La rassegna stampa di aprile 2012

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La rassegna stampa di

Oblique aprile 2012

Per gentile concessione di CartaCanta Editore, pubblichiamo un estratto del romanzo di Sergio Pretto Novecento rom, in uscita a giugno. © CartaCanta editore 2012 – vietata la riproduzione

I primi spari si sentirono la sera. La casa di Decebal si trovava lungo la linea tranviaria che spaccava in due Timişoara. Decebal Parule, uno zingarello che sembrava una caciotta, viveva in un quartiere periferico, perfino ozioso, tra poche insegne e fattorie in rovina, quasi un ricordo di un passato ceduto al cemento. Ormai era tutto un ammasso di caseggiati. Viottoli polverosi si perdevano nella campagna, dove non si udiva più il nitrito del cavallo selvaggio. C’erano luoghi, scarpate, sentieri, faggeti che risvegliavano l’idea dell’avventura, ma bastava girare lo sguardo per ritrovarsi tra capannoni diroccati, casupole scrostate, fumi ventosi impastati di fuliggine e pulviscolo. Eppure nei cortili i rom e gli altri – i gagè, figli della Romania comunista – si mischiavano in chiacchierate serali che spesso si concludevano in solenni, filosofiche sbronze. C’era sempre qualcuno che si lasciava sedurre da frasi rubate in qualche libretto scolastico per dimostrare come l’uomo fosse l’artefice delle proprie sventure. Fu proprio in una di quelle serate che l’impossibile si fece possibile. Era il 17 dicembre 1989. Da qualche giorno la gente silenziosa, quella del passato scontento, si era messa a parlare. Sempre più forte, fino all’urlo corale. La miseria si affacciò dalle case e spinse un’enorme folla davanti alla sede del comune di Timişoara per manifestare la rabbia contro l’imbroglio di un regime che manipolava numeri e persone. Ceauşescu, il

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padre comunista di una patria bastonata, la ritenne una scocciatura da spazzare via con la polizia locale, ma non si rese pienamente conto che era solo l’inizio di una sommossa nazionale e che nella scacchiera romena sarebbero entrati in gioco altri alfieri, pronti a sostituirlo con il suo stesso brutale linguaggio. Nell’imminenza della sera molti nomadi furono sorpresi dal trambusto della folla, dal panico degli stormi nel cielo di dicembre, dalla chiusura frettolosa delle serrande e delle finestre. Una tormenta di volantini schiaffeggiò i palazzi delle sicurezze stori-che e depose ai piedi delle sentinelle un tappeto di sdegno. Un paese sconosciuto si ridestò dal torpore ventennale per ritrovarsi nell’unica voce del malumore, subito cavalcata dagli stessi rappresentanti del congresso del partito comunista che tra il 20 e il 24 novembre avevano riconfermato Ceauşescu segretario generale. La folla si vestì con le bandiere nazionali per giocare contro il dittatore una partita sempre persa. Quell’imbrunire che oscurava i volti scatenò l’insolenza di chi aveva taciuto il torto e accettato il falso. Dal profondo degli animi uscirono rancori arretrati, quello stesso odio che aveva lacerato loro le viscere, scorticato i pensieri e distrutto il sentimento. La gente trascinò altra gente e marciò compatta per le strade tra urla scomposte e incitamenti alla rivolta generale. I visi della passività acquistarono le fattezze del cane randagio che fiuta la carne putrefatta della storia.

22/05/2012 15:37:01


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