Olio Officina Almanacco 2020

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IN QUESTO MARE D’OLIO Olivi ed extra vergini di Liguria


Guido Novaro - CEO & founder Guido1860

AT LAST, GENESI. 160 anni di tradizione per creare il miglior Olio d’Oliva Extravergine di sempre


Da una storia di rinnovata tradizione che ha origine nel 1860, nasce questo sublime Olio Extra Vergine monocultivar di olive di finissima qualità “Taggiasca”. Per soddisfare le esigenze dell’alta ristorazione e di chi per le sue creazioni sceglie semplicemente il meglio.

I TALI AN GOU RMET EXC ELLENC E

www.guido1860.com


La memoria è come una goccia d’olio buttata nell’acqua. Può scomparire per un istante ma poi se ne torna su, sta lì, galleggia come uno sguardo su ciò che è stato. Nico Orengo

Nico Orengo, Il salto dell’acciuga, Einaudi, 1997 2


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Io ero della Riviera di Ponente; dal paesaggio della mia città - San Remo - cancellavo polemicamente tutto il litorale turistico - lungomare con palmizi, casinò, alberghi, ville - quasi vergognandomene; cominciavo dai vicoli della Città vecchia, risalivo per i torrenti, scansavo i geometrici campi dei garofani, preferivo le “fasce” di vigna e d’oliveti coi vecchi muri a secco sconnessi, mi inoltravo per le mulattiere sopra i dossi gerbidi, fin su dove cominciano i boschi di pini, poi i castagni, e così ero passato dal mare - sempre visto dall’alto, una striscia tra due quinte di verde - alle valli tortuose delle Prealpi liguri.

Italo Calvino Italo Calvino, prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, 1964 4


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Tu mare non hai chiese non hai sacerdoti, sacramenti, non hai preghiere, monumenti né riti né elemosine, e non hai mai avuto pietà. Eppure sei sacro, divino. Ti somigliano certe cattedrali al mattino in Liguria, tutte riflessi azzurri […]

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte, “Tu mare non hai chiese”, in Poesie (1983-2015), Oscar Mondadori, 2015 6


Photo: Pierrick Verny

... sempre in primo piano

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Comincia la poesia quando uno sciocco dice del mare «sembra olio». Non è affatto una più esatta descrizione della bonaccia, ma il piacere di avere scoperto la somiglianza, il solletico di un misterioso rapporto, il bisogno di gridare ai quattro venti che si è notato. È però altrettanto sciocco fermarsi qui. Cominciata così la poesia, bisogna finirla e comporre un ricco racconto di rapporti che equivalga abilmente ad un giudizio di valore.

Cesare Pavese

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, 1952 8




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L’impareggiabile

Liguria

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di Luigi Caricato Foto di Gianfranco Maggio


Tutte le volte che penso all’olio, immagino sempre la Liguria con i suoi olivi e frantoi. Per me è una associazione spontanea e immediata, e più che al mare, penso subito agli oliveti. Forse perché immagino le vaste distese di alberi che da lontano sembrano simili a un mare di olivi. Sarà senza dubbio per questo. Anche il mare, tuttavia, al di là dell’attrattiva turistica, balneare e paesaggistica, ha avuto un ruolo determinante nella storia della Liguria, soprattutto per via degli intensi traffici d’olio, a partire dai suoi porti, con carichi d’olio diretti verso ogni dove, soprattutto in passato. Olio in entrata, olio in uscita. Da un lato l’importante olivicoltura, guadagnata metro a metro direttamente sul campo, edificando con fatiche immani milioni di metri cubi di terrazzamenti lungo tutte le fasce, quale segno tangibile di una olivicoltura eroica che sa confrontarsi e fronteggiare le insidie di una orografia complessa; dall’altro, vi è il commercio, molto sviluppato, che, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha visto nascere molti prestigiosi marchi commerciali che hanno segnato un’epoca gloriosa e forse irripetibile. La Liguria, come si può notare, mi sta molto a cuore, ma tutto questo mio osannarla non è affatto di parte. È solo un modo concreto per riconoscere e attribuire un merito a un popolo che ha saputo riconoscersi nell’olivicoltura e nell’arte olearia, fino a farne un elemento identitario. Gli olivi hanno in questo territorio una centralità che altrove non possono avere. Anche perché 13



ogni briciolo di terra qui è frutto di sacrifici ed è l’esito di una dura conquista. Non è d’altra parte facile essere olivicoltori in Liguria, perché si ha sempre a che fare con una olivicoltura eroica, che si sviluppa in alta quota o comunque in collina. Pur non disponendo di grossi quantitativi di olio, la Liguria vanta un prestigio così consolidato che non è possibile pensare a un suo ridimensionamento o arretramento, seppure rimanga l’incubo perenne dell’abbandono, un dramma tuttavia che sembrava irrisolto ma che scorrendo i decenni si scopre che alla fine l’olivicoltura, pur tra alti e bassi, comunque resiste. C’è chi lascia, chi riprende la coltivazione. I liguri, si sa, sono tenaci, ed è per questo che sono doppiamente eroi: possono esserci segnali di cedimento, ma poi c’è sempre qualcuno che non demorde. Io amo questo atteggiamento di fiera compostezza, la tenacia e la determinazione con cui affrontano la coltivazione degli olivi. Li guardo negli occhi, uno a uno, e provo sulla mia pelle l’orgoglio che ciascuno di loro dimostra con evidenza nello sguardo. Lo si percepisce in maniera netta. In questa regione, d'altra parte, il clima temperato delle brezze marine favorisce i buoni esiti della coltivazione e l’olivo ha grandi potenzialità da non meritare certo di essere trascurato. Per questo e per altri motivi ancora amo la Liguria e ho ritenuto giusto e opportuno dedicare L’Almanacco di Olio Officina proprio agli olivicoltori e agli oleari liguri. Marchio di fabbrica. Archivio Centrale dello Stato. Foto di Antonio Monte 15


La grande storia

della Liguria olearia di Luigi Caricato

“Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte: hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici, dei muri ferrigni a migliaia, dal mare fin su alla montagna!” to. Il mercato degli oli – mi aveva riferito Berio – si apriva alle 10 del mattino con l’indicazione delle quantità e il corrispondente valore commerciale. Imperia era il centro internazionale dei commerci. È stata una stagione d’oro, mai più eguagliata; e tutto, secondo Giovanni Berio, ebbe inizio a partire dal 1715, quando una terribile gelata colpì la Francia e parte della Spagna e del Portogallo, decimando interi uliveti, come pure, un po’, nell’areale di Savona. All’epoca non esisteva ancora l’olio extra vergine di oliva come categoria merceologica. Vi era solo l’olio d’oliva, ma soprattutto l’olio lampante. Il maggior commercio della provincia di Imperia consisteva proprio nel rifornire la flotta inglese e francese. L’olio serviva per la combustione. Quello di qualità superiore lo si distingueva solo attraverso l’acidità libera. Il valore organolettico, possiamo dirlo senza incertezze, era per certi versi secondario. Anche perché la qualità degli oli del tempo non era molto elevata. Si produceva per lo più olio lampante, destinato all’illuminazione. La Francia, dopo la terribile gelata, non reimpiantò più gli ulivi, anche perché nel frattempo era cominciata la produzione di un prodotto nuovo, chiamato petrolio. Così, l’olio ricavato dalle olive non servì più per l’illuminazione. Negli anni tra il 1947 e il 1950 iniziarono

All’inizio degli anni Trenta dello scorso secolo era tutto un gran via vai di oli nel porto di Imperia Oneglia. Poi la grande guerra ha condizionato le relazioni commerciali, ma alle prime avvisaglie di pace la ripartenza è stata molto rapida. Tante ditte dell’epoca ripresero con grande energia l’attività, ancora più determinate di prima. Alle 9 del mattino già arrivavano i telegrammi da tutto il bacino del Mediterraneo, attraverso i quali si comunicavano le quantità che ogni frantoiano, anche il più piccolo di uno sperduto paesino del Libano, dell’Algeria, del Marocco, della Spagna, come pure di altre regioni d’Italia, avesse prodotto nell’arco della giornata precedente. Arrivavano tutti i dettagli, relativi a una certa quantità di olio, a certe gradazioni di acidità libera e a un certo valore organolettico degli oli stessi. Così come mi aveva a suo tempo riferito nel corso di una intervista uno dei principali operatori dell’epoca, Giovanni Berio (Imperia, 1920-2015), in seguito, dopo aver chiuso con il lavoro, diventato noto come Ligustro, tra gli artisti più affermati e celebrati in Giappone, per via della tecnica di stampa policroma nishiki-e, legata soprattutto al periodo Edo. Berio apparteneva a una storica famiglia di oleari. I suoi ricordi affondavano in una storia di grandi successi per tutta la Liguria del Novecen16


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ne. Si trovano abbarbicati dappertutto, sui crinali montuosi e sui tanti terrazzamenti frutto della fatica di tante generazioni che si sono susseguite nei secoli, sottraendo alla montagna e alla roccia una superficie resa coltivabile con grandi sacrifici. Furono i fenici a importare l’olivo nell’Imperiese, a seguire i romani, dando il primo grande impulso alla coltivazione, ma furono soprattutto i padri benedettini del convento di Taggia, e in seguito anche di altri conventi della regione, a contribuire a tutto il resto. Mentre è nel Seicento che l’olivicoltura ligure inizia a specializzarsi, apportando profondi cambiamenti al paesaggio. I primi studi sul germoplasma olivicolo ligure furono compiuti dai fisiocratici, gli “economisti della natura”, nel XVIII secolo. Più tardi, nel 1930, tale studio venne sviluppato e ampliato dalla Società nazionale degli olivicoltori. In quegli anni, oltretutto, esisteva anche l’Istituto nazionale per l’olivicoltura e l’elaiotecnica di Sanremo, dove oggi in qualche modo resiste, seppur con grandi difficoltà, un oliveto sperimentale ubicato proprio alle porte di Imperia, abbandonato a se stesso per mancanza di attenzioni da parte dell’ente provinciale di Imperia nella cui giurisdizione ricade. Un grave e imperdonabile errore, giacché un tempo l’oliveto sperimentale rappresentava per tutto il territorio un grande centro propulsore. E così, corsi e ricorsi storici, la pianta dell’olivo, nonostante la buona fama dell’olio ligure, è stata anche vittima negli anni di uno sviluppo urbanistico senza controllo, come pure di un turismo che ha ampliato i propri spazi operativi sottraendoli all’olivo. Lo scrittore Giovanni Boine evocò con grande efficacia l’impegno e il sacrificio dei contadini liguri. Fu molto convincente quando scrisse un pensiero con cui ha reso molto chiaramente l’idea di cosa siano i liguri: “Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte: hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a

i primi grandi studi sull’olio da olive, e pian piano la qualità si fece subito largo incentrandosi, anche e soprattutto, sulla qualità sensoriale degli oli. Da qui l’esordio dei primi “nasi” dell’olio: gli assaggiatori. Attraverso la degustazione si iniziò a valutare la bontà sensoriale di ogni olio prodotto. In Liguria - come ebbe a ricordare Giovanni Berio - c’erano in passato oliveti in cui si producevano olive destinate a produrre un olio di qualità nettamente superiore rispetto al passato. Non mancavano, come in ogni altro luogo, le produzioni di oli lampanti ed è qui che ci fu la grande svolta della Liguria. Un chimico di Marsiglia - mi confidò in uno dei nostri incontri Giovanni Berio - scoprì come rendere commestibile l’olio lampante, anche quello a più alto tasso di acidità libera. Si trattava di un procedimento chiamato rettificazione. Si rettifica infatti l’olio lampante proprio per renderlo commestibile. Da qui allora la grande storia di Imperia e, sullo sfondo, di tutta la Liguria. Poi, certo, venne il tempo dell’olio extra vergine di oliva, ma i più grandi traffici commerciali avvennero nel periodo compreso tra gli ultimi anni dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento. Queste relazioni commerciali contribuirono a rendere celebre in tutto il mondo la Liguria. Le piccole e grandi ditte olearie fecero la storia d’Italia dell’olio, e oggi, anche i più piccoli olivicoltori, traggono ancora grande vantaggio da questa fama acquisita in decenni dai grandi commerci avvenuti a opera dei grandi marchi commerciali che nel frattempo hanno fatto la storia dell’Italia olearia. L’alta vocazione olivicola del territorio ha fatto tutto il resto. L’olivicoltura ligure, favorita da un clima temperato dalle brezze marine, può vantare una tradizione secolare. Non solo per i commerci, anche per l’olivicoltura, Imperia è stata la capitale incontrastata. La metà della superficie olivicola regionale ricade proprio nella provincia imperiese. Seguono, a ruota, le province di Genova, Savona e La Spezia. Oggi gli olivi coprono il quaranta per cento dell’intera superficie agricola della regio18


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ta tra il III e il IV secolo dopo Cristo proprio dai monaci Benedettini. L’oliva è caratterizzata da una buona resa in frantoio e si contraddistingue per il caratteristico olio che se ne estrae, particolarmente tenue nei profumi e dal gusto dolce e mandorlato. La Taggiasca, altrimenti detta Lavagnina, non è tuttavia la sola cultivar della regione, anche se a oggi resta senza dubbio la varietà più diffusa di tutto il comprensorio regionale. Le minuscole olive che questi alberi producono, facevano scaturire il tipico olio ligure dal colore giallo paglierino e dall'aspetto velato, seppure con qualche accenno di venatura verdolina. Nell’ultimo periodo, con olive raccolte direttamente dall'albero in fase di invaiatura, quando non sono ancora del tutto mature, con una colorazione esterna verde tendente al violaceo, gli oli sono di un colore più intenso, giallo dorato e sfumature verdoline. L'olio che proviene dagli uliveti della Riviera di Levante, ottenuto in gran parte da olive Razzola e Pignola, a differenza di quello di Ponente, è in genere più intenso nel suo colore, verde dai riflessi oro, ma anche nelle note fruttate, con una percezione amara e piccante al palato più marcata, pur se ben dosata e morbida, in buon equilibrio.

secco come templi ciclopici, dei muri ferrigni a migliaia, dal mare fin su alla montagna!” Oggi, purtroppo, tutto l’impegno di generazioni che si sono succedute nel tempo, sta venendo meno. In alcune aree della regione, spettacolari nella loro bellezza, l’olivicoltura sta arretrando, e i casi di abbandono sono diventati decisamente numerosi. Lo stesso simbolo dei muretti a secco, pur in qualche modo resistendo, è in seria difficoltà, proprio perché non vi è più manutenzione. Gli anziani sono pronti in qualche modo a resistere, ma reggono poco: non hanno più l’età. I giovani per contro fuggono, temono l’impietoso giudizio della società, non riuscendo ad apprezzare a sufficienza il lavoro dei campi e il senso stesso di un ritorno alla civiltà rurale. Se da una parte l’abbandono sta facendo arretrare la coltivazione, dall’altra c’è chi ha deciso di operare per il rinnovamento. Nascono associazioni di volontari che cercano di opporre resistenza al degrado. La rinascita è possibile là dove le attenzioni per l’agricoltura non sono solo nutrite di buone parole e promesse, ma di atti concreti. Comunque, ciò che è certo, è che la storia continua. Nell’intera regione, ma soprattutto nella provincia di Imperia, si continua a coltivare ancora la celeberrima varietà Taggiasca, cultivar introdot-

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Nel nome della

Taggiasca

di Maria Carla Squeo

L’oliva Taggiasca è in assoluto il punto di riferimento dell’olivicoltura ligure, l’alfa e l’omega; ma il germoplasma olivicolo della regione non si riduce solo a questa cultivar, altrimenti conosciuta con il nome di Lavagnina o Giuggiolina. Vanno opportunamente segnalate anche altre varietà: la Castelnovina e la Colombaia, la Cozanina e la Fiandola, la Finalina e la Lantesca, la Lizona e la Merlina, la Mortellina e la Negrera, l’Olivella e la Pietrasantina, la Pignola e la Premice, la Razzola e la Rossese, senza trascurare la cultivar denominata Toso. Sul numero 8 della rivista trimestrale OOF International Magazine, primavera 2019, edita da Olio Officina, avevamo dedicato uno speciale dal titolo “La biografia degli olivi”, dove in realtà sono state le stesse cultivar, in un impeto di egocentrismo, che si sono raccontate ai lettori. Così la Taggiasca, nel racconto in prima persona, con l’illustrazione originale di Nebula a corredo. Taggiasca: “Io sono la più amata dagli italiani, ma la mia fama si è estesa ormai ovunque. Tutti mi cercano e anch’io cerco di darmi un tono. La classe non è acqua, dice il proverbio. E infatti io vado subito al dunque: anche se sono piccolini i miei frutti, mi concentro molto sul mio lavoro, ho una produttività elevata e costante. Sono ligure, non disperdo energie. I botanici mi classificano come cultivar da olio, ma io ci scherzo su e non dico nulla perché sono educata. In realtà riscuoto un grande successo commerciale anche come oliva da tavola, vesto sia in nero, sia in tonalità cangiante. Alcuni anziani si ostinano a chiamarmi Lavagnina, Oliva di Taggia, Tagliasca, ma io sono Taggiasca per tutti. Un nome, una garanzia.”

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La Taggiasca è per i liguri come la Torre Eiffel per i francesi

di Roberto De Andreis Presidente del Comitato

promotore per la Taggiasca Dop

La Taggiasca per noi liguri è la vita stessa. È la gente che abita e vive il territorio. È solo una minuscola oliva, ma appartiene a tutti, anche a chi non lavora nei campi. È un po’ come la Torre Eiffel per i francesi. È un simbolo di tutti. Dire Taggiasca, non a caso, equivale a salvaguardare la nostra stessa regione, ed è proprio per questo motivo, e per tanti altri ancora, che occorre difenderne l’identità. Perché averne cura è un po’ come presidiare il territorio. Non si possono dimenticare secoli e secoli di dedizione, né tanto meno l’ingegnosa opera di tanti infaticabili agricoltori che nel tessuto vivo delle loro campagne hanno eretto, con i muretti a secco, chilometri e chilometri di civiltà. I terrazzamenti sono stati infatti il segno evidente di un’ opera collettiva e laboriosa che ha unito tutti, permettendo, a una cultivar così unica e peculiare qual è la Taggiasca, di diventare un simbolo ineguagliato e fondativo. Sta proprio qui, dunque, in questa specifica oliva, dai tratti così caratterizzanti, l’identità stessa di un popolo. Quando si dice genius loci, non si fa riferimento solo a uno specifico territorio, ma alla sua gente e all’incessante lavoro che vi ha profuso nel corso del tempo. Occorre mantenere questo forte legame cultivar-territorio-persone. Anche perché la Taggiasca non nasce come albero da piantare altrove, in areali di altre regioni o nazioni. Il punto di forza sta 22


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nel suo essere una cultivar autoctona in senso stretto. Così, se non si ha a cuore la propria specifica identità, si corre il rischio che tale varietà di olivo diventi la varietà di tutti, potendola infatti piantare e coltivare ovunque, come già accade da tempo, perfino nel sud Italia, con costi produttivi molto concorrenziali rispetto a un territorio complesso e orograficamente impervio come quello ligure. Oggi, allo stato attuale, chiunque, in Italia e all'estero, in assenza di alcuna protezione, può di fatto immettere in commercio olive in salamoia e olio extra vergine di oliva a nome Taggiasca. Di conseguenza, se non tuteliamo il nome, il rischio che aumentino sempre di più le quantità di olive da tavola e di olio extra vergine di oliva che facciano leva sulla cultivar Taggiasca è piuttosto elevato. La realtà dei fatti ci impone di riflettere sulle dinamiche future, considerando che ad oggi vengono immesse in commercio, da aziende di altre regioni, e a prezzi nettamente inferiori ai nostri, olive e oli a prezzi nettamente più concorrenziali. Non è una questione di mero protezionismo e di chiusura verso gli altri, ma c'è la piena e lucida consapevolezza che cedendo la nostra identità, lasciandola senza una tutela, gli unici a rimetterci siamo noi: territorio, olivicoltori, frantoiani, confezionatori e commercianti, ma soprattutto il territorio. Non nascondiamo a noi stessi il progressivo stato di abbandono degli oliveti e le conseguenze derivanti per lo stato di salute delle nostre colline e montagne. Senza la Taggiasca saremmo un popolo senza più identità. Dobbiamo reagire e assumerci le nostre responsabilità: guardando al futuro, non alle illusioni del presente. Legare il nome della Taggiasca al nostro territorio, affinché goda di una protezione internazionale, è l’unica strada percorribile. Per ottenere tale risultato, è purtroppo necessario chiedere una modifica del nome varietale, ricorrendo pertanto a un sinonimo della Taggiasca. Tale soluzione non piace a nessuno, perché siamo molto affezionati al nome tanto familiare di Taggiasca, ma procedendo con la sostituzione del nome, nella futura "Sezione Olivo del Registro Nazionale Varietale", 24


con un sinonimo storicamente utilizzato nel territorio, come nel caso di “Giuggiolina”, sarà possibile ufficialmente chiedere la registrazione della Denominazione di Origine Protetta “Taggiasca". Si tratta solo di un atto formale, ma non cambia sostanzialmente nulla, perché di fatto il nome Taggiasca in questo modo è salvo e ben protetto. In questo modo, infatti, è solo nell'area di produzione, composta dalle province di Imperia e Savona, che si potranno continuare a produrre, trasformare e confezionare prodotti con il nome "Taggiasca", definendone dunque, tutti insieme, le regole di produzione. Cosa accadrà nell'altra denominazione di origine esistente dell'olio ligure? L’attuale Dop Riviera Ligure verrebbe mantenuta, ma con alcune opportune modifiche, come ad esempio l'eliminazione delle sottozone e delle relative composizioni varietali percentuali. Null’altro da aggiungere se non l’invito a difendere il territorio con uno sguardo aperto alle future generazioni. Per questo ti chiediamo di aderire anche tu al Comitato Promotore per la Dop Taggiasca, rivolgendoti alle associazioni di categoria che lo sostengono. Salvare l'identità è fondamentale. È in gioco il nostro futuro.

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La grande storia

di Taggia

di Carlotta Baltini Roversi

L’oliva Taggiasca è di per sé minuscola, ma nell’opera realizzata dal designer Mauro Olivieri, posta nella piazza della cittadina che ha dato il nome alla celebre cultivar, appare in tutta la sua grandezza e possenza

Taggia possiamo elevarla per molti versi a capitale dell’oliva Taggiasca. Il frutto di questa celebre e tanto celebrata cultivar ha mutuato il nome proprio da questa cittadina. L’ oliva in verità è piuttosto piccola e minuta, ma nel monumento che le è stato dedicato appare in forme e dimensioni giganti, tanto grande è la fama che la accompagna in ogni angolo del mondo. Le olive di Mauro Olivieri, collocate nella Rotonda Rossat, sono alte otto metri di altezza e la foglia che la accompagna raggiunge a sua volta gli undici metri. In basso, si scorge un cesto con la scritta “Arma, porta della Valle Argentina”, e, nella parte opposta, “Taggia, patria dell’oliva Taggiasca”. È un omaggio al comune di Taggia del designer Mauro Olivieri, che tra l’altro è stato presidente di ADI Liguria, l’Associazione per il disegno industriale, e si occupa di progettazione architettonica, interior design, production design, food design, graphic design, comunicazione, ambientazione paesaggistica e allestimenti floreali. 26


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Riviera Ligure, quando la Dop fa la differenza di Silvia Ruggieri

L’olio con attestazione di origine mette al riparo da un uso improprio del territorio tutte le produzioni olearie della regione. Tre distinti areali produttivi, tre profili sensoriali, un mondo di profumi e sapori

Per tutta la Liguria olivicola e olearia esiste un’unica denominazione di origine protetta, a marchio Riviera Ligure, con tre menzioni geografiche aggiuntive: “Riviera dei Fiori”, per la provincia di Imperia, espressione del predominio pressoché assoluto dell’oliva Taggiasca; “Riviera del Ponente Savonese”, con oli ricavati in gran parte da olive Taggiasca, ma anche da olive Mortina, Colombina e altre varietà; e, infine, vi è la sottozona “Riviera di Levante”, a coprire le province di Genova e La Spezia, con oli da olive Lavagnina – alter ego della Taggiasca – e Razzola, Rossese, Lantesca, Olivastrone. tre sottozone in cui si trova suddivisa la Dop Riviera Ligure, si possono tracciare i seguenti profili sensoriali, considerando comunque che ogni produttore può a sua volta personalizzare i propri extra vergini, ma noi per dare un quadro indicativo, riportiamo qui i tre differenti profili.

Gli oli Dop Riviera Ligure si presentano dunque con un unico nome ma con tre distinte menzioni geografiche aggiuntive. Se proprio vogliamo individuare un filo conduttore che leghi i tre differenti areali produttivi, l’oleologo Luigi Caricato ha individuato innanzitutto l’eleganza delle sensazioni mandorlate, che si percepiscono subito al naso, in maniera netta, quindi la morbidezza al palato, unitamente a una nota dolce in bocca, che si apre progressivamente all'amaro e al piccante, percepiti sempre in maniera tenue e a volte anche alquanto lieve, in ogni caso in piena armonia ed equilibrio. Caricato ha pubblicato alcuni anni fa un libretto dal titolo molto poetico ed efficace: Il lato femminile dell'olio. Nelle

Riviera dei Fiori Ricavati dalla frangitura di olive Taggiasca, per almeno il 90 per cento, l’olio si presenta di colore giallo dorato chiaro dalle sfumature verdoline. Al naso hanno profumi fruttati leggeri o medio leggeri, freschi, puliti, di oliva e mandorla. Al palato è morbido e delicato, di buona fluidità, dal gusto di carciofo, con amaro e piccante te30


nui, in equilibrio, i sentori di mela e una punta piccante in chiusura.

ciati, con sensazioni olfattive più accentuate. Con il pesce si va sempre sul sicuro, a occhi chiusi. Pure con i crostacei. Per esempio, con la canocia, quando condita con il prezzemolo, gli extra vergini più delicati sono perfetti. Con i gamberi che vengono fritti, un fruttato medio armonico. Diversamente, con i gamberi d’acqua dolce meglio un fruttato Dop Riviera Ligure più tenue e morbido. Ottimi anche con le carni, in particolare con quelle bianche. Impareggiabili con verdure, soprattutto nelle insalate di erbe a foglia tenera. Gli extra vergini Dop Riviera Ligure, infine, sono sicuramente i più indicati per i dolci, e in particolare per la pasticceria fine.

Riviera del Ponente Savonese Ottenuto da olive Taggiasca, per almeno il 50 per cento, si presenta alla vista di colore giallo dalle sfumature verdoline. Al naso ha profumi fruttati leggeri o medio leggeri che rimandano all’oliva e a note vegetali di vari ortaggi. Al palato è morbido e delicato, con note amare e piccanti in equilibrio e una buona fluidità. In chiusura i sentori di pinolo, cicoria e una lieve punta piccante. Riviera di Levante Ricavato dalla molitura di olive Lavagnina, Razzola, Pignola e Frantoio, per almeno il 55 per cento, si presenta di colore giallo oro intenso dai riflessi verdi. Al naso si apre con note fruttate di media intensità e sentori erbacei freschi. Al gusto è vellutato e armonico, dal gusto vegetale di carciofo e una punta piccante persistente e progressiva. In chiusura mandorla verde e rimandi alle erbe di campo. Gli abbinamenti. Nonostante vi siano tre differenti tipologie di profili sensoriali rientranti nella Dop Riviera Ligure, possiamo ritenere accomunabili le indicazioni circa gli abbinamenti più idonei per esempio con zuppe e minestre, paste e risotti. Nel caso delle zuppe di pesce, in particolare, sono preferibili gli oli Dop Riviera Ligure dal fruttato leggero, anche se non sono fuori luogo quelli di media intensità, che garantiscono altrettanto un buon equilibrio di sapori, considerando che non avremo mai dei fruttati medi particolarmente amari e piccanti. Tutti gli extra vergini Dop Riviera Ligure costituiscono il condimento perfetto quali ingredienti nella preparazione di sughi e salse. Con salse bianche, delicate, si utilizzano oli altrettanto delicati e dolci, morbidi e rotondi al palato, armonici. Con salse brune, oli dal fruttato medio, purché non sbilan31




Le ricette

oliocentriche

a cura di Alessandro Giacobbe

Portare l’olio a diretto contatto con le cucine, sia domestiche, sia professionali. È questo l’obiettivo del Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure, che, nel corso delle sue molteplici attività promozionali, cerca in tutti i modi di qualificare al meglio i consumi di olio a marchio Dop, lavorando sia con gli allievi delle scuole alberghiere, sia con gli chef più affermati. Un buon modo per prendere confidenza con gli extra vergini dai profili sensoriali così peculiari sono le ricette.

È per questa ragione che uno dei progetti di promozione messo in atto dal Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure è rivolto proprio al settore ristorazione e nasce dall'esigenza di favorire un rapporto più proficuo tra le aziende di produzione, gli chef dell'alta ristorazione e la distribuzione gourmet. Diverse le edizioni di un format che si è rivelato vincente. “Accogliere un olio che vanta il bollino della Denominazione di origine protetta Riviera Ligure – come ha opportunamente sostenuto in diverse occasioni il presidente del Consorzio di tutela Carlo Siffredi - significa avere la certezza di disporre di un extra vergine controllato, assaggiato, certificato e garantito”. Da questi incontri con gli chef sono scaturite tante ricette con l’olio Dop Riviera Ligure protagonista. Ne pubblichiamo alcune per quanti vorranno cimentarsi con ricette di alta cucina. 34



Le ricette

oliocentriche

di Filippo La Mantia Chef del Ristorante Filippo La Mantia - Oste e Cuoco di Milano

Baccalà all’olio, patata all’olio ed erbe Ingredienti per quattro persone Filetti da 120 g di baccalà 150 g patate tipo ratte 100 g olive nere denocciolate 1 mazzetto prezzemolo 1 rametto di timo 1 ramo di rosmarino Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure Preparazione Porzionare il baccalà. Cuocere i filetti in sottovuoto con olio extra vergine Dop Riviera Ligure per 10 minuti a 60 gradi. Bollire le patate e passarle in uno schiacciapatate. Insaporire con erbe aromatiche, sale, pepe e olio Dop Riviera Ligure. Formare delle quenelles* e riscaldare in forno. Friggere le olive nere denocciolate e farle essiccare in forno a 40 gradi per una notte. Il giorno dopo tritare le olive nel cutter*, o frullatore, in modo da ottenere una polvere. * Quenelles: preparazione modellata a forma ovale, utilizzando in modo opportuno due cucchiai * Cutter; robot da cucina utilizzato per omogeneizzare, tritare e sminuzzare. 36


Filippo La Mantia: “L’olio, per me bambino in Sicilia, era il simbolo di una cultura del cibo molto radicata e legata al benessere. L’extra vergine Dop Riviera Ligure è un prodotto di grande qualità, con caratteristiche molto originali”.

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Rigatoni con la ricotta caciocavallo e finocchietto

Ingredienti per quattro persone 350 g rigatoni 500 g ricotta vaccina 50 g sedano 50 g carote 100 g caciocavallo 1 mazzetto di finocchietto selvatico 1 peperoncino Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure Preparazione Fare un fondo con olio Dop Riviera Ligure, sedano e carote tagliate a brunoise*, alloro e peperoncino. Aggiungere la ricotta e farla insaporire. Aggiungere ancora brodo vegetale in modo da ottenere un condimento omogeneo. Cuocere la pasta e scolare al dente. Aggiungere al condimento di ricotta il caciocavallo e il finocchietto. Servire la pasta con la mollica di pane. * Brunoise: tecnica che prevede il taglio delle verdure in un primo momento alla julienne e successivamente a cubetti dallo spessore che va di circa 3 mm o poco meno. 38


La fettina di carne a bagnomaria

Ingredienti per quattro persone 4 fette di filetto di manzo da 120 g 100 g olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure 1 mazzetto di prezzemolo Sale e pepe 400 g misticanza

Preparazione Posizionare le fette di manzo in una teglia da forno. Cospargere la carne con abbondante olio Dop Riviera Ligure, sale e brodo vegetale. Chiudere la teglia con carta stagnola e infornare a 70 gradi a vapore per 7/8 minuti. Condire la carne con sale di Maldon*, olio Dop Riviera Ligure a crudo e julienne di prezzemolo fresco. Servire la fettina di carne con misticanza.

* Sale di Maldon: sale dell’Essex (Regno di Gran Bretagna), presentato in forma di scagliette croccanti. 39




Le ricette

oliocentriche

di Giuseppe Lisciotto Chef del Ristorante Les Petites Madeleines - Turin Palace Hotel di Torino

Carpaccio di cuore di bue ligure, estratto di gazpacho condito con olio Evo Dop Riviera Ligure - Riviera dei Fiori Ingredienti per quattro persone Pomodoro tipo “cuore di bue” ligure Olio extravergine di oliva Dop Riviera Ligure q.b. Germogli vari (basilico, piselli) Per l’acqua di gazpacho* Pomodoro ramato Lamponi Scalogno Tabasco Aceto di pomodoro Succo di pomodoro Peperone Sedano Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure

Preparazione Tagliare il cuore di bue al coltello, spessore due centimetri circa, e grigliarlo. Con il restante pomodoro, tagliarlo all’affettatrice, spessore 1 mm. Mettere alla base il pomodoro grigliato e adagiare i veli di pomodoro, condire con l’acqua di gazpacho e olio Dop Riviera Ligure, posizionare infine i germogli. Mettere insieme tutti gli ingredienti e frullarli. Una volta frullati passare al chinoise* e infine con l’etamina*.

* Chinoise. Setaccio di forma conica dalla maglia molto fine impiegato per filtrare creme, purea, zuppe e salse. * Etamina. Canovaccio in tessuto di cotone a trama fine che si utilizza per filtrare o passare fondi, brodi e salse.

* Gazpacho: preparazione di zuppa fredda tipica dell’Andalusia, Comunità autonomia del Regno di Spagna ovverocomposto cremoso di verdure, mollica di pane, olio e aceto. 42


Giuseppe Lisciotto: “L’olio Dop Riviera Ligure è un valore aggiunto della nostra cultura gastronomica. Un ingrediente trasversale che può valorizzare ogni ricetta, dall’antipasto al dolce”.

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Risotto mantecato all'olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori, acciughe e limone

Ingredienti per quattro persone Riso carnaroli riserva Pochettino Acciughe del Mar cantabrico Limoni di Amalfi non trattati Coste Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori Preparazione Tostare il riso con olio Dop Riviera Ligure. Sfumare con vino bianco ligure, delicato (Vermentino). Aggiungere il brodo vegetale (cipolla e la sola parte bianca del sedano) e continuare la cottura. Durante la mantecatura aggiungere le coste precedentemente tagliate finemente e l’olio Dop Riviera Ligure in sostituzione del burro. Servire con una polvere di acciughe (sistemare le acciughe in una placca con carta forno, lasciare essiccare nell’essiccatore per una notte a 55 gradi). 44


Filetto di ricciola cotto a bassa temperatura in olio cottura Evo Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori, asparago di Santhià e polvere di olive taggiasche

Ingredienti per quattro persone Filetto di ricciola 120 grammi circa Asparagi di Santhià Polvere di olive taggiasche Pane tostato Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori Preparazione Cuocere la ricciola sottovuoto a 58 gradi per 14 minuti (in oliocottura con olio extra vergine di oliva DOP Riviera Ligure). Per la polvere di olive taggiasche 500 grammi di olive essiccate nell’essiccatore e frullare. Asparagi cotti in acqua e sale. Per il pane tostato Tostare il pane bianco nel forno, frullare una volta tostato. 45


Gelato al latte di capra con olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori

Ingredienti per quattro persone Latte di capra Zucchero Destrosio Preparazione Mettere insieme i tre ingredienti, portare a 80 gradi e abbattere con il pacojet *. Frullare e mettere il gelato nello stampo di silicone a forma di quenelle. Una volta congelata, sformata la quenelle viene nappata* con olio Evo Dop Riviera Ligure e burro di cacao a pari peso. Decorare con una gelatina all’olio extravergine di oliva, a base di olio extravergine di oliva Dop Riviera Ligure, colla di pesce e zucchero. * Nappare: coprire con una salsa, un sugo o un fondo di cottura piuttosto densi. L’equilibrio del composto è molto importante: non troppo, non troppo poco. * Pacojet: è uno strumento di nuova introduzione che consente, attraverso una sola operazione e in pochi secondi, di sminuzzare, trasformare e mantecare un base precedentemente congelata in un apposito recipiente. 46


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Le ricette

oliocentriche

di Maurilio Garola Chef del Ristorante “La Ciau del Tornavento� – Treiso, provincia di Cuneo

Carpaccio di gamberi e burrata, pomodorini confit* Ingredienti per quattro persone gamberi rossi di Mazara del Vallo burrata pomodorini zucchero sale aglio timo Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure Preparazione Pulire i gamberi rossi di Mazara del Vallo, batterli tra due fogli di pellicola trasparente. Condire la burrata con olio e sale. Tagliare i pomodorini e sistemarli in teglia in forno con zucchero, sale, aglio e timo. Cuocere a 90 gradi per 40 minuti. Impiattare la burrata, il foglio di gamberi, e guarnire con pomodorini confit*, sale, olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure, basilico e latte di burrata. * Confit: tecnica per caramellare i pomodorini in forno, tagliandoli a metĂ e insaporiti con sale, pepe e zucchero ed anche con erbe aromatiche, derivazione da procedura francese per la conservazione.

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Maurilio Garola: “Apprezzo moltissimo l’olio Dop Riviera Ligure, che utilizzo in abbondanza. Non bisogna coprire il gusto delle materie prime e questo extra vergine si rivela ideale. È delicatissimo, proprio come le olive Taggiasche”.

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Plin di carne ai tre arrosti all’olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure

Per il ripieno di carne Arrosto di coniglio, maiale e vitello, spinaci, uova, parmigiano e noce moscata. Passare il tutto finemente.

Per la pasta fresca Farina 00 e uova. Stendere la pasta molto fine e formare i ravioli “del plin�. Cuocere i ravioli in acqua bollente salata e condire con olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure.

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Tagliata di fassona piemontese all’olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure e maionese alla senape

Ingredienti per quattro persone Scamone di vitello Maionese senape di Digione senape Ancienne Burro Olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori Preparazione Scamone di vitello pulito (“blocchi” da 500 g), scottato in padella con olio e burro da ambo le parti. Passare in forno per 7 minuti (se la carne ha uno spessore di circa 4 cm). Maionese più senape di Digione, più senape Ancienne. Tagliare la carne e impiattare. 53


Crostatina al cioccolato fondente, sale Maldon, olio extra vergine di oliva Dop Riviera Ligure e sorbetto ai lamponi

Preparazione Stendere la pasta frolla e riempire con un impasto creato con cioccolato fondente, uova, latte e panna. Cuocere in forno a 170 gradi per 10 minuti. Servire tiepida con olio Dop Riviera Ligure, sale Maldon e sorbetto ai lamponi.

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Liguria olearia

La in quattordici chiavi di lettura Abbandono

È un timore ricorrente, quello dell’abbandono delle superfici coltivate a olivo. Questi alberi che per secoli hanno ricoperto le colline e le vallate di ogni comune e minuscolo borgo, sono un presidio permanente a difesa del territorio. È in gioco l’assetto idrogeologico di tutta la regione, alquanto fragile, strutturalmente indifesa. Solo l’agricoltura può salvare la Liguria. È una regione molto bella quanto complessa. Il paesaggio, a osservarlo a distanza, esprime tutto il suo fascino, ma, da vicino, osservando la natura dei suoli, i terreni scoscesi, è quanto mai difficile mantenere l’integrità di questa bellezza che appare evidente anche agli occhi più distratti. In ogni libro o documento in cui si è raccontato il passato di questa regione, il timore dell’abbandono della coltivazione dell’olivo è stato un pensiero fisso, una preoccupazione costante di tutta la comunità. Lo stato di abbandono delle campagne è ormai progressivo e inarrestabile, i milioni di metri quadri di muretti a secco che dominano le fasce olivetate franano e non sempre vengono rimessi in sesto. L’allarme è stato lanciato.

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Biancardo

È un olio oggi introvabile, anche perché nessuno più raccoglie le olive in aprile o addirittura in maggio, per estrarne l’olio. In passato quest’olio veniva invece considerato tra i più pregiati, e proprio per questo spuntava prezzi più alti. Qualche dubbio circa la qualità di tale produzione sorge, è evidente, anche perché il miglior olio ormai tutti sanno che è possibile ricavarlo solo a partire da olive non del tutto mature, al giusto grado di maturazione. Il “biancardo” aveva tuttavia i suoi estimatori, ed erano tanti. Si chiamava in questo modo per via del colore giallo paglierino così chiaro da virare verso il bianco. Apprezzatissimo in Liguria, come pure nella vicina Provenza.

Baratto

Oggi non esiste più, ma in tempi di guerra, in particolare durante il secondo conflitto mondiale, il baratto era una prassi ricorrente. Si metteva in pratica questo scambio anche andando contro la legge, a rischio di finire in galera o di essere perfino fucilati da nazisti e fascisti nei tanti posti di blocco. Quando l’olio era soggetto ad ammasso, e i generi di prima necessità mancavano, c’era un via vai di olio soprattutto con il vicino Piemonte. In cambio si riceveva farina, pasta, carne, zucchero. L’olio lo si portava addosso, sotto i vestiti, in degli otri di pelle di capra, o in recipienti di latta, prestando la massima attenzione per non farsi scoprire.

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Consorzio

Il Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure è un solido punto di riferimento per molti. È un organismo concepito per essere a tutela sia del prodotto, sia dei consumatori, sia degli stessi operatori che ne fanno parte. Fondato nel 2001, a seguito del riconoscimento ottenuto dal Ministero delle Politiche agricole e forestali, ha tra i suoi soci in primis gli olivicoltori, a seguire i frantoiani e gli imbottigliatori. Tra gli obiettivi fondamentali spicca la tutela di un olio extra vergine di oliva che vanta caratteristiche sensoriali uniche e peculiari, a seguito del riconoscimento della Denominazione di origine protetta Dop Riviera Ligure. Il Consorzio svolge tuttavia anche altre funzioni, come per esempio le attività di promozione, come pure quelle di vigilanza, sempre a vantaggio e tutela dell’olio ligure in tutte e tre le sue declinazioni. Si distinguono infatti tre differenti menzioni geografiche: Riviera dei Fiori, per la provincia di Imperia; Riviera del Ponente Savonese, per la provincia di Savona; e Riviera di Levante, per le province di Genova e La Spezia. Il Consorzio svolge un ruolo chiave, che consiste nell’offrire ai consumatori sia un prodotto di qualità sicura, in quanto corrispondente ai requisiti stabiliti da uno specifico disciplinare di produzione, sia, nel contempo, una origine garantita e accertata.

Crisi

I successi e la gloria conoscono sempre fasi alterne, nulla è duraturo. Anche la crisi dell’olivicoltura segnò in maniera terribile la Liguria. Lo scrittore Govanni Boine pubblicò nel 1911, sulla rivista La Voce diretta da Giuseppe Prezzolini, il saggio Crisi degli ulivi in Liguria. Nella seconda metà dell’Ottocento si visse in particolare il periodo più drammatico di questa decadenza, che, paradossalmente, coincise proprio con il momento di maggior fulgore del commercio oleario. Il padre dello scrittore Italo Calvino, Mario, studioso di scienze agrarie, nonché direttore della Cattedra ambulante di agricoltura, mise in guardia gli operatori, facendosi promotore di una olivicoltura più moderna, ma non fu ascoltato. Sempre nel 1911 aprì l’Istituto sperimentale di olivicoltura, diretto dal professor Carocci Buzi. 60


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Gelo

Uno degli incubi ricorrenti che mettevano in agitazione gli olivicoltori è stato il freddo. Le terribili gelate hanno lasciato segni indelebili nelle comunità contadine. Tutto il lavoro di una vita poteva essere compromesso dall’inclemenza del clima. Tuttora si temono i rischi del gelo, e, come sempre, è una battaglia persa. C’è tutta una memoria storica segnata da questi eventi infausti. Ancora si ricordano le gelate storiche. Come quelle del 1600, 1640, 1709, 1739, 1788, 1792, 1798, 1808, 1810, 1812, 1820, 1830, 1843, 1846, 1855, 1879, 1887, 1893. Come si può notare, le gelate sono periodiche e inevitabili. Per restare al Novecento, la più terribile tra tutte fu quella del 1985, ma come sempre accade, dalle gelate ci si risolleva, pur se a fatica e con grande dolore per la perdita di tanti olivi. Ogni volta è un dramma collettivo. L’unica consolazione, rispetto alle epoche precedenti, è che oggi i tempi per rimettere in piedi dal nulla un oliveto sono più rapidi, ma non per questo si attenua il dolore per la perdita delle piante.

Gombo

Solo in Liguria i frantoi venivano chiamati fino a non molti anni fa gombi. È una voce dialettale che merita di essere portata alla luce e fatta conoscere all’universo mondo, anche solo per metterla a confronto con altre espressioni in uso in altri luoghi. Il gombo veniva pure detto “edifizio da olio”. Ve ne erano di due tipi: “a sangue”, quando la macina in pietra veniva azionata da un mulo o da un bue; e “ad acqua”, quando si ricorreva all’energia scaturita da fiumi e torrenti per azionare le macine. 62


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La Riviera Ligure

È stato in assoluto il primo house organ in Europa, nato da una idea della famiglia Novaro, fondatrice e proprietaria della Olio Sasso. Le pubblicazioni ebbero inizio nel 1895 per poi concludersi nel 1919, raggiungendo alte tirature, anche superiori alle 120 mila copie. Un grande successo per l’epoca, se si considera che non vi era ancora la scolarizzazione di massa. La rivista esordì dapprima con il nome La Riviera Ligure di Ponente, sotto la direzione di Angiolo Silvio Novaro, per poi assumere, nel maggio 1899, il nome La Riviera Ligure, con la direzione, a partire da novembre dello stesso anno, di Mario Novaro. Una rivista ibrida, perché da una parte vi erano le dettagliate informazioni aziendali, compresi i listini degli oli, oltre ad articoli sulla natura dell’olio, le proprietà salutistiche e i molteplici impieghi in cucina; dall’altra, invece, prendeva corpo un ampio spazio per i testi letterari in prosa e in versi, oltre a illustrazioni dei più celebri artisti dell’epoca. In questa brillante operazione editoriale vennero coinvolte firme importanti e autorevoli, da Luigi Pirandello a Giovanni Pascoli, da Giuseppe Ungaretti a Umberto Saba, da Grazia Deledda a Corrado Alvaro, da Luigi Capuana a Marino Moretti, da Guido Gozzano ad Ardengo Soffici, da Camillo Sbarbaro a Dino Campana, da Clemente Rebora ad Alberto Savinio e a molti altri ancora, tutti di chiara fama e valore. È stata un vero punto di riferimento la rivista, tanto che l’olio ricavato dalle olive venne considerato, a partire da questa esperienza unica ed esclusiva, non più nel solo ambito di pura merce, ma quale espressione di un nobile prodotto culturale.

Mare

L’olio e il mare. Sono due aspetti concatenati tra loro. Due mondi liquidi che si interfacciavano. I pescatori, d’inverno, venivano arruolati nei frantoi, a lavorare per tutto l’inverno. Il mare, tuttavia, lega soprattutto l’olio al commercio, agli intensi traffici e alle tante imbarcazioni che ospitavano barili destinati a ogni dove, in entrata e in uscita. Le località rivierasche ne hanno tratto enorme beneficio, soprattutto i porti di Oneglia e Porto Maurizio, ma anche, e seppure in minor misura, Cervo, Diano Marina, Riva Ligure, Arma di Taggia, Sanremo, Ventimiglia. L’indotto era enorme, coinvolgeva varie professioni: marinai, facchini, bottai, carrettieri, mediatori, assaggiatori, magazzinieri, addetti al dazio, operai dei cantieri navali e i fabbricanti di latte in banda stagnata. C’era lavoro per tutti. L’olio portava ricchezza. 64


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Mosto

Viene definito “olio mosto”, per una consuetudine ormai consolidata, l’olio non filtrato, messo in bottiglia così come sgorga dal separatore centrifugo, alla vista è torbido e piuttosto viscoso. È un termine oggi inusuale, non più utilizzato, ma molto in voga in Liguria, soprattutto in passato. Con tale dicitura compare ancora in commercio, presso molte aziende liguri, ed è un’abitudine che tuttora resiste e viene molto apprezzata dai consumatori.

Mulo

È stato un animale simbolo, un punto di riferimento, una certezza e insieme una garanzia. Il mulo, così come pure l’asino. Vi erano colonne di muli che percorrevano in passato le “marenche”, ovvero le vie che conducevano al mare, così come le chiamavano i piemontesi e i lombardi. I muli sono stati per decenni, e in realtà per secoli, degli infaticabili e generosi compagni di ventura, sempre servizievoli e mansueti. Sui loro dorsi gli otri contenenti il pregiato succo di olive venivano trasportati lungo sentieri continuamente battuti nel silenzio del muto paesaggio.

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Onaoo

Imperia è la indiscussa capitale mondiale dell’assaggio dell’olio. Non che altrove manchino gli assaggiatori professionisti di olio da olive, per carità. Se ne trovano tanti, soprattutto oggi, in ogni angolo del mondo, pronti con i lori nasi ad affondare nei bicchieri, intenti a valutare sensorialmente l’olio extra vergine di oliva. Questi professionisti della degustazione sono ormai presenti con le loro rispettive “scuole di assaggio” ovunque, ma è in Liguria che tutto ha avuto inizio. L’assaggio dell’olio lo si è sempre praticato, sin dall’antichità, ma è a Imperia, nell’anno del Signore 1983, che venne fondata l’Onaoo, acronimo di Organizzazione nazionale assaggiatori olio di oliva. Con questa associazione si dette di fatto il via a un processo virtuoso che ancora oggi tutti riconoscono fondamentale nell’accertare, e nello stesso tempo valorizzare, la qualità delle produzioni olearie. La lettera “n” di Onaoo, che sta per “nazionale”, calza un po’ stretta, vista la caratura internazionale di questa scuola di assaggio. Non c’è infatti assaggiatore al mondo che non si sia formato a Imperia, tutti sono passati di qui e vi ritornano. La formazione è importante. La formazione è targata Onaoo.

Riviera

Come giustamente ricorda il presidente della scuola di assaggio Onaoo Lucio Carli, in un articolo apparso sul numero 10 di OOF International Magazine, la Riviera del Ponente Ligure ha avuto il grande merito di aver reso famosa nel mondo la categoria merceologica dell’olio di oliva. “Dai magazzini di Oneglia e di Porto Maurizio sono partite tonnellate di olio confezionato verso altre regioni italiane o altri lidi più remoti di tutto il globo”, scrive Lucio Carli. La cosiddetta “Miscela Riviera” era un olio di oliva ottenuto – come racconta Carli – “da straordinari oli raffinati miscelati con alte percentuali di extra vergini, sempre ottimi. Ogni azienda aveva la sua ricetta, e con quella ha conquistato il palato dei consumatori in Italia e nel mondo. Ha fatto così conoscere la maestria di noi italiani, e soprattutto di noi del Ponente Ligure nel saper creare Oli con la O maiuscola”. 68


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Torchio alla genovese Per molti secoli sono stati utilizzati due differenti tipi di torchi, nei frantoi: uno, più ingombrante, seppure potentissimo, era detto “alla calabrese”, ed era il torchio inizialmente più diffuso, soprattutto al sud, e l’altro veniva invece definito “alla genovese”, che si impose progressivamente, al punto da diventare il torchio per olive ovunque più utilizzato. Presente dapprima in Liguria e in Provenza, il torchio “alla genovese” si diffuse dapprima in Toscana, fino ad arrivare in tutto il meridione d’Italia, introdotto dal marchese Grimaldi. La struttura era poco snella se confrontata con le moderne presse idrauliche, in azione soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, ma senza dubbio meno voluminosa rispetto al torchio “alla calabrese”. Il torchio ligure era più funzionale. Era costituito da un basamento in parte incassato nel pavimento, lungo fino a circa due metri e largo circa 70 centimetri. Da questo basamento spuntavano due robusti pilastri a incastro, alti circa 2 metri e mezzo o 3, provvisti di una madrevite fissa la cui parte centrale era trapassata in verticale da un foro. In questo largo foro, dal diametro di circa 20 o 30 centimetri, vi era a sua volta un’elica provvista di uno zoccolo nel quale si infilava una stanga necessaria per esercitare la dovuta pressione della pasta delle olive con la conseguente estrazione dell’olio. Questa elica, in sostanza, serviva a far scorrere le spire della vite mobile e a imprimere una forte pressione sui fiscoli colmi di pasta di olive impilati su una base quadrata o rotonda, da cui sgorgava l’olio in un pozzetto. C’è tra l’altro da evidenziare il fatto che un tempo esistevano più spremiture e che ciascuna di queste durava anche dodici ore, anche se in seguito, con il miglioramento della tecnologia, durarono sempre meno, fino a tre ore con questa tipologia di torchio.

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L’olio d’alta quota, l’olivicoltura eroica

di Giuseppe Stagnitto Segretario di TreeDream, movimento culturale per la rinascita dell'olivicoltura d'alta quota italiana

La Liguria, si sa, è caratterizzata da un territorio problematico e, di conseguenza, meritano al riguardo grande attenzione le considerazioni espresse da un movimento culturale, TreeDream, nato per promuovere e favorire la rinascita dell'olivicoltura d'alta quota, non solo ligure, ma italiana 73


L’esperienza di TreeDream - di cui sono segretario, e cofondatore insieme con Flavio Lenardon - dimostra che la rinascita dell’olivicoltura montana è possibile e realistica a patto di modificare l’attuale predominante forma mentis dell’operatore economico, dell’amministratore e del politico. Ecco, di conseguenza, alcune utili riflessioni.

aromatiche e salutistiche - ciò che realmente distingue la qualità di un olio extra vergine di oliva, perché ciò che rimane è la sola parte grassa, sia pure pregevolissima, ma non specifica - venga incrementata proprio a partire dalle situazioni di stress idrico o climatico, che caratterizzano le zone di maggior altitudine. Ecco, pertanto, la novità della nostra comunicazione: noi diciamo che è sufficiente che sia colta la differenza qualitativa che distingue l’olivicoltura d’alta quota, la quale, a costo zero per la pubblica comunità, ristabilisce e mantiene in salute l’intero sistema idrogeologico. Pertanto, i politici, per quanto riguarda l’olivicoltura d’alta quota, una volta compresa la semplicità attuativa del progetto, dovrebbero semplicemente rifarsi a uno dei massimi valori della nostra Carta fondamentale, ovverosia favorire l’autonoma iniziativa. L’art. 118 c. 4 Cost., recita, infatti: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Operazioni di specifica salvaguardia fondate su certificazioni ufficiali potrebbero non risultare effettivamen-

Sintesi programmatica per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota Il caso dell’olivicoltura d’alta quota non deve essere assimilato alle agricolture non remunerative, e quindi sostenute dallo Stato per l’utilità sociale che ne deriva: ad esempio, certi pascoli che assicurano il mantenimento di alcune aree montane. Il caso dell’olivicoltura d’alta quota è singolare per un motivo paradossale: è oggettivo e scientifico che l’olio tratto da oliveti in via di abbandono, proprio perché in alta quota e quindi di difficile coltivazione, abbia un peculiare profilo chimico e sensoriale che lo rende degno di essere classificato quale categoria a sé stante. È infatti ormai pacificamente acquisito che la presenza di componenti 74


te vantaggiose, in quanto una certa classe di consumatori non le associa necessariamente ai prodotti degni di figurare nella fascia più alta del mercato. Gli altri tentativi di salvaguardia territoriale - che non consentono di differenziare e valorizzare il peculiare profilo chimico e sensoriale dell’olio extra vergine di oliva d’alta quota, in quanto omogeneizzano, mettendo di fatto sullo stesso piano, burocraticamente, gli oliveti di più facile coltivazione con quelli in cui è oggettivamente più difficile effettuare le normali pratiche agricole - potrebbero addirittura risultare dannosi, fino addirittura a condannare a morte l’olivicoltura montana. I vari tentativi di salvaguardia del territorio non funzionano perché violano innanzitutto le politiche europee, le quali, al contrario, chiedono siano valorizzate proprio le “differenze produttive”. Inoltre, c’è da osservare che i tentativi di salvaguardia dei territori sono di fatto in palese contrasto con il contenuto dei Piani di Sviluppo Rurale che invece rimarcano la necessità del sostegno a iniziative tese a valorizzare le “specifiche differenze” di produzione locale. Anche la forma mentis dell’operato-

re economico deve mutare: prima di pensare a “vendere” - agendo con nuova e consapevole “responsabilità politica” - dovrà pazientemente ricreare le premesse culturali, ricostruendo le comunità umane che hanno perduto il senso della propria identità e che potrebbero rinascere solo traendo risorse da un nuovo mercato fondato su una differenza specifica che non è mai stata praticamente comunicata. Noi di TreeDream mettiamo volentieri a disposizione la nostra esperienza, alleandoci con chi voglia procedere lungo la tortuosa, impervia, ma già avviata via che conduce alla rinascita dell’olivicoltura d’alta quota.

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Biblioteca olearia

di Maria Carla Squeo

Sono tante, numerosissime, le pubblicazioni in cui al centro dell’attenzione è stato posto l’olivo e l’olio della Liguria. In questa biblioteca tematica ne segnaliamo alcune tra le più significative, cercando di portare in evidenza quelle opere più facilmente reperibili e rappresentative

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Alcuni libri non sono freschi di stampa, e seppur risalgano a un passato comunque recente, li segnaliamo volentieri in quanto rintracciabili in qualche modo nelle librerie della regione o, in ogni caso, nelle biblioteche nazionali. L’ulivo nel Ponente ligure, per esempio, di cui è autore lo storico locale Lucetto Ramella, è stato pubblicato per le edizioni Dominici nel 1986 ed è tuttora disponibile in commercio, pur con qualche difficoltà. Dalla struttura molto semplice, corredata dalle illustrazioni di Pietro Ramella, è impaginato con una grafica essenziale e suddiviso in capitoli brevi ed efficaci, frutto dell’esame accurato di fonti dirette e indirette, elencate in una ricca nota bibliografica che invita all’approfondimento, oltre a una nota d’apertura in cui si ringraziano nominalmente tutti. L’autore ci offre un percorso storico riassuntivo e sin dall’introduzione viene segnalato il progressivo abbandono degli uliveti in Liguria, una situazione che purtroppo è tuttora in corso d’opera: “se non si interviene subito, e nel modo giusto – si legge – nel volgere di pochi anni l’ulivo coltivato scomparirà dalle nostre vallate, con danni incalcolabili per l’economia e l’ambiente”. Un monito, questo, che deve servire a tutti, in particolare alle Istituzioni territoriali.

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Quanto ai libri che hanno esercitato una funzione documentale importantissima, ma non più reperibili in commercio, si segnala sia l’opera di Carlo Carocci Buzi, La coltura dell’olivo nella provincia di Imperia (Roma, 1937), sia l’impareggiabile volume illustrato a firma di Napo Mastrangelo, dal titolo L’olivo / The olive, una edizione bilingue italiano/inglese, uscita in edizione fuori commercio per Fertimont, gruppo Montedison (Roma, 1982). Due libri che si possono consultare nelle biblioteche, ma che sarebbe utile veder ristampati. Un’ opera in due tomi molto preziosa ed esaustiva si intitola Ars olearia, ed è stata editata nel 2019 dal Centro Studi per la storia dell’alimentazione e della cultura materiale “Anna Maria Nada Patrone”. Il primo tomo, a cura di Irma Naso, ha per titolo Dall’ oliveto al mercato nel medioevo e si compone di dieci saggi che esaminano diversi aspetti della storia dell’olio di oliva. Il secondo tomo, a cura di Alessandro Carassale e Claudio Littardi, ha per titolo Dall’oliveto al mercato in età moderna e contemporanea e si compone di quattordici saggi. Si tratta di un’opera autorevole, scritta da storici di chiara fama, che complessivamente comprende oltre seicento pagine, ma che, a onor del vero, non si limitano alla sola Liguria. Quel che se ne ricava è un quadro ampiamente documentato, con elementi a volte anche inediti, molto utili per quanti vogliano acquisire conoscenze preziose e ben articolate circa l’evoluzione dell’olivicoltura e dell’elaiotecnica. Di particolare interesse un saggio di Paolo Vezzano riguardante le frodi olearie sulla piazza di Imperia nel periodo 19251930, con sistemi di truffe impuniti in quanto i personaggi coinvolti erano tutti elementi di spicco del fascismo locale, e, di conseguenza, in quanto tali intoccabili, giacché mai furono denunciati alla magistratura, nonostante l’evidenza e gli enormi danni all’Erario per via di una serie di vendite di bollette di temporanea importazione, di sostituzioni di campioni, di alterazioni delle tare e del grado di acidità degli oli, nonché di aggiunte di oli di semi negli oli di oliva, con l’esportazione e importazione delle medesime partite di olio 82


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dal Deposito franco. Sono tutti aspetti, questi, che evidenziano un intricato intreccio fra politica e malaffare, emerso a seguito di una rigorosa indagine, che cadde tuttavia nel vuoto e nell’indifferenza generale. Un libro che volentieri segnaliamo, e di cui sono autori Cristina e Federico Santagata, ha per titolo Una famiglia per l’olio. 110 anni di una storica impresa olearia in un racconto a più voci, ed è stato editato da Olio Officina nel 2017. È un volume pubblicato anche in una versione in lingua inglese, dal titolo An olive oil family, sempre per la medesima casa editrice. I due volumi, corredati da una ricca e articolata galleria fotografica, peraltro molto suggestiva, si compongono di sei capitoli più una introduzione di Luigi Caricato. Oltre a mettere in giusta luce l’azienda di famiglia, in occasione di un anniversario molto importante, viene affrontato il tema dell’olivo e dell’olio in stretta relazione con la Liguria, oltre che con uno sguardo aperto al contesto generale. Interessanti al riguardo i contributi di Tommaso Sitzia, Luca Spigno e Giulietta Spadafora, sempre introdotti dagli autori, unitamente a una ricca sezione, nella seconda parte del libro, in cui sono presentate in dettaglio le ricette di chef di grande prestigio come Toni Mörwald, Seita Nakahara, Simon Gault, Claudio Fortuna, Ivano Ricchebono e Andrea de Galleani. La capacità e la prontezza dei fratelli Santagata sta tutta nell’aver elaborato un libro polifonico, che ci introduce con grande efficacia alla scoperta di un alimento di per sé semplice quanto nel medesimo tempo complesso, senza mai scendere in inutili tecnicismi, ma anzi invogliando ogni volta il lettore, facendogli prendere sempre più confidenza con un grasso alimentare che da qualche decennio a questa parte sembra ormai essere un prodotto cult a livello universale, come ben dimostra il successo e i consensi degli Santagata all’estero, con i propri oli. Sempre con una predilezione speciale nei confronti della Liguria, va segnalato il libro di Giorgio Barbaria, edito da Olio Officina nel 2017 con il titolo È l’olio, bellezza. Viaggio letterario nelle culture dell’ulivo. L’autore, un personaggio di 84



grande cultura, in questo libro ci aiuta a conoscere l’olio nella sua più intima natura, e si muove con grande padronanza all’interno di tre ambiti, antichi e nuovi nel medesimo tempo: quello greco-romano e quello ebraico-cristiano da un lato, e quello ligure dall’altro. I primi due contesti sono preziosi perché permettono al lettore di conoscere e apprezzare al meglio la nostra più profonda identità di uomini occidentali, nati sotto la civiltà dell’olivo, mentre il terzo contesto si addentra in una regione d’elezione per l’olivicoltura e l’arte olearia, qual è appunto la Liguria, dove, nel corso dei secoli, tra progressi e regressioni, sono fioriti, così come sono svaniti, sia la coltura dell’ulivo, sia la stessa cultura dell’olio: coltura e cultura. Particolarmente toccante in particolare l’ultimo capitolo, “Tra storici, archeologi, geografi, botanici, agronomi, pittori e poeti di Liguria”, dove si comprende quanto sia forte e solido il legame tra l’olivo, l’olio e la Liguria, come forse non lo è, con la medesima intensità e partecipazione, in altri territori altrettanto vocati. Un altro libro edito da Olio Officina ha come autore uno tra i più grandi e riconosciuti esperti di olive da tavola. Si tratta di Roberto De Andreis, che fa parte del gruppo olive del Consiglio oleicolo internazionale, ma è pure il presidente del Comitato promotore della Dop Taggiasca, oltre che capo panel presso il laboratorio merceologico delle Camere di Commercio liguri. Il suo libro ha per titolo L’assaggio delle olive da tavola, e benché tratti l’approccio sensoriale riferito alle principali olive da mensa, mette altrettanto in luce la cultivar, a duplice attitudine, da tavola e da olio, che risponde al nome di oliva Taggiasca. Inoltre, un libro molto interessante, da leggere con grande curiosità, anche solo per scoprire la storia familiare e aziendale dell’Olio Sasso, è Liscio come l’olio, che l’autore, Guido Novaro - figlio di Cellino, l’ultimo “Signor Sasso”, discendente in linea diretta del capostipite Agostino - ha pubblicato nel 2018 per l’editore 1000 e una notte. La scrittura è coinvolgente e vi si legge la personale storia privata e pubblica dell’autore alla luce degli accadimenti accaduti 86



all’interno di una famiglia che porta con sé il carico di una storia collettiva in cui nel corso di tanti decenni si è dato lustro e sostanza alla cultura e all’economia di un Paese come l’Italia, così come alla stessa Liguria. Un libro illustrato molto interessante, fresco di stampa per Silvana Editoriale, è Lattine italiane per olio di oliva. Collezione Guatelli. 1860-1960, pubblicato in edizione bilingue italiano/inglese nel gennaio 2020. Vi si trovano i più rappresentativi esemplari di latte in banda stagnata litografate, attraverso le quali per un intenso secolo è stata raccontata l’Italia attraverso una collezione unica al mondo. Inoltre, altra lettura interessante, è Extra vergini d’alta quota. Viaggio alla scoperta delle produzioni oliandole della Comunità montana Imperiese di Torria, di Luigi Caricato, libro che non è mai stato reperibile in commercio, e lo si segnala qui solo al fine di mettere in luce il valore pionieristico della pubblicazione, tutta incentrata sul concetto di produzioni di alta quota. Pubblicato nel 2005, in edizione bilingue italiano/inglese (High-Altitude Extra Virgin Olive Oil. A journey of discovery of the olive oil produce around Torria in the mountains behind Imperia, Liguria), su richiesta di Valerio De Molli per la tenuta agricola Terre di Sole. Per chiudere questa rassegna libraria, anche se non disponibili in commercio, poiché distribuite gratuitamente, ci sembra giusto segnalare tutta una serie di pubblicazioni a cura del Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure, sempre molto preziose, sempre molto attuali e coinvolgenti. Così, per citare le più recenti, si va da Ricettolio. Riviera dei Fiori a II manuale dell’olio Dop Riviera Ligure, quest’ultimo manuale, rivolto alle scuole alberghiere, è a firma di Luigi Caricato.

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Andar per olivi, frantoi, musei e altri luoghi

di Carlotta

Baltini Roversi

Musei.

A Imperia è attivo il Museo dell’Olivo dei fratelli Carli, il migliore in assoluto in Italia; a Chiusanico, nell’Imperiese, il Museo delle latte d’olio, della famiglia Guatelli; ad Arnasco, nel Savonese, il Museo dell’Olivo e della Civiltà contadina; ad Albenga, sempre nel Savonese, il Museo della Civiltà dell’Olio, della famiglia Sommariva.

I nasi dell’olio.

In Liguria si va anche per apprendere la nobile arte dell’assaggio dell’olio, che oltre a essere un’arte è anche una scienza, ben codificata. Si segnala l’Onaoo, l’Organizzazione nazionale degli assaggiatori olio di oliva con sede a Imperia, che è in assoluto la prima scuola di assaggio in Italia e nel mondo; e, sempre a Imperia, l’Oal, acronimo di Organizzazione assaggiatori liguri.

La Madonna dell’olivo.

Nel Tigullio, in provincia di Genova, esiste a Chiavari, in località Bacezza, lungo la strada statale 1, la nota via Aurelia, il santuario della Madonna dell’Olivo, ricco di una storia antica di secoli, dove all’interno si trovano gli affreschi di Paolo Baratta, Francesco Chiarella, Annunzio Barchi e Giuseppe 92


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Isola. Qui, correva l’anno 936 quando un signore del luogo, un tessitore, vide sopra un albero di olivo, un quadro raffigurante la Vergine Maria con Gesù bambino. Anche i contadini ebbero la medesima visione, come un bagliore tra gli olivi. Così, per dar seguito a un sentimento di devozione, si decise di edificare un tempio con una cappella nella quale si custodisce e venera la miracolosa immagine.

Fondazione Mario Novaro.

A Genova, nella sede della Fondazione dedicata al poeta, filosofo e imprenditore illuminato Mario Novaro, si possono consultare tre preziosi archivi inerenti al tema della pubblicità: Olio Sasso, Mario Medici, Azienda Liguria. Quello relativo alla celebre azienda di Oneglia, è particolarmente utile per ricostruire il periodo d’oro dell’imprenditoria olearia in Liguria.

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olioofficina / progettocultura L’Almanacco di Olio Officina 2020, anno VIII, numero 8

L’annuario Olio Officina Almanacco è una espressione di libero pensiero a supporto del grande happening Olio Officina Festival – Condimenti per il palato & per la mente. Prima edizione a Milano, il 27, 28 e 29 gennaio 2012; seconda edizione il 24, 25 e 26 gennaio 2013; terza edizione il 23, 24 e 25 gennaio 2014; quarta edizione il 22, 23 e 24 gennaio 2015; quinta edizione il 21, 22 e 23 gennaio 2016; sesta edizione il 2, 3 e 4 febbraio 2017; settima edizione l’1, 2 e 3 febbraio 2018; ottava edizione il 31 gennaio, l’1 e il 2 febbraio 2019; la nona edizione il 6, 7 e 8 febbraio 2020. Illustrazione di copertina: © Alyssa Taccardi Illustrazioni di Nebula (p. 21), Doriano Strologo (p. 72, 73, 75) Angelo Ruta (p. 25, 30, 31), Mauro Olivieri (p. 27 e 29)

Foto: Archivio Consorzio olio Dop Riviera Ligure, Archivio Fratelli Carli, Gianfranco Maggio, Antonio Monte (per i marchi di fabbrica e il torchio alla genovese), Mauro Olivieri, Onaoo et al.

L’Almanacco di Olio Officina è un supplemento di Olio Officina Magazine, n. 332, del 29 gennaio 2020. Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 326 del 18 ottobre 2013 Direttore: Luigi Caricato Redazione: via Giovanni Rasori 9 - 20145 Milano ISBN 978-88-94887-30-3 Progettazione grafica: Antonio Mele Si ringrazia per la gentile collaborazione Maria Carla Squeo. Stampa: Editrice Salentina, Galatina (Lecce). Web > festival: olioofficina.com – magazine: olioofficina.it – globe: olioofficina.net edizioni: olioofficina.eu

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€12,00 ISBN 978-88-94887-30-3

9 788894 887303


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