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L’arte come cura dei luoghi vuoti Art as cure for empty places

borgo marsi -

Emblematico è il caso del cano di Aielli (AQ), dove il desiderio della comunità locale di riformare la concezione degli spazi vuoti mediante una ricerca del a pratica di ricollocazio Street Art bello, promuove la ne identitaria condivisa: forme e colori restituiscono alla collettività, co-protagonista delle installazioni artistiche, sentimenti di autorealizzazione e senso di appartenenza, idonei a tramutarsi in preziose forme di cura e tutela del territorio. Posizionandosi come utile strumento a supporto di un programma di azioni a più ampio spettro, questa tipologia d’arte pubblica, estesa e accessibile, diviene oggetto del migliora - mento della qualità estetica dell’ambiente costruito. Attraverso le micro-reti generate dall’organizzazione artistico-culturale-educativa, interrelata al conside - revole aumento dei flussi turistici e a una comunità partecipe, Aielli si appresta a diventare un centro im portante per laboratori di innovazione sociale che si riverberano all’esterno del contesto locale e che in vestono filiere socioeconomiche diversificate (Manzi ni, 2018). *

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BIBLIOGRAFIA – Becattini, G. (2015). La coscienza dei luoghi. Il territorio come sog getto corale . Roma: Donzelli. – De Rossi, A., Mascino, L. (2020). Patrimonio. In Cersosimo, D., Donzelli, C. (a cura di), Manifesto per riabitare l’Italia . Roma: Donzelli, pp. 177-181. – Manzini, E. (2018). Politiche del quotidiano. Progetti di vita che cam biano il mondo . Roma: Edizioni comunità. – Teti, V. (2020). Paese. In Cersosimo, D., Donzelli, C. (a cura di), Mani festo per riabitare l’Italia . Roma: Donzelli, pp. 171-176.

A partire in forma più acuta dal Novecento, perso ne, merci e informazioni impattano sui territori modi - ficandone, più rapidamente che in passato, i sistemi socioeconomici e in ultima analisi l’aspetto architet tonico. Come nel caso dei borghi dell’entroterra ap penninico desertificati da decenni di crisi economi - che e demografiche, le comunità si “sfarinano” e gli spazi diventano “vuoti”. Questi sono sì caratterizzati da drammatiche assenze di varia natura, ma anche par - ticolarmente adatti a essere “riempiti” ancora da chi è attratto dai valori di una nuova coscienza dei luoghi (Becattini, 2015) e intende viverli sia in forme tempora nee di fruizione ricreativa, sia in forme di insediamenti residenziali e produttivi stabili.È ormai chiaro che, nei paesi “svuotati” della loro vitalità, non più “corpi” pieni e dinamici come un tem po, la corretta valorizzazione di paesaggi – intesi sia come beni tangibili e relazioni sociali – è in grado di catalizzare flussi turistici e, al contempo, di innescare processi economici sostenibili, emergenti da approc - . Una strategia di valorizza place-based ci progettuali zione locale di questo tipo non può quindi essere gui data da una logica di mera patrimonializzazione (De Rossi e Mascino, 2020) e deve distanziarsi dall’enfasi spesso presente in neoromantiche retoriche identita rie (Teti, 2020). Nella moltitudine di strategie spaziali attuabili per la rivitalizzazione di un luogo vuoto, primeggia la for - mula della rigenerazione a base artistico-culturale. In quest’ottica, architetture private o di valenza pubbli - ca prendono sovente le mosse da progetti di riuso, ospitando centri culturali o divenendo aree di socia lizzazione per attività comunitarie correlate a pratiche artistiche. Spesso, dalla singola costruzione, tali usi e visioni progettuali si estendono a intere borgate, tra - o in infrastrutture en plein air sformate in spazi d’arte insediative volte ad accogliere eventi vari. Una serie di interventi fisici, dunque, realizzati nel paese in punti diversi e diffusi che, uniti in rete, danno vita a inediti spazi di uso collettivo o a realtà immateriali emergenti. Così, al loro interno, grazie alla rinnovata fruibilità dei luoghi nel quotidiano e al dispiegarsi della vita sociale, si intrecciano freschi valori culturali condivisi, atti a dar vita a moderne forme di aggregazione e a progettua lità ed economie circolari in cui la nozione di capitale è anche di tipo artistico e culturale.

L’arte come cura dei luoghi vuoti

Art as cure for empty places

Marco Manfra Borsista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura, Università di Ferrara. mnfmrc2@unife.it

Street Art ad Aielli, opera di Millo, 2020. Street Art in Aielli, by Millo, 2020. Borgo Universo

Elena Orsanelli

Architetto, titolare di una borsa di studio post-lauream per attività di ricerca presso l’Università Iuav e collaboratrice alla didattica. eorsanelli@iuav.it

Sofia Sacchini

Architetto, precedentemente titolare di una borsa di studio post-lauream per attività di ricerca presso l’Università Iuav e collaboratrice alla didattica. ssacchini@iuav.it

Nicolò Fattori

Architetto, titolare di una borsa di studio post-lauream per attività di ricerca presso l’Università Iuav. Collaboratore occasionale presso lo studio BluArchitettura. nfattori@iuav.it

Apparent voids and real voids: living in

forgotten spaces Telling: the description of a small village that is about to be abandoned brings out the latent qualities of a forgotten territory and works as an example of the critical conditions that many municipalities in Italy and Europe are experiencing. The project asks a radical change of the ordinary point of view and tries to exercise the gaze and the imagination to recognize the potential of the context and to change the perception of known spaces. Fixing the roots in the current socio-spatial territory allows to re-design abandoned spaces and forgotten places.*

a situazione

Nel quadro della riflessione sulla città e sul territorio, emerge come negli ultimi anni il tessuto urbano sia stato fortemente caratterizzato dalla presenza di edifici progressivamente abbandonati dall’uomo ad una lenta erosione, spazi cancellati dall’immaginario della città: vuoti apparenti e vuoti reali (img. 01).

Il lavoro descritto nella tesi Racconti: dialogo tra ascolto e progettazione1 ha preso il via proprio da questa riflessione calata nel caso specifico di Teor, un piccolo paese situato nella bassa pianura friulana. Parlare di vuoti significa trattare di una vasta gamma di possibili spazi: spazi senza nome (Boeri et al., 1993), drosscapes (Berger, 2006), spazi in-between (Strauven, 1998), spazi in sospensione, in attesa di essere risignificati; significa innanzitutto domandarsi quali siano le cause che hanno portato al graduale e frammentato abbandono di edifici e alla crescente percezione di vuoto.

Il vuoto si è infiltrato tra i muri delle case lasciando minute ma significative tracce del suo passaggio. Molti edifici hanno perso gran parte del loro valore funzionale e sociale: i mestieri si sono

01. Vuoto urbano configurato a seguito di un processo di abbandono di spazi relativi all’abitazione, alla corte interna e al sottoportico di connessione con lo spazio pubblico. Urban void consequent of the abandonment’s process concerning the house, the internal courtyard and the portico connecting with the public space. Nicolò Fattori

Vuoti apparenti e vuoti reali: abitare spazi dimenticati

Riflessioni e sguardi sul territorio contemporaneo

02. Strappare la visione attuale del paese per costruire una nuova immagine di Teor. Tearing up the current vision of the village to build a new image of Teor. Nicolò Fattori, Elena Orsanelli, Sofia Sacchini

modificati, la ricchezza e le peculiarità della campagna sono state annullate dalla presenza di coltivazioni estensive e, di conseguenza, anche gli annessi rustici hanno smesso di svolgere la loro funzione originaria.

La dismissione dei fabbricati, lenta ma diffusa, è un evento che si è protratto nel corso del tempo, silenziosamente, fino a trasformare il volto del paese, come “un’azione negativamente ricca di avvenimenti” (Goffman, 2006, p. 9) che passa del tutto inosservata quando viene attuata, ma con il procedere del tempo sedimenta e costituisce un layer consistente del tessuto urbano. Questo “fenomeno articolato, sia spazialmente, sia nelle forme e nei processi” (Fabian e Munarin, 2015, p. 15) ha una riconoscibilità fisica nei luoghi dove agisce, ma emerge con ancora più enfasi nella percezione che gli abitanti hanno del proprio paese.

Il progetto di tesi, quindi, si è occupato di indagare ciò che sta accadendo a Teor e coglierne le sollecitazioni. Per agire in questa direzione è stato necessario ampliare l’orizzonte dello sguardo e sviluppare una nuova visione del paese: se la vita quotidiana e le attività produttive si svolgono sul retro degli edifici, quello che continua a emergere è il silenzio delle facciate su fronte strada, perché risulta difficile vedere ciò che accade dietro le siepi, al di là dei portoni socchiusi e nelle corti retrostanti2. Lo sforzo effettuato attraverso la ricerca è stato quello di osservare Teor con uno sguardo nuovo.

Modus operandi

Un’attenta indagine ha sollevato fattori rilevanti da un punto di vista spaziale e sociale, superando il rischio di una lettura superficiale e soggettiva. Un dato fondamentale è emerso dal confronto tra la percezione delle strutture abbandonate e gli edifici definitivamente dismessi: i vuoti reali rilevati risultano nettamente inferiori rispetto a quelli descritti dagli abitanti. Perché la percezione del vuoto è decisamente superiore alla sua reale quantità?

Molti degli spazi percepiti come abbandonati sono, nei fatti, vuoti apparenti: case vacanze che per la maggior parte dell’anno restano disabitate, proprietà frammentate diventate difficili da gestire, lunghe infilate di vetrine spoglie. I negozi sfitti e le serrande abbassate diventano come muri impermeabili allo sguardo di chi attraversa il paese, così come le case introverse con le finestre chiuse sul fronte strada e i portoni che separano la strada dalle corti interne.

Guardando oltre il profilo chiuso e continuo delle abitazioni fronte-strada si riescono a scorgere alcuni esempi positivi, microscintille puntuali che lasciano intravedere le attività in fermento sul retro degli edifici. Questo è il caso di un microbirrificio che ha iniziato a svilupparsi nella cortina edilizia a sud e, per il cui funzionamento, i proprietari hanno già provveduto a restaurare l’annesso rustico della corte per ospitare i macchinari necessari alla lavorazione del luppolo, coltivato nei campi retrostanti (img. 03). Ma anche il caso di un vecchio fienile che, nel giro di pochi anni, sarà ristrutturato per ospitare l’ampliamento delle

Molti degli spazi percepiti come vuoti sono nei fatti vuoti apparenti

attività artigianali di un muratore, ora in pensione, che si dedica da anni alla lavorazione del legno e della pietra.

La mappatura delle azioni in atto, l’individuazione dei vuoti apparenti e l’ascolto degli abitanti hanno costituito la base su cui si è innestato il lavoro. La ricerca si è strutturata seguendo le direttive suggerite dal concetto di as found (Smithson e Smithson, 1990), che individua nella riscoperta di spazi quotidiani e pratiche sociali i possibili motori della rigenerazione del tessuto urbano esistente. Le azioni descritte dal progetto sono strettamente legate a ciò che già si stava sviluppando in paese, al paesaggio e alle storie di vita dei singoli abitanti: “le idee cammina-

03. Ricchezza e vitalità delle corti interne, gli spazi di connessione con la campagna retrostante. Richness and vitality of the internal courtyards, the spaces that connect the street with the countryside behind. Nicolò Fattori

no sulle gambe delle persone, esistono e si concretizzano con le vite vissute” (Cellamare, 2019, p. 133).

Dal punto di vista spaziale le azioni previste operano un cambio di prospettiva radicale, che conduce il visitatore attraverso la campagna antica punteggiata da frutteti e vigne, siepi e canaline, oltrepassando gli orti, fino alle corti, mostrando il fermento delle attività in atto e la ricchezza e la qualità degli spazi attraversati (img. 04).

L’esplorazione progettuale, quindi, ha preso in considerazione le attività in fase di avvio, i desideri degli abitanti e le loro proiezioni future. La progettazione di ampliamenti, ricuciture e ripensamenti di spazi finora slegati tra loro ha reso possibile la realizzazione del progetto che è avanzato per piccoli step: si è attuata la traduzione di un progetto implicito individuando le scintille già presenti sul territorio che avrebbero potuto innescare “nuovi cicli di vita” (Fabian e Munarin, 2015, p. 16) e facendo emergere alcune volontà degli abitanti, ampliate ed interconnesse secondo nuovi possibili scenari.

Azioni

Per mostrare la vitalità del paese è stato necessario “strappare” la visione attuale di Teor e far emergere la qualità e la quantità di artigiani, laboratori, piccole imprese che si nascondono dietro la cortina edilizia che chiude la strada principale in un lungo e stretto canyon (img. 02).

Quella che sembrava una superficie muta e silenziosa di una cortina edilizia continua, si è rivelata avere uno spessore entro cui si sviluppa la vita degli abitanti, dove le corti retrostanti attraverso i sottoportici entrano in contatto con lo spazio della strada. Come dice Jan Gehl, “pochi metri quadrati ben progettati accanto alle abitazioni molto spesso risulteranno più utili e sfruttati dei grandi spazi, troppo distanti” (Gehl, 2012, p. 233), sempre che siano sufficientemente visibili e raggiungibili.

Un’azione semplice come quella di aprire i portoni delle corti e lasciare che spazio pubblico e privato possano nuovamente interagire permetterebbe di percorrere il paese perpendicolarmente alla strada carrabile principale. Attraversare la rigogliosa campagna friulana ed entrare nel paese dal “retro” darebbe la possibilità di percepire la ritmicità dello spazio che si dilata e si restringe nella sequenza strada — sottoportico — corte — campi e di esperire così la vita che si svolge in paese e le attività che si sviluppano nelle corti interne.

Approcciare questi temi da nuove prospettive, valorizzando la qualità degli spazi finora rimasti invisibili, aiuta a comprendere la differenza tra vuoti reali e vuoti apparenti, percepire la vitalità del paese e la moltitudine di attività che si svolgono nelle corti retrostanti le abitazioni, sviluppando una progettualità interstiziale e policentrica. Si tratta di instillare un lento processo di riappropriazione fisica e mentale di luoghi e attività da parte degli abitanti dal momento che uno spazio non può dirsi tale fino a quando non viene visto, percepito e vissuto dagli abitanti.*

04. Cambio di prospettiva che permette di entrare in paese arrivando direttamente dalla campagna. Change of perspective that allows to enter the village coming directly from the countryside. Nicolò Fattori

NOTE 1 – Tesi di Laurea Magistrale in Architettura, svolta nell’a.a. 2018/19 da Nicolò Fattori, Elena Orsanelli e Sofia Sacchini, relatori proff. Stefano Munarin e Antonella Faggiani, con menzione come Miglior Tesi di Laurea in Architettura del 2019. 2 – Riprendendo William H. Whyte in The Social Life of Small Urban Spaces (1980): “L’orizzonte della visione è importante. Se le persone non riescono a vedere uno spazio, non lo utilizzeranno mai”.

BIBLIOGRAFIA – Berger, A. (2006). Drosscape. Wasting Land in Urban America. New York: Princeton Architectural Press. – Boeri, S., Lanzani, A., Marini, E. (1993). Nuovi spazi senza nome. Casabella, n. 597-598. Milano: Mondadori, pp. 74-76. – Cellamare, C. (2019). Città fai-da-te. Tra antagonismo e cittadinanza. Storie di autorganizzazione urbana. Roma: Donzelli Editore. – Fabian, L., Munarin, S. (2015). Re-Cycle Veneto. In Fabian, L., Munarin, S., Donadoni, E. (a cura di), Re-Cycle Veneto. Roma: Aracne Editrice, pp. 11-23. – Gehl, J. (2012). Vita in città. Spazio urbano e relazioni sociali. Sant’Arcangelo di Romagna: Maggioli Editore. – Goffman, E. (2006). Il comportamento in pubblico. L’interazione sociale nei luoghi di riunione (F. Basaglia, trad.). Torino: Piccola Biblioteca Einaudi. (opera originale pubblicata nel 1971). – Smithson, A., Smithson, P. (1990). The “As Found” and the “Found”. In Robbins, D. (a cura di), The Independent Group. Postwar Britain and the Aesthetics of Plenty. Cambridge: The MIT Press, pp. 201-202. – Strauven, F. (1998). Aldo van Eyck. The shape of relativity. Amsterdam: Architectura & Natura.

Caterina Rigo

Architetto, PhD candidate all’Università Politecnica delle Marche. rigocaterina@gmail.com

Martina Campanelli

Studentessa presso l’Università Politecnica delle Marche. campanelli.martina@gmail.com

Claudia Massioni

Studentessa presso l’Università Politecnica delle Marche. claudia.massioni@gmail.com

Benedetta Staccioli

Studentessa presso l’Università Politecnica delle Marche. benedettastaccioli@gmail.com

Nicolò Agostinelli

Studente presso l’Università Politecnica delle Marche. nicol.agostinelli@libero.it

Leonardo Binni

Studente presso l’Università Politecnica delle Marche. leonardo.binni@hotmail.it

UpCycling Territories The reflection on the concept of "void" in urban planning and architecture leads to the awareness that a territory characterized by empty spaces is consequently full of opportunities: the void becomes a tool for design and connection in those realities where the urban fabric presents evident discontinuities. UpCycling Territories suggests a territorial mending strategy with a multi-scalar approach that can integrate human settlements and natural and historical-cultural systems with the subjects of the productive sector, for shared and sustainable territorial development scenarios.*

l vuoto: da spazio di risulta a elemento di progetto

Nell’analisi dei territori abitati emergono spesso problematiche frequenti, quali il distacco tra tessuto costruito e ambiente, gli spazi congestionati, l’abbandono dei centri urbani e il sottoutilizzo delle risorse. Criticità simili innescano processi di generazione di vuoti all’interno dello spazio urbano. Partendo dall’etimologia del termine, un “vuoto” viene inteso nell’immaginario comune della cultura occidentale come una mancanza, una sospensione, una negatività che deve per forza essere sostituita e colmata.

Lor m i psum e 10 MINS

15 MINS 5 MINS 5 MINS

0 1km

01. Analisi del territorio di Laterza (TA) e individuazione dei vuoti locali. Territorial analysis of Laterza (TA) and identification of local voids. Caterina Rigo, Nicolò Agostinelli, Leonardo Binni, Martina Campanelli, Claudia Massioni, Benedetta Staccioli

UpCycling Territories

Strategie multiscalari per un nuovo paesaggio produttivo

Nell’ambito del progetto architettonico e urbano si può invece parlare di un rovesciamento di tale paradigma conferendo al concetto di vuoto un valore differente, fino a definire un luogo - o un territorio - “ricco di vuoti” attraverso diverse chiavi di lettura.

La città necessita di spazi liberi per permettere all’uomo di muoversi con facilità: dove c’è assenza di materia, si rende possibile la presenza di persone (Di Giovanni, 2018). Inoltre, il vuoto non è semplicemente spazio inoccupato, punto di disconnessione del tessuto urbano, bensì giuntura che offre innumerevoli opportunità per dare nuovamente continuità al territorio e alla sua comunità (Ferretti, 2016).

Le aree di risulta nate durante l’incontrollata espansione urbana possono conoscere una seconda vita nella pratica odierna: i vuoti concepiti come spazi aperti sono liberi dalla struttura ideologica a cui appartenevano e diventano quindi dei fattori dalla potenzialità unica per la costruzione di una nuova realtà pubblica (Lopez-Pineiro, 2020).

La definizione di una rete di vuoti assume una valenza imprevista, che stimola la progettazione su piccoli spazi, aperti e diffusi, con l’obiettivo di restituire una nuova immagine alla città, ovvero al territorio che la circonda, riscoprendo il valore dell’incontro e della partecipazione.

Il risultato finale costituisce una matrice applicabile a sistemi territoriali analoghi

Il progetto come occasione di ricerca

Un terreno di sperimentazione su questo tema è stato il concorso Europan151, nel sito di Laterza, comune pugliese di 15.000 abitanti situato nell’Arco Ionico-Tarantino, a circa 20 km da Matera. L’insediamento sorge sulla sponda occidentale del più vasto canyon europeo, parte del Parco Naturale Terra delle Gravine. Lo stato di fatto, analizzato anche attraverso un questionario rivolto ai residenti, restituisce lo scenario di una città che, nonostante il potenziale a disposizione legato al patrimonio naturale, storico e culturale, ha perso i suoi spazi vitali e i suoi riferimenti. La mancata integrazione tra insediamento urbano e gravina e l’invasione delle automobili nel centro città possono considerarsi le concause della formazione di una moltitudine di aree di risulta. Il distacco dall’area naturalistica - che si estende su una superficie di 5.000 ha - è evidenziato dalla carenza di collegamenti al canyon, accessibile esclusivamente a circa 2 km dall’agglomerato urbano. Contemporaneamente, l’insufficienza di posti auto - il PUG2 evidenzia la necessità di ulteriori 23.700 mq da destinare a parcheggio - ha trasformato gli spazi vuoti in aree per la sosta delle vetture, con frequenti incidenti, picchi di traffico e conseguente discomfort acustico. La riqualificazione delle tre piazze principali, oggetto di concorso, è diventata occasione per indagare strategie di riconnessione degli spazi vuoti all’interno del tessuto territoriale.

Multiscalarità: dall’uomo al territorio

In un contesto simile, caratterizzato da vuoti naturali e urbani che dettano il ritmo dell’abitato, il progetto UpCyclingGravina3 propone una strategia territoriale di ricucitura che possa integrare gli insediamenti umani e i sistemi paesaggistico e storico-culturale, con i soggetti del settore produttivo, per uno sviluppo territoriale condiviso e sostenibile. Lo spazio pubblico, da ripensare, diventa il collante tra gli elementi sopra citati e assume un potenziale maggiore in un territorio discontinuo e caratterizzato da autonomi singhiozzi urbani (Di Giovanni, 2018). La definizione di un network su scala sovraregionale (img. 02) aspira a riconnettere le città dell’Arco Ionico-Tarantino e ri-

02. Rete di infrastrutture lente nell’area vasta dell’Arco Ionico-Tarantino. I percorsi si relazionano alla rete dei tratturi, sentieri a fondo naturale originati dal passaggio delle greggi durante la transumanza, che si snodano dalle montagne abruzzesi fino ai pascoli di Puglia e Basilicata. Slow infrastructure network in the wide area of the Arco Ionico-Tarantino. The routes relate to the network of sheep tracks, natural paths created by the passage of cattle during transhumance, which run from the mountains of Abruzzo to the pastures of Puglia and Basilicata. Caterina Rigo, Nicolò Agostinelli, Leonardo Binni, Martina Campanelli, Claudia Massioni, Benedetta Staccioli

attivare una stretta relazione tra insediamenti umani e natura, attualmente mancante. Un dialogo reso possibile da un progetto che ha come orizzonte un unico tessuto territoriale in cui l’infrastruttura lenta che tende a ripercorrere le antiche vie dei pastori, concepita su diverse scale di azione, pone le basi per una ricomposizione degli insediamenti.

Risulta idoneo affrontare la situazione attraverso un approccio multiscalare (Schröder e Ferretti, 2018): partendo da una visione di area vasta si individuano problematiche e potenzialità del territorio - in particolare la presenza diffusa di vuoti (img. 01) - così da definire, in secondo luogo, una strategia comune di sviluppo tra le realtà interessate. Gli interventi place-based sono pensati per essere non solo nodi del progetto territoriale, ma anche punti caratteristici dello spazio pubblico che acquisiscono significato in base alle necessità, alle peculiarità e alle tradizioni di ciascuna comunità.

I dati raccolti nelle analisi del PUG di Laterza evidenziano la scarsità di investimenti da parte dell’amministrazione locale nelle attività di promozione turistica (quota pari allo 0,13% della spesa pubblica). Tra i dati relativi all’uso di suolo, si nota che il 65,08% del territorio comunale è qualificato come superficie agricola produttiva, di cui più del 90% risulta utilizzata. Mettendo a sistema la mancanza di offerta turistica con la quantità e la qualità delle produzioni tipiche locali, diviene logico definire interventi che favoriscano la crescita di un turismo slow, che incoraggi il visitatore a una percorrenza lenta del territorio, per godere maggiormente del valore paesaggistico e dei prodotti enogastronomici e artigianali locali legati ad un turismo rurale. La riconfigurazione, spaziale e funzionale, si attiva all’interno della città attraverso una mobilità sostenibile che lega i vuoti in trasformazione, conferendo indirettamente allo spazio urbano un nuovo ruolo (img. 03). Nello specifico, il progetto propone la realizzazione di interventi sui vuoti nel tessuto urbano, organizzati per fasi

P P

P

P

vegetation of the gravina productive farms around the gravina

design elements

landscaping cycle-pedestrian paths

P

hiking path in the gravina parking areas

0 1 km

03. Scenario di attivazione delle infrastrutture lente e riconversione dei vuoti locali. Slow infrastructure service activation and reconversion of local voids scenario. Caterina Rigo, Nicolò Agostinelli, Leonardo Binni, Martina Campanelli, Claudia Massioni, Benedetta Staccioli successive. Partendo dalla definizione di percorsi e itinerari ciclo-pedonali ed escursionistici, che connettono il centro città al territorio circostante, si propone un sistema di parcheggi utilizzando i terreni abbandonati sull’anello esterno dell'abitato. La mobilità sostenibile viene implementata attraverso l’istituzione di un servizio di bike sharing e il miglioramento dei

Occorre riattivare una stretta relazione tra insediamenti umani e natura

04. Confronto tra lo stato di fatto e l’idea di progetto nello scenario UpCyclinGravina, nel quale lo spazio pubblico diventa catalizzatore per attività di scambio e relazioni sociali. Comparison between the actual situation and the project idea in the UpCyclinGravina scenario, where the public space becomes a catalyst for exchange activities and social relations. Caterina Rigo, Nicolò Agostinelli, Leonardo Binni, Martina Campanelli, Claudia Massioni, Benedetta Staccioli trasporti pubblici, arrivando in ultima fase all’attivazione di un’area pedonale in corrispondenza degli spazi aperti di maggior affluenza: le tre piazze principali e il centro storico (img. 04).

Co-design: prospettive per lo sviluppo dei territori abitati

Il risultato dello studio effettuato costituisce una matrice applicabile a sistemi territoriali analoghi, con lo scopo di mantenere attivi e implementare i sistemi portanti delle città. L’incuria e l’inutilizzo delle risorse vengono così contrastati da un processo di trasformazione che ha origine con la definizione di una infrastruttura lenta e con il recupero di suoli e habitat. Le diverse situazioni contestuali possono offrire molteplici vie di intervento place-based, per nulla scontate, basate su catalizzatori di attività di scambio e relazione sociale a scala umana all’interno dello spazio pubblico. All’orizzonte del lavoro svolto diventano interessanti gli scenari di sviluppo futuro, tra i quali l’opportunità di progettare gli spazi tramite sistemi open source e l’immissione nella rete di sistemi tecnologici di gestione integrata (Ratti e Claudel, 2016). In entrambe le situazioni la partecipazione della comunità diventa attiva: si rovescia il concetto di masterplan che produce soluzioni obsolete a causa di una visione statica della città. Il cittadino diventa dunque co-attore del processo, rendendo la trasformazione del territorio e i suoi obiettivi elementi dinamici e perciò in continuo adeguamento alle esigenze della comunità.*

NOTE 1 – Europan è un concorso internazionale di idee, organizzato dall’associazione Europan Europe, che coinvolge siti di progetto in tutta Europa. La quindicesima edizione, intitolata Productive Cities 2, intende focalizzare l’attenzione sulla transizione ecologica in relazione a una visione futura delle città produttive. 2 – I dati sono tratti dalla Relazione Generale del Piano Urbanistico Generale del Comune di Laterza, novembre 2018. 3 – UpCyclinGravina è il titolo del progetto presentato dagli autori del presente contributo a Europan15, Menzione Speciale per il sito di Laterza (TA).

BIBLIOGRAFIA – Di Giovanni, A. (2018). Vuoti Urbani come Risorsa per il Progetto dello Spazio Pubblico Contemporaneo. Planum. The Journal of Urbanism, n. 37, vol. 2, pp. 1-28. – Ferretti M. (2016). Land stocks. New operational landscapes of city and territory. Trento: List. – Lopez-Pineiro, S. (2020). A Glossary of Urban Voids. Berlino: Jovis. – Ratti, C., Claudel, M. (2016). The city of tomorrow. Sensors, networks, hackers, and the future of urban life. New Haven and London: Yale University Press. – Schröder, J., Ferretti, M. (a cura di) (2018). Scenarios and Patterns for Regiobranding. Berlino: Jovis.

Angela D'Alessio

Architetto, laurea magistrale in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia. angeladalessio1996@gmail.com

Chiara Sanguin

Architetto, laurea magistrale in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia. chiarasanguin94@gmail.com

Void and property Is it possible, following war events, to convert the unexpected void into strategic urban material in order to adapt cities to the changing world? The problems connected to the topics of void and property offer indeed a large number of design input; together with a bottom-up logic and interest in sustainability issues, they represent the starting point for the reconstruction of an Afghan city like Ghazni, characterized by a long history of wars and destruction concerning both urbanized areas and more spontaneous landscapes.*

umerosi sono oggi nel mondo i Paesi che, a causa di guerre e conflitti di varia natura, vedono i propri territori costellarsi di spazi distrutti che definiscono condizioni diverse di vuoto all’interno degli insediamenti urbani. Episodi distruttivi più o meno consistenti delineano una vasta gamma di tessuti interrotti, reti urbane e rurali lacerate nella loro natura di sistemi transcalari, e quindi non più in grado di rispondere ai bisogni delle comunità in essa insediati.

Una lettura critica di tali fenomeni ne suggerisce un’interpretazione alternativa, in cui il “vuoto inaspettato” rappresenta un’occasione concreta

01. Strategia di agopuntura urbana nella macrocellula di progetto. Urban acupuncture strategy in the project macrocell. Angela D’Alessio, Chiara Sanguin

Vuoto e proprietà

Triggers per la ricostruzione sostenibile dei villaggi afgani

02. Ricucitura del tessuto interrotto. Reconnection of the broken urban fabric. Angela D’Alessio, Chiara Sanguin

per cicatrizzare le ferite dei tessuti colpiti e dare soluzioni alle discontinuità urbane, costruendo nuove e più efficaci relazioni spaziali tra di esse.

Nello specifico, l’obiettivo di questa sperimentazione è infatti la ricerca di una strategia di ricostruzione post-bellica che, a partire dal potenziale rigenerativo dei vuoti, sia capace di innescare cambiamenti a grande scala, attraverso interventi puntuali e graduali nel tempo. Tale strategia è sviluppata in un’area periurbana della città di Ghazni, uno dei principali centri di transito dell’Afghanistan sud-orientale. La macroarea di intervento, la quale coinvolge cinque villaggi rurali a sud-ovest del nucleo urbano, delinea un paesaggio spontaneo ma ricco di vincoli, che comprende dinamiche eterogenee legate in particolare all’assetto proprietario.

Nell’ambito di un’attenta osservazione dei tessuti insediativi individuabili nel territorio, i villaggi analizzati rientrano nella categoria del tessuto informale spontaneo, al quale si affiancano il centro storico, il tessuto formale e, infine, il tessuto informale pianificato. Le differenze tra i tessuti insediativi non riguardano il solo aspetto formale, ma anche quello delle proprietà. Infatti, a causa dell’assenza di una legge univoca che regoli gli assetti proprietari e per via degli elevati costi del processo di registrazione, nella situazione attuale, la maggior parte delle proprietà non sono registrate o lo sono soltanto in maniera non ufficiale (UN-Habitat, 2015). Queste appartengono prevalentemente ai tessuti informali, dove la grande insicurezza fondiaria genera numerose dispute tra abitanti o imprese immobiliari, che spesso usurpano i territori illegittimamente o se ne appropriano in modo abusivo, ridefinendo il disegno degli alti muri di recinzione in terra cruda, che racchiudono le abitazioni e che scandiscono in modo peculiare il territorio.

Dunque i temi “recinto” e “proprietà” hanno costituito fin da subito un elemento primario nel ridisegno dell’area di progetto, articolato suddividendo i cinque villaggi coinvolti in microcellule omogenee, in cui poter applicare, con tempistiche differenziate, una strategia di “agopuntura urbana”. Essa prevede l’individuazione, in ciascuna cellula, di spazi vuoti strategici, i quali vengono poi caratterizzati come dispositivi aggregativi pubblici e assumono la funzione di stimolare lo sviluppo della città, producendo in essa benefici a lungo termine.

A partire quindi dalle condizioni dei recinti preesistenti e di quelli distrutti, la proposta è innanzitutto basata sulla ricomposizione dell’assetto proprietario originario che - realizzato mediante foto storiche, testimonianze o immagini satellitari - garantirà un forte incentivo per la popolazione a ritornare presso i propri villaggi d’origine, sovvertendo la tendenza all’accentramento verso le città, che oggi caratterizza l’intero ter-

Il “vuoto inaspettato” rappresenta un’occasione per cicatrizzare le ferite dei tessuti colpiti e dare soluzioni alle discontinuità urbane, costruendo nuove relazioni spaziali

Il processo mira a generare una più ampia rinascita locale, che possa ritenersi tale anche sul piano tecnologico, economico e, soprattutto, sociale

03. Progetto di un processo: graduale caratterizzazione dei vuoti. Project of a process: phased characterization of voids. Angela D’Alessio, Chiara Sanguin ritorio afghano. Inoltre l’affermazione della proprietà pubblica e, in fasi più avanzate del processo di ricostruzione, di quella comunitaria, consentirà una ricucitura dei tessuti interrotti, sviluppando una strategia di progetto, articolata in microinterventi, che tiene in grande considerazione il fattore tempo.

Quindi, più che un progetto degli interventi iniziali che faranno da innesco alla ricostruzione del tessuto abitativo, la tesi1 rappresenta il progetto di un processo.

Tale processo è stato studiato in particolare in una cellula, che ingloba il villaggio di Ghaib Kalandar; essa è stata ripensata secondo una concezione nuova dello spazio della strada, il cui disegno scaturisce dalle nuove esigenze dimensionali legate alla mobilità elettrica. Perseguendo l’obiettivo di non intaccare il quadro proprietario preesistente, la strada diventa uno spazio abitabile, concepito non come un elemento rettilineo destinato alle automobili, ma come una successione di stanze, definite da setti più o meno forati, incastrate nel tessuto costruito e vivibili in maniera ibrida tra pedoni e veicoli. Il progetto della ricostruzione dei villaggi informali a partire dai public enclosures, cioè recinti pubblici, rappresenta un innesco sia sul piano formale e architettonico, sia su quello infrastrutturale. Infatti, per far fronte alle

04. Sistema modulare in cartone ondulato, profili pultrusi e macerie. Modular system with corrugated cardboard, pultruded profile and rubbles. Angela D’Alessio, Chiara Sanguin problematiche legate alla carenza di infrastrutture, all’interno dei nuovi spazi pubblici sono previsti appositi ambienti destinati a ospitare microimpianti per la produzione di biogas, che si configurano come un sistema sostenibile e autosufficiente. Alimentati da microreti di fognature in depressione e dai rifiuti organici da cucina, essi saranno in grado di convogliare alle abitazioni private gas pronto alla combustione; mediante tubature inglobate nei nuovi recinti, quest’ultimo raggiungerà le varie famiglie, che potranno usufruirne per riscaldamento o per cucinare.

La sostenibilità degli spazi pubblici sviluppati nel progetto si realizza anche nella flessibilità funzionale degli ambienti. In un primo momento, in effetti, sarà opportuno destinare degli spazi alle attività formative e di laboratorio, gestite da un Reconstruction Lab in favore delle popolazioni locali; successivamente essi ospiteranno attività di mixed-use, pratica che da tempo mantiene viva l’economia locale e favorisce l’impiego delle fasce deboli della popolazione. Infatti, la caratterizzazione funzionale dei dispositivi aggregativi si svilupperà nelle varie fasi della ricostruzione con varianti differenti, legate alla progressiva riduzione della scala degli interventi e alla graduale affermazione del ruolo del privato nella realizzazione degli spazi. Tali spazi saranno in un primo momento finanziati da enti del calibro della World Bank e successivamente da gruppi autogestiti di privati.

Nel disegno delle nuove stanze urbane, mirato a colmare i vuoti inattesi che gli eventi bellici hanno prodotto, l’imponenza dimensionale e l’attenzione per la geometria sono state reinterpretate a partire dall’architettura Moghul, parte integrante del patrimonio culturale afgano (Petruccioli, 1985). Il progetto dell’attacco a terra vede inoltre la definizione di una pianta ricca, articolata con ambienti a forma poligonale, attraverso l’utilizzo di materiali poveri e reperibili in loco, nello specifico, macerie, profilati plastici pultrusi e cartone ondulato. In effetti, il sistema costruttivo prevede l’accostamento di moduli-parete commisurati in maniera idonea a tutte le esigenze dimensionali legate alla mobilità su gomma; essi sono costituiti da box in cartone ondulato multistrato, al cui interno sono inserite macerie tritate e, dove necessario, profili pultrusi di rinforzo (Eekhout et al., 2008). La scelta di questi materiali è stata dettata da diversi fattori, primo fra tutti, la possibilità di avviare un sistema di economia circolare; questo risulterà vantaggioso fin dalle prime fasi del processo — favorendo la riattivazione di vari settori produttivi — e consentirà poi di ottenere ulteriori benefici tramite il riciclo e il riuso dei materiali, che garantiranno un impatto ambientale ridotto.

In sostanza, il progetto tenta di innescare un processo di ricostruzione che coinvolga molteplici aspetti differenti: oltre alla ricomposizione formale delle abitazioni e al ripopolamento dei villaggi, il processo, costituito da interventi puntuali, a scale diverse e con un timing differenziato, mira a generare una più ampia rinascita locale, che possa ritenersi tale anche sul piano tecnologico, economico e, soprattutto, sociale.*

NOTE 1 – Si tratta della tesi dal titolo Triggers for sustainable reconstruction of Afghan villages. Public enclosures discussa dalle autrici nell’a.a. 2018/19 (relatore prof. B. Albrecht; correlatori arch. E. Antoniol, prof. M. Scarpa).

BIBLIOGRAFIA – Eekhout, M., Verheijen, F., Visser, R. (2008). Cardboard in architecture. Architecture in cardboard. Amsterdam: IOS Press. – Petruccioli, A. (1985). Dar al-islam. Architetture del territorio nei paesi islamici. Roma: Carucci. – UN-Habitat Programme Team (2015). State of Afghan cities, vol. I-II. Kabul: UN-Habitat Afghanistan.

Franca Ciantia

Professoressa e storica, associazione Ecomuseo: I semi di Demetra.

Paola Donatella Di Vita

Ingegnere urbanista, Legambiente.

Emanuele Poki

Artista muralista, Systema Naturae.

An empty sack cannot stand upright

The spaces left empty offer opportunities for the birth and development of new cultural and social ecosystems. In analogy to the pioneer vegetation that claims its ecological niches, laying the foundations for a reconquest of nature, the artistic intervention within the abandoned urban space creates the fertile ground for the rebirth of the same fabric. The hamlet of San Giacomo, thanks mainly to spontaneous artistic interventions almost replacing those promoted by the administration, is finally experiencing a slow revaluation that is also expressed in a series of projects for the revitalization of the area.*

li spazi lasciati vuoti offrono opportunità per la nascita e lo sviluppo di nuovi ecosistemi culturali e sociali. In analogia alla vegetazione pioniera che reclama le proprie nicchie ecologiche gettando le basi per un riconquista della natura, l’intervento artistico, all’interno dello spazio urbano abbandonato, crea il terreno fertile per la rinascita dello stesso tessuto.

Come un ecosistema naturale vivo e vitale è caratterizzato dal maggior numero possibile di relazioni virtuose tra gli elementi che lo abitano, così lo è un ecosistema urbano (Conti, 1969; Adler, 2013). Purtroppo Aidone ha visto dimezzarsi la sua popolazione passando da circa 10.000 abitanti negli anni ’50 a meno di 5.000 abitanti nel presente decennio, San Giacomo ha particolarmente subìto questa emorragia di persone, relazioni e risorse vitali. L’abbandono ha reso evidenti, nel loro svuotamento, alcune nicchie ecologiche di questo antico ecosistema di quartiere.

Con il termine “nicchia ecologica” indichiamo le relazioni di una specie, o di una popolazione, all'interno di un ecosistema. Una nicchia ecologica è determinata dalla popolazione che la abita, pertanto lo spazio vuoto, quando inizia ad essere scenario di un vissuto di relazioni, cambia nella sua essenza (Norberg-Schultz, 1986). Cos’è uno spazio vuoto in relazione al tessuto urbano? È uno spazio dove non ci sono strutture? Lo stesso spazio vuoto, semplicemente cambiando di funzione, può diventare pieno sostituendo lo spazio iniziale con un parco o un’area di rispetto, pur non cambiando nella sua fisicità? In tal senso sono le relazioni e le funzioni a determinare uno

01. Foto storica ricolorata del quartiere di San Giacomo. Recolored historical photo of San Giacomo district. Franca Ciantia

'n saccu vacanti non pò stari addritta

Un sacco vuoto non può stare in piedi. La sfida siciliana del quartiere San Giacomo ad Aidone

02. Veduta di casa Calcagno. View of Calcagno’s house. Franca Ciantia spazio, e sono l’assenza o l’invisibilità delle stesse a caratterizzarne il vuoto. Ecco che recuperare una dimensione dello spazio e del territorio, capace di ridare significato ai luoghi e di generare relazioni, diventa una necessità di chi abita tale vuoto (AA. VV., 1974).

Forzando, forse in modo improprio, la massima “wittgensteiniana” che asserisce “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo” (Wittgenstein, 1922, p. 151) possiamo affermare che i limiti della nostra nicchia ecologica sono i limiti del linguaggio che utilizziamo per comunicare con il territorio. Il superamento dei limiti del nostro linguaggio, e della nostra nicchia ecologica, è possibile tramite l’intervento artistico. Joseph Kosuth (1990) è convinto che l’arte sia generatrice di significati, pertanto l’intervento artistico si configura come estensione ed espansione del linguaggio superando di volta in volta, in un contesto urbano ed extraurbano, i limiti che ostacolano la comunicazione con il territorio.

Approccio e metodi, risultati e discussione

Descrivere le dinamiche relative al vuoto nel quartiere di San Giacomo è stato possibile tramite una rapida analisi urbanistica e sociale e una raccolta aneddotica che ben esprime la necessità del ripristino di una rete trofica di relazioni urbane.

Il quartiere San Giacomo rappresenta il cuore della città antica di Aidone (Mazzola, 1913), un piccolo centro di circa 5.000 abitanti nel centro della Sicilia — isola nell’isola — come lo definì uno dei suoi figli più illustri, Ottavio Profeta (Raffiotta, 2015). Nel tempo, da spazio “pieno”, cuore pulsante della vita quotidiana, si è trasformato in uno spazio “vuoto”, diventando periferia dentro la città, destino analogo a quello di molti piccoli borghi dei comuni isolani. La crisi delle aree interne ha fatto il resto. Aidone ha, ancora attivo, un PdF (Programma di Fabbricazione) del 1978 e, nonostante l’obbligo di dotarsi di un PRG, mantiene una visione urbanistica gattopardesca1. Nel 2007 il comune presentò, ottenendone il finanziamento, un Contratto di Quartiere (CdQ) per la riqualificazione di San Giacomo. L’azione pubblica tuttavia, andando in direzione contraria allo spirito stesso del CdQ, venne declinata in interventi di semplici ristrutturazioni immobiliari da destinare a funzione pubblica e di edilizia sovvenzionata. Si intervenne quindi per punti senza tener conto dello “spazio” di intervento e in assenza di uno studio sistemico in relazione ai servizi e agli altri elementi del paese, relegando ancora una volta lo spazio al vuoto.

Il vuoto normativo e l’inefficacia dello strumento urbanistico sono stati colmati in maniera trasversale dalla libera iniziativa dei singoli cittadini, tramite interventi artistici spontanei.

Paradossalmente ad oggi il piano di rilancio di San Giacomo più aggiornato è la mappa disegnata e sviluppata, tramite un approccio partecipativo, da Gianlorenzo Suffia in occasione del Co.Ri Festival. Nella mappa San Giaco-

I limiti della nostra nicchia ecologica sono i limiti del linguaggio che utilizziamo per comunicare con il territorio

mo è in relazione con il resto dell’abitato urbano, alla scala dei rapporti personali e della dimensione artistica.

Ed è in questo contesto di vuoto normativo che interviene l’azione della comunità locale, agendo con modalità trasversale e intergenerazionale, in grado di interpretare lo spirito della Convenzione di Faro del 2005, ratificata in Italia solo da pochi mesi2. Nel 2017 tra i vicoli dell’antico borgo, grazie alle diverse realtà associative del paese, nasce e cresce il Co.Ri. Festival, caratterizzato da proposte artistiche spontanee e conviviali, talvolta legate a un filo conduttore, ma non imbrigliate allo stesso3. I giovani e ragazzi aidonesi hanno dato vita a un laboratorio culturale volto alla rigenerazione urbana, trasformando l’antico centro storico nel proprio campo sperimentale. Tale festival prende forma dall’azione di Attilio Calcagno che, rientrato nel 1993 da Milano, dove era emigrato negli anni ’50 del secolo scorso, sta dedicando il resto della sua vita al recupero del suo quartiere di San Giacomo. L’opera di recupero si è concretizzata nella creazione della piazzetta della Buona Volontà, costruita da Calcagno con l’aiuto di altri volontari. La piazzetta oggi è in grado di generare significati e relazioni nuovi. L’opera di Calcagno è proseguita attraverso interventi artistici sulla propria abitazione, interventi che hanno donato un carattere nuovo al paesaggio. L’opera di riciclo creativo è creata con piastrelle recuperate, che intere o a frammenti, compongono il mosaico. Le arcate mosaicate inquadrano dipinti rappresentanti scene naturalistiche, monumenti aidonesi, scorci panoramici.

L’inadeguatezza degli strumenti urbanistici applicati a nuclei abitativi particolarmente piccoli e sofferenti

03. Porta abbandonata affrescata da Erika Calcagno con l’aforisma di Zina Lomonaco “L’attimo in cui decidi di partire racchiude lo spazio tra la speranza ed il rimpianto”.Abandoned door frescoed by Erika Calcagno with the aphorism by Zina Lomonaco "The moment you decide to leave encloses the space between hope and regret". Paola Donatella Di Vita

04. Affresco murale rimandante al mito di Ade e Proserpina all’ingresso del quartiere di San Giacomo. L’opera di Poki rientra nel progetto artistico di Systema Naturae. Mural fresco referring to the myth of Hades and Proserpina at the entrance to the San Giacomo district. Poki's work is part of the Systema Naturae artistic project. Emanuele Poki

L’intervento artistico si configura come estensione ed espansione del linguaggio

Il quartiere mantiene poche delle vecchie unità abitative ancora intatte, recuperabili come testimonianza dell’urbanistica tipica. Un esempio in tale direzione lo abbiamo a pochi metri in linea d’aria dalla casa Calcagno, dietro la chiesa di San Domenico, dove il signor Vittorio Lingenti ha offerto ai paesani e ai turisti la possibilità di entrare nella casa dei nonni rimasta perfettamente intatta, non solo nella struttura edilizia, ma anche negli arredi. Si tratta di una classica casa del piccolo proprietario terriero, “A casa du masser”. Una casa un po’ più complessa delle casette dei braccianti e degli operai, la maggioranza delle case del quartiere, costituite dai due monolocali, uno al piano terra e l’altro al piano superiore: la “camera”, dove viveva e dormiva la famiglia, e il catoio, a livello di strada, dove trovavano ricovero gli animali domestici, il forno a legna e il magazzino.

Conclusioni

Le dimensioni di spontaneità generativa urbana precedentemente descritte hanno incontrato e incontrano ora opposizione e resistenze, ora approvazione, in funzione dei gruppi di interesse e potere che si alternano a livello comunale. Tuttavia esse permettono di evidenziare l’inadeguatezza degli strumenti urbanistici applicati a nuclei abitativi particolarmente piccoli e sofferenti nei quali la dimensione

06. Mappa di San Giacomo creata da Gianlorenzo Suffia in occasione del Co.Ri. Festival. Map of San Giacomo created by Gianlorenzo Suffia on the occasion of the Co.Ri. Festival. Paola Donatella Di Vita

preponderante è, anche storicamente, quella delle relazioni personali e della partecipazione alla vita collettiva. Tuttavia le dinamiche osservate a San Giacomo hanno evidenziato come un ecosistema urbano possa offrire opportunità ecologiche in senso ampio (Morin, 1993), favorendo una biodiversità culturale, sociale e ideale capace di colmare il vuoto fisico tramite la generazione di un’idea coerente dello spazio urbano (Dubbini, 1994; Giaccardi, Magatti, 2013).

Le prospettive future di sviluppo di realtà quali Aidone non possono prescindere da uno sviluppo urbano slegato dall’idea di crescita integrale (Gherardi, Magatti, 2014) e realizzazione non solo dei singoli abitanti ma, del tessuto stesso tramite la ricerca di una coerenza semiotica ed ecologica del territorio, capace di colmare un vuoto che trascende lo spazio fisico.*

NOTE 1 – Il primo strumento urbanistico adottato ad Aidone è stato Il Piano di Fabbricazione (PdF) adottato con Delibera del Consiglio Comunale n° 23 il 23 febbraio 1978, approvato dal livello regionale l’anno seguente. Il 13 novembre 1997 con Delibera Commissariale n° 74 venne approvato lo schema di massima del PRG, che non venne messo in pratica. Considerata la persistente inadempienza del comune la regione ha nominato nel 2017 un commissario straordinario per gli atti del PRG. Lo stesso, con i poteri della giunta, con la Delibera n° 87 del 17 maggio 2018 costituisce l'Ufficio di Piano (UdP) per la revisione del PRG ma, ad oggi non si registrano passi in avanti. 2 – Seduta Parlamentare del 23 Settembre 2020. Ratifica ed esecuzione della Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005. DdL 257. Approvato definitivamente. 3 – L’acronimo Co.Ri. sta per Comitato della Rinascita e gioca con la parola “cori” che in siciliano vuol dire cuore e in greco antico identifica i luoghi pubblici di aggregazione conviviale. Stando alla descrizione degli ideatori il festival è: “Musica, pittura, fotografia, arte contemporanea e itinerario enogastronomico. Il Viaggio dal vecchio entroterra al nuovo mondo, e dalla società attuale allo scrigno delle tradizioni. […] Il Co.Ri. Festival sarà il festival di tutti. I pittori potranno partecipare all'estemporanea tra i cortili storici di Aidone, così come i fotografi e gli scrittori potranno condividere le proprie opere sul viaggio. Attività per bambini, racconti di viaggio dall'Antartide al Sahara la mattina, laboratori di innovazione sociale il pomeriggio e concerti e performance artistiche la sera, arricchiranno il programma in tutta la sua varietà. Ragazzi, appassionati di musica e di arte, buongustai da tutta la Sicilia e da tutto il mondo”.

BIBLIOGRAFIA – AA.VV. (1974). Paysage et analyse sémiologique. L’Espace Géographie, n. 2, pp. 150-152. – Adler, F. R., Tanner, C. J. (2013). Urban Ecosystems: Ecological Principles for the Built Environment. Cambridge UK: Cambridge University Press. – Consiglio d’Europa, (2005). Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società. Faro (Portogallo). – Conti, L. (1969). Che cos’è l’ecologia. Milano: Mazzotta. – Dubbini, R. (1994). Geografie dello sguardo. Torino: Einaudi. – Giaccardi, C., Magatti, M. (2013). Sistemi funzionali, media e relazioni sociali. In Danani C., Etica per l'umano e spirito del capitalismo, pp. 147-164. – Gherardi, L., Magatti, M. (2014). Una nuova prosperità. Quattro vie per una crescita integrale. Milano: Feltrinelli. – Kosuth, J. (1990). The Play of the Unsayable: Ludwig Wittgenstein and the Art of the 20th century. Curatela presso Palazzo della Secessione. Vienna (Austria). – Mazzola, G. (1913). Storia di Aidone. Catania: Niccolò Giannotta. – Morin, E. (1993). Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi. Milano: Feltrinelli. – Norberg-Schultz, C. (1986). Genius loci. Milano: Electa. – Raffiotta, S. (2015). Ottavio Profeta, il poeta di Aidone. Enna: Editopera. – Wittgenstein, L. (1922). Tractatus logico-philosophicus. Londra: Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., LTD.

Stefania Gruosso

Assegnista di ricerca presso l’Università G.d’Annunzio Chieti-Pescara. stefaniagruosso@gmail.com

Sarajevo post-conflict Sarajevo, the capital city of Bosnia and Herzegovina, is today a city in transition, collecting pieces from the madness of a nationalist war during the 1990s addressed to break up the city and the most representative architecture of Bosnian cultural, social and identity values. The end of the conflict has inaugurated an equally complex and painful season: the city is still finding the balance between the need to remember and commemorate its past, and the need to look and move ahead. In this moment of great fragility the urban voids acquire new and different meanings: they are traces of a collective memory but also opportunities to shape a new identity. The Marijn Dvor neighbourhood, considered to be the new city centre of contemporary Sarajevo, has turned into an urban laboratory of experimentation, where the premises for an authentic rebirth of the city may see the light of day.* arajevo, 1992: “È un bivio esposto ai venti e al tiro dei cecchini imboscati sulla collina nei boschi di larici di Staro Brdo. […] I muri, gli alberi, i marciapiedi sono devastati, nel corso dei mesi, dal tiro dei carri armati. A quelle macerie si sono aggiunti i frantumi degli edifici circostanti, smossi dalle pale e dal vento […] Si cammina su un tappeto di vetri scricchiolanti, di pietre, di plinti chiodati e di calcinacci”.

01. Stratificazioni urbane. Le facciate ancora segnate dai colpi di mortaio e quelle contemporanee del Sarajevo City Center. Urban stratifications. The facades still marked by mortar fire and the contemporary of the Sarajevo City Center. Stefania Gruosso

Sarajevo post-conflitto

Il senso del vuoto nella costruzione di un’identità nuova

Con queste parole Jean Hatzfeld, nel libro L'Air de la guerre, descrive la sua esperienza, come giornalista di guerra, durante la tragedia bellica che colpì duramente la capitale bosniaca all’inizio degli anni ’90. Era il 5 aprile del 1992 quando, a Sarajevo, i cecchini iniziarono a sparare su una folla di dimostranti che manifestava per la pace. Cominciava l'assedio della città, il più lungo assedio nella storia bellica del XX secolo. Da quel momento una violenza immane colpisce Sarajevo per 1272 giorni, fino a dicembre del 1995, quando gli Accordi di Pace di Dayton misero ufficialmente fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. Quel che resta è un teatro di guerra, uno scenario urbano apocalittico. Attaccare la città era stato, infatti, lo scopo principale della guerra nazionalista, che ambiva alla distruzione della secolare identità di un luogo che era stato crocevia fisico, culturale e ideologico tra Oriente e Occidente e che si era storicamente contraddistinto come accogliente e cosmopolita (img. 02). Sarajevo è vittima di una deliberata strategia di pulizia urbana condotta attraverso una “wararchitecture”1 , una guerra che mira alla “distruzione dei manufatti culturali di un popolo o di una nazione nemici come mezzo per dominarli, terrorizzarli, dividerli o sradicarli” (Bevan, 2006).

La fine della guerra inaugura un capitolo altrettanto complesso e doloroso in

02. Vista di Sarajevo dalla Fortezza gialla dalla quale si comprende il progressivo sviluppo della città: ottomana, austroungarica, moderna e contemporanea. View of Sarajevo from the Yellow Fortress from which is understandable the progressive development of the city: Ottoman, Austro-Hungarian, modern and contemporary. Alessandra Olianas

Sarajevo è vittima di una deliberata strategia di pulizia urbana condotta attraverso una “wararchitecture”

cui si avvicendano la necessità di ricostruire, di non dimenticare, di commemorare e di ridefinire un’identità nuova. Il tema del vuoto, in una città martoriata dalla guerra, si carica di significati diversi che sono frutto di interrelazioni tra la città, l’evento bellico e la sua memoria. L’emergenza abitativa e la ricostruzione degli edifici simbolo dell’identità bosniaca sono tra le priorità della Sarajevo post-conflitto, ma vengono affiancate dalla voglia di ripartire attraverso un rinnovamento urbano che sia in grado di allontanare l’immagine di Sarajevo come città della guerra. Questa aspirazione non investe solo i residui della wararchitecture ma anche brani di città che si presentavano come vuoti urbani già prima del conflitto. Area simbolo di questo rinnovamento è Marijn Dvor, (img. 05) un tempo confine della Sarajevo imperiale, eletta a nuova centralità durante il dominio austro-ungarico, e che, a partire dagli anni ’90, si presenta come un laboratorio di sperimentazioni in cui il tema del vuoto, come materiale urbano strategico, si mostra in diverse declinazioni.

Durante il conflitto nessun edificio o spazio destinato ad eventi culturali venne risparmiato2 così alcuni dei più importanti progetti di trasformazione urbana post-bellica, a Marijn Dvor, ripensano i vuoti urbani come espressione della resistenza culturale della città. La cultura, e la re-istituzione dei luoghi della cultura, viene considerata infatti l’unica arma in grado di contrastare il tentativo nazionalista di omogeneizzazione e riaffermare l'unità bosniaca nella sua natura multiculturale. Un lembo di terra vacante, in prossimità del fiume Miljacka, diven-

03. Progetto Architettonico Preliminare a cura dell'architetto Renzo Piano. Sezione longitudinale che comprende il museo ARS AEVI e il nuovo ponte. Preliminary Architectural Design by architect Renzo Piano. Longitudinal section that include the ARS AEVI museum and the new bridge. Ars Aevi

04. Gli spazi espositivi di Ars Aevi Art Depot all'interno del Center Skenderija. Ars Aevi Art Depot exhibition spaces inside the Center Skenderija. Tarik Zahirovic courtesy of Ars Aevi

Il tema del vuoto, in una città martoriata dalla guerra, si carica di significati diversi che sono il frutto di interrelazioni tra la città, l’evento bellico e la sua memoria

ta l’occasione per tramutare in realtà l’utopico progetto pregresso dell’Ars Aevi, Museo di Arte Contemporanea di Sarajevo3. L’Ars Aevi nasce da un’idea di Enver Hadžiomerspahić quando la città era ancora sotto assedio. L’ideatore e direttore generale del progetto Ars Aevi racconta che “l’idea era quella di invitare artisti di tutto il mondo a donare delle opere che potessero, in futuro, comporre una collezione per il nuovo museo di arte contemporanea mondiale a Sarajevo”, contribuendo così alla rinascita della città. Nel 1999 l’architetto Renzo Piano dona il progetto della nuova sede i cui lavori hanno inizio nel 2002 con la costruzione di un ponte pedonale sul fiume Miljacka (img. 03). Sono passati ormai quasi 20 anni e nonostante il museo non sia stato ancora realizzato per carenza di fondi il progetto continua ad avere risonanza mondiale tanto che, nel 2018, Ars Aevi si candida ufficialmente a Premio Nobel per la Pace, come espressione di una volontà collettiva internazionale. Nell’attesa del museo permanente alcune delle 158 opere sono oggi esposte presso l’Ars Aevi Art Depot del Center Skenderija, a Marijn Dvor (img. 04). Nel 1999, viene bandito un concorso internazionale per realizzare, in un grande lotto vuoto, la Sarajevo Concert Hall. Al concorso partecipano 400 gruppi da circa 43 Paesi. La giuria, con presidente l’architetto Zaha Hadid, proclama come vincitore UFO Urban Future Organisation, uno studio con sedi sparse per il mondo. Il progetto prevede un auditorium ipogeo la cui copertura è parte di un parco urbano. Lo slancio di Sarajevo verso una rigenerazione culturale è evidente, ma il progetto resta solo su carta.

Il vuoto a Sarajevo è un tema che non riguarda solo lo spazio ma anche il tempo, dato che l’assedio ha costretto la città, per anni, a vivere una dimensione temporale sospesa. La fine del conflitto scatena un’ansia di ritorno alla normalità e di recupero del tempo perso. I vuoti urbani diventano occasione per rispondere alla necessità di modernizzazione e di costruzione di nuovi simboli che siano in grado di rilanciare un’identità

Marijn Dvor è protagonista di una rinascita lenta condizione che deve essere considerata come opportunità per ridefinire una nuova identità

nuova, più europea e globale. Nell’affannosa volontà di un’accelerazione storica Sarajevo, al pari di altre metropoli contemporanee, cede al fascino dell’architettura del consumismo come massima espressione dei processi di rigenerazione urbana post-bellici. A Marijn Dvor, proliferano, nell’arco di pochi anni, grandi centri commerciali, alcuni dei quali sorgono proprio in aree demolite a causa dei danneggiamenti subiti durante l’assedio. Questi nuovi simboli, che trasformano completamente lo skyline della città, costituiscono l’opportunità per sperimentare nuove tipologie come nel caso dell’Importanne Centre, costruito nel 1999, e dell’Alta Shopping Centre, realizzato a poche centinaia di metri, nel 2006. Ma l’edificio che ha maggiormente stravolto il carattere dell’area è certamente il Sarajevo City Center, costituito dall’assembramento di unità volumetriche tra le quali emerge l’alta torre dell’hotel a cinque stelle. Il complesso, completato nel 2014, mira a cicatrizzare le ferite della guerra ponendosi come l’emblema del riscatto della Sarajevo post-conflitto ma di fatto impone alla città un’immagine che non la rappresenta (img. 01).

La storia di Marijn Dvor è rappresentativa della condizione di una città che oggi è tornata a vivere ma che si trova ancora in un equilibrio instabile, dovuto principalmente all’immobilità di un sistema politico basato su logiche etnoterritoriali che rende impossibile por-

05. Marijn Dvor, Piazza del Parlamento di Bosnia Erzegovina. Sullo sfondo da sinistra: l’Alta Shopping Centre, la Chiesa di San Giuseppe, i palazzi austro-ungarici e il Sarajevo City Center. Marijn Dvor, Parliament of Bosnia Herzegovina Square. In the background from the left: the Alta Shopping Center, the Church of San Giuseppe, the Austro-Hungarian palaces and the Sarajevo City Center. Stefania Gruosso tare avanti processi a lungo termine. Nonostante le difficoltà a concretizzare alcuni progetti, l’area si conferma come nuovo centro cittadino, la cui peculiarità è dettata dai processi con cui nuove architetture sorgono, in modo del tutto naturale, tra vecchie baracche, sontuose facciate austroungariche e i prospetti dei palazzi ancora incisi dai colpi di mortaio, costruendo nuove spazialità tra i corpi resistenti e un’incredibile, ed eterogenea, stratificazione urbana che ben riflette quella che è stata la secolare inclinazione di Sarajevo alla contaminazione architettonica. Ancora inespresso è il potenziale sviluppo dell’area secondo una traiettoria culture driven che potrebbe invece sfruttare la prossimità fisica di un gruppo di poli culturali, ovvero: il Museo Nazionale di Bosnia ed Erzegovina, il Museo storico di Bosnia-Erzegovina, il nuovo Ars Aevi e la nuova Sarajevo Concert Hall per creare un polo ad alta concentrazione di attività legate alla cultura4. Marijn Dvor è protagonista di una rinascita lenta condizione che deve essere considerata come opportunità per ridefinire una nuova identità attraverso processi di rigenerazione, che non ambiscano a rincorrere le immagini stereotipate delle altre città, ma che investano sulla costruzione di una identità urbana unica e incomparabile. In questa condizione l’arte e la cultura rappresentano la possibilità di un’autentica rinascita, quella culturale.*

NOTE 1 – Wararchitecture è un termine che esprime il legame di senso tra architettura e guerra. A Sarajevo il termine inizia ad avere grande risonanza dopo la mostra dal titolo Warchitecture. Urbicide Sarajevo, organizzata nel 1993 dall’Associazione degli Architetti, nella quale una serie di rappresentazioni spaziali e fotografiche, documentano i danni subiti dagli edifici, raggruppandoli secondo il contesto storico-culturale (ottomano, austroungarico, moderno e contemporaneo). 2 – La soppressione delle istituzioni culturali, come spazi testimoni di un passato condiviso, è stato uno dei punti fondamentali del programma nazionalista degli anni '90 che attaccò duramente gli edifici simbolo della cultura bosniaca come la Vijecnica, o Biblioteca Nazionale e Universitaria, che andò in fumo insieme a circa un milione e mezzo di libri, il Museo Olimpico, la Galleria Nazionale d’Arte, il Museo Storico di Bosnia-Erzegovina, il Museo Nazionale di BosniaErzegovina, solo per citarne alcuni. Nessun edificio o spazio destinato ad eventi culturali venne risparmiato. 3 – Ars Aevi, dal latino “l’arte dell’epoca”, è l’anagramma della parola Sarajevo dove la “O” è diventata il logo del museo. 4 – Il Museo Nazionale di Bosnia ed Erzegovina è la più antica istituzione culturale e scientifica nella Bosnia-Erzegovina concepita dagli Ottomani e realizzata durante il periodo austro-ungarico, il Museo storico di Bosnia-Erzegovina è il simbolo del periodo socialista nella Bosnia-Erzegovina, i progetti per il nuovo Ars Aevi e per la nuova Sarajevo Concert, pur se non ancora realizzati, ambiscono a essere simbolo della nuova identità sarajevana. La condizione di prossimità fisica di questi luoghi della cultura permetterebbe loro di operare da racconto visivo della storia di Sarajevo.

BIBLIOGRAFIA – Beban, R. (2006). The destruction of a memeory. London: Reaktion. – Frattari, C. (2017). Survive(d) Sarajevo. Sarajevo as Manifesto. In Gruosso, S., Pignatti, L. (a cura di). Sarajevo an account of a city. Siracusa: LetteraVentidue, pp. 134-141. – Gruosso, S., Odobasic, L. (1993). Ars Aevi: la cultura come arma - Ars Aevi: the weapon of culture. Domus, n. 1018, pp. 17-21. – Hatzfeld, J. (1994). L'Air de la guerre. Paris: L'Olivier. – Herscher, A. (2008). Warchitectural Theory. Journal of Architectural Education, pp. 35-43. – Neidhart, T. (2004). Sarajevo through time. Srajevo: Nova Decija Knjiga. – Pignatti, L. (2019). Modernità nei Balcani. Da Le Corbousier a Tito. Siracusa: LetteraVentidue. – Woods, L. (2015). War and architecture: Three Principles. Pamphlet Architecture, n. 15. Hudson: Princeton Architectural Press.

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