Cantare storie. Design per il sociale Etica estetica partecipazione

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DESIGN PER IL SOCIALE etica estetica partecipazione

Youcanprint Self-Publishing

CANTARE STORIE

Clara Mantica



collana le perle

libro autoprodotto


cura e autoproduzione / testi e disegni: Clara Mantica manticaclara@libero.it www.claramantica.com impaginazione: Antonia Teatino consulenti: Adriana Agrimi, Lilli Bacci, Daniela Bezzi, Rita Cenni, Ninni Fussone, Antonia Teatino revisione testi: Lorella Probo Copyright: Clara Mantica disegno di copertina: la cassetta degli attrezzi / Clara Mantica 2016 1° edizione marzo 2018 2° edizione giugno 2018


INDICE QUESTO LIBRO

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DEDICATO

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W. WOMEN IN ITALIAN DESIGN

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COMUNICARE: 5 DOMANDE A CURA DI SILVANA ANNICCHIARICO

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UNIRE MONDI

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LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI

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ETICA ESTETICA PARTECIPAZIONE Ispirazioni Processo Prodotto Sostenibilità Donne Etica Estetica Design per il sociale Artigianato Design Autoproduzione Formazione Partecipazione Meditazione

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SORELLANZA Shama Cinzia Tandoi/1988 Giuliana Zoppis/2017

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BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA

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BIOGRAFIA

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dagli anni Ottanta ad oggi. Occasione è stata la partecipazione alla mostra W. Women in Italian design alla Triennale di Milano (2016/2017). “Cantare storie – Design per il sociale: etica estetica partecipazione” è il titolo che ho scelto perché raccoglie tutto quello che voglio comunicare. “Cantare“ sta alla gioia del raccontare positività e possibilità e “storie” comprende persone, luoghi, tempi e azioni intrecciati e interconnessi. “Design per il sociale” è una definizione che è entrata a fare parte delle categorie adottate dall’ADI a partire dal 2013, presidente Luisa Bocchietto, per definire e premiare la responsabilità sociale di imprese e professionisti. Per me è sempre stato il mio campo di applicazione privilegiato, quasi naturale, dove la carica umana di persone creative, orientate al bene comune è stata la vera protagonista. Ho costruito il mio lavoro sul rapporto di reciprocità fra etica ed estetica, tra processo e prodotto, fra benessere personale e collettivo. Con questi presupposti ho privilegiato l’ambito del design per il sociale e della sostenibilità in tutti i campi dove ho operato: dal giornalismo alla didattica, dalla costruzione di eventi all'associazionismo. Il lavoro è per me soprattutto partecipazione.

Alcuni testi citati nelle schede sono pubblicati in versione integrale nel sito www.claramantica.com

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QUESTO LIBRO

Questo libro è il risultato dell’esplorazione fra alcuni lavori ed esperienze che ho fatto



DEDICATO a adriano anna ariele emma esteban gaetano greta leonardo luciano martina sofia e viola

Nel tempo i toni con cui mi sono espressa sono stati diversi, quando più accesi e radicali, quando più leggeri e metabolizzati, come oggi, nell’età fiorita, dove sento di potere agire con maggiore agio sempre facendomi guidare dal senso della giustizia e della bellezza. Con questa attitudine ho deciso di trasformare il lavoro esposto nella mostra W. Women in Italian Design in un libro dedicato ai giovani dei quali ho a cuore che possano scegliere e plasmare la propria vita. Condividendo le esperienze fatte vorrei dire loro che “si può”: lavorare, essere se stessi, divertirsi, impegnarsi. Vorrei convincerli che se sono attrezzati di valori, motivazioni e speranza possono accedere alle conoscenze necessarie per costruire mondi, anche piccoli, giusti e belli. Far loro sapere che un’onesta ricerca del proprio sentiero personale che miri alla libertà dai condizionamenti è già di per sé un grande risultato esistenziale. “Siate felici, coltivate i semi di gioia che avete dentro di voi, condivideteli. Perché se voi siete felici il mondo è felice” è l’invito che rivolgo loro dopo averlo ricevuto io stessa da Lisetta Carmi. Da che ci siamo conosciute 40 anni fa a Cisternino, in Puglia, mi ha sostenuta e rafforzata nella mia vocazione all’amore, alla semplicità, alla verità e alla libertà. Il suo esempio energico e gioioso è stato ed è il mio binario, ogni giorno.

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Design” curata da Silvana Annicchiarico per il Museo del Design della Triennale di Milano (dall’ aprile 2016 al marzo 2017), una iniziativa necessaria dopo anni di rimozione del femminile nel mondo del design e più in generale della cultura. Mi auguro che questo evento abbia aperto una porta sull’universo femminile del progetto e che non si esaurisca qua la promozione culturale di molte delle protagoniste che meritano assai più spazio e attenzione di quanto questa antologica ha potuto dare loro ”

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W. WOMEN IN ITALIAN DESIGN

“ Sono stata invitata a partecipare alla mostra “W. Women in Italian


Logo della mostra. Progetto grafico Irene Bacchi


W. Women in Italian Design ”Le storie del design fin qui raccontate ruotano quasi tutte rimozione del femminile

intorno ad un grande buco nero: la rimozione del femminile. L’occultamento della presenza e del contributo delle donne. La sottomissione del femminile a una perdurante e pervicace egemonia del maschile. Come se le donne non ci fossero state. Come se fossero rimaste a casa. Come se il paradigma del pensiero patriarcale dominante facesse fatica perfino a riconoscere il ruolo delle donne anche laddove questo ruolo era evidente.. perché una rimozione così ostinata e prolungata?...” Traggo questa affermazione dal testo introduttivo del catalogo, “Infinito presente” di Silvana Annicchiarico. Poiché mi brucia questa verità e ho perorato in più occasioni un’ iniziativa istituzionale che rendesse un po’ di giustizia alle donne negate mi sono impegnata per onorare una scadenza ai miei occhi molto importante. Così ho preparato un racconto delle attività svolte dagli anni Ottanta ad oggi nella speranza di dare un messaggio di positività e presenza al mondo e a me stessa. Per compiere le scelte (cosa mettere? cosa togliere?) ho seguito quel procedimento che si mette in atto quando si parte e si prende quello che davvero si vuole portare con sé. Ho avuto un’intuizione che mi ha guidato nella selezione del materiale e nella sua organizzazione: ho pensato ad una cassetta degli attrezzi che ordinasse i contenuti e le pratiche

attrezzi / valori

che ho sperimentato. Ho identificato come attrezzi i valori che più di ogni altra cosa hanno sostenuto la mia vita e reso possibile ciò che ho fatto. Valori indispensabili per impostare scelte, dare forza alle visioni, resistere negli impegni presi. Attrezzi perché ho sempre lavorato come un’artigiana della comunicazione, attenta ai dettagli. 15


ESSERE DONNA Credo profondamente che vita e lavoro delle donne vadano offrire modelli

valorizzati, a cominciare da ciascuna di noi, per offrire modelli alle giovani donne ma anche ai giovani uomini e per diffondere rispetto e giustizia nei confronti di un genere ancora pesantemente discriminato, offeso e ferito. A certificare una grave involuzione nelle dinamiche delle differenze di genere nel mondo e in Italia è il World Economic Forum di Ginevra. Nella classifica globale stilata per il 2017 - che valuta diversi ambiti, dall'educazione, alla salute, dal lavoro alla aspettativa di vita fino all'acquisizione di potere in campo politico - l’Italia precipita di ben 32 posizioni crollando all' 82° posto su un totale di 144 Paesi presi in esame. Il rapporto del WEF evidenzia inoltre che la situazione peggiora ancora quando si parla di retribuzioni: l’Italia si classifica al 126° posto perché solo il 51% delle donne lavora a fronte del 74% degli uomini e la disparità salariale è altissima (una lavoratrice italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo soprattutto nei ruoli dirigenziali). Metà retribuzione a parità di ruoli e tempi e competenze: è un dato che dovrebbe fare scoppiare una rivoluzione e invece

assuefazione alla disparità di genere

non succede niente e questo è l’altro - e principale - problema, l’assuefazione delle donne e degli uomini alla disparità di genere. “La questione è basilare per la vita stessa delle democrazie e per la tenuta della pace” lo dice Valerie Hudson direttrice del Program of Women Peace and Security comunicando i risultati dell’indagine Sex and world peace: “ si riscontra che il fattore più indicato per prevedere il carattere pacifico o meno di uno Stato non è il livello di ricchezza, o di democrazia, o l’identità etnico-religiosa; il miglior indicatore è il modo in cui sono trattate le donne. Le democrazie con un più alto

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tasso di violenza sulle donne si rivelano insicure e instabili quanto le non-democrazie”. E allora? recupero del principio femminile

Le speranze del mondo risiedono nel recupero di quel principio femminile che Vandana Shiva descrive come “ripristino ecologico e liberazione della natura; liberazione della donna e liberazione dell’uomo che prevaricando la natura e la donna ha sacrificato la sua stessa umanità” (in “Sopravvivere allo sviluppo”,1989).

dire amare fare lavorare

Per noi donne “dire amare fare lavorare” sono parti dello stesso sistema inestricabile, tutto fa parte del tutto. Il lavoro è vita, è relazione, affettività, intuizione, impegno; è un

avere cura dei processi e dei risultati

mezzo di conoscenza e di scambio. Creare relazioni, facilitare sinergie, avere cura dei processi quanto dei risultati è prerogativa del femminile. Valorizzare l’umanità, i bisogni, i talenti è stato e resta anche il mio approccio. Per questo le donne nel design sono in gran parte comunicatrici, giornaliste, organizzatrici di eventi, talent scout, galleriste, promotrici. Oltre che progettiste ovviamente. A tutte loro va dato riconoscimento attraverso pari opportunità nel lavoro e nella vita e un posto nella storia.

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COMUNICARE “ In occasione della mostra W. Women in Italian Design, Silvana Annicchiarico ha rivolto cinque domande sul tema della comunicazione a Gilda Bojardi, Silvia Botti, Cristina Morozzi, Livia Peraldo Matton, Francesca Taroni e a me. Sorprendenti a volte le differenze fra le risposte, pubblicate in “ W. Women in Italian Design” Triennale Design Museum 9 edito da Corraini ”

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COMUNICARE: 5 domande a cura di Silvana Annicchiarico

Come e quando hai deciso di occuparti di comunicazione del design? Clara Mantica Nel ‘68, diplomata al liceo artistico di Brera, mi sono ritrovata per un caso ad un appuntamento con Gae Aulenti che cercava, fra le fila di giovani di tutto il mondo che volevano lavorare con lei, un’ “apprendista” designer. Scelse me per il mio sorriso, cosi mi disse maternamente. Non sapevo chi lei fosse né tanto meno avevo idea di cosa fosse il design. Allora, sembra preistoria, le scuole di design accreditate dal Ministero erano nelle città d’arte. Su sua indicazione dopo un anno di lavoro nel suo studio mi iscrissi a Firenze, il Corso era diretto da Spadolini: ottima didattica e ottimi professori. Pensai “tre anni e torno a Milano!” e invece, dopo avere fatto una tesi sulla prossemica, mi chiesero di restare nella scuola con il ruolo di monitrice, ponte fra docenti e studenti. Fu un grande addestramento nell’ambito della comunicazione: seminari, atti di convegni, ricerca, scrittura, relazioni con tanti soggetti; apertura di innovativi campi di indagine. Nel frattempo avevo sperimentato la progettazione e, dotata di buon senso critico, non mi ero piaciuta. Invece raccontare, fare parte gli altri di ciò che mi appassionava, ascoltare e valorizzare, era nelle mie corde. Tornata a Milano nell’ 81 sono diventata giornalista, l’esperienza di Gap Casa mi ha formato anche alla costruzione di eventi. Gran bella storia, ho avuto fortuna. La comunicazione e la promozione del design a livello di massa è stata attuata in Italia soprattutto da donne. C’è un motivo particolare? C.M. Curiose dei processi, delle persone, delle relazioni fra le persone e le cose, le donne spesso sono più abili a valorizzare che a valorizzarsi, a raccontare dell’altro invece che di sé; più autocritiche della media degli uomini preferiscono accompagnare, ispirare che non fare. Nella maggioranza dei casi la creatività delle donne supporta la creatività dell’uomo, nel privato di una relazione o professionalmente come “curatrice” di libri o mostre o come “testimone” nell’attività giornalistica. C’è il bene e il male in questo perché essere troppo assertivi è sbagliato (egodesign) , ma non esserlo per niente come succede alla stragrande maggioranza delle donne è triste perché spesso dipende da una mancanza di fiducia in ciò che siamo e facciamo e nella

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difficoltà di affermarci in un mondo a dominio maschile. Non è un’opinione, i dati ISTAT 2015 lo dicono in cifre. C’è un modo femminile di affrontare il giornalismo nel settore design? C.M. Posso parlare per me e per altre donne giornaliste, comunicatrici, storiche, galleriste, costruttrici di eventi che ho conosciuto e con cui spesso ho collaborato, stimandole. Le donne agiscono per collegare, hanno in testa le relazioni più che i prodotti, cuciono, tessono; è una vecchia storia ma non è retorica. A mio vedere un atteggiamento veramente femminile è quello che indaga le motivazioni del progetto, le sue implicazioni con il resto del mondo, le sue conseguenze. Che lo contestualizza. C’è chi sostiene che la questione del gender è inessenziale nella cultura del progetto e che è infondato porsi il tema della specifica creatività femminile. Tu cosa ne pensi? C.M. La cultura del progetto è parte della cultura e della società nel suo insieme. E’ assolutamente fondamentale porsi la questione della specificità femminile, della sua rimozione nella cultura, nelle istituzioni e nella comunicazione; delle differenze di trattamento a parità di ruolo nel mondo del lavoro. Eventi come questa mostra alla Triennale sono necessari per rafforzare la fiducia delle donne in sé stesse e per valorizzare la loro presenza nella società. Le donne sono per lo più creative nelle relazioni dedicate, in ciò che si manifesta come utile, maieutico, applicato alla vita. Ci vuole molta energia per affrontare il pubblico, sostanzialmente strutturato su forme, linguaggi e simboli maschili. Ancora oggi dobbiamo dire “ehi guarda che ci sono anche io!!!”, è una grande fatica che conosco nonostante quarant’anni di tenace e stimato lavoro in questo mondo del design. E’ necessario dare modelli femminili positivi alle giovani, ne hanno bisogno per rafforzarsi e non pensare che o sei madonna o sei puttana o sei agli ultimi posti delle professioni oppure sei una tipa tremenda con il pugno di ferro. Allo stesso modo è importante che i giovani uomini possano scoprire che c’è un fiume di creatività femminile, che le donne non sono solo le loro madri o le modelle della pubblicità. C’è bisogno per creare la base di una vera democrazia.

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C’è un’esperienza femminile, in Italia o all’estero, che ritieni esemplare nell’ambito in cui operi? C.M. Quella di Lella Valtorta. Dal 1980, anno della fondazione di DILMOS con Lucio Zotti, ad oggi ne ha tenuto il timone. E’ una galleria conosciuta internazionalmente che fra le prime ha esplorato molte esperienze sperimentali europee che si avventuravano fra arte, arti applicate e design; lo ha fatto dopo avere promosso Poltronova, Mirabili e i Multipli Gufram. Lella l’ho conosciuta proprio in occasione della mostra che riproponeva i Multipli e da lì non ci siamo più lasciate. Tra l’altro siamo state le prime a Milano ad accogliere Maurizio Cattelan, allora giovane nomade alla ricerca del suo posto, e a riconoscerne l’acume. Ho portato sempre da DILMOS i miei studenti, Naba e Brera, per vedere e toccare gli oggetti e Lella era lì, sempre disponibile a spiegare e raccontare le storie di giovani autori alle prime armi, che andavano da lei con un prototipo nella valigia. In un anno ne incontrava molti, un grande lavoro di formazione sul campo, e quando trovava qualcuno che le pareva potesse svilupparsi e crescere, lo seguiva e lo stimolava nel suo percorso di evoluzione e messa a punto del progetto. E’ lei che nel 2003 mi presentò Alessandro Ciffo, allora acerbo artigiano del silicone, e mi chiese se potevo aiutarlo a mettere ordine alle idee. Lo feci, quasi due anni in sua compagnia e anche di altri autoproduttori, con tanti incontri, risate e scrittura. Questa frequentazione mi ispirò “L’ autoproduzione è figlia dei tempi” , una sorta di manifesto in cui molte e molti si sono riconosciuti in questi anni. Fu pubblicato per la prima volta nel 2005, in “ XXI SILICO” il libro sul lavoro di Ciffo.

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UNIRE MONDI “ I valori sono il mio baricentro. Per me l’importante sono le persone e gli orizzonti che accomunano. I valori parlano una lingua universale e il dialogo che avviene attraverso il lavoro è facilitato, accade. Mi sono occupata di divulgare il design privilegiando quelle esperienze che cercano di unire la bellezza alla giustizia, al rispetto di sé, dell’ambiente e della società ”

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UNIRE MONDI il design non è neutro

Ho sempre contestualizzato il prodotto di design perché esso non è neutro, ma fortemente implicato al buono o cattivo uso delle risorse - siano esse naturali, umane o artificiali - e agli stili di vita, consapevoli o incoscienti. Ho lavorato tanto nel senso che ho tessuto tante tele, sempre sperando che le cose che facevo fossero di qualche utilità per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e bello essendo per me la giustizia un richiamo ancestrale, forte e manifesto fin da bambina. Non c’è niente che abbia fatto da sola perché nessuno e

intersiamo

niente è sganciato da tutti gli altri: “intersiamo” come dice Thich Nhat Hanh grande Maestro. Uso il pronome singolare quando racconto ma ci sono decine e decine di persone, alcune davvero amiche, con cui ho fatto il cammino, verificato e arricchito le idee. Le ringrazio tutte e questo libro nasce anche per loro, per ripassare qualche bel momento insieme. La mia più forte vocazione è stata quella di unire mondi: quelli istituzionali con quelli emergenti, i marginali con gli affermati, le tradizioni con le innovazioni, i giovani e i maestri, progetto e attivismo sociale. Il design con l’arte e l’artigianato. A seconda di dove mi trovavo ero considerata o troppo impegnata o troppo design oriented!!! Ma mi sono anche divertita a comporre questi due mondi.Ho portato designer famosi all’ex ospedale psichiatrico di Trieste per lavorare insieme su progetti sani e risananti; piccole start up ai grandi eventi del Salone del mobile, giovani promettenti a conoscere chi li poteva valorizzare. Con il progetto editoriale di Gap Casa, mensile diretto dal 1986 al 1992, ho focalizzato la relazione fra processo e prodotto e promosso un patto di

partenrship

partnership fra progettisti, produttori e distributori della filiera del design. 27


Con il CISDA (Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane), Onlus fondata nei primi anni Duemila, ho fatto incontrare la Cooperazione allo sviluppo del MAE con le donne afghane di Hawka, che hanno potuto venire a Milano per un corso di formazione con Naba, Mercato equo e solidale e Studio Azzurro per sviluppare comunicazione e artigianato nel loro Paese e diffondere lavoro fra le donne. In Francia (dal ‘94 al ‘99), dove mi sono trasferita per abitare in un villaggio di artigiani nel cuore dell’Auvergne, ho lavorato in contemporanea con il Museo di Arti decorative di Riom alla mostra sul made in Italy (focus la collezione di Sawaja e Moroni) e con le donne dell’ Associazione Femmes de Tout Horizon, curde, magrebine, subsahariane, abitanti della più triste banlieue di Clermont Ferrand, per trasformare un vecchio autobus dismesso dalla Biblioteca civica in un Salone da tè itinerante pieno di pizzi e di allegria. In piena rivoluzione arancione ho presentato giovani creativi al Sindaco Pisapia e agli assessori alla cultura perché sostenessero Milano operosa

vecchi e giovani artigiani, valorizzando il meglio di una città operosa quale è Milano. FORMAZIONE Negli anni delle docenze (Isia a Firenze, Futurarium, Naba,

essere mentore

Accademia di Brera, e Domus Academy a Milano) ho cercato di essere mentore per decine di giovani che ho invogliato alla ricerca di sé stessi, dei propri valori perché potessero scegliere didattica e professione più adatti al loro spirito e ai loro talenti. Alla Naba, dove mi ha chiamata Alessandro Guerriero, ho portato l’Università dell’autobiografia di Anghiari e anche un corso di meditazione per aiutarli a scoprirsi; all’Accademia di Brera, con Ugo La Pietra direttore del dipartimento, ho fondato la didattica sul valore delle testimonianze di artigiani, artisti, designer e imprenditori che 28


avevano trovato con soddisfazione il loro posto nel mondo. “Si può!” è stato il mantra che ci ha accompagnati. ARTIGIANATO E AUTOPRODUZIONE Dagli anni Novanta ho avuto una grande passione per l’ artigianato, quell’abilità, a volte vera maestria, quasi magica, di unire mani e cervello per ricavare forme e funzioni dalla mestieri d’autore

materia. Fra le esperienze più belle quella di Mestieri d’autore, in Toscana nel distretto del cristallo di Colle Val d’Elsa, con François Burkhardt e in compagnia di un gruppo di ottimi designer che collaboravano alla pari con gli artigiani e le imprese attivi sul territorio. L’artigianato l’ho seguito in India, con Shama, Tarshito e Daniela Bezzi, e poi in Francia e poi di nuovo in Italia quando

manifesto dell’autoproduzione

ho scritto il manifesto dell’Autoproduzione, risultato della lunga frequentazione di un gruppo di giovani progettisti/artigiani collegati a Dilmos, luogo che ho fiancheggiato con passione fin dagli anni Ottanta in quanto crogiuolo di ricerca e sperimentazione nella relazione fra arte, arte applicata, design. IL DIRITTO ALLA BELLEZZA Ho sempre avuto sensibilità per l’emarginazione e ho cercato di affermare il Diritto alla Bellezza, che vuole dire diritto

diritto alla dignità

alla dignità per tutte e tutti. Per questa ragione ho frequentato i basagliani di Trieste (Franco Rotelli in testa) fino a scrivere con loro le linee guida dell’Habitat sociale; sono entrata in carcere a Catania coadiuvando con la cooperativa Filodritto un laboratorio artigiano; con loro sono stata anche in Calabria, a Riace, modello di integrazione fra migranti e residenti. Ho collaborato a rendere più belli e agevoli gli alloggi di persone che, dopo avere perso tutto ed essersi ritrovati a

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non avere nemmeno più casa, stavano riprendendo in mano il loro destino accompagnate da un’ associazione (Cena trasformare il brutto in bello

dell’Amicizia). Mi ha sempre intrigato l’idea di “trasformare” il cattivo in buono, il brutto in bello un po’ come quelle fatine di Disney, eroine della mia infanzia, che con un tocco qua e uno là, intelligenti, oculate e creative (la creatività ci vuole!) cambiavano il destino delle persone, da escluse e sfruttate ad amate principesse, virtuose e generose con il loro prossimo. Per questo sono entrata in certi luoghi con il desiderio che lo squallore divenisse meraviglioso, lo sporco si pulisse, la tristezza diventasse gioia, la solitudine condivisione. I piccoli gesti non bastano, lo so, ma non fanno nemmeno del male e, nella migliore delle ipotesi, danno speranza e la

la speranza

speranza, di questi tempi, è un’affermazione rivoluzionaria. SOSTENIBILITÀ’ Nei primi anni Ottanta a Firenze ho costruito per intuizione un sistema veramente sostenibile che univa progetto, produzione e distribuzione. Battezzata “Uovo di Colombo” si trattava di una collezione di oggetti d’arredo modulari che permettevano molte soluzioni flessibili, proposti in formato kit per minimizzare ingombri e imballi, distribuiti nei mercati rionali e realizzati con materiale di recupero, in legno e tessuto. Le componenti di legno erano gli scarti di produzione di un artigiano del centro storico che ce li regalava e i tessuti li trovavamo alle manifatture di Prato, avanzi di processi industriali. Un'intuizione forse ispirata da quel libro di Victor Papanek del 1973, “Progettare per il mondo reale”, che avevo letto all’ISIA durante gli studi. Nel mondo del design la sostenibilità sopisce fino agli anni Duemila quando diventa un approccio conclamato basato su un sistema di discipline ricco e articolato.

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Accade anche grazie a Best Up acronimo di Bello Equo e bello equo sostenibile

SosTenibile (Up sta a “diamoci una mossa”), associazione senza fini di lucro fondata con Giuliana Zoppis, collega giornalista, animata da un bel gruppo di socie e sostenuta da un Comitato etico scientifico composto da esperti (elenco completo su www.bestup.it). Dal 2007 abbiamo coinvolto in attività divulgative e formative molte fra le più belle imprese del made in Italy per promuovere i valori e le pratiche della sostenibilità sociale e ambientale applicati a piccoli e grandi progetti e processi produttivi. La soddisfazione più bella ce l’ha data Ezio Manzini, esperto di respiro internazionale per la sostenibilità e l’ innovazione sociale, quando durante un convegno alla Triennale ha detto che “Best Up è un’impresa del futuro perché produce positività”. GOODESIGN E CONSAPEVOLEZZA Abbiamo creato sinergie nel territorio italiano - con speciale amore per Milano e la Sicilia - con persone, associazioni, istituzioni per allargare il concetto di sostenibilità dalle

ciclo di vita legalità crescita responsabile

questioni ambientali a quelle sociali, economiche e culturali. Abbiamo toccato temi cruciali: dal ciclo di vita con il Network europeo del C2C, alla legalità con Addiopizzo, alla crescita responsabile, al design consapevole o GOODESIGN. Con questa parola abbiamo titolato tutte le iniziative del Fuorisalone in Fabbrica del Vapore, alla Cascina Cuccagna e a Fa’ la cosa giusta! fiera del consumo critico alla quale abbiamo dato per anni il nostro contributo. COMUNICAZIONE E ASCOLTO Ho lavorato per tutte le più importanti testate di settore italiane, per anni ho tenuto la rubrica sulla sostenibilità su Interni, e con la francese Intramuros. Osservare, scegliere gli

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argomenti e trasferire fatti dati e opinioni è una grande gioia e una grande responsabilità. L’ho fatto a piene mani avendo come bussola gli interlocutori del messaggio, coloro a cui era destinata la mia testimonianza; ho sempre cercato di capire e di informare avendo cura di loro, del loro preziosissimo l’importanza dell’ascolto

ascolto. A partire da queste esperienze ho teorizzato la “Comunicazione effettiva” in collaborazione con lo SDA Bocconi. Per felici combinazioni ho potuto usare tanti mezzi ed espressioni: dalla scrittura, all’immagine - disegni, fotografie, video - all’organizzazione di convegni, di workshop, mostre, eventi plurali e trasversali. Evviva e grazie.

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LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI

“ La mia cassetta si apre e si chiude - è un po’ come un teatrino - ha dei manici per essere portata in giro e mi fa sentire una cantastorie. Bellissimo mestiere, capace di riunire nell’incanto del raccontare storie qualche persona di buona volontà e speranza ”



LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI E’ un oggetto funzionale, una vera “cassetta degli attrezzi” di legno recuperato che contiene circa 50 schede che raccontano le mie varie attività suddivise in argomenti.

- impaginate, come questo libro, con profondo sentimento di condivisione da Antonia Teatino - la Oltre alle schede

cassetta contiene alcuni dei libri che ho curato o a cui ho partecipato e qualche oggetto simbolico che ho inserito “per dare voce a chi non ce l’ha

dare voce a chi non ce l’ha”. Per esempio un cuscino ricamato dalle donne palestinesi del campo profughi di Hebron, nel Libano; è una forma di ricamo a piccolo punto che viene dalla loro più remota tradizione, è un frammento di identità strappata alla violenza. Per me questo cuscinetto è un tesoro dell’umanità, esprime contenuto sociale, storico ed è bello. C’è anche un piccolo tappeto che viene dall’Afghanistan fatto in un laboratorio artigiano condotto da donne coraggiose che lottano per l’affermazione dei diritti umani a cominciare dalla libertà delle donne che necessita di istruzione e lavoro. Ci sono anche dei ventagli fatti piegando un

il pudore delle donne

foglio di carta: alludono al pudore delle donne ad affermarsi, esporsi in pubblico, motivo per cui vengono facilmente rimosse dalla cultura e dall’economia. Infine c’è una lumachina di silicone fatta da Alessandro Ciffo che simboleggia misura e sobrietà, sa infatti a che punto fermarsi quando costruisce la sua casa-guscio. In tutto l’insieme c’è un motivo

amaryllis e trasformazione

conduttore che è il disegno di amaryllis, fiore che mette in mostra la vita nella sua continua trasformazione. Schede, libri, oggetti contenuti nella cassetta sono da toccare, guardare, leggere. La cassetta è stata costruita con legno recuperato da Davide Rampanelli, architetto e falegname che fa parte del Laboratorio Controprogetto di Milano. 37



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ETICA ESTETICA PARTECIPAZIONE

“ Le pagine che seguono sono la replica fedele delle schede raccolte nella Cassetta degli Attrezzi. Ciascuna contiene qualche immagine e citazione da testi scritti per giornali, cataloghi, libri o per la didattica. Per dare ordine al materiale ho scelto dieci parole chiave e all’interno di ciascuna voce ho messo in sequenza le attività secondo un ordine temporale. Le parole sono: ISPIRAZIONI - PROCESSO PRODOTTO - SOSTENIBILITA’ DONNE - ETICA ESTETICA - DESIGN PER IL SOCIALE ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE FORMAZIONE - PARTECIPAZIONE - MEDITAZIONE A ciascuna voce corrisponde un colore per facilitare la consultazione ”


Questo disegno accompagna sul retro ogni scheda della cassetta. L’amaryllis è un fiore che mi attrae e che ho disegnato tante volte, per quella sua capacitĂ di tenere sullo stesso stelo tante manifestazioni diverse della vita. Dal bocciolo chiuso, a quello dischiuso, sbocciato, maturo, in declino o prosciugato fino a diventare delicata materia simile alla velina. Emblema, per me, di una trasformazione naturale, che non fa paura.


VANDANA SHIVA 1993 / Sopravvivere allo sviluppo / Il principio femminile Vandana Shiva in “Sopravvivere allo sviluppo”, edizione ISEDI, 1993

(…) Il recupero del principio femminile è una risposta alle molteplici prevaricazioni ed espropriazioni a danno non solo delle donne ma anche della natura e delle culture non occidentali. Esso significa ripristino ecologico e liberazione della natura, liberazione della donna e liberazione dell’uomo che, prevaricando la natura e la donna, ha sacrificato la sua stessa umanità. (…) Il recupero del principio femminile si fonda sull’inclusività. Significa recuperare - nella natura, nella donna e nell’uomo – forme creative di essere e di sentire. Nella natura questo implica che la si percepisca come organismo vivente. Nella donna che la si consideri produttiva e attiva. E infine, il recupero del principio femminile nell’uomo significa riorientare l’azione e l’attività verso la creazione di società che favoriscano la vita, invece di limitarla o minacciarla. (…) La riscoperta del principio femminile come rispetto per la vita, nella natura e nella società, appare come la sola strada di progresso, per gli uomini e per le donne , per il Nord e per il Sud del mondo.. (…) Le donne che rendono possibile la sopravvivenza ci mostrano che la natura è la vera base e matrice della vita economica, fornendo i mezzi di sussistenza, e che gli elementi della natura che la visione dominante ha considerato come “scarti” sono la base della sostenibilità e la ricchezza dei poveri e dei marginali.

www.navdanyainternational.it vandanashiva.com

ISPIRAZIONI

ISPIRAZIONI


ISPIRAZIONI

RAIMON PANIKKAR 2000/ / TECHNÉ E TECNOLOGIA Raimon Panikkar in video di Weick e Andriotto per la Televisione Svizzera, 2000 / pubblicato in “XXI SILICO oggetti in silicone di Alessandro Ciffo”a cura di C.M., edito da Alessandro Ciffo, 2005

Il lavoro moderno va contro i diritti umani, rende gli uomini schiavi con la consolazione del danaro (…) Il “lavoro” è il lavoro dell’artigiano, dell’artista che gode, che crea, che non si sente forzato a fare una determinata cosa in un determinato modo ma che man mano che la fa la vive. In questo lavoro la contemplazione è pienamente inserita. (…) Vi racconto una storia capitata ad un mio amico spagnolo a Mexico City. Stava andando a vivere là e cercava un appartamento in affitto, passeggiando vede in piazza un uomo che stava dipingendo una di quelle bellissime sedie con i colori vivaci, messicani. Gli chiede “Quanto costa questa sedia?” “10 danari senior” risponde l’uomo. “Voglio sei sedie come questa, quanto costano?” “75 danari” “Una sedia dieci e sei sedie 75? ” e l’altro “Voi le volete uguali a questa? 75 danari senior” a quel punto l’amico se ne va poi ritorna ma la risposta è sempre la stessa e rinuncia alle sedie. “Non si può discutere con questa gente” pensa fra sé, ma dopo qualche giorno ritorna e chiede all’artigiano “Non voglio comperare niente, ma per curiosità spiegami! Perché chiedi 75 danari?” “ Mi avete detto che le sedie le volete tutte uguali?...” “Sì” risponde “..E chi mi paga per la noia di farle tutte uguali?…” Per quest’uomo il suo lavoro é techné, gioia…

www.raimon-panikkar.org


ISPIRAZIONI WILLIAM MCDONOUGH e MICHAEL BRAUNGART 2003 / Dalla culla alla culla. Come conciliare tutela dell’ambiente, equità sociale e sviluppo William Mcdonough e Michael Braungart “Dalla culla alla culla”, Blu Edizioni, 2003

(…) Dal punto di vista filosofico l’efficienza non è positiva di per sè: dipende dalla qualità del sistema cui è applicata: un nazista efficiente, per esempio, è un incubo orribile; se gli obiettivi sono discutibili, l’efficienza può rendere la distruzione ancora più pericolosa (…) la differenza tra ecoefficienza ed ecoefficacia è la stessa che passa fra un cubicolo senz’aria illuminato da luci al neon e una zona illuminata dal sole, con aria pulita, vedute naturali.. (…) Il nostro concetto di ecoefficacia prevede che si lavori sulle cose giuste - sui prodotti, i servizi e i sistemi giusti - invece di limitare i danni provocati da quelle sbagliate. (…) Tutti vogliamo vedere crescere alcune cose e non altre, desideriamo la crescita dell’istruzione e non dell’ignoranza, della salute e non della malattia, della prosperità e non della miseria, delle acque pulite e non di quelle inquinate, desideriamo migliorare la qualità della vita. La chiave non è, come propongono i fautori dell’efficienza, ridurre il numero e le dimensioni delle industrie e i sistemi umani, ma progettarli in modo che diventino piu grandi e migliori arricchendo, reintegrando e nutrendo il resto del mondo (…) I progettisti ecoefficaci sanno guardare oltre lo scopo primario di un prodotto o di un sistema produttivo e considerano il contesto complessivo.

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ISPIRAZIONI THICH NHAT HANH 2010 / L’unico mondo che abbiamo Thich Nhat Hanh in “ L’unico mondo che abbiamo”, Terra Nuova Edizioni, 2010

(…) Molti sono consapevoli della sofferenza della Terra e hanno il cuore pieno di compassione; sanno che cosa c’è da fare e si impegnano nell’azione politica, sociale e ambientalista per cercare di cambiare lo stato delle cose. Spesso, però, dopo un periodo di intenso coinvolgimento si scoraggiano perché non hanno la forza necessaria a sostenere una vita d’ azione (…) Se non siamo in pace, se non siamo felici, non riusciamo a prenderci cura di noi stessi, delle altre specie e del pianeta: il modo migliore di prendersi cura dell’ambiente, dunque, è prendersi cura dell’ambientalista. (…) Se vogliamo una possibilità di sopravvivenza dobbiamo rispettare e proteggere le altre specie. Il modo migliore di prendersi cura degli esseri umani è prendersi cura degli altri esseri e dell’ambiente.

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ISPIRAZIONI PIERRE RABHI 2014 / La parte del colibri’. La specie umana e il suo futuro Pierre Rabhi in “La Parte del Colibri’”, Edizioni Lindau, 2014

(…) Ritengo indispensabile porre alcune domande che mi tormentano da più di quarant’anni. Com’è possibile che l’umanità, nonostante le risorse planetarie sufficienti e i progressi tecnologici senza precedenti, non riesca a fare in modo che ogni essere umano possa nutrirsi, vestirsi, avere un alloggio, curarsi e sviluppare le potenzialità necessarie per realizzarsi? Com’è possibile che la metà del genere umano, costituito dal mondo femminile, sia sempre subordinata al potere arbitrario di un mondo maschile e violento? Com’ è possibile che il mondo animale, cioè le creature compagne del nostro destino e alle quali dobbiamo la nostra stessa sopravvivenza attraverso la storia, siano ridotte dalla nostra società dei consumi al rango di una massa informe o di una fabbrica di proteine? Com’è possibile che non ci siamo resi conto del valore inestimabile del nostro piccolo pianeta, unica oasi di vita all’interno di un deserto siderale infinito? (…) Un giorno, dice la leggenda, ci fu un immenso incendio nella foresta. Tutti gli animali, terrorizzati e costernati, osservavano impotenti il disastro. Solo il piccolo colibrì si diede da fare e andò a cercare qualche goccia d’acqua nel suo becco per buttarla sul fuoco. Dopo un momento l’armadillo, irritato dai suoi movimenti irrilevanti, gli disse “Colibrì, ma sei matto? Credi davvero che con poche gocce d’acqua spegnerai l’incendio?” “Lo so” rispose il colibrì “ma io faccio la mia parte.”

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MUTAMENTI 1988/ Scegliere il positivo C. M. in “Mutamenti” quaderno supplemento di Gap Casa, 1988, Editrice Publimedia Perché ci interessiamo ai cambiamenti?

Perché le cose stanno cambiando. Cambiano gli oggetti, le tipologie, cambia chi li pensa, chi li produce, cambia chi li compra e chi li vende, cambia chi li comunica e chi non cambia non trova di meglio da dire che “non succede niente”, “è solo un gran polverone”. Noi non crediamo che i cambiamenti a cui stiamo assistendo e che, per quanto ci compete stiamo vivendo, siano solo effetto di qualche inconscia comune allucinazione e, peraltro, non ce la sentiamo nemmeno di teorizzarli, chiudendoli in una formula. Ma cosa sta cambiando? Il mercato (le persone, noi stessi) si sta sempre più diversificando in funzione di un panorama socio-economico profondamente mutato nel corso degli ultimi 20 anni: la centralità dell’industria e della famiglia si sta gradualmente scorporando e formula nuovi modelli produttivi e di aggregazione (…) Nuovi oggetti sono all’orizzonte del panorama del costruito, cose che contengono in sé funzioni ed eticità, che sembrano indicare una strada diversa sia dall'arte che dal design per attraversare in modo consapevole e rituale le azioni del quotidiano. (…) In termini di scambio culturale ed economico con gli altri paesi, la necessità di internazionalizzare il dibattito e la proposta viene dall’infittirsi di attività di cooperazione fra enti ed istituti di tante nazioni del mondo: il 1992, anno della caduta delle barriere doganali dentro al mercato comune europeo, è alle porte.(…) Siamo alle soglie del Duemila, una soglia preconizzata nella tradizione e nella fantasia individuale come soglia della trasformazione. Le cose si stanno trasformando ma in modo sorprendentemente diverso da quel modello dell’automatizzazione universale, delle pillole alimentari, che solo fino a pochi anni fa la fantasia collettiva faceva coincidere con la fine del secolo. Spinte al recupero della centralità dell’uomo, alla cura di sé, alla ritualizzazione del quotidiano vengono insieme ad infiniti gesti di distruzione dell’ambiente. Viviamo in un’epoca fortemente divisa e non è facile orientarsi.(…) Dunque, come si può fare finta di niente e proseguire sulla strada del già detto e del già fatto? Il quaderno sui “Mutamenti” è il nostro modo di stare dentro la dinamica di questo tempo. Stando dentro il filo delle nostre intuizioni e curiosità e scegliendo di incontrare alcuni dei protagonisti di questo tempo (…) E’ finito il tempo di dire solo “no”, vale la pena di incominciare dai “sì”, fossero anche aghi in un grande pagliaio. Ma noi siamo molto più ottimisti.

A. Mendini

PROCESSO PRODOTTO

PROCESSO PRODOTTO


PROCESSO PRODOTTO GAP CASA L’informazione è un luogo da vivere C.M. per la Biennale Donna, Ferrara, 2001

(…) Non mi piacciono i punti di vista univoci, non mi piacciono le analisi autoreferenziali (il design visto solo con i parametri della disciplina, per esempio) tant’è che un elemento del successo di Gap Casa, che ho diretto dal 1986 al 1992, è stata l’esplorazione di aree contigue - dalla cultura, all’arte, all’economia, al marketing, alla storia, all’attualità - pur nel rigoroso rispetto della missione editoriale del giornale: l’informazione al trade . Informazione come luogo da vivere fu il nostro slogan al Convegno di Aspen nei primi anni Novanta. Cosi è stato “per noi di Gap Casa”: grande coinvolgimento dei collaboratori, interni ed esterni alla redazione, per la più parte diventati amici nel corso del tempo e, al cuore delle nostre intenzioni, il rispetto per l’interlocutore, quel lettore così spesso svalorizzato e depotenziato dai media , che invece noi abbiamo sempre considerato un alleato a cui dedicare il meglio delle nostre intuizioni. Parlo dell’esperienza di Gap adottando termini che possono sembrare idealisti, lo posso fare perché testimonio di una realtà concreta che ha dato frutti e tornaconti: passando nel giro di pochi mesi da un bilancio passivo ad uno attivo, ricevendo molte manifestazioni di stima, vedendo nascere veri e propri cultori della rivista. Gap Casa è diventata un utile strumento di lavoro, ha dato spunti, ha creato incontri, ha prodigato informazioni, suggestioni e umanità. Binario delle scelte editoriali sono stati il rapporto fra processo e prodotto, fra etica ed estetica e la valorizzazione della partnership fra gli attori della filiera dell’arredamento, dai progettisti, ai produttori, comunicatori e distributori (…)


PROCESSO PRODOTTO COMUNICAZIONE EFFETTIVA 1993 / DIRE - ASCOLTARE C. M. in “Comunicazione integrata, dal progetto al mercato” con Giovanni Comboni, SDA Bocconi, 1993

calligrafia di Thich Nhat Hanh

La comunicazione effettiva stabilisce effettivamente la relazione fra i soggetti. Un buon rapporto dipende da una buona comunicazione. Essa si verifica quando i soggetti hanno la volontà di comunicare, la volontà di farsi conoscere (che dipende direttamente dal grado di conoscenza di sé), la volontà di ascoltare l'altro. (…) La comunicazione effettiva si fonda su relazioni di reciprocità, “dire” e “ascoltare” sono parte dello stesso processo e hanno il medesimo valore. Per alcuni anni mi sono occupata del rapporto fra progetto, produzione, distribuzione e mercato come direttore di Gap Casa. Fin dall'inizio, il mio lavoro si è sviluppato nella convinzione che tutte le variabili disposte sull'asse progetto, produzione, distribuzione, consumo sono fra loro interdipendenti e che approfondire le relazioni fra le varie parti nella logica della reciprocità sia il processo vincente. Ovvero: “i miei problemi sono i tuoi problemi”, “i miei risultati sono i tuoi risultati”, “il mio successo è il tuo successo”. Poiché alla base di qualunque buona relazione c’è una comunicazione efficace, sono sempre più convinta che occorre ottimizzare la comunicazione ponendo l’accento e l’attenzione sul valore dell'ascolto (...)


NATURA e PROGETTO 2001 / Dialogo dentro e dialogo fuori C.M. in “Il progetto naturale, la casa ecologica“ a cura di Maurizio Corrado e Mario Martelli , Edicom Edizioni, 2001“,Mostra Bio Architettura, Bologna 2001

(…) Sono una giornalista, mi sono occupata qualche volta di bio-architettura, sostengo quando posso i progetti etici, sono partita per alcuni anni in un luogo remoto in Francia a cercare di costruire, oltre ad una casa, anche una piccola realtà comunitaria che fosse “giusta”.. Da non molto sono tornata a Milano, ci sono nata, e non è stato facile per niente. Adesso vivo su un gran viale trafficato. A memoria della natura ( avevo campi e l’orto e orizzonti mozzafiato) ho tre davanzali con piante e fiori, dei rampicanti e qualche minerale, il più plateale è un quarzo a molti pinnacoli. In casa, raccolti come in un boschetto, proliferano semi di avocado, tuberi, papiri che mi piace vedere svilupparsi nei vasi di vetro o anche in quelli di terracotta. Si è aggiunto da poco uno ionizzatore che ho messo vicino alle piante. Un paesaggio addomesticato, frutto di mediazione ma anche di fantasia, rappresenta per me quel punto di collegamento, conquistato a piccoli passi, fra un’esperienza integrale vissuta in una natura incontaminata e solitaria e la rinnovata esperienza metropolitana. La finestra che ride è soglia di dialogo fra me e me, e me e gli altri.(…)

SOSTENIBILITA’

SOSTENIBILITA’


SOSTENIBILITA’ EZIO MANZINI 2006 / Praticare la sostenibilità C.M. in Intervista a Ezio Manzini, Intramuros, Edition Intramuros, Paris, 2006

(…) Ponendosi nella prospettiva della sostenibilità quali sono le considerazioni di fondo che un designer deve porsi prima ancora di iniziare il vero e proprio processo progettuale? Ci sono alcuni principi generali che, prima di iniziare un progetto, è necessario considerare con attenzione. Il primo attiene alla valutazione degli obiettivi: alcune proposte di progetto sono in sé eticamente inaccettabili, come usare prodotti dichiarati dannosi e organismi geneticamente modificati, progettare armi, cooperare con imprese che usano lavoro minorile. Il secondo riguarda la valorizzazione delle diversità, significa progettare rispettando le risorse esistenti (biologiche, ma anche culturali, organizzative e tecnologiche) e, possibilmente, generandone di nuove. Terzo, minimizzare i nuovi interventi sull'esistente, quindi, prima di pensare a qualcosa di nuovo, valorizzare quello che già c'è. Quando si può definire sostenibile un'impresa o un prodotto? La sostenibilità non è un attributo del prodotto ma del sistema risultante dalla sua applicazione. Un'impresa può produrre nel modo più pulito e corretto, può ricevere tutti i migliori certificati di qualità ambientale e per questo può essere definita "ambientalmente consapevole", ma anche in questo caso tutto questo non basta per definirla "sostenibile", non essendo la sostenibilità un attributo dell'impresa ma di come "mette a sistema" quello che produce.(…)


SOSTENIBILITA’ BEST UP / BELLO EQUO SOSTENIBILE 2006-2016 / Il circuito per la promozione dell’abitare sostenibile

BEST UP è acronimo che significa bello, equo e sostenibile, Up sta per “diamoci una mossa !”. Nel 2006 nasce da Clara Mantica e Giuliana Zoppis, rappresenta la confluenza delle loro esperienze come giornaliste indipendenti e cittadine attive nell’ambito del sociale. Allora la sostenibilità sociale e ambientale del progetto era pochissimo frequentata nel mondo del design e Clara e Giuliana cominciano a parlarne con altri attori della città, a cominciare dal Politecnico/Indaco. Nel 2007 danno vita a BEST UP associazione non profit, mentore è una grande donna, Piera Gandini. Il successo dell’iniziativa è immediato e le migliori fra le aziende del Made in Italy orientate a eticità e bellezza la sostengono. Il battesimo è al Fuorisalone del 2007 alla Fabbrica del Vapore. Best Up è strutturata come un arcipelago, si sviluppa per interessi e sinergie; da Milano si estende fino alla Sicilia e dialoga con il mondo. Al centro c’è l’assemblea delle socie che oggi sono: Ambra Fratti, Lilli Bacci, Beatrice Bortolozzo, Giovanna Fra, Ninni Fussone, Elisabetta Gonzo, Alessandra Mauri, Sabina Santovetti, Antonia Teatino e Sofia Vicenzetto. Essere tutte donne non è una scelta a monte, ma risultato di affinità. Nel Comitato etico-scientifico ci sono anche molti uomini interessanti, tra questi Ezio Manzini che in un convegno alla Triennale ha detto che Best Up è un’impresa del futuro perché produce positività.

Fotografia di Mimmo Capurso

www.bestup.it


SOSTENIBILITA’

BEST UP / IL MANIFESTO PROGRAMMATICO 2010 / E’ tempo di fare nella direzione giusta Best up in Domus n 941, “ La nuova utopia”, Milano, 2010

Qua di seguito alcuni contenuti che nascono dall’esperienza di Best Up (*) e di tanta bella gente incontrata in questi anni di impegno per la promozione dell’abitare sostenibile: 1, 10, 100, 1000 realtà positive, piccole e grandi. Persone e proposte intelligenti, innovative, attive in ogni parte del territorio. Amichevoli, radicate e proiettate. Generose, per sé e per gli altri. Eccoli: 1) Perché quel che conta sono le persone. Ne basta una, a volte, a cambiare una situazione, a generare nuovi processi. Ciascuno può essere quella persona, serve credere al miglioramento e seguire i propri talenti. La prima azione di un percorso sostenibile è valorizzare le risorse umane a disposizione. 2) Prendersi la responsabilità, agire. Up! 3) Perché l’unione fa la forza. Valorizzare le relazioni, le reti. Condividere, fare sistema e creare alleanze. Sostenersi è indispensabile. 4) L’importanza dei modelli. Manifestare e comunicare quel che si fa. Servono buoni esempi, trasferibili. Alla base della comunicazione, dicono i guru del green marketing, ci sono trasparenza e verità. Buon senso! 5) Perché creatività e bellezza possono molto. Vettori di contenuti, facilitatori della trasformazione. Umanesimo e sostenibilità stanno vicini. 6) + Life Cycle Design – C02. Significa “più design consapevole meno impatto ambientale” responsabilità sociale e ambientale del design sono i due binari dell’abitare sostenibile. “Il modello di sviluppo basato sul consumismo è giunto al punto di svolta. Un vero e proprio cambio di paradigma culturale deve procedere e accompagnare la ricerca di soluzioni tecnico scientifiche“ (State of the World 2010 / Worldwatch Institute) 7) Step by step. Questo è il metodo. Significa passo dopo passo, é adottabile per piccoli e grandi percorsi. Si comincia da dove si è e ci si dà un obiettivo alla volta; gradualmente, qui e ora. Basta cominciare. 8) La direzione giusta. Senza questa non si va da nessuna parte. Occorre un orizzonte di felicità che ci orienti. Un comune traguardo che unisca generi, etnie, discipline e conoscenze. Mille forme, idee, colori, azioni sono possibili, purché in funzione di una magnifica armonia fra benessere personale e bene comune. Ma chi può pensare ancora di essere felice a scapito della felicità altrui? 9) Le imprese del futuro. “Sono quelle che generano positività” dice Ezio Manzini. Soggetti che costruiscono quell’ economia sostenibile che ha il suo punto di forza nel “capitale delle relazioni”. 10) Donne e partecipazione. E’ parere diffuso ( Banca Mondiale) che il modo più efficace per combattere la povertà sia aiutare le donne. Capacità di cura, tessuto relazionale, vicinanza alla vita reale; qualità del femminile da riconoscere e valorizzare. 11) Serve poco. Spesso ci diciamo che servono un sacco di cose per cominciare a fare: tanti soldi, tanta tecnologia, tante difficoltà, tanto di tutto. Provare per credere, non è sempre così. (*) Best Up, fondata da Clara Mantica e Giuliana Zoppis, è un’associazione che promuove l’abitare sostenibile attraverso iniziative editoriali, progetti formativi, eventi che favoriscono il dialogo e la condivisione di conoscenze ed esperienze tra gli attori del settore. Accessibilità e valorizzazione delle competenze e dei saperi, etica delle relazioni, solidarietà, sobrietà e stili di vita sostenibili sono i valori a cui Best Up si ispira. www.bestup.it


SOSTENIBILITA’ LA CRESCITA GIUSTA 2014 / Progettare bene crescere meglio C.M. con Giuliana Zoppis in “Best Up-GOODESIGN 2014”, Milano, Cascina Cuccagna, 2014

Parliamo di crescita, utilizzando il simbolo del seme, perché ogni seme contiene un progetto e la spinta ad andare verso l’alto, a migliorare. Il termine crescita è spesso penalizzato perché associato a uno sviluppo distorto e immorale dove la crescita di pochi corrisponde allo sfruttamento di infinite risorse e umanità. La crescita, però, su cui intendiamo soffermarci e riflettere insieme parla di vita, giustizia sociale e ambientale, bellezza e consapevolezza. Le esposizioni e i laboratori di questa edizione 2014 di GOODESIGN sono ispirati al binomio seme/crescita: SEMI DI TRASFORMAZIONE: ovvero il concetto di cradle to cradle / dalla culla alla culla. Non c’è più spazio per un solo rifiuto; al cuore del progetto responsabile ci sono il ciclo di vita e la trasformazione di ogni rifiuto in nutrimento SEMI DI CURA: condividiamo la “Carta dei diritti della Terra”con Vandana Shiva SEMI DI LEGALITÀ: la legalità dei processi, delle merci è parte integrante della bellezza e della qualità del prodotto, con Addiopizzo movimento contro la mafia SEMI DI CONSAPEVOLEZZA: essere consapevoli di ciò che stiamo facendo adesso è la condizione per un futuro migliore SEMI DI FUTURO: soluzioni che hanno a cuore l’infanzia SEMI DI CREATIVITÀ: laboratori multidisciplinari per bambini e adulti SEMI DI URBANITÀ: esperienze sul territorio, a tutela della bellezza e della coesione sociale SEMI DI GIOIA: bambini e anziani insieme per accompagnarsi reciprocamente SEMI DI RIFIUTI ZERO: eliminare i rifiuti non compostabili dalle nostre vite SEMI DI POESIA: i bambini modificano ogni spazio in cui entrano


SOSTENIBILITA’ CAPACE DI FUTURO 2014 / Il Portale della legalità C.M. e Giuliana Zoppis per l’ installazione a cura di BEST Up con ADDIOPIZZO, in “GOODESIGN 2014 / Progettare bene per crescere meglio”, Cascina Cuccagna, Milano 2014

Il Portale della legalità è una soglia simbolica attraverso la quale passano tutti, imprese, creativi e visitatori dell’evento. E’ un richiamo che arriva da Addiopizzo e da Palermo - dove il movimento è nato dal basso per combattere la mafia - e si estende a tutta l’Italia. Perché la crescita di benessere sociale ed economico dipende da azioni trasparenti e nutrienti, capaci di futuro. Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità Un intero popolo che non paga il pizzo é un popolo libero

Fotografia di Mimmo Capurso

www.addiopizzo.org


VALORIZZAZIONE 1980-81/ Una memoria al femminile C. M. “Cronografie il tempo e la memoria nella società contemporanea”, installazione e testo in catalogo per la mostra a cura di Ugo La Pietra e Gaddo Morpurgo, La Biennale di Venezia / Settore progetti speciali, Venezia e Rotonda della Besana. Milano 1980 – 81

I movimenti femministi hanno portato la memoria/storia delle donne ad una dimensione di maggiore significato pubblico? O le storie sono rimaste ancora in gran parte entro i confini del privato, degli oggetti d’uso quotidiano? “ Ho concepito un Monumento alla memoria-storia femminile. Ogni donna dalla sua nascita avrà uno spazio dentro la struttura , la gestione della cellula le competerà in vita. Dopo la sua morte diverranno parte del patrimonio collettivo. Nello spazio a mia disposizione ho collocato 10 valigie che raccontano la mia vita fino a qua. La valigia è composizione fra nomadismo e stanzialità, fra il desiderio di movimento e il bisogno di riferimenti. E’ invito alla sintesi, scelta degli oggetti che mi racconteranno durante il viaggio. E’ un contenitore, aprirlo è rivelare il contenuto, invito all’attenzione”

DONNE

DONNE


DONNE ESPORSI / NON ESPORSI 1980-81/ Operazione ventaglio C. M. evento-installazione alla Libreria delle Donne, Milano 1981 a seguito di “Cronografie il tempo e la memoria nella società contemporanea”, La Biennale di Venezia

All’esposizione di me stessa effettuata con le valigie alla Biennale di Venezia segue un ripensamento simboleggiato dal ventaglio, foglio di carta pieghettato per dire il sopraggiunto pudore. Oggetto femminile per eccellenza il ventaglio ripara dagli sguardi, nasconde o rivela, apre o chiude la relazione con il mondo. Citando Shama “le energie femminili sono profonde e nascoste “ e spesso soffrono degli sguardi altrui, nella paura che questi diventino incursioni e giudizio.


DONNE CASA 1983 / Casa la sposa C. M. in “Casa la sposa”, installazione a cura di CM alla galleria Lo Zibetto, Milano 1983, dedicata a Carla Lonzi, pubblicata in Domus, Editoriale Domus, 1983

Casa la sposa Ma la sposa è sola il rapporto è evocato La solitudine è la sposa sola La sposa prepara l’abito all’oscuro dello sposo ultimo gesto solitario prima dell’unione a due é grande per accudire taglia la torta di cioccolato é la casa che accoglie la sposa è luogo che ha due soglie quella di ingresso e quella per uscirne é la capacità di attraversare é l’esperienza della separazione Soli nella discontinuità nuovi rapporti e nuove solitudini i soli germinano tra persone linguaggi oggetti e amore per un po sposi dedicata a Carla Lonzi

Fotografia di Studio Azzurro

La sposa è pronta


DONNE IL DESIGN DELLE DONNE 1991 / Abitare il progetto C.M. in “Il Design delle donne”, a cura della Libreria delle Donne di Firenze, catalogo della mostra omonima tenutasi a Ravenna, Museo del Design, edizioni Arnoldo Mondadori Arte, 1991

Non credo che di un oggetto si possa dire «questo è disegnato da una donna, questo da un uomo» perché, volendo seguire la traccia degli attributi che si collegano al femminile e al maschile, ho visto cose potenti e austere progettate da donne e cose delicate e poetiche progettate da uomini. Non è una questione di forma. Men che meno oggi il progettare può essere ridotto alla sola questione delle forme. Di cose curve, a pinnacoli o a punta ce ne sono anche troppe e il tema dell’eccesso è questione di urgente attualità. Credo piuttosto che sia tempo di ascoltare, interpretare i processi e tessere relazioni rispettose e che il «progettare» sia da intendere come una attività creativa che connette le parti «lanciando in avanti» (pro-gettando) messaggi vitali per gli esseri umani e per il pianeta.(…) è in clima di complessità che si rende necessario e possibile interpretare creativamente il gioco delle parti. Non c’è più un solo modo per fare le cose. La crisi in cui versano i grandi disegni razionalizzatori e unitari porta con sé nuove opportunità, problematiche e interlocutori. Penso così all’espandersi di relazioni di partnership fondate sul rispetto e la reciproca valorizzazione: c’è da augurarsi, perché ciò accada, che le donne e più estesamente il femminile di ciascuno, entrino direttamente nell’azione nutrendola dal cuore.


DONNE EVA LUNA 1996 / Comunicazione su misura

(…) Da qualche tempo vivo fra Milano e la campagna francese (Auvergne) dove sono arrivata nell'estate del '94 guidata dalla necessità imperiosa di cambiare vita. Ho quarantacinque anni, è molto tempo che lavoro nell'ambito della comunicazione (…) da un anno, in sintonia con le esperienze della mia nuova vita, ho scelto di lavorare su una scala più artigianale che vuole dire seguire tutto il processo, dalla identificazione del bisogno fino alla realizzazione del prodotto che lo soddisfa. In prevalenza il mio pubblico è formato da artigiani e creativi. Faccio piccole/GRANDI cose ad personam, me ne prendo cura come fossero cose mie, le realizzo in tempi dolci. (…) Mia socia virtuale è Eva Luna personaggio di Isabel Allende che così la racconta: “… il suo mestiere era vendere parole. Percorreva il paese dalle contrade più elevate e fredde alle coste torride, installandosi nelle fiere e nei mercati, dove montava quattro pali con un tendone, sotto il quale si proteggeva dalla pioggia e dal sole per servire i clienti...vendeva a prezzi onesti. Per cinque centesimi forniva versi a memoria, per sette migliorava la qualità dei sogni, per nove scriveva lettere da innamorati, per dodici inventava insulti per nemici irriconciliabili ...A chi acquistava per almeno cinquanta centesimi regalava una parola segreta per cacciare la malinconia. Non la stessa per tutti, naturalmente, perché sarebbe stato un inganno collettivo. Ciascuno riceveva la sua con la certezza che nessun altro l'avrebbe adoperata per quello scopo nell'universo e dintorni... ”L’ ho sempre immaginata forte

Fotografia di Pierre Jaffeux

e risoluta con il viso della gitana fotografata dal mio amico Pierre Jaffeux.


DONNE FEMMES DE TOUT HORIZON 1998 / Salon de the mobile C.M. con Centre Social CAF, Clermont Ferrand (FR), 1998

In una tipica banlieu francese, a Clermont Ferrand, ho incontrato un gruppo di donne di tanti paesi, Marocco, Algeria, Tunisia, Kurdistan, Africa subsahariana. Mi sono unita a loro insieme a due amiche francesi in occasione di una Giornata della donna. Noi stavamo in campagna e loro vivevano in palazzoni alti, fitti e con il nulla intorno. Ad aggregare c’era solo il centro commerciale, luci livide e tonnellate di merce. Il centro sociale CAF (che in Francia è istituzionale) aveva proposto l’apertura di un salon de the, al piano terreno di uno dei palazzoni, per incontrarsi, preparare dolci, bevande, far festa. Ho partecipato a questa avventura, un’ esperienza ricca e indimenticabile attraverso la quale ho capito almeno due cose: - che i ghetti fanno male alla civiltà e si ritorcono contro chi li costruisce - il lavoro condiviso, meglio se creativo, abbatte ogni barriera di lingua e di cultura e crea relazione e conoscenza. La storia è andata così: la municipalità di Clermont ci ha regalato un vecchio pulman della Biblioteca itinerante e abbiamo deciso di trasformarlo in un salon de the nomade per andare nei villaggi e imbandire strade e piazze con tavoli, teiere, aromi di tè alla menta e pasticcini speziati. Abbiamo svuotato l’interno, lo abbiamo rivestito e arredato; alla fine c’erano pizzi dappertutto!


DONNE BIENNALE DONNA / FERRARA 2002 / Benvenuta Biennale C.M. in lettera ad Anty Pansera e Tiziana Ocleppo, curatrici della Biennale Donna 2002 sul tema “Dal merletto alla motocicletta. Artigiane/artiste e designer nell’italia del Novecento”, Ferrara, 2002

(…) la creatività delle donne ha spesso la forma del regalo, del progetto dedicato a qualcuno, è comunicazione, messaggio, cura; vive in prevalenza dentro la relazione con l’altro (…) Raramente le donne manifestano progetti creativi avulsi dalla relazione o dall’applicazione ad un contesto preciso; raramente la creatività delle donne sta ad un atto di autonoma manifestazione di sé, atto affermativo, pubblico. Sovente la creatività delle donne supporta e valorizza la creatività dell’uomo, nel privato di una relazione o professionalmente: come “curatrice” di libri o mostre o come “testimone” nell’attività giornalistica. Le donne sono da sempre maestre del quotidiano e gli uomini del pubblico. Ne consegue che il lavoro delle donne non è valorizzato né simbolicamente né economicamente. Dunque benvenuta questa Biennale (*) che state curando con passione: oggi spiegare la causa di tanta assenza femminile dal palcoscenico del mondo e rimettere in circolo la creatività celata nelle soffitte e negli archivi, significa dare alle nuove generazioni di donne e di uomini le chiavi per una maggiore comprensione della realtà che stanno vivendo e l’opportunità di fare delle correzioni opportune. Le donne, inoltre, avranno l’occasione per essere fiere del proprio genere e accrescere la fiducia in sé e nella propria benvenuta e indispensabile differenza. Grazie a voi (*) Creata nel1984 dall’UDI di Ferrara la Biennale Donna continua tenacemente il suo lavoro di divulgazione e valorizzazione dei

saperi femminili. Nell’ edizione del 2002 le curatici organizzarono due sezioni: una per le artiste, artigiane e designer e l’altra per le “donne della divulgazione” dove furono segnalate come promotrici del design: Dorotea Balluf, Gilda Bojardi, Manuela Cifarelli, Anna Del Gatto, Anna Maria Fundarò, Maria Clara Goldschmiedt, Giuliana Gramigna, Clara Mantica, Cristina Morozzi, Piera Peroni, Franca Santi, Isa Tutino Vercelloni.


DONNE AZRA KAMRAVA 2004 / I disegni di Azra C.M. con NABA, Milano, 2004

Azra è una donna iraniana che ha cercato libertà e autonomia venendo in Italia. Con grandi sacrifici, scambiando la frequenza agli studi con il suo lavoro di grafica, ha frequentato la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) a Milano, dove ho insegnato qualche anno vicino ad Alessandro Guerriero e ad Elisabetta Galasso. Grandi i suoi talenti. Evviva Azra.


DONNE FILODRITTO 2016 / Dare voce a chi non ce l’ha C.M. con Cooperativa FiloDritto, 2016

FiloDritto è una cooperativa sociale siciliana attiva nella filiera del tessile con un laboratorio nella Casa circondariale di Catania e uno a Enna. Fondato dalla sociologa artigiana Ninni Fussone, ha una rete di collaborazioni fra cui Best Up che l’ha sempre sostenuta e valorizzata. “FiloDritto è la finestra sul mondo di chi quel mondo lo vede da dietro una grata, di chi non ha avuto voce, di chi sogna la libertà”. La Cooperativa è radicata nel proprio territorio e si impegna a fare inclusione sociale in collegamento con risorse e saperi locali. Le attività svolte pongono molta attenzione all’ambiente; fra le iniziative più significative il recupero e la valorizzazione delle lane autoctone siciliane che, non venendo più raccolte, sono bruciate in grandi quantitativi con relativa produzione di diossina. Attualmente l’impegno della cooperativa è creare a Catania, nel cuore della città, un laboratorio artigiano che sia luogo di comunità e apprendimento per le donne che, alla fine della detenzione, lasciate sole, rischiano di ritrovarsi nelle medesime condizioni che l’ hanno determinata. www.filodritto.com

creAzioni dal cuore della Sicilia


IL DIRITTO ALLA BELLEZZA 1991 / Hill agenzia per l’habitat sociale In documento programmatico per la costituzione dell’Agenzia da parte di Adriana Attanasio, Clara Mantica, Alessandro Mendini, Franco Rotelli, Shama Cinzia Tandoi, Antonio Villas, Trieste, 1991

“Il tema dell’habitat sociale ci appartiene”. Dai nostri spazi interiori, dagli interni delle nostre case e dei nostri luoghi di lavoro vogliamo fare un passo marcato verso l’esterno. Incontrare gli altri nei luoghi della comune convivenza. (…) Sul percorso delle nostre pratiche quotidiane, chi ricercatore, chi artista, chi giornalista, chi progettista, chi operatore in spazi di pubblico servizio, ci siamo incontrati e abbiamo fatto cerchio intorno all’esperienza di Hill, cooperativa di progetto appartenente al Consorzio Impresa Sociale di Trieste (ex Ospedale Psichiatrico) . E’ da questa realtà che intendiamo partire; in questi anni Hill è intervenuta in centri di salute mentale, centri sociali, sedi di lavoro per diverse cooperative, residenze per anziani, luoghi di pubblico servizio, progettando gli spazi interni, gli oggetti e la comunicazione. Opera sull’estetica e il significato degli spazi con la volontà di dinamizzare, riscaldare, aprire, rendere interattivi quei luoghi congelati, rigidi amorfi, tristi, alienanti che sono la sede tradizionale della maggioranza dei servizi pubblici dedicati alla collettività. Il diritto alla bellezza, che è diritto di ciascuno, si tratteggia qua per i suoi significati di espressività, vitalità, comunicazione, benessere, permeabilità, reciprocità, divertimento, piacere, solidarietà, movimento, trasformazione.(…)

Fotografia di Massimo Gardone

ETICA ESTETICA

ETICA ESTETICA


ETICA ESTETICA HABITAT SOCIALE 2001 / Centro salute donna a Trieste CM in Rubrica “ETICA/ESTETICA” (*), Casamica, 2001

(…) la pratica di umanizzazione della psichiatria è alla base di questo Centro e di ogni altra attività scaturita dalla visione di Franco Basaglia e dalle esperienze degli operatori e degli utenti dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Nell’estate del 1990, un gruppo di donne, operatrici sanitarie, utenti e donne della città, si ritrovarono per creare il Centro-donna (…) Al centro si affronta il malessere delle donne con occhi di donna e con quella capacità di comprensione per analogie e pratica di autoconoscenza, che permette da subito condivisione, affettività, accoglienza e cura. La soluzione degli spazi interni, la distribuzione delle funzioni, l’arredamento sono frutto di molti incontri fra Antonio Villas e le donne del Centro. Un sistema di tende, gli arredi di legno chiaro, gli imbottiti comodi, le linee dolcemente curve dei tavoli, i decori colorati alle pareti, i lampadari a fascio, le bacheche per informare, creano un ambiente amichevole, semplice da vivere, come a casa propria. “E’ un luogo che sostiene le persone che ci vivono, che non fa sentire chiusi nell’angolo e senza vie d’uscita e che ha, nel contempo, una buona capacità di attrazione verso l’esterno” dice Villas, progettista che lavora nell’ambito dell’esperienza post-basagliana dagli anni Ottanta. (…) (*) La rubrica ha trattato, fornendo esempi concreti e positivi, temi come il commercio equo solidale, design e progetto in carcere; mestieri d’arte e valorizzazione del lavoro femminile; giovani e promozione della ricerca artistica; case a misura d’anziano; salute e ambiente; arte in fabbrica; Less aesthetics more ethics alla Biennale di Venezia, imprese sociali e coworking a Milano, bioarchitettura, disabilità e progetto.


DESIGN PER IL SOCIALE

DESIGN PER IL SOCIALE GIULIO & VALERIO VINACCIA 2012 / Design as a development tool C.M. in intervista a Giulio e Valerio Vinaccia, Intramuros, edition Intramuros, Paris, 2012

Giulio & Valerio Vinaccia, lavorano da circa 20 anni nell’ambito del social design: a fianco di artigiani e artigiane di ogni parte del mondo, dal Canada alla Colombia, dalla Cina alla Svezia. (…) Cosa accomuna e cosa differenzia le esperienze? Gli obbiettivi sono sempre gli stessi, cambiano le situazioni; quelli generali sono migliorare le condizioni di vita dei produttori locali attraverso un miglioramento dell’economia e della visibilità per dare più valore e spazio ad anziani e donne e recuperare le tecniche che si stanno perdendo. Ogni esperienza è diversa ed esplode in tante direzioni, spesso creando dinamiche più grandi del previsto. A questo punto della vostra vita credete ancora che si possa costruire “un mondo migliore”? Assolutamente sì. (…) Noi andiamo e lavoriamo insieme alle persone del posto; all’inizio non è facile, ci si misura e la comunità ci chiede competenze e le sa riconoscere. Se fanno ceramica noi dobbiamo conoscere la ceramica ed è il lavoro che diventa elemento di coesione fondamentale, il mezzo che rompe ogni diffidenza. Non andiamo a imporre il nostro sapere, andiamo a conoscere. (…) Voi parlate di design quando incontrate i vostri interlocutori? Capiscono di cosa si tratta? Una volta in Brasile abbiamo ascoltato una conversazione fra due uomini; uno chiedeva “hai capito cosa è il design?” l’altro diceva “ No, però è un sacco di tempo che non mangiavo tre volte al giorno” (…)


DESIGN PER IL SOCIALE GIULIO & VALERIO VINACCIA 2012 / Il lavoro come emancipazione C.M. in intervista a Giulio e Valerio Vinaccia, Intramuros, edition Intramuros, Paris, 2012

(…) In che rapporto stanno artigianato e ambiente ? E’ un rapporto strettissimo: i manufatti, nel corso della storia, nascono in un certo ambiente con certe risorse e certe tecniche per rispondere a precisi bisogni locali; si tratta di piccoli numeri in equilibrio con l’ambiente. Se si vuole fare tanto e si esagera si rompe l’equilibrio ; si tagliano tutti gli alberi e ci si ritrova come in Perù dove sono sparite intere aree boschive. Che differenze ci sono fra donne e uomini? Enormi! Tutte a favore delle donne, é molto meglio lavorare con loro , senza ombra di dubbio: sono più curiose, più aperte e poiché rispondono della famiglia si concentrano sul lavoro perché vogliono imparare tutto e fare il meglio che possono. Ricordiamo, a nome di tutte le donne incontrate, una donna colombiana, Esmeralda, di circa 45 anni, con sei figli femmine e un maschio a carico. Il marito era sull’amaca e lei faceva ceramica con una mano, ripassava la tabellina con il bambino e mescolava con l’altra la minestra sul fuoco. Fare artigianato rappresenta una rivalsa per le donne del mondo; guadagnare con il lavoro migliora la loro condizione di vita e acquisiscono rispetto sociale. (…)


DESIGN PER IL SOCIALE UNA NUOVA CATEGORIA PER IL COMPASSO d’ORO ADI 2013 / BEST Up selezionato per il design per il sociale Best Up in ADI DESIGN INDEX 2013, a cura di Maria Cristina Tommasini, Edizioni ADI, 2013

Disegno di Paolo Ulian

Dal 2013, in occasione dell’ADI DESIGN INDEX, fra le categorie adottate per la selezione al Compasso d’Oro c’è il “Design per il sociale”. Definito come “ area di progetti di iniziativa pubblica e privata per lo sviluppo di un’economia sostenibile per le comunità; progetti che mirano a modificare i comportamenti e le strategie per un maggiore coinvolgimento sociale”. Grazie alla collaborazione con Luisa Bocchietto, presidente ADI, BEST Up ha contribuito all’ introduzione di questa categoria che presuppone che le imprese ammesse alla selezione del Compasso d’Oro rispondano a criteri di responsabilità sociale. Nel 2013, Best Up viene selezionato nell’INDEX per la categoria design per il sociale per il progetto GOODESIGN, eventi finalizzati alla diffusione del design sostenibile.


TERRITORIO 1993 / Mestieri d’Autore: le settimane di progettazione C.M in “ Mestieri d’Autore: il cristallo di Colle Val d’Elsa artigianato industria territorio” a cura di François Burkhardt e Clara Mantica, edizioni Electa, libro catalogo in occasione della mostra omonima , Palazzo comunale di Siena, 1993

Le “settimane di progettazione”, ideate da Francois Bukhardt e coordinate con Giuliangela Lops e Clara Mantica, hanno il loro nucleo nei laboratori di progettazione che si sono svolti a Colle Val d’Elsa nel corso del 1993 dove maestri artigiani, artigiani molatori, designers, rappresentanti delle industrie e consulenti di marketing e per la comunicazione si sono conosciuti e hanno messo a punto alcuni prodotti presentati al Palazzo Comunale di Siena. Gli interventi dei designers hanno la funzione di indicare alcuni possibili modi di interpretare e valorizzare le caratteristiche del materiale, delle tecniche, dei linguaggi, al fine di allargare le possibilità espressive dell’artigianato sia nel rapporto con la tradizione, la tipicità locale e i valori di cui sono depositari i maestri artigiani che in relazione alle risorse delle industrie. Obbiettivo finale è quello di costituire una famiglia di prodotti di alta qualità e riconoscibilità, identificati con il marchio “Cristallo di Colle Val d’Elsa”, pronta a percorrere le strade dei mercati nazionali e internazionali secondo strategie distributive e di promozione allo studio. I designers coinvolti nei laboratori sono Filippo Alison, Alessandro Bagnoli, Andrea Branzi, Paolo Deganello, Regina Gambatesa. Ugo la Pietra, Alberto Meda, Alessandro Mendini, invitati per le loro specifiche competenze e i diversi modi di approcciare il progetto.

ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE

ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE MESTIERI d’ AUTORE 1993 / Il sistema Colle Val D’elsa C.M. in “ Mestieri d’Autore: il cristallo di Colle Val d’Elsa artigianato industria territorio” a cura di François Burkhardt e Clara Mantica, edizioni Electa, libro catalogo in occasione della mostra omonima , Palazzo comunale di Siena, 1993

“A Colle c’è tutto” ce lo aveva detto un artigiano durante la prima visita che facemmo fra le “unità del cristallo” di Colle Val d’Elsa. Questi mesi di lavoro dentro il progetto dei Mestieri ha arricchito quelle parole di punti di riferimento concreti che hanno bisogno di essere valorizzati e resi più visibili per diventare patrimonio comune: forte e riconosciuto dentro e fuori Colle Val d’Elsa. Al centro è il problema della comunicazione, quella effettiva che si sviluppa lì dove ci siano comuni interessi, chiari obbiettivi e cura delle relazioni. A partire dal riconoscimento delle risorse di ciascuno - il piccolo molatore, l’artigiano che ha viaggiato il mondo, le industrie con le loro diverse missioni, la città con le sue bellezze, il territorio, la vicinanza con Siena - si potrà costituire un sistema di prodotti e servizi che sia frutto di relazioni intensificate, dove già ci siano, e progettate, dove manchino. L’aderenza a quei caratteri della realtà che sono riconosciuti positivi (IDENTITÀ), insieme all’introduzione di nuovi punti di vista portati da altri che hanno vissuto esperienze diverse ma appropriate a dinamizzare ciò che c’è (SCAMBIO), può diventare quella tipicità necessaria a fare riconoscere “il cristallo di Colle Val d’Elsa” e tutto quello che intorno ci vive: il carattere della gente, il gusto dei cibi, la bellezza del paesaggio, i percorsi della città alta. Questo patrimonio, fatto dunque di persone e processi e non soltanto di prodotti, sarà motivo di crescita culturale ed economica sia per i lavoratori del cristallo, che per i cittadini di Colle che per gli interlocutori esterni: consumatori o turisti. (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE SAWAYA & MORONI 1998 / Made in Italy, design et arts appliques chez Sawaya & Moroni C. M. « Made in Italy et la collection Sawaya & Moroni » in « Design et arts appliques chez Sawaya & Moroni », Edition Réunion des Musées Nationaux, France, 1998

Se è vero che camminiamo verso un’Europa non soltanto economica ma anche luogo di scambi fra le molte culture che la compongono, vorrei che la mostra “Made in Italy, design and arts appliqués chez Sawaya & Moroni” venisse letta in una prospettiva di conoscenza reciproca e di lavoro comune fra cittadini di differenti Paesi. Collaborare alla riuscita di una iniziativa comune crea dei veri legami di solidarietà e, oggi, tutti noi che abbiamo partecipato a questo evento, ci sentiamo un po’ più «cittadini d’ Europa». La collezione Sawaya & Moroni, composta da mobili e oggetti di disegno contemporaneo, costituisce un eccellente modello per meglio comprendere il “ Made in Italy ”, un modo di dire conosciuto internazionalmente che evoca per i più un certo buon gusto sovente associato all’originalità, ma che non è sufficiente a raccontare la ricchezza e la complessità di una realtà, presente su tutto il territorio italiano. Costituita da persone, capacità produttive, sinergie, da un rapporto modulato e sempre diverso fra innovazione e tradizione. (…) Attraverso la mostra ho voluto sottolineare e valorizzare un aspetto particolare di questo sistema specificatamente italiano: il ruolo attivo che editori come William Sawaya e Paolo Moroni giocano in favore della creatività , dell’artigianato, delle piccole e medie imprese , motori dell’economia e della società italiana. (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE ARTIGIANATO INDIANO 1999 / Qua da noi gli artigiani hanno nome e cognome C.M. in “Oceano Indiano / Le mille trame di un rettangolo”, mostra evento con Daniela Bezzi Viki Borsieri e Tarshito, Spazio Speciale, Milano, dicembre 1999

Mostrare qualcosa dell’artigianato indiano, perché è così bello che commuove Riflettere che gli artigiani non hanno mai nome e cognome, a differenza dei designers e degli stilisti Fare conoscere la qualità dei manufatti e la qualità delle storie Creare nuovi contatti perché questi artigiani (e altri che troveremo) abbiano lavoro, ben remunerato, e che il loro sapere non finisca con loro Contribuire alla riqualificazione dell’artigianato, che esca dal ghetto in cui è stato messo e in cui si è messo Guardare, attraverso lo specchio dell’India, all’Italia e all’Europa dove l’artigianato non versa in migliori condizioni, a parte poche isole felici Non ci piacciono le mode etniche che fanno minestrone di culture e persone e che, con la scusa di aprire al mondo, mercificano tutto e ci chiudono gli occhi su specificità e differenze. Oggi parliamo d’India perché l’artigianato indiano è uno fra i più straordinari al mondo e perché ci è capitato di poterlo conoscere più da vicino, attraverso Daniela che dell’india si sta innamorando grazie agli artigiani e ai manufatti che incontra sulla sua strada (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE PERCHE’ SI’ 2001/ Prima che sparisca C. M. in “Perché si all’artigianato”, DDN , luglio 2001

Sì all’artigianato, perché: • veicola il genius loci dei territori, saperi colti e saperi popolari • il fare umano contiene in sé un nucleo di universalità che può aiutare popoli diversi a comprendersi • crea ricchezza, economica e sociale • produce l’utile e il bello • può creare occupazione fra i giovani, purché se ne innamorino (l’importanza di una comunicazione adeguata) • necessita di trasmissione diretta delle conoscenze e quindi crea relazioni solidali, anche fra generazioni • avvicina alla comprensione della materia che a sua volta avvicina alla consapevolezza delle risorse e dell’ambiente • la trasformazione delle materie insegna pazienza e ascolto • ha un alto valore educativo, pedagogico e anche ludico • può essere interamente autogestito: dal produttore al consumatore • può trattare materiali naturali, ma anche artificiali (recupero di scarti metropolitani) • mediamente, necessita di piccoli investimenti in denaro • non inquina o inquina poco • lavorare con l’ingegno e con le mani aiuta a coltivare equilibrio e salute • può aiutare soggetti svantaggiati a ritrovare se stessi e gli altri • è una alternativa al modello della omologazione globale (delle merci, dei modi di vita, dei desideri, dell’impoverimento progressivo delle maggioranze di tutto il pianeta) • può aiutare le donne (due poveri su tre sono donne) a ridare valore ai loro specifici saper-fare, uscendo da micidiali alternative come famiglia o lavoro, miseria o prostituzione… perché l’artigianato oggi esiste e costituisce una grande porzione delle economie italiana, europee, mondiali e se non lo si salvaguardia e non si creano strutture e incentivi per valorizzarlo e qualificarlo si estinguerà o diventerà così elitario che a qualcuno verrà in mente di quotarlo in borsa comunque, se sparirà, ne avremo tutti infinita nostalgia……


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE INTERCULTURALITA’ 2002 / Italia/ Francia /India. Saper-fare e contemporaneità C. M. in DDN, editore Design Diffusione, Milano 2002

Ho scritto PERCHE’ SI‘, sorta di “Manifesto” a favore dell’artigianato dopo molti anni e molte esperienze a fianco degli artigiani, dei designers e delle istituzioni in progetti di valorizzazione di saper fare territoriali. Dal 92 al 94, in Toscana con François Burkhardt e la Camera di Commercio di Siena, per la valorizzazione dei mestieri tradizionali della provincia di Siena. Dal 1994 al 1999, in Auvergne, magnifica e appartata regione della Francia centrale, dove ho vissuto e lavorato con una comunità di artigiani e ho collaborato con il Dipartimento regionale del Ministero della Cultura per introdurre l’idea di una possibile alleanza fra design & artigianato locale. Infine, dal 2000 ho collaborato con Tarshito e Daniela Bezzi alla realizzazione della mostra “L’oro e l’argilla” tenutasi a Delhi al Crafts Museum a conclusione di un anno di lavoro con artigiani indiani di varie provenienze e specialità. (…) Oggi posso dire che l’interesse per le tradizioni, per i saper-fare, per i tempi e i modi dell’ingegno umano, per il contatto con la materia, per la cura delle risorse dei territori sono parte di un vissuto comune a tanti esseri umani, al di là dei paesi di appartenenza. C’è nell’artigianato un nucleo di universalità che può davvero unire nel profondo; è là che creatività, sapere e fisicità possono incontrarsi. Purtroppo esistono anche molti elementi problematici che accomunano gli artigiani del mondo: come sopravvivere? come rinnovare modelli? A chi trasferire il proprio sapere? (…) Per affrontare questo ordine di problemi credo che l’artigianato e il design potrebbero darsi una mano e approdare ad una reciproca valorizzazione.(…) E’ un dialogo che ha bisogno di tempi e incontri, che necessita di spazi idonei e che le istituzioni hanno il dovere di incentivare (…). Creare comunanza di intenti fra designers e artigiani, fra maestri e apprendisti, fra istituzioni e mercati, fra memoria e contemporaneità è un grande obbiettivo di civiltà.


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE ARTIGIANATO METROPOLITANO 2004 / Artigianato metropolitano a Milano e Lombardia C. M. in “Ad Arte: tradizione e innovazione nell’artigianato artistico lombardo” a cura di Ugo la Pietra per la Regione Lombardia, edizioni CESTEC / Regione Lombardia

(…) La caratteristica principale dell'artigianato metropolitano a Milano e in Lombardia è che vive in contiguità con il sistema del design e con quello dell'arte e che con questi dialoga o polemizza, si distingue o si assimila. Nel corso di questi ultimi anni la contaminazione fra mondi espressivi diversi ha dato humus, informazioni, opportunità utili alla nascita di un nuovo universo di oggetti, ambienti, operatività e servizi ricco di modi ed espressività che riguardano sia l'estetica dei manufatti che l'etica del processo e delle motivazioni. Una realtà, attivata e frequentata soprattutto dai giovani, che sarebbe interessante censire e documentare puntigliosamente per ricavarne spunti utili all'allargamento delle esperienze e alla loro valorizzazione, promozione e qualificazione. (…) E’ difficile dire a quali territori geografici appartengono (centro o periferie? Milano o provincia? Sono o non sono lombardi?) perché spesso questi artigiani sono nomadi, impegnati a guidare la "flessibilità" - che sembra essere condizione inevitabile del lavoro giovanile - secondo propri criteri vitali. Qualcuno di loro abita a Milano ma ha trovato un lavoro in Toscana… chi aveva un laboratorio in città rischia di non avercelo più perché costa troppo; chi lavorava in casa cerca di uscirne e condivide lo spazio di un negozio con altri e così via , la mappa è fluttuante e anche questo è un carattere forte dei tempi. Un luogo consono che accomuna parecchi di loro è la rete web dove in molti hanno siti per esporre e stare in relazione.


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE ARTIGIANATO METROPOLITANO A MILANO 2004 / P – ARTIGIANI C. M. in “Ad Arte: tradizione e innovazione nell’artigianato artistico lombardo” a cura di Ugo la Pietra per la Regione Lombardia, edizioni CESTEC / Regione Lombardia, 2004

(…) Dalla città gli artigiani metropolitani si riforniscono facilmente di materiali, scarti di produzione, oggetti dismessi che poi reinterpretano, decostruiscono, riaggregano secondo rinnovate sinergie e trasformando i rifiuti in risorse. Una specie di nuovo umanesimo che trasforma in buono ciò che sarebbe cattivo se considerato solo ingombro, residuo scomodo. Sono pionieri e promotori virtuosi di una progettazione ecosostenibile che in Italia stenta (assai più che in altri paesi d'Europa) a svilupparsi a fianco dell'industria e dentro i circuiti canonici del design. (…) Si autoproducono, autopromuovono e autocommercializzano e contribuiscono di tasca propria a creare quell'interesse alla manualità che nei giovani scarseggia; rendono contemporaneo il mestiere artigiano rendendolo attraente alle nuove generazioni. Non si sentono Artisti, né inseguono il capolavoro, aderiscono all'idea di lavoro, di processo aperto, di ricerca, di oggetto comunicante e , come dice Pablo Echaurren, sono veri p-Artigiani (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE ARTIGIANATO PARTECIPATO 2004 / Cosa, come, perchè C.M. in “Ad Arte: tradizione e innovazione nell’artigianato artistico lombardo” a cura di Ugo la Pietra per la Regione Lombardia, edizioni CESTEC / Regione Lombardia

Non so se qualcuno lo abbia già chiamato così ma mi piace definire “artigianato partecipato” tutte quelle attività connesse al fare artigiano che nascono dal basso, promosse da singoli, da gruppi, da associazioni non profit, comitati o altro ancora il cui carattere principale è essere occasione di partecipazione diretta alla costruzione del mondo, il proprio e quello abitato con gli altri. Alcune fra le esperienze fatte possono sembrare estreme per la tipologia dei luoghi e dei soggetti coinvolti ma proprio per questa loro natura sperimentale - fuori dalle convenzioni e dalle pressioni del mercato - per la passione che le ha costruite e fatte vivere e per il radicamento al territorio e alle persone reali si offrono come interessanti campioni di realtà da analizzare, da cui dedurre comportamenti e indicazioni stimolanti e generalizzabili, soprattutto da parte di quegli enti territoriali che hanno fra le loro missioni la valorizzazione dei mestieri.(…) Uno fra i fattori più significativi, comune alle “esperienze partecipate”, è la valorizzazione del rapporto fra processo e prodotto: conta il manufatto ma conta anche chi l’ha fatto, come, dove e perché, in quale rapporto con il lavoro individuale e di gruppo, in quale relazione con l’ambiente, con il processo di produzione e con i consumatori. Rilanciare un artigianato di prossimità permette al consumatore di potere controllare le modalità del fare, l’equità del processo, dà nuova consistenza affettiva all’oggetto attraverso un più equilibrato rapporto fra etica ed estetica e tutto questo in tempi di boom dell’economia solidale: più 21% per i prodotti del commercio equo e solidale, più di 5000 famiglie coinvolte nei Gruppi di Acquisto Solidale e una significativa espansione della finanza etica. (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE ARTIGIANATO E ASSOCIAZIONISMO 2004 / Buoni esempi di artigianato partecipato a Milano C. M. in “Ad Arte: tradizione e innovazione nell’artigianato artistico lombardo” a cura di Ugo la Pietra per la Regione Lombardia, edizioni CESTEC / Regione Lombardia, 2004

CANTIERI ISOLA. La stecca degli artigiani all’Isola: identità di quartiere L’artigianato contribuisce alla valorizzazione dell’identità di un quartiere che si oppone alla speculazione edilizia e propone nuove occasioni di aggregazione, solidarietà, imprenditorialità (…) GRANSERRAGLIO. Dal carcere, artigianato in libertà Granserraglio, fondato da Alessandro Guerriero nel 1997, è un laboratorio per i detenuti in semilibertà. Al centro forme innovative di “imprenditoria dolce” fondata sulla qualità del lavoro, l’equità economica e la solidarietà (…) FATTO AD ARTE e OSSERVATORIO PER L’ARTIGIANATO ARTISTICO. Genius loci Galleria e network , nascono per incoraggiare e promuovere l'arte applicata e l'artigianato artistico Artefice Ugo La Pietra con Raffaella e Francesca Fossati. CENA DELL’AMICIZIA. Socialità e manualità per gli emarginati della metropoli Nasce nel 1968 con una cena offerta ogni martedì a persone senza fissa dimora (…) Dal 1997 il Centro diurno lavora per favorire il recupero delle abilità manuali e il reinserimento lavorativo degli ospiti. GHEROARTÈ. Animazione e formazione in area metropolitana dismessa E’ un “laboratorio di espansione creativa” attivato nel 1999 dopo avere eseguito i lavori di ristrutturazione dei locali della stazione FS di Corsico che giacevano in stato di abbandono (…) ARTÉ. Lo spirito delle cose Raccoglie attività permanenti ed eventi periodici per offrire strumenti di crescita personale e collettiva secondo una visione olistica (spirito, corpo e mente) e transculturale. DONNALAVORODONNA. Formazione e promozione delle giovani imprese artigiane Centro di orientamento e fomazione nato per promuovere e valorizzare il lavoro delle donne .Offre programmi di specializzazione professionale, corsi di formazione per l’artigianato (…) LA FABBRICA DI OLINDA. Il diritto alla bellezza Lavora insieme ai giovani che hanno problemi di salute mentale; ha sede nell’area dell’ex OPP a Milano. Dal 1999 sviluppa attività d’impresa sociale come il Bar-Ristorante, Olinda Multimedia, l’Ostello e la Falegnameria che ha realizzato la collezione progettata con Massimo Morozzi (…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE MANIFESTO DELL’AUTOPRODUZIONE 2005 / L’autoproduzione è figlia dei tempi C.M. in “XXI SILICO oggetti in silicone di Alessandro Ciffo”, a cura di Clara Mantica e in “ “Il design italiano oltre le crisi”, 2014 Triennale Design Museum, Corraini edizioni

Esperienza e ideologia

Ispirazione e territorio

Rete e gruppo

Progetto e manualità

Autoformazione e ricerca

Quotidianità e creatività

L’esperienza si sostituisce alla teorizzazione e, dunque, all’ideologia. Mentre gli anni Sessanta-Settanta con l’architettura radicale e gli anni Ottanta con la postmodernità facevano di ogni evento un proclama, di ogni protagonista un maestro e di ogni gruppo una scuola, gli autoproduttori fanno ricerche personali sui fronti più vari, con linguaggi e metodi che non cercano di organizzare e codificare. Più vicini alla loro parte femminile inventano mondi e li abitano senza teorizzarli. Si incrociano, si riconoscono simili e diversi, trovano sinergie, dialogano, si scambiano informazioni, possono partecipare a comuni iniziative o promuoversi negli stessi spazi ma non formano gruppi; preferiscono la flessibilità e la leggerezza della rete ai rapporti più rigidi, e a volte gerarchici, dei gruppi. Anche per chi proviene da scuole a indirizzo artistico, l’autoformazione è necessaria perché quasi mai a scuola si sono davvero cimentati con attrezzature, laboratori, materiali innovativi, sperimentazione e ricerca. Fuori dalla scuola non esistono centri e laboratori che offrano strutture e servizi accessibili. Né il pubblico né il privato hanno investito in ricerca e la generazione degli autoproduttori ha fatto di necessità virtù e se ne é fatta carico approvvigionandosi di materiali, laboratori, strumenti e competenze.

Processo e prodotto

Ciascun autoproduttore conosce tutte le fasi del processo, dall’idea fino alla commercializzazione del prodotto che realizza. Processo e prodotto stanno nella stessa persona, il creativo convive con l’operaio, con il ricercatore, con il commesso viaggiatore ma spesso anche con il fotografo e il comunicatore. Questa condizione rafforza la presa di coscienza sul rapporto che c’è fra progetto, produzione, lavoratore, ambiente, comunicazione, commercio e valore e rende più facile trovare soluzioni che armonizzino produzione e consumo, etica ed estetica.

Artigianato e contemporaneità

Ripensano il genius loci, lo reinterpretano, ma lo accolgono; spesso lavorano materiali del posto reinventando tecniche oppure lavorano materiali innovativi con tecniche tradizionali. Artigianato, arte, design, cultura, tradizioni, partecipazione dal basso si contaminano e si scambiano luoghi e modi creando i presupposti del dialogo e della necessaria trasformazione. Così un autoproduttore può essere un attore del rinnovamento di un territorio proprio per la sua vocazione a unire contemporaneità e tradizione. Locale e globale. Si discostano soprattutto nei fatti da coloro che, designers o artisti, non fanno uso diretto delle mani e della materia. Pur coltivando il progetto considerano ineliminabile, soprattutto per il piacere che ne ricevono, il lavoro manuale: per sperimentare attrezzi, trovare forme, rapporti, superfici, densità, risultati soddisfacenti. Reinterpretano la vita spesso sapendo quello che non vogliono per trovare poi quello che vogliono. Cercano dignità al proprio lavoro e non distinguono il fare dall’essere. Stanno attenti a non cadere nel tranello della produttività; reinterpretano ruoli, hanno a cuore i valori, distinguono fra precarietà e libertà, relativizzano il valore del danaro.

Trasversalità e progetto olistico

Praticano e attraversano territori disciplinari e a volte si soffermano nelle “terre di mezzo”; l’arte e il design, l’architettura, l’artigianato e la ricerca scientifica a volte stanno in un rapporto di contiguità naturale. Si aprono i confini delle specializzazioni, il che li pone nella necessità di approfondire conoscenze diverse e di scoprire (magari) che ogni cosa è parte di un tutto. Una specie di progetto olistico.

Mercato ed economia

Uno dei pochi e migliori risultati di questi anni è la formazione di aree estese di persone che consumano in modo più critico e consapevole. Queste persone sono in grado di apprezzare un prodotto perché fatto in un certo modo, in un certo luogo e con certi criteri. Così l’idea di bello si estende integrando alle qualità della forma quelle del processo. Il successo crescente degli autoproduttori ( ce ne sono anche in agricoltura, nella moda, nella comunicazione, nella musica e nell’edilizia) si deve soprattutto a questo rapporto fra nuovi-produttori e nuovi-consumatori. L’autoproduzione sta diventando una nicchia, piccola ma in espansione, che può dare lavoro e soddisfazione a molti nuovi autoproduttori.

Gli autoproduttori viaggiano, si informano, si cimentano con il mercato, con la comunicazione, sono sperimentatori, frequentano arte, musica e gli altri linguaggi della contemporaneità. Sanno cosa è il design e considerano il progetto una parte essenziale del loro lavoro di ricerca. Non rinnegano materiali tecnologici pur non negando materiali tradizionali. Sono il punto di congiunzione fra artigianato e Con l’augurio che tutto ciò sia sempre più vero contemporaneità.


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE DILMOS 2005 / DILMOS FACTORY: fuori dalle solitudini Incontro con Lella Valtorta C. M. in “XXI SILICO oggetti in silicone di Alessandro Ciffo”, edizione Alessandro Ciffo, 2005

Quando avete individuato l’area degli autoproduttori? L’autoproduzione sta in quello spazio “ né arte né design” che esploriamo fin dagli anni 80. Penso alla grande mostra di Danny Lane nell’88, a Ron Arad, ma anche a Maurizio Cattelan che in quegli anni faceva, a suo modo, tavoli, lampade e paraventi. Poi il fenomeno dell’autoproduzione si è esteso a molti giovani che sono finalmente usciti dalle solitudini dei loro studi e , in molti, sono venuti a mostrarci quello che facevano. In poco tempo, l’autoproduzione è diventata una delle realtà più interessanti in Italia.(…) Quale evoluzione è avvenuta in questi dieci anni fra gli autoproduttori? Sono più attenti ai particolari, più esperti delle materie. Erano un corpo acerbo adesso sono maturati, si sono ripuliti, armonizzati , hanno eliminato gli elementi superflui. In molti vengono, ci fanno vedere l’oggetto, poi lo rivedono, ritornano e procedono, a volte è un processo che dura mesi.. l’ autoproduzione non è un “ brick e brack (…) Che differenze o analogie fra autoproduttori e artigiani? Nella maggioranza dei casi, l’artigiano esegue il progetto di altri, ha poca iniziativa, lavora sul sicuro, percorre una strada già battuta. Gli autoproduttori sono veri ricercatori, e, da questo punto di vista, l’autoproduzione assume un valore più generale perché la ricerca in questi anni in Italia non è stata sostenuta né dal pubblico né dal privato. Gli autoproduttori pagano di tasca propria la ricerca, hanno creato una nicchia vitale, sperimentale.(…)


ARTIGIANATO DESIGN AUTOPRODUZIONE UGO LA PIETRA 2014 / E l’artigianato creò l’uomo C.M. in “UGO LA PIETRA Progetto disequilibrante”, a cura di Angela Rui con Silvana Anicchiarico, Corraini Edizioni, catalogo della mostra omonima, Triennale 2014/15

(…) penso a Ugo La Pietra come ad un giardiniere che dissoda terreni disseccati restituendo loro humus e germogli, con pazienza, caparbietà, fatica e soddisfazione infinite e incontenibili. (…) Giardini e cose artigiane, fatte ad arte, sono associabili per il fare manuale che comportano: indissolubili da un pensiero umanista, da un’idea della crescita slegata dall’efficienza (quand’anche esista) del profitto e dell’esercizio del potere. Un’idea di mondo che accorpa risorse naturali e umane in un disegno informato dall’etica. (…). Ugo La Pietra è il primo e principale artefice della valorizzazione e del rinnovamento in chiave contemporanea dell’artigianato italiano e delle risorse - creative, umane, sociali e ambientali - ad esso collegate. Dalla sua visione aperta e incondizionata e dalla sua opera instancabile, dagli anni Ottanta ad oggi, e capillare, dal Nord al Sud del paese, sono nate fiere, attività editoriali, didattica, archivi, osservatori, premi che hanno dato forza e valore a centinaia fra vecchi e giovani artigiani, creativi, piccole e medie imprese. E’ soprattutto grazie a questo vero e proprio sommovimento combinato con fenomeni strutturali importanti (crisi della produzione e globalizzazione delle merci) che nascono esperienze di nuovo artigianato e che moltissimi giovani sposano autoproduzione e artigianato artistico, cultura del fare e del progetto creando forme originali di promozione e distribuzione (…)


FORMAZIONE

FORMAZIONE ACCADEMIA DI BRERA 2001-2002 / Si può In Programma didattico”Ambito territoriale 2”, Dipartimento design - Accademia di Brera, direttore Ugo La Pietra, 2001-2002

“Si può” è il mio contributo a ciascuno degli studenti, giovane donna o giovane uomo, a cui auguro di imparare presto a sapere cosa vuole e di trovarsi bene in quello che fa. L’immagine che accompagna queste parole racconta di un piccolo monaco che legge ad un elefante qualcosa di così intenso da trattenere l’animale in una posizione di ascolto e di attenzione. Mi sono domandata “cosa gli starà leggendo?”. Ed è nella riposta, che per ciascuno sarà diversa e anche mutevole, che appare un abbaglio di intensità, di forza e di progettualità; un frammento di immaginario che voglio comunicare come l’essenza stessa della creatività e della relazione.


FORMAZIONE ACCADEMIA DI BRERA MDS Milano Design System 2001-2005 / Una guida per orientarsi In Programma didattico”Ambito territoriale 2”, Dipartimento design – Accademia di Brera, coordinatore Ugo La Pietra, 2001-2005

Il catalogo Milano Design System è un progetto collettivo che si conclude con la realizzazione e la pubblicazione di una vera e propria Guida, distribuita nel circuito dell’Accademia; mappa ragionata che mostra luoghi e persone che compongono il più grande sistema del design al mondo. Obiettivo didattico è quello di aiutare lo studente a dirigere le proprie ricerche e il proprio percorso formativo e professionale identificando referenti e percorsi dentro il grande sistema di relazioni e operatività collegati al Sistema del design. La guida ha avuto varie edizioni e vesti grafiche.


FORMAZIONE CREATIVITA’ E SOSTENIBILITA’ 2005-6 / Ecologica-mente C.M in “Ecologica-mente” con Claudio Cetina, opuscolo edito da Naba, Nuova Accademia di Belle Arti Milano, 2005-6

“…se vuoi costruire una nave non chiamare a raccolta gli uomini per procurare la legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito” Antonine de Saint - Exupery. La sostenibilità è tutta interna e non prescindibile dal tema dell’etica. L’etica per essere veicolata ha bisogno di un linguaggio attraente, trasparente, rinnovato ed è per questo che NABA invita i suoi iscritti ad occuparsene (…) Progettare sostenibile significa avere consapevolezza della complessità dei problemi e progettare l’intero ciclo di vita di un oggetto, dalla produzione, all’uso, alla dismissione; prevedere il percorso dell’oggetto in modo che ogni successiva trasformazione non produca nuovi rifiuti bensì dia luogo a nuove opportunità (…) C’è bisogno che i creativi, siano essi impegnati nella moda, nel design, nell’arte, nella comunicazione, si innamorino di questo tema.


FORMAZIONE UNO SPAZIO PER I CREATIVI 2012 / L’importanza del luogo C. M. docente “Design System” presso il Dipartimento di Design dell’Accademia di Belle Arti di Brera

(…) A Brera, il dipartimento di Design è stato confinato in un’ area di un istituto tecnico della periferia milanese che mal sopporta la presenza di studenti e docenti dell’Accademia. Così per arrivare alle aule bisogna fare un giro largo, passare sul retro dell’edificio, incontrare il degrado di aiuole mai amate e salire a piedi per una scala mai pulita dalle pareti piene di scritte che non dicono niente, imbrattano e basta. Difficile arrivare a destinazione senza avere perso un pò di quella carica vitale indispensabile a insegnare e ad apprendere, in ogni caso a vivere insieme. Così ho proposto per l’anno 2011/12 di affrontare il tema del luogo progettando interventi, e realizzandoli, a partire dalle scale per continuare nei corridoi e nelle aule, con materiali di recupero. Ho chiesto la collaborazione di Resign, gruppo di designer di Faenza capaci di teorie affascinanti e di pratiche artigiane. Sono venuti con chiodi e martelli, trapani, tinture e pennelli e un gran lavoro è cominciato. Nel corso del tempo sono restati quelli che avevano motivazioni per restare, ma questo è sempre successo, qualunque fosse il tema affrontato nell’anno accademico.


PARTECIPAZIONE

PARTECIPAZIONE MILANO SI AUTOPRODUCE

2011 / Un marchio del Comune In “ La visione Milano 2011-2016”, programma di Giuliano Pisapia, candidato Sindaco per la città di Milano, 2011

Durante la bella esperienza dell’ “Officina per la città”, dove i cittadini sono stati chiamati a collaborare alla definizione del programma di Pisapia, ho coordinato uno dei tavoli sul tema “ il distretto della creatività”. Nostro focus l’ ” autoproduzione”, intesa in senso ampio e trasversale alle discipline: design, musica, cinema etc. Dal lavoro comune è nata l’idea del marchio “Milano si autoproduce” che è stato ripreso fedelmente nel programma di Pisapia. In seguito, su iniziativa di privati che hanno liberamente interpretato lo spirito del lavoro e l’uso del marchio, Milano si autoproduce è diventata un’altra cosa. “ Dal Programma: (…) La cultura deve diventare una nuova occasione per Milano. Fra i progetti da sviluppare il marchio "Milano si autoproduce": a tutti gli autoproduttori di cultura, arte e artigianato che dimostrano la rispondenza fra la loro attività e i parametri di sostenibilità sociale e ambientale - i cui requisiti sono verificabili attraverso codici internazionalmente adottati - il Comune assegna “Milano si autoproduce", marchio di qualità produttiva e culturale.”


PARTECIPAZIONE COHOUSING INTERGENERAZIONALE

2016 / Proposta ai candidati sindaci di Milano C. M. con il gruppo AMICOH SOLIDALE in occasione dell’ Assemblea delle donne sul tema “La città che vogliamo”, incontro con i candidati sindaci, Milano, Palazzo Marino, 24 febbraio 2016 / Pubblicato estesamente in “Incontrare la vecchiaia” a cura di Marina Piazza e Clara Mantica, Edizioni LUD, 2016

Il nostro progetto si chiama A.MI.COH SOLIDALE acronimo di A MIlano un COHousing SOLIDALE A.MI.COH è un condominio abitato da tante persone; è una comunità fondata sulla INTERGENERAZIONALITA’, bella, equa e solidale che sostiene e protegge le persone (privacy, rispetto) e ha un ruolo dinamico, aggregativo, aperto alla città; tramite di servizi utili. L’ erogazione di servizi è occasione di formazione e creazione di posti di lavoro per i giovani. Le fondamenta di AMICOH sono: - L’identità del luogo, creata dai valori comuni aggreganti: solidarietà, sostenibilità sociale, ambientale ed economica (…) scambio fra differenze di genere, di età, di saperi, culture, condizioni di vita etc. (…) - L’intergenerazionalità, le persone di ogni età sono rispettate e vissute per quello che sono: gli anziani e i vecchi che vogliono dignità, senso e appartenenza; i giovani che cercano lavoro e ruoli socialmente utili e creativi in appoggio alle loro scelte di autonomia; gli adulti che vogliono potere fare figli e crescerli in ambienti sani e stimolanti. (…) - Obiettivo è il benessere individuale coniugato al bene comune. La cura di sé e la cura del prossimo come facce della stessa realtà: - Milano può tornare ad essere una città esemplare.


MEDITAZIONE

MEDITAZIONE SHAMA 1988 / MASCHILE E FEMMINILE. ORIENTE E OCCIDENTE C.M, in intervista a Shama Cinzia Tandoi, Mutamenti , Quaderno supplemento a GAP Casa, Publimedia Editrice, 1988

Shama: “Per sette anni io e Tarshito abbiamo lavorato insieme fondendo le nostre energie, nei progetti di lavoro e nella vita. E’ stata una vera esperienza totale , ogni giorno abbiamo superato dure prove per fare incontrare le nostre menti. La mia energia, profonda e nascosta, in contatto con le radici eterne delle cose, aveva paura di uscire, di affermarsi. Avevo bisogno del coraggio di Tarshito, lui rendeva possibile la realizzazione dei nostri progetti, convinto della necessità di farlo. Insieme abbiamo riprogettato il nostro mondo partendo dall’esperienza di vita, in quel momento da pionieri (1980, a Bari) nell’ultima città dell’occidente, ai limiti del deserto del mondo. Abbiamo lavorato con il fuoco, il ferro, il rame, i minerali antichi; con i nostri oggetti abbiamo creato un habitat aureo che cerca una sintesi fra oriente e occidente, tra la necessità maschile di materializzare e affermare l’identità del progetto e la natura femminile di disperdersi e comprendere i misteri dell’esistenza. Con estrema serietà, attraverso gli oggetti, abbiamo comunicato la necessità di essere con il divino; la nostra strada di ricercatori spirituali attraverso il progetto. Sempre più precisamente ho sentito la responsabilità dell’anima degli oggetti che accompagnano e sostengono la vita degli uomini (…)“


MEDITAZIONE SHAMA DESIGNER SHAMANA 1992 / Progettare al femminile C. M. in “Metodologie dell’abitare” a cura del progetto DIR, convegno alla Triennale, Milano, 18 marzo 1992

(…) “Shamana” è un aggettivo, da fare seguire a "designer”, che si è scelto lei dopo il viaggio in India, e vuol dire proprio colei che, in contatto con l’universo e con le radici della terra, canalizza le energie esercitando potere di guarigione presso i suoi simili. (…) Shama manifestava sempre quello che pensava, essendo uguale a se stessa in qualsiasi luogo e con qualunque persona. Nelle azioni di ogni giorno, nelle scelte semplici e in quelle più difficili, esprimeva l'integrità fra l'essere e il fare. Era il suo grande elemento di forza e di fascino per chi l'ha conosciuta. Non era per niente ideologica, mai che si mettesse a parlare con l’aria di volere convincere. Quello che mi ha insegnato mi è entrato dentro con calma e naturalezza, non me ne sono quasi accorta mentre accadeva. Di fatto impreziosiva con la sua presenza luoghi ed esistenze. La sua guida era il rispetto per sé, per gli altri, per il pianeta. Il suo asse la relazione fra terra e cielo, fra quotidiano ed eterno, fra fare ed essere, fra la materia e il divino. Ha vissuto anche la sua malattia come luogo da esplorare e ha sperimentato saperi antichi e moderni, rifiutando la chimica perché le toglieva forza e consapevolezza, così mi disse. (…)


MEDITAZIONE SHAMA FUNAMBOLA 1992 / Oggetti magico terapeutici C. M. in “Metodologie dell’abitare” a cura del progetto DIR, convegno alla Triennale, Milano, 18 marzo 1992

(…) Fra l'89, il 90 e il 91, Shama ha viaggiato spesso fra il Sud e il Nord, fra Oriente e Occidente, ormai nomade per scelta; diceva che essere senza casa le permetteva di stare più vigile per sentire, vedere, ricercare. Così in una grande valigia che si portava sempre con sé, conteneva la sua abitazione: le cose del quotidiano, i vestiti e gli ornamenti, i libri, gli appunti, i disegni, le fotocopie (di cui andava ghiotta) di soggetti di ogni tipo: dalle architetture africane, alle conchiglie, alle pitture egiziane, ai sarcofagi etruschi, alle foto del pianeta terra, eccetera. (..) Fra gli ultimi progetti, alcuni appunti sui mobili organici, oggetti guaritivi, e la serie dei tappeti per i sette chakra (…) L'ultimo oggetto realizzato è il tappeto “magico terapeutico" che ha mandato alla mostra “Il design delle donne” che si è tenuta a Ravenna nel settembre scorso e che adesso sta girando per l'Italia. In questo tappeto, stoffa sagomata con parti imbottite in rapporto alle zone del corpo, sono applicati cristalli di vari colori. Ogni colore ha una funzione terapeutica, ogni tipo di quarzo ha un suo potere. “ I cristalli sono la forma ordinata, espressa in configurazione geometrica, della legge universale che a tutto presiede: per questo sono potenti..”. Shama funambola fra la Terra e il Cielo.(…)


MEDITAZIONE TARSHITO 2001/ Tarshito chi è C.M. in “ TARSHITO meditazione e progetto –meditation and design “, a cura di Clara Mantica, editrice Electa Napoli, 2001

(…) Tarshito non appartiene a correnti, è un outsider delle tendenze e un insider di quel flusso di ispirazione e sollecitazioni che, detto secondo le sue modalità, dal Cielo scende sulla Terra. Adotta materiali e simboli che appartengono a tradizioni e culture antiche, ma il suo lavoro aderisce al presente e vuole contribuire a costruire il futuro. Aperto ad ogni tecnica, le padroneggia tutte senza possederne alcuna, in grado come è di trasferire la propria ispirazione a bravi artigiani, siano essi pugliesi, tibetani, indiani o sardi, che diventano, come per incanto, i suoi alleati. Insieme tendono al miglior risultato: progetto e messa in opera hanno uguale valore, indissolubili e reciprocamente necessari. Dagli anni 80 coinvolge progettisti, famosi o neofiti, e più recentemente studenti di Accademie e scuole sperimentali, parlando loro di sacralità, amore, gentilezza e tracciando connessioni invisibili fra il cuore e la mente, fra sé e l'altro, fra la Terra e il Cielo. Va incontro a designer e artisti, come Alessandro Mendini, Mario Merz, Nanda Vigo, Ugo Marano e tanti altri esponenti della ricerca artistica contemporanea, per proporre loro la condivisione di avvenimenti celebrativi o la realizzazione di oggetti rituali. Fino al 1987 Tarshito condivide vita e ricerca con Shama Cinzia Tandoi, designer shamana, profonda e lucida esploratrice di mondi.(…)


MEDITAZIONE TARSHITO 2001 / L’Oro e l’Argilla (The Gold and the Clay - confluence of traditions) C. M. in “Un libro e una mostra” conferenza stampa di presentazione, Dilmos Milano, 2001

(…) L’incontro è organizzato per presentare il libro “ Tarshito, meditazione e design” curato da Clara Mantica ed edito da Electa e la mostra indiana “ L’Oro e l’ Argilla” in corso al Craft Museum di New Delhi, a cura di Daniela Bezzi (...) La creatività diventa nella pratica di Tarshito un mezzo di unione ed è proprio fra lui e gli artigiani che si verifica ogni volta una sorta di magica connessione: loro danno sapienza e disponibilità e lui offre ispirazione e determinazione. Il risultato è comune: per Tarshito è la gioia della messa in opera, della realizzazione e per loro è l’ euforia che viene dallo sperimentarsi fuori dagli schemi abitudinari e provare a se stessi e agli altri che si è maestri di quel fare. A Delhi per l’ inaugurazione della mostra, il 23 marzo, c’erano sul podio ministri, ambasciatori, intellettuali ma anche gli artigiani che hanno lavorato con Tarshito. Piccolo episodio di grande valore in un paese la cui classe politica sottovaluta le risorse tradizionali (artigianato e piccola agricoltura) portando alla miseria gran parte della popolazione.




SORELLANZA “ Sotto la voce sorellanza raccolgo la testimonianza di due rapporti in cui si sono sviluppate amicizia profonda e comune partecipazione al mondo attraverso il lavoro. Con Shama Cinzia Tandoi negli anni Ottanta e con Giuliana Zoppis negli anni Duemila. Sono due ma rappresentano tutte le altre “donne in azione” che ho avute compagne nel mio fortunato cammino alle quali va il mio ringraziamento per avere agito insieme con forza, serietà, capacità di visione e spesso grande allegria. Di “uomini di cuore” ne ho incontrati e li ringrazio per avere condiviso opportunità, sostegno e stima ”

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Shama, “Welcome�, dalla mostra Beneaugurando, Speciale Bari, 1988


SORELLANZA

SHAMA / 1988 Ci siamo incontrate negli anni Ottanta, la sua sagacia, grazia e originalità mi hanno colpito subito; abbiamo avuto nel corso del tempo molti scambi profondi che coinvolgevano il lavoro, la crescita personale, l’impegno verso il mondo e la comune attrazione per la cultura orientale. Shama ci ha lasciati nel 1991, indimenticata e indimenticabile. In occasione di Mutamenti, pubblicato per il Salone del Mobile dell’88 le ho fatto l’ intervista che segue. Clara Mantica: Del tuo percorso desidero enucleare soprattutto un aspetto, quello dell’ integrazione del “maschile” e “femminile” nel progetto. La tua esperienza con Tarshito a Speciale si è conclusa e la vostra ricerca individuale continua con linguaggi diversi. Cosa ha significato per te questa esperienza? Le donne mancano storicamente dal progetto: che ruolo può avere il femminile nell’evoluzione della cultura delle cose e dell’abitare? Al dibattito sul maschile e femminile mi pare si possa affiancare, per ricchezza di analogie, quello fra Oriente e Occidente: cosa può rappresentare la cultura materiale indiana nei confronti di quella occidentale? Shama Cinza Tandoi: Per sette anni io e Tarshito abbiamo lavorato insieme fondendo le nostre energie nei progetti di lavoro e nella vita. È stata una vera esperienza totale, ogni giorno abbiamo superato dure prove per fare incontrare le nostre menti. La mia energia femminile, profonda e nascosta, in contatto con le radici eterne delle cose, aveva paura di uscire, di affermarsi. Avevo bisogno del coraggio di Tarshito, lui rendeva possibile la realizzazione dei nostri progetti, convinto della necessità di farlo. Insieme abbiamo riprogettato il nostro mondo partendo dall'esperienza di vita, in quel momento da pionieri (il 1980 a Bari) nell’ultima città dell'occidente, ai limiti del deserto del mondo. Abbiamo lavorato con il fuoco, il ferro, il rame, i minerali antichi, con i nostri oggetti abbiamo creato un habitat aureo che cerca una sintesi fra oriente e occidente, tra la necessità maschile di materializzare e affermare l'identità del progetto e la natura femminile di

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disperdersi e comprendere i misteri dell'esistenza. Con estrema serietà, attraverso gli oggetti, abbiamo comunicato la necessità di essere con il divino; la nostra strada di ricercatori spirituali attraverso il progetto. Sempre più precisamente ho sentito la responsabilità dell’anima degli oggetti che accompagnano e sostengono la vita degli uomini. E qui (1987) le nostre strade si sono separate, per me è nata l'urgenza di conoscere altre realtà, di capire sempre meglio dove attingere la saggezza e a chi trasmetterla. Per molti mesi ho sospeso di fare e di pensare il design, ho preso distanza da questo lavoro nel momento di maggior espansione; questo grande progetto di lavoro e di vita per me stava diventando un’isola ideale per pochi prescelti. In sette anni un ciclo si chiude, l’esperienza è completa (sono andata via per non celebrare). Tarshito mi ha trasmesso la sua forza e il suo coraggio eroico, io gli ho svelato i segreti dei miei viaggi nella pancia del mondo per arrivare al cuore. II viaggio in India (1988) è stato importantissimo per riconoscere la mia identità di designer-sciamana. Captare i messaggi delle esigenze di un'umanità in evoluzione, decifrare i simboli delle civiltà antiche: penso che sia il mio compito in questo momento per restituire un progetto che abbia una vibrazione orizzontale, morbida e avvolgente come un'onda, comprensibile e moltiplicabile. I bazar indiani sono pieni di piccoli e grandi oggetti per la casa, per il corpo, per il culto. Oggetti carichi di amore e di bellezza che tutti possono comprare. Forme perfettamente in armonia con le esigenze della gente, design anonimo che contiene il segreto della saggezza lì, dove lo svolgersi della quotidianità, è un messaggio di luccichii, di oro vero e falso, di sterco di vacca, fiamme tremolanti, odori forti, sapore di curry e odore di incenso. Gli indiani sanno vivere con dignità anche quando la loro casa è un marciapiede. Sono tornata in Italia decidendo di vivere e lavorare a Milano, voglio fare piccoli oggetti, in grande serie, che possano entrare in molte case e da portare in tasca se non si ha la casa. Contaminare le abitudini occidentali con le ritualità orientali ma senza costruire ogni volta fenomeni e avvenimenti: vorrei che fosse un processo silenzioso, dinamico e luminoso. Voglio essere sempre più in azione, con sempre maggiore consapevolezza e responsabilità rispetto proprio alle rocce della società: l’industria e la famiglia. Più gli oggetti diventano seriali e si decentrano rispetto ai fenomeni centralizzati, celebrativi (le mostre, i circuiti elitari per esempio) più entreranno anche in quelle realtà più strane a noi

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più sconosciute, quelle che ci sfuggono. In questo modo si può entrare nella realtà con il lavoro da cui non voglio separare la mia strada esistenziale. CM: Nella mostra a Speciale (n.d.r.: aprile 1988) l'installazione vede il lavoro di Ugo Marano, Tarshito e Pettena al piano terra, sul balcone, c’è quello di Aldo Mondino, in soffitta c’è il tuo “Welcome”. Come ti sei posta con questi compagni di lavoro nella definizione di questa iniziativa? Chi sono gli “uomini di cuore” e le “donne in azione” che saluti all'ingresso della tua mostra? SCT: Con Tarshito, Marano e Pettena, ultimamente mi sono scontrata tantissimo perché mi dava ansia questo volere fare per forza le mostre, le riviste, le cose importanti ... Ultimamente io non avevo proprio più voglia di essere presente alle cose sempre in modo “ufficiale”. Loro sono molto ufficiali, perché sono maschi archetipici e devono lavorare in modo ufficiale. In questo lavoro a cui mi hanno invitata per Speciale, mi sono ritrovata ad essere piccola, cioè a volere fare capire che la mia posizione nei confronti del lavoro non è di rinuncia ma è verso una strada più esoterica, più sottile. Così ho scelto di andare in soffitta, uno spazio completamente dimenticato da Tarshito che si era fermato solo all'uso degli altri piani. Mi sono sentita sbloccata completamente dalla paura di confrontarmi con loro e ho scritto appunto questo messaggio di “Welcome” ai maestri illuminati, alle intelligenze cosmiche, agli uomini di cuore, alle donne in azione... perché mi sembrava di essere proprio nel luogo giusto: senza muri, senza strutture io potevo essere quel canale vuoto che riceve e accoglie. Gli “uomini di cuore” sono coloro che devono imparare. È un invito agli uomini a non essere sempre rivolti all'esterno, a non dovere per forza realizzare il loro potere, il loro ego. Significa proprio fare funzionare di più questo centro, il cuore: fa perdonare, non impone l'autorealizzazione, riesce a trasmettere. Le “donne in azione” sono le donne che devono assolutamente prendersi le responsabilità nei confronti del sociale. Perché gli uomini, fra l’altro, possono essere di cuore se non sono obbligati ad avere troppe responsabilità, perché le responsabilità in un uomo diventano potere, mentre in una donna sono amore continuo e infinito. Questo perché la donna è così, può essere in azione, può decidere, muoversi e realizzare delle cose che non sono piene di ego. In questi anni di lavoro ho sempre sentito molto seriamente la mia responsabilità nel materializzare degli oggetti. Infatti sento molto la tragedia che c’è nell'universo, e sento che più

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si cresce più bisogna prendersi delle responsabilità. Perché se questo non accade è veramente brutto, nero. Senza responsabilità, senza cercare e dare significato alle cose, non avrei più alcuna gioia nel fare, nel muovermi. Questo è per me essere donna in azione e questo, nei confronti degli uomini con cui ho lavorato, ha avuto un ruolo importante; per loro era essenziale comunque manifestare la propria arte, per me ci doveva essere assoluta compensazione fra l’essere e il fare. È stato il nostro reciproco contributo: da parte mia la riflessione, da parte loro insegnarmi a realizzare le cose. Ci sentiamo grati di questo scambio. Gli scambi ci saranno sempre: questo perché gli uomini di cuore esistono e quando esistono e quando esercitano la loro parte più morbida, senza muri, è bello.

GIULIANA / 2017 Nel 2006 ci incontriamo, ambedue giornaliste, per condividere il bisogno di dire e fare qualcosa sul tema della sostenibilità dentro il sistema del design. Ne sentiamo l’urgenza. Dopo avere dibattuto il che fare con esperti e attivisti decidiamo di agire in prima persona e nel 2007, alla Fabbrica del Vapore, presentiamo la neonata associazione BEST Up. Da allora molte sono state le occasioni di vivere insieme momenti di formazione, incontri e progetti. Recentemente ci siamo messe al tavolo con i nostri portatili e a turno ciascuna ha fatto una domanda a cui ambedue dovevamo rispondere, la regola è stata quella di rivelare le risposte solo alla fine del gioco. E per un’ altra volta ci siamo ritrovate sintoniche e complementari, “sister in work”. Il design fa la differenza? Giuliana: Ogni oggetto, spazio, servizio, evento non dichiara sempre a colpo d’occhio se è stato progettato con cura, o se è destinato ben presto a diventare spazzatura. Nel mio lavoro di giornalista e comunicatrice nel campo della sostenibilità ho imparato a saper cogliere la differenza. Attraverso l’esperienza di BEST Up, soprattutto, ho affinato conoscenze e strumenti per capire che il buon design guida ogni fase del progetto, dalla ricerca della materia prima all’assemblaggio delle parti, alla distribuzione, all’uso. Cosicché ogni cosa possa funzionare bene e durare. Clara: Sì se parliamo di progetto responsabile, quello che con BEST Up abbiamo promosso e sostenuto. Si tratta di sapere che quando progetti o produci o vendi o compri 100


qualcosa incidi sul destino di tutti oltre che sul tuo e su quello dell’ambiente. Se compri un oggetto che non è nato da scelte etiche trasparenti e dalla conoscenza tecnica e scientifica adeguata produci rifiuti e consumi le risorse a disposizione. La Terra, pur così generosa, non può assorbire ogni genere di errore umano. Comunicare la sostenibilità, da dove ti è venuta la necessità? G: Dal bisogno di dare voce a pensieri e contenuti che negli anni di professione giornalistica avevano trovato poco spazio e interesse reale. Era dai primi anni ’80 che mi occupavo di temi legati al vivere sostenibile. I giornali chiedevano prima di tutto immagini belle e seduttive, poi veniva la notizia. Nel mondo dell’ecologia e della responsabilità ambientale non era scontato trovare foto “glamour” su questi temi, soprattutto quando abbiamo cominciato, dieci anni fa. Mentre già tanto accadeva di sensibile verso la società e l’ambiente nei distretti produttivi, nelle imprese, negli studi di progettazione, nelle case. C: Ho lasciato il mondo del design nel 1994 andando a vivere nella campagna dell’ Auvergne (Francia Centrale) con una comunità di artigiani. “Basta con l’egodesign!” mi ero detta, tornerò al design solo se troverò un modo che riunisca il bello all’equo, l’utile al giusto. Tornata a Milano ho condiviso con Giuliana, Ezio Manzini e altre persone impegnate il tema della responsabilità sociale e ambientale del progetto. Così ho ritrovato nelle ragioni della sostenibilità l’impulso, vitale e culturale, ad occuparmi ancora di design. Le persone, massimo due, che ringrazi G: Una è Paolo Rosa di Studio Azzurro: la sua figura umana e professionale è stata tra quelle che hanno illuminato il nostro cammino. Un esempio di pratica e gestione culturale originale, innovativa, gentile. Aveva un modo tutto speciale di accogliere e ascoltare con interesse e curiosità, dandoci spazio e supporto. Così Ezio Manzini, che già avevo seguito all’università e nelle sue pubblicazioni sempre un passo avanti. Che nella nostra associazione neonata abbia colto un segnale importante, mi ha lusingata e confermata nelle mie intenzioni, dimostrando come si può osservare la realtà da punti di vista trasversali, inediti, consapevoli. C: Piera Gandini e Ezio Manzini. Ambedue facenti parte del Comitato etico scientifico di BEST Up. Piera ci invitava a condividere quello che stavamo facendo a casa sua, a Brescia. Ci trattava come delle principesse e rifletteva con noi sul come procedere.

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Intelligente e acuta ci ha messo di fronte molte volte ai nostri limiti dandoci sempre il sostegno necessario per affrontarli e superarli. Ezio è ispiratore di molte riflessioni fondamentali, mai disgiunte dalla ricerca sul campo. Quando durante un convegno alla Triennale ha detto che “BEST Up è un’impresa del futuro, agente del cambiamento verso la sostenibilità, perché si muove nella direzione giusta e lo sa fare con il sorriso... ” è stato come vincere un premio. Il ciclo di vita è alla base dell’approccio sostenibile. Cos’è per te? G: Saper leggere la realtà e tutto ciò che la compone in modo circolare è un approccio che ho imparato ad apprezzare via via che la mia storia umana e professionale procedeva. Domandarmi di cosa sono fatte le cose, con quali materiali e processi produttivi, chi le fabbrica, con quali conseguenze sul territorio e sulla società. Diventare più consapevole, imparando a osservare e approfondire ogni aspetto anche il più piccolo, prima di scriverne o parlarne. Domandarmi quanto durano le cose e perché, che destino avranno alla fine del loro ciclo. Preoccuparmi di favorire almeno una seconda vita a ogni cosa che uso, anche a ciò che è comunemente considerato scarto. Questo per me è un approccio sostenibile. C: Ciò che siamo chiamati ad approfondire e coltivare è la consapevolezza, attitudine indispensabile di fronte a noi stessi e a ciò che la Vita ci pone davanti. In primo luogo essere consapevoli che siamo un unico grande organismo: cielo, terra, alberi e minerali, essere umani e animali... ciò che fa bene a uno fa bene a tutti e viceversa, ciò che nuoce a uno nuoce a tutti. Perché tutte socie donne in Best Up? G: Non è una scelta voluta. E’ capitato nel tempo. Il fatto che noi fondatrici siamo donne con una forte sensibilità per il bene comune, con la tendenza a privilegiare relazioni trasparenti e costruttive ha inciso non poco. Credo che le donne abbiano acquisito più degli uomini l’abilità per orientare le scelte proprie e dei soggetti con cui vivono, verso una maggiore qualità. Sono loro a occuparsi delle “tre pelli” del vivere, quella che attiene al corpo, alimentazione, salute e cura; quella che riveste il corpo, tessuti e materiali e la casa, terza pelle, che si estende al quartiere e alla città. Sono le donne ad aver accumulato maggiore esperienza perché se ne occupano quotidianamente.

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C: Io e Giuliana ci siamo incontrate spontaneamente sulla domanda “cosa possiamo fare?”. Abbiamo subito aperto la questione ad altri, uomini e donne insieme, poi nel tempo si sono aggregate intorno a BEST Up soprattutto professioniste donne che hanno dato tempo e intelligenza per costruire un cammino che si è fatto passo dopo passo. Ci siamo date reciprocamente il tempo di capire, di informarci, di crescere, nutrite dal piacere di aggregare, donare spazi e opportunità e condividere i contenuti con tanta bella gente. Ti sei sentita vista e apprezzata abbastanza nel mondo del design? G: In parte sì, e in parte non abbastanza. Durante i primi anni ci sono arrivate molte dimostrazioni di stima, sostegni economici, offerte di spazi, alleanze belle e importanti. Due, però, i punti critici che hanno frenato visibilità e riuscita: l’essere donne in un ambiente professionale molto dominato da uomini (sempre gli stessi, per giunta), soprattutto quando si tratta di decidere, coordinare, governare. Il secondo è che le iniziali adesioni al nostro Circuito si sono ridimensionate nel tempo perché giornali e grandi istituzioni hanno continuato a privilegiare i settori del lusso e gli opinion-leader trainanti considerando l’abitare sostenibile un tema accettabile solo se allineato al mercato. C: Abbiamo avuto ottime relazioni con professionisti, imprese e università, istituzioni in tutta Italia. Un gruppo nutrito delle migliori imprese del made in Italy ci ha sostenuto per anni permettendoci di lavorare senza mai condizionarci. In questo senso la risposta è SI GRAZIE, siamo state viste e apprezzate. Meno soddisfazione sul fronte istituzionale dove mai ci è stato chiesto di fare parte di giurie importanti, o di curare le grandi mostre. In quegli spazi sono attivi soprattutto uomini - quasi sempre gli stessi da anni - a cui si è data molta possibilità di esprimersi.

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“ Concludo con una citazione di Carol Christ da ‘Diving deep and surfacing: women writers on a spiritual quest’. ..Le storie delle donne non sono state narrate. E, senza storie, l’esperienza non si articola. Senza storie, quando arriva a dover prendere le decisioni importanti della vita, la donna si sente smarrita. Non impara a stimare le sue lotte, a celebrare il suo potere, a comprendere il suo dolore. Senza storie è alienata dalle esperienze più profonde di se stessa e del mondo; resta chiusa nel silenzio...”

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“Mestieri d’Autore: artigianato, industria e territorio. Il cristallo di Colle Val d’Elsa” a cura di Clara Mantica e François Burkhardt, libro-catalogo, Electa Edizione, 1993 “Progetto etico” in “Microcosmi” catalogo a cura di Antonia Cogliandro e Nadia Rocchino, Reggio Calabria, 1997 “Artigianato e design” in “Esperienze di design: tecnologia, innovazione, artigianato e territorio”, a cura di Michele Lastilla, catalogo del Master in design, Bari, 1997 “Made in Italy: design et arts appliqueés chez Sawaya e Moroni”, a cura di Clara Mantica e Marie-Josée Linou, Musée di Riom, Francia; catalogo della mostra, edizione Réunion des Musées Nationaux, 1998 “Artisanat & design: exemples de partenariats fructueux entre artisanat & design en Italie”, atti della conferenza per le Journées du Patrimoine, Francia 1998 «Qua da noi gli artigiani hanno nome e cognome» a cura di C. Mantica, D. Bezzi, Tarshito, V. Borsieri, per “Oceano Indiano”, mostra-mercato, Milano, dicembre 1999 “Tarshito:meditazione e design”, a cura di Clara Mantica; edizione Electa Napoli, 2001 «A project of unity» in «The Gold and the Clay», a cura di Daniela Bezzi, The Crafts Museum, New Dheli, 2001 “Artigianato metropolitano” e “Artigianato partecipato” in “Ad arte / tradizione e innovazione nell’artigianato artistico lombardo” a cura di Ugo La Pietra , edizione Cestec , Regione Lombardia, 2004 “XXI Silico, oggetti in silicone di Alessandro Ciffo”, a cura di Clara Mantica, edizione A. Ciffo, 2005 “Andrea Salvetti terraterra”, Autori Vari, Electa editrice, 2007 “L’autoproduzione è figlia dei tempi” in “Il design italiano oltre la crisi. Autarchia austerità autoproduzione”, a cura di Beppe Finessi, Triennale Design Museum, 2014/15, Edizioni Corraini “E l’artigianato creò l’uomo” in “Ugo la Pietra Progetto disequilibrante” a cura di Angela Rui, Triennale Design Museum, 2015/16, Edizioni Corraini “Coppia” e “Comunicare” in “W. Woman in Italian Design” a cura di Silvana Annicchiarico, Triennale Design Museum 9, 2016/17, Edizioni Corraini 107

BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA


ARTICOLI Attività giornalistica in Gap Casa come direttore responsabile, per Intramuros come corrispondente per l’Italia, a Interni titolare di rubrica sulla sostenibilità, in Ottagono per gli interventi di Best Up sull’ ecodesign. Collaborazioni con le maggiori riviste italiane del settore design/architettura fra le quali Domus, Casa Vogue, DDN, BravaCasa, Casamica, Area, Modo. Collaborazioni con Ardi (Spagna) e Blueprint (Inghilterra). SITOGRAFIA www.bestup.it Youtube Intervista a Ezio Manzini prima parte 2008 Intervista a Ezio Manzini seconda parte 2008 Intervista a Ezio Manzini terza parte 2008 BIZ Factory 2009 Michele de Lucchi La ricerca del buon vivere 2009 Sostenibile si può 2010 Intervista a Clara Mantica a Change Up 2011 Clara Mantica Best Up Goodesign Cascina Cuccagna 2012 BEST Up in Triennale prima parte 2012 BEST Up in Triennale seconda parte 2012 Goodesign/Cascina Cuccagna Fuorisalone 2012 Goodesign 2014

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Clara Mantica (Milano, 22 settembre 1950) è giornalista dal 1981, docente e critica del design. Curatrice di convegni, mostre, tavole rotonde viene selezionata alla Biennale Donna di Ferrara del 2001 fra le principali comunicatrici e promotrici del design italiano. Svolge dagli anni Settanta attività di docenza presso Isia, Futurarium, Naba, Accademia di Brera, Domus Academy e Politecnico di Milano. Dagli anni Ottanta è impegnata su temi a vocazione sociale al fine di coniugare bellezza e bene comune, etica ed estetica. Dirige il mensile Gap Casa dal 1986 al 1992; collabora alle principali testate italiane ed è corrispondente per Intramuros (Fr). E’ attiva in molti progetti di valorizzazione dell’artigianato in Italia, Francia, India. Nel 2005 scrive il Manifesto dell’autoproduzione. Nel 2007 fonda con Giuliana Zoppis, BEST Up Circuito per la promozione dell’abitare sostenibile che dà vita, in un decennio di attività, a decine di iniziative coinvolgendo centinaia di protagonisti. E’ invitata come ‘ambasciatrice del design italiano nel mondo’ in occasione dell’ Italian Design Day 2018 dedicato a design e sostenibilità. Partecipa alla vita della città (Milano) sui temi dell’ autoproduzione, del cohousing e dell’ intergenerazionalità.

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BIOGRAFIA

BIOGRAFIA



Fotografia di Emilio Tremolada


finito di stampare nel mese di giugno 2018


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