Quaderni giapponesi
AN IGORT FEATURE COMIC MEMOIR * IL VAGABONDO DEL MANGA
Il poeta pellegrino
Tutto era cominciato con la lettura dei diari di Matsuo Basho, il poeta che cercava di fermare il tempo con la sua penna. Per lui viaggiare era uno stato interiore, un vagabondare senza una meta precisa, con il cuore pronto a cogliere ogni scintilla di vita. I paesaggi, gli incontri, perfino le intemperie erano lo scopo di un girovagare pianificato in modo meravigliosamente incerto. Basho viaggiava senza protezione, attraversando anche territori infestati dai briganti. Incurante del pericolo. Questo per lui non aveva nulla di eroico. Semplicemente non se ne curava, preso come era da una pratica di contemplazione, che con gli anni gli aveva concesso un dono: l'abilitĂ di cogliere l'attimo perfetto, da tradurre in poesia. Ecco, fu questa idea, credo, ad affascinarmi e spingermi sulla strada, ancora una volta. In cammino, senza una meta precisa, sarei andato incontro a qualcosa che avrebbe arricchito la mia piccola esistenza? Il languore che precedeva ogni mio viaggio verso il Giappone si era risvegliato, cosĂŹ fu semplice, in fondo, abbandonarsi al destino, che certamente sapeva meglio di me cosa io cercassi.
11
ANTEFATTO
Nel novembre 2015 mi ritrovai a Tokyo per un breve soggiorno. Risiedevo all'ultimo piano di un palazzo di recente costruzione, nel quartiere di Chiyoda, ospite dell'istituto italiano di cultura. In occasione di una mostra a 4 mani che si sarebbe chiamata "uomini che camminano", nella quale io e il mio vecchio amico Jiro Taniguchi avremmo esposto i nostri lavori. Devo sentire Jiro
Era autunno e il concerto di colori della stagione in Giappone era al suo splendore. Tutto andava per il verso giusto, eppure ero irrequieto. Cosa mi agitava?
Osservavo attonito Tokyo mutare; di anno in anno, nella sua corsa inarrestabile. 14
Il pellegrinaggio alla mia vecchia casa, o all'albergo che mi aveva ospitato tante volte, aveva recato una sgradita sorpresa. I miei luoghi non c'erano piĂš. Demoliti.
Il passato sembra non contare granchĂŠ.
I palazzi di poche decine di anni avevano lasciato il posto ad altre, piĂš contemporanee, costruzioni. Lo scorrere del tempo, persino lo sfiorire della bellezza, in Giappone, si celebra con un rito molto antico e sentito chiamato Hanami.
15
Hanami è la contemplazione dei ciliegi in fiore.
La fioritura dura pochi giorni, poi comincia una malinconica nevicata di petali che ricopre i parchi. Hanami significa accettazione della fragilità, e dunque dell'impermanenza: questa la bellezza dell'esistere effimero.
L'arte di omaggiare il sublime! In questo i giapponesi rimangono maestri insuperati.
E allora perché io non accettavo lo sfiorire dei luoghi dei miei ricordi? Perché mi infastidiva questo mutare perpetuo di Tokyo? I lavori per le imminenti olimpiadi avevano cominciato nella loro opera di sfregio. Migliaia di operai avevano preso a sventrare diversi angoli della città a me cari. Vedevo una Tokyo sfigurata. Il suo carattere veniva soppiantato dalla banalità futuribile di una metropoli qualunque. 16
Vedendomi irrequieto Giovanni, un amico fotografo che risiedeva in Giappone da tanti anni, mi disse:
Domani ti porto a fare un viaggio nel tempo. Preparati. Era ancora buio quando salimmo sullo Hokuriku Shinkansen 510 diretto a Toyama.
Chiusi gli occhi e mi addormentai cullato dal dondolio del treno.
17
In meno di due ore giungemmo a Toyama, da lĂŹ prendemmo un'auto in affitto. Fatto! E ora in viaggio
Giovanni era un fotografo di natura, un professionista. Ammiravo la disinvoltura con la quale trasportava uno zaino di 16 chili pieno di "ferri del mestiere".
Mi ricordava gli artisti romantici, ossessionati dalla ricerca del pittoresco. Si capiva che in quei luoghi cercava qualcosa di intimo e profondo.
Incredibile. Che colori. Sembra che ci stiamo muovendo in un dipinto.
18
Ci inoltrammo verso le alpi giapponesi. Sul cammino, l'autunno levava il fiato.
Fu solo l'inizio di un viaggiare immersi nel silenzio. Le parole parevano superflue. Ancora non lo sapevo ma i primi semi del viaggio vero e proprio, che sarebbe cominciato di lĂŹ a pochi mesi, si depositarono in quella piccola escursione.
Quando, sotto un cielo da neve, giungemmo alle 5 montagne (Gokayama) ripresi a respirare profondamente.
Amavo le gassho-zukuri, case immense dal tetto di paglia, in cui abitavano intere famiglie di mercanti di seta giapponese. Nelle soffitte, per centinaia di anni, si erano allevati i bachi.
Aikura era un villaggio tanto isolato che la strada per giungervi fu costruita solo nel 1925. 20
Un villaggio di case dal tetto spiovente, tali e quali a quelle che disegnavano Hiroshige o Hokusai.
21
La neve ricopriva un altro villaggio, a circa mezz'ora di auto, Shirakawa-go (Vecchio distretto del Fiume Bianco), nella valle del fiume Shogawa, al confine fra le prefetture di Gifu e Toyama. Mi trovavo in un altro secolo, in un mondo in bianco e nero naturale.
Non lo sentivo il gelo, trattenevo il respiro senza accorgermene, mi persi in quella distesa di bianco senza contorni.
22
Poi alla sera un onsen, bagno caldo con acqua termale, sopra i 40 gradi. La vasca all'aperto, sul fianco di una montagna. Uscii nudo, per poi immergermi.
Pensando a un piccolo albero scheletrico di kaki che avevo visto nella steppa gelata, ancora carico di frutti.
23
Shika. Il vento che ululava con grande intensitĂ tutta la notte non mi fece dormire. Sentivo il Mar del Giappone in tempesta, dalla stanza del mio ryokan.
Alle 5,30 mi alzai, per radermi, accovacciato, tanto bassi erano gli specchi del bagno.
Avevo il cuore gonfio di gioia. Partimmo prima dell'aurora.
24