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In-between reconstruction
from OFFICINA* 32
by OFFICINA*
Massimo Mucci
PhD in Composizione architettonica, Università Iuav di Venezia mmucci@iuav.it
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In-between reconstruction Retracing Aldo van Eyck's reflections on the in-between space concept and relating them to the design research about reconstruction in the monuments connected to the war events, common and recurrent aesthetic practices and architectural composition strategies emerge. The unexpected emptiness is similarly transfigured in some emblematic war and holocaust memorials, and through contributions about the “counter-monument” and “wararchitecture”, the reflection on the reenactment of memory reaches the recent National September 11 Memorial in New York.*
Ripercorrendo le riflessioni di Aldo van Eyck sull’idea di spazio in-between e mettendole in relazione alle ricerche progettuali sulla ricostruzione nei monumenti legati agli eventi della guerra, emergono pratiche estetiche e strategie di composizione architettonica comuni e ricorrenti. Il vuoto inatteso è trasfigurato in modo simile in alcuni emblematici memorials di guerra e dell’olocausto, e attraverso i contributi sul “contro-monumento” e sulla “wararchitecture”, la riflessione sulla riattivazione della memoria arriva fino al recente National September 11 Memorial di New York.*
Il vuoto inatteso nel monumento contemporaneo
el secondo dopoguerra la presenza dello spazio vuoto nell’architettura e nella città assume significati diversi dal passato, in relazione alle problematiche della ricostruzione postbellica. Fin da subito l’architetto Aldo van Eyck interpreta questo tema attraverso la riflessione sul concetto di spazio in-between: i vuoti inattesi hanno un potenziale innovativo per la società, anche quando determinati da eventi violenti come la guerra e, forse proprio a causa di questa loro origine, sono un’opportunità di cambiamento.
Attraverso la selezione di alcuni progetti emblematici in relazione a concetti chiave, quali il rapporto tra architettura e violenza, la ricostruzione post-trauma, la relazione tra monumento e documento, sono state condotte delle analisi compositive per individuare aspetti, temi e pratiche estetiche comuni. Ripercorrendo le ricerche progettuali intraprese da alcuni progettisti si possono indagare le azioni di monumentalizzazione di siti, spesso molto diversi tra loro, che hanno suscitato approcci innovativi e riflessioni inedite sul tema del vuoto in architettura.
Inizialmente Aldo van Eyck applica il concetto di spazio in-between nei playgrounds realizzati nei vuoti urbani lasciati dalle distruzioni belliche, da lui reinterpretati come spazi per la costruzione di una rinnovata socialità. Il suo riferimento a Martin Buber sulla questione di una dimensione reale, fisica dell’in-between, come un catalizzatore delle relazioni tra le persone, lo porta a proporre un approccio multiscalare degli spazi abitati, attraverso soglie, ambiti spaziali, aree a diverse intensità, che aiutano e predispongono all’incontro. Infatti, la riflessione si sposta dal “inbetween realm” (van Eyck, 1962, p. 55) al “Right-Size” (van Eyck, 1962, p. 90), per parlare di dimensioni, taglia, quantità, riferite allo spazio fisico intermedio che l’uomo abita, dal tavolo, alla porta, alla stanza, fino agli spazi esterni della città. Lo spazio vuoto, in questo modo, si riempie di significato e necessita di essere organizzato secondo una corretta sequenza, in modo da avere al suo interno la possibilità di
vivere le giuste associazioni emotive: l’indugiare, il liberarsi, l’aspettarsi, la memoria, ma anche l’eventualità che accada qualcosa di imprevisto (van Eyck, 1962, p. 93).
L’importante contributo teorico di van Eyck travalica i confini dei temi da lui trattati e si diffonde in altri ambiti di studio. L’idea di spazio in-between è stata affrontata, sebbene spesso con altre terminologie, nella costruzione di monumenti e memorials della seconda guerra mondiale in modo del tutto particolare. L’evento violento, in questi casi, trasforma in modo inatteso il sito in “luogo della memoria” (Nora, 1997), e i resti delle costruzioni diventano documenti testimoniali dei fatti accaduti, sebbene alterati nella loro già implicita assenza di neutralità (Le Goff, 1978). Da qui nasce la discussione sulla conservazione o trasformazione dei siti, per riattivare la memoria anche in chi non ha vissuto gli eventi.
Un esempio sono i monumenti dell’olocausto, casi estremi e paradigmatici del cortocircuito avvenuto tra le esigenze commemorative e le effettive possibilità rappresentative dell’architettura, in una situazione di scarsità di documenti e afasia del linguaggio architettonico. Come costruire/ricostruire un sito carico di significati e memorie tragiche a partire da un vuoto?
Il tremendo quesito su come rappresentare l’indicibile è stato affrontato nel dopoguerra in occasione del concorso per la sistemazione del campo di Auschwitz-Birkenau (1957-67) dove si riscontrano alcune strategie progettuali tra loro simili, fondate sul linguaggio astratto e la composizione per sequenze di vuoti eloquenti1. Gli ampi spazi aperti orizzontali, l’assenza di molte preesistenze, le proporzioni della tragedia, pongono un problema di costruzione dell’esperienza conoscitiva piuttosto che di ricostruzione materiale del sito. Fin dal primo concorso il gruppo di Giorgio Simoncini propone un recinto costituito da un muro che chiude su tre lati una grande piattaforma quadrata scolpita, sulla quale si innesta l’arrivo del binario ferroviario (Simoncini, 2012, fig. 2.1). Il gruppo polacco di Oskar Hansen, inve-
02. Giorgio Simoncini, Tommaso Valle, Maurizio Vitale, Pericle Fazzini, secondo progetto di concorso per il monumento di Auschwitz Birkenau (1958); veduta della zona dei crematori del modello in legno. Giorgio Simoncini, Tommaso Valle, Maurizio Vitale, Pericle Fazzini, second competition project for the Auschwitz Birkenau memorial (1958); view of the crematorium area in the wooden model. Archivio Giorgio Simoncini (www. giorgiosimoncini.com; G. Simoncini, La memoria di Auschwitz. Storia di un monumento, 1957-1967, Jaka Book, Milano, 2011, fig. 19.2)
03. Zdzisław Pidek, Marcin Roszczyk, Andrzej Sołyga, Monika Chylińska / BE DDJM Architects, Belzec Memorial (1997/2003-04), vista dal percorso d’ingresso. Zdzisław Pidek, Marcin Roszczyk, Andrzej Sołyga, Monika Chylińska / BE DDJM Architects, Belzec Memorial (1997/2003-04), view from the entrance path. Foto di Wojciech Kryński / BE DDJM Architects
04. Daniel Libeskind, disegno di studio per il World Trade Center masterplan Memory Foundations, New York (2002). Daniel Libeskind, Memory Foundations, initial concept drawing of the World Trade Center masterplan, New York (2002). Studio Libeskind, copyright Daniel Libeskind ce, interpretando il vuoto in modo opposto ma con gesto molizioni inizialmente non previste, risultando più chiara altrettanto primario, identifica l’area con una piattaforma la strategia compositiva del recinto usato per ricucire le ancor più grande, sulla quale scava le impronte dei due cre- tracce esistenti in una sequenza di spazi vuoti eloquenti, matori in rovina e un’ampia cripta (Simoncini, 2012, fig. 5.2). in parte corrispondenti alle dimensioni degli edifici preesiDividere, scavare e recintare il vuoto sembrano essere ope- stenti (Mucci, 2019-2020). Anche nella Risiera, ricostruire a razioni compositive primarie in grado di gestire le invisibili partire dagli spazi in-between formatisi da progressive perdensità spaziali esistenti, per organizzare e ridare un rit- dite di parti architettoniche, significa comporre a partire mo all’esperienza commemorativa. Nel secondo concorso il da ciò che resta, da tracce a terra e spazi vuoti significativi. gruppo Simoncini arriva a proporre tutto il lungo percorso Temi compositivi simili erano già stati affrontati nelle rettilineo di accesso scavato e l’intera piattaforma scultorea Fosse Ardeatine a Roma (1949), nel memorial del campo di incassata nel terreno (img. 02). Sebbene nella realizzazione Gusen (1967), e nel Museo monumento al deportato a Carpi alcuni di questi elementi siano andati persi, è confermata (1973). Questo orientamento si riscontra anche in eseml’idea di un grande spazio vuoto “tra” le rovine intoccabili pi recenti come il memorial di Belzĕc (1997-2004)2, in cui dei crematori, articolato con dislivelli e oggetti scultorei. circoscrivere, scavare e trasmutare la materia sono le tre Tuttavia, questo approccio minimale del “costruire un ‘vuo- azioni cardine del progetto. Un percorso lungo il perimeto’” (Pedio, 1967) che porta alla rinuncia di forti presenze tro permette di abbracciare il grande vuoto lasciato dalla architettoniche a favore delle rovine “parlanti”, riconosciuto tabula rasa attuata dai nazisti, mentre il percorso rettilineo da una parte della critica del tempo come l’atteggiamento inclinato ricalca quello originario di accesso al campo e corretto per non cadere nel monumentalismo, evidenzia il scava un solco nel terreno che porta ad uno spazio ipogeo rischio dell’afasia architettonica rispetto a un’efficace atti- di raccoglimento (img. 03). Il resto della vasta area delle vazione della memoria. fosse comuni è ricoperto da una grande lastra tombale di
Nel caso della Risiera di San Sabba a Trieste (1966-75), cemento armato, ricoperta da pietre frantumate di colore unico lager nazista con forno crematorio sul territorio ita- grigio scuro che rievocano le ceneri delle vittime sepolte. liano, sono emerse le stesse questioni. L’architetto triestino Romano Boico, Come costruire/ricostruire un sito carico vincitore del concorso, ha inizialmente reagito al tema dell’indicibilità con la di significati e memorie tragiche a partire rinuncia all’intervento architettonico, come se bastasse conservare l’edifi- da un vuoto? cio esistente per garantire la memoria dei fatti accaduti. Nel secondo progetto, invece, propone In questo modo è definito uno spazio drammaticamente le stesse due azioni compositive utilizzate da Simoncini e inaccessibile, una terra desolata su cui non crescerà nulla, Hansen ad Auschwitz: recintare l’intera Risiera con muri in- un vuoto intorno al quale tuttavia la memoria si riattiva con sormontabili per realizzare al suo interno una “basilica laica vigore. a cielo aperto” (Mucci, 2019-2020, p. 252), e scavare un’im- Un contributo alternativo è arrivato da alcuni artisti tepronta dove sorgevano il forno crematorio e la ciminiera deschi che dagli anni Ottanta in poi hanno introdotto la (img. 01). In fase esecutiva il progetto è stato adattato a de- riflessione sul “contro-monumento” (Young, 1993, p. 27),
05. Michael Arad, Reflecting Absence, progetto di concorso per il National September 11 Memorial, New York (2003). Michael Arad, Reflecting Absence, initial concept imagery of the National September 11 Memorial, New York (2003). Michael Arad / Handel Architects
importante nell’acquisizione di alcune pratiche estetiche basate sul vuoto-assenza. Le opere di artisti come Jochen Gerz e Esther Shalev-Gerz, con la colonna per il Monument against Fascism ad Hamburg (1986-93) che si consuma gradualmente fino a scomparire, Micha Ullman, con l’opera The Library a Berlino (1995) scavata sottoterra e inaccessibile (img. 07 ), oppure Horst Hoheisel e la sua fontana rovesciata ipogea Aschrottbrunner a Kassel (1985-87), hanno dimostrato come la paralizzante immagine del vuoto possa essere superata attraverso rovesciamenti compositivi che generano riattivazione della memoria (img. 06).
Negli anni Novanta la guerra civile a Sarajevo (1992-96) riporta drammaticamente l’attenzione sull’inatteso riproporsi di vuoti traumatici nel tessuto urbano e sociale. Gli architetti di Sarajevo parlano di warachitecture per descrivere una forma di guerra svolta “con” l’architettura come soggetto sia del costruire che del distruggere, per ridisegnare la forma della città e della società attraverso la violenza (AA.VV., 1993; Herscher, 2008)³. Sul rapporto instauratosi tra guerra e architettura si inserisce anche il contributo dell’architetto americano Lebbeus Woods che, attraverso i suoi disegni visionari, riflette su concetti come resilienza, trasformazione, superamento del trauma attraverso la ricostruzione (Woods, 1993). Woods propone questa idea anche nel suo progetto per la ricostruzione di Ground Zero a New York, costituito da un astratto intreccio di linee che lasciano intravedere una torre in perpetua costruzione, così come dovrebbe essere il processo di cambiamento radicale della società. I vuoti inattesi nel tessuto urbano sono visti da Woods, similmente ad Aldo van Eyck, come spazi in-between di relazione da cui può iniziare una nuova cultura del cambiamento (Woods, 1997, p. 13).
All’interno del masterplan Memory Foundations di Daniel Libeskind, per la ricostruzione dell’area danneggiata dal crollo delle due torri del World Trade Center di New York, è previsto il National September 11 Memorial con la
06. Horst Hoheisel, Aschrottbrunnen, Kassel (1985), vista della fontana capovolta ipogea.
Horst Hoheisel, Aschrottbrunnen, Kassel (1985), view of the turned upside down underground fountain. Horst Hoheisel duplice aspettativa di commemorare le vittime e celebrare la rigenerazione⁴ (img. 04). “Remember, Rebuild, Renew” (Young, 2016, p. 23) è il motto della Lower Manhattan Development Corporation che bene riassume lo spirito con il quale è intrapreso il concorso internazionale per il memorial. Tuttavia, Ground Zero, anche nel progetto di Libeskind, è un enorme spazio vuoto in-between, una palese ferita profonda nel tessuto urbano e sociale che ripropone lo stesso dilemma incontrato nei monumenti dell’olocausto: ricostruire o lasciare il vuoto? Con quale linguaggio architettonico? Lo stesso James E. Young, membro della giuria del concorso, riconosce una certa continuità nel secondo dopoguerra su questo tema: “the forms of postwar architecture have been inflected by an entire generation’s knowledge of the Holocaust” (Young, 2016, p. 2). Il progetto vincitore per il memorial, Reflecting Absence di Michael Arad, prevede la realizzazione di due vasche d’acqua incassate nel terreno sull’impronta delle due torri5 (img. 05). Dal perimetro delle vasche sgorga una cascata d’acqua che viene inghiottita da un ulteriore foro quadrato posto al centro, senza permettere all’osservatore di vedere dove finisca. Nella prima versione di progetto era previsto un percorso ipogeo dietro il velo delle cascate, attraverso il quale sarebbe stato possibile guardare il cielo e ascoltare il continuo scorrere dell’acqua. Il progetto, semplice e suggestivo, sembra riassumere le azioni compositive sperimentate dai precedenti architetti nei monumenti del secondo dopoguerra: circoscrivere, scavare, svuotare, per costruire attraverso sequenze di spazi vuoti che sostituiscono il pieno e riattivano la memoria. Sebbene nella in-between reconstruction di questi recenti monumenti sembra non esserci consolazione, dalla strategia comune della negative form come rappresentazione dell’assenza e della perdita emerge, piuttosto, il valore spaziale del sito che conferma la capacità dell’architettura di trasmettere un messaggio di continuità della memoria, attraverso percorsi alternativi a una improbabile lettura didascalica di tutte le tracce.*
07. The Library, memorial al rogo di libri in Babelplatz, Berlino (1995). The Library, burning of books memorial at Babelplatz, Berlino (1995). Micha Ullman
NOTE 1 – Al concorso per Auschwitz-Birkenau hanno partecipato 426 gruppi di architetti e scultori provenienti da 36 paesi. La quantità di idee progettuali rispecchia l’interesse straordinario che questo tema aveva suscitato e la complessità dell’iter del concorso aggiunge difficoltà nel sintetizzare la vicenda. (Cfr. Simoncini, 2012). 2 – Il memorial è stato progettato da Zdzisław Pidek, Marcin Roszczyk, Andrzej Sołyga, Monika Chylińska in seguito al concorso del 1997, mentre il museo è stato realizzato successivamente su progetto di Marek Dunikowski, Piotr Uherek, Piotr Czerwinski, dello studio BE DDJM Architects. 3 – Il termine è un neologismo coniato dall’Associazione degli Architetti di Sarajevo durante la guerra civile (1992-96), per nominare il loro progetto di documentazione e di denuncia delle estese distruzioni urbane. 4 – Al concorso internazionale per il memorial del 2003 sono stati presentati 5201 progetti provenienti da 63 nazioni. Questi dati da soli restituiscono la scala di quanto fosse sentito come cruciale il tema del monumento. 5 – Il progetto iniziale di concorso è di Michael Arad (2003). Nel 2004 iniziò a lavorare presso lo studio Handel Architects con il quale seguì la realizzazione e, nella seconda fase, si avvalse anche del contributo del landscape architect Peter Walker.
BIBLIOGRAFIA – AA.VV. (1993). Warchitecture. ARH: Magazine for Architecture, Town Planning and Design, n. 24, Giugno. Sarajevo: Association of Architects of BosniaHerzegovina. – Herscher, A. (2008). Warchitectural Theory. Journal of Architectural Education, vol. 61, n. 3, Febbraio, pp. 35-43. – Le Goff, J. (1978). Documento/monumento. In Enciclopedia, vol. 5. Torino: Einaudi, pp. 38-46. – Mucci, M. (2019-2020). Una "basilica laica a cielo aperto" a Trieste. Considerazioni sugli aspetti compositivi dello spazio monumentale nel progetto di Romano Boico per un "Museo della Resistenza" nella Risiera di San Sabba (1966-75). Bollettino della Società di Studi Fiorentini, n. 28-29, pp. 249-56. – Nora, P. (a cura di) (1997). Les Lieux de Mémoire. Parigi: Gallimard. – Pedio, R. (1967). Monumento Auschwitz-Birkenau. L’Architettura. Cronache e storia, n. 146, pp. 520-525. – Simoncini, G. (2012). La memoria di Auschwitz. Storia di un monumento, 1957-1967. Milano: Jaca Book. –Van Eyck, A. (1962). The Child, the City and the Artist. An essay on architecture. The inbetween realm. In van Eyck, A. (2008), Writings. 2 voll. Amsterdam: Sun. – Woods, L. (1993). War and Architecture. New York: Princeton Architectural Press. – Woods, L. (1997). Radical Reconstruction. New York: Princeton Architectural Press. – Young, J. E. (1993). The Texture of Memory. Holocaust Memorials and Meaning. New Haven-London: Yale University Press. – Young, J. E. (2016). The Stage of Memory, Reflections on Memorial Art, Loss, and the Spaces Between. Boston: University of Massachussetts Press.
Lia Fedele
Dottoressa in Architettura e membro del gruppo di ricerca dell’Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani. fedelia26@gmail.com
Il tempo del paesaggio
Il progetto urbano come opera in divenire per la valorizzazione di aree residuali e dismesse
The time of the landscape The development of residual areas is closely linked to the transformation processes of the city, creating a web of heterogeneous fragments of various sizes. In contemporary urban structures, voids become able to determine built-up solids, sparking relationships for the reconstitution of new balances. The principles of sustainability and adaptability to change need to be considered. The dynamism of the context invites us to design with the landscape, which by its nature includes the temporal variable, determining a sequence of processes configured as intermediate stages of metamorphosis.*
La formazione di aree residuali è strettamente legata ai processi di trasformazione della città e compone una trama di frammenti eterogenei di varia dimensione. Nei tessuti urbani contemporanei i vuoti diventano spazi in grado di determinare i pieni costruiti, innescando relazioni per la ricostituzione di nuovi equilibri, basati sui principi di sostenibilità e adattabilità al cambiamento. La dinamicità del contesto invita a progettare con il paesaggio, che per sua natura ingloba la variabile temporale, determinando una sequenza di processi configurati come stadi intermedi di metamorfosi.*
n un insieme urbano contemporaneo, i vuoti non sono più, come nella città di ieri, spazi secondari e privi di qualità, ma possono anticipare e determinare i pieni costruiti (Chalas, 2012). L’esigenza di contenere un improprio consumo di suolo, l’abbandono di aree dismesse e la diffusione di spazi privati di significato dai cambiamenti in atto, sollecitano interventi di recupero e riqualificazione per rimodulare gli equilibri tra spazi costruiti e spazi vuoti. La formazione delle aree residuali, così come la distribuzione diffusa delle stesse, è strettamente legata ai processi di trasformazione delle città, e lascia emergere la necessità di tener conto della complessità dei progetti urbani non con una forma finita1 ma proponendo e attuando un processo in continuo divenire.
I vuoti urbani sono in aumento soprattutto nelle grandi città occidentali europee, in risposta all’ingente offerta di strutture e spazi inutilizzati e alla rinnovata domanda di usi ed esigenze (Bishop e Williams, 2012). Il fenomeno, acuito in alcuni casi anche dall’urban shrinkage (contrazione urbana), induce a riflettere sui processi di trasformazione delle città a partire dalla composizione degli spazi vuoti.
I tessuti contemporanei sono costellati da quei frammenti che, all’inizio degli anni Novanta, l’architetto Ignasi de Solà Morales denominava terrains vague. La definizione, ancora attuale, esprime il carattere indeterminato e incerto di spazi marginali e interstiziali, interni alla città ma al tempo stesso estranei al suo funzionamento quotidiano. Le riflessioni di de Solà Morales2 hanno contribuito ad arricchire il dibattito sul tema, suggerendo la potenzialità di aree abbandonate e dismesse per le quali la memoria di quello che sono state, a volte sembra rallentare le possibilità future e l’inserimento in progetti circolari di recupero e riconversione. Gli spazi residuali sono vuoti spesso non programmati e l’inadeguatezza dei tradizionali schemi di sviluppo urbano non può determinarne di necessità la connotazione negativa. Misurarsi con il presente richiede ai progettisti un cambio di prospettiva che consideri approcci alternativi
02. Jardins aquatiques Jean Couty, La Confluence, Lione. Jardins aquatiques Jean Couty, La Confluence, Lyon. Laurence Danière basati sulla temporaneità, sulla pluralità degli usi e sull’importanza dell’identità dei luoghi.
Una strategia progettuale così concepita, secondo una visione integrata, reversibile e in continuo mutamento, individua nella disciplina del paesaggio una valida guida per gli interventi sui grandi territori, vantando un rapporto meno conflittuale con il tempo, rispetto a quanto sia in grado di fare un’impostazione più rigida che interagisce solo con i “pieni”. La natura crea forme sempre nuove e in questo modo conserva il carattere instabile e mutevole delle aree residuali, la cui eterogeneità costituisce il Terzo paesaggio di Gilles Clément, patrimonio vacante di frammenti diffusi di dimensione variabile (Clément, 2005). Il “movimento” di cui scrive il paesaggista francese nel 1991 è dettato dalla perpetua modificazione di questi spazi, che rende il processo di trasformazione più importante di ciascuno degli stati configurati e compiuti.
Le riqualificazioni paesaggistiche che rinnovano gli strumenti tradizionali della pianificazione, plan de aménagement, reinterpretandoli come piani — processo, rappresentano una valida strategia di intervento per le aree marginali della città e non rinunciano a intervenire nell’immediato. Si identificano come “un’opportunità per ricucire relazioni urbane discontinue, per ricostruire ecosistemi interrotti e per proporre nuove centralità di vita sociale” (Guarini, 2020, p. 6). stato definitivo di trasformazione ma una serie di stadi intermedi di metamorfosi, su un sito di 150 ha. L’intervento è finalizzato al recupero e alla riconversione di un’area industriale dismessa, compresa tra i fiumi Saona e Rodano, e delinea un paesaggio a due velocità, dettate da elementi provvisori ed elementi permanenti, che compongono le ramificazioni di un sistema di parchi, piuttosto che di un parco unitario. La variabile temporale diventa parte attiva della pianificazione, e attuando strategie di rigenerazione che utilizzano gli elementi naturali, il progetto si apre alla possibilità del cambiamento e accetta e ingloba i tempi di evoluzione del paesaggio, poiché “la vegetazione all’inizio non è mai spettacolare”3 . Idee affini hanno delineato anche il plan guide di Alexandre Chemetoff, architetto, urbanista e paesaggista francese, per l’Ile de Nantes (2000-2012), che non si configura come un progetto definitivo bensì come l’enunciazione di metodi e temi che permettano di avviare gli interventi previsti dal piano stesso. Per poter assecondare l’evoluzione reale del sito, che si presenta come una realtà frammentaria ed eterogenea su una superficie complessiva di 330 ha, la strategia tende a favorire i progetti in situ, rendendo il plan guide uno strumento continuamente aggiornato. Agire secondo una prospettiva temporale non significa affidare al caso gli esiti progettuali ma preparare i territori alle loro vocazioni future.
La natura crea forme sempre nuove e I presupposti attuativi dei progetti di riqualificazione di Chemetoff e Desviconserva il carattere instabile e mutevole gne risiedono infatti in una profonda conoscenza del territorio e della sua delle aree residuali identità, su cui si ricavano le regole implicite da seguire. Per la Confluence di Lione si sono succeduti negli anni
Nel progetto per il quartiere de la Confluence a Lione alcuni interventi progettuali di minore entità dimensionale, (2000-2004) l’architetto paesaggista Michel Desvigne con- di cui i giardini dell’Îlot B2 (2015) sul Rodano sono un esemcepisce il piano come una sequenza di processi, che pren- pio in corso di realizzazione, tutti concepiti come strategie dono forma nell’arco di trent’anni, senza immaginare uno puntuali di una visione unitaria più ampia. Ciò è reso possi-
03. Spazi pubblici pedonali sulle rive del Rodano, La Confluence, Lione. Public spaces on Rhone’s banks, La Confluence, Lyon. Laurence Danière bile anche dal piano delle Costanti ideato da Desvigne, pensate per garantire linee di coerenza strutturale a un processo trentennale flessibile e adattabile alle esigenze mutevoli. “La mutabilità offre la facoltà di prevedere l’imprevedibile” (Durand, 2012, p. 86) e alimenta la dinamicità dei complessi progetti urbani, di cui il paesaggio può essere considerato parte integrante.
Non è difficile superare la tradizionale dicotomia tra città e natura se si comprende la possibilità che le due realtà coesistano nella definizione di spazi ibridi, poiché il selvatico non si accontenta più di luoghi marginali ma abita il centro della città (Metta e Olivetti, 2019) e dunque il limite diventa così sfumato da non esser più percepito come margine. Si definiscono pertanto spazi di natura inedita, in fase con le dinamiche e i cicli generativi e temporali non solo degli elementi naturali ma anche del mutevole vivere sociale. Un progetto urbano che riconosce le potenzialità degli spazi vuoti rendendoli protagonisti di relazioni, scambi e flussi, pone le basi per la ricostituzione di un nuovo equilibrio, basato sui principi di sostenibilità e adattabilità al cambiamento. Le azioni progettuali di riconnessione tra frammenti urbani e naturali che si prestano ad essere reinterpretate e modificate dalla labilità degli eventi, partecipano infatti al disegno di sostenibilità inteso come “la capacità di mantenere i processi, la diversità e la produttività nel corso del tempo” (Pollak, 2006, p. 35). Il paesaggio può essere la chiave per riqualificare i tessuti urbani discontinui e/o dismessi, anche in ragione della difficile questione ambientale. L’Europa e le Nazioni Unite richiamano alla tutela del suolo e del patrimonio ambientale, e il rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici conferma la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane in Italia. La perdita di superfici naturali e permeabili all’interno delle città compromette anche l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto, incidendo negativamente sul
04. Quai Rambaud vista da La Mulatière, La Confluence, Lione. Quai Rambaud view from La Mulatière, La Confluence, Lyon. Laurence Danière comfort ambientale specialmente nei tessuti maggiormente urbanizzati. Ciò significa che se è vero che gli spazi vuoti devono essere opportunamente integrati nella struttura della città e riconvertiti a nuovi scenari d’uso, è necessario valutare che “non tutti i vuoti devono essere colmati” (Nenko e Petrova, 2018, p. 389) e che un sistema poroso può
essere un’alternativa coerente con uno sviluppo sostenibile. La critica condizione ambientale attuale dunque non solo suggerisce di perseguire valide Nature Based Solutions (NBS)4 ma evidenzia anche che gli spazi vuoti rappresentano un’importante risorsa per il miglioramento della qualità urbana. In questa direzione volgono le azioni di depaving, che consistono nel ripristino di una parte dei suoli urbani allo stato precedente all’edificazione, attraverso la rimozione degli stati impermeabilizzati, il dissodamento del terreno sottostante e l’asportazione del materiale estraneo5, e che interessano in molti casi spazi sottoutilizzati e dismessi, permettendo strategie sostenibili di rinaturalizzazione e miglioramento del drenaggio dell’acqua nelle città. L’attenzione allo spazio inedificato non è un fatto nuovo, ma di fronte alla progressiva riduzione e limitatezza delle risorse disponibili, tra cui il suolo stesso, occorre inglobare nel pensiero progettuale una diversa nozione di tempo, avviare in modo flessibile e adattivo processi di medio e lungo periodo (Pavia, 2017).
Il dibattito contemporaneo sulla rigenerazione urbana non può dunque prescindere dal tema del paesaggio come
Il limite tra città e natura diventa così sfumato da non esser più percepito come margine
strumento progettuale guida nelle azioni di recupero e riqualificazione, in grado di assimilare la dimensione del tempo e dell’evoluzione dei luoghi e delle esigenze (Mouffe, 2008; Manigrasso, 2020). Il progetto di paesaggio assume una valenza inedita, in alcuni casi come “strumento terapeutico” capace di sanare l’impatto e i danni legati a massivi processi di urbanizzazione e modernizzazione della società industriale (Jakob, 2009). La condivisione di questo pensiero non è un’implicita accettazione della “verdolatria”, così come introdotta e criticata agli inizi del XXI secolo dal filosofo Alain Roger. La scelta del paesaggio e del tempo come nuovi materiali di progetto è in grado infatti di sintetizzare soluzioni innovative e performanti, lì dove sia capace di superare il mero valore estetico, comprendendo la natura profondamente culturale del paesaggio stesso. Le buone pratiche descritte si fondano sull’interrelazione tra l’uomo e l’ambiente, suggerendo l’importanza di interpretare la “voce” dei luoghi e riconoscere il ruolo conformatore del tempo sul progetto.
I mutamenti continui della contemporaneità respingono in modo definitivo una visione funzionalistica, alla quale si sostituisce la dimensione prestazionale per la sintesi delle forme del progetto, concepito come un dispositivo di ricerca e azione. Dei nuovi metabolismi urbani è pertanto chiara espressione anche la definizione di George Perec, secondo cui lo spazio rappresenta “un dubbio da individuare e designare continuamente”, che non può essere indicato in modo esaustivo dalla sola, e non permanente, funzione.
L’approccio proposto può rappresentare una valida strategia d’azione e di riconversione di aree residuali e dismesse, permettendo un ripensamento della città e la definizione di nuovi significati. In questo senso è possibile “scrivere” i vuoti urbani con progetti, basati sulla natura e sul paesaggio, che riconoscano la temporaneità e l’identità dei contesti in cui prendono atto i processi trasformativi. *
05. Jardins du Tiers-Paysage, Saint-Nazaire, Francia – progetto di Gilles Clément e Coloco. Jardins du Tiers-Paysage, Saint-Nazaire, France – designed by Gilles Clément and Coloco. Gilles Clément
NOTE 1 – In Anatomie des projets urbains gli autori Tsiomis Y. e Ziegler V. descrivono la capacità del progetto di paesaggio di tener conto della complessità attraverso interrelazioni e non con una forma finita (2007). 2 – Si veda Terrain vague di I. de Solà-Morales in Quaderns d’arquitectura i urbanisme n.212 (1996), pp. 37-42. 3 – Intervista di Loredana Mascheroni a M. Desvigne in Domus Paper - allegato a Domus n. 1028 (2018), p. 24. 4 – Le NBS sono state definite nel 2015 dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura come soluzioni basate sulla natura per gestire e preservare sostenibilmente la funzionalità degli ecosistemi naturali o ristabilirla in ecosistemi alterati impropriamente dall’azione umana. 5 – Ulteriori direttive sulla compensazione dell’impermeabilizzazione sono indicate nel documento di lavoro SWD “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo” della CE nel 2012, reperibile al sito https:// ec.europa.eu/environment/soil/sealing_guidelines.htm (ultima consultazione dicembre 2020).
BIBLIOGRAFIA – Bishop, P., Williams, L. (2012). The temporary city. New York: Routledge. – Costa, L. (2019). L’Urban Shrinkage e le conseguenze sulle aree residenziali. Prospettive dal Giappone. Tesi di Laurea Magistrale in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Paesaggistico-Ambientale, Politecnico di Torino. – Chalas, Y. (2012). La nature aménagiste. M3 Société urbaine et action publique, n. 2, pp. 50-53. – Clément, G. (2005). Manifesto del Terzo paesaggio. Macerata: Quodlibet. – Desvigne, M. (1999). Le paysage, nature intermédiaire. AMC Le Moniteur architecture, n. 101, pp. 60-66. – Durand, A. (2012). La mutabilité en urbanisme: une rupture méthodologique? Urbanisme, n. 383, pp. 86-89. – Gabbianelli, A. (2017). Spazi residuali. La vegetazione nei processi di rigenerazione urbana. Gorizia: GOtoECO. – Guarini, P. (2020). Pratiche di riciclo tra ecologia e rigenerazione. L’industria delle costruzioni, n. 475, pp. 4-8. – Jakob, M. (2009). Il paesaggio. Bologna: Il Mulino. – Magnier, A., Morandi, M. (2013). Paesaggi in mutamento. L’approccio paesaggistico alla trasformazione delle città europee. Milano: FrancoAngeli. – Manigrasso, M. (2020). L’urbanistica guarda il paesaggio. Per una stagione agonistica del vuoto. In Misino, P., Il tempo diverso. Asincronie tra forme e usi. Siracusa: Letteraventidue Edizioni, pp. 24-47. – Metta, A., Olivetti, M.L. (2019). La città selvatica. Paesaggi urbani contemporanei. Melfi: Libria. – Mouffe, C. (2008). Agonistic Public Spaces, Democratic Politics and the Dynamic of Passions. In Backstein, J., Birnbaum, D., Wallenstein, S. (eds). Thinking Worlds: The Moscow Conference on Philosophy, Politcs, and Art. Berlino: Sternberg Press. – Nenko, A., Petrova, M. (2018). Urban emptiness as a resource for sustainable urban development. Management of Environmental Quality: An International Journal, vol. 29 n.3, pp.388-405. – Palazzo, E. (2010). Il paesaggio nel progetto urbanistico. EDA e-book. – Pavia, R. (2017). Suolo e progetto urbano: una nuova prospettiva. Eco Web Town, Vol. 1 n.15. – Pollak, L. (2006). Il paesaggio per il recupero urbano. Infrastrutture per uno spazio quotidiano che comprenda la natura. Lotus, n. 128, pp. 32-45. – Roger, A. (2009). Breve trattato sul paesaggio. Palermo: Sellerio.
Mickeal Milocco Borlini
PhD in Architettura, Teoria e Progetto, PostDoc 2019-21 DPIA, UniUD. mickeal.milocco@uniud.it
Kevin Santus
PhD Candidate in Architectural, Urban and Interior Design, Politecnico di Milano. kevin.santus@polimi.it
Stefano Sartorio
Dott. in Architettura e Disegno Urbano, Teaching Assistant Politecnico di Milano. stefano.sartorio@mail.polimi.it
Arianna Luisa Nicoletta Scaioli
Dott. Architetto, Teaching Assistant Politecnico di Milano. arianna.scaioli@mail.polimi.it
La crisi nel vuoto
Interpretazione del ruolo dello spazio urbano durante la quarantena
The crisis into the void Considering the city, and its buildings, as a place of union of physical and socio-economic relationships, what happens when one of this aspects is missing? In light of the current pandemic, the real relationship space that characterized part of the urban and architectural composition clashes with the regulatory provisions, in order to ensure physical (but not social) distancing. The article reflects on the “times of crisis”, for cities and their inhabitants, looking into these spaces of relationship, which re-read their raison d’être in a term of forced virtual relationships.*
Se la città, e l’architettura in essa, si considera come luogo d’unione di relazioni fisiche e socio-economiche, cosa avviene alla mancanza di uno di questi aspetti? Alla luce dell’attuale pandemia, lo spazio di relazione reale che caratterizzava parte della composizione urbana e architettonica si scontra con le disposizioni normative, per garantire il distanziamento fisico (ma non sociale). L’articolo riflette sui tempi di crisi, per le città e i loro abitanti, di questi spazi di relazione, che rileggono la propria raison d’être in un periodo di forzate relazioni virtuali.* i intende come vuoto quella qualità dello spazio che permette il movimento. Oltre la mera penetrabilità, il vuoto si può aggettivare ed utilizzare come forma di definizione del luogo” (Espuelas, 2004, pos. 79).
Gli effetti da SARS-CoV-2 non sono solo una questione privata, ma di tessitura di spazi relazionali urbani.
Pertanto, comprendere gli effetti della pandemia significa elaborare le nuove esigenze dell’abitare quotidiano attraverso la costruzione di un nuovo paradigma di urbanité, che parta da una riflessione sulle criticità emerse durante il lockdown, rispetto alla necessità di dare nuovo senso a uno spazio pubblico contemporaneo “svuotato”. Quest’ultimo ha mostrato la sua essenza: il vuoto tra architetturecontenitori, definisce spazi “intermedi” inariditi rispetto alle (inter)relazioni umane e urbane che fino a pochi mesi fa li popolavano.
La forma e l’immagine della città possono essere percepite nella loro figurazione al negativo come vuoti e pieni, dove “il vuoto appare come categoria materiale, come valore culturale e come vissuto personale” (Espuelas, 2004, pos. 123). Dalle parole di Espuelas si deduce che il vuoto vive grazie alla dicotomia tra spazio oggettivo e soggettivo, dove il cambiamento di percezione avviene rispetto a una modifica dell’esperienza mnemonica, registrata inconsciamente, del vuoto stesso (come nel caso delle conseguenze del SARS-CoV-2); d’altra parte, la perdita del dato oggettivo rispetto a “quel” vuoto, già conosciuto dal soggetto, decreta il disorientamento e la non riconoscibilità come luogo visceralmente “proprio” (Norman, 2004; Espuelas, 2004).
Pertanto, il progetto nel “vuoto inaspettato” è riconoscibile nelle strade e nelle piazze, definite e inalterabili nel tempo, se “liberate” e identificate dalla permanenza della temporaneità del ritrovo. L’abitare richiede il “racconto critico” con interventi di rigenerazione, sovente motivati da eventi inattesi, come le calamità naturali; l’attenzione si è spostata al contesto urbano e alla sua lettura attraverso
02. Mettez vous pieds ici, 2020. Katell AR Gow (flickr)
analisi che tengono conto (e con-tengono) non solo della fisicità dei manufatti e dei luoghi, ma anche dell’insieme delle risorse disponibili¹, delle opportunità di innovazione e degli abitanti: “la stessa presenza umana ne è a volte limitata e deve cedere parte del suo protagonismo a questo mondo di oggetti” (Espuelas, 2004, pos. 1030).
Obiettivi possibili: crisi e risorsa, pieno e vuoto
Il contributo intende indagare la crisi che ha vissuto lo spazio pubblico urbano nelle fasi iniziali della pandemia da SARS-CoV-2, cercando di prefigurare criticamente alcuni possibili scenari di sviluppo. La crisi internazionale, provocata dal virus della SARS-CoV-2, ha causato un’interruzione nella continuità fisico-relazionale dello spazio urbano. L’adattamento contestuale, infatti, non ha interagito solamente con una componente spaziale, ad esempio con l'introduzione di indicazioni sul distanziamento, ma anche con una componente immateriale, delineando la costruzione di una nuova città digitale: un palinsesto territoriale virtuale.
Il vuoto fisico, definito attraverso temporaneità e accessibilità dello stesso, consente di identificare gli spazi do interventi disgiunti, per lo più temporanei, nel tentativo di risignificare tale vuoto. Pertanto, è necessario comprendere le mutazioni del vuoto in risposta allo scenario pandemico: in che modo esso intesse nuove relazioni tra concretezza relazionale e rete virtuale, comprendendo e direzionando la necessità di riappropriazione degli spazi per le diverse esigenze di vita, anche di confinamento o limitazione.
Approccio e metodo
Gli orizzonti possibili per lo spazio pubblico in un momento di crisi (Saggio, 2010) sono traiettorie e scenari complessi da delineare. Le relazioni che si sono costruite e sviluppate in questi mesi sono state mediate da alcuni devices, fisici e virtuali: i contatti fisici, in modalità ridotta, a distanza di almeno 1 metro, con dispositivi di protezione, che si pongono come barriere fra le persone. Quelli virtuali diventano i nuovi paradigmi della comunicazione e dei rapporti interpersonali; le distanze sono annullate, entrando nella quotidianità delle persone, nel loro spazio domestico. È stata superata la tradizionale dicotomia spazio pubblico e spazio privato, complessificando la
La produzione virtuale dello spazio percezione spaziale; lo spazio pubblico sociale può infatti (ri)entrare nell'intimiurbano diventa cornice di una rinnovata tà del nostro salotto e del nostro spazio personale. Il telaio infrastrutturale fisiesperienza dell’abitare co di strade e piazze urbane si va implementando con la sovrapposizione di quello virtuale: uno spazio immateriale di passaggio quali luoghi di ritrovo e incontro, costruendo costruito dalle persone utilizzando un lessico proprio dello caratteristiche che si comunicano agli abitanti e ai fruitori spazio fisico: finestra, stanza, piazza virtuale, e così via. occasionali in qualsiasi condizione, anche inattesa: “il vuoto Durante i mesi della quarantena si è andata costruen[...] è il regno della possibilità. [...] lo spazio vuoto diventa il do una realtà virtuale parallela, dove le giornate venivano tramite adeguato per significare globalità ed universalità” scandite da meeting di lavoro o di svago, cercando di re(Espuelas, 2004, pos. 2753). cuperare quella dimensione collettiva del vivere uno spazio
Come conseguenza alla pandemia, vi è una proliferazione urbano, pur rimanendo a distanza. di spazi virtuali e un conseguente svuotamento dello scena- Pertanto, risulta centrale l’interrogativo sul possibile destirio urbano. All’interno di questo, tuttavia, si stanno attuan- no dello spazio pubblico — e per estensione della città — pro-
03. Cretto contro cielo, 2017. HydRometra (flickr)
ponendo due estremi futuribili: il primo vede una scomparsa della città, quale palinsesto stratificato di architettura, società ed eventi, per la perdita dell’esigenza di prossimità fisica che era stata all’origine della sua costruzione. Urbs e civitas sono infatti due elementi indissolubili e imprescindibili nella costruzione di uno spazio urbano.
Il secondo scenario, quello preso in considerazione all’interno di questo contributo, indaga invece la capacità dello spazio pubblico urbano di assorbire questo shock adattandosi a nuovi modi di costruire e pensare le forme dell’abitare, integrando e interagendo con la città virtuale.
La crisi dello spazio di relazione, allora, non è forse una crisi sistemica, quanto più un quesito che dovremo risolvere, rimodellando lo spazio, consci sia della sua parziale virtualizzazione che della sua attuale necessità. La città contemporanea diventa quindi un luogo in cui la produzione virtuale dello spazio urbano diventa una cornice costitutiva di una rinnovata esperienza sociale dell’abitare, integrando la componente mediatico-virtuale con quelle architettonico-spaziale e comunicativo-relazionale.
Emergono tuttavia con forza alcune tematiche di riflessione rispetto ai rischi di un’eccessiva virtualizzazione, in riferimento all’identità dei luoghi e della comunità, attraverso un senso di appartenenza e appropriazione rispetto allo spazio urbano. Se da un lato la città virtuale si pone come spazio potenzialmente democratico, configurandosi come alternativa più inclusiva rispetto allo spazio pubblico fisico, dall’altro ha reso evidente un forte senso di alienazione delle persone rispetto alla “città fisica” e ai suoi spazi pubblici, visti come vuoti non vissuti, luoghi provvisori da attraversare in maniera controllata.
Discussione e conclusioni
Lo spazio è relazionale (Alexander, 1977, parag. XI-XII, XV, XXV-XLIX) e gli effetti non si riscontrano soltanto all’interno delle nostre abitazioni, nei rapporti sociali e nelle moda-
04. Nuova Pianta di Roma 05/12, 1748. New Plan of Rome part 5/12, 1748. Giovanni Battista Nolli, Wikipedia lità d’uso dei luoghi, ma soprattutto nella modificazione dei paradigmi di quello che è lo spazio pubblico, che in questo momento si ridefinisce come elemento intermedio: un elemento in crisi rispetto alla sua ragion d’essere. Esso, non più teatro dell’agire umano ed elemento centrale di una città di essenza del XXI secolo, iper-connesso e al contempo diviso. Pertanto, è necessario affrontare quello che è un paradosso, ridefinendo il concetto di “distanza relazionale dei rapporti” interpolando la questione fisico-percettiva e quella cognitiva. In questa sede è — naturalmente — diffici-
Elaborare le nuove esigenze dell’abitare le dare risposte certe, immediate, ma si possono condurre ragionamenti che attraverso la costruzione di un nuovo costruiscono i paradigmi di un’architettura reale e virtuale. Tra queste una paradigma di urbanité possibile declinazione è il Tactical Urbanism, strategia sempre più frequentemente applicata, come a Milano² reti e flussi, diviene oggi un ambito statico e a-relazionale. dove l’utilizzo dell’urbanistica tattica in quartieri quali NoLo
Rispetto alle considerazioni precedenti, si ritiene impor- o Città studi cerca di delineare nuove esperienze dello spatante ragionare sulle possibili configurazioni dello spazio zio in maniera veloce, economica e reversibile, tentando di pubblico e in che modo possa definirsi un legame tra archi- risolvere la mancanza di spazio aggregativo e conseguentetture e spazio urbano, tra reti virtuali della città e la realtà temente di riempire “un vuoto”. Ciò comporta la necessità fisica che la interseca. La quarantena ha messo in luce la vera di una riflessione sui nuovi strumenti del progetto, in una
nuova comprensione dei risvolti temporali e fisici che queste strategie possono produrre.
L’internità dello spazio pubblico e privato, reale o virtuale, potrebbe essere riportata negli ambiti di vita quotidiana della comunità. Ci dirigiamo forse verso una modalità di ripensamento dello spazio “veloce” ed effettivo non solo per le motivazioni legate al SARS-CoV-2, che hanno accelerato la capacità di risoluzione dei problemi legati al confinamento, e di velocizzazione della restituzione dello spazio pubblico alla collettività. L’impossibilità temporanea di utilizzo di questi luoghi porta a un ripensamento degli ambiti relazionali, delle strutture e modalità di interazione dove le “stanze virtuali” potrebbero essere le “stanze reali”, rispettando la normativa vigente e creando ambiti urbani che siano lungimiranti e attenti al decorso delle calamità naturali, che si possano riconvertire, ridestinare a seconda delle esigenze e dei servizi della comunità che costituisce il nuovo corpo urbano e virtuale, nuovo teatro dell'azione umana.
Affrontare il progetto del vuoto, oggi, significa affrontare sia un’assenza fisica, relativa al costruito, ma anche assenza di urbanité, intesa come concetto capace di integrare densità, diversità, spazio pubblico, interazione, civiltà e abitare.
Nella città oggetto, la necessità dell’Homo Urbanus³ di tessere relazioni sociali e interagire con lo spazio non si è estinta durante il lockdown; al contrario, ha trovato forme, strumenti e nuovi modelli dell’abitare, attraverso i quali esprimersi. La pandemia ha accelerato alcuni cambiamenti che erano da tempo latenti, evidenziando un paradosso: da un lato il modello ormai affermato di società iper-mondializzata, il “Mondo-città” (Augé, 2007) dove tutti sono interconnessi in ogni momento; dall’altro, la quarantena ha rotto questi schemi ricondizionandoli psicologicamente, portando a una dimensione iper-locale, dove l’unica finestra sul mondo è il web.
Infine, il termine della quarantena, ha evidenziato l’insufficienza dell’internità e della virtualizzazione delle relazioni, mostrando la necessità della relazione fisica per riabitare gli stessi spazi urbani che prima erano “scontate normalità”.
05. NYC Pandemic 4-6-14, 2020. Dan DeLuca (flickr)
La crisi dello spazio di relazione, allora, non è forse una crisi sistemica, quanto più un quesito che dovremo risolvere, rimodellando lo spazio, consci sia della sua parziale virtualizzazione, che della sua attuale necessità. La città contemporanea diventa quindi un luogo in cui la produzione virtuale dello spazio urbano diventa una cornice costitutiva di una rinnovata esperienza sociale dell’abitare, integrando la componente mediatico-virtuale con quelle architettonico-spaziale e comunicativo-relazionale.*
NOTE 1 – Da una conversazione con il prof. Giovanni Tubaro e la prof.ssa Christina Conti, DPIA; UniUD, 2020. 2 – Lo stesso Comune di Milano ha avviato una campagna che vede l’urbanistica tattica come strumento di progetto per la riappropriazione del vuoto urbano, ridefinendo sia frammenti sociali che trame di connessione a mobilità lenta, https://www.comune.milano.it/ aree-tematiche/quartieri/piano-quartieri/piazze-aperte (ultima consultazione ottobre 2020). 3 – Homo Urbanus (2018), diretto e prodotto da Lemoine L., Bêka I., France.
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Inside Mother Earth
La grotta, dal greco κρύπτα, krypta e cioè «(luogo) nascosto» è definita da un qualsiasi tipo di vuoto, naturale o artificiale, posto al di sotto della superficie terrestre. L’uomo da sempre ne subisce il fascino: sia per la protezione e il riparo che esso può offire, sia perchè il mondo ipogeo è ritenuto una zona di mistero, dimora di demoni e divinità e quindi venerato come luogo sacro. Frequentazioni antiche ma ben lontane dall’esplorazione odierna che si pone a metà tra una scienza interdisciplinare e un’attività sportiva. Oggi sappiamo che il sottosuolo nasconde enormi vuoti: il totale delle grotte esplorate in tutto il mondo si aggira intorno ai 30.000 chilometri, ma si stima che sulla Terra esistano tra i 20 e i 50 milioni di chilometri di gallerie, cioè migliaia di volte più di quanto sia stato svelato finora. L’esplorazione, quindi, non è finita, anzi è appena cominciata.
A cura di Stefania Mangini
con 222 km è tra le grotte conosciute più lunghe al mondo
GROTTA DI LECHUGUILLA
PARCO NAZIONALE DELLE CARLSBAD CAVERNS, NEW MEXICO
-489m
la grotta più profonda del mondo
GROTTA KRUBERA-VORONJA
ABCASIA, GEORGIA
-2.197m
la grotta di ghiaccio più grande del mondo
EISRIESENWELT
WERFEN, AUSTRIA
-407m
la grotta contiene cristalli di dimensioni strabilianti, tra cui il più grande che con 11 m di lunghezza e 4 m di diametro, pesa 4 tonnellate
GROTTA DEI CRISTALLI
NAICA, MESSICO
-300m
il sito rappresenta uno dei più popolari santuari indù al di fuori dell’India ed è dedicato a Lord Murugan, rappresentato all’ingresso da un enorme statua, alta 42,7 metri
GROTTE DI BATU
SELANGOR, MALAYSIA
-400m
la grotta si può raggiungere attraverso la discesa di 450 gradini
GROTTE DELL'INFERNO E DEL PARADISO
NARLİKUYU, TURCHIA
-128m
note per la popolazione di Arachnocampa luminosa, una specie di lucciole che si trova esclusivamente in Nuova Zelanda.
GROTTE DI WAITOMO
WAITOMO, NUOVA ZELANDA
-100m
la grotta conosciuta più grande del mondo lunga 9 km, larga 200 m e alta 250 m
GROTTA SơN ĐOÒNG
QUảNG BÌNH, VIETNAM
-150m
la grotta contiene la più grande stalattite del mondo, che misura ben 120 m
GROTTA DI JEITA
BAYRUT, LIBANO
-1.750m
note per la possibilità di visitarne il complesso sistema di gallerie e sale attraverso un percorso ferroviario di 3 km
GROTTE DI POSTUMIA
POSTUMIA, SLOVENIA
-115m
PROFONDITÀ DELLA GROTTA