LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
Oli con nome e cognome. Dop e Igp, l’origine certificata
MAGAZINE
#18
ISSN 2611-5239 ISBN 978-88-94887-52-5
9 788894 887525
EURO 15,00
La cultura del “mangiare sano per vivere bene” è principio ispiratore per Masserie di Sant’Eramo. Una filosofia, il cui valore è sempre più riconosciuto in tutto il mondo e che trova nella Dieta Mediterranea la sua massima espressione essendo la risposta più completa al fabbisogno alimentare per ogni essere umano di qualsiasi età.
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
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L’olio con nome e cognome è lo strillo di copertina che abbiamo scelto di adottare per il numero 18 di OOF Magazine. Non è una nostra invenzione. È stata una felice intuizione di Laura Turri attribuire agli oli extra vergini di oliva un nome e un cognome. Nel suo specifico caso, per gli oli che lei produce e commercializza, il nome è Dop, il cognome è Garda – ma questa logica vale per tutti gli extra vergini territoriali dall’origine certificata. Assegnare loro una identità significa riconoscere una dignità ben diversa da quella attribuita a una semplice quanto generica spremuta di olive. Imprenditrice olearia tra le più prestigiose, la Turri è una figura chiave cui il comparto dell’olivo e dell’olio deve moltissimo, sia per l’apporto di idee, sia per la sua concretezza nell’agire. Per lei l’origine va sempre certificata. Le Dop e le Igp sono state istituite proprio per questo. Il territorio e l’ambiente fanno sempre la differenza. Per gli antichi romani era il genius loci. Si può raccontare lo spirito del luogo solo se si ha certezza che l’identità sia coerente con ciò che il territorio esprime. La qualità è l’obiettivo di tutti, ma la si produce ovunque, basta garantire la necessaria professionalità e l’osservanza delle regole base. Il territorio per sua natura esprime la propria identità in modo unico, esclusivo e non replicabile. I francesi hanno reso celebri i propri vini proprio cavalcando magistralmente il concetto di terroir. Non è un caso che siano stati premiati per la loro perspicacia e lungimiranza. È sufficiente dire Champagne, non è necessario specificare vino spumante. Il territorio quale nume tutelare. Il territorio quale elemento identitario. Ogni territorio apporta il proprio segno distintivo, la propria peculiarità. Questa identità va proclamata e difesa, diventando per tutti patrimonio universale condiviso. Consiste proprio in questo il motivo per il quale l’olio deve necessariamente avere un nome e un cognome. L’identità che deriva da un territorio va salvaguardata e protetta perché è opportuno garantire la perfetta aderenza con quanto riportato in etichetta: origine, unicità, peculiarità, qualità.
olioofficina.it
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OOF MAGAZINE N. 18
#18 6
LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
Index
L’olio con nome e cognome
2
L’Italia dell’olio secondo Ismea. Un’istantanea Struttura, offerta e domanda nel 2023
12
L’Italia olivicola espressa in ettari
14
Le aziende olivicole regione per regione
16
Quanto olio si produce in Italia e dove
18
Tutti gli oli a Indicazione geografica certificata in Italia
20
Il valore e i volumi degli oli Dop e Igp in Italia
22
Quali sono i prezzi alla produzione degli oli Dop e Igp dell’olio Le quotazioni euro/chilo delle principali attestazioni di origine in Italia
24 Editoriale La fabbrica delle Dop di Luigi Caricato
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È nato qui. olio di puglia iGp
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
Index Scenari
30 Nani o bambini? Le Dop e le Igp dell’olio a un quarto di secolo dalla loro comparsa di Mauro Meloni
Intervista a Francesco Lollobrigida e Cesare Baldrighi 40 Il paradosso Ig. Il Ministro dell’Agricoltura e il presidente di Origin Italia rispondono intorno allo stato di salute degli oli con attestazione di origine Dop e Igp in Italia di Luigi Caricato
Intervista a Giorgio Lazzaretti Professione: agente vigilatore
di Luigi Caricato Intervista a Simone Padovani L’olio a marchio Dop visto dalla parte 52 Intervista a Francesco Iuculano dei Consorzi di tutela Gli oli del territorio nella Gdo. di Luigi Caricato Un atto rivoluzionario
OI
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di Maria Carla Squeo
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
Index Idee
Come gli oli Dop e Igp possono salvare l’olivicoltura italiana
74
di Chiara Di Modugno
Dop | Igp. La valenza dell’identità territoriale Oltre l’olio mass-market. Verso nuovi modelli resilienti
90
A scuola d’olio
di Francesco Gasparini
AAA cercasi oleoteche di Eva Collini
L’olio del territorio Dop e Igp al ristorante. Come collocarlo, come presentarlo, come proporlo
94 Come abbino gli extra vergini Dop e Igp
100
di Ilaria Legato
Consigli di abbinamento: Giuseppe Capano Selezione degli oli: Luigi Caricato
OXOS
di Alessia Cipolla
Un nuovo oggetto di design per l’olio in scena
108
104
I balsamici regnano sovrani. Gli altri aceti? Stanno a guardare
116
di Maria Carla Squeo
Altre storie le olive, inedito in versi di Guido Oldani
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foto di Gianfranco Maggio
Coloring La scelta Disegno di Stefania Morgante
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
Direttore Luigi Caricato Coordinamento redazionale Chiara Di Modugno, Alessandro Tacchino
Hanno collaborato Giuseppe Capano, Luigi Caricato, Alessia Cipolla, Chiara Di Modugno, Francesco Gasparini, Ilaria Legato, Mauro Meloni, Guido Oldani, Tiziana Sarnari (Ismea), Maria Carla Squeo
Art Buyer Maria Carla Squeo
Stampatore Editrice Salentina, Galatina (Lecce) - Italia
Art Director Michelangelo Petralito
Distribuzione in libreria Unicopli - Trezzano sul Naviglio, Milano
Progetto grafico e impaginazione PR-A, Milano
Pubblicità Olio Officina, pubblicita@olioofficina.it
Pubblicazione periodica maggio 2024, anno 8, numero 18 ISSN 2611-5239 Olio Officina ISBN 978-88-94887-52-5
Fotografie Gianfranco Maggio, Francesca Binda, Plum, Consorzio Dop Umbria, Consorzio Dop Garda, Olio San Giuliano, Provincia di Grosseto, Consorzio Dop Riviera Ligure, Evo di Eva, Ristorante Dattilo, Planeta, Lido Vannucchi, Silvano Pupella, Sonia Santagostino
Editore Olio Officina
Illustrazioni Huza Studio, Doriano Strologo, Stefania Morgante
Olio Officina Srl Società unipersonale Via Francesco Brioschi 86 20141 Milano - Italia
Comitato scientifico Luigi Caricato, Rosalia Cavalieri, Lorenzo Cerretani, Daniela Marcheschi, Antonio Monte, Massimo Occhinegro, Alfonso Pascale
Redazione Via Giovanni Rasori 9 20145 Milano - Italia Tel. 0039 02 8465223 Siti Internet magazine olioofficina.it festival olioofficina.com edizioni olioofficina.eu E-mail redazione@olioofficina.it
Copertina illustrazione di Doriano Strologo
Il numero 18 di OOF Magazine, maggio 2024, è il supplemento del numero 557 della testata giornalistica Olio Officina Magazine, registrata presso il Tribunale di Milano, n. 326 del 18 ottobre 2013. Direttore responsabile: Luigi Caricato. La rivista OOF Magazine viene distribuita in libreria e la si può ricevere anche direttamente al proprio recapito su abbonamento (Info: posta@olioofficina.eu). Costo dell’abbonamento a quattro numeri di OOF Magazine: euro 60,00 per l’Italia, euro 80,00 per Europa e Bacino del Mediterraneo; euro 100,00 Americhe, Asia, altri Paesi dell’Africa; euro 110,00 per Oceania. È possibile acquistare copia digitale sfogliabile della rivista su piattaforma Issuu alla voce Olio Officina.
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea. Un’istantanea Struttura, offerta e domanda nel 2023 Struttura
Offerta
Domanda
tonnellate milioni di ha a olivo (di cui 272mila bio)
consumi pro capite rispetto alla scarsa produzione 2022 2023
mila imprese olivicole
vendite in volume
in media il peso delle Ig certificate sulla produzione nazionale
in valore
Dop frantoi attivi
2023 IMPORTAZIONI
-30% +11% in volume
Igp
in valore
2023 ESPORTAZIONI
-17% +14% in volume
in valore
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
L’Italia olivicola espressa in ettari media 2019-2022 2022 2023* variazione % 2023-2022 Valle d'Aosta 0,3 1 1 – Piemonte 147 158 183 +16% Lombardia 2.387 2.353 2.370 +1% Trentino-Alto Adige 389 390 393 +1% Veneto 5.221 4.975 5.345 +7% Friuli-Venezia Giulia 375 337 305 -9% Liguria 16.893 17.040 19.245 +13% Emilia-Romagna 4.262 4.366 4.511 +3% Toscana 87.256 85.401 87.534 +2% Umbria 27.146 27.191 27.191 – Marche 9.588 9.532 9.533 – Lazio 82.969 82.987 82.987 – Abruzzo 41.898 41.900 41.762 – Molise 14.333 14.325 14.325 – Campania 74.114 70.040 69.540 -1% Puglia 373.923 348.950 342.420 -2% Basilicata 26.086 26.086 26.587 +2% Calabria 184.629 184.682 184.682 – Sicilia 160.226 161.137 176.596 +10% Sardegna 40.604 40.605 40.327 -1% Italia 1.152.444 1.122.456 1.135.837 +1% Fonte: Ismea su dati Istat; *provvisorio
0% 0%
La ripartizione regionale della superficie olivicola media 2019-2022
0%
0%
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8%
1% 2%
7%
4% 6%
4%
32% 2%
16% 14% Con tecnologia Bing © GeoNames, Microsoft, TomTom
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
Le aziende olivicole regione per regione 2010 2020 variazione % 2020-2010 Piemonte 641 1.939 +202% Valle d'Aosta 47 71 +51% Liguria 13.532 7.566 -44% Lombardia 1.939 4.506 +132% Trentino-Alto Adige 845 1.056 +25% Veneto 6.389 6.114 -4% Friuli-Venezia Giulia 517 832 +61% Emilia-Romagna 4.922 5.515 +12% Toscana 50.328 36.762 -27% Umbria 24.195 17.575 -27% Marche 25.458 18.274 -28% Lazio 67.996 41.790 -39% Abruzzo 54.852 34.551 -37% Molise 19.262 13.355 -31% Campania 85.870 51.600 -40% Puglia 227.245 161.009 -29% Basilicata 32.753 20.340 -38% Calabria 113.907 79.965 -30% Sicilia 140.164 96.176 -31% Sardegna 31.212 20.382 -35% Italia 902.074 619.378 -31% Fonte: Ismea su dati Censimento dell’Agricoltura 2010 e 2020 elaborati da CREA
0% 1%
La ripartizione regionale delle aziende olivicole 2020
0%
0%
1% 1%
6%
3% 3%
7%
6% 8%
3%
26% 3%
13% 16% Con tecnologia Bing © GeoNames, Microsoft, TomTom
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L'autentico sapore del Garda.
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
Quanto olio si produce in Italia e dove media 2019-2022 2021 2022 2023* variazione % 2023-2022 Piemonte 15 10 22 14 -38,2% Lombardia 609 157 916 234 -74,4% Trentino-Alto Adige 320 90 509 219 -57,0% Veneto 1.453 420 2.009 1.010 -49,7% Friuli-Venezia Giulia 99 74 143 85 -40,8% Liguria 2.594 1.517 2.744 1.729 -37,0% Emilia-Romagna 1.263 1.165 1.577 994 -37,0% Toscana 14.684 10.918 17.759 10.229 -42,4% Umbria 4.898 3.178 5.629 2.860 -49,2% Marche 3.248 3.682 3.243 1.452 -55,2% Lazio 14.011 12.166 15.780 7.707 -51,2% Abruzzo 8.340 11.037 5.480 8.746 +59,6% Molise 2.867 3.158 2.610 2.947 +12,9% Campania 12.610 10.853 11.519 7.492 -35,0% Puglia 151.699 177.407 99.348 201.800 +103,1% Basilicata 4.635 5.919 2.179 5.408 +148,1% Calabria 39.922 44.792 30.459 33.300 +9,3% Sicilia 34.436 38.870 31.873 37.292 +17,0% Sardegna 4.776 3.613 7.125 4.943 -30,6% Italia 302.479 329.026 240.922 328.461 +36,3% Fonte: ISMEA su dati Agea; *2023 stima Ismea aprile 2024
0,1% 0,2%
La ripartizione regionale della produzione media 2019-2022
0%
0%
0,5% 0,4% 4,9%
1,1% 1,6% 4,6%
2,8% 0% 4,2%
1,6%
1,5%
13,2% 11,4%
Con tecnologia Bing © GeoNames, Microsoft, TomTom
50%
*Residui ≤ a 0,01 mg/kg. Prodotto finito certificato da SGS Italia.
UNO ZERO CHE VALE ORO. Costa d’Oro presenta il primo extra vergine in Italia certificato Zero Pesticidi Residui*. Un olio che riscrive le regole della qualità degli extra vergini d’oliva.
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
Tutti gli oli a Indicazione geografica certificata in Italia 22.218 produttori su una superficie pari a 167mila ettari, il 15% circa del totale a oliveti, a cui si aggiungono 2.050 trasformatori La produzione di olio Ig e la quota sul totale 16.000
8%
14.000
7%
12.000
6%
10.000
5%
8.000
4%
6.000
3%
4.000
2%
2.000
1%
–
0%
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
2022
Produzione certificata Quota sul totale
Fonte: ISMEA/QUALIVITA su dati ODC
Ripartizione della produzione di olio Ig
Altre Ig
26%
Terra di Bari
37%
Val di Mazara
11%
Sicilia
12%
Toscano
14%
La produzione resta ferma a poche migliaia di tonnellate nonostante l’elevato numero di riconoscimenti, un panorama ampelografico unico al mondo e la presenza di territori vocati e aziende d’eccellenza. I volumi sono concentrati su pochi prodotti. Le prime due Ig rappresentano il 51% della produzione totale e con le prime quattro si arriva al 74%. Le Ig olio restano un prodotto di nicchia senza riuscire a conquistare quote di mercato significative. In molti casi, peraltro, il prezzo di mercato di alcune Ig non si scosta molto dal prezzo dell’olio convenzionale delle stesse aree e questo non è particolarmente incentivante per gli operatori.
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
Il valore e i volumi degli oli Dop e Igp in Italia 0,6% 0,8%
Distribuzione regionale del valore alla produzione dell'olio Ig (mln€) nel 2022
0%
Nel 2022 la Toscana ha perso il primato del valore della produzione e scende al terzo posto dopo Puglia e Sicilia. Anche il valore della produzione Ig è fortemente concentrato. Degli 84 milioni stimati per la produzione 2022 ben il 28% è appannaggio della Dop Terra di Bari, seguito dal 20% della Igp Toscano e dal 12% della Igp Sicilia.
2% 0,6%
18,2%
0,3% 3,8% 0,4% 1,8%
26%
1%
0,1% 1,6% 1,6%
21,9%
Con tecnologia Bing © GeoNames, Microsoft, TomTom
Le principali Ig dell’olio PRODUZIONE CERTIFICATA (tonnellate)
Terra di Bari Dop Toscano Igp Sicilia Igp Val di Mazara Dop Riviera Ligure Dop Umbria Dop Garda Dop Valli Trapanesi Dop Sardegna Dop Olio di Calabria Igp Altri prodotti Dop/Igp Totale oli di oliva Prodotto
Fonte: ISMEA/QUALIVITA su dati ODC
VALORE ALLA PRODUZIONE (mln euro)
2021
2022
variazione % 2022-2021
2021
2022
variazione % 2022-2021
4.338 2.855 1.171 1.472 459 411 260 154 155 149 1.607 13.031
4.982 1.910 1.616 1.484 284 431 193 302 228 184 1.881 13.495
+14,8% -33,1% +38,0% +0,8% -38,2% +5,0% -25,7% +95,8% +46,8% +23,5% +17,0% +3,6%
20 26 6,9 8,4 5,5 3,6 3,0 0,8 0,9 1,0 12 88
24 17 10 8,3 4,0 3,8 2,4 1,7 1,6 1,5 10 85
+19,1% -33,1% +47,0% -1,2% -27,9% +8,1% -20,0% +114,7% +71,7% +49,7% -18,1% -4,0%
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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI
L’Italia dell’olio secondo Ismea
Quali sono i prezzi alla produzione degli oli Dop e Igp
2019
2020
2021
2022
2023
Aprutino Pescarese Brisighella Bruzio Canino Chianti Classico Colline Teatine Dauno Garda Lametia Monte Etna Monti Iblei Riviera Ligure Terra di Bari Umbria Val di Mazara Valli Trapanesi Igp Toscano Igp Sicilia
6,90 22,00 7,70 7,30 11,70 6,90 5,20 17,00 8,00 7,50 9,90 10,90 5,30 8,50 6,80 6,80 7,70 6,70
6,70 22,00 7,30 7,10 13,00 6,70 3,50 17,00 7,70 6,10 8,10 11,30 3,68 8,30 4,70 4,70 8,30 4,70
6,40 20,00 7,20 7,30 12,10 6,40 4,60 11,30 7,50 10,40 9,10 10,40 4,60 8,70 5,10 5,10 8,10 5,50
6,40 22,10 7,00 7,60 13,67 6,45 4,69 14,32 7,19 7,33 10,50 12,05 4,80 8,91 5,62 5,58 5,57 8,71
9,37 22,99 7,80 8,31 13,91 9,50 7,06 13,85 8,00 10,00 10,70 12,70 7,60 9,50 7,70 7,60 7,60 9,40
Fonte: ISMEA, prezzi alla produzione, Iva esclusa, franco partenza produttori
Le quotazioni euro/chilo delle principali attestazioni di origine in Italia In generale i prezzi degli oli Dop e Igp italiani hanno registrato incrementi dei prezzi alla produzione, sebbene con tassi di incremento inferiori rispetto agli oli «convenzionali». E questa è una caratteristica che si è osservata sia alla produzione sia nelle successive fasi della filiera fino al consumo. C’è stato quindi un ridimensionamento del gap tra il prodotto non Ig e quello con riconoscimento comunitario.
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uando penso alle attestazioni di origine, penso a qualcosa di magnifico, di bello, fantastico e sensazionale. Prestare attenzione al proprio territorio è fondamentale, farlo attraverso un istituto giuridico che attesti ufficialmente l’origine, certificandola, mi sembra lo strumento perfetto, nonché la soluzione ideale per dare riconoscibilità, valore e prestigio alle produzioni territoriali. Tante di queste attestazioni di origine, tuttavia, pur essendo un’occasione di vanto e motivo di orgoglio per chi le ha proposte e ottenute, peraltro dopo un lungo iter per conseguire il riconoscimento, rappresentano spesso un corpo vuoto, solo un nome che vaga nell’indefinito e nulla più. Vi sono addirittura Dop fantasma, sprovviste di un Consorzio di tutela che crei le giuste dinamiche per renderle pienamente operative e di successo. Dop, oltretutto, che vengono ogni volta citate nel lungo elenco di quelle riconosciute, legittimate a pieno titolo, ufficializzate, ma poi, di fatto, completamente assenti dalla scena. Perché, a volte, già solo trovare una bottiglia di alcune di queste Dop fantasma sugli scaffali diventa un’impresa ardua, se non impossibile. Tutto questo darsi da fare per non concretizzare nulla appare così sbalorditivo, così assurdo, così grottesco, che a volte ci si chiede a cosa serva mettere in piedi una Dop se poi non ci si cura di farla crescere, ancor prima di farla sopravvivere. E così, accade che vi siano Dop esibite sulla carta ma non sugli scaffali dei punti vendita. La fabbrica delle Dop è una fabbrica che ha funzionato a meraviglia quando si è trattato di istituire nuove Indicazioni geografiche, ma poi, a distanza di tempo, ci si è accorti che qualcosa non è andato per il verso giusto. I numeri come sempre non perdonano e non lasciano spazio a equivoci. Il rapporto presentato da Ismea nell’aprile 2024 ci fa comprendere lo stato della realtà in tutta la sua evidenza: disponiamo di 42 Dop e
8 Igp, che, insieme, fanno 50 attestazioni di origine per la categoria merceologica olio extra vergine di oliva. Esaminando però il peso effettivo di queste Indicazioni geografiche, si scopre che tutto fa perno su quattro denominazioni, le quali, complessivamente, rappresentano il 74% della produzione totale degli oli a marchio di origine certificato. In tutto sono tre regioni a imporsi sul mercato: la Puglia con la Dop Terra di Bari (37%), la Toscana con l’Igp Toscano (14%) e la Sicilia con l’Igp Sicilia (12%) e la Dop Val di Mazara (11%). Per il resto, al di là delle microaree produttive virtuose, con buone performance di mercato, come nel caso della Dop Garda e della Dop Riviera Ligure, il cui unico limite è costituito dalle ridotte superfici olivetate, vi sono per contro areali con vasti oliveti che potenzialmente potrebbero avere tante chance ma le cui produzioni non vengono in alcun modo valorizzate. Sta dunque qui il grande e irrisolto paradosso delle Indicazioni geografiche: sono tante, forse troppe, quelle riconosciute, poche, invece, quelle realmente efficaci e vincenti sul mercato. Alcune Dop partono svantaggiate già per il nome, inadatto a essere compreso e associato al territorio, anche perché molto spesso richiamano contesti e luoghi di un passato lontano, tanto lontano e distante dal presente da non essere nemmeno del tutto compreso e interiorizzato dagli stessi soggetti presenti in loco. Altre Dop faticano perché sprovviste di Consorzio di tutela, altre perché non ci sono olivicoltori, frantoiani e confezionatori interessati a certificare l’origine e a proporle sul mercato. Alcune Dop sono affidate a direttori e presidenti dormienti, alcuni dei quali pur essendo operatori del settore nemmeno danno il buon esempio certificando loro per primi l’olio che producono. Vi sono inoltre Consorzi di tutela che per battaglie intestine ed esacerbanti diatribe di potere non esistono più proprio per via dello scontro feroce e senza esclu-
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La fabbrica delle Dop di Luigi Caricato
© Plum
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sione di colpi tra le varie organizzazioni di categoria che tentano di avere il pieno controllo del consiglio di amministrazione. E poi ci sono a volte Comitati di assaggio professionale dediti alla valutazione sensoriale degli extra vergini in attesa di certificazione così severi da arrivare al punto di confondere gli oli destinati al commercio, e dunque al consumo corrente, con gli extra vergini in gara in concorsi in cui si selezionano solo oli di assoluta eccellenza (perché l’olio di media qualità non fa molto chic). E poi, non dimentichiamo, c’è pure il fatto che il territorio stesso non accolga in molti casi, e talvolta con ostinazione, gli oli certificati, considerandoli prodotti alieni da avversare – provate a fare un giro per ristoranti, alberghi e bar per verificare se dispongano di oli Dop e Igp. Gli stessi consumatori prediligono un generico extra vergine, puntando a prezzi più bassi e solo in apparenza più convenienti. Che piaccia o meno, la realtà è questa. Se poi aggiungiamo anche l’eccesso di burocrazia, i costi di certificazione, lo scarso appeal di tali oli sul mercato, la complessità di gestione delle attestazioni di origine è tale da far desistere in molti. Eppure il valore delle Indicazioni geografiche è immenso. Non comprenderlo è così illogico e incongruente. Forse è mancata, nei trent’anni e più dalla pubblicazione del Regolamento del Consiglio delle Comunità europee, il numero 2081/92, la consapevolezza di quanto sia importante tale strumento per farne comprendere il senso profondo. Certo è che da un lato vi sono soggetti virtuosi che faticano a ottenere il riconoscimento, quando invece sarebbero da favorire nel tortuoso iter proprio perché ben disposti a crederci e altrettanto determinati nell’ottenere il riconoscimento secondo un atteggiamento diverso e discontinuo rispetto al passato - e chissà se la nuova riforma delle Ig consentirà per davvero un cambio di passo. A fare la differenza, come sempre, sono le persone. Fin quando
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Quando penso alle attestazioni di origine, penso a qualcosa di magnifico, di bello, fantastico e sensazionale. Prestare attenzione al proprio territorio è fondamentale, farlo attraverso un istituto giuridico che attesti ufficialmente l’origine, certificandola, mi sembra lo strumento perfetto, nonché la soluzione ideale per dare riconoscibilità, valore e prestigio alle produzioni territoriali.
non si libereranno le Ig dal predominio delle organizzazioni sindacali che si frappongono al solo scopo di esercitare e gestire un potere, e soprattutto di intercettare finanziamenti pubblici, le Dop e le Igp dell’olio non decolleranno mai. Tutto dipende dalla qualità, anche morale oltre che professionale, delle persone, e dal gruppo di soggetti cui si dà l’occasione e la concreta possibilità di occuparsene. I casi virtuosi ci sono e sono emblematici. Un esempio edificante che mi sembra giusto citare lo trovo nell’operato della sindaca di Cavaion Veronese Sabrina Tramonte, che non solo ospita in una propria struttura dotata di oliveto la sede del Consorzio dell’olio Dop Garda, ma a sua volta è socia del Consorzio e certifica pure gli oli che ricava dagli olivi di proprietà comunale, dando così plastica dimostrazione di quanto anche le istituzioni locali possano credere fattivamente nelle attestazioni di origine, attivandosi in prima persona. Un altro esempio da seguire è in questo caso un imprenditore di Castel San Pietro Terme, alle porte di Bologna, Carlo Gherardi, fondatore di Palazzo di Varignana, il quale con Agrivar, una grande azienda agricola, moderna ed efficiente, espressione di molteplici identità e di un nuovo modello economico e sociale, ha saputo valorizzare sia il settore agricolo, sia quello dell’ospitalità, tutelando nel contempo il paesaggio e riponendo la massima attenzione alle risorse umane e naturali del territorio. E così, proprio sui colli bolognesi, oggi, dopo secoli di abbandono, è stato possibile avviare una vera e propria olivicoltura, non più realtà marginale, ma coltivazione di primaria importanza, nello stupore generale, anche perché in pochi potevano scommettere sulla pianta dell’olivo in modo così determinato e tenace, piantando migliaia di olivi su oltre 200 ettari, solo qualche anno fa impensabili in un territorio alle porte di Bologna. Eppure la determinazione è stata tale da far puntare perfino alla richiesta
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di una Igp Colli di Bologna, avvalendosi del supporto scientifico dell’Università di Bologna e dell’Università di Firenze. Fin qui tutto bene, tranne il fatto che si sono mosse delle azioni di contrasto pur di impedire il raggiungimento dello scopo. Qualcuno si è affacciato all’orizzonte cercando di imporre un’altra Igp, a nome Emilia-Romagna, così da escludere quella denominata Colli di Bologna, cui si sta lavorando alacremente. L’obiettivo dell’Indicazione geografica protetta per l’olio extra vergine di oliva prodotto nell’area che comprende la provincia di Bologna fino ai colli imolesi, a sud della via Emilia, unisce una rete di imprese che si riconosce nell’olio felsineo. Perdere questa opportunità per creare una Igp inutile come quella che contrappone una nota associazione di categoria non è la soluzione migliore per far decollare il sistema delle Ig. In questo caso le pubbliche istituzioni dovrebbero cogliere le opportunità provenienti dai territori e non lasciarsi sedurre dalle sirene di certi organismi di potere che ovunque entrano fanno terra bruciata. Ci vuole un’etica anche nell’ambito delle attestazioni di origine, se veramente si vorrà far qualcosa di concreto a tutela delle produzioni territoriali. Chiudo con un ultimo esempio. In Piemonte e Valle d’Aosta sta rinascendo una olivicoltura che era scomparsa da secoli, e anche in questo caso sarebbe auspicabile che a occuparsi di una possibile quanto desiderabile Dop o Igp siano soggetti reali, imprenditori che operano nel territorio con scienza e coscienza, slegati da gruppi predatori. È ammirevole, al riguardo, l’operato del Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Piemonte e Valle d’Aosta: tanti piccoli passi, si sa, possono compiere il grande miracolo di restituire alle Ig lo spirito originario con il quale sono state concepite, ossia valorizzare le produzioni territoriali, non far diventare terra di conquista ogni minimo spazio di potere.
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Scenari. Tra passato, presente e futuro
di Mauro Meloni Direttore Ceq, Consorzio extra vergine di qualità, e Unifol, Unione italiana famiglie olearie
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Nani o bambini? Nani o bambini? Le Dop e le IGp dell’olio a un quarto di secolo dalla loro comparsa
Le Dop e le Igp dell’olio a un quarto di secolo dalla loro comparsa © Gianfranco Maggio
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Le Ig - acronimo che sta per Indicazioni geografiche - non hanno mai trovato terreno fertile tra i consumatori, perché poco è stato fatto per favorire la diffusione di una cultura della differenziazione, e tante sono le criticità, già chiare sin dall’esordio, che hanno ragionevolmente compromesso lo sviluppo del comparto. L’industria nazionale non era preparata a un cambiamento di passo così radicale. Inoltre, qualità e tipicità non sono sempre state distinte e comunicate con chiarezza, e l’ossessione di restringere la griglia dei parametri in alcuni territori ha finito per limitare le adesioni al disciplinare di produzione
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ani o bambini? È la domanda che ci si pose alla conferenza di presentazione del primo studio sulle nascenti Ig (Indicazioni geografiche) dell’olio di oliva. Due prospettive diametralmente opposte che si sarebbero potute presentare all’orizzonte. Non era ancora iniziato il millennio quando, nella splendida cornice del parlamentino del Ministero dell’Agricoltura, si tenne la prima conferenza per discutere i risultati di uno studio condotto dall’Osservatorio economico di Unaprol sulle prospettive delle nascenti Dop olivicole. A distanza di un quarto di secolo, rileggendo la pubblicazione, non sono poche le considerazioni
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che hanno avuto riscontro. L’olio extra vergine di oliva potenzialmente certificabile, solo nelle aree Dop oggetto dell’indagine - Canino, Terra di Bari, Terra d’Otranto, Riviera Ligure, Lametia e Terre Tarentine -, era stato stimato in 50mila tonnellate, equivalente a un terzo della produzione complessiva del territorio preso in esame. Se ci soffermassimo alle 13,5mila tonnellate di oli Ig complessivamente certificati nel 2022 - con i riconoscimenti arrivati a quota 50 - dovremmo parlare di totale fallimento, almeno sul piano numerico. La frammentazione della produzione, l’incapacità delle numerose e minuscole unità produttive © Consorzio Dop Umbria
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a rispettare i requisiti e i controlli, la difficoltà di organizzare le vendite, l’obbligo imposto per alcune Dop di rispettare le menzioni geografiche aggiuntive, frazionando ulteriormente il territorio, la ridotta possibilità in molte aree di assicurare una massa critica, l’utilizzo di nomi di riferimenti geografici e territori sconosciuti, l’esistenza di un diffuso autoconsumo e mercato locale che non aveva necessità di una certificazione terza, nonché l’impatto dei parametri qualitativi restrittivi sulle produzioni dell’area, sono solo alcune delle criticità chiare già all’epoca, che hanno ragionevolmente compromesso lo sviluppo del comparto. Le Dop non hanno mai trovato terreno fertile tra i consumatori, perché poco è stato fatto per favorire la diffusione di una cultura della differenziazione, sia essa intesa come caratteristiche distintive delle diverse varietà o come funzioni d’uso più articolate e sofisticate, alternative rispetto all’utilizzo tradizionale come condimento generalizzato. L’industria nazionale non era preparata a un cambiamento di passo così radicale per abbandonare la logica che l’aveva guidata sin dai suoi esordi, connotata dall’abilità di selezionare masse di olio di oliva all’interno del bacino del Mediterraneo per proporre proprie “ricette” standardizzate a prezzi competitivi. Si sarebbe trattato di rinunciare a quella flessibilità nella selezione delle masse che la gestione di piccole partite localizzate non avrebbe più consentito. Un salto nel buio. Troppi vincoli, soprattutto strutturali dal lato dell’offerta, deponevano sfavorevolmente per questo cambio di passo che di fatto si è affermato timidamente a macchia di leopardo. Già all’epoca, nel rapporto, si segnalava tra gli elementi disincentivanti l’ingresso delle marche nazionali nel segmento, la difficoltà di garantire una minima completezza di gamma, la mancanza di un vocabolario descrittivo del prodotto che fosse acquisito dai consumatori; le varietà erano sconosciute, le caratteristiche sensoriali poco utilizzabili, le curiosità tecnologiche inesistenti. Inoltre, difficoltoso appariva per molti operatori intervistati all’epoca utilizzare la Dop, per costruire un vantaggio competitivo rispetto a un concorrente di un’altra Dop
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e in larga parte mancava tra di loro una cultura di campo, in quanto le aziende di marca erano per lo più storicamente poco integrate a monte e non disponevano di competenze interne da dedicarvi. Le premesse non potevano far sperare per uno sviluppo numerico elevato, come difatti è avvenuto, ma forse è stato addirittura inferiore alle più prudenziali aspettative per diverse ragioni. Riflettendo ex-post, qualche conclusione potrebbe essere tratta. In primis, il ruolo differenziato dell’origine. L’origine può essere un valore oggettivo per un prodotto quando identifica un territorio al quale i consumatori riconoscono un plus qualitativo rispetto ad altri, o comunque quando gli riconoscono un legame con i caratteri distintivi di valore per quel prodotto. In assenza di tali presupposti, l’origine è un’informazione generica che può assumere valore solo in maniera soggettiva. E non pochi sono i casi in cui può funzionare esattamente al contrario, certificando una reputazione negativa. Fermo restando che informare i consumatori sulla provenienza di un prodotto è un valore imprescindibile, quello che ci interessa qui è piuttosto se e in quali condizioni questa informazione potrebbe creare un valore aggiunto. Nel caso delle Dop/Igp, se ci riferiamo alla qualità/tipicità del prodotto, non tutte le origini potevano fare leva sulla buona reputazione del proprio territorio. A parità di condizioni, la differenza di reputazione spiega parte della differenza di successo tra le Dop. Qualità e tipicità non sono sempre state distinte e comunicate con chiarezza e l’ossessione di restringere la griglia dei parametri in alcuni territori ha finito per limitare le adesioni al disciplinare. Comprensibile l’ambizione di premere per certificare gli extra vergini di qualità del territorio, ma per contro la tipicità non sempre era in linea con la qualità imposta dal disciplinare di produzione. Segnale spesso di una indagine territoriale che precede la messa a punto del disciplinare, condotta frettolosamente o calata dall’alto. I nomi utilizzati per indicare le Dop non sempre sono stati una scelta felice. Alcuni di questi nomi
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erano sconosciuti appena fuori dall’area di produzione e in coincidenza di una limitata disponibilità di prodotto da certificare, che è il caso più frequente, l’affermazione del marchio avrebbe richiesto un impegno in comunicazione proibitivo. D’altronde, se si considera che ad oggi le prime quattro Iindicazioni geografiche rappresentano il 75% dei volumi complessivi certificati appare evidente l’eterogeneità del valore e dell’impatto dello strumento sul settore, a seconda dei casi. Un caso emblematico è stato il successo dell’Igp Toscano, dove, in presenza di un nome particolarmente noto e suggestivo, lo sviluppo commerciale ha avuto gioco facile nell’attrarre aziende e consumatori, con l’unico limite dato dalla disponibilità di prodotto. Altro elemento che ha offerto un impulso molto limitato rispetto alle sue potenzialità è stata la componente sensoriale, sia nella fase descrittiva del disciplinare di produzione, dove i testi non riescono mai ad andare oltre un bagaglio lessicale ripetitivo e superficiale, e dove ancor peggio non riescono a differenziarsi sufficientemente tra loro, sia nella fase di valutazione da parte delle commissioni di assaggio, dove - vuoi per una normativa penalizzante sulla libertà descrittiva, vuoi per una formazione dei panelisti troppo ancorata ai difetti, e vuoi per un ritardo nella ricerca di metodi e di strumentazione scientifica di supporto - non si è creato quel volano emozionale necessario per cambiare il terreno di gioco del segmento rispetto al resto della categoria. Un altro aspetto critico è connesso alla stessa garanzia Dop/Igp che in teoria, attraverso il riconoscimento del bollino, dovrebbe acquisire valore soprattutto per le vendite dirette fuori dal territorio, dove invece la vicinanza al luogo di produzione, la tradizione familiare di approvvigionarsi dal frantoio locale, la diretta conoscenza del produttore, rendono superflui la garanzia della certificazione e i relativi costi che questa comporta. La conseguenza è che in molti territori di produzione Dop, dove l’offerta non può contare su volumi,
Anche se, lentamente, la cultura intorno al prodotto continua fortunatamente a crescere. Negli ultimi anni sono cresciuti gli oli monovarietali, che hanno dato un’identità alle cultivar, sono cresciuti gli oli biologici, quelli Made in Italy anche di alta qualità, gli oli sostenibili e quelli diversamente certificati, per non parlare delle innovazioni di processo e prodotto, che hanno introdotto anche nuovi materiali e forme nelle confezioni.
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expertise e dimensioni delle imprese sufficienti per giustificare un’attività commerciale organizzata, le certificazioni Dop/Igp hanno avuto difficoltà a incrociare gli interessi dei consumatori e di conseguenza degli operatori. Probabilmente il ricorso crescente al commercio online potrebbe cambiare in modo positivo taluni assetti e la prospettiva di crescita di alcune realtà marginali, fermo restando l’esigenza di disporre di competenze digitali e di risorse per la promozione.
© Provincia di Grosseto
Sul piano dell’attrattività del segmento, già all’epoca appariva probabile, come poi è stato, che alcune Ig, in particolare quelle dove alcune variabili del marketing-mix erano più robuste, avrebbero potuto avere maggiori opportunità di trovare posto nei portafogli delle marche nazionali e soprattutto delle marche delle insegne. Per queste ultime soprattutto, quando nella loro fase di maturità, oltre alla convenienza, puntano a rafforzare la fedeltà all’insegna, alcune Ig sono diventate funzionali allo sviluppo dei negozi. Anche se, lentamente, la cultura intorno al prodotto continua fortunatamente a crescere. Negli ultimi anni sono cresciuti gli oli monovarietali, che hanno dato un’identità alle cultivar, sono cresciuti gli oli biologici, quelli Made in Italy anche di alta qualità, gli oli sostenibili e quelli diversamente certificati, per non parlare delle innovazioni di processo e prodotto, che hanno introdotto anche nuovi materiali e forme nelle confezioni. Tutto ciò sta avvenendo in un clima di rinnovato interesse anche del mondo dei confezionatori agli investimenti agricoli, con un’ottica imprenditoriale e spesso in territori Dop/Igp, per non parlare della positiva recente comparsa delle nuove Igp, con le quali si è cercato di porre rimedio all’eccessiva frammentazione di talune Dop. Si tratta in tutti i casi di tendenze innovative che affiancano il lavoro di differenziazione dell’extra vergine e di segmentazione dei consumatori avviato a suo tempo da Dop e Igp. A loro spetta il merito di avere picconato per primi il monolite dell’extra vergine avviando quel processo di dif-
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ferenziazione che è alla base della costruzione del valore, tant’è che i loro prezzi medi di mercato doppiano quelli medi della categoria, anche se per alcune Ig i prezzi non si discostano molto dall’extra vergine convenzionale, almeno non tanto da incentivarne la crescita. In altre parole, anche se disomogeneo tra i territori e sotto le attese in termini numerici, il contributo delle Ig per un cambio di passo della percezione del consumatore dell’enorme variabilità sensoriale dell’extra vergine e del vasto mondo culturale che racchiude e che esprime è stato ed è tuttora insostituibile.
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Le Dop non hanno mai trovato terreno fertile tra i consumatori, perché poco è stato fatto per favorire la diffusione di una cultura della differenziazione, sia essa intesa come caratteristiche distintive delle diverse varietà, sia come funzioni d’uso più articolate e sofisticate, alternative rispetto all’uso tradizionale come condimento generalizzato.
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Perché parliamo di paradosso Ig? Perché è davvero molto strano immaginare tante Dop e Igp conseguite nell’ambito del comparto oleario, e sapere che dopo tanti anni dalla loro ufficializzazione nulla o poco è cambiato, in termini di riscontro commerciale e di notorietà degli oli certificati rispetto a un generico e comune olio extra vergine di oliva. Istituire una attestazione di origine non significa ipso facto ottenere i risultati sperati. Finché non si mette in campo una progettualità concreta, e finché non ci si affida a manager competenti, non è certo il numero di Dop o Igp riconosciute a decretare il successo degli oli territoriali. Ci vuole ben altro. È soprattutto necessario disporre di persone competenti nel gestire le Indicazioni geografiche. Uno strumento funziona se qualcuno lo sa governare, ma anche se ci sono imprese produttrici e confezionatrici, nonché operatori commerciali, fruitori professionali e consumatori disposti a credere nei prodotti del territorio certificati e garantiti. Abbiamo voluto sentire al riguardo due figure di riferimento per capire lo stato di salute degli oli con attestazione di origine Dop e Igp in Italia: da una parte il Mministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, dall’altra Cesare Baldrighi, presidente di Origin Italia*, associazione che riunisce i Consorzi di tutela legati alla Indicazioni geografiche e che si interfaccia direttamente con il dicastero agricolo per tutti gli aspetti legati alle attestazioni di origine.
Nata nel 2006 come Aicig, acronimo di Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche, ad oggi aderiscono a Origin Italia ben settantotto realtà consortili di prodotti Dop e Igp, nonché due associazioni di Consorzi: Afidop, l’Associazione formaggi italiani Dop e Igp, e Federdop Oli, in rappresentanza di oltre il 95% delle produzioni italiane a Indicazione geografica. Oltre a essere socio fondatore di Fondazione Qualivita, Origin Italia è associata a livello internazionale alle organizzazioni Origin Mondo e Origin Europa.
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Intervista a Francesco Lollobrigida e Cesare Baldrighi
Qual è lo stato di salute delle Ig olearie? Così così, quasi buono o molto buono? di Luigi Caricato
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Cesare Baldrighi
"In passato le lungaggini burocrati- "Direi che stiamo vivendo un camche hanno scoraggiato i produttori bio di passo notevole ed è fondae alla fine del percorso molti ave- mentale, ora più che mai, avere vano già fatto altre scelte impren- una cabina di regia per coordinare ditoriali, come quelle di investire la crescita di tutto il comparto." magari sul biologico o sul proprio brand aziendale o altre certificazioni private. Con la nuova riforma i tempi non saranno così lunghi. Si arriverà al riconoscimento di un prodotto in pochi mesi e questo potrebbe servire per aiutare la crescita anche delle Dop."
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© Consorzio Dop Garda
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Gli oli italiani Dop e Igp hanno sicuramente un riconoscimento a livello internazionale per la loro qualità che non è in discussione. La loro produzione pesa quasi il 4% di quella nazionale che si attesta a circa 290mila quintali secondo i dati Ismea. Dobbiamo sicuramente far crescere in quantità le cinquanta Indicazioni geografiche italiane riconosciute che rappresentano anche uno straordinario strumento di tutela sia della biodiversità delle oltre cinquecento cultivar, sia del paesaggio italiano.
Qual è lo stato di salute degli oli con attestazione di origine Dop e Igp in Italia? Rispetto all’olio extra vergine di oliva 100% italiano, in che misura percentuale pesano sul mercato gli oli con origine certificata?
Con cinquanta oli extra vergine di oliva, tra Dop e Igp, l’Italia è in questo settore il Paese più rappresentativo a livello comunitario e mondiale per numero di riconoscimenti d’origine. Sono ventiquattro i Consorzi di tutela riconosciuti dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. Circa 23.500 gli operatori impiegati nel settore. Direi che stiamo vivendo un cambio di passo notevole ed è fondamentale ora più che mai avere una cabina di regia per coordinare la crescita di tutto il comparto. Certo, la percentuale degli oli Dop e Igp rispetto a quelli non certificati è ancora piccola, ma in crescita costante, e le politiche di questi ultimi anni stanno andando nella direzione di puntare al valore dell’origine e della qualità data dai disciplinari.
Nel passato è successo che per ottenere una registrazione per una Dop si dovesse aspettare anche cinque o sette anni dal momento dell’inizio dell’iter. Queste lungaggini burocratiche hanno scoraggiato i produttori e alla fine del percorso molti avevano già fatto altre scelte imprenditoriali come quelle di investire magari sul biologico o sul proprio brand aziendale o altre certificazioni private. Con la nuova riforma questi tempi non saranno così lunghi. Si arriverà al riconoscimento di un prodotto in pochi mesi e questo potrebbe servire per aiutare la crescita anche delle Dop.
Come si spiega il fatto che alcune Dop siano caratterizzate da un insuccesso costante, già a partire dal loro esordio? A cosa è dovuto questo paradosso? Se si è lavorato per ottenere il riconoscimento, perché allora non ci si è impegnati altrettanto nel far valere sul mercato tali oli territoriali certificati?
Spesso le Dop sono legate a realtà piccole, rappresentate da Consorzi di tutela che ancora devono organizzarsi. La formazione, a partire proprio dalla governance di un prodotto nel suo territorio, è fondamentale. È, non a caso, quello che stiamo facendo come Origin Italia, insieme a Fondazione Qualivita, con diverse iniziative legate proprio all’educazione a partire dai più giovani, con le scuole superiori, ma anche con i Consorzi stessi. Inoltre, il primo Executive Master per Direttori di Consorzi di tutela ha avuto un grande successo di partecipazione da parte dei giovani, questa è la direzione per far crescere anche quelle realtà che magari hanno faticato o faticano ancora a portare avanti iniziative di promozione e crescita.
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Le aggregazioni che portano alla richiesta di una Dop o Igp sono sempre decisioni delle imprese. Le dinamiche di aggregazione regionali sono nate anche per il successo di alcuni oli come Igp Toscano. La dimensione regionale sicuramente consente di disporre potenziali produttivi più importanti e di una connotazione geografica meglio riconosciuta anche fuori dall’Italia. Questo credo consenta alle imprese di affrontare al meglio il mercato internazionale. Ci sono comunque anche Dop che funzionano bene. Non sta al Ministero decidere la strategia delle imprese. Noi vogliamo supportare al meglio questo settore, perché è una priorità della mia agenda politica.
Dopo tante Dop olearie ufficialmente riconosciute, è arrivata la mania delle Igp. Non c’è regione che non punti a ottenerne una. Per quale ragione? Forse perché, a conti fatti, si è scoperto il fallimento di uno strumento eccezionale e unico come la Dop? In cosa si è sbagliato? Cosa non ha funzionato?
Non credo si possa parlare di fallimento delle Dop. Ci sono casi invece che dimostrano l’esatto contrario, ovvero che attraverso la Denominazione si è arrivati a rilanciare singoli territori, a salvarli dall’abbandono, a tutelarli dal punto di vista socio-economico. Cito a esempio il caso dell’Umbria, o della Dop Riviera Ligure, ma ce ne sono altri. Non dobbiamo demonizzare nemmeno l’Igp, che in realtà spesso piccole come quelle dell’extra vergine possono invece essere la risposta a un coordinamento più strutturato per la promozione e valorizzazione del prodotto in territori più vasti, ma pur sempre a vocazione, penso quindi al primo caso della Toscana, poi alla Sicilia. Parliamo comunque di grandi prodotti e di realtà che hanno poi affiancato all’Igp anche l’origine più ristretta del prodotto.
Non sempre le piccole produzioni Dop sono in grado di sostenere la crescita di un Consorzio. Auspichiamo, con la nuova riforma e gli interventi che abbiamo predisposto per il settore dei Consorzi, che ci possa essere uno sviluppo anche in questo senso per il settore oli.
Perché molte denominazioni di origine olearie non sono dotate di un proprio Consorzio di tutela? È normale disporre di una Dop senza ricorrere a un Consorzio che faccia da regia?
Come detto, è proprio uno dei punti chiave su cui come Origin Italia, e con l'importante collaborazione di Fondazione Qualivita, stiamo lavorando. Non è semplice la gestione di un Consorzio di tutela, soprattutto in realtà di piccole dimensioni come spesso si trovano nel mondo dell’extra vergine, ma certo è fondamentale, oggi più che mai alla luce della riforma europea, la presenza di una struttura consortile.
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© Olio San Giuliano
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© Consorzio dell'Olio Dop Riviera Ligure
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Nel settore agricolo sono importanti tutti i livelli intermedi, non credo che il settore olio sia stato penalizzato dalle competizioni delle organizzazioni. Penso invece che fino a qualche anno fa non veniva considerato un settore importante per il Made in Italy, forse veniva vissuto come una nicchia.
Non ha il sospetto che a non far decollare le attestazioni di origine olearie in Italia siano le organizzazioni agricole (per via della competizione tra le varie organizzazioni nella lotta a ricoprire ed esercitare i ruoli di controllo)? O vi sono, secondo lei, altre ragioni?
Credo che in generale sia una questione di cultura ed educazione. In Italia ancora siamo convinti che una bottiglia di olio di qualità non possa costare il valore minimo che invece ha. C’è ancora troppa forbice tra gli extra vergini che troviamo in Gdo e quelli a marchio Dop e Igp, e questo crea confusione nel consumatore medio. È necessario continuare in un percorso di comunicazione e sensibilizzazione nei confronti del consumatore, e, per farlo, dobbiamo partire dalle scuole di formazione, passando per gli ambasciatori del prodotto che possono essere i cuochi, fino ai produttori stessi. Le associazioni di categoria sono sempre state presenti ai nostri tavoli e il dialogo tra di loro è aperto e pronto al confronto.
Bisogna educare i consumatori, per farlo occorre anche una collaborazione con la ristorazione che deve facilitare, come ha già fatto bene con il vino, anche la conoscenza sull’olio Evo e in particolare quelli a Indicazioni geografica. Anche il nascere dell’oleoturismo servirà a incrementare la conoscenza di questo alimento legandolo al territorio di produzione. Su questi temi noi abbiamo iniziato sin da subito una collaborazione con gli studenti degli istituti alberghieri e istituti tecnici agrari per rafforzare proprio le identità dei nostri prodotti sia sulle tavole sia sui campi. Azioni che avranno sicuramente un effetto sostanziale nei prossimi anni. Certo che possiamo fare di più, come ad esempio una campagna di comunicazione ad hoc, come stiamo facendo per altre filiere.
C’è inoltre un altro grosso problema: anche gli stessi consumatori non premiano gli oli Dop e Igp. Al momento dell’acquisto preferiscono affidarsi agli oli da primo prezzo, e così, soprattutto per via dei costi più elevati degli oli Dop e Igp, rinunciano senza tentennamenti alle peculiarità distintive di oli unici, nonostante questi siano l’espressione dei territori e di un patrimonio varietale autoctono ragguardevole. Cosa si può fare per sensibilizzare i consumatori e condurli verso scelte che valorizzino i vari areali produttivi?
Come già ribadito, è una questione di cultura e non è vero che gli oli Dop e Igp hanno costi elevati, anzi, vorrei dire che sono certi oli extra vergini di oliva che troviamo nella grande distribuzione ad avere prezzi troppo bassi rispetto al costo medio di una bottiglia. Fatta eccezione per qualche caso, in Italia una bottiglia di extra vergine Dop e Igp ha un costo medio al litro in proporzione al di sotto di altri prodotti - penso al vino, dove il valore riconosciuto è sicuramente più ampio rispetto a quello di produzione. Dobbiamo prendere esempio proprio da quanto fatto sul vino, con le debite proporzioni naturalmente, per educare al consumo di qualità il consumatore.
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Nei Consorzi di tutela possono stare tutti gli operatori della filiera, nessuno escluso. Spesso ci sono operatori che non hanno interesse a stare nei Consorzi perché la loro attività non è concentrata sulle Dop e Igp. Ma queste sono scelte delle imprese e non certo delle istituzioni. I loghi Dop e Igp sono già di per sé strumenti che attestano un valore oggettivo e che hanno anche dietro un sistema di controlli pubblici e privati che nessun altro Paese europeo può vantare. Io comunque sono positivo perché penso che questo settore possa nei prossimi anni rafforzarsi grazie all’aumento delle richieste di oli di qualità proveniente dai mercati internazionali e dal potenziale che i nuovi consumatori della fascia giovanile rappresentano, molto più interessati alla qualità del prodotto. Un’ulteriore spinta potranno darla anche le misure specifiche previste per il settore. Pagamenti diretti per il sostegno al reddito, miglioramento della qualità di produzione, mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici e in favore dell’ambiente, la ridefinizione del pagamento accoppiato solo per l’olio Ig, l’eco-schema per la salvaguardia degli olivi di particolare valore paesaggistico, lo sviluppo rurale con gli investimenti nelle aziende olivicole, la gestione dei rischi, la misura del Pnrr per l’ammodernamento dei frantoi oleari. La nostra attenzione al settore è costante ed è per questo che, tramite l'impegno del sottosegretario La Pietra, abbiamo voluto organizzare la riunione internazionale del Coi a fine maggio a Siena.
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Per chiudere, vi è un altro grosso e irrisolto problema: sono in pochi, percentualmente, rispetto alle potenzialità, i produttori che certificano i propri oli. Come mai non ci si avvale di uno strumento pensato per segnare una differenza ed evidenziare un valore oggettivo? Non sarebbe forse il caso di cambiare qualcosa nel sistema che regolamenta i Consorzi di tutela, assegnando un ruolo maggiore e decisionale a frantoiani e confezionatori, visto che sono realtà più strutturate e più orientate al mercato?
Come Origin Italia abbiamo proposto un tavolo di filiera permanente, su suggerimento del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Il senso è proprio questo, cercare di creare uno strumento di riferimento per il settore incentivando anche i giovani a puntare su quest'ambito dell’agricoltura che, purtroppo, negli ultimi anni ha visto una significativa perdita di aziende e produzione, anche per queste criticità che lei ha evidenziato nelle domande che mi ha posto. In questo tavolo sono presenti tutti, dalle associazioni di settore ai Consorzi di tutela, passando per le istituzioni.
llustrazione di Stefania Morgante
* * Olive oil brings out the flavours in food
Caricato Factory San Pietro in Lama [ Lecce - Puglia - Italia ] caricato.it
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L’olio a marchio Dop visto dalla parte dei Consorzi di tutela di Luigi Caricato
Abbiamo incontrato il presidente del Consorzio di tutela dell’olio Dop Garda perché a nostro giudizio rappresenta un unicum nel panorama nazionale. Le sue riflessioni sono utili a tutti perché dopo tanti anni dall’ingresso in scena delle attestazioni di origine è giunto il tempo di raccogliere i frutti di uno strumento operativo tanto prezioso quanto sempre più necessario
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Intervista a Simone Padovani
residente, più rifletto sulle attestazioni di origine assegnate agli oli e sempre più penso che la Dop Garda rappresenti, tra tutte le Indicazioni geografiche riconosciute, la combinazione perfetta che rende tale Dop la più virtuosa tra quelle operanti in Italia nel settore olio da olive, un vero esempio da imitare. Immagino che non abbia alcuna obiezione in merito a questa mia osservazione. Quali sono i vostri punti di forza? Io ne ho individuato subito uno: la capacità di abbracciare una pluralità di territori riuscendo a tenerli tutti uniti nel nome del Garda: Regione Lombardia, Regione Veneto e Provincia autonoma di Trento. Non è un’operazione facile, visto che si opera in tre giurisdizioni differenti, ma voi ci siete riusciti. Concorda? Certo, mi trova assolutamente d’accordo. In primis mi sentirei di risponderle: per la nostra capacità di abbracciare una pluralità di territori riuscendo a tenerli tutti uniti sotto l’egida del marchio olio Garda Dop. Infatti, i soci del Consorzio di tutela sono dislocati nelle tre regioni: Regione Lombardia, Regione Veneto e Provincia autonoma di Trento. Tutti gli olivicoltori del Garda hanno capito che bisognava fare squadra ed è per questo che siamo riusciti a unirli. Di fatto, non è un compito facile, visto che operando in tre giurisdizioni differenti anche i rapporti con le istituzioni sono diversi. La nostra denominazione sicuramente gode anche di altri punti di forza: il forte richiamo turistico dell’areale del Garda, soprattutto di turisti stranieri, ma anche la
storicità e la cultura dell’olivicoltura in queste terre, marchio distintivo del paesaggio e della tradizione delle nostre aziende. Inoltre, l’olio che si ottiene in questo territorio, l’olio Garda Dop, è celebre per la sua delicatezza che lo rende versatile.
Ho la sensazione che le Dop e le Igp abbiano avuto minore o maggiore successo anche in ragione della fortuna storica di questi territori. Per esempio, il Garda, è un areale che ha visto il trionfo, in passato, del Grand tour. L’olio gardesano è stato sicuramente favorito proprio per il prestigio che questo territorio si è meritoriamente guadagnato nel corso dei secoli. È così? Concordo con lei sul fatto che gli gli ospiti del lago di Garda abbiano innalzato nel tempo il prestigio del territorio. Ma è bene evidenziare che il territorio gode di una rara bellezza grazie alla cura del paesaggio che gli olivicoltori hanno contribuito a preservare. Anche illustri scrittori e poeti, tra i quali Goethe, Carducci e d’Annunzio, hanno contribuito a decantare le nostre terre nelle loro opere. Sicuramente ci troviamo immersi in un territorio invidiabile che gode di numerose mete attrattive, storia e bellezza, e gli olivicoltori sono tra i custodi di questo patrimonio. Va, infine, sottolineato che la qualità e le caratteristiche uniche degli extra vergini che si ottengono in questa zona hanno certamente contribuito al successo della Denominazione di origine protetta.
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La percezione che ho avuto in tutto questo tempo, sin da quando sono state istituite le Indicazioni geografiche, è che non sia tanto lo strumento delle Dop e delle Igp come tale a rendere gli oli di un dato territorio degli extra vergini di successo, universalmente riconosciuti come produzione d’eccellenza, quanto, invece, sia proprio l’operato dei vari soggetti che lavorano negli oliveti, nei frantoi, negli stabilimenti dove si confeziona, a determinare il prestigio di un areale produttivo. È così? Le Dop e le Igp sono uno dei più importanti strumenti attraverso i quali i produttori possono difendere la propria produzione di qualità, ma solo l’operato di olivicoltori, frantoiani e imbottigliatori della filiera determina il prestigio di un areale produttivo. Per noi del Garda aver ottenuto il riconoscimento nel lontano 1997 non è stato un punto di arrivo ma un punto di partenza, perché ci ha permesso di mantenere l’elevata qualità nel rispetto del disciplinare di produzione e di valorizzarlo, ma, soprattutto, di tutelarlo da imitazioni ed evocazioni grazie all’intensa attività del nostro Consorzio di tutela. Il riconoscimento Dop per l’olio del Garda ha ripagato lo sforzo degli olivicoltori e dei produttori che da sempre si impegnano nella ricerca della qualità.
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Consiglio di lavorare per permettere alle Dop o alle Igp di essere conosciute e apprezzate sul mercato. Il riconoscimento è un punto di partenza, non di arrivo.
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In Italia abbiamo un’abbondanza di Dop e Igp che ci inorgoglisce, tuttavia, sul mercato vi sono molte attestazioni di origine non pervenute. Cosa consiglierebbe ai presidenti dei Consorzi di tutela che non hanno ancora provato il piacere di trovare una giusta collocazione dei propri oli sugli scaffali dei punti vendita? Consiglio di lavorare per permettere alle Dop o alle Igp di essere conosciute e apprezzate sul mercato. Come dicevo, il riconoscimento è un punto di partenza, non di arrivo. Sicuramente c’è ancora molto lavoro da fare, ma ho la sensazione che la strada sia quella giusta, e mi auguro che in futuro il mercato possa valorizzare sempre più le Dop, anche quelle più piccole, aiutando il consumatore ad apprezzare maggiormente le molteplici sfumature degli extra vergini dando valore al marchio Dop come unica garanzia di origine. In merito ai consigli, credo che la strada da perseguire sia quella di far comprendere il valore dei propri oli. Ammetto che anche la Dop Garda non sempre è presente nei punti vendita della zona, ma mi auguro che, anche grazie al lavoro del nostro Consorzio, questo aspetto possa cambiare.
La collocazione più difficile di un olio a marchio Dop o Igp non è più la grande distribuzione organizzata, la quale nel frattempo ne ha compreso il valore, ma la ristorazione. Ogni volta che si entra in un ristorante, che sia stellato o meno, e ciò vale per qualsiasi regione d’Italia, si fa molta
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fatica a vedere gli oli del territorio in sala. Perché? Perché questa resistenza nell’accogliere oli del territorio dall’origine certificata? Voi nel frattempo state lavorando per il futuro, visto che con il vostro concorso destinato alle scuole alberghiere state cercando in qualche modo di supplire a questa vistosa lacuna da parte della ristorazione. Prevedete altre azioni e iniziative similari per favorire un percorso virtuoso di avvicinamento all’olio dall’origine certificata? Sì, stiamo lavorando non solo con i concorsi dedicati alle scuole alberghiere ma anche con i percorsi gastronomici dove invitiamo gli chef giovani e meno giovani a utilizzare l’olio Garda Dop nelle proprie preparazioni, presentando i piatti con l’indicazione del nostro olio. È vero, è molto complicato far comprendere l’importanza di portare in tavola un prodotto del territorio e di qualità come l’olio Garda Dop, ma come Consorzio ci stiamo lavorando da un po’, e pian piano iniziamo a vedere i risultati di questo lavoro. Sono certo che con il tempo qualche miglioramento arriverà. Sicuramente il concorso destinato agli istituti alberghieri è una delle nostre attività di punta, grazie al quale vogliamo far comprendere ai futuri operatori la fortuna e la preziosità di avere un olio Dop di alta qualità del proprio territorio, aiutandoli a capire come raccontarlo agli ospiti e come valorizzarlo nel piatto.
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Ultima domanda. Quanto siete preoccupati per la crisi produttiva che ha investito in queste ultime due olivagioni tutti gli areali del Mediterraneo? Fa molta paura un periodo così agronomicamente difficile? Cosa succederà di qui in avanti? In alcune regioni il tasso di abbandono degli oliveti è elevato, come è la situazione nel territorio gardesano? Certamente queste difficoltà si percepiscono. Delle ulteriori annate così drastiche potrebbero effettivamente concretizzare quanto da lei, ahimè, paventato, mettendo a serio rischio il comparto… Gli olivicoltori sono preoccupati per questa situazione, ma come Consorzio ci siamo attivati sia con le regioni, sia con le università di Padova e Verona per comprenderne le cause. Ci auguriamo che nel breve periodo si possa ritornare alla normalità, così che gli olivicoltori del Garda possano ritrovare serenità.
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Le Dop e le Igp sono uno dei più importanti strumenti attraverso i quali i produttori possono difendere i propri oli di qualità. È l’operato di olivicoltori, frantoiani e imbottigliatori a determinare il prestigio di un areale produttivo.
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di Luigi Caricato
L’attività di vigilanza sul mercato? Consiste nel contrastare fenomeni come l’usurpazione, l’imitazione o l’evocazione della Dop/ Igp. Diventa fondamentale quando si ha a che fare con gli oli del territorio, salvaguardare le produzioni dall’origine certificata da atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio di denominazione e altri comportamenti in contrasto con la normativa
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Professione:
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Intervista a Giorgio Lazzaretti
Giorgio Lazzaretti non è soltanto il direttore del Consorzio dell’olio Dop Riviera Ligure. Ricopre anche un altro ruolo, quello di agente vigilatore degli oli Dop e Igp con qualifica di Pubblica sicurezza. Un ruolo delicatissimo, per via delle funzioni che è chiamato a svolgere. Lo abbiamo incontrato per capire in cosa consista questa figura e perché è tanto necessaria e utile.
Lazzaretti, non solo direttore di Consorzio, ma anche agente vigilatore… Sì, il mio contratto di lavoro dipendente con il Consorzio di tutela prevede lo svolgimento delle mansioni di direttore e di agente vigilatore. I Consorzi di tutela nel settore agroalimentare in Europa hanno una normativa specifica che ancora per alcune settimane è il Regolamento (UE) 1151 del 2012. Infatti, lo scorso 28 febbraio il Parlamento Europeo ha approvato il nuovo Regolamento delle Indicazioni geografiche (Ig), un vero e proprio testo unico che raggruppa per la prima volta tutte le produzioni Ig (agroalimentare, vino e bevande spiritose): ne è prevista entro fine aprile 2024 la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Nel nuovo testo unico vengono rafforzate ancora di più le funzioni e le attività dei gruppi di produttori, in Italia i Consorzi di tutela, che avranno maggiori e migliori responsabilità, come la lotta alle pratiche svalorizzanti e che godranno di maggior sostegno nella protezione online e della evocazione della produzione tutelata. Sono molto ampi i campi di attività di un Consorzio di tutela: contribuire a garantire qualità, notorietà e autenticità dei prodotti, adottare provvedimenti tesi ad assicurare la protezione giuridica adeguata della Dop/Igp, sviluppare attività di informazione e promozione, adottare le misure per la valorizzazione dei prodotti. L’attività di vigilanza sul mercato consiste più nello specifico nel contrastare fenomeni come l’usurpazione, l’imitazione o l’evocazione della Dop/Igp tutelata e nell’agire per salvaguardare la produzione da atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio della denominazione e altri comportamenti che sono in contrasto con la normativa.
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e autonomamente accertare gli illeciti amministrativi e applicare le sanzioni amministrative. La vigilanza svolta dall’agente vigilatore, con (oppure senza) qualifica di PS, è di rilevante importanza, perché permette di interagire con gli altri organi vigilatori dello Stato nella tutela della qualità del prodotto Dop/Igp. Ogni anno il Consorzio di tutela riconosciuto presenta al Dipartimento Ispettorato Controllo Repressione Frodi del Ministero il programma di vigilanza che sarà attuato attraverso i propri agenti vigilatori, con verifiche ispettive nei punti vendita e monitoraggio nel commercio online. La decisione di dotare l'agente vigilatore della qualifica di agente di pubblica sicurezza è una libera scelta del Consorzio di tutela. La differenza tra le due figure è che l’agente vigilatore senza qualifica di PS non presta giuramento in Prefettura e non può comminare sanzioni per contrastare illeciti amministrativi. Può solo presentare agli organismi di vigilanza le segnalazioni delle constatazioni effettuate che reputa in contrasto con la normativa. È istituito presso il Ministero l'Albo nazionale degli agenti vigilatori e degli agenti vigilatori con qualifica di PS Oggi in Italia sono riconosciuti 170 Consorzi di tutela di prodotto Dop/Igp su un totale di 321 Consorzi. © Sonia Santagostino
In tutti questi anni di vigilanza, qual è lo scenario che si è presentato? Quali sono le anomalie ricorrenti riscontrate? Come si possono giudicare gli oltre tre decenni di produzioni con oriRiguardo alle attività di controllo, esiste un albo gine certificata? con due distinte figure: l’agente vigilatore semventidue anni di attività posso dire che sono sempre più plice e l’agente vigilatore con qualifica di PS. Dopo marginali le etichette non rispettose della normativa. È tuttavia Cosa occorre fare per assumere questi ruoli e sempre presente una non corretta presentazione degli oli di oliva qual è la differenza tra le due figure? in commercio, sia nei luoghi fisici, sia online, che purtroppo si è Per svolgere l’attività di vigilanza il Consorzio di tutela di un prodotto Dop/Igp deve essere riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. A tale fine deve aver ricevuto l’approvazione del proprio statuto, ed eventuali successive modifiche, e aver superato la verifica ministeriale sulla rappresentatività della filiera. Il Ministero verifica infatti che la produzione consortile sia superiore a due terzi della produzione controllata dall’organismo di certificazione, emanando il decreto di riconoscimento del Consorzio che ha durata triennale. Il Consorzio presenta quindi al Ministero dell’Agricoltura l’istanza di riconoscimento del proprio agente vigilatore con la relativa documentazione che, una volta verificata, il Ministero trasmette alla Prefettura territorialmente competente per la convocazione dell’interessato ai fini del giuramento. Al termine del percorso vi è l’emanazione del decreto prefettizio con il quale viene conferita alla persona incaricata la qualifica di agente di pubblica sicurezza. Con questa qualifica l’agente vigilatore può direttamente
rafforzata con la diffusione delle informazioni sui social. E questo crea un grave danno agli oli dei territori, gli oli dei produttori che facoltativamente e volontariamente si sottopongono a controlli per rivendicare il legame dell’olio con il rispettivo territorio locale. Sui social e online, nei siti web di aziende o in marketplace, assistiamo alla commercializzazione di oli presentati attraverso un’origine locale, che invece è riservata solo agli oli Dop/Igp, in virtù di un disciplinare di produzione e di un piano di controllo che garantisce origine, tracciabilità, qualità, autenticità. Queste situazioni sono in contrasto con la normativa comunitaria eppure sono diffuse, persino nella comunicazione sui media. Ciò reca un grave danno alla filiera perché non permette di affermare la distintività del prodotto veramente legato al territorio e ancor di più arreca un grave danno al consumatore, creando confusione sul mercato e impedendo lo sviluppo di una “vera” domanda di oli dei territori. È un percorso opposto a quello virtuoso avvenuto nel mondo del vino, dove non si parla più di varietà, che si possono piantare ovunque, ma di deno-
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minazioni, di indicazioni geografiche, ossia di luoghi che nessuno può rubare. Insieme alla mancanza di un percorso condiviso da parte di tutti gli attori della filiera è questa comunicazione generalista una delle ragioni che frenano lo sviluppo degli oli Dop/Igp, che oggi sono cinquanta, ma che continuano a essere la cenerentola delle produzioni Dop/Igp nazionali. Eppure, gli oli Dop/Igp rappresentano la sostenibilità ambientale, economica e sociale nei loro territori: ne è un esempio l’olio Riviera Ligure Dop con i suoi diciassette anni di Patto di filiera, strumento nato per tutelare l’anello più debole della linea produttiva, gli olivicoltori. Abbiamo una grande responsabilità nel raccontare l’olio di oliva. Assumiamola tutti insieme per il bene di tutto il comparto olivicolo-oleario. Il giudizio sui circa venticinque anni di oli Ig è in chiaroscuro. Da un lato ha portato a un miglioramento qualitativo della produzione olivicola-olearia, indicando una strada per gli oli di qualità che, seppure con difficoltà, viene sempre più percepita sui territori e nel commercio. Dall’altro ha dimostrato che il percorso per la valorizzazione degli oli dei territori, come quelli che difendono il paesaggio, sostengono le comunità locali proponendo al consumatore le specificità qualitative degli oli della nostra penisola, è lento. Occorre proseguire con maggiore velocità su questa strada perché ritengo che possa portare beneficio a tutto il comparto e a tutti gli altri oli rivitalizzando la filiera olivicola-olearia nazionale. L’olio extra vergine di oliva merita di più.
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Sui social, e online nei siti web di aziende o in marketplace, assistiamo alla commercializzazione di oli presentati attraverso un’origine locale, che invece è riservata solo agli oli Dop/ Igp, in virtù di un disciplinare di produzione e di un piano di controllo che garantisce origine, tracciabilità, qualità, autenticità. Queste situazioni sono in contrasto con la normativa comunitaria, eppure sono diffuse.
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Gli oli del territorio nella Gdo. Un atto rivoluzionario
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di Maria Carla Squeo
ntrare in un punto vendita e notare uno spazio dedicato agli oli Dop e Igp, e magari anche agli extra vergini ottenuti da un unico olivigno, è una grande conquista recente, che riceve sempre più attenzioni, anche da parte dei consumatori. Abbiamo incontrato il responsabile commerciale di Todis, perché ha avuto la brillante idea di allestire uno scaffale dedicato, una oleoteca sotto il marchio “L’Arte delle Specialità”, collocandoci oli peculiari che valorizzano terroir e cultivar
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Intervista a Francesco Iuculano
Come ogni insegna distributiva che si rispetti, Todis non può fare a meno di creare occasioni di cultura, anche attraverso gli scaffali dei punti vendita. Perché di fatto la prima comunicazione avviene proprio lì, e va al di là delle indicazioni dei prezzi. Perché ciò che oggi il consumatore richiede non è soltanto un’opportunità legittima di risparmio, ma anche la qualità. È sufficiente osservare la scelta dei prodotti presenti in un negozio per rendersi conto se il modello di assortimento è coerente con le proprie esigenze di veder soddisfatto il miglior rapporto qualità-prezzo-rendimento. Un’altra occasione di cultura la si ha quando si può perfino disporre di utili informazioni rispetto a quel che si compra. Ecco allora la possibilità di sfogliare addirittura una “Carta degli Oli”, con tutte le indicazioni per effettuare scelte oculate e sagge per i migliori esiti in cucina. Così, in questo dialogo con Francesco Iuculano, scopriamo il valore della linea premium di prodotti d’alta gamma denominata “L’Arte delle Specialità”, con l’olio extra vergine di oliva Dop, Igp e monocultivar che diviene protagonista della scena.
Iuculano, lei è responsabile commerciale generi vari di Todis, una catena del Centro Sud Italia associata al mondo discount… Sì, esatto; anche se il discount non è più quello di una volta. E di fatto oggi ci piace dire che siamo un super monomarca incentrato sulla nostra marca privata.
Infatti, lo si nota dalle grandi attenzioni dedicate agli oli extra vergini di oliva, selezionati oggi con grande cura, riservando il giusto e meritorio spazio sia alle attestazioni di origine Dop, sia alle Igp. Di per sé, è un atto rivoluzionario… Proprio così, abbiamo privilegiato la qualità e varietà delle produzioni olearie italiane. Ed è proprio in questo mondo del discount che abbiamo puntato su un progetto che ritengo di fondamentale importanza e che abbiamo attuato creando uno scaffale-oleoteca con prodotti di qualità. È una scelta che portiamo avanti già da qualche anno in Todis. Ci siamo interrogati su come dare il giusto valore all'olio extra vergine di oliva, anche perché un alimento così centrale nella dieta non può certo essere venduto esclusivamente in attività promozionali, o in relazione al prezzo. Occorre un atto di coraggio e dare una svolta al mercato, anche perché se ci si fonda solo sul prezzo non si fa che svilire la straordinarietà di un prodotto che nell’ambito dei grassi alimentari non ha pari. © Gianfranco Maggio
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E la cultura di prodotto la state facendo non soltanto a partire dalla varietà di proposte sullo scaffale, ma anche attraverso una pubblicazione ad hoc, messa a disposizione del pubblico…
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I volumi che movimenta l’olio extra vergine di oliva nella grande distribuzione organizzata sono importanti, eppure c’è qualcosa che non va… Sì, infatti, l'olio extra vergine di oliva ha una marginalità non in linea con gli obiettivi della distribuzione organizzata. Proprio per questo i nostri progetti di valorizzazione del prodotto vanno in questa direzione: dare il giusto valore al prodotto. In un contesto di mercato difficilissimo, con aumenti dei prezzi dovuti alla mancanza di materia prima che hanno generato ovviamente una riduzione dei consumi, in questa situazione così inedita, mai sperimentata finora, in qualche modo si è data la possibilità al consumatore di comprendere meglio cosa sia l'olio extra vergine di oliva. Si sta così imparando che non esiste un unico olio extra vergine ma tanti e differenti. Si comprende che esistono svariate tipologie di extra vergini e che occorre iniziare, anche noi della distribuzione in primis, a fare cultura su questo mondo.
Sì, abbiamo deciso di investire in cultura e informazione con la nostra “Carta degli Oli” dove si spiega al consumatore che ogni olio ha sue caratteristiche proprie e va usato in base alle peculiarità sensoriali che esprime. Questa nostra operazione ci permette di raccontare gli oli e di presentarli anche attraverso delle informazioni sull’impiego più appropriato. In tal modo da un lato si forniscono informazioni utili, dall’altro si giustificano i prezzi più elevati, espressione di un prodotto che non è qualcosa di generico ma di specifico, contrassegnato dalle attestazioni di origine Dop e Igp, che ne certificano non solo l’origine, ma anche la stessa qualità, visto che sono soggetti alle regole dei disciplinari di produzione cui fanno riferimento, oltre poi al fatto che tali oli per essere certificati devono passare il vaglio della valutazione sensoriale. Quindi, è questo il nostro impegno, con “L’Arte delle Specialità”, dove oltre agli oli Dop e Igp contempliamo la presenza di oli monocultivar, ottenuti da un unico olivigno, quindi caratterizzati da un profilo sensoriale dotato di una personalità specifica. È così che abbiamo iniziato a fare cultura su un prodotto che va sempre di più assimilato al suo terroir e alle sue capacità espressive. È un percorso virtuoso molto simile a quello compiuto con i vini, solo che con questi non ci si scandalizza più per i prezzi di un certo livello. Ecco, lo stesso deve accadere probabilmente con gli oli extra vergini di oliva, non ci devono sorprendere i prezzi più elevati a fronte di oli contraddistinti da un forte legame certificato con i territori e da una connotazione legata alle differenti varietà di olive da cui viene estratto. C’è l’olio per cucinare, da cottura, e l’olio per rifinire un piatto, da apprezzare in tutta la sua unicità.
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Al momento quante sono le referenze presenti sullo scaffale-oleoteca della vostra marca premium “L’Arte delle Specialità”? Abbiamo ad oggi tre Dop: Umbria, Sabina e Terra di Bari; due Igp: Toscano e Olio di Roma; e tre monocultivar: Frantoio, Biancolilla e Koroneiki. Contiamo di estendere questa offerta e siamo fiduciosi nell’accoglienza da parte dei consumatori, sempre più attenti e sensibili. Ripeto, la sola logica incentrata sul prezzo porterebbe il
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mercato verso una inevitabile depressione. Il mercato degli extra vergini rappresenta invece, da sempre, un segmento di eccellenza per il nostro Paese, un elemento di indiscutibile rilevanza sia per i consumi, sia per gli stessi valori che l’alimento rappresenta. Da qui l’idea di potenziare il nostro assortimento di oli in Todis. Abbiamo collocato volutamente questi extra vergini in aree ben dedicate ed evidenziate dello scaffale olio, inquadrati sotto la nostra marca Premium di private label “L’Arte delle Specialità”. Per noi la vera sfida, in questo momento, consiste nel far comprendere il valore dell’olio a scaffale e i diversi suoi utilizzi che si possono fare. L’olio andrà scelto sempre di più in base all’uso che i consumatori ne faranno a casa. Non deve più essere il prezzo a guidare la scelta, ma l’esigenza di consumo.
L’olio extra vergine di oliva ha una marginalità non in linea con gli obiettivi della distribuzione organizzata. Proprio per questo i nostri progetti di valorizzazione del prodotto vanno in questa direzione: dare il giusto valore al prodotto.
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Come gli oli Dop e Igp possono salv l’olivicoltura italiana © Provincia di Grosseto
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di Chiara Di Modugno
Quello delle attestazioni di origine olearie è stato tra i temi più centrali della tredicesima edizione di Olio Officina Festival. C’è sicuramente un forte bisogno di comprendere più nel dettaglio con quali modalità operi il comparto nell’ambito delle produzioni dall’origine certificata. La voce dei diretti protagonisti ci permette di comprendere in tutta evidenza lo stato della realtà
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palco del grande happening dedicato agli oli da olive e ai condimenti, dove sono stati affrontati sia i punti di forza della categoria oli con attestazione di origine Dop e Igp, sia le inevitabili debolezze e problematiche, dando così spazio a un ricco dialogo alla ricerca di possibili soluzioni in vista di una olivicoltura più efficiente ed economicamente sostenibile.
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uale sia il peso commerciale degli oli Dop e Igp in Italia in parte già lo sappiamo. Lo si intuisce dallo spazio che occupano le bottiglie di olio extra vergine di oliva sugli scaffali dei supermercati rispetto ad altre referenze non certificate. Così, quando il nostro sguardo si va soffermando anche sui ripiani degli scaffali di altri punti vendita, quelli di prossimità, dei negozi gourmet e delle poche oleoteche presenti nei territori, si intuisce che si sta parlando di una quota di mercato minoritaria, dalle grandi potenzialità inespresse. La cosiddetta Dop economy può davvero trainare l’olivicoltura italiana e portarla verso una zona di comfort, sottraendola al rischio di abbandono della coltivazione soprattutto nelle aree più ardue, collinari e montane? Sono senza dubbio preziose, al riguardo, le testimonianze di alcuni tra i più rappresentativi attori del comparto, da Laura Turri, in rappresentanza del Frantoio Turri di Cavaion Veronese e past president del Consorzio di tutela dell’olio Dop Garda, a Francesco Gasparini, a capo di PrimOli, impresa con sede a Genova; da Dora Desantis, responsabile qualità Agridè, nonché vicepresidente del Gruppo olio di oliva di Assitol, a Serena Mela, in rappresentanza dello storico Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, di cui è titolare con la famiglia; da Pasquale Manca, amministratore delegato della Domenico Manca Spa, sul mercato con il marchio Olio San Giuliano, a Massimo Martinelli, responsabile produzione e confezionamento per Terre dell’Etruria. Le loro voci sono state centrali nel dibattito emerso sul
Partiamo dunque da un dato di fatto: in Italia si consuma, e si esporta, molto più olio di quello che viene prodotto. Una risposta a un problema tanto attuale quanto ormai irrisolto da decenni, la carenza di materia prima, come afferma Pasquale Manca, si risolve solo piantando più olivi, incrementando, di fatto, la quota produttiva del Paese. L’operazione di investimento in nuovi oliveti intrapresa dalla Domenico Manca - San Giuliano ha ottenuto risultati concreti che non solo hanno portato a un potenziamento della produzione, anche a marchio Dop Sardegna, ma, nel contempo, anche a un recupero di molti terreni in stato di completo abbandono: questa operazione, denominata “Novolivo”, diventa così un processo fondamentale sia per l’economia sia per l’ambiente. «Parlando nello specifico di Dop economy - spiega Pasquale Manca -, nel nostro progetto abbiamo voluto inserire oltre alle cultivar nostrane, sarde, anche altre, diffuse nel resto della penisola. Riusciamo così a misurare, quasi a livello di bottiglia, i consumi e l’incidenza che la Dop ha nell’aggregato della categoria extra vergine, sia italiano sia europeo. Pesare il valore in questo mese sarebbe improprio, quindi ragioniamo in termini di volume, la cui quota di mercato rappresenta il 2,6%. Può sembrare un numero basso, però rappresenta un
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Pasquale Manca
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Le Dop all’interno del comparto sono il segmento più interessante, per quanto riguarda le private label – sono infatti sempre più numerose le marche del Distributore a marchio Dop – e ciò rappresenta da una parte un’opportunità, ma nello stesso tempo anche un pericolo per le aziende.
aumento del 18% rispetto a cinque anni fa, e ciò significa che la Dop è un segmento in buona salute. Un aspetto molto interessante è il price index delle varie categorie, come il 100% Italiano, altro tipo e Dop: notiamo infatti che partendo da 100 come index di base, l’altro tipo si trova a 92, l’Italiano a 105 e a 176 la Dop. Ciò non so se sia un bene o un male - prosegue il titolare della Domenico Manca - perché un livello di price index così alto potrebbe anche rappresentare una barriera alle rotazioni. Siamo d’accordo sul fatto che la marginalità unitaria sia un aspetto positivo, ma ciò che poi conta è anche la massa di margine che si porta in azienda, o perlomeno la massa con cui la Dop contribuisce alla categoria dello scaffale. Oggi come oggi, le Dop all’interno del comparto sono il segmento più interessante, per quanto riguarda le private label - sono infatti sempre più numerose le marche del Distributore a marchio Dop - e ciò rappresenta da una parte un’opportunità, ma nello stesso tempo anche un pericolo per le aziende. La Dop comunque resta, per ora, un prodotto di nicchia e l’Italia non può basarsi su tale tipologia di prodotto per essere autorevole a livello internazionale. Va infatti ricordato che la sola Dop non traina certo i prodotti di massa, mentre è possibile il contrario. Se basiamo tutto sulla Dop economy, per quanto riguarda il comparto olio, rischiamo di diventare sempre più residuali e meno influenti a livello nazionale, con tutta una serie di riverberi sul Paese e sull’intero settore» conclude Pasquale Manca.
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Con Laura Turri, titolare del Frantoio Turri e past president del Consorzio dell’olio Dop Garda, volgiamo invece lo sguardo al territorio gardesano, partendo da un’espressione da lei coniata quando si parla di extra vergini a marchio Dop e Igp, ovvero: l’olio con nome e cognome. Spesso ci si dimentica infatti di valorizzare l’elemento territoriale, non riconoscendo di conseguenza che ogni olio si caratterizza per le sue peculiarità specifiche. «L’olio Dop Garda - spiega l’imprenditrice veneta - è stato salvato dalla denominazione di origine protetta, perché per diverso tempo si è assistito all’abbandono degli oliveti, nonostante la vendita sempre molto positiva dell’olio gardesano. Di conseguenza, la Dop, che abbiamo voluto fortemente, ha salvato tutta l’area di coltivazione che rientra sotto questa denominazione. Nel 1997 è stata riconosciuta la Dop del Garda e nel 2004 le tre sponde - bresciana, veronese e trentina -, superando campanilismi e rivalità, si sono messe assieme per dare valore a questa Dop. Nel 2002 il Consorzio di tutela era composto da trenta soci, e oggi il numero è arrivato fino a cinquecento: sono cinquecento persone che producono olio del Garda, un olio che ha un nome e un cognome. Ritengo sia giusto contraddistinguerlo attraverso la certificazione dell’origine in quanto esiste sul mercato l’olio extra vergine di oliva italiano e l’olio comunitario; a differenza di questi, gli oli a denominazione d’origine hanno un’identità propria. Gli oli Dop e Igp sono pertanto uno strumento straordinario per i produttori, anche perché in questo modo
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possono far riconoscere il proprio extra vergine insieme con la qualità e l’unicità con cui si contraddistingue. Sicuramente, c’è necessità dell’aiuto da parte degli attori della ristorazione, in modo che diventino ambasciatori del prodotto. Un cambio di comunicazione dovrebbe avvenire a partire dalle ricette, iniziando a specificare quale olio si ritiene più adatto per una particolare preparazione. Che sia olio Dop Garda, Terra di Bari, Riviera Ligure, va ogni volta precisato, in modo che non sia più banalizzato inserendo la sola e generica voce “olio extra vergine di oliva”. Ai consumatori va comunicato che possono differenziare i loro consumi e i loro abbinamenti proprio grazie agli oli del territorio, anche perché, in relazione ai diversi profumi, aromi e sapori di questi specifici oli riconducibili ai differenti territori di produzione, si possono valorizzare in modo originale le diverse preparazioni alimentari». Il messaggio è chiaro, per Laura Turri: «Gli olivicoltori hanno fatto la loro parte, e ora tocca al mondo della ristorazione e a quello della comunicazione dare un sostegno concreto all’alta qualità di questi extra vergini del territorio certificati Dop o Igp».
Gli oli Dop e Igp sono pertanto uno strumento straordinario per i produttori, anche perché in questo modo possono far riconoscere il proprio extra vergine insieme con la qualità e l’unicità con cui si contraddistingue.
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Con gli oli del territorio certificati si può e si deve fare molto di più, anche in termini nazionali, non propriamente legando il confine alle singole regioni, ma estendendo il raggio d’azione all’intero Paese.
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Dora Desantis A rappresentare l’attestazione di origine più venduta in Italia, la Dop Terra di Bari, è Dora Desantis, responsabile qualità di Agridè, l’azienda di famiglia fondata dal padre Carmine a Bitonto, celebre areale produttivo che ha fatto la storia dell’olio in Italia. «La Dop Terra di Bari si colloca quale secondo prodotto a livello di valore in Italia - spiega - in quanto il primo è rappresentato dall’Igp Toscano, mentre la nostra produzione a marchio Dop Terra di Bari è in assoluto prima in termini di volume. Questa classifica ci fa capire che la Puglia non riesce a raggiungere uno scalino ulteriore, come posizionamento di collocamento sullo scaffale, in termini di prezzi. Ciò accade perché la produzione pugliese rappresenta il 50% di quella nazionale, e la quantità elevata di prodotto disponibile porta a un abbassamento dei costi e, di conseguenza, in quest’ordine di idee è possibile gestire il prezzo della bottiglia in modo differente rispetto a un prodotto proveniente da un areale con una disponibilità inferiore di olio. Va poi evidenziato un altro aspetto, inerente alla tipologia di agricoltura su cui si basa la Puglia. Si tratta, soprattutto, di una agricoltura tradizionale, e nonostante tutte le leve di marketing di cui disponiamo - Dop, Igp, Bio - non riusciamo a valorizzare al meglio il nostro prodotto. Con gli oli del territorio certificati si può e si deve fare molto di più, anche in termini nazionali, non propriamente legando il confine alle singole regioni, ma estendendo il raggio d’azione all’intero Paese. Secondo me - conclude Dora Desantis - ci sono tutte le possibilità per raggiungere l’obiettivo, ma è importante avere una visione mirata su ciò che vogliamo fare, fra quarant’anni, della produzione olearia italiana».
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Serena Mela
© Consorzio dell'Olio Dop Riviera Ligure
Un’altra Dop vincente, dal prestigio ampiamente riconosciuto, è la Dop Riviera Ligure. La storica realtà con sede a Imperia, nell’area Riviera Ligure dei Fiori, il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, ha intrapreso un forte investimento proprio con il settore più complesso da gestire e con cui trattare, quello della ristorazione, ma la famiglia Mela ha sempre costruito un dialogo virtuoso e sempre proficuo con chef e ristoratori. «La ristorazione - spiega la titolare Serena Mela - inizia a rispondere molto bene e accoglie ben volentieri le Dop. Sono tutti gli attori del comparto a essere un veicolo importante per raccontare il prodotto certificato e il luogo di appartenenza. La Dop e l’Igp sono due strumenti fondamentali per l’olivicoltura italiana e per la nostra piccola nicchia. Credo fermamente che tali certificazioni salvino il territorio, contrastando fenomeni come l’abbandono dei terreni coltivati a olivo. A limitare questi avvenimenti sono anche i Consorzi di tutela, i quali garantiscono prezzi d’acquisto corretti, a salvaguardia dei contadini, facendoli così desistere dal sospendere o rinunciare alle attività agricole. Le certificazioni apportate sui prodotti, inoltre, sono di grande interesse anche per alcuni consumatori, come gli orientali, i quali cercano sempre garanzie per i loro acquisti». L’oliva Taggiasca ha aiutato molto in quello che è il racconto della Liguria olearia, tanto che l’imprenditrice la definisce «la principessa del nostro territorio». Non solo l’olio, anche l’oliva Taggiasca è protagonista di primo piano. «La sua palatabi-
lità - spiega Serena Mela -, le sue caratteristiche organolettiche e la sua delicatezza sono stati gli elementi chiave per la sua diffusione e notorietà. Partendo da questa cultivar, si riesce a raccontare anche l’olio: c’è molta più difficolta nel veicolare la Dop Riviera Ligure che non la semplice oliva Taggiasca».
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La Dop e l’Igp sono due strumenti fondamentali per l’olivicoltura italiana e per la nostra piccola nicchia. Credo fermamente che tali certificazioni salvino il territorio, contrastando fenomeni come l’abbandono dei terreni coltivati a olivo.
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Proseguendo in questo viaggio di testimonianze che attraversa in lungo e in largo l’Italia, tra le voci che si sono sentite a Olio Officina Festival c’è quella di Massimo Martinelli, responsabile produzione e confezionamento Terre dell’Etruria, che ha fatto luce sul ruolo dell’olio Igp Toscano e sull’importanza che questa attestazione di origine ha per la regione Toscana. «Parliamo di uno strumento che sta aiutando molto le aziende, tra cui la nostra cooperativa. Si tratta infatti dell’Igp più prolifica dell’intero Paese, anche se produciamo, a seconda delle annate, dal 3 al 5% dell’intera produzione nazionale, una percentuale minima sul totale. Questo rapporto, però, ci fa capire quanto sia fondamentale incentivare la presenza delle Igp e delle Dop, proprio a sostegno dei produttori, garantendo così il prodotto attraverso analisi chimiche e organolettiche e i continui controlli. Tutto ciò - afferma Massimo Martinelli - serve per garantire la qualità e la provenienza del prodotto. È una garanzia verso il consumatore finale, il quale, in un’annata come questa, si è trovato davanti a scaffali in cui la differenza di prezzo tra extra vergine non certificato e certificato è minima. Quindi, a questo punto, perché non scegliere un prodotto che è anche controllato? Ritengo che in questo periodo storico si possa dare una spinta ulteriore per velocizzare i processi, facendo così comprendere le peculiarità di un olio a Indicazione geografica. Come Terre dell’Etruria, grazie anche al Consorzio, produciamo molto Igp Toscano, in quanto la maggior parte dei nostri soci conferisce extra vergine atto a divenire olio certificato Igp. Nei nostri punti vendita raccontiamo ai consumatori la prassi da seguire per arrivare al prodotto finito ed etichettato a Indicazione geografica protetta Toscano, puntando così - conclude Martinelli - a un consumatore in grado di compiere scelte più consapevoli al momento dell’acquisto».
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© Provincia di Grosseto
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Nei nostri punti vendita raccontiamo ai consumatori la prassi da seguire per arrivare al prodotto finito ed etichettato a Indicazione geografica protetta Toscano, puntando così a un consumatore in grado di compiere scelte più consapevoli al momento dell’acquisto.
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Massimo Martinelli
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Francesco Gasparini
A credere nel valore delle certificazioni e delle produzioni locali fino al punto di fondare un’azienda fortemente incentrata sugli oli territoriali, proprio in un periodo storico in cui nessuno lo faceva, è Francesco Gasparini, titolare di PrimOli. Non si è trattato solo di confezionare oli a marchio Dop o Igp, ma l’obiettivo è sempre stato anche quello di portare sugli scaffali soltanto gli oli certificati, risultando così, ad oggi, l’unica realtà che ha nel proprio paniere tutte, o quasi, le denominazioni di origine presenti sul mercato. «Oltre alle attestazioni di origine, se parliamo dell’identità territoriale occorre far riferimento anche alle vendite dirette dei frantoi, che forniscono olio locale anche se non certificato a persone native delle zone di produzione, ma non solo. Ad approvvigionarsi direttamente al frantoio sono anche i turisti, i quali prendono parte a visite guidate e alle diverse forme di oleoturismo. Se invece ci vogliamo concentrare proprio sul prodotto certificato, purtroppo bisogna notare che la quota di produzione è ancora molto bassa - gli ultimi dati restituiscono un 5,6% in volume sul totale ma bisogna anche considerare che la situazione cambia molto a seconda delle realtà territoriali, e più ci si addentra, più si riscontrano luci e ombre. In alcuni casi specifici, l’abbandono degli uliveti, come accade ad esempio in Liguria e nell’Appennino centrale, l’istituzione di oli a Indicazione geografica certificata possono sicuramente arginare il problema, puntando sulla qualità anche in termini di entità territoriale».
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© Consorzio Dop Umbria
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© Olio San Giuliano
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Ora, per concludere questo nostro ripercorrere quanto si è ascoltato a Olio Officina Festival, possiamo senza dubbio sostenere che le attestazioni di origine Dop e Igp stanno migliorando le proprie performance, anche se, dobbiamo ammetterlo, c’è ancora molto lavoro da fare. L’olivicoltura italiana andrebbe ristrutturata e potenziata, con apporti di nuove energie e risorse, e, allo stato attuale, pur nelle criticità ormai conclamate e irrisolte, può in qualche modo salvarsi proprio a partire dai singoli territori. Per questa ragione, assegnare un’attribuzione geografica diventa un passaggio fondamentale. Ricordiamoci, tuttavia, che occorre comunque investire in una attività di comunicazione e di informazione corretta e coerente. Solo una comunicazione collettiva può rafforzare un comparto che ha tanto da offrire, sia a tutti gli attori coinvolti, sia all’intera economia del Paese.
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Oltre l’olio mass-market. Verso nuovi modelli resilienti La scelta delle attestazioni di origine per rilanciare l’olivicoltura italiana è una strada per certi versi obbligata, ma alquanto complessa, intessuta di luci e ombre
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Dop | Igp. La valenza dell’identità territoriale
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di Francesco Gasparini Owner PrimOli
li oli del territorio a marchio Dop e Igp potranno mai salvare l’olivicoltura italiana? È il tema affrontato nel corso di Olio Officina Festival 2024, di cui sono stato relatore. In verità, oltre all’olio Dop/ Igp, la valenza dell’identità territoriale, andrebbe attribuita anche alle vendite dirette relative alla produzione di oli extra vergini locali, per quanto non certificati. Si tratta, in questo caso, di volumi importanti, acquistati da soggetti nativi delle aree di produzione, soprattutto al centro-sud, ma anche da coloro che praticano il turismo gastronomico. Se tuttavia circoscrivessimo l’analisi ai soli oli Dop/Igp, è indubbio che tale segmento abbia ancora un peso marginale all’interno della produzione olearia nazionale, ed esattamente il 5,6% in volume nel 2022, secondo l’Ismea, una assai ridotta incidenza rispetto a quanto si verifica con altre Indicazioni geografiche, con formaggi e salumi in particolare. Visti i numeri, l’impatto che tale nicchia ha sull’olivicoltura italiana nel suo complesso non può che essere modesto, anche se, volendo analizzare nel dettaglio le varie specificità territoriali, emerge un quadro molto più articolato, con luci e ombre. Ad esempio, in areali marginali dove l’olivicoltura stenta a innovarsi e dai costi di gestione molto elevati - si pensi agli oliveti terrazzati nelle colline interne della Liguria, o a quelli delle regioni appenniniche dell’Italia centrale - la strada della qualità attraverso la valorizzazione dell’identità territoriale è la sola che possa arginare il progressivo abbandono colturale. Diversamente, in una regione vocata all’olivicoltura di qualità come la Sicilia, con una superficie olivetata di 130mila ettari (il 90% dei quali ricompreso nella zona
di produzione di ben otto Dop), il riconoscimento di una Igp regionale ha rappresentato, soprattutto per alcune aziende siciliane integrate con la produzione, un’opportunità di differenziazione rispetto all’olio “100% italiano”, consentendo di commercializzare con un sovrapprezzo significativi quantitativi di olio Igp Sicilia: nel 2022 la produzione delle due più affermate attestazioni di origine - Igp Sicilia e Dop Val di Mazara - era pari, rispettivamente, a 1.616 ton. e 1.484 ton. (sempre fonte Ismea). Ancora diverso è il caso della Toscana, dove all’olivicoltura tradizionale, per lo più collinare e a bassa reddittività, si sta affiancando, in areali pianeggianti, un’olivicoltura di precisione caratterizzata da un’alta densità di piante per ettaro (spesso di varietà autoctone Leccio del Corno e Maurino) e da un'elevata automazione. I casi sono ancora isolati ma è chiaro che, all’interno di una medesima Igp, i nuovi impianti intensivi, per quanto necessari, rischiano di mettere fuori gioco quelli tradizionali, il cui valore, non solo paesaggistico, è fondamentale per la regione. In definitiva, mentre nella produzione di olio mass-market il conseguimento di efficienze produttive, attraverso investimenti in una olivicoltura “industriale” di precisione, rappresenta, anche in Italia, il presupposto essenziale e prioritario per competere in un mercato globale trainato dalla Spagna, nella produzione del cosiddetto olio “artigianale”, spesso certificato Dop/Igp, vanno individuati nuovi modelli resilienti e aderenti alle specificità territoriali. Modelli che sappiano esaltare la multifunzionalità dell’olivicoltura tradizionale, valorizzandone biodiversità, benefici ambientali e valore culturale.
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La presenza delle enoteche in Italia è sempre più diffusa. Nel 2023 ne risultano registrate 7.300, e sembra che il trend sia in continua crescita. Le oleoteche, per contro, sono presenza rara. Il vino - è evidente a tutti vince nettamente sull’olio. Eppure gli extra vergini del territorio, in particolare quelli certificati Dop o Igp, avrebbero proprio bisogno di uno spazio dedicato
di Eva Collini Oleoteca “L’Evo di Eva”, Torino
Il vino è una bevanda che conoscono tutti, allieta e incuriosisce, al punto da essere sempre oggetto di eventi, corsi, masterclass. L’olio extra vergine di oliva fatica a essere accolto con la medesima attenzione. Eppure, è un alimento unico, ha storicamente contrassegnato per millenni la presenza umana sin dall’antichità. Resta però relegato in cucina, non attrae oltre il necessario. Sarà forse per questo che cercando su internet le attività commerciali legate all’olio se ne trovano poche? Effettivamente si contano sulle dita di una mano. Le oleoteche non trovano il consenso che meriterebbero. Come mai? Sicuramente il pubblico degli amanti del vino è ben più ampio rispetto a quello degli amanti dell’olio. Questi ultimi sono confinati nella nicchia. Pochi gli intenditori che decidono di spendere più del dovuto per una buona bottiglia
d’olio eccellente. Si accontentano del minimo, purché ci sia scritto olio extra vergine di oliva. Pochi apprezzano l’amaro e il piccante che si percepisce al momento dell’assaggio. Ancora meno sono quelli che ne conoscono le preziose proprietà. L’oleoteca, altrimenti detta olioteca, risponde alla richiesta di una ristretta cerchia di persone e offre loro selezioni meritevoli di grande considerazione: oli territoriali certificati Dop e Igp, oli ottenuti da singole varietà di olivo - monocultivar, monovarietali, o mono olivigni come direbbe l’oleologo Luigi Caricato - ma anche blend, frutto di sapienti combinazioni tra cultivar differenti, tanti oli da provare con ingredienti diversi, tanti oli da sperimentare e abbinare proprio come avviene con i vini. Grazie alla passione - che non manca mai - e soprattutto grazie alla preparazione dei tanti
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cercasi oleoteche
© Eva Collini
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operatori, è oggi possibile partecipare a degustazioni guidate create ad hoc per imparare a riconoscere un buon olio e distinguerlo da quelli pur dignitosi ma di qualità inferiore. Capire come abbinare un olio Evo con un alimento anziché con un altro significa aprirsi a una nuova visione degli oli. Conoscere le storie legate ai produttori equivale a scoprire storie che ignoravamo ma che ci aiutano a comprendere meglio anche gli stessi oli. In alcune oleoteche è anche possibile approfittare di una piccola cucina per assaggiare un piatto in abbinamento con un extra vergine dedicato, provando direttamente con i propri sensi - naso, palato - come ogni alimento si sposi meglio con un olio di una determinata cultivar e non di altre o diversamente da quel che può scaturire da un blend di più olivigni. Con questi presupposti, vi è la concreta possibilità, per il cliente di una oleoteca, di acquistare in modo consapevole il miglior prodotto, scegliendo così il proprio olio, quello con le peculiarità sensoriali più gradite. L’idea, inoltre, di provare direttamente l’olio, confrontandosi con le varie combinazioni alimentari, aiuta ancor di più, chiarisce, esplicita, apre a nuove opzioni. Così come per gli amanti del vino, anche per i cosiddetti Evo lovers si organizzano serate per promuovere un produttore e conoscere i suoi oli: ascoltare la storia degli ulivi centenari o delle giovani piante dalle cui olive si trae l’olio, ci porta a conoscenza di uno scenario ai più ignoto. Poter apprendere i diversi metodi di estrazione, poter imparare a degustare l’olio e a coniugarlo con i vari piatti della tradizione gastronomica locale, o immaginarlo nell’ambito di altre tradizioni, ci fa comprendere meglio come si declina un olio in relazione ai vari ingredienti. Si comprende anche, degustando un extra vergine, la sostanziale differenza tra oli senza o con poca personalità ed extra vergini che fanno invece percepire una realtà molto ben
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Conoscere le storie legate ai produttori equivale a scoprire storie che ignoravamo ma che conoscendole ci aiutano a comprendere meglio anche gli stessi oli.
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connotata. In oleoteca, negli incontri a tema, ci si relaziona con professionisti che amano e curano i propri alberi come fossero parte della propria famiglia, produttori che credono nel lavoro e sono consapevoli che l’impegno che mettono nell’atto del produrre è uno dei valori tramandati di generazione in generazione, e, soprattutto, tutti coloro che coltivano gli olivi e che sono chiamati ad affrontare i cambiamenti climatici, con molta paura e apprensione, ma senza mai disperare, sempre alla ricerca di soluzioni agronomiche che possano risolvere o far ben sperare nel mantenere in salute i propri alberi, nonostante i rischi continui e nonostante in alcuni territori la situazione non sia così rassicurante, specialmente sotto il fronte del batterio xylella. La forza e la tenacia dei produttori, la loro determinazione, oltre che la loro bravura, devono essere i nodi che formano una stretta rete collaborativa tra chi produce e chi consuma. L’oleoteca è il luogo che mette in contatto questi due mondi: la terra e la tavola. I negozi dediti alla vendita esclusiva di olio extra vergine di qualità non esisterebbero se non trovassero prodotti eccellenti da collocare sui propri scaffali e da raccontare in ogni singolo dettaglio ai propri clienti. Ecco allora come si rivela indispensabile il sodalizio, quella stretta di mano tra produttore e venditore, nell’ottenere un successo nelle vendite. Se la stretta di mano è ben salda, si crea un vero e proprio legame a doppio filo. Eppure, a volte, questo lavoro di coppia, questo legame tra produttore e commerciante, sembra svanire e venir meno, per qualche malinteso legato alle condizioni di fornitura. Come per tutti i piccoli negozi, il rischio che il cliente possa rivolgersi direttamente al produttore esiste, ed è in questo senso che un buon gioco di squadra non può che portare vantaggi per tutti: il cliente può degustare gli oli prima dell’acquisto, il produttore avrebbe a sua volta modo
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Purtroppo restano ancora troppo poche le realtà che credono negli oli territoriali di alto profilo qualitativo, ma la presenza di oleoteche può senza dubbio aiutare nella diffusione di una cultura di prodotto, sia assegnando maggiore visibilità al lavoro di tanti bravi produttori, sia rendendo maggiormente consapevoli gli stessi consumatori non sempre sensibili verso scelte di garantita qualità e certezza di origine.
di farsi conoscere, e il negoziante, se capace di comprendere le esigenze del cliente, crea la giusta e meritata fidelizzazione. Il segreto del successo di una oleoteca è proprio nella collaborazione, nell’unione tra le parti. Viene in mente a tal proposito una nota locuzione latina: unus pro omnibus, omnes pro uno; uno per tutti, tutti per uno. Non finisce qui. Un altro servizio proposto dalle oleoteche potrebbe essere quello di consulenza per i ristoranti. La carta degli oli sarebbe il valore aggiunto per quelle attività di ristorazione che puntano sulle eccellenze italiane, sui prodotti del territorio Dop e Igp, sugli alimenti nutraceutici. In fin dei conti, l’olio è un condimento/alimento sempre presente sulle nostre tavole, fin da quando eravamo piccoli. I pediatri lo raccomandano per lo svezzamento, i nutrizionisti lo consigliano per le qualità nutrizionali, perciò non si comprende la ragione per cui continui a essere sottovalutato, soprattutto in quelle attività in cui il cibo è posto al centro del core business. Purtroppo restano ancora troppo poche le realtà che credono negli oli territoriali di alto profilo qualitativo, ma la presenza di oleoteche può senza dubbio aiutare nella diffusione di una cultura di prodotto, sia assegnando maggiore visibilità al lavoro di tanti bravi produttori, sia rendendo maggiormente consapevoli gli stessi consumatori non sempre sensibili verso scelte di garantita qualità e certezza di origine.
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L’olio del territorio Dop e Igp al ristorante. di Alessia Cipolla © Planeta
Il ristorante, come baluardo territoriale e luogo dove si può fare cultura del territorio e del cibo, può rappresentare una grande occasione per far conoscere e avvicinare il commensale alla cultura dell’olio e della sua terra.
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Come collocarlo, come presentarlo, come proporlo
© Ristorante Dattilo
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l ristorante, come baluardo territoriale e luogo dove si può fare cultura del territorio e del cibo, può rappresentare una grande occasione per far conoscere e avvicinare il commensale alla cultura dell’olio e della sua terra. Il ristorante può presentare questo prodotto grazie a più strategie: all’inizio del pasto, in attesa della prima portata, per ingannare il tempo e predisporre il palato, può proporre la degustazione di uno o più oli, magari scelti all’interno di una vera e propria carta dell’olio. A tavola si può fare formazione oltre che informazione: gli oli assieme al vino e ai prodotti gastronomici, infatti, raccontano un territorio, storie di vite e di paesaggi. Accanto al racconto di un luogo attraverso l'assaggio, anche ciò che accompagna deve fare la sua parte: un olio extra vergine di oliva, tanto più se certificato Dop o Igp, va affiancato da un pane di qualità e abbinato in base al suo gusto e alla sua struttura. L’olio può essere servito a tavola, e sul piatto (schema A), secondo il piacere del cliente, da un sommelier che lo verserà come per il vino, presentandolo da sinistra e versando la bottiglia con antigoccia da destra, prestando attenzione al quantitativo (O). Il pane (P) sarà sempre posizionato a destra o posto in un cestino facilmente raggiungibile dai commensali. Se servito in una piccola salsiera/oliera (schema B), questa verrà poggiata sulla parte destra del coperto, posizione consona a tutte le salse a lato del bicchiere da acqua (A) e da vino (V). Oppure potrà essere predisposto al centro del coperto un piatto a diversi scomparti adatti a ricevere più oli, il che permette
di controllare la quantità versata: si tratta di una degustazione, quindi la quantità deve essere limitata, perché l’olio è sacro e non va sprecato. Si può pensare alla costruzione di un intero pasto con alla base l’olio extra vergine di oliva: nel menu il ristorante può proporre l’abbinamento di un olio specifico per ciascun piatto, perché ogni olio ha una sua struttura, una sua caratteristica che va conosciuta, non banalizzata ma altrimenti sostenuta. Al termine del pasto potrebbe essere offerto un campionario di bottiglie da 100 ml, di differenti tipologie, da donare alla clientela, assieme a una piccola brochure con qualche informazione in più da portare a casa.
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© Planeta
A tavola si può fare formazione oltre che informazione: gli oli assieme al vino e ai prodotti gastronomici, infatti, raccontano un territorio, storie di vite e di paesaggi.
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Un olio del territorio, tanto più se certificato Dop o Igp, merita la giusta valorizzazione al ristorante, ma anche nelle sale da pranzo in casa. Ecco allora Oliena, per esaltare colore, profumi e sapori
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di Ilaria Legato Brand e food designer in ambito HoReCa foto Lido Vannucchi
Un nuovo oggetto di design per l’olio in scena
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Illustrazione di Mauro Olivieri
er poter esaltare tutte le sue caratteristiche diventando nuovamente protagonista della sala, l’olio ha bisogno non solo della capacità di selezione dell’oste ma di nuove progettazioni che gli permettano di “entrare” in sala e avvicinarsi al tavolo senza essere snaturato nella sua identità. Una proposta efficace è ad esempio la ricerca fatta dal food designer Mauro Olivieri con il suo progetto Oliena, pensato solo ed espressamente per l’olio, un oggetto concepito per aiutare l’olio a raccontarsi e a esprimere il massimo delle sue caratteristiche distintive. Oliena è nato con lo scopo di fornire il più ampio prospetto organolettico all'olio. Sensuale e sensoriale, consente al degustatore di valutare con tutti i sensi un olio extra vergine di oliva. Le possibilità di utilizzo di quest'oggetto in sala sono di-
verse e versatili. Oliena è in realtà un oggetto doppio, formato da un piatto e un contenitore nel quali ci si potrebbero mettere anche alimenti diversi intesi come elementi comunque legati all'olio, valorizzandoli al meglio. Il valore aggiunto di un piatto servito al ristorante si costruisce anche intorno o all'interno del "vasellame" che diventa parte integrante, rendendo meno effimero il rito del pasto.
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A scuola d’olio
Per cogliere tutte le sfumature degli oli occorre conoscerli e apprezzarli attraverso l’assaggio in purezza, in modo da percepire profumi, sapori, aromi e sensazioni tattili al palato. Ogni olio extra vergine di oliva ha la sua personalità e va perciò di volta in volta interpretato, così da combinarlo alla perfezione con i vari ingredienti. Non è un passaggio obbligato, però, anche perché in molti utilizzano l’olio più per abitudine che per consapevolezza. Prestare tuttavia maggiore attenzione serve a migliorare le performance in cucina, sia negli impieghi a crudo, sia in cottura. Noi, qui, proponiamo alcuni suggerimenti utili ed essenziali per compiere un primo passo verso la scoperta degli oli andando al di là di un loro impiego generico e indifferenziato
Consigli di abbinamento Giuseppe Capano, chef e maestro di cucina Selezione degli oli Luigi Caricato
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Come abbino gli extra vergini Dop e Igp
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Abbinamento per intensità di fruttato Extra vergini dal fruttato leggero Oli prevalentemente dolci, delicati, dai profumi non penetranti Salse delicate Dop Riviera Ligure, Riviera dei Fiori, Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, Imperia
Cotture semplici del pesce Dop Garda – Orientale, “Villa”, Fratelli Turri, Cavaion Veronese (Verona)
Insalate poco complesse Dop Riviera Ligure, Santagata 1907, Genova
Extra vergini dal fruttato medio Oli dalla buona personalità aromatica e ricchezza di profumi e intensità persistente Carni in umido o arrosto Dop Terra di Bari - Bitonto, “Naturalmente biologico”, Agridè, Bitonto (Bari)
Legumi in generale Dop Umbria Colli Orvietani, “Diamante”, Al Vecchio Frantoio Bartolomei, Montecchio (Terni)
Carpacci di carne e pesce Igp Toscano, “Antico Borgo”, Bio, Terre dell’Etruria, Donoratico (Livorno)
Ortaggi a forte personalità come asparagi e carciofi Dop Terra di Bari – Castel del Monte, Primoli, Genova
Salse complesse con presenza di elementi acidi Dop Brisighella, “Vargnano”, Palazzo di Varignana, Castel S. Pietro Terme (Bologna)
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Emulsioni da condimento Salse emulsionate semplici come la classica citronette
Salse emulsionate a combinazioni più complesse con presenza di spezie/erbe aromatiche forti e frutta fresca mediamente zuccherina
Extra vergine dal fruttato leggero Dop Garda, “Stelisa”, La Meridiana, Cavaion Veronese (Verona)
Extra vergine dal fruttato intenso Igp Toscano, Frantoio San Gimignano – Oleificio Morettini, San Gimignano (Siena)
Extra vergine dal fruttato medio Igp Olio di Roma, “Roma Amor”, Fratelli Mantova – Compagnia Alimentare Italiana, Broccostella (Frosinone)
Extra vergini dal fruttato intenso Oli penetranti, tendenzialmente amari e piccanti Formaggi morbidi, come la classica mozzarella Dop Sardegna, Olio San Giuliano, Alghero (Sassari)
Bolliti, stracotti, brasati e grigliate di carne Igp Olio di Puglia, Nicola Pantaleo, Fasano (Brindisi)
Zuppe ricche Dop Umbria Colli Assisi – Spoleto, Monini, Spoleto (Perugia)
Insalate complesse Dop Monti Iblei, “Primo”, Frantoi Cutrera, Chiaramonte Gulfi (Ragusa)
Creme e vellutate di verdura Igp Puglia, “L’Autentico”, Primoljo, Casarano (Lecce)
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Ogni olio extra vergine di oliva ha la sua personalità e va perciò di volta in volta interpretato, così da combinarlo alla perfezione con i vari ingredienti.
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Equilibratore di sapori
Salse per primi piatti
Zuppe fredde rinfrescanti per l’estate
Salse di pomodoro
Ragù di carne al pomodoro o in bianco
Salse a base di verdure per pasta
Extra vergini dal fruttato medio Sabina Dop, “L’arte delle Specialità”, Azienda agricola Ceccarelli per Todis, Fiano Romano (Roma)
Extra vergini dal fruttato medio con forti sentori di pomodoro Dop Val di Mazara, Bono, Sciacca (Agrigento)
Extra vergini dal fruttato medio Dop Umbria – Colli Assisi – Spoleto, “Non filtrato”, Costa d’Oro-Assoprol, Spoleto (Perugia)
Con presenza di aglio e verdure mediamente aromatiche oli dal fruttato medio Igp Toscano, Filippo Berio, Massarosa (Lucca)
Molluschi di mare
Latticini, mozzarella o ricotta
Oli dal fruttato medio, dall’amaro e piccante equilibrato e dalle note di mandorla e carciofo Igp Sicilia, Olitalia, Forlì (Forlì-Cesena)
Extra vergini dal fruttato medio o intenso Igp Toscano, Rocchi, Lucca
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Risotti
Con presenza di cipolla e verdure maggiormente aromatiche oli dal fruttato intenso Igp Sicilia, “l’essenza blend”, Colle San Leo, Gela (Caltanissetta)
Di pesce e di verdura
Con verdure molto aromatiche come carciofi e funghi
Oli dal fruttato tra il leggero e il medio Dop Riviera Ligure – Riviera di Levante, Agricola Santa Barbara, Santa Margherita Ligure (Genova)
Oli dal fruttato medio e intenso Igp Toscano, “Le Origini”, Carapelli, Tavarnelle Val di Pesa (Firenze)
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I balsamici regnano sovrani. Gli altri aceti? Stanno a guardare di Maria Carla Squeo
L’Aceto Balsamico di Modena Igp è tra i prodotti italiani più esportati. Il Tradizionale – sia di Modena, sia di Reggio Emilia – ha valori di produzione limitati, ma tra i due è solo il primo a essere più noto. Tutti gli altri aceti non hanno ottenuto alcun riconoscimento e restano incomprensibilmente nell’ombra proprio perché ritenuti, a torto, prodotti “comuni” e di consumo. Per saperne di più, ne abbiamo parlato con una tra le imprenditrici più rappresentative del comparto acetiero
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Illustrazione di Doriano Strologo
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Aceti d’Italia Dop e Igp. Intervista a Elda Mengazzoli
© Silvano Pupella
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erché non ci sono in commercio aceti di vino, o di mela, o di altra natura, riconosciuti attraverso una Dop o una Igp? Abbiamo incontrato Elda Mengazzoli, ceo dell’Acetificio Mengazzoli, che ci ha chiarito la ragione per cui in Italia le attestazioni di origine si sono limitate a riconoscere solo gli aceti balsamici, trascurando il resto delle produzioni, considerate figlie di un dio minore. È un grande peccato relegare ad aceti comuni, e perciò indistinti, senza una identità e una tradizione territoriale tutti gli altri aceti che non siano i balsamici. Chissà se potrà cambiare in futuro qualcosa.
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Finora a essere premiati dal riconoscimento comunitario che attesta l’origine sono l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, cui ha fatto seguito diversi anni dopo l’Aceto Balsamico di Modena Igp. Ne prendiamo atto, ma tutti gli altri aceti? L’Italia tradizionalmente e storicamente è stata grande produttrice di aceti di vino e, successivamente, anche di aceti da fermentazione…
Quanto incidono le Indicazioni geografiche per gli aceti in Ita- E ci si è dimenticati di queste lia? produzioni… In Italia l’unica Indicazione geografica protetta è quella dell’Aceto Balsamico di Modena. Sono state invece riconosciute due Denominazioni di origine protetta per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia. Nonostante le due Dop siano state ufficializzate molti anni prima della Igp, i valori di produzione sono limitati.
A quanto ammonta la produzione annua dell’Aceto Balsamico di Modena Igp? Si attesta tra i 95 e i 100 milioni di litri. Di questa produzione quasi il 90% è destinato ai mercati esteri. L’Aceto Balsamico di Modena Igp è uno tra i prodotti più esportati del comparto agroalimentare italiano.
Purtroppo negli anni si è fatto poco per questi prodotti. Sono stati sempre ritenuti prodotti “comuni” e di consumo. Invece, anche tra questi altri aceti esistono differenze. Si distinguono tra l’altro tante eccellenze, che non si è riusciti a valorizzare.
Già, è un vero limite. Ma perché per gli altri aceti non si è riusciti a far nulla? La motivazione va ricercata forse in due aspetti: una legislazione degli anni ’60, peraltro solo italiana, che già controllava serratamente la produzione; e la forte concentrazione produttiva che dagli anni ’70 in avanti si è andati perseguendo.
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Torniamo ai balsamici. L’iter per il riconoscimento dell’Igp Aceto Balsamico di Modena è stato molto travagliato. Come mai? L’ufficializzazione è avvenuta addirittura solo dopo tredici anni dalla prima richiesta di registrazione. Si è partiti nel 1996 per raggiungere l’obiettivo solo nel 2009. Ci sono state forti opposizioni?
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Sì, l’iter per il riconoscimento dell’Igp è stato lungo e travagliato per le molteplici opposizioni di alcuni stati membri dell’Unione Europea. Nel corso dei tredici anni sono state poste molte modifiche per poi giungere, solo nel 2009, all’ufficializzazione.
A distanza di tanti anni, i consumatori hanno capito la differenza tra il Tradizionale e il Balsamico Igp? La maggior parte dei consumatori non ha chiara la differenziazione, e in modo particolare a volte non conosce neppure l’esistenza della Dop. Tra le due Dop, in qualsiasi caso, la più conosciuta è quella di Modena.
Perché? Sicuramente perché viene associata alla Igp. I prodotti, seppur denominati per una parte con gli stessi termini, sono completamente diversi per la materia prima utilizzata e per il processo produttivo.
L’aceto balsamico è molto imitato, anche fuori dai confini europei. L’attestazione di origine è diventata perciò uno strumento fondamentale. Quanto ha aiutato l’ottenimento dell’attestazione di origine per la tutela del prodotto? Il prodotto è stato ed è tuttora imitato fuori dai confini europei, in quanto la disciplina delle Igp e delle Dop ha valenza solo per l’Europa e per alcuni Paesi accordisti. L’attestazione è stata molto utile perché ha regolamentato la produzione e, nel contempo, ha pure elevato a eccellenza il prodotto tipico italiano.
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le olive essendo nato in terre della nebbia, il cielo mi sembrava fosse lardo e il burro era il nostro condimento. poi il ramoscello dell’ulivo a pasqua, che dava quella pace che ora manca, mi fece anche scoprire gli uliveti, da allora molto spesso voglio l’olio che appresi dalla liturgia dei preti. Guido Oldani Fondatore del Realismo terminale Inedito
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