Silvia Naef, La questione dell'immagine nell'Islam

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s i lv i a n a e f

la questione d e l l’ i m m ag i n e n e l l’ i s l a m

Traduzione di Giuliana Prucca


Titolo originale Y a-t-il une «question de l’image» en Islam? © 2004, Téraèdre

O barra O edizioni via Stromboli 18 20144 Milano www.obarrao.com Grafica di copertina di Eros Badin © 2011 O barra O edizioni ISBN 978-88-87510-96-6


INT R ODU Z IONE

La distruzione dei budda di Bamiyan nel 2001, su ordine del Mullah Mohammed Omar, sembra aver confermato l’idea che l’Islam sia fondamentalmente ostile all’immagine. “Quelle statue” diceva il decreto talebano “sono state e restano dei santuari d’infedeli e gli infedeli continuano ad adorare e a venerare quelle immagini [...]. Allah [...] onnipotente è l’unico vero santuario e tutti i falsi santuari [...] devono essere fatti a pezzi [...].”1 Eppure, viaggiando in qualunque paese islamico ci si trova di fronte a un’altra realtà: per strada si possono vedere fotografie di star del cinema e della musica accanto a ritratti di capi di Stato, immagini religiose popolari, cartelloni pubblicitari giganteschi; nelle case, le foto di famiglia sono onnipresenti; spesso la televisione è accesa tutto il giorno, e i riti, quali la circoncisione e il matrimonio, vengono filmati per essere mostrati agli ospiti. Non sono molte le persone a sentirsi infastidite da una tale “moltiplicazione dell’immagine”,2 fenomeno relativamente nuovo che risale alla fine dell’Ottocento. Prima di allora, i viaggiatori occidentali in Oriente segnalavano ancora con un certo stupore ogni immagine figurativa che scorgevano nello spazio pubblico; essi diffusero l’idea che vi fosse una totale assenza d’immagini e che le rare tracce incontrate costituissero un’eccezione e un’infrazione alla legge religiosa. L’orientalismo, costituitosi come disciplina universitaria più o meno nello stesso periodo, che approcciava la civiltà islamica esclusivamente attraverso i testi da essa stessa prodotti, e soprattutto quelli religiosi, per la maggior parte ostili a qualunque rappresentazione figurativa, contribuì a radicare quest’idea nella doxa occidentale (ma anche musulmana). 1. P. Centlivres, Les Bouddhas d’Afghanistan, Favre, Lausanne, 2001, p. 14. 2. B. Heyberger - S. Naef, La multiplication des images en pays d’Islam. De l’estampe à la télévision (17e – 21e siècle), Ergon Verlag, Istanbul/Würzburg, 2003.

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Tuttavia, l’immagine è sempre esistita nell’Islam, ma le sue funzioni erano diverse da quelle che aveva in Occidente, particolarmente in campo religioso. In questo libro, proveremo a esaminare la questione sotto tutti gli aspetti, a partire dalla posizione della religione musulmana, così com’è venuta elaborandosi nel periodo fondatore (primo capitolo). Nel secondo capitolo, un breve sguardo sulla produzione figurativa nelle tre aree centrali del mondo musulmano – araba, iraniana e turca – permetterà di vedere dove e come l’immagine sia potuta esistere in queste culture. Il terzo capitolo è dedicato alla “moltiplicazione delle immagini” nell’epoca moderna e contemporanea. In effetti, è innegabile che la situazione sia cambiata moltissimo dall’inizio dell’Ottocento, suscitando però, stranamente, soltanto pochi dibattiti. L’immagine non solo accompagnava, ma anche simboleggiava la modernizzazione voluta dall’intera popolazione, compresi i religiosi. Nella prima parte del libro, si mostra come si affermano la fotografia, l’arte statuaria, la pittura, il cinema e la televisione. La seconda parte si occupa invece della reazione dei religiosi a questo stato di cose. In effetti, tale situazione che assegna all’immagine una nuova collocazione all’interno della vita quotidiana ha messo la religione in una situazione precaria rispetto all’evoluzione della società. Hanno così avuto luogo diverse reinterpretazioni dei testi originali, reinterpretazioni che tengono conto della nuova situazione e che possono andare dalla totale, per quanto rara, accettazione delle immagini fino alla loro completa proibizione. Lo scopo della presente analisi non è quello di spiegare il mondo musulmano soltanto tramite le opinioni dei religiosi; al contrario, si tratta piuttosto di mostrare come questi ultimi hanno reagito e reagiscono di fronte a una situazione su cui, in fin dei conti, esercitano sempre meno influenza. Ma vuole anche essere un mezzo per capire come l’interpretazione dei testi religiosi si adatta a nuove condizioni, attraverso quale 8


Introduzione

logica, e in che modo giustifica certi fenomeni che, attenendosi a una lettura più rigida, non potrebbero essere accettati. Mettere a confronto l’importanza reale acquisita dall’immagine e la teorizzazione religiosa nei suoi riguardi dovrebbe permettere di verificare se è davvero l’opinione degli ulema a forgiare la società, come spesso si pretende, oppure se è l’evoluzione della società a costringere i capi religiosi a riformulare la legge in modo da legittimare almeno parzialmente quanto è già entrato nei costumi.

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La figurazione malgrado tutto? Breve percorso g e o g r a f i c o e c ro n o l o g i c o

Il presente capitolo intende fornire uno spaccato delle principali evoluzioni dell’espressione figurativa nei paesi islamici prima dell’epoca moderna, onde determinare quale possa essere stato il valore dell’immagine dopo la sua esclusione dall’uso culturale. Così facendo, occorre precisare che in questa sede non sarà trattata la maggior parte delle opere prodotte nel mondo musulmano in quanto non figurative. In effetti, la calligrafia è divenuta l’arte principale della civiltà musulmana e occupa, in particolare nell’arte sacra, il posto che l’immagine detiene nella Cristianità. [Fig. 2]

Figura 2. Iscrizione cufica con shahada, Moschea Al-Mu’ayyad Shaykh, 1415-20, Il Cairo.

Questo breve percorso vuole essere geografico e cronologico, poiché, troppo spesso, nel trattare la produzione artistica nel mondo musulmano, viene omessa la prospettiva storica, come già sottolineava Oleg Grabar.1 In effetti, se certi tratti sembrano essere caratteristici delle arti islamiche, enormi 1. O. Grabar, Penser l’art islamique. Une esthétique de l’ornement, Albin Michel, Paris, 1996, p. 116.

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differenze separano oggetti prodotti in epoche e luoghi diversi. Ciò è dovuto alla varietà dei materiali disponibili, alle tradizioni anteriori, ma anche alle diverse idee circa la funzione delle arti conformemente al luogo e al periodo, nonostante la comune appartenenza al “mondo dell’Islam”. Non è ammissibile quindi, anche se ormai è diventata una pratica comune, associare ad esempio una coppetta mesopotamica dell’VIII secolo con una miniatura mogol del Cinquecento come se appartenessero alla stessa epoca e come se tra l’Iraq e il subcontinente indiano vi fosse un unico universo formale determinato dalla religione musulmana. Così, il termine di “arte musulmana”, troppo spesso applicato a varie categorie di oggetti appartenenti a periodi storici diversi, è qui impiegato per designare opere prodotte nei paesi islamici, senza però voler affermare l’esistenza di una forma e di una concezione unica e comune. Un’ulteriore precisazione da apportare è la seguente: attualmente l’insieme degli specialisti ritiene che la maggior parte delle questioni riguardanti l’arte musulmana siano “complesse” poiché le fonti sono rare. In effetti, anche se è possibile trovare riferimenti a opere d’arte o artisti in scritti d’epoca consacrati ad altre tematiche, restano ancora imprecise e perlopiù ipotetiche le conoscenze sulle tecniche utilizzate o sulle persone che hanno esercitato quel tipo di mestiere (le biografie d’artista sono state redatte solo tardivamente) e le ragioni della comparsa di un nuovo stile o di nuovi soggetti; ci sono molte più domande che risposte. Nonostante gli enormi progressi compiuti in questi ultimi anni, la ricerca – una creazione dell’orientalismo occidentale nell’Ottocento2 – resta tuttora molto frammentaria. Vi sono ancora relativamente pochi studi su tali questioni, il che non vuol dire che l’arte del mondo musulmano abbia prodotto 2. Ibid., p. 25.

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La figurazione malgrado tutto? Breve percorso geografico e cronologico

meno o presenti minor interesse, ma semplicemente che da molto meno tempo è oggetto di studi e che i mezzi a lei dedicati sono inferiori rispetto a quelli a disposizione della storia dell’arte occidentale.3 Un’altra difficoltà scaturisce dall’impossibilità di sapere se le opere pervenute fino a noi siano rappresentative della produzione di un’epoca. Quasi tutti i materiali impiegati sono fragili; le opere che conosciamo oggi rappresentano probabilmente soltanto un’infima parte di ciò che dev’essere realmente esistito. All’inizio, i supporti erano affreschi o utensili della vita quotidiana (ceramiche oppure oggetti in metallo); a partire dal IX secolo, si sviluppa la miniatura sulle pagine cartacee dei manoscritti. È meglio quindi astenersi da conclusioni affrettate: l’assenza di alcuni motivi o di alcune tecniche può essere significativa, ma può anche essere totalmente frutto del caso.

3. R. Hillenbrand, Islamic Art and Architecture, Thames and Hudson, London/New York, 1999, p. 9.

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