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EZIO CAMMARATA

La storia di un sogno.

Sono Ezio Daisetsu Cammarata, nato il 26 novembre del 1963 quindi quest’anno ho sessant’anni e devo dire che sono stati sessant’anni nei quali ho costruito un sogno; “tribulando”, ma anche divertendomi.

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Da piccolo ero un bambino gracile e magro e tuttavia molto determinato nelle cose. Ricordo, per esempio, che ero appassionato di tutto ciò che riguarda la natura e gli animali che la popolano. Questa passione l’ho vissuta crescendo in un villaggio alla periferia nord di Brescia, confinante con le montagne, che per noi erano viste come austerità e imponenza. Il villaggio era un’area appena costruita, con abitazioni nuove, senza automobili, e tutto ciò che avevamo erano aree verdi da esplorare. Noi ragazzini passavamo le giornate catturando animali, giocando e sperimentando ogni volta approcci diversi sia con il bosco, sia con la montagna limitrofa, meta di passeggiate, ma anche luogo di avventure.

La mia famiglia è sempre stata molto attenta alla mia formazione e a quella dei miei fratelli. I miei genitori, entrambi insegnanti, avevano una mentalità e una cultura capace di comprendere e valorizzare i nostri talenti. La mia attitudine per catturare serpenti o recuperare rane negli stagni è sempre stata stimolata e supportata. Sperimentavo in maniera talmente dedicata che un giorno sono andato persino a chiedere al mio professore di Italiano delle scuole medie la vasca da bagno che aveva sostituito a casa per farne un primo prototipo di stagno interrato. Mettevo dentro le uova di rane che recuperavo nei campi facendone il mio primo allevamento. Con il consenso dei miei genitori, che mi lasciavano vivere liberamente questa mia vocazione, andavo a catturare e allevare scoiattoli, topi, bombi e api. Questo tipo di esperienze durante l’età evolutiva hanno quindi creato in me una passione e una visione che poi ha cercato di realizzare e vivere ogni giorno.

Capitolo 2

Una passione diventata realtà

Questa passione significa un po’ tutto. E’ stata ed è tutt’oggi, la forza, l’anima che ha mosso il mio vivere e mi ha permesso di realizzare un sogno. Non avendo avuto attività commerciali o terreni di famiglia o altre strutture alle spalle, ho dovuto creare tutto da zero. I primi passi lavorativi li ho intrapresi quando frequentavo l’Istituto Agrario Pastori di Brescia, scuola che aveva fama di essere severa ed impegnativa, con molte ore di lezione e attività pratiche, pur essendo un istituto agrario. L’aneddoto che ha dato il là al mio ap- proccio ai giardini e al verde è avvenuto proprio qui allorché un professore ci chiese di scrivere un tema sul nostro giardino di casa. Io scrissi del giardino della mia famiglia descrivendo che nel centro c’era una pianta, un cespuglio molto grande di melograno. Avevo notato che questo melograno aveva dei fiori molto particolari che non erano semplici fiori, ma erano ricoperti di fitti petali che somigliavano a quelli di un garofano. Avevo notato che non c’erano frutti, ignoravo in quei tempi che i melograni si differenziano in due categorie; quelli da frutto e quelli da fiore. Il professore, pur capendo che scientificamente non ero a conoscenza della differenza tra una pianta e l’altra, si rese conto che avevo fatto un’acuta osservazione e descrizione di questo dettaglio. Ha cominciato quindi a prendermi sotto la sua ala e a portarmi ad alcune fiere del settore del florvivaismo, come il Flormart di Padova (oggi sostituito dal MyPlant di Milano). Poi d’estate mi diede la possibilità di fare i primi lavori nei vivai. Ricordo di viaggi molto lunghi; partivo dalla casa dei miei genitori per arrivare in centro a Brescia in pullman, poi da qui fino a Orzinuovi a 40km nella bassa bresciana, e dalla piazza di Orzinuovi in bicicletta presa a noleggio fino alla cascina. Il secondo anno, sempre d’estate qui a Brescia, ho lavorato all’azienda Capecchi, leader nel settore, all’epoca, perché in quegli anni stava creando il primo centro professionale e commercio all’ingrosso per vivaisti. Era un’azienda toscana che, per tradizione, commercializzava piante da giardino come da tradizione; da loro ho fatto un’esperienza significativa, lavorando in parte nel vivaio e in parte con le squadre che curavano la manutenzione dei giardini. Fu un bel trampolino di lancio perché mi permise di unire la duttilità dei miei anni giovanili con l’esperienza delle persone con cui lavoravo. Crescendo, però, sentivo chiaramente l’esigenza di lavorare in proprio. Ho aperto quindi la mia attività acquistando degli appezzamenti di terra per aprire un vivaio creando giardini secondo i canoni classici del nostro territorio. È solo nel 1986 che il mio lavoro e la mia vita hanno preso una nuova direzione, Zen.

Capitolo 3

Fausto

37 anni fa feci un viaggio in India, sulle orme di Gandhi. Ero in un momento di ricerca spirituale ed esistenziale e poco meno che vent’enne facevo parte di un movimento non violento legato alla “Non Violenza Gandhiana” che mi aveva portato a partecipare, in qualità di rappresentante italiano, ad un congresso della War Resistance International in una Ashram gandhiana. Al rientro a Brescia ebbi l’occasione di andare ad ascoltare in una sala civica colui che poi sarebbe diventato il mio maestro Zen per la vita, ovvero Fausto Taiten Guareschi, che aveva fondato qualche anno prima a Fidenza, nella sua terra di origine, il monastero Zen Soto Shobozan Fudenji.

Grazie a questo incontro ebbi la curiosità di andare a scoprire cosa facessero i monaci in questo monastero e poco dopo vi andai a fare un primo ritiro di 10 giorni, al quale nello stesso anno, era il 1986, ne seguì un secondo. Il primo impatto fu molto forte perché l’ambiente era legato alla tradizione giapponese, molto marziale e vicino alla filosofia dei samurai, ma con una delicatezza tipica dello Zen e con una grande attenzione alla grazia e all’eleganza dei gesti e delle forme. Questo carattere apparentemente dicotomico tra pratica formale dura e rigida e parte estetica così graziosa, elegante e curata, tipica della tradizione giapponese, mi colpì subito. Un episodio che ancora oggi mi torna in mente è come veniva ordinata la legna, come venivano curati i dettagli delle sale di meditazione o della sala delle cerimonie, e soprattutto la cura che il maestro Fausto Taiten Guareschi metteva nella manutenzione del giardino del monastero.

Fu qui che cominciò un grande affiatamento tra noi, proprio sulla costruzione dei giardini, che sarebbero diventati nel tempo parte significativa del Monastero. Mi chiese quindi di progettare una parte dell’ingresso del parco e, una volta completato il lavoro, lo salutai dicendo che non sapevo se sarei tornato da loro perché ancora non avevo capito se mi fossero simpatici o meno! Invece iniziai a frequentare regolarmente il monastero e questo rapporto continuò a crescere sia dal punto di vista spirituale, che pratico con la costruzione delle aree verdi e dei giardini del monastero: sette ettari di terra curati secondo la tradizione Zen, l’ultimo dei quali creato un anno fa e dedicato alla memoria di Kobe Bryant e della figlia tragicamente scomparsi.

Capitolo 4

L’arte dei giardini Zen

Per evolvermi e specializzarmi in questa arte del giardino secco giapponese è stato essenziale l’approfondimento avvenuto grazie a Kazuo Makioka, insegnante di giardini Karesansui, il quale, coadiuvato dall’architetto paesaggista Sachimine Masui, venne in Italia per alcuni workshop. Con Rosanna Padrini Dolcini, architetto paesaggista di Salò, partecipammo al primo evento in Vila Ormond di Sanremo dove c’era un giardino Zen preesistente con delle cascate d’acqua, molto bello, ma trascurato nel tempo e che aveva bisogno di essere ripristinato. Il workshop consisteva nella risistemazione di questo giardino e nella creazione, nella parte bassa della Villa, di un giardino secco Karensansui. Fu un’esperienza importante perché Makioka era un vero Maestro e come i veri maestri giapponesi parlava pochissimo e si faceva tradurre tutto dal suo assistente che si era formato e laureato in Italia come architetto paesaggista. Il giardino karensansui doveva riprendere i caratteri naturali, non tanto quelli legati alla spiritualità conosciuta, ma a quella diffusa nella natura. L’essenziale era osservare attentamente l’ambiente naturale per poi poter riprodurlo nel giardino vero e proprio. Una delle cose che voglio citare, quasi come esempio metaforico di questa attenzione maniacale per i dettagli della natura, è quando il Maestro ci insegnò a costruire degli steccati naturali fatti di canne di bambù per recintare il giardino, intrecciandoli con dei nodi molto difficili da eseguire. Facemmo infatti molta fatica a legare queste canne e quando il Maestro vide che alcune erano messe al contrario, prese un paio di forbici, tagliò tutti nodi delle canne buttandole all’aria e contrariato si allontanò senza dire niente. Tutti noi rimanemmo esterrefatti mentre il suo assistente ci disse di ricominciare tutto da capo e rilegare le canne mettendole nella giusta posizione.

Questo fu un grande insegnamento perchè il giardino Zen è caratterizzato da molti elementi che lo definiscono tale. Nasce nell’epoca Muromachi, quindi tra il 1300 e 1500 per l’esigenza di pulizia, di minimalismo, semplifi - cazione degli elementi. Con esso vengono eliminati gli elementi del giardino del periodo feudale con lo scopo di affrancarsi dalla decadenza della corruzione spirituale del Feudalesimo. Così come avvenne in Italia, con San Francesco, che volle ricostruire la Chiesa dopo la decadenza del Feudalesimo, spogliandosi di tutto e ripartendo dalle fondamenta, così avviene in Giappone grazie ad un altro “sant’uomo”, Dogen Zenji, fondatore della scuola Zen. Dogen vive tra il 1200 e il 1253 e rinnova lo spirito del Buddismo in Giappone. Contemporaneamente questa pulizia e minimalismo prendono forma nell’arte dei giardini che si riducono all’essenziale. L’acqua scompare e diventa ghiaia, la quale viene pettinata ad onde e diventano indispensabili le pietre. “Piantare” le pietre nel giardino Zen è più importante che piantare gli alberi; possono mancare le piante o possono esserci solo quelle indispensabili al cambiamento delle stagioni, come per esempio gli aceri che cambiano colore fino a morire in inverno, ma non possono mancare le pietre. Sono caratteri fondamentali ed io ho imparato proprio dal maestro Makioka come utilizzarle, posarle, radicarle nel terreno e studiarne le caratteristiche, le asperità guardandone la faccia.

Le rocce hanno un grandissimo valore simbolico: rappresentano i tre tesori del Buddismo avvero il Buddha, la pietra più importate, più grande, il Dharma, quella più piatta, più bassa, ma la più larga nel terreno, e il Sanga, quella che si trova tra il Buddha e il Dharma, quindi tra il Buddha storico e il Dharma che è il suo insegnamento e che rappresenta la pietra della comunità dei praticanti. Queste tre pietre si trovano spesso all’interno del lago di ghiaia. Ve ne sono altre legate a queste che possono rappresentare il paesaggio naturale come quello delle cascate, piuttosto che le isole. Gli elementi indispensabili sono quindi la pietra e la ghiaia. Il resto diventa importante se si sanno dosare pietre e piante perché il giardino karensansui deve trovare l’equilibrio corretto degli elementi così come avviene in natura.

Mi occupo di giardini da quarant’anni ed ho un ricordo particolare di un lavoro svolto otto anni fa ad Abu Dabi, un’avventura iniziata quasi per scherzo. L’emiro di Abu Dabi voleva che si costruissero delle pareti verticali e tre giardini in stile Zen. In due notti progettai questi due giardini e dovetti fornire tutti i dettagli: non solo i materiali da utilizzare, ma anche il loro peso perché dovevano essere trasportati nell’Emirato. Misi tutti dati a disposizione e alla fine mi chiesero di seguire di persona i lavori. Partimmo e fu una bellissima esperienza. Ero lì come italiano, a costruire giardini giapponesi Zen per l’Emiro di Abu Dabi, che si era impegnato nella realizzazione di una grande centrale del gas in mezzo al deserto e che in realtà comprendeva una vera e propria città con tanto di moschea e centri commerciali, con una manodopera di almeno 20.000 addetti provenienti da tutto il mondo. Realizzai i giardini attenendomi scrupolosamente ai dettagli dei progetti fatti in Italia, ma decisi in corso d’opera di spostare una lanterna in pietra dalla posizione originale, contro la volontà degli arabi; ma solo così poteva essere in piena sintonia con l’ambiente. L’esperienza finì con loro grande soddisfazione e con mio grande orgoglio.

Capitolo 5 Acqua come elemento

Il settore dei giardini è un bellissimo perché si ha l’opportunità di lavorare con cose vive e creare infinite immagini. È un settore di grandi potenzialità. Nel tempo si è trasformato positivamente perché ha dato luogo a molte specializzazioni creando stili diversi di progettazione. La chiave per proseguire in questo campo è differenziarsi perchè anche se è un settore di nicchia, c’è un mercato dei giardini in piena espansione. La nostra esperienza del verde avviene attraverso l’acqua, le piante traggono la loro bellezza attraverso di essa e l’acqua ci consente di godere della bellezza del suolo. L’elemento acqua è indispensabile per la vita sulla terra. Nello Zen si parla molto di tutto ciò che appare e scompare e tutto questo è Dharma, insegnamento.

Per me l’acqua è diventata fondamentale anche come esperienza ludico-sportiva perché andare sott’acqua (pratico immersioni) significa godere dall’interno del suo valore e della sua natura. Come narra una storia Zen: il pesce non sa di vivere nell’acqua, per lui l’acqua è come per noi uomini l’aria, è un elemento che è parte di sé stesso. Si muove in questo elemento come se fosse lui stesso l’acqua. E questo significa fare esperienza diretta dell’unione degli elementi che diventano acqua viva o acqua da vivere.

Capitolo 6

Visione

Ciò che riassume la vita e la storia di una persona è una parola: passione! Il consiglio che mi piace dare è: date tutti voi stessi, non c’è altro modo di fare le cose. Diventate come il pesce, un tutt’uno con l’acqua. Mettete determinazione e convinzione nel costruire la vostra azienda, il vostro futuro, continuate a studiare ed a evolvervi come ho imparato io stesso dal mio maestro Fausto Taiten Guareschi durante i ritiri in monastero. Essere presenti e vivere momento per momento sempre sul pezzo con grande determinazione e concentrazione. Se applichiamo questi concetti alla nostra attività lavorativa realizzeremo il nostro sogno, qualsiasi esso sia.

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