n’è andata, ma non ha portato via con sé le nostre barche, non ha svuotato il mare dalle vele, non ha spento la voglia di percorrere nuove rotte, di esplorare nuovi orizzonti. Sempre più italiani continuano a navigare anche d’inverno, nel Mediterraneo ma spesso anche fuori dalle colonne d’Ercole. Chi per partecipare ai campionati Sempre più invernali che raccolgono ormai alcune migliaia di velisti, chi per continuare a godersi passeggiate e minicrociere nel italiani mare davanti casa, chi per allungare la propria scia fino continuano a ai confini del mondo. Moreno Salvatore è fra questi ultimi: dopo averne parlato per tanto tempo con gli amici, lo navigare anche ha fatto davvero. Ha mollato gli ormeggi ed è arrivato da d’inverno, nel solo fino in Terra del fuoco, ad Ushuaia, nota anche come Fin del mundo, navigando con la sua Fortuna fra i canali Mediterraneo ma cileni, ormeggiando al cospetto di ghiacciai maestosi, nel spesso anche fuor silenzio e nella solitudine più totali. Attraverso il suo racconto resta aperto il canale dalle colonne di comunicazione fra Mediterranea e gli italiani in giro d’Ercole. per il mondo con la propria barca. Storie che fanno capire quanto sia cambiato, e stia cambiando, il rapporto fra il Belpaese e la vela. Per tanti la barca resta legittimamente sinonimo di vacanze e crociere, ma c’è anche chi sogna una sua particolare sfida sul mare. Come il popolo dei ‘ministi’, di cui raccontiamo in questo numero due storie esemplari: quella di Andrea Pendibene, uno tanto ostinato che, partendo da zero e poco più che ventenne, è riuscito a partecipare ad una Mini Transat, la regata che da La Rochelle arriva a Salvador de Bahia su barchini di sei metri e mezzo, e quella dello sfortunato Nicola Ricchetti, naufragato con il suo Nanan. Un racconto, il suo, da leggere con attenzione perché ha molto da insegnare a tutti, specie sotto il profilo della sicurezza. Quanto stiano cambiando le barche a vela lo abbiamo chiesto invece ad Andrea Vallicelli, probabilmente il progettista italiano più famoso, il ‘padre’ di Azzurra e di tantissime barche sia da regata che da crociera, oggi progettista fra l’altro della fortunata serie dei nuovi Comet. Con lui abbiamo cercato di capire in che direzione sta andando l’industria nautica, cosa bisogna attendersi per i prossimi anni, ma anche che ruolo occupi oggi l’industria italiana del settore. Anche se l’inverno è ormai alle porte non smetteremo insomma di pensare al mare. Ci accompagneranno, come sempre, i tanti libri che alimentano la nostra passione. E tante sono le novità di cui troverete ghiotti assaggi in questo numero di Mediterranea. La nostra rivista compie un anno e conferma la sua cadenza bimestrale, ma soprattutto la sua fisionomia particolare di linea d’intersezione fra l’attualità e l’editoria nautica, la sua vocazione ad alimentare la cultura marinara a 360 gradi. L’invito a tutti è di scriverci per offrire il vostro contributo, per raccontarci storie di mare che non trovano posto altrove (come quella di Tonino Sanna, maestro d’ascia a Carloforte) o semplicemente per comunicarci commenti e suggerimenti: la nostra bussola più affidabile. A.P.

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In copertina: faro dell’isola di Strombolicchio, isole Eolie (illustrazione Ada Carpi).

Rubriche Settemila titoli per navigare a Roma Notizie in breve Il velaio risponde

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Giramondo Magia delle alte latitudini

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Intervista ad Andrea Vallicelli Anche in mare il made in Italy è qualità

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Attualità Il mio naufragio

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Vela classica Un mestiere per scaldarsi

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Intervista a Dino Crivellari Una Banca dedicata alla gestione degli Npls che segue le regole del mare

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Assaggi Andrea Pendibene. Dentro una grande avventura

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Navi del Seicento e del Settecento viste da Van Loon

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È meglio essere qui e desiderare di essere là fuori, piuttosto che essere là fuori e desiderare di essere qui pag.

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Velocità, comodità, praticità, efficienza? Le difficili scelte del velista

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Ufficiali gentiluomini

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La Preda

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S ca f f al i a pr o va d ’ o nda

settemila titoli

per navigare a Roma Prosegue il viaggio di Mediterranea nelle librerie nautiche d’Italia. Questa volta facciamo tappa nella Libreria Nautica Clypper di Roma.

Ha recentemente festeggiato i suoi primi dieci anni di attività la Libreria Nautica Clypper di Roma, punto di incontro nel centro della città per gli amanti del mare, i diportisti e i lettori appassionati: tutto il mare a trecentosessanta gradi. Il catalogo libri contiene oltre settemila titoli che spaziano dalla subacquea alla nautica e a tutti gli sport acquatici, dalla narrativa sul mare alla manualistica specializzata, dalla malacologia alla biologia marina, dalla storia della navigazione alla marineria moderna, sia mercantile che militare, ma anche gastronomia, guide turistiche e naturalistiche, libri fotografici e per ragazzi.

Il settore tecnico comprende, oltre a una vasta manualistica per natanti, imbarcazioni e navi a vela o a motore, anche i portolani e le pubblicazioni ufficiali: strumenti indispensabili allo skipper per affrontare una navigazione sicura. In libreria è disponibile la cartografia nautica cartacea ed elettronica di tutti i mari del mondo, in qualità di Concessionario Ufficiale dell’Istituto Idrografico della Marina Italiana e dei maggiori produttori di cartografia nautica mondiale: il British Admiralty, il Service Hydrographique et Oceanographique de la Marine francese (Shom), Imray, Nauticard International.

Il personale della libreria è specializzato e disponibile a dare complete informazioni sui prodotti in vendita e fornire la consulenza per l’organizzazione di crociere e trasferimenti in completa sicurezza ed in regola con il Codice della navigazione. Da anni la Libreria Nautica Clypper si adopera, in collaborazione con la Capitaneria di Porto Guardia Costiera di Roma, in campagne di informazione sulla sicurezza ed il comportamento da tenere in mare, sia a bordo di imbarcazioni e navi, ma anche sulle spiagge e nello svolgimento di sport acquatici. Per coloro che amano partecipare attivamente, un’attenta organizzazione, in collaborazione con alcune scuole ed associazioni veliche, prepara corsi di patente nautica a vela e/o motore, di iniziazione e perfezionamento alla vela, di meteorologia, di navigazione astronomica e di primo soccorso in mare.

Libreria Nautica Clypper via M. Bragadin, 42 00136 Roma tel./fax 06 397 21 512 www.librerianautica.it


notizie in breve La Class 40 si presenta a Genova con Soldini, Miceli e Vettorato. Mercoledì 7 ottobre, alle 16,00, presso il Teatro del mare della Fiera nautica di Genova, Giovanni Soldini, Matteo Miceli e Maurizio Vettorato parlano delle regole, delle barche, del successo e delle prospettive di una classe che sta avendo un vero e proprio boom nelle regate oceaniche. Sempre a Genova Miceli presenta il primo modello di Este 40, la barca con cui punta a realizzare una nuova impresa, il primo giro del mondo, in solitario e senza scalo, Roma-Roma. Partenza prevista il 2012, in coincidenza con la prossima edizione della Vendée Globe (il giro del mondo no-stop per solitari).

una forza di polizia marina internazionale in un tratto di mare ormai letteralmente infestato dai pirati. L’ultimo attacco dei pirati c’è stato del resto solo poche ore dopo l’annuncio della liberazione dei due francesi, con il sequestro di una nave di Hong Kong nella zona del Golfo di Aden. E un cargo egiziano con 25 persone a bordo era stato arrembato e catturato la sera del 4 settembre. Solo fra agosto e settembre di quest’anno si calcolano 12 attacchi. E Sarkozy sottolinea che sarebbero almeno 15 le navi e 150 le persone ancora in mano ai pirati.

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Pirati! Secondo blitz delle forze delle operazioni speciali francesi per liberare due velisti transalpini finiti in mano ai pirati al largo della Somalia. Jean-Yves Delanne e la moglie Bernadette, appassionati velisti che vivono da alcuni anni a Tahiti, erano stati sequestrati con la loro barca di 16 metri il 2 settembre scorso e i pirati avevano chiesto un riscatto di 2 milioni di dollari. Il 15 l’intervento dei commandos francesi che hanno ucciso uno dei pirati e arrestati altri 6, che vanno ad aggiungersi ai 6 arrestati nel precedente intervento di aprile. Il presidente francese Sarkozy ha lanciato un nuovo appello per la costituzione di

Il mistero della barca fantasma Né pirati, né mosti marini, né una misteriosa tempesta. Alle origini di quello che nel 2007 era apparso come un vero e proprio mistero del mare ci sarebbe stata nient’altro che una tragica, e sfortunatissima, sequela di incidenti. Uno yacht a vela, il Kaz II, partito per una crociera di otto settimane con tre persone di equipaggio, fu ritrovato tre giorni dopo la sua partenza in Australia mentre navigava, con il motore acceso, il pranzo servito a tavola, perfettamente efficiente, ma senza nessuno a bordo. L’inchiesta della magistratura del Queensland ha alla fine ricostruito l’accaduto: i tre membri d’equipaggio, lo skipper Derek Betten, 56 anni, e i fratelli Peter e Jim Tunstead, 69 e 63 anni, sarebbero finiti in mare uno

dopo l’altro. Uno dei fratelli nel tentativo di liberare il timone della barca da una rete che gli era rimasta aggrovigliata, il secondo fratello è caduto in acqua nel tentativo di soccorrerlo, lo skipper, infine, mentre manovrava per tornare a ripescare i due passeggeri. E la barca ha continuato da sola la sua navigazione.

progetto è una iniziativa di Avanzi, centro studi sulla sostenibilità ambientale che si avvale del sostegno di Unicredit Group e del patrocinio del Ministero dell’Ambiente.

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giovani azzurri: bene in Equipe Ottimi piazzamenti degli equipaggi italiani nel campionato europeo di Equipe svoltosi ad agosto a Quiberon (Francia). Raccoglie successi in particolare la Società Triestina della Vela con il primo posto, fra le ragazze, di Sarara Daccache e Valeria Puletti e il terzo posto, fra i ragazzi di Andrea Savio e Matteo Roici. Ottimo anche il terzo posto delle romane Francesca Bertola e Giulia Tisselli, del Nauticlub Castel Fusano.

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Vela verde Nel Salone nautico di Genova arriva anche Verde come Vela, la prima barca a impatto ambientale uguale a zero. In 400 miglia navigate e 15 incontri di sensibilizzazione, Verde come Vela punta a dimostrare che qualsiasi barca può drasticamente ridurre il suo impatto ambientale. Il

Franck Cammas con Oracle È il forte skipper francese esperto di multiscafi (suo il record di traversata dell’Atlantico in 4 giorni e 3 ore con Groupama) ad allenare il team di Oracle sul nuovo trimarano di 27 metri. Non è però affatto sicuro che la prossima Coppa America, o meglio la sfida-tormentone con Alinghi, si corra davvero con questi mostri dagli alberi alti 50 metri e capaci ovviamente di ben altre velocità rispetto ai vecchi Coppa America. Addio a Raimond Bucher, pioniere della subacquea Se n’è andato alla veneranda età di 96 anni quello che è considerato il padre delle immersioni in apnea. Fu proprio Bucher a mettere infatti a punto, insieme a Massimo D’Asta, la tecnica della compensazione che gli permise anche a stabilire i primi record di immersione: meno 29 metri a Capri nel 1949, meno 30 a Napoli nel 1950, fino ai meno 39 nel 1952. Bucher, ungherese di nascita ma di padre italiano, è stato anche grande aviatore, comandando la pattuglia acrobatica, e documentarista, suo il film Sesto continente. mediterranea


Il velaio risponde Come di consueto abbiamo girato le domande dei lettori di Mediterranea ad Antonio Incarbona, titolare della Veleria Incarbona di Fiumicino. Per avere risposte ai vostri dubbi di ogni genere sulle vele, da come sceglierle a come trattarle, scrivete a mediterranea@nutrimenti.net. Da qualche anno è scoppiata quasi una moda per lo stralletto volante su cui armare una trinchetta. È utile? E qual è l’armo migliore per poter affrontare in sicurezza (quasi) ogni tempo? Se si ha un genoa su rollafiocco ed il vento rinforza di solito si comincia a rollare la vela. Ma se il vento aumenta al punto da portare la vela alla superficie di un fiocco o di una tormentina, vi renderete conto che è impossibile fare una buona bolina (la barca sbanda molto, fa poca prua e non raggiunge una buona velocità). Per ovviare a questo inconveniente su molte barche si sta usando un’ottima alternativa, quella di applicare uno strallo volante sul quale armare vele (fiocchi, trinchette o tormentine) che consentano di bolinare in sicurezza e che abbiano sicuramente una forma migliore rispetto ad un genoa (se pur di ottimo taglio) rollato più giri sull’avvolgifiocco.

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È sottinteso che il montaggio di uno strallo volante deve essere effettuato da attrezzisti specializzati. Per le rande rollabili è possibile utilizzare tutti i tipi di tessuto? Non vi è alcuna controindicazione ad utilizzare un materiale piuttosto che un altro per la realizzazione di un randa rollabile. Dacron, Sandwich, Mylar, Kevlar, membrane o quant’altro, l’importante che sia adeguatamente robusto. Si possono realizzare genoa in grado di essere ridotti (avvolti) senza perdere di efficienza? Purtroppo per quanto possa essere eccellente il suo taglio, quando il genoa viene parzialmente avvolto al rollafiocco, venendo meno la tensione lungo l’inferitura, la vela tende ad insaccare e di conseguenza a perdere il suo profilo iniziale e la sua efficienza.

Qual è realisticamente (e a prescindere da eventuali rotture accidentali) la durata media di una vela in Kevlar? Non è facile stabilire la durata di una vela in kevlar. Dipende innanzitutto da come viene utilizzata, quante volte viene piegata, quanto rimane esposta al sole. 100 miglia percorse in un’unica navigazione di certo non compromettono la resistenza di una vela in Kevlar ma se le stesse miglia vengono frazionate in 20 o 30 uscite si possono cominciare a notare segni di invecchiamento o cedimento. Come per tutte le vele, se si potessero sempre riporre arrotolate piuttosto che piegate, la loro durata aumenterebbe sensibilmente. Come vanno trattate le vele quando si tira a secco la barca per l’inverno? L’ideale è di smontarle, lavarle o quanto meno sciacquarle accuratamente (la salsedine tende a trattenere l’umidità e facilita la formazione di muffe oltre a corrodere alcuni componenti delle vele), farle asciugare molto bene e riporle se possibile arrotolate all’interno della cabina o in un altro posto purché sia asciutto e al riparo dal sole.


G i ram o nd o

Magia delle alte latitudini di Moreno Salvatore Il Milione, L’Isola del tesoro, Ventimila leghe sotto i mari, Zanna bianca, questo il genere di libri che divoravo da bambino. Spesso mi isolavo nel mio mondo interiore e viaggiavo con la fantasia sognando luoghi lontani in veste di piccolo esploratore. Venne l’epoca del mare “sotto”, complici i documentari di Jacques Cousteau, e così iniziai ad avventurarmi in questo universo, l’elemento liquido ed il suo contenuto. Ben presto oltre che dalla biologia marina fui affascinato dai relitti, dallo scoprire ancore litiche e storici manufatti, dalle immersioni nel blu. Contestualmente viaggiavo come potevo, erano gli anni 70’ e sedicenne, con autostop e zaino in spalla, girai per l’Europa. Appena patentato i miei ge-

nitori mi regalarono un vecchio maggiolino e poco tempo dopo percorrevo le strade del Nord Africa. Bellissimi ricordi di paesaggi ed odori, di gente semplice ed ospitale, di oasi e palmeti, di strade polverose e piste sino all’ex Sahara Spagnolo. Passarono gli anni ed il lavoro mi assorbì sino al midol-

Fortuna nel Brazo Noroeste del canale di Beagle, in rotta verso Seno Pia.

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In alto: ormeggio a Ushuaia. A fianco partendo dall’alto: leoni marini a seno Garibaldi; ormeggio di fronte al ghiacciaio Martial.

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lo, ma un mese di libertà l’anno comunque me lo concedevo, assaporavo la nuova meta studiandone il percorso, le etnie e la storia dei luoghi, prenotavo il volo di destinazione e da lì procedevo con qualsiasi mezzo; Africa, Asia, Centro America. L’approccio con la vela avvenne non da giovanissimo ma fu folgorante, presi coscienza che il mezzo mi consentiva di viaggiare portando con me il mio universo, una casa cui gli orizzonti potevano cambiare a piacimento. Comprai una vecchia Alpa 9.10, iniziai a girovagare per destinazioni nostrane ma mi resi ben presto conto che per gestire in sicurezza una barca in navigazione, in piena libertà ed autonomia, occorreva ben altra preparazione di quella che sino ad allora avevo acquisito. Da quel momento cercai di navigare il più possibile, frequentai scuole d’altura, viaggiando via mare in qualsiasi luogo mi stimolasse e fosse tecnicamente propedeutico, da Atene sino ad Istanbul, l’Irlanda, il Fastnet, le Aran, le Anglonormanne, in ge-

nerale l’Atlantico del Nord. L’ultimo bel viaggio di trasferimento in equipaggio lo feci su un 24 metri in alluminio, salpando dalle coste della Bretagna con destino la Norvegia, oltre il Circolo Polare Artico, risalendo i fiordi sino a latitudine 70° Nord. Navigando in questi luoghi, nel Grande Nord, provai la sensazione di completa integrazione con gli elementi, in un paesaggio della mia anima fatto di grandi silenzi, ombre azzurre, colori e luci, provai di nuovo la dimensione dello spirito legata all’infanzia. Il resto, mi riferisco alle recenti scelte di vita, fu la conseguenza logica. Nel 2005 mi consegnarono Fortuna, un Ovni, a Les Sables d’Olonne, rientrai via Gibilterra sino a Fiumicino. Mi preparai ulteriormente a questo viaggio pensato da lungo tempo e salpai nell’ Agosto del 2006 con destinazione Salvador de Bahia. L’idea iniziale era quella di visitare il Brasile per poi risalire sino a Panama e continuare verso ovest nel classico giro del mondo per Equatore. Qualcosa


accadde, le alte latitudini avevano lasciato in me un segno indelebile e così, rientrando a Roma per le festività natalizie comprai un badile ed un machete, non divulgai le mie intenzioni e a chi mi chiedeva di ulteriori sviluppi parlavo di Buenos Aires. Rientrato a Salvador salpai verso Sud, fu la parte più dura del viaggio, la grande area di bassa pressione ti lascia ben poche possibilità di pianificazione, o ti porti molto al largo, ma senza possibilità di riparo, o segui la costa. Dovevo raggiungere a Vitoria il mio amico argentino Federico, anche lui solo, aveva avuto un problema con il motore e volevo essergli accanto per aiutarlo, quindi optai per una rotta costiera. Uno stillicidio, un traffico incredibile, molte piattaforme petrolifere, ma il peggio avvenne quando mi resi conto che il radar non “batteva” i numerosi piccoli pescherecci in legno e quindi mi dovetti adattare a microsonni di soli dodici minuti. Federico lo avevo conosciuto durante la traversata dalle Canarie a Capo Verde, ero salpato da due

giorni e per abitudine, mantenendo acceso il Vhf sul canale 16, Federico mi chiamò, mi aveva ascoltato precedentemente in Hf ed ero a 100 miglia dalla sua poppa, solo anche lui, stava trasferendo un VdS 37 di nome Tango. Ci incontrammo poi a Mindelo dove atterrai un giorno prima. Lo attesi aspettandomi che mi offrisse la cioccolata svizzera tanto decantata nei colloqui alla radio, lui aspettandosi di degustare un buon caffè italiano, e così fu. Di seguito mi fermai in quel paradiso a sud di Rio de Janeiro che è Ilha Grande, poi l’Uruguai per poi entrare nel Rio de la Plata ed atterrare a Buenos Aires, ma ben presto desiderai salpare per nuovi lidi, ancora verso Sud, la Patagonia, la misteriosa Isla de los Estados, il canale di Le Maire e da lì in rotta diretta sino a Capo Horn. Ora Fortuna dopo 12.000 miglia è alla boa ad Ushaia, o “Fin del Mundo” come amano chiamarla gli argentini. Circa il 50% del mio navigare l’ho compiuto in solitario, mentre con il mio amico Jorge abbiamo na-

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Una parentesi a propulsione animale

Incontrai il musher professionista Juan Pablo Fama (www. tierradelfuego.org.ar/ fama) e gli dissi che intendevo apprendere a condurre in autonomia una slitta con cani sia su percorsi aperti che tra i boschi. Simpatizzammo subito, stessa corporatura, stesso sguardo, medesima indole. Affare fatto, Juan Pablo si sarebbe prestato a trasmettermi il suo sapere. Prima uscita, -12°C., circuito base ben battuto, si va assieme su di una slitta pesante 37 kg, larga 74 cm. molto stabile, la muta è composta da otto cani. Juan Pablo conduce la prima parte del percorso, mi indica poche, precise nozioni poi arriva il mio turno. Percorro 4 km

con diverse curve larghe, mi sembra tutto così naturale, la slitta risponde ed il musher mi incoraggia. Alla fine percorro 12 km e mi sento felice. Seconda uscita, -15°C., Juan Pablo mi accoglie con un “Ricordi ieri? Bene, dimenticalo! Oggi proverai qualcosa che è tutt’altra storia. Ti darò una slitta da competizione, pesa 12 kg ed è larga 50 cm, mooolto veloce. Niente Huskies, come muta due sprinter Greyster”. Juan Pablo imbraga i cani, noto l’eccitazione dei due Greyster, sto con il freno inchiodato, come lo mollo le belve scattano, mi sento catapultato indietro su questa slitta che fatico a mantenere nella giusta direzione, i due Greyster non mi obbediscono, continuano a galoppare come indemoniati.

Due curve in derapata prima di imboccare il ponte che è maledettamente stretto, freno un poco e mi impongo di togliere rigidità al mio corpo. Negli spazi aperti inizio a godere del paesaggio, la neve è brillante e tutto mi appare bellissimo. Non so come, ma alla fine percorro 12 km senza cadere. Juan Pablo mi osserva compiaciuto, mi confida che vado incredibilmente bene ed il mio ego cresce. Terza uscita, -5°C., la notte è stata ventosa ed ha pelato la pista che a tratti è gelata. Stavolta mi toccano tre sprinter Greyster, Juan Pablo mi avverte, con tre cani la partenza sarà molto più forte e per un percorso maggiore. Mi sento tranquillo, ma sbaglio. Al comando le belve scattano con una violenza inaspettata,

veloce, troppo veloce, cerco istintivamente il freno ma lo manco, la slitta si traversa e su un dosso si capovolge. Juan Pablo mi chiede se desidero continuare con solo due cani, desisto e mi vivo una giornata di memorabili deparate, qualche salto con la slitta nei dossi ed altre tre cadute. Miracolosamente evito qualche albero di troppo nel bosco! L’ego si abbassa. Quarta uscita, nevica copiosamente e meno male perché mi toccano quattro cani, tre Greyster ed un Alaskan Husky. Ma il fondo non è veloce, la neve accumulata rallenta la corsa della muta. Negli spazi aperti inizio a godere del paesaggio, è tutto bellissimo, gli alberi sono carichi di neve ed il silenzio assoluto. Dopo 8km. mi fermo al

ricovero dei cani, Juan Pablo mi dice: “Ora proverai un nuovo percorso, fai attenzione perché hai subito una lunga curva in pendio a mezza costa, segue la ripida discesa tra gli alberi ed un paio di curve molto strette, anticipa molto i movimenti, frena dolcemente prima delle curve, tieni il baricentro basso”, e per giunta cambia la muta: quattro Greyster freschi. Y bueno, la suerte è dalla mia, non cadrò e riuscirò a fare l’ intero percorso senza toccare il freno se non per evitare che la slitta troppo veloce in discesa possa urtare i cani di coda. Lo sledog è qualcosa di magico, a volte l’impeto dei cani ti travolge ed il cuore sussulta, altre il paesaggio ti ammalia e la poesia prende il sopravvento sugli elementi.


vigato per il Beagle, sfilato per i canali cileni raggiungendo i ghiacciai della cordigliera di Darwin, osservando spettacolari fiordi, vivendo una natura forte, godendo di una pace assoluta. Con Federico invece abbiamo doppiato Capo Horn provenienti da l’isla de los Estados. Ed il badile con il machete? Con il primo si spala le neve e con l’altro si tagliano le lunghe e pesanti alghe kelp che si tirano su salpando la catena dell’ancora. Sì, viaggiare. In Terra del Fuoco ne sto sperimentando altri modi, con uno zaino in spalla risalendo i ghiacciai sino alla vetta per vedere il mondo dall’alto o con una slitta trainata dai cani lungo le torbiere innevate sognando, come da bambino, una Iditarod. Patagonia e Terra del Fuoco Navigando attorno alla barca giocano delfini e leoni marini, sotto le ali degli albatros e le petrelle o cormorani; Questa è la prima visione che si ha in queste acque. Sono facilmente avvistabili ed avvicinabili i leoni marini ed i pinguini; In giornate casualmente favorevoli le orche e le balene nei loro movimenti da nord a sud o da oceano ad

oceano. A terra i guanaco, le lontre ed i castori, i conigli e le volpi. Passeggiando la beltà degli alberi bandiera, la onnipresenza degli alberi di lenga, il calafate con i suoi squisiti frutti e piccoli fiori gialli, il pane degli indios (Darwin’s fungus), i colori dei licheni ed il muschio. In aria le leggiadre sterne gaviotin sudamericano ed i martin pescatore, in acque protette il pato vapor ed il cauquèn, nella boscaglia i carpintero negro patagonico. Questo e molto più in Terra del Fuoco. La traversata in barca a vela del Beagle, lungo lo stesso epico tragitto effettuato nel XIX secolo da Fitzroy e Darwin nel corso delle loro esplorazioni, è un esperienza memorabile; Ghiacciai di un azzurro intenso e verdi pareti verticali scendono a picco nell’acqua a breve distanza dall’imbarcazione. Purtroppo attualmente la maggior parte dei ghiacciai nel mondo è in fase di arretramento ma la Cordillera Darwin, estrema propaggine delle Ande, offre ancora spettacolari opportunità. Via mare, nei “seni ventisquero”, questi ghiacciai si possono avvicinare e con particolari precauzioni perfino camminarci sopra, osservare i crepacci o scalarli.

In alto: Seno Pia, Moreno al timone. Nella pagina a fianco: sulla slitta trainata dagli husky.

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In t e rv i s t a ad A ndr e a V all i c e ll i

Anche in mare il made in Italy è qualitĂ

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Dove va l’industria nautica? Mediterranea lo abbiamo chiesto a uno dei progettisti italiani più noti, il padre di Azzurra e di tante barche diventate famose. In che direzione va l’industria nel settore delle barche a vela? C’è una tendenza riconoscibile nei grandi numeri? “C’è sicuramente una produzione di serie che tende a migliorare l’accessibilità, che va cioè nella direzione di quella che chiamiamo ‘easy sailing’. Si lavora in particolare nel miglioramento delle attrezzature, degli scafi, nell’aumento del comfort. Una tendenza costante ormai da diversi anni, Inoltre resta una ricerca nella qualità estetica, si migliora lo stile delle imbarcazioni come ‘plus’ per la vendita.

Azzurra progettata da Andrea Vallicelli è stata la prima barca a portare una sfida italiana in Coppa America.

Ma la tendenza verso l’easy sailing non è in contraddizione con il settore che sembra sempre più diffuso del ‘regata-crociera’, barche cioè che hanno come obiettivo anche quello di alte prestazioni? “No, questa del regata-crociera è una peculiarità molto italiana. A livello mondiale le barche da crociera occupano di gran lunga la fetta maggiore del mercato. Poi, certo, la barca a vela già per sua natura rimane sportiva. Ma il numero di barche da regata è senz’altro minoritario nella produzione complessiva. Che cos’è cambiato rispetto a trenta anni fa? “Di certo l’economia di scala. Una produzione di tipo industriale ha permesso di abbassare i costi e quindi di allargare la base dell’utenza. In particolare le industrie tedesche e francesi sono andate in questa direzione, con una produzione magari a volte criticabile, ma a prezzi decisamente più accessibili”. Non c’è il rischio che una produzione di questo tipo vada anche a scapito della sicurezza?

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“Bisogna distinguere. Le barche da regata sono costruite secondo regolamenti di sicurezza che hanno generalmente funzionato abbastanza bene, ad eccezione di qualche evento clamoroso, per altro ormai lontano nel tempo, come il Fastnet del ’79 o qualche Sidney-Hobart,. Gli standard più elevati di sicurezza nelle regate si sono poi regolarmente riverberati anche nelle barche da crociera. Certo, le barche di serie, quelle più economiche, hanno a volte cose che lasciano a desiderare, spesso più che negli scafi in alcuni dettagli importanti, come gli alberi o le lande (i punti di attacco delle sartie allo scafo, ndr) che fanno un po’ temere. C’è però anche da dire che per fortuna sono barche destinate ad un pubblico che sta più in porto che in mare. E in generale c’è da dire che il numero degli incidenti nel nostro settore non è così alto come in altri settori”. E l’industria italiana che scelte ha fatto? Il nostro Paese riesce ad essere competitivo a livello internazionale?

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L’Italia non ha mai avuto una competitività sul piano dei numeri. Si è ritagliata però uno spazio di qualità generalmente superiore, con un appeal estetico e una sostanza costruttiva migliore di quella della produzione industriale del Nord Europa. I due più grandi cantieri italiani, la Comar e il Cantiere del Pardo (produttori rispettivamente dei Comet e dei Grand Soleil, ndr) realizzano prodotti più curati, più performanti, di migliore qualità estetica. Si sono ritagliati una fascia intermedia fra la grande produzione industriale e i cantieri di punta tipo Swan o Baltic. I nuovi materiali quanto hanno cambiato nel modo di progettare le barche? “Sul piano delle prestazioni lo sviluppo tecnologico ha modificato radicalmente i prodotti. Penso ad esempio all’albero in carbonio che sta sostituendo sempre più spesso quelli in alluminio”. È davvero così efficace? “Non c’è paragone. Permette di alzare il


baricentro, di usare meno zavorra, migliora di molto le prestazioni di una barca”.

1979, io avevo ventotto anni... ed è dunque legata a bellissimi ricordi”.

E invece nella direzione dell’easy sailing che cosa dobbiamo aspettarci che renda ancora più semplice la vita a bordo? “Si lavora soprattutto nella semplificazione delle attrezzature, ad esempio nel miglioramento di tutti i rullatori per le vele, e si lavora nella sperimentazione delle attrezzature.

In un mondo che sta in ‘riserva’ con il petrolio, la produzione di barche non viene toccata dai ragionamenti sull’uso compatibile delle risorse? “Se ne parla molto, ma ancora non si fa abbastanza. C’è da dire comunque che le barche a vela da questo punto di vista sono i prodotti più nel comparto nautico complessivo. Diverso è il discorso per le barche a motore e ancora di più per i mega-yacht che per fortuna sono molto pochi. L’Ucina ha fatto qualche cosa in questo senso, ma la mia impressione è che molto resta ancora da fare”.

Lei ha disegnato tante barche famose, quali sono i progetti a cui è rimasto più affezionato? “In genere la barca a cui si è più affezionati è sempre l’ultima realizzata. Ma se devo dire le barche che mi sono rimaste nel cuore devo citare sinceramente Azzurra, è quasi banale dirlo, e poi i Brava. Ecco, la prima Brava era una barca che non garantiva solo performance, non a caso è stata premiata come la più bella dell’Admiral’s Cup dell’81 e ha vinto il Fastnet. Poi era una barca realizzata a New York nel

A sinistra, Brava, una delle barche rimaste nel cuore di Vallicelli. A destra una delle sue ultime creature, il Comet 41S.

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A t t u al i t à

Il mio naufragio Il naufragio del suo Mini, conclusosi felicemente, è l’occasione per l’armatore di utili riflessioni.

di Nicola Ricchetti

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Martedì 22 aprile alla mattina ci lasciamo alle spalle il canale di Piombino, il meteo diramato sul 73 dal comitato di regata ci preannuncia un SO in intensificazione durante il pomeriggio e in calo dalla serata con mare molto formato. Siamo sotto spi con un leggero sud est che si affievolisce sempre per poi lasciare spazio al nord ovest. Riponiamo spi e prepariamo noi e la barca per il rinforzo da SO mentre

risaliamo di bolina e il vento a poco a gira verso OSO. Prepariamo un sacchetto con affettati, formaggi, pane, biscotti e barrette per avere cibo a sufficienza fino alla mattina successiva senza doverlo andare a cercare quando ci sarà vento e mare, ci organizziamo per continuare a riposare e mangiare correttamente anche durante il brutto tempo. Appena il vento sale sostituiamo il genoa


con il fiocco e poche decine di minuti e prendiamo la prima e poi la seconda mano di terzaroli, tutto un po’ in anticipo, per pochi minuti siamo leggermente sottoinvelati, poi Nanan riprende il suo passo a 55.5 nodi per 320° e qualcosa di più quando poggiamo. Verso le 14-14.30 Guido scende a riposare, io rimango in pozzetto: ho la cerata completa, stivali e sotto la cerata indosso già gli strati previsti per la notte; indosso la cintura, e sono legato con due ombelicali, uno corto fissato a centro barca al puntapiedi e uno lungo fissato all’albero. Inizialmente fisso il timone con l’elastico e lascio che Nanan bolini da sola, poi (dopo aver ripensato alle parole con cui Enrico Podestà commentò un ribaltamento “forse la barca un po’ di controllo lo voleva”) mi metto al timone seduto sul fondo del pozzetto con il sedere puntato sul puntapiedi sopravento e i piedi su quello sottovento, con una mano mi tengo alla lifeline. Il vento intanto si assesta tra i 25-30 nodi con qualche rinforzo un po’ sopra, il mare è decisamente formato anche a causa del vento molto più forte su Capo Corso, sono un po’ teso come sempre quando il vento e il mare salgono ma tutto sommato abbastanza tranquillo, sento che tutto è sotto controllo, orziamo sulle onde più grosse e subito ripoggiamo per riprendere velocità, prendiamo un paio di bei frangenti ma Nanan non fa una piega. Guido è sotto che riposa e io così legato e “puntellato” sul fondo del pozzetto mi sento al sicuro. Verso le 16 Guido esce per darmi il cambio, fa alcuni filmini e io resto al timone circa mezz’oretta in modo da dargli il tempo di adattarsi e di vedere come si comporta la barca. Ragioniamo sul fatto che quando prendiamo treni di tre onde piuttosto grosse non dobbiamo orzare troppo presto per non rallentare troppo la barca e d’improvviso ci troviamo di fronte a un’onda molto ripida e con un frangente molto alto; l’onda è molto vicina, ci ha sorpresi e vedo il frangente che è molto più alto di noi, orzo con scarsa convinzione verso l’onda chiedendomi cosa possiamo fare noi contro di lei e chiedendomi cosa ci farà: non penso tanto che possa ribaltare la barca ma che possa sradicarci via da lei. In un attimo la barca è coricata su un fianco, non ricordo il rumore del frangente che picchia contro la barca, né ricordo gli spruzzi dell’onda che si frange contro di noi come avviene di solito quando si è investiti da un frangente, è piuttosto come se la barca fosse stata presa e lanciata un po’ più in là dall’onda. Per alcuni attimi

non capisco in quale posizione sono messo, ho la sensazione di aver vissuto quello che descrive chi sopravvive a una valanga, poi riemergo dall’acqua e vedo Nanan sopra di noi inclinata a circa 150 gradi, per una frazione D ’ i m p r o v v i s o c i di secondo penso che troviamo di le considerazioni fatte un mercoledì con fronte a Paltrinieri sul Garda un’onda molto fossero errate: anche il Naus si ribalta e poi r i p i d a e c o n u n dico a Guido che dobbiamo slegarci. Un atti- f r a n g e n t e m o l t o mo dopo Nanan si gira alto; l’onda è e ci trascina sott’acqua, passo i primi secondi m o l t o v i c i n a , c i cercando solo di forza ha sorpresi e di tirarmi fuori dall’acvedo il qua, apro la bocca per la voglia di respirare f r a n g e n t e c h e è ma è piena d’acqua, molto più alto butto fuori un po’ di ossigeno per svuotarla d i n o i , o r z o c o n e mi rendo conto che scarsa così riduco la mia autonomia, inizio a pensare convinzione che sto per annegare verso l’onda lì sotto, poi con calma faccio scorrere le mani chiedendomi lungo gli ombelicali e cosa possiamo sgancio prima uno e poi l’altro moschettone f a r e n o i c o n t r o (è un’operazione che di lei e più volte fisicamente e mentalmente ho chiedendomi provato proprio nella cosa ci farà. prospettiva di un ribaltamento), provo a raggiungere la superficie ma qualcosa mi trattiene, capisco che sono finito in mezzo alle draglie, mi spingo verso il basso per liberarmi e poi provo ad andare su, ma sento che la cerata è incastrata da qualche parte, me la sfilo come se fosse un maglione e finalmente riesco a raggiungere la superficie, un secondo dopo appare anche Guido. La barca è scuffiata a circa 200°, ripenso al racconto di Paltrinieri, a lui che si appende alla chiglia per raddrizzarla e mi attacco al timone, Guido d’istinto fa lo stesso e Nanan si mette a 90°; io passo in pozzetto, libero le scotte mentre guido sale sulla fiancata e resta attaccato alle draglie, discutiamo un po’ su quale sia il punto più sicuro in cui stare (io temo che la barca si raddrizzi e subito riparta, per cui voglio ritrovarmi dentro al pozzetto, Guido stoicamente sta sulla fiancata attaccato alle draglie per dare ancora mediterranea

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un minimo contributo al raddrizzamento) e Nanan dopo poco si raddrizza. Per un istante pensiamo che il peggio sia passato ma subito la felicità svanisce: dopo essersi raddrizzata Nanan si immerge notevolmente l’uscita di poppa e le due entrate sono completamente coperti dall’acqua, la barca è molto inclinata verso poppa e sul fianco sinistro. Vado a poppa per attivare l’epirb e mi accorgo che il portello di poppa è stato spazzato via, mi affaccio, tasto il fondo della barca per raggiungere l’epirb e la zattera ma lì dove erano posizionati non c’è più niente; torno in pozzetto e lo comunico a Guido; proviamo a mettere la barra alla poggia e il fiocco a collo ma la barca non reagisce in alcun modo dalle entrate intanto escono varie cose, noi tiriamo fuori la roba che si affaccia sia perché speriamo di trovare qualcosa di utile sia per spargere più roba possibile sulla superficie del mare. Prendo in mano una delle scotte dello spi per non perdere contatto con la barca e vado verso la poppa, l’acqua mi arriva all’altezza del torace, mi immergo ed entro con tutto il busto all’interno della barca, di nuovo allungo le braccia per cercare la zattera e l’epirb, ma non trovo niente: dentro la barca c’è un gran casino, uno spi è uscito dal sacco e vaga per la barca, è incastrato da qualche parte e non riesco a tirarlo fuori, vorrei entrare a cercare la zattera e l’epirb che non so dove siano e che non so nemmeno se sono in barca o fuori ma ho paura di rimanere di nuovo bloccato dentro la barca, riemergo e torno dai tambucci. Esce una cioccolata e la mangiamo, mi ricordo delle parole di Umberto Verna che al corso Isaf ci disse che i tempi di sopravvivenza si accorciano se uno si dà per spacciato, esce un sacco a pelo e me lo stringo tra le gambe per evitare che vada via pensando che possa tornarci utile per disperdere meno calore. Passa così circa mezz’ora, io sono in pozzetto con l’acqua all’altezza della vita e Guido è accucciato sulla falchetta di dritta che è a pelo d’acqua, ogni tanto mi segnala l’arrivo di un frangente e io smetto di rovistare tra la roba che esce e mi attacco alle draglie. Ci scambiamo poche altre parole, parliamo dei

tempi dell’ipotermia e del fatto che non è una morte dolorosa; per il resto stiamo in silenzio; mi ritrovo a pensare che tra qualche ora qualcuno a casa si preoccuperà vedendoci sempre fermi in quella posizione, ancora qualche ora e poi al mattino seguente, via vhf, le barche appoggio chiederanno alle altre se ci hanno visto e poi verranno attivati i soccorsi ma credo sarà tardi. A un certo punto decido di provare a tirare giù la randa e lasciare il fiocco a collo, sperando che la barca riesca a partire in qualche modo a navigare nel senso delle onde e del vento. Sono a piede dell’albero quando Guido richiama la mia attenzione, dalle sue parole capisco che ha visto qualcosa, mi immagino che stia passando qualcuno abbastanza lontano e invece appena mi giro vedo un rimorchiatore vicinissimo a noi; sono forse più incredulo che felice, ci sbracciamo per attirare la loro attenzione e poi ci abbracciamo. Il recupero richiederà circa dieci-quindici minuti, ci fanno due o tre giri intorno, noi siamo restii a lasciare la barca, mi levo gli stivali per nuotare meglio e al terzo giro fanno una manovra eccezionale e si ritrovano sopravento a noi di meno di 15 metri, ci lanciano un salvagente e ci tirano (romanticamente mano nella mano) verso di loro, ci appendiamo alla cima galleggiante che penzola dalle fiancate e in qualche modo, non senza un po’ di ansia per quell’enorme bottazzo e per quel forte rollio, siamo finalmente a bordo. Alcune considerazioni La rotta seguita Non nascondo che quello che credo sia l’errore scatenante il tutto possa essere la scelta della rotta seguita; partiti da Piombino con vento leggero per qualche miglio siamo stati più a est della rotta diretta, poi quando il vento ha girato abbiamo cercato di risalire il più possibile per tenerci più a ovest della rotta diretta ma siamo passati comunque in una zona prossima alle secche di Vada con fondali intorno ai 15-20 metri che potrebbero anche aver influito sul moto ondoso. Cinture, salvagenti, moschettoni a sgancio rapido e tradizionali. Quando ci siamo ritrovati sott’acqua ci siamo scontrati con l’annosa questione dei moschettoni delle cinture da cui liberarsi: quando il regolamento della classe mini è cambiato imponendo i moschettoni a sgancio rapido in molti si sono adeguati al cambiamento ritenendo prioritaria la possibilità di liberarsi in fretta offerta da questi moschettoni, altri hanno preferito continuare ad usare i vecchi perché temevano che


quelli a sgancio rapido si prestassero troppo facilmente ad un’apertura accidentale. Io sono uno di quelli che ha optato per questa strada, perché ho sempre ritenuto maggiore il rischio di cadere fuoribordo che non quello di trovarmi legato sotto una barca rovesciata; per ovviare al problema della maggiore difficoltà di apertura dei moschettoni tradizionali più volte ho provato mentre ero al timone a chiudere gli occhi, seguire con la mano gli ombelicali fino ad arrivare con la mano al moschettone, aprirlo, liberarmi dalla cintura e rimetterlo a posto. Spesso ho fatto questo allenamento anche solo mentalmente e credo che potrebbe essere utile per tutti, anche per chi ha optato per quelli a sgancio rapido. Devo dire che quando mi sono trovato sott’acqua non ho avuto il minimo problema ad aprire il moschettone e non credo che la frazione di secondo che avrei risparmiato con lo sgancio rapido sia significativa. Solitamente non indosso mai il salvagente ma la solo la cintura, sia perché mi da più sicurezza sia per il rischio che in caso di ribaltamento l’autogonfiabile renda più difficile uscire da sotto la barca; un buon compromesso potrebbe essere l’utilizzo di autogonfiabili dotati di una cintura molto robusta e privati del meccanismo che li fa gonfiare automaticamente tramite la pastiglia di sale o di carta. Epirb, zattera, Tps e bidone di sopravvivenza Erano fissati in quest’ordine vicino all’uscita di poppa; l’epirb non era vicino alle entrate tradizionali perché a barca rovesciata nel Naus sono molto difficili da raggiungere ed era fissato al suo supporto che era attaccato alla barca tramite biadesivo 3M e Sika. La zattera era fissata alla barca tramite quattro punti di ancoraggio a cui erano fissate due cime che disegnavano due “U” rovesciate, una da un lato della zattera e una dall’altro; le due U rovesciate erano unite tra di loro tramite una cimetta e un moschettone a sgancio rapido per far si che la zattera potesse essere liberata velocemente anche con una mano sola come richiesto dal regolamento. Il bidone di sopravvivenza era tenuto attaccato alla zattera con due cime elastiche, quando si è spostata la zattera anche il bidone è risultato privo di un solido ancoraggio. Quando ho ritrovato la barca ho provato ad aprire il bidone: anche se era chiuso decisamente bene (in ginocchio sulla spiaggia ho fatto fatica ad aprirlo, mi chiedo come ci sarei riuscito se lo avessi dovuto aprire da solo su una barca semiaffondata sballottata

dalle onde) all’interno era presente un po’ d’acqua che potrebbe aver danneggiato i fuochi. Le Tps erano fissate una su ogni lato della barca, fuori dagli spazi in cui tengo le borse con i vestiti proprio perché fossero facilmente accessibili, è stato un errore dare per scontato che la galleggiabilità della barca fosse tale da garantire sempre la presenza di una bolla d’aria all’interno della barca; nella situazione in cui ci siamo trovati per recuperare le Tps era necessario entrare nella barca e immergersi andando verso poppa. Fermo restando che probabilmente in condizioni analoghe a quelle trovate potrebbe essere sensato indossare le Tps, queste dovrebbero comunque essere fissate in un posto molto facilmente accessibile anche dall’esterno. La barca Dopo il ribaltamento la barca è tornata su direi velocemente, era sbandata a 220 e facendo leva sui timoni si è portata a 90 gradi e poi dopo circa un minuto si è messa dritta, questo anche se il vento e il mare spingevano per tenerla giù. Una volta tornata dritta abbiamo constatato con stupore che l’albero era ancora su (si era solo rotto il vang e fatto un buco nella randa) che purtroppo tutti i boccaporti erano scomparsi. Finché la barca era sottosopra aveva un’ottima galleggiabilità, probabilmente dovuta alla bolla d’aria all’interno, dopo il raddrizzamento la barca era molto immersa, in piedi sulla poppa avevo l’acqua all’altezza del torace, rimanevano fuori dall’acqua la prua e parte della falchetta di dritta. Le ultime parole famose Due settimane prima della partenza al telefono con Stefano Paltrinieri mentre gli sto descrivendo una boiata fatta durante il trasferimento verso lo yacht club italiano: “Stefano, un paio di anni fa per ogni errore ci sarei rimasto molto male, forse ero molto più presuntuoso, ora credo che fare qualche errore sia inevitabile, più cose fai e più ti esponi al rischio di commetterne, quindi quando faccio una cagata e alla fine non ci sono conseguenze penso di dover essere felice”; beh, stavolta un po’ di conseguenze ci sono state, ma visto che poteva andare anche peggio diciamo che va bene così. Il giorno prima della partenza devono essere montate sulle barche le balise che permetteranno di seguire la regata via internet, mi si avvicina Marco: “Nicola, sei superstizioso? Ti va bene la balise numero diciassette?” “Ma-và, dammela dammela, anzi voglio proprio quella!”.

Continuerò a navigare Sono nato a La Spezia, 35 anni fa. I presupposti per avvicinarmi alla vela fin da giovanissimo c’erano tutti e invece no; fin da bambino mi appassiono alle barche e al mare, ma la passione è la pesca. Solo dopo una ventina d’anni, il gozzo lascia posto a un Fj e poi a un Turtle, un cabinatino di 5 metri; la passione per la vela mi travolge. Un paio di corsi di vela, trasferimenti, divento istruttore e dopo qualche anno decido di provare i mini. A febbraio 2006 compro Nanan, un Naus che si trovava a terra con alcuni problemi, dopo circa tre mesi di lavori nei fine settimana è pronto per il varo. Nel frattempo partecipo alla MiniMax con il Naus di Stefano Paltrinieri e poi dal 2007 inizia la stagione di regate con nanan: GP Mini, Mini Solo, provo la qualifica (interrotta poi per fine ferie dopo più di 700 miglia in solitario senza scalo) fino ad arrivare al triste epilogo del GP Mini 2008. Malgrado tutto sono stati due anni molto positivi per me: tanti sacrifici in termini di tempo, soldi e di stress, ma tante miglia e tanta esperienza; i riusltati? Beh, quelli arriveranno con la prossima barca. mediterranea

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A ssagg i

ANdrea Pendibene Dentro una grande

avventura

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mediterranea

Ci trainano fuori alle sette, passiamo la chiusa con un pubblico numeroso e poi ci mollano fuori dalla diga. Bisogna bordeggiare fino alle dodici, ora dello start, stando attenti ad altri ottantanove Mini e agli spettatori. Dopo un paio di bordi decido di mettermi alla cappa e aspettare in pace, preparando il vestiario, il Gps, insomma un po’ di riti. Esce il gommone della barca giuria e lo seguo. Non faccio molta fatica: sono con la sola randa con una mano e faccio sette nodi in poppa. Posizionano la linea e il disimpegno. Mi piazzo alla cappa, sopravento alla barca giuria, mure a dritta. Iniziano la procedura con gli otto minuti, poi cinque, poi quattro. Mi infilo sopravento, ho un attimo di esitazione, scado sottovento, ma parto molto bene. Davanti a me un groviglio di tre barche incastrate con le crocette e volanti che ruotano su sÊ stesse: le evito e parto con una mano e solent.


Il la la pe

più giovane italiano ad aver completato M i n i T r a n s a t r a c c o n t a i n u n l i b r o s u a r e g a t a , m a a n c h e l e d i f f i c o l t à r riuscire a partire.

Il vento è sui venti nodi, il mare piatto, cerco di bordeggiare al meglio, ma arrivo alla boa tra gli ultimi. Mi ripeto: sono solo altre milletrecento miglia! Passata la boa decido di issare il gennaker invece dello spi e rimanere un po’ più alto degli altri per passare tra île d’Oléron e île de Ré. Appena partiti mi interrogo sulle mie scelte iperconservative ma mentre procedo tra le onde oceaniche e quelle della mia ansia vedo qualche barca rientrare… I primi due giorni sono nel gruppo: sento gli altri molto bene al Vhf, segno che non sono oltre venti miglia di distanza. Inizio a prendere il ritmo e a scandire le lunghe giornate in base ai ritmi fisiologici e alle necessità dell’imbarcazione. La discesa sino a capo Finisterre sarà un lungo bordo con poca aria e continui cambi di vele: frullone, spi, gennaker. Fortuna che il rollgen mi semplifica la vita.

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In alto: Perle de Sueur (disegno di Andrea Pendibene). In basso: disposizione degli interni e dello skipper rispetto alle andature (disegno di Andrea Pendibene).

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Davanti al capo che precede il golfo di La Coruña una grande piatta mi avvolge e l’unico modo per avanzare è puntare dentro il golfo. Non so se per colpa del sottoscritto, della barca non progettata per condizioni mediterranee o per una grandissima cazzata, impiegherò due lunghi giorni per uscire da quella trappola infernale con correnti micidiali, nebbia e piatte. In totale assenza di vento ho dovuto bordeggiare con il frullone per creare del vento apparente con il solo risultato di fare grandi bordi piatti. Inoltre, come ciliegina sulla torta, c’è una rail, una tratta stabilita per i cargo, un passaggio obbligato per il traffico tra il Nord Europa e il resto del mondo. Una zona di trenta miglia per venti in cui ci sono canali da rispettare con orari, per tipologia di nave, carico e velocità, praticamente una roulette russa. Decido a malincuore di rimanere in sicurezza e passare tra la costa e un lato della rotaia, anche perché ho provato a entrarvi per tagliarla, ma mi hanno intercettato con il radar e mi hanno detto cortesemente di uscire, in tutte le lingue, compresi i dialetti. Altri bordi, corrente, poco vento e il morale a pezzi tanto da indurmi a pensare al peggio, cioè a non concludere entro il tempo massimo o a non arrivare in tempo per la tappa successiva. Riesco a sentire i bollettini data la vicinanza dalla costa e li interfaccio con quelli di Radio Monaco. Decido di andare a caccia dell’aliseo, che prima o poi deve entrare e spingermi tra le sue braccia in direzione sud. Dopo un giorno di trepidazione il cielo schiarisce, diventa limpido e iniziano ad apparire le prime nubi, il barometro scende di qualche linea e per miracolo un respiro potente inizia a spingere la barca, il mare si ingrossa e si inizia a ballare. Lungo la discesa da capo Finisterre a Madeira di notte armo lo spi grande e la randa ridotta con una mano, o due quando è ancora troppo nervosa, per ottenere una velocità sui sette nodi. Alla mattina strambo e cambio lo spi grande con il piccolino da 50 metri quadri e 1,5 once, con due mani o tre alla randa che mi consentono planate a oltre dieci nodi. Alle ore 11.03 appuntamento con il bollettino meteo e mi concedo tre pasti giornalieri così suddivisi: mattina cornflakes e latte concentrato; pranzo scatoletta di sardine con verdure in scatola e la sera un liofilizzato. Appena le onde danno modo al pilota di lavorare non oltre un A/h di energia, dormo, ma non più di venti-trenta minuti che a dieci nodi vogliono dire quattro-cinque miglia. Unica eccezione la penultima notte dove, in seguito a un colpo di vento, strappo lo spi pesante mentre tento un’ammainata con la barca in straorza. E mi maledico perchè non ho montato il rollgen rimasto per pigrizia sul drifter. L’avvicinamento a Madeira lo preparo ben venti miglia prima: non voglio farmi trovare impreparato. Il cielo è nuvoloso e instabile e si scende con randa e spi e appena il vento rinforza si cambia con gennaker. Dopo aver girato l’isola a distanza, per evitare il cono di ombra a sud dovuto al vento da nord, scendo come un missile di bolina larga con il frullone. Quando ormai mancano quattro miglia, cioè circa mezz’ora, con il porto in vista, il vento cala e mi costringe a una vera sofferenza: dalle quattro di mattina alle cinque del pomeriggio in una piatta totale, e siccome l’animo del solitario romantico convive con l’indole del regatante accanito, per salvare qualche secondo su milletrecento miglia passo a filo del capo circa a venti metri su due metri di fondo! Ma visto che il vento cala e gli scogli si avvicinano decido dopo quattro ore al palo di dare un paio di vogate, il tutto mentre l’organizzazione mi controlla da terra, innescando una risata generale. Poi degenerata per via di qualche velista appassionato di calcio che non aveva digerito la vittoria ai Mondiali (“Voi italiani barate sempre”) del ct Marcello Lippi mio concittadino. Alle cinque entra un sud ovest deciso che mi costringe a una mano alla randa e tante virate per risalire verso il porto.


Partenza 16 settembre 2007

La Rochelle

Francia

Capo Finisterre

Corrente del Golfo

Partenza seconda tappa 6 ottobre 2007

Madeira

Isole Canarie Tropico del Cancro Isole di Capo Verde

Pot au noir 10°N

Isola di Fernando de Noronha

Brasile

Equatore

Arrivo 2 novembre 2007

Salvador de Bahia

Tropico del Capricorno

Il libro

ANDREA PENDIBENE

MINITRANSAT DIARIO DI BORDO DI UN

SOGNO

CHE SI

AVVERA

Mini Transat è l’avvincente diario di bordo di una regata corsa tutta contro i venti contrari, fra i pericoli e le difficoltà della navigazione in solitario, ma anche il racconto delle tante difficoltà superate per riuscire a partire. Una sorta di vademecum pratico per i tanti giovani che coltivano lo stesso sogno ma che, come l’autore, devono trovare i mezzi per poterlo realizzare. Edizioni Nutrimenti, ottobre 2008

Andrea Pendibene è stato il più giovane italiano ad aver partecipato, nel 2007, alla Transat 6.50, la regata per solitari che traversa l’Atlantico da La Rochelle, in Francia, a Salvador de Bahia, in Brasile. Meglio nota come Mini Transat, perché riservata a barche a vela di soli sei metri e mezzo.

L’AUTORE

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A ssagg i

NAVI

DEL

SEICENTO E DEL SETTECENTO VISTE DA

VAN LOON A settant’anni dalla sua uscita in Italia torna in libreria un classico su storia, vita e costumi della navigazione.

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…Prima di lasciarci distrarre dalla questione del vitto e dei mostri, stavamo parlando delle navi del Seicento e del Settecento. Dicevo come il panico causato dalla comparsa dell’Armada, aprendo gli occhi alla gente del nord, le avesse rivelato i pericoli impliciti nel trascurare l’apprestamento di efficaci mezzi di difesa, e suggerito il criterio di costruire due tipi distinti di navi, l’uno idoneo soltanto al combattimento, e l’altro esclusivamente al traffico. In conseguenza di che, i cantieri settentrionali intrapresero il lavoro con febbrile alacrità. Pare che negli ultimi decenni del Seicento fossero i costruttori navali francesi quelli che godevano fama d’essere i più geniali; ma in realtà era l’Olanda che deteneva il primato delle costruzioni navali. Chiunque aspirasse a perfezionarsi nel mestiere riteneva doveroso trascorrere qualche anno in un cantiere olandese, come oggi i giovani che si dedicano alla carriera della Banca Internazionale vanno a studiare a Londra o ad Amsterdam. Non è facile precisare in che cosa consistesse la superiorità dei navigli olandesi, ma i più concordano nel riconoscere che avevano due caratteristiche principali: la maggior capacità della stiva e la possibilità d’essere manovrati da equipaggi meno numerosi di quelli che occorrevano alla manovra dei bastimenti delle altre nazioni. Nel corso di quel periodo di intensive costruzioni navali, l’Olanda contava solo un milione e mezzo di abitanti, e tuttavia costruì nientemeno che duemila navi all’anno, in media, tanto che alla fine del secolo possedeva una flotta mercantile di 900.000 tonnellate: cifra sbalorditiva, se si pensa che il tonnellaggio complessivo europeo si aggirava sui due milioni, e quello dell’Inghilterra sul mezzo milione. A protezione di quest’ingente flotta l’Olanda costruì, negli ultimi diciotto anni del secolo, ben 172 nuove navi da guerra. Spese in tutto centocinquantun milioni di fiorini. Questa la situazione nel 1700. Un secolo più tardi, l’Olanda, pur occupando ancora un posto eminente sulla lista delle nazioni che si dedica-


vano al traffico mondiale, aveva già perso il suo primato, detronizzata dalla Francia e dall’Inghilterra, le quali ora si disputavano la padronanza del mare. Quale fu la causa del suo declino? Nel fornire una risposta a questa domanda, le opinioni degli studiosi non collimano esattamente; ma è indubitabile che anche nei riguardi dell’Olanda prevalse la stessa ragione che aveva determinato la caduta della Spagna, di Roma, e di altre più antiche nazioni imperiali. Il suo impero cominciò a sgretolarsi quando il Paese, rigurgitando delle spoglie delle Indie, s’era fatto troppo ricco. Suscitava l’invidia dei vicini. Poteva passarsi il lusso di dare ai suoi figli l’educazione che si conviene ai figli dei signori: e sono rari gli individui che si rivelino forti abbastanza da sopravvivere a questo genere di educazione. Ma dovevano esservi anche altre ragioni, per spiegare un cambiamento così brusco come quello che si verificò nei Paesi Bassi nel Settecento. Quando una nazione si dimostra capace di costruire 172 navi di linea in diciotto anni (1682-1700), e poi ne costruisce solo 3 nei quarantacinque anni successivi, bisogna per forza che ci sia “qualche cosa che non va”. E questo “qualche cosa” non aveva nulla a che vedere con l’opulenza del paese. Derivava da uno svantaggio di natura. L’Olanda non possedeva porti abbastanza profondi da ricoverare le navi da guerra quando queste cominciarono a superare un dato limite di tonnellaggio. Erano porticini graziosamente annidati negli estuari o alle foci di fiumi relativamente grandi; porticini solleciti di fare quant’era in loro potere per servire bene la clientela, ma soggetti a correnti e maree che li impedivano di servire i clienti grossi. Finché questi si erano limitati a stazzare in media un seicento tonnellate e ad armarsi con una settantina di cannoni, nulla impediva che rimontassero il Reno per ricoverarsi nello Zuyder See; ma dopo il 1700 presero a crescere rapidamente di dimensioni, tanto che già ai tempi di Nelson raggiungevano le duemila tonnellate.

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IL LIBRO Una storia non convenzionale della navigazione: dai tronchi d’alberi dei primitivi australiani al transatlantico moderno. Sono pagine intrise di “vita marinara”, piene di fatti e soffuse di saggia ironia. Per raccontare la sua storia, Van Loon invade i campi della geografia, della balistica, della tattica navale, della gastronomia, della mitologia, dell’arte, dell’esplorazione, della filologia, della metereologia e degli armamenti. Decapita un centinaio di miti romantici sui giorni pittoreschi della vela, mentre offre il suo tributo al fascino eterno della vita sul mare. Edizioni Magenes, novembre 2008

L’AUTORE Hendrik Willem van Loon (1882-1944), scrittore e giornalista americano. Fu corrispondente in Russia durante la Rivoluzione d’ottobre del 1905 e in Belgio all’inizio della Prima guerra mondiale. I suoi scritti comprendono testi famosissimi, tra cui The Story of Mankind (1921), The Story of the Bible (1923), Tolerance (1925), America (1927) e Van Loon’s Geography (1932).

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Orbene, l’Olanda non avrebbe mai potuto ricevere a Texel un cliente di duemila tonnellate. Amsterdam, che nella prima metà del Seicento era un importantissimo centro non costiero del traffico internazionale, ora giaceva separata dal mare da un bastione di sabbie attraverso il quale nessuna scavatrice avrebbe potuto aprire un canale di navigazione. Dal 1691 in poi ogni bastimento che pescasse più di quattro o cinque metri doveva venire trasportato al disopra del bastione mediante certi zatteroni costruiti appositamente; ma nessuna nave da guerra avrebbe potuto raggiungere la capitale se non spogliandosi in precedenza di tutti i suoi cannoni e relativi attrezzamenti. Rotterdam era nelle stesse condizioni; e le cose non cambiarono fino a cinquant’anni fa, quando entrambe le città poterono venire riallacciate al mare mediante canali del tutto indipendenti dalle antiche vie fluviali. L’Olanda dunque fu eliminata dalla concorrenza a causa dell’inadeguatezza dei suoi porti. Mentre i porti francesi e inglesi permettevano la costruzione di navi da 2.500 tonnellate e munite di 110 o 120 pezzi d’artiglieria, l’Olanda non poteva costruire bastimenti superiori alle 700 tonnellate senza vedersi costretta a lasciarli in perpetuo in balìa delle onde lontano dalla costa. Le autorità navali tentarono ogni mezzo per rimediare a questo inconveniente: fecero esperienze con navigli dalla carena piatta; ne aumentarono la larghezza; ma tutto invano. Non erano in grado di eliminare gli ostacoli creati da Madre Natura. E siccome un legno di 700 tonnellate non ce la fa a misurarsi coi legni di 2.000, l’Olanda era predestinata alla sconfitta. Aggiungerò qualche riga per accennare a un nuovo tipo di imbarcazione che fece la sua comparsa nei Paesi Bassi nella seconda metà del grand siècle, e che non solo sostenne una parte importante nella storia navale degli ultimi due secoli, ma dura ancora ai nostri giorni sotto una forma leggermente modificata. In un noto vocabolario inglese edito nel 1670 si legge: “Yacht, specie di nave olandese, a uso di diporto, forse della grandezza di una chiatta”. E nel Diario di Evelyn si legge, sotto la data del 10 ottobre 1661: “Stamane feci un’escursione con Sua Maestà in uno dei suoi yacht, curiose imbarcazioni che a noi erano sconosciute prima che la Compagnia Olandese delle Indie Orientali ne regalasse un esemplare al Re”. Il celebre autore del Diario, servo fedele degli Stuarts, doveva aver già visto quel tipo di imbarcazione allorché si trovava esule in Olanda. Lo yacht olandese non era altro che una derivazione dei battelli comuni che facevano servizio sui canali, rimorchiati da cavalli, i quali camminavano sul sentiero tracciato al sommo dell’argine. Questo sentiero in olandese si chiama jagpad, e gli inglesi lo chiamavano yacht path. Sviluppandosi, il battello fu dotato di un albero e di qualche vela: poi la baracca di poppa che serviva di ricovero ai passeggeri fu trasformata in salotto: in seguito fu aggiunta una piccola cucina, e un paio di cabine riservate al proprietario e ai suoi ospiti. Fu così che il vecchio barcone a servizio del popolo si trasformò in un battello che oggi serve solo agli sportivi della navigazione a vela, o altrimenti ai ricchi che amino viaggiare con più riservatezza di quanta sia ottenibile a bordo dei transatlantici.



A ssagg i

È meglio essere qui e Desiderare di essere là fuori, piuttosto che

essere là fuori e desiderare di essere qui

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mediterranea

Uno sconosciuto filosofo della navigazione lasciò ai suoi posteri questo saggio consiglio. Con il suo gentile permesso, ora, lo useremo come motto all’inizio del nostro libro, un abbecedario della vela durante le burrasche. Il lettore, seduto comodamente in poltrona, può rivolgere a se stesso questo motto. Capita a tutti prima o dopo: “ogni velista si prende una lavata di capo”, si ritrova, cioè, nel bel mezzo di una tempesta. Si avvisano i principianti che il brutto tempo in mare non è affatto una passeggiata, ma è qualcosa che deteriora materiale, corpo e anima. E gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Nessun professionista si augurerebbe di trovarsi in una tempesta e se, tra una bevuta e l’altra, qualcuno vi racconta di aver affrontato senza troppi sforzi un mare impetuoso, ciò è dovuto per lo più alla birra. Si tratta effettivamente di duro lavoro, di fatica e di sacrifici. Con una barca che salta, che si dibatte e che ripiomba in acqua, il duro lavoro si trasforma in lotta. Si lotta per trovare un appiglio, si lotta contro la vela che sbatte, si lotta contro i nodi che non riescono, si lotta contro le dita fredde e contro l’acqua che ti penetra inesorabilmente nei vestiti. La paura si insinua fra le tante emozioni. Il timoniere si è accorto del mostro là dietro? Attenziooone, attenzione! Maledizione, come si tesano le sartie sottovento senza che la crocetta crolli? Anche prima erano così lasche? Si è flesso l’albero? È un arnese stupido, o no? Prima dovevamo per-


correre più di cento miglia con il vento in poppa, è ancora così? Non posso proprio scendere sottocoperta ora, ma ho controllato poco fa… Con la pratica si impara, con una solida imbottitura di esperienza si può affrontare una tempesta in modo molto più rilassato anche se, come una volta mi rivelò un vecchio professionista, non si riesce mai ad essere del tutto distaccati dalle cose. La maggior parte di noi pratica la vela come hobby, ed esce in mare principalmente nelle belle stagioni, quando è raro imbattersi in una tempesta. Va bene così. Ma in questo modo si acquisisce anche poca esperienza. E questo va meno bene. L’esperienza sul campo non può di certo essere sostituita, ma può essere arricchita. È proprio questo lo scopo che si prefigge questo libro. Vorrei intrattenermi con il lettore, dare stimoli e scambiare opinioni. La domanda “Cosa accadrebbe se” è alla base di ciò che voglio proporre e discutere. Voglio stimolare in voi altre riflessioni e, a casa, in poltrona, avrete tutto il tempo e tutta la calma che vi serve per riflettere. Nella vela non esiste una teoria ufficiale o non ufficiale che insegni ad andare in barca durante una tempesta. Neanche questo libro ve lo insegnerà, perché potrete contraddirlo o cercare una soluzione da voi. L’energia Il vento si forma attraverso il sole e così anche la tempesta. Fra di essi, c’è la fisica o, per meglio dire, la meteorologia. Dedicheremo a questa scienza una piccola parte del libro, che vorrà essere solo un accenno. L’aria calda sale Il pallone aerostatico, meglio conosciuto come mongolfiera, si sollevava da terra perché all’interno l’aria veniva riscaldata da un fuoco libero all’aperto. L’aria calda era più leggera di quella fredda spostata dalla mongolfiera e ciò la faceva subito salire verso l’alto. Seguiva una legge che noi, gente di mare, conosciamo: la spinta è pari al peso dell’acqua spostata. La mongolfiera spostava l’aria che la circondava, il cui peso equivaleva alla spinta di Archimede generata, che superava il peso della mongolfiera compresa l’aria interna resa più leggera dal calore. E così avveniva il decollo della mongolfiera. Per dirla in termini fisici, l’aria, se riscaldata, diventa più leggera perché si dilata. Le sue molecole si allontanano sempre più l’una dall’altra, l’aria diventa meno densa e quindi diminuisce anche il suo peso per unità di volume. Si solleva rispetto all’ aria circostante, più fredda. Lo stesso principio che fa muovere le mongolfiere vale anche nell’atmosfera, quando un flusso di aria fredda e uno di aria calda sono vicini e quindi l’aria è stata riscaldata in modi diversi. Ora, si tratta di chiarire come si arriva al diverso riscaldamento. Il riscaldamento dell’atmosfera I raggi solari riescono solo in parte a riscaldare direttamente l’atmosfera. La maggior parte di essi, infatti, riscalda la terra, la quale emana nuovamente calore, riscaldando l’aria sovrastante. Si può dire che la terra riscalda l’atmosfera come un termosifone riscalda l’aria di una stanza. Terra e mare, bosco e brughiera, sabbia e palude assorbono in maniera diversa l’irradiamento solare. La condizione del terreno e i colori svolgono infatti un ruolo importante; il nero opaco è, per esempio, il colore che si riscalda maggiormente. Ma ciò dipende anche dal materiale; infatti, a parità di irradiamento solare, la pietra e la sabbia si riscaldano cinque volte di più rispetto all’acqua, mentre un campo di terra due volte tanto. Perciò, a seconda delle caratteristiche della superficie terrestre, si sviluppano temperature estremamente diverse e, di conseguenza, una distinta capacità di riscaldamento dell’ atmosfera. Un’altra causa del differente riscaldamento è lo strato di nubi che compare in luoghi e tempi diversi, poiché segue ritmi condizionati dal clima.


Infine, il riscaldamento risente dell’angolo di incidenza dei raggi solari. La rotondità della Terra fa sì che ai poli questo angolo diventi sempre più acuto. Conformemente, la zona di riflessione diventa più ampia, mentre la zona utile per il riscaldamento diviene sempre più piccola. Così si forma il vento Quando l’aria si solleva, crea un vuoto, che si riempie nuovamente attraverso delle masse d’aria provenienti da tutto attorno. Queste masse d’aria sono il vento. E così la tempesta Per far sì che il vento si trasformi in tempesta, c’è bisogno di molta energia. Il diverso riscaldamento della Terra e delle masse d’aria sovrastanti non è sufficiente. Ulteriore energia si trova nelle masse d’aria molto umida, sotto forma di calore di condensazione. Queste enormi quantità di energia vengono trasportate dalle masse d’aria per lunghe distanze e, se le condizioni lo consentono, scatenano una violenta tempesta. Il calore di condensazione È sorprendente osservare quanto tempo impiega l’acqua in ebollizione a consumarsi del tutto, o meglio ad evaporare. Infatti, anche dopo aver raggiunto la temperatura di ebollizione, l’acqua ha bisogno ancora di molta energia per evaporare. In termini fisici, tutto ciò si può spiegare in questo modo: per portare 1 grammo di acqua da 0° a 100°C si utilizzano 100 cal di energia (= 418,68 Joule). Per far evaporare 1 grammo di acqua sono necessarie 597,11 cal (= 2500 Joule). Ciò significa che per l’evaporazione è necessaria una quantità di calore sei volte superiore. La formazione del vapore acqueo in atmosfera è la stessa cosa ma, naturalmente, avvenendo Beaufort 1 2 3 4 5

Nodi max 3 6 10 15 21

m/s max 1,5 3,3 5,4 7,9 10,7

Denominazione Bava di vento Brezza leggera Brezza tesa Vento moderato Vento teso

Vele Calma Quieto, come la calma Genoa I Genoa I 1. Terzarolare, Genoa II

Vento forte: 6 7

27 33

13,8 17,1

Vento fresco Vento forte

2. Terzarolare, Genoa II 2. Terzarolare, Genoa III

Tempesta: 8 9 10 11 12

40 47 55 63 Senza limiti

20,7 24,4 28,4 32,6

Burrasca Burrasca forte Tempesta Tempesta violenta Uragano

3. Terzarolare, Tormentina 3. Terzarolare, Tormentina Tormentina Tormentina Tormentina


sulla superficie terrestre, sarà più lenta. La quantità di calore assorbita per ogni chilogrammo di acqua evaporata tramite evapotraspirazione è pari alla quantità di calore per chilogrammo di acqua evaporata tramite ebollizione. Questo consumo di calore, detto anche raffreddamento da evaporazione, lo percepiamo chiaramente quando, appena usciti dall’acqua, sentiamo freddo. La condensazione, ossia il passaggio dell’ acqua dallo stato aeriforme a quello liquido, è il processo inverso all’evaporazione e alla cessione all’atmosfera del vapore acqueo. In modo analogo, il calore latente, dissipato per evaporazione o evapotraspirazione, viene rilasciato sotto forma di calore di condensazione. Allo stato gassoso dell’acqua, il calore latente di evaporazione, di evapotraspirazione o di condensazione (sono la stessa cosa) non è né visibile né percepibile, ma è comunque presente in ogni massa d’aria che trasporta acqua evaporata, cioè vapore acqueo. La quantità di calore latente di evaporazione o di evapotraspirazione presente in un volume d’aria dipende dalla quantità di acqua assorbita e perciò il livello massimo di acqua che può essere assorbito dipende dalla temperatura atmosferica. Ad una temperatura di 15°C, si potrebbero trasformare in aria fino a 13 grammi d’acqua per metro cubo. Il calore latente di evaporazione di un grammo di acqua è sufficiente a far salire la temperatura di un metro cubo di aria di due gradi. Quindi, attraverso la condensazione, una massa d’aria satura potrebbe aumentare la sua temperatura da 15° a ben 26°C! Condensazione per raffreddamento Quando avviene la condensazione? Si è già osservato che la capacità dell’aria di assorbire l’acqua è determinata dalla temperatura. Ciò si può osservare quando si stendono i panni: con l’aria calda, si asciugheranno più rapidamente che con l’aria fredda. L’aria calda, infatti, riesce ad assorbire più acqua dell’aria fredda, che si satura più velocemente. Se una massa d’aria satura viene ulteriormente raffreddata, questa rilascerà l’acqua in eccesso. In un primo momento, si formeranno minuscole goccioline che assumeranno l’aspetto di nebbia o nuvole; con una sufficiente concentrazione, queste particelle si uniranno fino a formare gocce che cadranno sulla terra sotto forma di pioggia. Quantità massima di vapore acqueo per diverse temperature: A -5° C l’aria contiene 3 g/m3 A 0° C l’aria contiene 5 g/m3 A 5° C l’aria contiene 7 g/m3 A 10° C l’aria contiene 9 g/m3 A 15° C l’aria contiene 13 g/m3 A 20° C l’aria contiene 18 g/m3 A 25° C l’aria contiene 23 g/m3 A 30° C l’aria contiene 30 g/m3

metro cubo presente alle di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo di vapore acqueo

Raffreddamento dell’aria per sollevamento Questo processo si può spiegare in tre fasi. Prima fase: l’aria si riscalda con l’aumentare della pressione. È lo stesso fenomeno che avviene nelle pompe a stantuffo per le biciclette. Queste, infatti, non si riscaldano a causa dell’attrito provocato dallo stantuffo nel cilindro, bensì per l’aumento della pressione. Al contrario l’aria che esce dalla valvola risulta più fredda delle ruote stesse e ciò è da mettere in relazione al raffreddamento dovuto all’espansione. Seconda fase: la pressione dell’aria nell’atmosfera diminuisce con l’aumentare dell’altitudine. Se ci si immagina come le molecole d’aria gravino una sull’altra, si capisce subito e facilmente come mai, in alto, ci sia meno pressione che in basso.

Il libro Questo libro sicu-

ramente non parla degli aspetti più piacevoli della navigazione. Diventa, però, piuttosto interessante se si pensa che sia necessario avere la giusta preparazione quando una burrasca è in arrivo. Dietrich V. Haeften affronta molti aspetti della navigazione con cattivo tempo: dalle condizioni meteorologiche alla barca “ a prova di tempesta”, dalla preparazione alle tattiche per affrontare il maltempo, dai consigli per la condotta alle situazioni di emergenza. Sono, anche considerati e analizzati accuratamente molti aspetti particolari fra i quali: - Il comportamento della barca durante la tempesta ed in presenza di frangenti - il governo dell’imbarcazione in porto con vento forte - come sfuggire alle onde - le procedure di ricerca in caso di uomo in mare - falle ed abbandono dell’imbarcazione: come affrontare le situazioni più critiche - come utilizzare la zattera di salvataggio - incaglio, come reagire L’autore riesce ad illustrare con precisione le cause e le relazioni tra i vari fenomeni e riesce a darci con chiarezza le informazioni necessarie per rispondere ad alcune domande vitali : meglio fuggire o no? Meglio tornare indietro o no? Come faccio ad affrontare la paura? Cosa succede quando si rompe qualcosa? Edizioni Magnamare, ottobre 2008


V e la class i ca

Un mestiere per scaldarsi D i a l o g o c o n To n i n o S a n n a , c l a s s e 1958 uno dei quindici maestri d’ascia della Sardegna Te s t o e f o t o d i N i c o l a C o r d a

Tonino Sanna al lavoro.

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Avanzo nel capannone calpestando rimasugli di legno, segatura e fogli ingialliti dove matite grosse hanno segnato dritti di prua e curvami di ogni tipo. Tonino Sanna mi fa vedere subito la sua prima nata, Suleika, una bilancella varata nei primi anni ’90. “Ora è sempre più difficile costruire barche nuove, sono più i restauri a dare il lavoro”. Non sembra affatto pesargli, anzi: “noi non siamo artisti ma artigiani e ricostruire una barca cercando di rispettare disegni e linee d’acqua originarie è una grande soddisfazione, esattamente come fare una barca nuova”. Tonino, classe 1958, uno dei 15 maestri d’ascia della Sardegna è in cantiere anche in questa domenica di giugno. Fuori, al largo, si vedono una trentina di vele Latine che partecipano alla regata della festa di San Pietro. Ci sono molte delle sue ‘creature’ come Annalina, un vecchio gozzo del 1935 con poppa e prora rastremate. Era nato per la pesca all’aragosta e aveva pure il ‘viviero’ una sorta di cassa prodiera in comunicazione con l’acqua, per tenere vivo il prezioso carico. Ora Annalina è una signorina con più di settant’anni, elegante, con la sua vela latina sull’antenna e un fiocco color crema a prora.

“Ma che direbbe a suo figlio se volesse fare come lei il maestro d’ascia” ? La prima domanda che gli faccio dovrebbe essere una delle ultime ma lui mi risponde senza pensarci neppure un attimo: “gli racconterei la storia di Bepin dau Reina…” Bepin aveva sedici anni, andava a imparare il mestiere in uno dei cantieri dell’isola di San Pietro negli anni d’oro della marineria carolina. Si era appena fidanzato con una delle più ambite ragazze del paese. La mamma di Marina andò dal capo mastro dove lavorava Bepin e gli chiese: “ma con questo mestiere si guadagna?” “Signora, di sicuro sua figlia non avrà freddo, ma fame non lo so…”. Allora come adesso, un mestiere duro e difficile e che prevedeva come paga giornaliera una fascetta di legna fatta di rimasugli di cantiere per i ragazzi apprendisti. E dunque anche oggi è la passione che spinge ad affrontare 36 mesi di tirocinio da allievo presso un cantiere e solo dopo aver dato l’esame riuscire a diventare maestro d’ascia. Spesso si lavora gratis “io mi sono pagato i contributi di tasca mia” dice Tonino che aveva già in tasca un diploma di allievo ufficiale


di macchine conseguito all’Istituto Nautico. “Navigavo sui bestioni della Texaco, ma ho sempre avuto il pallino delle barche. Così ho fatto un corso regionale ed ora eccomi qui…”. È uno dei due mastri d’ascia di Carloforte, nell’isola di S. Pietro, marineria di solide tradizioni fin dalla prima colonizzazione ligure del 1732. I tempi d’oro della cantieristica tabarchina arrivano a cavallo del ’900 quando decine di laboratori assemblavano assi e inchiodavano ordinate delle bilancelle, le barche da carico del minerale che veniva dai giacimenti dell’iglesiente a poche miglia dall’Isola. Damele, Rossino, Biggio, Rivano, Gavassino, Ferralasco, le famiglie che hanno segnato i cantieri che pur specializzati nel piccolo tonnellaggio arrivarono anche a varare golette di 100 tonnellate di stazza. Una storia importante che non avrebbe bisogno di essere ali-

mentata dalla leggenda dell’ammiraglio Nelson che da sempre corre sulla bocca degli anziani carolini. Raccontano che l’ammiraglio inglese, giunto col Vanguard nel 1798, danneggiato da una burrasca riparò nell’isola e che in soli quattro giorni i carpentieri del luogo gli consentirono di riprendere il mare all’inseguimento della flotta francese. “Se fossi stato in Inghilterra non sarebbero bastati dei mesi per mettere il vascello in grado di navigare” si legge in una fantomatica lettera alla moglie. “Forse c’è stato un errore di traduzione dall’inglese” dice col sorriso beffardo il mastro d’ascia Tonino Sanna. In quei tempi in un vascello come il Vanguard erano imbarcati carpentieri e materiali necessari per fare ogni tipo di lavori. Forse l’unica cosa vera è che Nelson approdò nel’isola il 23 maggio del 1798. E adesso? “Di maestri d’ascia siamo rimasti in due a Carloforte e

Particolare di un restauro: astuccio dell’elica.

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In alto: bozzelli in legno d’olivo. In basso a destra: Annalina, gozzo del 1935 con poppa e prora rastremate.

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nei due cantieri impieghiamo neppure dieci persone…” La vela latina ha ridato fiato ma non basta, né qui né a S. Antioco, ad Alghero o La Maddalena dove lavorano ancora alcuni professionisti ma per molti è diventato solo un passatempo da pensionati. Perché per costruire una barca come si deve, anche un piccolo schifetto di pochi metri, ci vogliono alcune migliaia di euro solo di legname che ormai arriva quasi tutto dall’estero e almeno due mesi lavoro. I conti sono presto fatti insieme al’impietoso paragone con la vetroresina. Nel cantiere di Tonino Sanna il lavoro non manca, ma sempre di più è ridotto a restauri e non a costruzioni nuove. Molto del lavoro è anche minutaglia: bozzelli di legno d’olivo fatti a mano, tutte le manovre correnti, il restauro di occhi di cubia originali ad alimentare il vezzo e il fascino del pezzo unico, fatto

apposta come fosse quello di una Ferrari. Così la passione per le barche d’epoca spinge ad investire su carcasse di legno che neppure galleggiano per rimetterle a nuovo. È il caso del Ruggero II, un dodici metri costruito a fine ’800 dal maestro Biggio che, dopo aver gironzolato per i porti sardi, cambiato almeno tre nomi ed essere stato abbandonato due volte su una fiancata negli anni ‘30 e negli anni ‘90, da alcuni anni ha ripreso a tagliare le onde armato dopo più di un secolo con vela latina e fiocco. Ancora una sfida alimentata solo dalla passione come quella di Bepin dau Reina che forse non diventò ricco facendo il maestro d’ascia ma non soffrì mai il freddo.



In t e rv i s t a

Banca NPLs mare

Una dedicata alla gestione degli che segue le regole del Mediterranea intervista Dino Crivellari, Amministratore Delegato di UniCredit Credit Management Bank

Matteo Miceli all’arrivo della Mille Vele per Garibaldi anch’essa sponsorizzata da UniCredit Credit Management Bank, a destra i trofei della premiazione.

Dott. Crivellari, qual è la relazione tra UniCredit Credit Mangement Bank, la prima Banca in Italia dedicata alla gestione dei crediti non performing, con il mondo della vela? La vela mi appassiona da sempre. Vi trovo diversi parallelismi con i meccanismi aziendali in particolare con la filosofia di UniCredit Credit Management Bank. La “vita” in barca traduce profondamente le dinamiche quotidiane di un’azienda soprattutto in un settore merceologico come quello della gestione dei “crediti difficili” in cui professionalità, sensibilità, relazione e allo stesso tempo grinta, determinazione, e miglioramento continuo, sono le componenti indispensabili per operare in maniera competitiva in un mercato in continua crescita e sempre più internazionale. Perché un’azienda dovrebbe rivolgersi ad una Banca per recuperare i propri crediti insoluti? In Italia circa il 10% dei crediti commerciali di un’impresa sfocia in un mancato

pagamento, il problema dei crediti insoluti è quindi particolarmente diffuso nel nostro Paese. L’attività principale di UniCredit Credit Management Bank è gestire a 360° i crediti problematici per conto di un’azienda. La Banca diviene il giusto partner, come fosse il “componente ideale” di un equipaggio che si trova ad affrontare le intemperie del mare (perché oggi sono queste le caratteristiche del mercato!) in cui la componente “relazione” è fondamentale. UniCredit Credit Management Bank è in grado di supportare i responsabili finanziari/amministrativi, credit manager ecc nelle attività di recupero dei crediti non performing attraverso un modello industriale assolutamente innovativo. Grazie ad un avanzato sistema gestionale e ad un team di professionisti esterni composto da avvocati, commercialisti, mediatori creditizi, UniCredit Credit Management Bank ottiene in tempi molto brevi le migliori performance di recupero. Il debitore inadempiente per noi è un “cliente” i cui motivi di mancato pagamento


possono essere diversi. Attraverso la via stragiudiziale, evitando quindi le lunghe ed estenuanti vie legali, i nostri professionisti ricercano la strategia vincente per ottenere nel minor tempo il maggior importo sul credito impagato, mantenendo così la relazione con la controparte. Non è detto infatti, che un cattivo pagatore non possa domani dimostrarsi un buon cliente! Come in mare anche per un’azienda che offre un prodotto del genere al mercato l’esperienza è tutto. Come si articola il servizio di gestione di UniCredit Credit Management Bank? UniCredit Credit Management Bank, proprio per la sua natura bancaria, da sempre amministra i crediti insoluti vantando quindi un’indiscussa esperienza nel settore. Possediamo il più grande database sui “crediti difficili” in Italia. Ma sono le sue Risorse il vero punto di forza. Quando si va a vela può essere tutto perfetto: la barca, la strumentazione, il vento, il mare, ma se manca “l’uomo” con la sua esperienza, la sua passione, il suo entusiasmo non è più veleggiare ma semplicemente stare a galla. Ed è questa un po’ la nostra filosofia aziendale, dove l’esperienza e la specializzazione delle persone che ne fanno parte sono le fondamenta per ottenere ogni anno importanti risultati e ricercare quindi quel “nodo” di vento in più che ti differenzia rispetto agli altri player. UniCredit Credit Management Bank è infatti riconosciuta anche a livello internazionale tra i migliori operatori del mondo. Le società di rating Standard’s & Poor’s e Fitch Ratings, le note agenzie internazio-

nali, ci premiano annualmente con valutazioni di eccellenza. La Sua Banca ha sponsorizzato quest’anno numerose iniziative veliche. In particolare ha celebrato il cambio dal precedente naming “UGC Banca” al nuovo brand “UniCredit Credit Management Bank” nominando proprio con questo marchio l’Este 35 di Matteo Miceli nella Roma per due dello scorso aprile, come avete vissuto questa esperienza? Legare il lancio del nuovo marchio all’imbarcazione di Matteo Miceli alla Roma per 2 è stata un’idea vincente. A Matteo è inevitabilmente associata l’idea di “grande impresa”, grazie al record della traversata atlantica in solitario. Quando nel 2001 abbiamo rivolto al mercato questo prodotto assolutamente innovativo, eravamo una piccola struttura in start up, allora qualcuno sarà stato anche un po’ scettico, così come molti lo saranno stati per Matteo, avevamo però la consapevolezza che sarebbe stata una sfida molto difficile ma non impossibile. Oggi abbiamo una struttura di oltre 700 risorse e 3.000 professionisti, è stata aperta una branch in Germania e ne apriremo ancora in altri Paesi. Grazie anche alla recente integrazione tra UniCredit e l’ex Gruppo Capitalia le nostre competenze si sono arricchite consolidando maggiormente la nostra posizione sul mercato. Ci piaceva l’idea di legare il nuovo marchio ad un nome che ha portato a termine una eccezionale impresa con grande umiltà, passione ed entusiasmo, “strumenti” che contraddistinguono anche noi.

Dino Crivellari Amministratore Delegato UniCredit Credit Management Bank. Matteo Miceli premiato all’edizione 2008 della Roma per 2.

UniCredit Credit Management Bank www.ugcbanca.it Numero Verde 800 44 33 94


A ssagg i

Velocità, comodità, praticità. efficienza? le difficili scelte del velista Criteri di confronto: le caratteristiche di un’imbarcazione Quello che interessa al futuro proprietario di un’imbarcazione, e che tuttavia costui non riesce a desumere in modo così ovvio dai normali dati della barca, sono le “qualità marine” di un’imbarcazione, un po’ quello che, parlando di auto, si ottiene dalla somma di motore, cambio, telaio e sterzo. In una barca, i fattori in gioco sono simili. Per poter valutare le prestazioni di una barca a vela bisogna quindi, innanzitutto, riflettere chiedendosi quali caratteristiche siano fondamentali per la propria imbarcazione. Solo in seguito si possono impostare priorità, secondo il proprio gusto e la propria opinione, e si possono considerare le varie opzioni del mercato nautico. Tuttavia, ben presto ci si renderà conto che bisogna operare una distinzione: la velocità non va necessariamente

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d’accordo con l’abitabilità, la rigidità con la tenuta di mare, e così via. Con i compromessi raggiunti, in maniera per così dire “automatica” si giunge ad un certo tipo di barca a vela. Una cosa, però, dovrebbe essere presente in tutte le barche: l’indispensabile certezza di poter far bordi senza scarrocciare troppo quando la brezza di mare rischia di trascinarci sulla costa. E la stabilità dovrebbe essere tale per cui l’imbarcazione sia in grado di ritornare diritta a partire da uno sbandamento estremamente elevato. Navigare veloci La velocità di un’imbarcazione in mare dipende innanzitutto dal vento prevalente e dalla superficie velica impiegata. Parleremo ora delle caratteristiche che il costruttore ha conferito all’imbarcazione per renderla comparativamente veloce. I fattori che influenzano la velocità sono molteplici. Alcuni, che si possono ricavare dalle misure principali, e con i quali si possono effettuare ulteriori calcoli, vengono già svelati dal dépliant: - la lunghezza al galleggiamento: più lunga è, più alta è la velocità massima che un’imbarcazione può raggiungere, come abbiamo già detto definendo la “velocità critica”; - il volume immerso: più ridotto è, maggiormente piatta può essere la forma delle ordinate e, di conseguenza, tutte le altre linee verranno realizzate in modo che una barca raggiunga la propria velocità critica, con meno vento possibile. Anche il rapporto tra il volume immerso e la linea di galleggiamento è una misura della lunghezza della superficie che crea le onde; inoltre, stabilisce se una barca è pesante o leggera; - la superficie immersa: descrive la superficie dell’opera viva di un’imbarcazione, e può essere stimata sommariamente a partire dalla lunghezza, dalla larghezza e dal pescaggio. Meno è, più veloce sarà la barca, quando il vento è scarso. Se il vento è maggiore, la proporzione dell’attrito (v. pag. 91) sulla resistenza totale diviene inferiore e prevale la resistenza d’onda. Le imbarcazioni con pescaggio ridotto hanno una superficie immersa davvero risicata; pertanto, sono “bolidi della bonaccia”. I due punti seguenti non si possono desumere, per il momento, da un dépliant; è necessario calcolarli, e ci riserviamo di farlo nei prossimi capitoli. Per completezza, tuttavia, li nominiamo già qui: - la stabilità è funzione della superficie velica, del volume immerso e della larghezza al galleggiamento. Più grande è, maggiore sarà la superficie velica che un’imbarcazione può portare e perciò maggiore sarà la sua velocità durante la navigazione. Dal rapporto tra superficie velica e volume immerso si ricava perciò il “coefficiente di portata del piano velico”; - il coefficiente cilindrico viene illustrato al lettore avanzato nell’appendice a pag. 131, ma va menzionato in questa sede, perché i venditori di imbarcazioni a volte fanno i giocolieri con questo valore. Il coefficiente Due modelli di chiglia, due modi diversi di concepire il passo in acqua: chiglia lunga, skeg o pinna e timone appeso?

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cilindrico è una misura della distribuzione del volume immerso di un’imbarcazione, lungo il suo scafo. Più questo coefficiente è elevato, maggiore è il vento di cui l’imbarcazione ha bisogno per raggiungere la sua velocità critica. Chi cerca un’imbarcazione da crociera dovrebbe badare maggiormente alla lunghezza della linea di galleggiamento ed alla stabilità, e meno, ad esempio, ad un basso coefficiente cilindrico, che rende agile la barca. Un allestimento interno comodo e magari anche pesante, con 50 chilogrammi di dislocamento in più, è più importante per divertirsi in barca che non 50 chilogrammi nella chiglia, che ci forniscono una maggiore stabilità e quindi una superficie velica più estesa. I cantieri navali lo sanno, cosicché, nella maggioranza dei casi, solo la prima imbarcazione di una serie viene costruita per la velocità (pochi allestimenti, niente attrezzatura). Anche i pesi citati dal dépliant sono corretti solo rispetto a questa barca. Solo l’imbarcazione scarica rimane al di sopra della linea di galleggiamento. Quando poi si acquista la versione con due bagni, otto cabine e cambusa attrezzata di tutto punto, si riceve una barca che pesca 4 centimetri in più, e perciò naviga peggio. Pertanto, sarebbe meglio restare alla larga dalle cosiddette versioni da crociera-regata. Angolo di bolina L’angolo di bolina rispetto al vento reale è definito come l’angolo con cui un’imbarcazione a vela può navigare risalendo il vento. Praticamente è l’angolo di virata diviso due. Un’imbarcazione naviga di bolina solo per un quarto della propria esistenza, secondo le statistiche. Tuttavia, l’angolo di bolina è un importante criterio per misurare le prestazioni di un’imbarcazione, che dipendono in larga parte dall’attrezzatura di coperta e dalle vele. Di norma, una barca da crociera non riesce a superare i 40° rispetto al vento reale e, di conseguenza, deve percorrere una rotta più lunga di un terzo rispetto ad un’imbarcazione a motore, che procede diritta. In mare aperto, l’angolo di bolina prescelto può avere poca importanza. In questo caso, è più importante lasciar correre l’imbarcazione “a vele spiegate”, con le scotte lascate. Invece, bordeggiando su canali o fiumi stretti, si è felici di ogni metro in più che si riesce a strappare grazie alla bontà dell’imbarcazione. L’angolo di bolina che dobbiamo considerare, in realtà, dipende in modo rilevante dalle proprietà idrodinamiche di uno scafo, ma è funzione sia dello scafo che delle vele. L’angolo con cui una barca stringe il vento è un importante criterio di valutazione. Ancora più importante, tuttavia, è il rapporto tra velocità ed angolo di bolina: la cosiddetta ‘velocità di avanzamento nella direzione del vento’. La tangente alla curva polare (curva della velocità) proiettata sull’asse del vento fornisce la rotta ottimale.

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Più una barca è minuta, migliore è il suo angolo di bolina. Quest’opinione deriva dalle imbarcazioni a chiglia allungata relativamente pesanti, che possiedono una grande superficie laterale immersa ed in tal modo esibiscono una minore tendenza allo scarroccio rispetto ad uno scafo più arrotondato. Prendendo come riferimento un’ala portante [in aeronautica], si parla anche di “spinta laterale”. Una buona spinta laterale, ossia una forza di un certo livello applicata ai lati, significa un angolo di planata inferiore, e quindi una riduzione della deviazione causata dal vento. Tuttavia, ci sono scafi ampi e rotondeggianti che hanno un angolo di bolina uguale o migliore - finché si naviga con attenzione ed in modo corretto. Questi scafi prendono la loro spinta laterale da un bulbo sporgente e da uno skeg di forma similare – in questo caso, si utilizzano i profili standardizzati NACA, che derivano da esperimenti di rimorchio e sono particolarmente adatti per le chiglie degli yacht. Per questi bulbi e questi skeg, o, se vogliamo, per queste “ali portanti”, si osserva che: maggiore è la proporzione laterale, ossia più lunga e più stretta è l’ala portante, e quindi maggiore è il pescaggio, minore è l’angolo di planata. Un’imbarcazione ben governata può, in tal modo, andare di bolina fino a 34°. Per raggiungere questi angoli di bolina, tuttavia, ci deve essere una buona circolazione dell’acqua intorno al bulbo della chiglia, con una ripida ascesa in direzione dello scafo (fondo piatto) ed una chiglia che presenti un rigonfiamento nello spigolo inferiore – o addirittura una chiglia ad ala di gabbiano – come “alettone”. Si verifica infatti un “effetto flap”, che impedisce ai flussi di corrente di defluire all’estremità della giunzione stessa (in questo caso, della chiglia [NdT]). Queste barche sono perciò più difficili da governare, non perdonano alcun errore e, di norma, tengono meno la rotta. Poiché la corrente si allontana molto più rapidamente dai bulbi e dagli skeg di dimensioni ridotte, diventa più difficile trovare l’assetto giusto. Così, una barca con un bulbo della chiglia piccolo riesce a raggiungere un buon angolo di bolina solo se è sufficiente la velocità; in presenza di meno vento, c’è sempre bisogno di uno spazio maggiore per evitare di andare ineluttabilmente alla deriva. Il ruolo di una buona velocità e di adeguate dimensioni laterali nel raggiungere un buon angolo di bolina è illustrato dal seguente esempio, che dovrebbe essere tenuto in considerazione prima dell’acquisto della propria barca. Il timoniere di uno yacht non ha alcun motivo di cantar vittoria davanti al comandante di una iole solo perché la sua barca stringe il vento fino a 35°, mentre la iole arriva a 45°. È vero che il primo effettuerà un percorso più lungo del 22% rispetto al tragitto controvento diretto, mentre la iole deve percorrere il 41% di distanza in più; ma la iole, per la sua maggiore velocità, raggiungerà prima il traguardo, poiché l’avanzamento nella direzione del vento è comunque maggiore. L’angolo di bolina e la velocità sono, pertanto, inseparabili tra loro. Per quanto riguarda le prestazioni di un’imbarcazione che naviga di bolina, è importante, allora, l’avanzamento nella direzione del vento, comunemente indicato con VSVENTO, che dovrebbe essere quanto più elevato possibile, qualunque sia la forza del vento stesso. Il VSVENTO è il prodotto della velocità della barca e del coseno dell’angolo dell’andatura. La parte superiore del diagramma della pagina a fianco, vale a dire la curva polare nell’illustrazione, chiarisce le relazioni tra la velocità e l’angolo di andatura. Da essa si evince che non vale la pena di bramare una barca in grado di raggiungere l’angolo di bolina minore possibile. Ciò che è necessario è il compromesso ottimale, con il migliore avanzamento rispetto al vento. Nel caso di un’imbarcazione da crociera, la chiglia a bulbo, piccola e profonda, può non rappresentare il punto di riferimento; anche le imbarcazioni con chiglia moderatamente corta e, di conseguenza, con meno pescaggio, o addirittura a chiglia lunga, raggiungono buone velocità nella direzione prescelta; inoltre, possono entrare anche nei porti meno profondi.

Come scegliere la barca. Confrontare le imbarcazioni senza poterle provare in mare è un problema, anche perché, al giorno d’oggi, le linee degli scafi mostrano raramente differenze significative. Alle fiere nautiche, si possono analizzare la costruzione, l’altezza ed il numero delle cabine. Il comportamento in mare rimane una supposizione, o una questione di fiducia nei confronti del produttore. Questo libro riesce a mettere ordine nel caos di sensazioni che la barca ci dà quando è in secca, ma che fanno comprendere solo vagamente le qualità marine dell’imbarcazione. Edizioni Magnamare, ottobre 2008

Il libro

Joachim F. Muhs crea innanzitutto un filo conduttore per la valutazione degli aspetti visibili dell’imbarcazione, a partire dalle caratteristiche costruttive, evidenziando quali criteri la barca debba soddisfare. Per la valutazione delle diverse caratteristiche, l’autore ha inoltre elaborato diagrammi grazie ai quali il lettore, con i parametri della lunghezza, larghezza, dislocamento e piano velico – contenuti nei dépliants dei vari modelli – può operare confronti con altre imbarcazioni. Se c’è la possibilità di navigare a bordo della barca dei propri sogni, tanto meglio! L’autore indica le operazioni necessarie per la valutazione di un’imbarcazione, anche grazie alla descrizione delle diverse caratteristiche costruttive, che spaziano dalle barche da 10 metri ai mega-yachts.

L’autore


A ssagg i

ufficiali

gentiluomini

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La Windsor Castle era a trecento chilometri dalle Mauritius, quando scorsero uno strano vascello dal baglio di sopravento, che si dirigeva verso di loro con tutte le vele che poteva spiegare. (…) “Una corvetta, signore”, disse Newton, di ricognizione con il binocolo, “ventidue cannoni, oltre a quelli di bordo. L’attrezzatura è francese, lo slancio di poppa è francese. È tutta francese, in effetti”. “Scommetto tutto il denaro delle banche di Lombard Street che è Surcouf”, replicò il capitano Oughton che, con il resto dei suoi ufficiali, teneva il binocolo. “Ecco il tricolore: ho vinto la scommessa. Rispondo alla sfida. Lancio in aria il cappello. Puah! Sollevate la bandiera a poppa. Mr Thomas”, continuò il capitano, rivolgendosi al nostromo, “mandate tutti a poppa. Forster, sarà meglio che accompagniate le signore sottocoperta”. Alla chiamata del nostromo, gli uomini andarono a poppa e restarono tutti uniti dal lato sottovento del cassero, con i cappelli in mano e l’impazienza nello sguardo. “Ora, ragazzi”, disse il capitano Oughton, “se non sbaglio, quel vascello è comandato dal miglior marinaio che sia mai salpato da un porto


Il libro

Le avventure e le peripezie, l’eroismo e le passioni di un giovane marinaio nell’Inghilterra previttoriana. Un romanzo avvincente e divertente di uno dei pionieri della letteratura di mare, ammirato da Conrad e Melville, da Hemingway e O’Brian. Pubblicato nel 1832, Newton Forster conquistò subito i lettori dell’epoca per la prosa accattivante e la vena spassosa, per il fascino irregolare dell’avventura per mare contrapposto agli ozi e alle convenzioni della vita sulla terraferma, per la straordinaria costellazione di personaggi ruvidi, teneri, comici, burberi, spietati, in ogni caso indimenticabili, i cui destini scorrono sotto l’occhio vigile e giusto della Provvidenza. Edizioni Nutrimenti, settembe 2008

francese, un belloccio, per di più! Uno che punisce severamente, che sa ricevere un colpo tanto bene quanto assestarlo”. “Sissignore, anche noi”, risposero molti degli uomini in coro. “Lo so, ragazzi, e dare e prendere fa parte delle regole del gioco. Basta che combattiamo correttamente e… che vinca il migliore! Perciò ora, ragazzi, se siete pronti a dimostrarvi all’altezza della situazione, prima iniziamo, meglio sarà. È tutto”. “Urrà!”, gridarono i marinai mentre si dirigevano ai loro posti per rispondere agli ordini del capitano; poi si tolsero giacche e molti anche la camicia, per prepararsi allo scontro. (…) La corvetta restò sul fianco opposto della nave fino a che il baglio non fu a poppa. Poi virò di bordo e si mise sopravento rispetto al mercantile della Compagnia. Quando fu a due lunghezze di cavo dalla Windsor Castle, che poco prima aveva spiegato la vela maestra per recuperare il controllo, il francese strinse la vela di trinchetto e scoprì l’attrezzatura più bassa, sulla quale si trovava l’equipaggio, che lanciò un grido forte e impetuoso, poi sparì. I marinai inglesi saltarono fuori per rispondere alla provocazione, quando il capitano Oughton ruggì: “Ai cannoni, stupidi! Tutta barra, spiegare le trinchettine, controllare i bracci. Attenti, ragazzi”. La corvetta aveva già la prora sopravento e voleva passare sotto la poppa della Windsor Castle, con l’intenzione di speronarla. La prontezza del capitano Oughton sventò la manovra del francese, che sarebbe stata fatale qualora i marinai inglesi al sartiame fossero stati sbalzati via dal colpo. Come la nave fu sollevata dal vento, vi fu una serie di bordate. Con la Windsor Castle guidata da Newton, che bracciava sull’altra bordata, e la corvetta che orzava sulla stessa, i due vascelli si separarono. (…) Le due navi per un paio di minuti cessarono il fuoco per via del troppo fumo che aveva completamente avvolto entrambi gli equipaggi, i quali non sapevano più dove sparare e aspettavano il diradarsi del fumo

l’AUTORE

Frederick Marryat (1792-1848), londinese, è considerato uno dei padri della letteratura di mare. Arruolatosi nella Marina britannica a soli quattordici anni come marinaio semplice, percorse tutti i gradi fino a quello di capitano, comandando diverse navi e viaggiando nei luoghi che diverranno lo sfondo dei suoi romanzi. Nella sua carriera si distinse soprattutto per il salvataggio di uomini in mare, un’abilità che gli valse il soprannome di ‘Lifeboat’. Nel 1830 lasciò la Marina per dedicarsi alla scrittura: in poco meno di vent’anni pubblicò una trentina di libri, che godettero di grande popolarità.

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per riprendere i colpi. Un’aria leggera allontanò il fumo rivelando le due navi a una distanza di mezza lunghezza di cavo. Il capitano Oughton era a poppa con Newton e il comandante della corvetta francese sulla rete di carico. Quest’ultimo si tolse il cappello e salutò cortesemente l’avversario. Il capitano Oughton rispose al saluto e poi agitò il suo cappello, indicando le bandiere inglesi issate, come a dire: “Non le ammaineremo mai!”. Il francese (che era proprio Surcouf) fece lo stesso con il tricolore e il combattimento riprese. (…) Newton si accorse che la corvetta aveva tirato a bordo le vele stracciate e stava di fronte a loro. “Fugge, signore”, gridò uno dei timonieri. “Credo di no”, rispose Newton, che con il binocolo guardava i ponti del vascello francese. “Si preparano ad abbordare e saranno di nuovo su di noi fra cinque minuti. Sciabole e picche pronte, avanti ragazzi, tutti quanti! Dobbiamo Erano a una lunghezza respingerli!”. “E lo faremo”, gridarono i marinai, come di distanza e Newton obbedendo al proprio stesso ordine e adunandosi riusciva a distinguere sul castello di prua. Ma il gruppo era esiguo: quasi metà dell’equipaggio era morto o si trovava sotto con chiarezza i tratti i ferri del chirurgo, e quando Newton vide queldel prode Surcouf, la ciurma sparuta, sfinita com’era per le fatiche, nera di polvere da sparo, macchiata di sangue e dinanzi ai suoi impregnata di sudore, non poté che ammettere uomini, quando un quanto scarse fossero le probabilità di successo in un attacco contro un vascello ben equipaggiato soffio di vento, che in come la corvetta. Newton disse poche parole ma qualsiasi altro appropriate ed ebbe la soddisfazione di percepire, mentre tutti afferravano le sciabole, che sebbene momento non avrebbe il numero di uomini fosse ridotto e le forze limitacausato il minimo te, il loro spirito era indomito come sempre. Nel frattempo la corvetta si era allonsussulto, investì le tanata di un miglio circa, poi virò di bordo e si vele della corvetta e diresse verso la Windsor Castle, avvicinandosi fino a tre lunghezze di cavo. Pochi minuti avrebbero l’albero danneggiato, deciso tutto quanto. Le vele erano di nuovo alacarico di uomini nel te e scoprivano il lato sottovento, il cordame, il bompresso e il castello di prua, affollato di uomini cordame sottovento, pronti a saltare a bordo non appena le navi fossero incapace di sopportare venute a contatto. Newton stava su uno dei cannoni del castello di prua, circondato dai suoi uola pressione cadde da mini: a bordo della Windsor Castle nessuno disse un lato, trascinandosi una parola, vedendo avanzare il nemico. Erano a una lunghezza di distanza e Newton riusciva a didietro l’albero di stinguere con chiarezza i tratti del prode Surcouf, maestra e la maggior dinanzi ai suoi uomini, quando un soffio di vento, che in qualsiasi altro momento non avrebbe parte dell’equipaggio… causato il minimo sussulto, investì le vele della corvetta e l’albero danneggiato, carico di uomini nel cordame sottovento, incapace di sopportare la pressione cadde da un lato, trascinandosi dietro l’albero di maestra e la maggior parte dell’equipaggio che si trovava nel sartiame, e riducendo la corvetta a un relitto inutilizzabile. Dal castello di prua della Windsor Castle si levò un grido forte a rivelare che i marinai inglesi erano fin troppo consapevoli della disperata situazione, e che salutavano la sventura francese poiché vi vedevano la loro salvezza. “Ora, ragazzi, veloci”, gridò Newton, mentre balzava al timone di poppa, “alle drizze (il fiocco era sotto il suo piede), allascate la coffa di maestra, bracciate il pennone. Bene così, si muove. Uomini ai cannoni, altre sei o sette bordate e sarà nostra”. 46

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A ssagg i

La Le

Preda

a v v e n t u r e d i K i t K i l l i g r e w, l a s p i a d e i m a r i d e l l a r e g i n a Vi t t o r i a .

Era semplice riconoscere una nave carica di schiavi. E gli squali lo sapevano. Qualsiasi nave attraversasse l’Atlantico poteva prevedere che almeno una coppia di squali ne seguisse la scia nella speranza di recuperare qualcuno dei ciccioli gettati fuoribordo dal cuoco. Ma a penetrare di taglio la scia di una negriera ci si aspettava una dozzina di pinne. Gli squali non erano gli abitanti più intelligenti dell’oceano, ma in compenso erano pazienti, e sapevano per esperienza che prima o poi vi sarebbero stati dei morti a bordo di una nave negriera, e che quando questo fosse successo i corpi sarebbero finiti in mare. Spesso capitava morissero dei membri dell’equipaggio, di febbre gialla per lo più, ma due volte più spesso questa sorte toccava a uno degli schiavi. Gli squali non facevano distinzione tra bianchi e neri. Era tutto cibo. I grossi pesci capivano si trattasse di una nave negriera dal fetore. L’ufficiale in seconda Killigrew poteva sentirlo adesso, mentre andava dalla Tisiphone, la corvetta a ruote di Sua Maestà, verso la Maria Magdalena: un miscuglio di sudore stantio, urina, escrementi e vomito. Persino sul panfilo di Sua Maestà, il Victoria and Albert, i servizi sanitari per l’equipaggio erano primitivi nel migliore dei casi, e sulla maggior parte dei vascelli il puzzo degli scoli che si accumulavano nelle sentine, in piena estate, poteva essere soffocante per i terricoli. Ma su una negriera, le disposizioni sanitarie erano del tutto inesistenti.

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“Santo Dio!” imprecò uno dei rematori mentre si avvicinavano alla negriera. “Che orrore! Puzza come il più infimo fosso dell’inferno!” “Fate silenzio, là!” ordinò Killigrew. L’ufficiale sedeva sulla poppa della lancia, col volto cupo rivolto verso la Maria Magdalena. La sua mente era già sul ponte della nave, a pianificare i compiti che la ciurma avrebbe dovuto eseguire una volta a bordo, mettendoli in ordine di priorità. C’erano quattordici uomini stipati sulla lancia della Maria Magdalena. I tre ufficiali – l’ufficiale in seconda Killigrew, l’assistente medico Strachan e il guardiamarina Parsons –indossavano tutti una giubba blu-navy, dei lunghi e stretti pantaloni bianchi di lana e dei berretti con visiera. Killigrew era anche in diritto di fregiarsi della medaglia della guerra cinese, ma preferiva non farlo. Non era affatto fiero di aver preso parte a quello sporco e insignificante conflitto, che tutti chiamavano guerra dell’oppio, sebbene fosse stato promosso a ufficiale in seconda – a metà strada tra guardiamarina e tenente – come premio per il suo operato nella conquista di Chingkiang-fu, nel 1842. Erano passati cinque anni da allora ma l’incubo di quel massacro ancora abitava i suoi sogni. I restanti undici uomini erano marinai semplici e non indossavano delle vere e proprie uniformi, anche se tutti recuperavano il vestiario dal corredo del commissario di bordo, ed era pertanto inevitabile l’uniformità tra i calzoni bianchi, le giubbe blu e i cappelli di paglia dalla tesa larga. Killigrew dette una scorsa oltre il luogo in cui Strachan sedeva con il fazzoletto delicatamente tenuto sopra il naso e la bocca. L’assistente medico aveva appena vent’anni, proprio come Killigrew, gli occhi blu nascosti da occhiali dalla montatura fine e un groviglio di capelli marrone chiaro. Laureato all’università di Edimburgo, dove aveva ottenuto l’abilitazione dalla scuola di farmacia, Strachan era l’ultimo arrivato in Marina. Killigrew sospettava non si fosse laureato a pieni voti, nel qual caso avrebbe potuto certo lavorare esercitando la sua professione sulla terraferma, prospettiva assai più piacevole che non su una corvetta ai Tropici, e assai più remunerativa di nove sterline e sedici scellini al mese che guadagnava come assistente medico. Era il sesto rintocco nella guardia pomeridiana, ovvero erano le tre in punto, come direbbero i terricoli. La Tisiphone – centosessanta piedi da prua a poppa, con un solo fumaiolo tra i due alberi – e la Maria Magdalena erano in panna l’una accanto all’altra a circa cinquanta iarde di distanza. Il sole batteva spietatamente su quel mare blu brillante. Lontano in Gran Bretagna era inverno ora, ma i Tropici non conoscevano inverni né estati, solo la stagione asciutta e quella delle piogge. Adesso era la stagione asciutta e difficilmente un alito di vento avrebbe agitato le vele dell’una o dell’altra nave. Durante la prima parte dell’inseguimento, una brezza proveniente da terra aveva spinto il veloce brigantino costruito a Baltimora a ben dodici nodi tanto che la corvetta a ruote, nonostante vele e motori, riusciva a stento a stargli dietro. Ma la Tisiphone teneva duro, l’equipaggio sapeva che finché avesse mantenuto la nave negriera bene in vista, il tempo e i doldrum sarebbero stati dalla loro parte. Alla fine, al volgere della sera, la brezza diminuì fino a cessare, lasciando la Maria Magdalena impotente. Un colpo del cannone da sessantotto della Tisiphone si abbatté sui pennoni superiori della nave negriera, investendo i colori americani che lì sventolavano, colori che Killigrew non aveva dubbi fossero falsi. La bandiera a stelle e strisce era una bandiera di comodo per questo genere di navi. Sia gli inglesi sia gli americani si erano dotati di una flottiglia per combattere la schiavitù al largo della costa dell’Africa occidentale, ma quella britannica era di gran lunga la più grande ed efficiente delle due. Gli Stati Uniti non avevano un trattato con la Gran Bretagna che autorizzasse le navi britanniche a fermare e perquisire quelle americane: il ricordo della guerra del 1812 e la causa prima che la scatenò – l’ingiustificabile abitudine della Royal Navy di fermare le navi mercantili americane e costringere gli equipaggi a prestare servizio a bordo delle navi da guerra britanniche – doleva ancora ai politici e agli ufficiali americani, vecchi abbastanza da ricordare quei giorni. Pertanto nessun vascello della Royal Navy poteva fermare

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una nave americana, né una battente bandiera a stelle e strisce poteva fermarne una britannica. Detto ciò si comprende che tutto quello che gli scafi negrieri dovevano fare era issare bandiera americana quando erano inseguiti dai vascelli britannici, o issare quella inglese se inseguiti dagli americani. Ciascun ufficiale britannico che avesse fermato una nave battente bandiera americana doveva di fatto essere dannatamente sicuro delle sue ragioni se voleva che non ne nascesse un incidente diplomatico. La murata di dritta del brigantino appariva minacciosa dietro di loro, e Nessun vascello della Killigrew intravide i volti arcigni di alRoyal Navy poteva cuni membri dell’equipaggio rimasto a bordo. Non appena la Maria Magdalena fermare una nave si arrese, il capitano della Tisiphone, il americana, né una comandante Standish, ordinò al capitano della nave catturata di trasbordare battente bandiera a sulla corvetta britannica insieme a una stelle e strisce poteva dozzina di uomini del suo equipaggio. Quegli uomini erano ora prigionieri fermarne una britannica. sotto il tiro dei fucili dei marinai della Quindi tutto quello che Tisiphone, mentre il resto dei negrieri aspettava che Killigrew e i suoi uomini gli scafi negrieri salissero a bordo e prendessero il codovevano fare era issare mando della nave. “Basta così,” ordinò Olaf Ågård. bandiera americana Uno dei due quartiermastri della Tiquando erano inseguiti siphone, lo Svedese, era il sottufficiale di grado più elevato sulla lancia. Avedai vascelli britannici, o va prestato servizio sulle navi inglesi issare quella inglese se – prima sulle baleniere Hull , poi sui vascelli della Royal Navy – per così inseguiti dagli tanto tempo che era rimasta appena americani. una minuscola traccia del suo accento svedese. “Su i remi!” I marinai si misero in posizione consentendo alla lancia di percorrere le ultime iarde spinta dal suo stesso abbrivio, finché la prua andò a sbattere delicatamente contro il fianco della nave, dalla cui frisata pendeva dall’alto una biscaglina. Killigrew salì per primo. In cima afferrò la frisata con entrambe le mani, si tirò su con forza e si girò per atterrare coi piedi sul ponte. Là raccolti c’erano una dozzina di marinai, alcuni sembravano spaventati, altri invece guardavano storto il nuovo arrivato come avessero veleno negli occhi. Nell’istante in cui mise piede sul ponte, Killigrew sganciò la sua pepperbox dalla cintura e la puntò contro i marinai. Non era una novità che l’equipaggio di una nave catturata uccidesse, per diritto di preda, gli uomini saliti a bordo, sebbene di solito si aspettasse che la nave che li aveva catturati facesse vela. Ma Killigrew era più furbo e sapeva di essere condannato se solo concedeva una chance a quel gruppo di scellerati. “Chi di voi ha il comando?” domandò. I marinai si scambiarono qualche occhiata interrogativa. Ma nessuno parlò. Killigrew ripetè la domanda in portoghese agitando la pepperbox. “Andiamo, parlate. Non ho tempo da perdere.” “Io” rispose un uomo dalla corporatura pesante con i capelli neri e unti e un occhio strabico. “Come vi chiamate?” “Ramón Barroso.” “Siete il primo ufficiale?” “Sì.” 50

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Il resto dell’equipaggio della lancia presto si radunò sul ponte della Maria Magdalena armato di pistole e sciabole, alcune delle quali presero subito sotto tiro i negrieri. “Sorvegliate quegli uomini finché non li avremo messi ai ferri,” ordinò Killigrew. “Che immagino non mancheranno a bordo. Boulton, Ewans, Ivey e McFee: voi quattro perquisite la nave in cerca di altri uomini e di armi. Signor Parsons, siate così gentile da issare la nostra bandiera. Signor Fentiman controllate cosa occorre per riparare la nave fino a Freetown. Aiutatelo voi, Sails. Vedete quello che riuscite a trovare tra le forniture di bordo; quello che manca lo dovremo prendere sulla Tisiphone.” Fentiman e Sails – rispettivamente il capo carpentiere e il velaio – annuirono e si misero al lavoro. “Io controllerò gli schiavi”, disse Strachan. Killigrew fece cenno a Barroso con la pistola. “Mostratemi i documenti di bordo.” “Li ha il senhor capitão. Li ha portati con sé sulla Tisiphone per mostrarli al vostro capitão.” “Intendo gli altri documenti,” disse Killigrew. “Non ho ancora mai fermato una nave negriera che non avesse più di una documentazione.” Seguì Barroso nella cabina del capitano, dove il portoghese indicò un forziere chiuso col lucchetto. “Non ho la chiave”, disse Barroso. “Io sì”, ribattè Killigrew facendo saltare il lucchetto con un colpo di pistola. Il negriero si mosse per aprirlo, nascondendo col suo corpo il forziere alla vista di Killigrew. “Fermo là!” scattò Killigrew prima che l’altro riuscisse a sollevare il coperchio. “Fatevi da parte. Giratevi verso il muro, stendete le braccia e mettete le mani contro la paratia. Bravo ragazzo. E ora non battete ciglio.” L’inglese sollevò il coperchio. All’interno, sui documenti, era poggiata una vecchia pistola a pietra focaia. Killigrew la prese e la mostrò a Barroso. “E’ questa che cercavate?” Il portoghese non rispose. Killigrew infilò la pistola sotto la cintura e rivolse la sua attenzione al contenuto della cassa. Non c’erano documenti, né giornale di bordo, né note di carico, né ordini dell’armatore. Qualcuno bussò alla porta. “Chi è?” domandò Killigrew senza levare lo sgardo da Barroso. “Io, signore. Parsons.” “Entrate, signor Parsons. Cosa posso fare per voi?” “E’ il dottore, signore. Vuole che lo raggiungiate nella stiva.” “D’accordo.” Killigrew afferrò Barroso per la collottola, gli piantò le bocche della sua pepperbox all’altezza dei reni e lo fece marciare fuori sul ponte. “Potete tornare dai vostri compagni per ora!” e lo spinse con fare rude là dove gli altri uomini del brigantino aspettavano. Poi scese fino alla stiva. Sottocoperta il tanfo di sudore, urina, escrementi e vomito era ben peggiore e Killigrew si sentì soffocare. Strachan aspettava fuori dalla porta. Si udivano pianti e lamenti provenire da lì dietro. “Ho creduto che avreste voluto vedere con i vostri occhi, signore,” disse Strachan, scuro in volto. Killigrew gli lanciò uno sguardo interrogativo. L’assistente medico era già stato a bordo di numerose altre navi negriere nel breve tempo trascorso al servizio della Squadra dell’Africa occidentale, e se aveva creduto che questa fosse degna di particolare attenzione significava che la situazione era davvero pessima. L’avvertimento mise in guardia Killigrew, ma niente avrebbe potuto fargli forza contro il puzzo e contro quanto gli si offrì alla vista quando Strachan spalancò la porta. All’istante lo investì una ventata di aria calda e disgustosa, e dovette trattenersi perchè non gli si rivoltasse lo stomaco. L’unica fortuna fu che la debole illuminazione gli impedì di vedere di più.

Il libro 1848. Nonostante gli estenuanti sforzi della Royal Navy per liberare i mari dai negrieri, questi continuano a trarre profitto dal raccapricciante c o m m e rcio di carne umana tra Africa e America. Kit Killigrew, giovane ufficiale di Marina, deluso dai risultati scoraggianti e dalle facili scappatoie del complesso sistema di leggi internazionali che regolano i commerci via mare, organizza un piano ardito per infiltrarsi tra i negrieri e scoprire dove si trova il più grande mercato di schiavi dell’Africa occidentale, e smascherare così l’importante politico inglese che finanzia quel crudele traffico. In un crescendo di azione e colpi di scena, Killigrew si lancia nella pericolosa avventura, fino alla battaglia decisiva contro gli schiavisti e alla resa dei conti finale sul Tamigi. Dai sontuosi saloni della Mayfair alle giungle della Nuova Guinea, La rotta del Leopardo è uno straordinario romanzo di mare, avventura e intrighi. Edizioni Magenes, novembre 2008

l’AUTORE

Jonathan Lunn, nato a Londra, ha cominciato a scrivere all’età di quindici anni. Ha studiato storia all’università di Leicester e ha intrapreso la carriera politica. Attualmente vive a Bristol, e lavora al settimo volume della saga dedicata al giovane ufficiale della Royal Navy.


Novità La mia vela, Trent’anni sul mare con Paolo Venanzangeli a cura di Fabio Colivicchi e Bianca Gropallo pp. 256 • euro 35,00 • settembre 2008 Varrone Terenzio La patente nautica Come superare l’esame per il comando delle imbarcazioni a vela e a motore, entro e oltre le 12 miglia, e imparare a navigare pp. 320 • euro 19,00 • marzo 2008 Ernesto Tross La mia barca sicura I rischi in mare. Il racconto e l’analisi di naufragi e incidenti reali. Suggerimenti e soluzioni pratiche per aumentare la sicurezza di chi naviga pp. 192 • euro 16,00 • marzo 2007 Davide Zerbinati Lavori a bordo Dall’impianto elettrico a quello idraulico, dal motore alle vele, dall’osmosi al ponte in teak. Guida completa per far da sé la manutenzione e i mille lavori necessari a bordo della propria barca con trucchi e suggerimenti pp. 576 • euro 45,00 • marzo 2007

Trent’anni di vela e di regate italiane e internazionali, visti con gli occhi e la passione di Paolo Venanzangeli. Trent’anni raccontati attraverso le sue foto e la testimonianze di amici prestigiosi che con lui hanno vissuto esperienze professionali. Da Paul Cayard a Francesco De Angelis a Vincenzo Onorato, Alessandra Sensini, Mauro Pelaschier, Giulio Guazzini e Carlo Marincovich. Gli inizi in barca, le regate e le vittorie a bordo di Seminole, le traversate oceaniche, ma anche foto e storia di numerose edizioni di Admiral’s Cup, Olimpiadi e Coppa America, regate storiche che Venanzangeli ha seguito come giornalista, collaborate di Nautica, del Corriere dello Sport e della Federazione italiana vela.

Superare l’esame per la patente nautica, diventare comandanti, ma anche imparare a navigare. Questi gli obiettivi del corso scritto dal contrammiraglio Varrone Terenzio, già sperimentato da anni con successo nelle scuole di vela. Il volume si distingue dagli altri manuali perché non offre solo tutte le nozioni teoriche necessarie al superamento dell’esame per il conseguimento della patente: non si limita cioè al necessario adempimento burocratico, ma si preoccupa anche della formazione nautica effettiva di chi si appresta a condurre un’imbarcazione. Un manuale pratico per chi va per mare, una guida unica per capire quanto la propria barca possa essere considerata affidabile, e per migliorarla di conseguenza. Ernesto Tross, geniale autocostruttore, analizza una larga casistica di incidenti e naufragi e propone una lunga serie di suggerimenti pratici sulle strutture della barca, gli accessori e le tattiche di navigazione con cattivo tempo. E infine presenta la sua risposta concreta. Il nuovo progetto di una barca a vela da 10 metri, in grado di resistere in qualsiasi condizione meteo.

La guida più completa pubblicata in Italia per la manutenzione della barca. Pagine utili per conoscere meglio la propria imbarcazione e per sapere quando e come occuparsi della sua manutenzione. Per renderla più sicura, per farla durare di più nel tempo, o semplicemente per renderla più confortevole. La competenza dell’autore e un imponente apparato iconografico guideranno negli interventi di routine e in quelli più complessi.


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ANDREA PENDIBENE

MINITRANSAT DIARIO DI BORDO DI UN

SOGNO

CHE SI

AVVERA

Da La Rochelle, in Francia, a Salvador de Bahia, in Brasile: 4.200 miglia di oceano in solitario, a bordo di una barca a vela di soli sei metri e mezzo. Andrea Pendibene è stato il più giovane italiano ad aver partecipato, nel 2007, alla Transat 6.50, la regata per solitari che attraversa l’Atlantico dall’Europa al Sud America, meglio nota come Mini Transat, proprio perché riservata alle piccole imbarcazioni della classe Mini. Un appassionante diario di regata, ma anche un’utile guida per i tanti giovani che coltivano lo stesso sogno ma che, come lui, devono riuscire a trovare i mezzi per poterlo realizzare.

Matteo Miceli: due traversate atlantiche su un catamarano scoperto di 20 piedi, in doppio e in solitario. Due record e due splendide avventure umane e marinare. Ma anche il lungo cammino per arrivare alle imprese, dalla paziente acquisizione delle competenze tecniche alle regate con i migliori ‘team’ italiani, fino all’esperienza da atleta-imprenditore nel cantiere di cui è diventato proprietario, per costruire un Class 40 e regalarsi il progetto di un giro del mondo mai realizzato prima: da Roma a Roma. Uno dei velisti italiani più atipici e dotati, nominato ‘Velista dell’anno’ nel 2007, si racconta e si scopre.

Pietro D’Alì ha vinto nel 2007, in coppia con Giovanni Soldini, la Jacques Vabre, una delle grandi regate transatlantiche dominio da sempre degli skipper francesi e inglesi. Si conferma così come il velista italiano più forte del momento insieme allo stesso Soldini. Sicuramente quello che può vantare la carriera più completa e la più ricca collezione di risultati. Dai titoli italiani ed europei conquistati sulle derive, al giro del mondo in equipaggio, alla Coppa America su Luna Rossa, alle Olimpiadi. D’Alì racconta per la prima volta la sua incredibile vita tutta trascorsa sul mare. Fin da quando, a soli tredici anni, fu imbarcato nell’equipaggio del Guia di Giorgio Falck.

A quasi vent’anni di distanza, Nutrimenti ripropone il diario di bordo della storica traversata dell’Atlantico di Alex Carozzo su una scialuppa in disuso ed equipaggiata solo con materiali di risulta. Un libroculto per molti velisti, una provocazione concreta, sulla stessa rotta di Cristoforo Colombo, per dimostrare come l’uomo possa ancora fare a meno nel suo rapporto con il mare di sofisticazioni tecnologiche e lussi inutili.

La vita dei delfini raccontata da un’esperta biologa marina. Le diverse specie, le abitudini, le molte leggende fiorite intorno a questi meravigliosi abitanti del mare. Un libro, arricchito da uno straordinario corredo di fotografie inedite, per conoscere i delfini e gli altri cetacei, e per imparare a proteggerli dall’incosciente invadenza dell’uomo. E L E T TA R E V E L L I

DELFINI

IL MONDO DEI SPECIE, COMPORTAMENTI, LEGGENDE E CURIOSITÀ DEI CETACEI DEI NOSTRI MARI

Novità Andrea Pendibene Mini Transat Diario di bordo di un sogno che si avvera pp. 128 • euro 15,00 • ottobre 2008 Matteo Miceli, Jean-Luc Giorda L’oceano a mani nude Prefazione di Pasquale De Gregorio pp. 208 • euro 15,00 • maggio 2008 Prossimamente Pietro D’Alì, Matteo Cortese Nel vento novembre 2008

Alex Carozzo Zentime Atlantico Prefazione di Antonio Soccol pp. 184 • euro 15,00 • marzo 2008 Eletta Revelli Il mondo dei delfini Specie, comportamenti, leggende e curiosità dei cetacei dei nostri mari pp. 144 • euro 16,00 • giugno 2008


Le avventure e le peripezie, l’eroismo e le passioni di un giovane marinaio nell’Inghilterra previttoriana. Pubblicato nel 1832, Newton Forster conquistò subito i lettori dell’epoca per la prosa accattivante e la vena spassosa, per il fascino irregolare dell’avventura per mare contrapposto agli ozi e alle convenzioni della vita sulla terraferma, per la straordinaria costellazione di personaggi indimenticabili. Questa edizione ripropone al pubblico italiano, dopo decenni di ingiustificato oblio, l’opera di Frederick Marryat, scrittore tra i più popolari dell’epoca di Charles Dickens, uno dei padri della letteratura di mare: amato da Conrad, Melville e Hemingway, fonte d’ispirazione per Cecil Scott Forester e Patrick O’Brian.

Novità Frederick Marryat Newton Forster Traduzione di Giovanni Giri pp. 352 • euro 16,00 • settembre 2008 Prossimamente Louis Garneray Corsaro della Repubblica Traduzione di Annalisa Comes pp. 256 • euro 16,00 • ottobre 2008

Imbarcatosi a tredici anni sulla fregata La Forte, Louis Garneray (1783-1857), compagno del famoso pirata Sourcuf, ci offre con questo libro la cronaca più scrupolosa dei suoi primi anni in mare fra i corsari dell’Oceano Indiano. All’epoca degli ultimi successi della Marina francese (1796-1801) prima di Trafalgar, Garneray ci fa rivivere tutti i momenti più significativi e quasi incredibili della sua vita avventurosa, in uno stile personalissimo, realistico, rude e diretto – mai retorico o compiaciuto – che dà al suo racconto il valore inimitabile della testimonianza.

Harry Thompson Questa creatura delle tenebre Traduzione di Giovanni Giri pp. 752 • euro 19,50 • ottobre 2006

Riccardo A. Andreoli I giganti del grande blu Prefazione di Umberto Pelizzari, Renzo Mazzarri, Riccardo Molteni pp. 280 • euro 16,00 • maggio 2008

È il 1828 e l’ufficiale inglese Robert FitzRoy riceve l’incarico di capitanare il brigantino Beagle in un lungo viaggio di ricerca in Terra del Fuoco. Per il suo secondo viaggio FitzRoy imbarcherà un naturalista, un seminarista appassionato di geologia di nome Charles Darwin. Un avvincente romanzo storico, finalista al Booker Prize 2005, che attraverso l’amicizia di due uomini, le passioni e le ossessioni che li divisero, racconta un viaggio decisivo per la storia della conoscenza.

Un giro intorno al mondo praticando la pesca subacquea in apnea in acque libere, in aperto oceano. Alla ricerca dell’incontro con i grandi pesci: squali, tonni, pesci spada, marlin. Venezuela, Tonga, Fiji, Nuova Zelanda, Nuova Caledonia, Vanuatu, Australia, Capo Verde sono le principali tappe del lungo viaggio in cui l’italiano Riccardo Andreoli ha stabilito anche il record mondiale di cattura per il pesce vela. Record omologato secondo le rigide regole delle associazioni internazionali di pesca subacquea.

Stefano Makula Fino all’ultimo respiro pp. 144 • euro 14,00 • marzo 2008

S T E FA N O M A K U L A

FINO ALL’ULTIMO

RESPIRO

L’autobiografia di Stefano Makula, più volte primatista mondiale di immersione in apnea. Una storia rocambolesca e avventurosa segnata da una sorta di vocazione che dall’età di tredici anni lo ha spinto sott’acqua. Makula ha vissuto da protagonista l’epoca pionieristica dell’apnea in una competizione, nello stesso tempo sportiva e polemica, con i mitici Maiorca e Mayol. Attraverso incidenti drammatici, apre le porte all’apnea moderna che permette oggi a milioni di appassionati di vivere il mare e le immersioni in assoluta tranquillità.


Jean-Michel Barrault Moitessier La lunga scia di un uomo libero Traduzione di Laurence Figà-Talamanca pp. 200 • euro 15,00 • ottobre 2006

“Continuo perché sono felice in mare”. Il messaggio che nel 1969 Bernard Moitessier lancia con una fionda a bordo di un cargo lascia di stucco il mondo della vela. A Plymouth lo attendono come vincitore del primo giro del mondo in solitario e senza scalo. Lui volta invece le spalle agli allori. Dall’infanzia in Vietnam alle leggendarie navigazioni con il suo Joshua, fino all’ultima parte della vita: la biografia del leggendario navigatore francese raccontata dal suo amico, confidente e consulente editoriale per oltre trentacinque anni. Alessandro Di Benedetto L’Atlantico senza riparo Dall’Italia ai Caraibi in Hobie cat pp. 168 • euro 15,00 • giugno 2004, terza edizione ottobre 2006

Dall’Italia ai Caraibi su un minuscolo catamarano, da solo e senza assistenza. L’impresa di Alessandro Di Benedetto ha dell’incredibile, e non a caso è stata omologata dal World Sailing Speed Record Council, la massima autorità in fatto di record a vela, come primato mondiale. L’Atlantico senza riparo è il diario in presa diretta delle avversità superate dal navigatore italiano, ma anche un affascinante racconto sul ‘grande largo’ e sui sogni che esso evoca. Pasquale De Gregorio, Andrea Palombi Oceani ad ogni costo Prefazione di Cino Ricci pp. 216 • euro 15,00 • ottobre 2001, seconda edizione ottobre 2006

Più di cinque mesi passati da solo negli oceani del mondo, di cui più di due alle latitudini note come i ‘Quaranta ruggenti’ e i ‘Cinquanta urlanti’. Una passione tanto forte e ostinata da superare i mille ostacoli della terraferma e le disavventure della navigazione. L’odissea attorno al mondo di Pasquale De Gregorio, uno dei due soli italiani che sono riusciti a concludere la Vendée Globe, la regata mito di ogni velista, il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza.

www.nutrimenti.net Giuliano Gallo Il padrone del vento La lunga vita felice di Agostino Straulino pp. 176 • euro 14,00 • novembre 2005

La vita del marinaio più celebre d’Italia raccontata da quelli che l’hanno conosciuto. I suoi marinai, i suoi allievi, gli amici d’infanzia parlano di un uomo che ha amato e conosciuto il mare come nessun altro. Dagli anni dell’adolescenza alle imprese di guerra, dall’oro olimpico di Helsinki alle vittorie nei Campionati del Mondo, dal primo avventuroso viaggio del Corsaro II al leggendario comando della Vespucci. Premio Casinò Sanremo ‘Libro del Mare’ 2006 Ernesto Tross Prua a Est pp. 168 • euro 15,00 • aprile 2003, seconda edizione ottobre 2006

La vita di un grande viaggiatore, che ha progettato e costruito con le sue mani otto barche, che ha navigato per diciotto anni nell’Oceano Indiano, che è salito fin sull’Himalaya con la moto, ha girato i deserti in Dune-buggy, ha volato in aliante. Una storia segnata dalla passione per il mare e la vela, e in generale per il viaggio inteso nel più classico dei modi, come occasione di scoperta e conoscenza di genti, civiltà e culture diverse dalla nostra. Pietro Querini, Cristofalo Fioravante, Nicolò de Michiele Il naufragio della Querina Veneziani nel circolo polare artico A cura di Paolo Nelli • Postfazione di Claire Judde de Larivière • pp. 104 • euro 14,00 • settembre 2007 La Querina, nave mercantile veneziana, parte nel 1431 da Creta verso le Fiandre. Non ci arriverà mai. Prima i venti contrari la spingono sempre più a nord. Poi le tempeste cominciano la loro opera di distruzione. Sedici uomini resistono a tutto e approdano su un’isola deserta, sulle coste della Norvegia. Un’avvincente storia di mare giunta fino a noi attraverso il racconto diretto di tre dei sopravvissuti.


MAGENES

CANALI DI FRANCIA Da Marsiglia a le Havre Carlo Piccinelli 416 pagine a colori � 22,00

In preparazione: CANALI DI FRANCIA Da Saint-Malo a Marsiglia Carlo Piccinelli oltre 400 pagine a colori � 22,00

CANALI DI FRANCIA Dalla Francia ai paesi del Nord Europa Carlo Piccinelli oltre 400 pagine a colori � 22,00

Una guida pratica, completa, ricca di informazioni raccolte sul posto alla scoperta degli oltre 8.000 km di vie d’acqua navigabili in Francia. Volume 1 – Da Marsiglia a Le Havre Percorsi di fiumi e canali tra il Mediterraneo e la Manica, attraverso regioni cariche di storia, cultura e caratterizzate da un inconfondibile paesaggio. Città di fascino come Lione, Avignone, Parigi, Rouen raggiungibili in houseboat navigando sul Rodano, la Saône, la Senna e i suggestivi canali del Centro. Tutti gli itinerari sono espressi in diagrammi completi di indicazioni di porti, chiuse e ponti stradali, punti di attenzione e di interesse, zone di ormeggio, aree per i camper, percorsi in bicicletta. La guida è arricchita da: • informazioni e consigli per la navigazione fluviale: il passaggio alle chiuse, gli incroci, le manovre di sorpasso e ormeggio, i segnali luminosi e sonori, • tutti i termini utili per la navigazione fluviale, in italiano e francese, • città di interesse storico, escursioni enogastronomiche, feste e sagre, curiosità, • la storia delle vie d’acqua francesi dalle origini alla nascita del turismo fluviale.

Tutto quello che c’è da sapere sui fari. FARI D’EUROPA Guida alla scoperta dei fari di Italia, Francia, Spagna e Croazia Francesca Cosi e Alessandra Repossi 296 pagine a colori � 18,00

Dai primi fuochi accesi lungo le coste a costruzioni mitiche come il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria, fino ai segnalamenti automatizzati di questo secolo: un’interessante e dettagliata parte storica, tecnica e artistica apre al viaggio tra gli oltre 300 fari di Italia, Francia, Spagna settentrionale e Croazia, alla scoperta di queste affascinanti sentinelle del mare, della loro imponenza architettonica in armonia con la natura che li circonda, della storia che custodiscono e di cui sono testimonianza nel tempo. Per osservarli, visitarli o anche per provare il brivido di vivere al loro interno e diventare per un attimo i padroni del mare. La guida è arricchita da: • immagini degli oltre 300 fari trattati, • indicazioni tecniche: ubicazione, anno di costruzione, altezza sul livello del mare, caratteristiche, • informazioni sulle possibilità di visita ai fari, ai musei, e di pernottamento al loro interno, • curiosità storiche, aneddoti e attrazioni turistiche.

Per ricevere gratuitamente il catalogo aggiornato scrivere a: MAGENES EDITORIALE • VIA MAURO MACCHI 50 • 20124 MILANO

tel 02 6671 0816 • fax 02 6710 0421 • infomaree@nonsololibri.it


www.nonsololibri.it Con semplicità e chiarezza questo volume spiega: • come scegliere la barca giusta e attrezzarla per la crociera con i bambini • come adattare i catamarani e la barca a noleggio • come programmare la crociera • quali sono le rotte del Mediterraneo da preferire • come preparare i bambini a vivere in una barca in mezzo al mare. E inoltre, la mamma a bordo: l’abbigliamento, la pulizia, l’alimentazione, la protezione dal sole e i giochi per i bambini. La vita a bordo in navigazione, in porto e in rada. Un lungo e dettagliato capitolo su come affrontare le emergenze pediatriche a bordo.

Questo manuale è stato pensato e realizzato specificatamente per i ragazzi. Il linguaggio è semplice e diretto, sono stati impiegati disegni e schemi in modo da “impressionare” maggiormente la memoria fotografica e mantenere il più elevato possibile il grado di interesse nella lettura. Il testo è adatto sia per chi vuole “rinforzare” le proprie conoscenze dopo aver frequentato un corso, sia come strumento didattico per le scuole vela.

IL GRANDE LIBRO DEI NODI

ISOLE SELVAGGE

Clifford W. Ashley 640 pagine � 28,00

Igor Napoli 320 pagine a colori � 22,00

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BIMBI A BORDO Andrea Cestari 144 pagine 16 pagine a colori � 14,00

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LA VELA È UN GIOCO BELLISSIMO! Andrea Cestari 88 pagine a colori � 15,00

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DEEP DIVING Guida avanzata alla fisiologia, alle procedure e ai sistemi B. Gilliam, R. Von Maier, J. Crea 432 pagine � 25,00

MIXED GAS DIVING Immersione a miscele Tom Mount Bret Gilliam 496 pagine � 25,00

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CORSO ISTRUTTORE DI NUOTO

TECNICHE DI RESPIRAZIONE PER APNEA

RELITTI E NAVI SOMMERSE Liguria e Toscana

ANFORE E ANCORE SOMMERSE

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Federico Mana 120 pagine a colori � 15,00

G. Mirto, S. Pivetta G. Spazzapan 320 pagine � 28,00

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VITA E COSTUMI A BORDO DEI GRANDI VELIERI Armand Hayet 320 pagine � 15,00

QUELLI DI CAPO HORN William H.S. Jones 336 pagine � 15,00

STORIA DELLA NAVIGAZIONE Dal 5000 a.C. ai giorni nostri H.W. van Loon 288 pagine � 15,00

I SEGRETI DEL MAR ROSSO

LA CROCIERA DELL’HASCISC

AVVENTURE DI MARE

Henry de Monfreid 288 pagine � 14,00

Henry de Monfreid 224 pagine � 14,00

Henry de Monfreid 256 pagine � 15,00

IL CAPITANO NELSON Martino Sacchi 368 pagine � 16,00

GLI ULTIMI VIAGGI DI NAPOLEONE a cura di Alberto Dati 288 pagine � 15,00

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I RACCONTI DEL CAPITANO Emilio Salgari a cura di F. Pozzo 256 pagine 16 pagine a colori � 14,00

L’ORO DELL’ELBA Operazione Polluce Enrico Cappelletti Gianluca Mirto 368 pagine � 15,00

QUATTRO DRAMMI SUL MARE Alexandre Dumas 224 pagine � 14,00

GRAND BAHAMA L’isola del tesoro Enrico Cappelletti 224 pagine � 15,00

LO SPARVIERO DEL MARE

I GUARDIANI DEI FARI

Rafael Sabatini 288 pagine � 13,00

Charles Paolini 192 pagine � 14,00

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GIORNALE DI BORDO DI MAARKOS SESTIOS Ferdinand Lallemand 144 pagine 32 pp di foto b/n � 14,00

PESCICANI DA VENDERE William Travis 224 pagine � 14,00

seconda edizione

IL PRINCIPE DELLE IMMAGINI

IO C’ERO

NELL’ANIMA DI UN RELITTO

HMS THUNDERBOLDT Due vite, due morti

Gaetano Cafiero 208 pagine 32 pagine a colori � 19,00

“Il Duca” Fabio Pajoncini Ottaviani 176 pagine 32 pagine a colori � 15,00

IL SEGRETO DI CALA DELL’ORO

AVVENTURE SOTTO I MARI

DENTRO IL MARE IL MARE DENTRO

FIGLI DI UNA SHAMANDURA

Emilio Carta 160 pagine � 14,00

Charles Paolini 192 pagine � 14,00

Girolamo Lo Verso 192 pagine 16 pagine a colori � 14,00

Claudio Di Manao 176 pagine � 12,00

Cristina Freghieri 136 pagine 32 pagine a colori � 15,00

Cristina Freghieri 192 pagine 32 pp di foto b/n � 15,00


www.nonsololibri.it NAUFRAGO VOLONTARIO

VENT’ANNI DI MEDITERRANEO

L’ISOLA DEL MUTO

SULLA ROTTA DI MAGELLANO

Alain Bombard 224 pagine � 14,00

Göran Schild 336 pagine � 15,00

Fulvio Molinari 144 pagine � 12,00

Willy de Roos 192 pagine � 14,00

seconda edizione

seconda edizione

FIOR DI NORVEGIA

ALASKA DREAM

IL VENTO FIN QUA

OLTRE L’OCEANO

E. Passarella S.L. Rodriguez 224 pagine 32 pagine a colori � 15,00

Michèle Demai 224 pagine � 14,00

Renzo Guidi Michele Tognozzi 160 pagine � 14,00

Alessandro Di Benedetto 192 pagine 32 pagine a colori � 15,00

seconda edizione

GLI OCCHI DELLA GIUNCA

LA MEMORIA DEL MARE

ALLORA VENGO CON TE

QUELLI DEL M/R VORTICE

M. Pitiot M. Laheurte 336 pagine � 15,00

Deli Carbonari Carlotta Dazzi 224 pagine � 14,00

Sabina Cordone 168 pagine 32 pagine a colori � 14,00

Carlo Gatti 176 pagine 16 pagine a colori � 14,00

IL PESCE SUICIDA

QUATTRO RAGAZZE IN BARCA

IL MARE MINORE

A MARI ESTREMI

Pino Aprile 160 pagine � 14,00

Pino Aprile 160 pagine 8 pagine a colori � 14,00

IL MARE CHE NON TI ASPETTI

LA DAMA DEL MARE

Marco Affronte 160 pagine 16 pagine a colori � 14,00

Anita Conti 256 pagine � 14,00

DIARIO DI TONNARA

IL SALE E IL SANGUE

Ninni Ravazza 336 pagine 32 pagine a colori � 17,50

Ninni Ravazza 240 pagine 48 pagine a colori � 16,00

Mario Scheichenbauer 224 pagine 32 pp di foto b/n � 14,00

PENNE NERE SUL MARE Luca Cassano a cura di L. Pozzo 192 pagine 32 pp di foto b/n � 14,00

UNA STAGIONE DI PESCA AL MERLUZZO Aa Vv 168 pagine � 15,00

Mario Scheichenbauer 224 pagine � 14,00

A ME MI PIACE IL MARE E altre pozzanghere Little Top 224 pagine � 14,00

CORALLARI Ninni Ravazza 224 pagine 32 pp di foto b/n � 14,00


Edizioni Magnamare

I Libri per Navigare

Jack Lagan The Barefoot Navigator Navigare con l’Abilità degli Antichi 190 pagine ■ Prezzo Euro 15,00

Se pensate che la tecnologia la faccia un po' troppo da padrona nella nostra vita e che sia giunta l'ora di riscoprire la natura, le nostre capacità e soprattutto il buon senso, The Barefoot Navigator è il libro che fa per voi. È un divertente manuale su come navigare con il minimo della tecnologia necessaria, riscoprendo le tecniche, i sistemi, gli accorgimenti usati per millenni dai marinai di tutto il mondo. L'opera di Lagan è un modo per tornare a guardare il mare non più attraverso un plotter, ma direttamente con i nostri occhi, per navigare divertendoci, ma senza mai perdere d'occhio la sicurezza.

Peter Noble - Ros Hogbin La Mente del Marinaio Un’analisi delle vicende umane nella navigazione di oggi e di ieri 191 pagine ■ Prezzo Euro 15,00

Cos’è che fa scattare la passione per la navigazione? Quali sono le vicende personali che si nascondono dietro le avventure (e le disavventure) in mare? Perché alcune persone sono attratte dalle sfide della navigazione estrema, e come le affrontano? Non importa quanto bene la barca sia equipaggiata o quanto preparati siano lo skipper e l’equipaggio: il successo di un viaggio dipende in gran parte della mente, ed è il risultato dell’atteggiamento e della volontà. Peter Noble, psichiatra ed esperto marinaio, e Ros Hogbin, scrittrice e circumnavigatrice, analizzano gli aspetti psicologici della navigazione e della vita in mare aperto. Alberto Cuomo Il Navigatore Più o Meno Responsabile 154 pagine ■ Prezzo Euro 15,00

«La richiesta di impegno e responsabilità dilaga, anche se tutti sembrano molto riluttanti ad impegnarsi di persona. In termini “aziendalistici”, la responsabilità richiesta è quella cosiddetta sociale (vedi alla voce “Responsabilità Sociale di Impresa”). Come cittadini e consumatori, abbiamo un potere di pressione che possiamo esercitare abbracciando il “consumo responsabile”. Perché dunque non concepire, per il mondo della nautica, la figura del “Navigatore Responsabile”? E perché lasciare il navigatore solo nell'impresa di scoprire i comportamenti più responsabili a bordo?» Comincia così la nuova guida di Alberto Cuomo che, con grande ironia, ma solida visione scientifica, ci mostra molti degli accorgimenti e dei comportamenti da adottare con sforzo limitato per ridurre al minimo l'impatto sull'ambiente della navigazione da diporto. E. Di Persano, G. B. Magnaghi, L.P. Paganini Vedute e Descrizioni dei Fari e Semafori Sulle Coste d’Italia (1877)

Ristampa anastatica a cura di Cristiana Bartolomei. 70 pagine, brossura copertina cartonata, 65 vedute, € 45,00

Abbiamo deciso di ristampare questo prezioso e accurato lavoro del 1877 in collaborazione con l’ufficio storico della Marina Militare Italiana e l’Istituto Idrografico per recuperare e riproporre un pubblicazione importante e appassionante per gli amanti del mare e dell’Italia. I bellissimi disegni di Paganini e i precisi rilievi realizzati a bordo del piroscafo Tripoli comandato dal Capitano di Fregata Persano per il Regio Istituto Idrografico diretto dall’allora Capitano di Fregata Magnaghi ci permettono di vedere com’era la costa italiana nei suoi punti più amati e affascinanti. Le vedute di Camogli, Portofino, Santa Margherita Ligure, Lipari, Capo Spartivento e ancora di Messina e Reggio prima del terremoto ci fanno capire come

e perché l’Italia fosse da tutti considerata il più bel Paese del mondo, dove uomo e natura avevano lavorato insieme per secoli realizzando un ambiente unico che oggi, purtoppo, in molti casi è scomparso.


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Adriatico Piero Magnabosco Adriatico - Volume Primo 584 pagine ■ Euro 47,00

L’idea di Adriatico è nata parlando con molti velisti e navigatori che frequentano questo mare di quello che avrebbero voluto sapere. Molte sono le pubblicazioni esistenti e molte di alto livello, mancava però qualcosa che non si limitasse a dare i piani dei porti o le informazioni sugli ormeggi, i fondali e la meteorologia; tutti chiedevano un libro che andasse oltre, con informazioni e notizie sulla storia, l’aspetto, la singolarità dei vari approdi. Piero Magnabosco

Piero Magnabosco Adriatico - Volume Secondo L’arcipelago delle Absirtidi:le isole di Cherso e Lussino 264 pagine ■ Euro 45,00 Continua il nostro viaggio attraverso “il mare più bello del mondo”, e continua osservando la costa in modo sempre più preciso e ravvicinato. Trovare la propria “baia ideale” diventa facile con i piani nautici a colori e le fotografie dall’alto e dal mare di tutti gli approdi e gli ancoraggi delle isole di Cherso, Lussino, Unie, Canidole, Levrera, Sansego, Asinello, San Pietro dei Nembi, Oriule. Tutte le informazioni per navigare e scoprire gli angoli più incantevoli di questo arcipelago posto a cerniera tra l’Istria e la Dalmazia. Una nuova prospettiva per un portolano: mappe, viste dall’alto e dal basso, da riva e dal largo e una minuziosa descrizione di come sono queste isole, da sempre frequentate dai naviganti, e anche di come erano, con attenzione alla storia e alle curiosità che ne fanno un mondo speciale.

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Edizioni Magnamare Edizioni Magnamare pubblica le edizioni italiana ed inglese del portolano 777 di Karl-Heinz Beständig, una guida preziosa alla navigazione in Dalmazia, Istria e Montenegro.

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zi

ISBN 978-88-6200-003-1

777

porti e ancoraggi

A

ISBN 978-88-6200-099-4

Dalmazia Istria e Montenegro

Mariolina Rolfo - Giorgio Ardrizzi Patagonia & Tierra del Fuego Nautical Guide Pagine 720 ■ € 65,00

Mariolina Rolfo e Giorgio Ardrizzi hanno scritto e realizzato il più completo e preciso portolano del sud del mondo. I canali del Cile e della Terra del Fuoco, lo stretto di Magellano, la lunga costa della Patagonia, l’isola degli Stati e Capo Horn non hanno più misteri. Migliaia di ancoraggi descritti con accuratezza e tutti i consigli e le notizie per avventurarsi laggiù dove sono nate le più grandi leggende del mare e dei marinai . Il libro, di cui curiamo la distribuzione per tutto il mondo, è in lingua inglese. Ai lettori italiani viene fornito gratuitamente un CD con la traduzione dei sette capitoli iniziali, delle appendici, le fotografie e l’impaginato in formato PDF.

Dario Silvestro, Daniele Herklotz 777 Porti ed Ancoraggi Albania Coste Adriatica e Ionica Pagine 60 ■ € 20,00

Il primo e unico portolano dell’Albania, la nuova frontiera per il diporto in Mediterraneo. Innumerevoli ancoraggi solitari e incontaminati, coste sabbiose e rocciose, paesi lontani dal turismo esasperato dell’occidente; tutto è perfettamente descritto assieme alle indicazioni ed alle notizie necessarie per navigare in piena sicurezza. Il portolano è realizzato con lo stesso inconfondibile stile grafico del 777 di Dalmazia Istria e Montenegro, in modo da essere altrettanto pratico e utile.

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VAI COL VENTO! Manuale Pratico per Giovani Marinai

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Edizioni Magnamare

Nome:

v o s t r o

f a r o . . .

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VASTO - ABRUZZO

MALAMOCCO - VENETO

ISOLA DI MURANO - VENETO

N 45° 20’,3 - E 12° 18’,7 Lam(3) b 12s - 25m - 16M

N 45° 27’,1 - E 12° 21’,3 Int b 6 s - 37 m - 17 M

FARI D’ITALIA ISOLA DI SANT’ANDREA

GALLIPOLI - LECCE

S.TA MARIA DI LEUCA - PUGLIA

N 40° 02’,8 - E 17° 56’,7 Lam(2) b 10s - 45m - 11M

FARI D’ITALIA CAPO CIRCEO

FARI D’ITALIA PUNTA CARENA

FARI D’ITALIA CAPO TESTA

CAPO CIRCEO - LAZIO

ISOLA DI CAPRI - CAMPANIA

CAPO TESTA - SARDEGNA

FARI D’ITALIA CAPO BELLAVISTA

FARI D’ITALIA CAPO SANDALO

ARBATAX - SARDEGNA

ISOLA DI SAN PIETRO - SARDEGNA

N 41° 14’,6 - E 9° 08’,7 Lam(3) b 12s - 67m - 17M

N 39° 08’,8 - E 8° 13’,4 Lam(4) b 20s - 134m - 24M

FARI D’ITALIA - MOLO SAN MICHELE

N 39° 55’,8 - E 9° 42’,8 Lam(2) b 10s - 165m - 26M

N 39° 47’,7 - E 18° 22’,1 Lam(3) b 15s - 102m - 25M

N 40° 32’,1 - E 14° 11,9 Lam b 3s - 73m - 25M

FARI D’ITALIA COLLE CAPPUCCINI

CESENATICO - EMILIA ROMAGNA

RIMINI - EMILIA ROMAGNA

ANCONA - MARCHE

N 44° 12’,3 - E 12°24’,1 Lam(2) b 6s - 18m - 15M

MOLFETTA - PUGLIA N 41° 12’,4 - E 16° 35’,7 Iso b 6s - 20m - 17M

N 43° 37’,3 - E 13° 31’,0 Lam(4) b 30s - 118m - 25M

N 44° 04’,4 - E 12° 34’,5 Lam(3) b 12s - 27m - 15M

FARI D’ITALIA PUNTA PEZZO

N 42° 10’,2 - E 14° 42’,9 Lam b 5s - 84m - 25M

N 41° 13’,3 - E 13° 04’,1 Lam b 5s - 38m - 23M

FARI D’ITALIA RIMINI

FARI D’ITALIA - LANTERNA

FARI D’ITALIA - PUNTA PENNA

N 45° 40’,5 - E 13° 45’,4 Lam(2) b 10s - 115m - 22M

FARI D’ITALIA - S.TA MARIA DI LEUCA

TRIESTE - FRIULI VENEZIA GIULIA

FARI D’ITALIA CESENATICO

STRETTO DI MESSINA - CALABRIA N 38° 13’,8 - E 15° 38’,2 Lam(3) r 15s - 26m - 15M

FARI D’ITALIA ISOLA DEI CAVOLI

VILLASIMIUS - SARDEGNA

GENOVA - LIGURIA

N 44° 24’,2 - E 8° 54’,3 Lam(2) b 20s - 117m - 25M

FARI D’ITALIA CAPO SPARTIVENTO

CAPO SPARTIVENTO - SARDEGNA

FARI D’ITALIA - FARO DI LIVORNO

FARI D’ITALIA ROCCHETTA

FARI D’ITALIA - MURANO

FARI D’ITALIA - FARO DELLA VITTORIA

w w w . m a g n a m a r e . c o m

LIVORNO - TOSCANA N 43° 32’,6 - E 10° 17’,8 Lam(4) b 20s - 52m - 24M

FARI D’ITALIA PUNTA SAN RAINERI

MESSINA - SICILIA

N 38° 52’,6 - E 8° 50’,7 Lam(3) b 15s - 81m - 18M

N 38° 11’,6 - E 15° 34’,5 Lam(3) b 15s - 41m - 16M

FARI D’ITALIA PUNTA STILO

FARI D’ITALIA PO DI GORO

FARI D’ITALIA TORRE SAN GIOVANNI

MONASTERACE MARINA - CALABRIA

GORO - EMILIA ROMAGNA

N 39° 05’,3 - E 9° 32’,0 Lam(2) br 10s - 74m - b 11M, r 8M

N 38° 26’,8 - E 16° 34’,7 Lam(3) b 15s - 54m - 22M

w w w . m a g n a m a r e . c o m

N 44° 47’,5 - E 12° 23’,8 Lam(2) b 10s - 22m - 10M

UGENTO - PUGLIA

N 39° 53’,1 - E 18° 06’,8 Iso b/r 4s - 23m - b 15M - r 11M



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