Olio Officina Magazine n. 17

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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

Viaggiatori oliocentrici. Utili consigli per appassionati oleofili

MAGAZINE

#17

ISSN 2611-5239

EURO 15,00


L’ECCELLENZA

OUTSTANDING NUTRIRSI BENE È UN’ARTE. THE ART OF HEALTHY EATING.

ITALIA ITALY

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DELLA PUGLIA. PUGLIA


LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

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Un’artista per l’olio

Illustrazione e testo di Stefania Morgante

Ora, è ora di partire: La lunga vacanza che ti nutre Intensa come il profumo d’olio, Ora è tempo di scoprire.

Illustrazione di copertina Stefania Morgante stefaniamorgante.com IG: @stefmorgante


olioofficina.it

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OOF MAGAZINE N. 17


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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

Index

Un’artista per l’olio. Ora, è ora di partire

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Illustrazione e testo di Stefania Morgante

Tutta l’energia degli olivi

12 Idee

[Per una] Mappa [essenziale] degli olivi monumentali

14 Nuove idee per nuove visioni Manifesto [aperto, in itinere] per un design oleario etico e sostenibile 16 di Luigi Caricato

[Per una] Mappa [essenziale] dei musei dell’olivo e dell’olio Coloring La tentazione

Semi di sapienza per un turismo 18 consapevole. Turismo, paesaggio, responsabilità

Editoriale Il turismo dell’olio è una grande sfida. Alcune idee. Per cominciare. di Luigi Caricato

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di Luigi Caricato

Disegno di Stefania Morgante

Immaginare (sperare, prospettare) un Grand Tour dell’Olio

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Turismo esperienziale 20 La legge sull’oleoturismo. Assolutamente necessaria Dialogo con il senatore Dario Stefàno. 22

di Chiara Di Modugno

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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

Index Esperienze

Il caso Strada dell’Olio Dop Umbria Un laboratorio di oleoturismo

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di Chiara Di Modugno

Esperienze uniche La curiosità e il desiderio, Olivum Experience Il caso Palazzo di Varignana

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di Luigi Caricato

Testimonianze Il turismo dell’olio in Spagna

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di Luigi Caricato

Testimonianze Il turismo dell’olio in Marocco

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Esperienze

Testimonianze Il turismo dell’olio in Nord America

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di Nicholas Coleman

di Noureddine Ouazzani

Generazioni a confronto Turismo dell’olio. Siamo solo all’inizio

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di Cristina e Francesca Salvagno con Giovanni Salvagno

Il libro Le nostre vite per l’olio. I cento anni del Frantoio Salvagno Testimonianze Una oil experience tra frantoio, museo dell’olio e una oleoteca con cucina di Chiara Agostinelli

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Index Percorsi

La brillante intuizione di Georgios Karabatos Lungo le rotte dell’olivo. di Maria Carla Squeo

Dialogo con Antonio Monte I musei della produzione olearia incubatori di popoli e cultura di Chiara Di Modugno

Paesaggio rurale e frantoi ipogei In viaggio nel Salento degli olivi e degli oli di Francesco Caricato

Una storia olivicola e olearia consolidata di Anna Trono

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OXOS

82 Esiste un turismo dell’aceto?

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di Maria Carla Squeo

94 Altre storie

Andar per luoghi attraverso un libro Viaggio (oliocentrico) in Italia. 102 Con Pellegrino Artusi

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di Maria Gabriella Dongarrà e Mario Portera

Ricetta Una ricetta oliocentrica emblematica: il vitello tonnato Verde musicale Il suono degli olivi

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di Alberto Fachechi

Margareth Madè Camminando tra gli olivi di Luigi Caricato

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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

Direttore Luigi Caricato Coordinamento redazionale Chiara Di Modugno Art Buyer Maria Carla Squeo Art Director Michelangelo Petralito Pubblicazione periodica Dicembre 2023, anno 7, numero 17 ISSN 2611-5239 Olio Officina ISBN 978-88-94887-51-8 Editore Olio Officina Olio Officina Srl Società unipersonale Via Francesco Brioschi 86 20141 Milano - Italia Redazione Via Giovanni Rasori 9 20145 Milano - Italia Tel. 0039 02 8465223 Siti Internet magazine olioofficina.it festival olioofficina.com edizioni olioofficina.eu E-mail redazione@olioofficina.it

Progetto grafico e impaginazione PR-A, Milano Fotografie Francesco Buccarelli (Abitare i Paduli), Luigi Caricato, Gianfranco Maggio, Antonio Monte, Oleificio Bartolomei, Palazzo di Varignana, Strada dell’olio Dop Umbria et al.

Hanno collaborato Chiara Agostinelli, Francesco Caricato, Luigi Caricato, Nicholas Coleman, Chiara Di Modugno, Maria Gabriella Dongarrà, Alberto Fachechi, Stefania Morgante, Noureddine Ouazzani, Mario Portera, Cristina Salvagno, Francesca Salvagno, Giovanni Salvagno, Maria Carla Squeo, Anna Trono Stampatore Editrice Salentina, Galatina (Lecce) - Italia Distribuzione in libreria Unicopli - Trezzano sul Naviglio, Milano Pubblicità Olio Officina, pubblicita@olioofficina.it

Illustrazioni Huza Studio, Stefania Morgante, Doriano Strologo Comitato scientifico Luigi Caricato, Rosalia Cavalieri, Lorenzo Cerretani, Daniela Marcheschi, Antonio Monte, Massimo Occhinegro, Alfonso Pascale

Il numero 17 di OOF Magazine, dicembre 2023, è il supplemento del numero 535 della testata giornalistica Olio Officina Magazine, registrata presso il Tribunale di Milano, n. 326 del 18 ottobre 2013. Direttore responsabile: Luigi Caricato. La rivista OOF Magazine viene distribuita in libreria e la si può ricevere anche direttamente al proprio recapito su abbonamento (Info: posta@olioofficina.eu). Costo dell’abbonamento a quattro numeri di OOF Magazine: euro 60,00 per l’Italia, euro 80,00 per Europa e Bacino del Mediterraneo; euro 100,00 Americhe, Asia, altri Paesi dell’Africa; euro 110,00 per Oceania. È possibile acquistare copia digitale sfogliabile della rivista su piattaforma Issuu alla voce Olio Officina.


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Tutta l’energia degli olivi Un viaggiatore curioso che voglia entrare in contatto con la natura non può esimersi dall’andare alla ricerca degli olivi monumentali. Sarebbe interessante creare una mappa degli olivi secolari, o addirittura millenari. Si potrebbe tracciare un itinerario dettagliato, per quanti vogliano ammirarli e abbracciarli.

Quante olive generate nell’arco della loro vita! Quanto olio estratto! In Italia, così come in Spagna e in Grecia, o in altri storici Paesi olivicoli del Mediterraneo, ve ne sono tantissimi. Un albero secolare lo si vede dalle dimensioni del tronco e dei rami, ma c’è anche una specifica disciplina che ne certifica l’età: la dendrocronologia. Questa si basa su numero, spessore e densità degli anelli annuali di crescita degli alberi. Si effettuano carotaggi con sezione a forma di spicchio, onde evitare danni alla vitalità dell’albero. Esiste pure una datazione radiometrica, che per certi versi è una sorta di “orologio geologico”. In questo caso si procede attraverso il metodo del radiocarbonio: i risultati che si ottengono sono attendibili; è un metodo utilizzato, oltre che per la botanica, anche in archeologia, antropologia, oceanografia, pedologia, climatologia e geologia. La datazione degli alberi monumentali non è comunque facile da ricavare, anche per le stesse dimensioni delle piante. Inoltre, i traumi che l’albero subisce nel corso del tempo, o gli interventi talvolta estremi dell’uomo, come nel caso delle capitozzature, possono concorrere ad alterare l’esatta datazione. In ogni caso, il fascino dell’età si vede. Non occorre far altro che abbracciare gli olivi e provare a sentirne tutta, ma proprio tutta, l’energia.



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[Per una] Mappa [essenziale] degli olivi monumentali Olivo della Strega All’interno dell’oliveto della chiesa di Santissima Annunziata, in prossimità di Magliano (Grosseto).

Ulivo dei Trenta Zoccoli In località Pian del Quercione, a 1 km a nord di Massarosa (Lucca).

Turisti, ma non per caso. Alla ricerca degli olivi da contemplare in tutta la loro bellezza e maestosità. L’Italia è piena di olivi secolari, e perfino millenari. Indicarli tutti è impossibile. Molti di questi, soprattutto nel Salento, non ci sono più, devastati dal batterio Xylella. Gli olivi che abbiamo segnalato in questa embrionale mappa sono da intendersi come l’invito a individuarne molti altri da censire. La Puglia aveva avviato a suo tempo la catalogazione dei propri olivi monumentali, ma poi l’iniziativa si è arenata.

Olivo di San Vigilio In località San Vigilio, a Garda (Verona).

Olivo di Macciano A 2 km da Giano dell’Umbria (Perugia), vicino al cimitero di San Savino. Olivo di Tivoli Periferia di Tivoli (Roma), lungo la via di Pomata.

Olivo Sant’Emiliano In località Bovara, a Trevi (Perugia), conosciuto anche come Olivo del Vescovo.

Olivo di Luras In località San Nicola, frazione di Luras, presso la piccola chiesa dedicata al Santo, nel comune di Tempio Pausania (Olbia-Tempio).

Piana degli ulivi monumentali Alle pendici dell’Altopiano delle Murge, in Puglia, nei comuni di Monopoli, Fasano, Cisternino, Ostuni e Carovigno.

Olivo dei Templi Valle dei Templi, Agrigento. Lungo il sentiero che porta al Tempio della Concordia.



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[Per una] Mappa [essenziale] dei musei dell’olivo e dell’olio Turisti, ma non per caso. Alla ricerca del nostro passato, senza tuttavia trascurare presente e futuro. Gran parte dei musei sono orientati a conservare e perpetuare la memoria (e fanno molto bene: mai perdere la lezione che ci viene da chi ci ha preceduto), altri (pochi) sono proiettati al futuro (ed è ciò che più manca, musei dell’olivo e dell’olio concepiti e strutturati in chiave futurista). Nel frattempo, ne segnaliamo alcuni (non tutti; il bello è andare alla ricerca da soli, muovendosi territorio per territorio).

1 — Museo dell’olivo Fratelli Carli, Imperia Oneglia 4

2 — Museo dell’olio e della civiltà contadina, Cooperativa Olivicola Arnasco, Arnasco (Savona)

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3 — Museo dell’olio Sommariva, Albenga (Savona)

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4 — Museum – Museo dell’olio di oliva, Cisano (Verona)

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5 — Museo d’Arte Olearia – Museo Agorà Orsi Coppini, San Secondo Parmense (Parma)

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6 — Museo dell’olio – Fondazione le Radici di Seggiano, Seggiano (Grosseto)

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7 — SuprEvo – Museo dell’olio, Oleificio Toscano Morettini, Monte San Savino (Arezzo) 8 — Moo – Museo dell’olivo e dell’olio, Fondazione Lungarotti, Torgiano (Perugia) 9 — Museo della civiltà dell’ulivo, Trevi (Perugia) 10 — Museo dell’olio Bartolomei, Montecchio (Terni) 11 — Museo dell’olio della Sabina, Castelnuovo di Farfa (Rieti) 12 — Museo della civiltà contadina e dell’ulivo, Pastena (Frosinone) 13 — Museo dell’olio, Loreto Aprutino (Pescara) 14 — Moom, Museo dell’olio di oliva, Matera



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Coloring

La tentazione * Disegno di Stefania Morgante

Immaginati in un oliveto. Non sei solo. Sei in piacevole compagnia. Sei come la natura ti ha fatto, senza veli. Prendi delle matite e colora quanto e come più ti piace. Respira la libertà.

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Olio Dante.

UN TOCCO DI AI TUOI PIATTI.

Inquadra il QR Code e scopri la Poesia in tavola.


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Immaginare (sperare, prospettare) un Grand Tour dell’Olio

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C’era una volta il Grand Tour. Chi ha studiato letteratura conosce bene questo fenomeno di costume che ha preso corpo nel corso dei secoli XVIII e XIX. Già praticato sin dal XVII secolo dai giovani aristocratici britannici, si estese in maniera capillare anche nei restanti Paesi europei. Consisteva semplicemente nel compiere viaggi di interesse artistico-culturale nell’ottica di una virtuosa iniziazione al culto del bello. Tra le tappe predilette vi era in particolare l’Italia con le sue città d’arte, i siti archeologici e gli incantevoli paesaggi. Questa visione antesignana di turismo culturale era all’epoca elitaria, riguardava perlopiù artisti, scrittori, ma soprattutto si limitava a un ceto elevato, l’unico che poteva permettersi all’epoca viaggi e soggiorni così lunghi. Sarebbe oggi auspicabile, a distanza di secoli, immaginare un turismo dell’olio concepito in una chiave di lettura analoga al Grand Tour, ovviamente con una fruizione non più elitaria ma democratica, ma che preveda un atteggiamento e un approccio similare. Valga come testimonianza l’esperienza di Johann Wolfgang Goethe. Nel suo magnifico libro, Viaggio in Italia, il territorio del lago di Garda acquisisce un’identità specifica, un paesaggio che si svela come un quadro, aprendo a ben più vasti orizzonti di senso: «Per questa sera mi sarei già potuto trovare a Verona, ma a pochi passi da me c’era questo maestoso spettacolo della natura, questo delizioso quadro che è il lago di Garda e io non ho voluto rinunciarvi». Scrive a tal riguardo Daniela Marcheschi, nel volume Il volto umano dell’olio (Olio Officina, 2016): «Tanto forte fu l’emozione provata nel 1786 da Goethe di fronte allo splendore naturale, ai giardini disposti a terrazze, agli alberi da frutto e agli olivi delle rive del Garda, che, precisamente qui, non solo il poeta tedesco tracciò alcuni disegni efficaci, ma riprese anche in modo decisivo il lavoro per la stesura in versi della sua tragedia Ifigenia in Tauride». Ebbene, per un turismo dell’olio che abbia un senso profondo, un’efficacia e tante ragioni per svilupparsi, occorre partire proprio da qui, dalla spettacolare esperienza del Grand Tour.


È nato qui. olio di puglia igp


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Editoriale

di Luigi Caricato

Il turismo dell’olio è una grande sfida Alcune idee. Per cominciare. Prima di intraprendere un’attività turistica, bisogna formare gli operatori. L’accoglienza non si può improvvisare. Servono standard qualitativi alti, ai quali anche il territorio deve a vario titolo contribuire. Per queste ragioni non si può ridurre il concetto di oleoturismo a una sbrigativa e sommaria visita degli oliveti e dei frantoi, o a una semplice degustazione di olio. Occorre pensare a nuove prospettive e sinergie, avviando una progettualità il più possibile originale e inconsueta, perfino spiazzante e controversa, se proprio necessario.


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i si è accorti tardi che il turismo è possibile svilupparlo anche legandolo a due capisaldi come l’olivo e l’olio. In Italia esiste un’olivicoltura plurale, che si presenta una e molteplice, con una ricchezza di paesaggi e di varietà di olivi pronta per essere vissuta e condivisa quale esperienza aperta, turisticamente fruibile, così da poter trarre sia la giusta visibilità per le aziende olivicole e frantoiane, sia un’equa remunerazione e un più che legittimo vantaggio economico. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2022 è stato pubblicato il Decreto del 26 gennaio 2022 con le “Linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità per l’esercizio dell’attività oleoturistica”. Si poteva intervenire prima, ma vale sempre il detto “meglio tardi che mai”. A parte ogni giudizio di merito, sicuramente è stato compiuto un primo, importante, decisivo e necessario passo in avanti.


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Cosa occorre fare. Chi deve farlo. Come farlo.

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Sono molti gli interrogativi, poche le certezze. Occorrono idee, tante e plurali. Perché non può esserci alcuna visione di turismo dell’olio se non ci si pone domande.


Il turismo, tanto più quello dell’olio, non deve sovrastare l’ambiente, non deve penalizzare il territorio o usare le persone per fini commerciali. Un turismo di massa, mal distribuito, può solo consumare il paesaggio, depauperarlo, impoverirlo. Per una logica coerente, là dove ci si impegna a non cadere negli eccessi, il turismo deve essere anche (e soprattutto) accessibile: ai disabili, per esempio; come pure a chi non dispone di risorse adeguate da poterne fruire con serenità. Ridare vita i borghi, alle case rurali, creando ristoranti e “rifugi” di campagna deve essere l’obiettivo non di un singolo o di un’azienda, ma di tutto il territorio.

Un turismo sostenibile, senza eccessi. Ma anche accessibile

Il turismo dell’olio non può prescindere dal territorio. Il territorio si esprime attraverso il paesaggio. Se il paesaggio non è sufficientemente curato, crolla l’elemento cardine del turismo. Occorre partire dalle campagne. Una campagna non coltivata, senza agricoltori, rappresenta un paesaggio senza più identità, abbandonato a sé stesso. Un ritorno all’incolto e al selvatico non porta nulla alla comunità: sottrae soltanto, non aggiunge, non integra, non raccoglie consensi. Tutto poggia sulla bellezza e sulla funzionalità del paesaggio. Un paesaggio che non si può fruire è un luogo inospitale. Dove non c’è bellezza, non può esserci economia.

Territorio/paesaggio/ bellezza/economia

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Prima di intraprendere un’attività turistica, occorre formare gli operatori. L’accoglienza non si può improvvisare. Non bastano il calore umano e l’empatia: è richiesta professionalità, e soprattutto sono necessarie strutture adatte, adeguate ed efficienti. Occorrono standard qualitativi alti, ai quali anche il territorio deve, a vario titolo, contribuire. Il turismo dell’olio non si può ridurre a una visita degli oliveti e dei frantoi, o a una semplice degustazione degli oli in azienda: occorre pensare a nuove prospettive e sinergie. Ci vuole una cultura dell’accoglienza, non basta una cultura di prodotto.

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Si fa presto a dire: turismo dell’olio

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Per partire bene e andare nella giusta direzione, occorre avviare una progettualità, cercando di essere il più originali possibile. Ecco allora venire in soccorso la via del design. Il termine inglese design significa letteralmente “progetto”, “disegno”. Con Olio Officina ho elaborato insieme con i designer Mauro Olivieri e Antonio Mele un documento denominato “Manifesto per un design oleario etico e sostenibile”, che si estende anche al turismo dell’olio. Già, perché il design non riguarda solo le bottiglie, i contenitori, le confezioni, gli imballaggi, ma anche gli stessi ambienti e i contesti operativi e di consumo in cui si svolge l’intero processo di approccio all’olio. Penso a un design di sistema, che prenda le mosse dal suo punto di partenza, l’oliveto (visto nei suoi sesti di impianto e allevamento), per giungere al frantoio (visto nella sua concezione, disposizione e ampliamento degli spazi), fino a contemplare anche gli stessi locali di confezionamento, luoghi tutti da ripensare e rimodulare, in un’ottica nuova, con un’apertura degli ambienti al pubblico, da destinare a una fruizione universale e popolare. In quest’ordine di idee, dovrà necessariamente cambiare – e in modo anche radicale - la stessa logica degli spazi. Non più opifici per soli addetti ai lavori, ma luoghi in cui assistere e curiosare rispetto a quanto accade intorno a noi e al prodotto olio da olive. L’obiettivo cui approdare consiste nel far entrare nel ciclo della produzione anche chi ne è estraneo, ovviamente con le dovute distanze e le precauzioni del caso, in merito alla sicurezza sul lavoro, senza mai disorientare o intralciare le operazioni, ma assistendo, da osservatori attenti e curiosi, alle dinamiche operative che si delineano all’interno dell’azienda. L’idea cardine cui ispirarsi è di ripensare in chiave contemporanea quel che già in parte, e in modo differente, avveniva, nei frantoi del recente passato, centri di vita propulsiva intesi come agorà e luoghi di incontro. La scommessa cui consegnarsi sta tutta nel pensare alle aziende come a delle entità sociali, a comunità di persone non più estranee al mondo esterno, ma aperte all’accoglienza, in qualche modo concepite alla maniera delle fattorie didattiche, ma con uno spirito diverso, più disinvolto e creativo, coinvolgendo le persone che fruiscono dell’olio, senza tuttavia l’impegno a esercitare una funzione pedagogica. Unica sola accortezza da tenere bene in mente è di non creare intoppi nel processo di produzione. L’obiettivo prioritario è rendere visibile e trasparente quanto accade in azienda. Per far ciò è necessario concepire nuovi spazi di fruizione, che vanno dalle aree destinate allo show room a quelle per l’accoglienza e l’intrattenimento, fino anche a progettare spazi ludici e di somministrazione degli alimenti, compresa pure, ma senza appesantire il visitatore, la divulgazione didattica dei processi di produzione, con snellezza ed empatia. L’azienda che produce e nel medesimo tempo accoglie diventa un organismo sociale ed etico che opera in un luogo che comprenda, tra i suoi spazi, anche l’esposizione, la vendita e il consumo stesso dell’olio e di altre preparazioni alimentari con cui l’olio lega. L’opificio in cui si produce e si intrattiene, diventa un luogo di condivisione che va oltre il concetto di “oleoteca con cucina”, e si estende anzi in modo deliberato e dinamico alla fruizione comune e condivisa degli spazi pure per l’esposizione e la vendita di libri e riviste inerenti all’olivo e all’olio, creando così una vera e propria “biblioteca ed emeroteca olearia” in grado di aspirare a diventare anche un polo culturale per la città in cui ha sede. Questa mia idea, per nulla bizzarra e ardita, di realizzare uno specifico documento-manifesto di idee, che partendo dai contenitori per l’olio si estenda anche agli ambienti, segna un nuovo punto di partenza utile e quanto mai necessario sia per l’intero comparto dell’olio, sia per lo stesso mondo del disegno creativo. L’invito esplicito e per niente affatto dissimulato che rivolgo a chi sfoglia questo numero 17 di OOF Magazine, è di accogliere e far propri i contenuti del “Manifesto per un design oleario etico e sostenibile”, quale guida cui ispirarsi, condividendoli e diffondendoli in modo da sviluppare e dar corso a un nuovo approccio e a un reale rilancio dell’immagine dell’olio extra vergine di oliva e del suo concreto valore, comprendendo con ciò - possibilmente - anche tutti gli altri elementi affini, olive comprese, espresse nelle varie declinazioni, dando così vita nuova anche alle stesse foglie di olivo, o alla stessa sansa e acqua di vegetazione, e a tutto quello che impropriamente viene definito “scarto di lavorazione”, quando al contrario è risorsa viva ed economicamente valida, spendibile e concreta. Tutto ciò va ripensato e progettato nella logica del design. L’olio è quel che noi immaginiamo che sia e, come tale, va di gran lunga oltre il concetto di nuda materia prima: prima ancora che alimento e merce, l’olio extra vergine di oliva - non dimentichiamolo mai - è un marcatore culturale e sociale. Il turismo può solo esaltare e valorizzare tali tratti connotanti dell’olio, rendendoli fruibili a tutti, nessuno escluso.

La via del design

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Nuove idee per nu

Fare turismo significa anc dalle quali partire. Si costr va tuttavia sperimentato d prima di portare a compim te, è necessario verificarne Essere creativi è fondame La creatività in sé, come op grande maestro Bruno Mun visare: occorre sempre ave operazioni del metodo prog gettivi che diventano strum di progettisti creativi”.


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uove visioni

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che progettare, avere idee ruisce sempre qualcosa che dopo averlo pensato. Ancor mento quanto si ha in mene l’esattezza e compiutezza. entale, ma non sufficiente. pportunamente suggeriva il nari, non vuol dire improvere un metodo: “La serie di gettuale è fatta di valori ogmenti operativi nelle mani


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di Luigi Caricato

Manifesto [aperto, in itinere] per un design oleario etico e sostenibile Un processo di circolarità e di ripensamento sostenibile

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Il mondo dell’olio è un comparto che ha necessità di rinnovarsi. Tale spinta propulsiva deve essere avvertita come esigenza improcrastinabile.

Occorre avviare un “progetto di sistema” che porti a concepire ogni lavoro creativo in un’ottica di valore sostenibile. Pensare in modo etico diventa pertanto una prerogativa del design da applicare a un sistema che si collochi come azione veicolante di contenuti che siano identitari e universali.


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Si tratta di concepire nuove e originali formule espressive, cercando per quanto possibile di offrire una identità esclusiva non imitando design di altri prodotti ma creando una narrazione nuova unica ed esclusiva che racconti l’olio extra vergine di oliva, i suoi derivati e affini.

Luigi Caricato

Antonio Mele

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L’olio è un bene materiale e nel contempo immateriale, ed è proprio su quest’ultimo aspetto, non da tutti percepito come valore, che il solo design, per il suo approccio olistico, può offrire e rendere evidente in tutta la sua concretezza e fruibilità la vera natura dell’olio e il suo trasferimento culturale.

Mauro Olivieri


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L’obiettivo cui si propone di approdare è il “sistema etico” di chi: — pensa — progetta — produce — compra e vende — acquista e consuma — smaltisce

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Chi pensa deve: — costruire valore sostenibile circolare — attivare un pensiero etico — agevolare pratiche di rispetto sociale — dare una visione e una prospettiva — essere propositore di un processo identitario

Concezione di allineamento dei fattori comunicativi di tutti i componenti presenti.

“Occorre avviare Chi produce deve: — sentirsi parte di un processo universale. un ‘progetto di — sostruire un linguaggio etico produttivo. — elaborare un’analisi di rispetto sui prodotti sistema’ che porti dicomunicativi. consumo come imballi ed elementi evidenziare la propria capacità di rispetto a concepire ogni — verso i comparti produttivi lavoro creativo in un’ottica di valore sostenibile”.


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Chi progetta deve: — essere aderente alla realtà di domani — progettare azioni consapevoli — avere un approccio critico sull’esistente — attivare elaborazioni di chiarezza nella comunicazione

Chi compra e chi vende deve: — acquisire la consapevolezza quale divulgatore di valori dei veri processi di produzione — essere costruttore di chiarezza divulgativa

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Quando si dovrà ideare un contenitore per olio, dobbiamo ripensare ai processi attuali per comprendere se sono aderenti alla realtà. Forse il contenitore per olio dovrà: — contemplare una nuova forma per ottimizzare gli spazi — contemplare nuovi materiali per migliorare qualità ed efficienza — contemplare un nuovo visual etico per definire che il bello esasperato dal visual deve essere aderente alla vera qualità del prodotto. Il gradiente ottico/percettivo deve contemplare i contesti d’uso, l’occasione, la riciclabilità.


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Semi di sapienza per un turismo consapevole

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Illustrazione di Doriano Strologo

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Il turismo non è solo città, mare, spiaggia, montagna. È anche campagna, entroterra, agricoltura, piante coltivate, allevamenti. Il turismo non è improvvisazione, casualità, opportunismo. È apertura (soprattutto mentale), progettualità, pianificazione. Progettare il turismo significa intuire il domani e chiedersi cosa succederà tra tot anni. Il turismo richiede organizzazione, professionalità, confronto, sinergie con il territorio.

TU RIS PAE MO SAG GIO Il turismo è condivisione e inclusione.


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Il turismo sopravvive a sé stesso solo se concepito in una chiave di lettura sostenibile e responsabile. Degradare l’ambiente, svilendo o esaurendo le risorse, nuoce gravemente al turismo. La tutela dei luoghi è una azione civica, colturale e culturale insieme. Tutto deve essere in ordine e pulito, anche le campagne. L’entroterra di ogni luogo non può essere trascurato, i territori sono organismi viventi complessi.

Non può esserci turismo se non vi è un paesaggio. Il paesaggio non nasce dal nulla. Quello che si vede e ammira è opera dell’uomo. L’agricoltore è creatore, manutentore e custode di paesaggi. Senza agricoltura, il paesaggio non è né bello né funzionale. L’agricoltura è presidio del territorio. Va favorita, non contrastata. L’urbanizzazione fuori controllo erode spazi all’agricoltura e al paesaggio, annienta il turismo.

RES PO NSA BIL ITÀ


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Turismo esperienziale

La legge sull’oleoturismo. Assolutamente necessaria


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di Chiara Di Modugno

stato un percorso lungo, e per nulla facile, ma la promulgazione di una norma dedicata è stato un passo decisivo e determinante nel processo di valorizzazione del mondo olivicolo e oleario. Tutelare le iniziative correlate al settore significa riconoscerne i vantaggi e le opportunità


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Dialogo con il senatore Dario Stefàno

Il turismo esperienziale è diventato un aspetto fondamentale per la narrazione di un luogo, ed è in fondo ciò che il visitatore odierno va cercando. Il turista contemporaneo vuole essere coinvolto e condotto in quella che è la cultura materiale di un determinato luogo, non si ferma più in superficie, ma si spinge a indagare tra le tradizioni che caratterizzano e conferiscono unicità a uno specifico territorio. In Italia non mancano sicuramente i luoghi da visitare. Eppure, non sempre tali luoghi sono vissuti e organizzati alla perfezione, pronti per l’accoglienza. Per questo la recente legge sull’oleoturismo, di cui è stato promotore il senatore Dario Stefàno, apre il nostro sguardo a un nuovo scenario. La regolamentazione del turismo era quanto mai necessaria, in quanto consente di gestire al meglio, rendendoli fruibili a un vasto pubblico, i luoghi di produzione dell’olio extra vergine di oliva, colmando così, di fatto, un vuoto legislativo in materia. La produzione dell’olio ha un legame così intimo e profondo con il territorio in cui viene prodotto, che sembra davvero incredibile, per molti versi, aver dovuto attendere così tanti anni per avere una vera e propria norma regolamentatrice.

«La norma era necessaria per dare legittimazione a un fenomeno che era già in evoluzione» Il nuovo modo di vivere le vacanze non ha più lasciato spazio a dubbi. Cosa cerca il turista oggi? Cerca di non fermarsi più in superficie. Non vuole più godere delle sole bellezze paesaggistiche del territorio, ma desidera conoscere anche la cultura culinaria del luogo, fatta di profumi e sapori che non possono essere replicati altrove. Si vogliono dunque vivere emozioni ed esperienze legate alla qualità della gastronomia, ma fino a non molto tempo fa non c’era nessuna legge che disciplinasse tali aspetti. Il tutto risultava molto poco chiaro, tanto che era difficile trovare una definizione per inquadrare figure come l’operatore che si dedica al turismo dell’olio. «C’era la necessità – precisa Stefàno – di normare queste attività a quella principale, ovvero alla figura dell’agricoltore. In assenza di aspetti amministrativi in vigore da osservare, il proprietario di un frantoio che ospitava i turisti per accompagnarli in una visita, poteva venire esposto a importanti sanzioni da parte della Guardia di Finanza. La norma serve pertanto a dare legittimazione a un’offerta che c’era già, là dove la domanda era di portata nazionale e internazionale». Il senatore Stefàno intende sottolineare un aspetto significativo della legge in questione, ovvero l’obiettivo con la quale è stata concepita: non commettere gli stessi errori compiuti con la re-

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golamentazione dell’agriturismo. «Quando nel 1999 – prosegue Stefàno – è stata fatta una norma nazionale sull’agriturismo, è stato comunicato alle aziende agricole che è consentito svolgere attività connesse di agriturismo ma rinviando alle singole regioni la disciplina di come articolarle, e quali standard osservare. Purtroppo, questa situazione ha portato a una serie di problematiche, dove l’offerta promossa non sempre funziona e, in diversi casi, si distanzia da come avrebbe dovuto essere questo aspetto turistico, presentando forte disomogeneità. Con la legge sull’oleoturismo gli standard qualitativi sono nazionali, e avranno valore nel Veneto tanto quanto in Sicilia, senza nessuna distinzione». Il turista enogastronomico non può essere considerato un turista generico. Spende di più di quello tradizionale, ma pretende nel contempo qualità e competenza. «Questa tipologia di turista – spiega Stefàno – deve essere accolta da operatori competenti. Competenti nel linguaggio tecnico, nella capacità di disegnare l’esperienza, nella conoscenza delle lingue straniere. Quando invece parliamo di qualità, dobbiamo articolarla sotto due aspetti. La qualità del prodotto, dell’olio extra vergine di oliva, è cruciale. Ma anche la qualità dei luoghi, del pensiero che vi è dietro l’architettura di un frantoio, che sappia esprimere l’identità del territorio che lo accoglie. Questo è un messaggio – continua Stefàno – che dobbiamo saper trasferire soprattutto alle nuove generazioni perché dobbiamo riappropriarci a pieno titolo di una tradizione. La tradizione, ricordiamocelo sempre, è fatta di un prodotto, di una capacità produttiva». I dati provenienti dal turismo del vino ci dicono chiaramente che vi è una forte esigenza di operatori formati, perché le scuole alberghiere, ma anche le facoltà universitarie di Agraria, non formano sul tema dell’enogastronomia, del vino e dell’olio come elementi fondamentali per poter far crescere sempre più il comparto. Nel volume Oleoturismo. Opportunità per imprese e territori, di cui Dario Stefàno è autore con Fabiola Pulieri, viene affrontata proprio questa urgenza. Ora, quindi, bisogna accompagnare la norma con politiche attive che inquadrino il tema della formazione come elemento principale anche per non disperdere le nostre tradizioni. «A un turista – conclude Dario Stefàno – devo poter trasferire tutto l’orgoglio identitario della tradizione appartenente a quel determinato luogo. Senza le radici si diventa tutti uguali, perdendo ogni forma di attrazione verso i visitatori».


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Il senatore Dario Stefàno, oltre a essere un politico, è anche un imprenditore e docente di Economia e contabilità industriale all’Università del Salento. Con Fabiola Pulieri è autore, per Agra Editrice, del volume Oleoturismo. Opportunità per imprese e territori.

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«A un turista devo poter trasferire tutto l’orgoglio identitario della tradizione appartenente a quel determinato luogo. Senza le radici si diventa tutti uguali, perdendo ogni forma di attrazione verso i visitatori».


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Il caso Strada dell’Olio Dop Umbria

La carta vincente per giungere a Strade dell’Olio realmente operative e funzionali sta tutto nel concepire l’olio non più solo come alimento ma quale prodotto e bene culturale. Secondo il presidente Paolo Morbidoni, è questa la chiave di lettura, lo strumento che può spingere le persone a decidere di vivere esperienze uniche e irripetibili. Altro fattore importante è costruire una massa critica, in modo da rappresentare un territorio in qualche modo omogeneo e soprattutto identificabile.

Un labo di oleotu


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oratorio urismo


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di Chiara Di Modugno

el corso della dodicesima edizione di Olio Officina Festival – nel marzo 2023, a Milano – il tema del turismo dell’olio è stato avvertito in tutta la sua importanza. Tra le realtà deputate a occuparsene, spicca in particolare per efficienza e originalità operativa la Strada dell’Olio Dop Umbria. «In questa regione si fa oleoturismo da venticinque anni», ha chiarito il presidente Paolo Morbidoni. «Noi siamo mossi da una filosofia ben precisa, che punta a restituire valore a un prodotto che spesso è stato considerato solo un complemento. In realtà, oggi ci sono tutte le condizioni per valorizzare l’olio e restituirgli quella centralità che è andata persa nel corso di vari decenni; e per quanto la produzione di extra vergine umbro sia limitata – si tratta del 2% su quella nazionale – dal punto di vista reputazionale è una regione molto considerata». Non è un caso che la Strada dell’Olio Dop Umbria sia una delle poche più attive ed efficienti, premiata nel 2022 quale migliore esperienza oleoturistica d’Italia al concorso nazionale dedicato proprio al turismo dell’olio. Tutto è partito nel 2004, e ora si festeggeranno i vent’anni dall’esordio. «L’impegno è grande e costante», chiarisce Morbidoni. «Non ci siamo fermati nemmeno nel periodo pandemico. Abbiamo creato un format del nostro evento di punta, Frantoi Aperti, basandolo su delle web stories, divulgando così dei contenuti anche in un momento difficile e complicato, con la consapevolezza che le nostre aziende, malgrado le persone non potessero muoversi, erano comunque in piena attività, producendo il loro olio extra vergine di oliva. Ecco, la Strada dell’Olio è sicuramente una realtà bella e affascinante, quanto complessa, che però ha saputo costruire nel corso degli anni una rete di eccellenze strutturata, all’interno della quale vi sono tutte le principali realtà territoriali che fanno dell’olio una attività di vocazione, come pure le principali aziende olivicole-olearie».


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Ebbene, se volessimo in qualche modo inquadrare l’oleoturismo, possiamo dire che si tratta di un fenomeno relativamente recente, ma che è soprattutto la conseguenza di due “rivoluzioni copernicane” per l’olio, così come opportunamente sostiene Morbidoni. «La prima – spiega – è quella tecnologica, avvenuta vent’anni fa, con il passaggio da un sistema tradizionale di produzione a sistemi più moderni. Si è iniziato a parlare di biodiversità, di aspetti funzionali legati all’olio, ed è stato possibile differenziare gli extra vergini in modo estremamente significativo, in base alle loro caratteristiche varietali. La seconda rivoluzione, quella più importante, è quella – puntualizza Paolo Morbidoni – che a me interessa di più come soggetto promotore di esperienze turistiche: consiste nella trasformazione del prodotto olio da alimento a prodotto culturale. L’olio, per me, è soprattutto questo: è una chiave di lettura, è uno strumento per aiutare le persone a fare esperienze uniche e irripetibili.

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L’autenticità è l’elemento determinante: non ci possiamo permettere di replicare esperienze fatte da altri, o di riprodurre esperienze che siano facilmente riproponibili in tante altre realtà, giacché tante sono le specificità che ci caratterizzano in quanto olio, ed è proprio questo il nostro valore aggiunto. Sicuramente, va pur precisato, è il sentiment stesso delle persone verso l’olio che sta cambiando. Un chiaro esempio di questo mutamento di prospettiva è l’Oleato proposto da Starbucks, una bevanda a base di latte vegetale, caffè e olio extra vergine di oliva siciliano, una proposta fortemente voluta dall’amministratore delegato del colosso americano. Ecco, questo e altri sono tanti piccoli ma significativi passi che aiutano a scoprire il lato edonistico dell’extra vergine». Ci vuole tanta determinazione, ma anche tante buone idee e professionalità. «Un aspetto che non si può trascurare, quando si svolgono attività di comunicazione e di narrazione di un prodotto, sono le immagini scelte». Il presidente


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Morbidoni sa quanto sia importante anche lo stile della comunicazione: «Uno degli elementi che ha maggiormente caratterizzato la Strada dell’Olio Dop Umbria fin dall’inizio è stato il contributo di fotografi professionisti che hanno saputo raccontare al meglio sia l’evento, sia i volti di tutti i produttori che ne hanno preso parte. Attraverso queste immagini non dobbiamo solo lanciare un messaggio che ci interessa», precisa Morbidoni. «Osservando le foto delle ultime edizioni di Frantoi Aperti non si trova mai la bruschetta con l’olio versato. Ciò che si vedranno sono le immagini di giovani innamorati dentro un uliveto, una foto di una mamma con un bambino per segnalare che è proprio questa evoluzione, questa crescita e questo cambiamento che devono coinvolgere la sfera emotiva come pure quella razionale. Si devono individuare nuovi target e uscire dall’ambito degli “Oil Lover”. Anche perché l’olio deve poter raggiungere persone nuove, e i nostri eventi sono pensati proprio per intercettare comunità di interessi che

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“Bisogna investire sulle reti che abbiano un senso logico. Le Strade del Vino e dell’Olio hanno un senso finché sono un brand internazionale: se vogliamo fare un turismo che si rivolga a un certo tipo di mercati dobbiamo fare delle scelte precise, non si può mai improvvisare”.

siano esterni a tale mondo. Per far avvicinare a queste iniziative tutta una serie di realtà contigue, sono nati, proprio dentro Frantoi Aperti, degli spin-off di arte contemporanea, di fumetto, allo scopo di far avvicinare, attraverso questo tipo di operazione, tutte quelle persone culturalmente predisposte ad apprezzare un mondo come l’olio di oliva». Alla fine, ci si domanda da dove tutta questa passione per l’olio – più che comprensibile e condivisa – possa aver avuto origine. A volte, certo, è l’ambiente in cui si cresce a essere determinante, altre volte l’incontro con l’olio avviene in età adulta. Questo, almeno, è quanto è successo al presidente Morbidoni, portando sul palco di Olio Officina Festival la propria esperienza. «Nella mia vita precedente, ho fatto anche il sindaco di un piccolo comune ad alta vocazione olivicola, dove c’era una varietà di olivo, la San Felice, che era praticamente semisconosciuta e versava in uno stato di abbandono. È stato così intrapreso un percorso, partendo dallo studio della varietà, per andare a comprenderne a fondo la sua origine. Abbiamo così trovato una contiguità e una vicinanza genetica

con una varietà pescarese che si chiama Dritta di Loreto, che è più conosciuta, poi però questa varietà di olive si è adattata, e ha assunto il nome di San Felice proprio come l’Abbazia attorno alla quale è stata trovata». Studiando, indagando, si scoprono aspetti poco conosciuti. «Questa scoperta – chiarisce Morbidoni – è un collegamento straordinario, da un punto di vista culturale. Una opportunità: il primo a realizzare un olio monocultivar San Felice è stato proprio il comune, mentre oggi le aziende produttrici sono circa dodici. Tale mia passione in seguito è diventata una vera e propria attività istituzionale, e, con la collaborazione di diverse realtà, è nato il marchio “Umbria Evoo Ambassador”, allo scopo di coinvolgere la rete di ristorazione di qualità della nostra regione, ad oggi composta da trentadue ristoranti che si sono impegnati ad avere almeno tre oli del territorio rappresentativi dell’Umbria. Molti frantoi storici hanno adibito a bistrot e a locali alcuni loro spazi, dove la parte di accoglienza è molto più grande ed estesa di quella produttiva. Così, l’Umbria, per tante ragioni, per via della rete dei ristoranti di cui dispone, ma anche per il fatto di ave-


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re una propria Strada regionale dell’olio, come pure per il fatto di avere una Dop, e di conseguenza una certificazione di prodotto e di territorio, può essere veramente considerata a pieno titolo una regione “laboratorio” di oleoturismo». Da qui, il passo verso la Federazione delle Strade del vino, dell’olio e dei sapori è stata la diretta conseguenza. La Federazione delle Strade è stata costituita come un’esigenza, prima della pandemia, per relazionarsi con i decisori politici. «Questo – puntualizza Morbidoni – perché anche laddove vi siano esperienze straordinarie, queste tuttavia hanno comunque una valenza e un ambito prettamente locale. Si occupano di organizzare l’accoglienza del turismo del vino e dell’olio nei territori; quindi hanno spesso poca voce a livello nazionale, e sappiamo bene quanto sia invece importante far valere oggi una presenza che indichi e solleciti, soprattutto in un momento in cui vi sono magari anche risorse importanti da spendere, le decisioni strategiche e le politiche di indirizzo. Io – ha ulteriormente chiarito Morbidoni – sostengo da sempre che le Strade del Vino e le Strade dell’Olio non debbano essere confinate in progetti dalla valenza esclusivamente locale. Ricordo sempre a tutti, quale spunto di riflessione, che la prima Strada del Vino nel mondo sia nata in Germania, e non in Italia, mentre la seconda è nata in

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Francia, e parliamo, beninteso, degli anni 1937 e 1950, ovvero in tempi non sospetti. Certo, magari anche con altri obiettivi e altre esigenze, però sicuramente possiamo oggi dire che bisogna investire molto sulle Strade del Vino e dell’Olio, perché c’è bisogno di una politica nazionale che si riappropri di questo ruolo». La Strada dell’Olio Dop Umbria, nel caso specifico, è la chiara dimostrazione di una riuscita perfetta di un obiettivo raggiunto: quindi, propositi iniziali e investimenti da parte del territorio e il successo che parla a tutti con i fatti. Tuttavia, occorre nel contempo osservare e prendere atto che molte Strade dell’olio, del vino, del cibo o dei sapori o di quant’altro, di fatto non funzionano. Il problema di questa scarsa o ininfluente capacità operativa è senza dubbio legato proprio alla mancanza di reti di collegamento e interconnessione. «Costruire le reti in realtà è facile», come spiega il presidente Paolo Morbidoni. «È mantenerle e renderle solide che è molto più complicato. Viviamo, purtroppo, una fase storica legata alle mode, per cui ci si appassiona spesso nel costruire contenitori, magari senza analizzare in maniera critica quel che è stato fatto prima. Diversi anni fa l’Italia aveva promulgato una legge sulle Strade del Vino, e in seguito tale opportunità è stata estesa anche alle Strade dei Sapori: siamo stati sicuramente tra i primi

Paesi europei. Tutto ciò era partito, come avviene in tante situazioni, con una grande e felice intuizione: in quegli anni, oltre due decenni fa, si ragionava in una logica di pubblico-privato, quindi mettendo insieme le migliori esperienze dei territori e le migliori esperienze delle aziende; poi, però, questa spinta propulsiva si è purtroppo un po’ persa, quindi è prevalsa la logica legata alle capacità dei singoli e alla capacità dei territori. Quando partì l’idea di realizzare la Strada dell’Olio in Umbria, sorsero tre comitati promotori, in modo da avere una Strada dell’Olio per ogni sottozona della Dop. Ebbene, se fosse passato il principio della frammentazione, con le difficoltà che ha ancora oggi l’olio, quelle ipotesi di cinque Strade sarebbero sicuramente morte. La Strada dell’Olio Dop Umbria si è invece consolidata negli anni proprio perché è riuscita a costruire una massa critica, rappresentando un territorio in qualche modo omogeneo, e soprattutto identificabile. Poi, chiaramente, bisogna investire sulle reti che abbiano un senso logico. Le Strade del Vino e dell’Olio hanno un senso finché sono un brand internazionale: se vogliamo fare un turismo che si rivolga a un certo tipo di mercati – conclude il presidente Morbidoni – dobbiamo fare delle scelte precise, non si può mai improvvisare».


*Residui ≤ a 0,01 mg/kg. Prodotto finito certificato da SGS Italia.

UNO ZERO CHE VALE ORO. Costa d’Oro presenta il primo extra vergine in Italia certificato Zero Pesticidi Residui*. Un olio che riscrive le regole della qualità degli extra vergini d’oliva.


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Esperienze uniche

La curiosità e il desiderio, Olivum Experience Il caso Palazzo di Varignana di Luigi Caricato

Un modello esemplare cui ispirarsi. Sui colli bolognesi, a Castel San Pietro Terme, le connessioni con il turismo sono infinite. La parte agricola è in stretto collegamento con il resort ed è un fiorire di iniziative e investimenti. Quando si dice progettualità, buone idee e organizzazione, ecco un esempio emblematico da seguire


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l migliore e più riuscito esempio di turismo dell’olio in assoluto è Palazzo di Varignana, realtà complessa e articolata che si sviluppa in un suggestivo paesaggio collinare a pochi chilometri da Bologna. È uno dei classici casi in cui non si sa bene se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il brand Palazzo di Varignana raccoglie infatti un universo mondo. È una pluralità di volti e di esperienze, raro caso in cui il territorio viene valorizzato in modo molto articolato, correlato e funzionale. Il Palazzo di Varignana è un lussuoso resort che nasce per essere un luogo di turismo e accoglienza, ma non è soltanto un luogo come ve ne sono tanti altri nel mondo, in cui è possibile vivere un’esperienza di pieno relax, di benessere e riservata eleganza. Il luogo in cui sorge ha una propria storia, non è soltanto un’oasi di lusso immersa nel verde. L’eccezionalità è nel progetto che vi sta dietro. Tutto parte da un’idea di Carlo Gherardi, un imprenditore illuminato che nel 2005 ha deciso di restaurare un palazzo di campagna, il Bentivoglio, ridandogli nuova vita e rigenerando nel contempo tutto ciò che gli sta attorno, la vasta campagna sui colli bolognesi con la sua identità originaria. Non è stata pertanto un’operazione puramente estetica, finalizzata a rendere bello il contesto del resort con le annesse ville e il country house. Ci sono stati investimenti notevoli, e, occorre riconoscerlo, alquanto rari in Italia in materia di agricoltura, azioni volte a riqualificare i terreni dando loro una centralità che forse non hanno mai avuto in maniera così strutturata nel territorio. Ed ecco allora

l’azienda agricola annessa, e non si tratta certo di pochi ettari, ma di oltre 500. Il nome dell’azienda è Agrivar, e ha l’impegno di coltivare gli estesi poderi circostanti il resort, con tutte le differenti coltivazioni e con l’ostinazione, in particolare, di privilegiare la coltura dell’olivo. Ostinazione perché ci vuol davvero coraggio a puntare sull’olivicoltura, sia perché l’Emilia, per quanto abbia una sua storia olivicola e olearia antica, resta in ogni caso un’area produttiva marginale rispetto ad altri territori, soprattutto al sud Italia, ma ora, a Varignana, il prodotto di punta è proprio l’olio extra vergine di oliva. Ho scritto non a caso ostinazione, anche perché non è da tutti assumersi il rischio di puntare sull’olivicoltura in un Paese come l’Italia che sta dismettendo progressivamente la coltivazione. Eppure, la tenacia in questo caso premia gli audaci, visto che si sta puntando a ottenere un riconoscimento ufficiale per l’olio del territorio attraverso l’ipotesi concreta di una certificazione Igp Colli di Bologna. La dedizione premia sempre, si sa. E tra l’altro gli ettari olivetati di Varignana non sono certamente pochi. Si tratta proprio di un caso eccezionale, tanto più in Emilia. Ed ecco pertanto le connessioni con il turismo. La parte agricola è in stretto collegamento con il resort. Non c’è una sterile chiave di lettura del lusso, in termini di ostentazione e di eccesso. Qui l’anima agricola si riversa sul resort. Ed è proprio da qui l’originalità e unicità del progetto, che ben si riassume nel concept “Heritage of Italian lifestyle”. Si va a Castel San Pietro Terme e ci si muove a


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Il migliore e più riuscito esempio di turismo dell’olio in assoluto è Palazzo di Varignana, realtà complessa e articolata che si sviluppa in un suggestivo paesaggio collinare a pochi chilometri da Bologna. È uno dei classici casi in cui non si sa bene se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il brand Palazzo di Varignana raccoglie infatti un universo mondo.

stretto contatto con la natura, vivendo esperienze autentiche. Perché chi soggiorna a Varignana è soprattutto un “viaggiatore”, più che un turista. Scopre un mondo dai tratti inediti, e io sono quasi in imbarazzo nello scriverne, anche perché può apparire una elegia, e perciò una forzatura, ma, di fatto, in Italia oggi una realtà analoga in chiave oliocentrica proprio non esiste. Siamo davanti a un caso unico, a un modello cui ispirarsi. Strutturato come un borgo, il resort si sviluppa su sei diversi complessi perfettamente integrati nella collina ed è un caso di ospitalità diffusa di grande successo. Sono tanti gli aspetti che meriterebbero di essere segnalati, ma non è cosi facile per quanto articolata sia questa realtà. Proviamoci. In estrema sintesi, vi è un lounge bar di design e tre ristoranti di grande impatto estetico, tra cui spicca l’Aurevo, quale omaggio devoto all’olio Evo, e vi è perfino una lussuosa carrozza di un treno in cui è possibile cenare. Poi, per chi ama curare il proprio corpo, vi è la Spa Varsana, dove anche in questo caso ancora una volta l’olio è protagonista di primo piano. Così, chi viaggia con addosso la curiosità e il desiderio di far nuove esperienze, le occasioni non mancano, si va dalle degustazioni di quattro tipologie di oli Evo prodotti in azienda alle passeggiate tra gli olivi e a un pranzo al ristorante Aurevo. Ma esiste in realtà un pacchetto apposito, denominato Olivum Experience, che merita proprio di andarci e verificare di persona. E non ci sono solo oliveti, c’è pure un futuristico frantoio aziendale. Come si suol dire: provare per credere.


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di Luigi Caricato

Come si sta muovendo la Spagna sul fronte oleoturismo? Negli ultimi anni si è assistito a un importante sviluppo dell’offerta turistica. Sono molti i frantoi, le cooperative, come pure gli stessi Comuni, ad aver assunto un impegno significativo nel realizzare Centro de Interpretación del Olivar, nonché musei locali e provinciali dell’olivo e dell’olio, unitamente a una serie di altre iniziative finalizzate a far comprendere e valorizzare tutto il complesso lavoro che sta dietro a ogni olivicoltore e frantoiano nel conseguire la qualità degli oli extra vergini di oliva con tutte le innumerevoli proprietà salutari che ne conseguono. L’oleoturismo è diventato un modo molto attraente, e di grande interesse, per attirare i consumatori e condurli ad acquisire le necessarie basi di una cultura dell’olivo e dell’olio di oliva.

Le aziende olivicole e olearie che investono nel turismo in che modo si organizzano? Ci sono iniziative originali da evidenziare? Tra le ultime iniziative che sono state lanciate segnalo il Centro de Interpretación La Pontezuela Almazara, a Los Navalmorales, in provincia di Toledo. Nelle loro strutture è stato profuso un impegno importante, altamente tecnologico, tale da sorprendere tutti i visitatori. Inoltre, è giusto anche evidenziare lo sforzo che i consorzi delle varie denominazioni di origine protetta stanno compiendo nel diffondere la cultura e le qualità peculiari dei propri oli. Sono iniziative realizzate principalmente con finanziamenti privati​​ e, in alcuni casi specifici, anche attraverso l’aiuto di Comuni o Consigli provinciali. A Mengibar, in provincia di Jaén, c’è il Museo “Terra Oleum”, proprietà della

“L’oleoturismo è diventato un modo molto attraente, e di grande interesse, per attirare i consumatori e condurli ad acquisire le necessarie basi di una cultura dell’olivo e dell’olio di oliva”.

Junta de Andalucía, vero punto di riferimento, sia in termini architettonici sia di design.

Esiste una legge specifica per disciplinare l’oleoturismo? Non esiste alcuna legge che regoli tale attività.


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Testimonianze

Il turismo dell’olio in Spagna Risponde Nieves Ortega, direttrice della rivista Olimerca


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Il turismo dell’olio in Marocco Tutto ruota intorno a Meknès, Terre de l’Olivier et l’Huile d’Olive


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di Noureddine Ouazzani Direttore Agro-pôle Olivier

Oltre duemila anni di storia legati alla coltivazione dell’olivo e alla produzione dell’olio da olive hanno reso la regione di Meknès, in Marocco, un luogo imprescindibile per gli amanti di quest’albero sacro.

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Oltre duemila anni di storia legati alla coltivazione dell’olivo e alla produzione dell’olio da olive hanno reso la regione di Meknès, in Marocco, un luogo imprescindibile per gli amanti di quest’albero sacro. Sono migliaia e migliaia gli ulivi piantati in terre immense e fertili dove la produzione dell’olio da olive viene considerata e vissuta come un’arte. Il simbolo di questa ancestrale tradizione olivicola è Volubilis, una delle città più emergenti del Marocco, a livello culturale e archeologico, risalente al Neolitico. Con i resti degli antichi frantoi e le sue magnifiche porte, Volubilis racchiude le rovine romane più importanti del Paese. Quanti coltivano un interesse per l’archeologia potranno visitare la «Route de l’Olivier Meknès», che li porterà alla scoperta del meraviglioso sito di Volubilis, nonché dei maestosi uliveti della città santa di Moulay Idriss Zerhoun e dei monumenti storici della città di Meknès, dichiarata Patrimonio mondiale dell’Unesco. Lungo questo tragitto è possibile visitare anche i frantoi, il mercato delle olive, come pure gli stessi olivicoltori con le loro produzioni di olio extra vergine di oliva, tra cui le aziende vincitrici del Trophée Premium Volubilis, oli anche da coltivazione biologica; e poi non sono da trascurare nemmeno i ristoranti, o persino gli stessi artigiani che aprono le loro porte ai turisti per esporre il proprio savoir-faire e offrire nel contempo degustazioni degli oli prodotti in questa millenaria terra olivetata. L’identità di Meknès non può essere compresa senza la coltivazione dell’olivo con il suo ricco patrimonio. Qui passato, presente e futuro di un terroir così vocato consegnano al visitatore il succo dei propri migliori frutti. Erede di una lunga e profonda storia di coltivazione dell’olivo e di produzione di olio di oliva, Meknès è oggi l’emblematica zona olivicola del Marocco, faro dell’olio di oliva marocchino. L’itinerario si conclude con la visita all’Agro-pôle Olivier, un cluster/polo espressione di competenze, di innovazione e di cultura attorno all’olivicoltura e all’elaiotecnica, non a caso riconosciuto oggi quale “Site Remarquable des Routes de l’Olivier”, riconoscimento assegnato dalla Fondation Internationale des Routes de l’Olivier, seguendo gli standard stabiliti dall’Unesco e dal Consiglio d’Europa per gli itinerari culturali di sviluppo sostenibile e del dialogo interculturale, riconoscimento ottenuto proprio per tutti i notevoli risultati raggiunti. Il centro Agro-pôle Olivier, che ho avuto il piacere di fondare, e che tuttora dirigo, è dedicato al trasferimento tecnologico dell’innovazione e alla promozione dell’olio di oliva di alta qualità, e svolge molteplici attività, sia nell’ambito della promozione del turismo dell’olio, sia sul fronte della formazione circa l’analisi sensoriale degli oli.

Volete sentirvi anche voi dei veri Indiana Jones e venirci a trovare?


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Testimonianze

n questi giorni l’olio da olive è sulla bocca di molte persone, in senso letterale e figurato. L’olio extra vergine di oliva è un grasso unico perché ottenuto direttamente dal frutto, l’oliva, con tutta la bontà che ne deriva, per la qualità della sua componente grassa in cui sono dominanti gli acidi grassi monoinsaturi. Per migliaia di anni è stato la spina dorsale di una sana dieta mediterranea, ben prima che la scienza ne spiegasse il motivo. È davvero il succo grasso definitivo... Esistono numerosi modi per informarsi su questo olio così affascinante e sempre più popolare, ma c’è un modo alquanto singolare per farlo: il turismo. Proprio così, l’oleoturismo, questa esperienza comune in tutto il Mediterraneo, ma relativamente nuova negli Stati Uniti d’America, offre l’opportunità di conoscere quei frutti così unici quali sono le olive, e verificare in prima persona i metodi di estrazione necessari per ricavare l’olio extra vergine di oliva, andando così a esplorare nel dettaglio tutti gli oli dei vari territori, fino a interpretarli in modo comprendere come questi ne influenzino l’impiego in cucina. Per produrre l’olio vengono utilizzate centinaia di diverse cultivar di olivo. Il modo migliore per abbinare tali oli alle differenti preparazioni gastronomiche richiede la comprensione delle loro rispettive peculiarità individuali. In California operano circa cinquanta destinazioni turistiche finalizzate all’olivo e all’olio, la maggior parte delle quali situata nelle aree costiere e della Sierra Foothill, con altre nella Central Valley e nella Coachella Desert Valley. Anche in Florida, Georgia, Texas, Arizona e Oregon vi sono strutture per il turismo dell’olio, seppure rispetto alla California tali offerte siano piuttosto ristrette. Il coordinamento dell’offerta turistica è comunque limitato. La maggior parte delle destinazioni opera in modo indipendente, nel tentativo di attirare un flusso costante di clienti, il che rappresenta una vera sfida dato il basso tasso di consumo di olio d’oliva dell’America rispetto al Mediterraneo. L’americano medio consuma ogni anno circa un litro di olio d’oliva, rispetto ai 12 litri degli italiani e ai più di 20 dei greci. Dal momento che la produzione di uva è finanziariamente più redditizia rispetto a quella delle olive, molte aziende vinicole si limitano a coltivare olivi su piccola scala, vendendo l’olio qua-

È un’esperienza relativamente nuova negli Stati Uniti. In California, ma anche in Florida, Georgia, Texas, Arizona e Oregon vi sono strutture dedicate

Il tur dell’o Nord


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di Nicholas Coleman Co-founder & oleologist at Grove and Vine groveandvine.com

rismo olio in d America


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Durante l’olivagione alcune aziende produttrici di solo olio extra vergine di oliva offrono tour per gli appassionati, che includono passeggiate nell’oliveto e momenti di apprendimento in loco a opera di olivicoltori e frantoiani. le “componente aggiuntivo” attraverso i propri wine club. Guadagnano con il vino, mentre con l’olio integrano le loro offerte. Così, dato l’elevato costo dei terreni e della manodopera della California, la produzione di olio da olive è costosa rispetto alle altre regioni olivicole del mondo. Realizzare un profitto con le olive raccolte a mano per la produzione di olio Evo di fascia alta è economicamente impegnativo. Durante l’olivagione alcune aziende produttrici di solo olio extra vergine di oliva offrono tour per gli appassionati, che includono passeggiate nell’oliveto e momenti di apprendimento in loco a opera di olivicoltori e frantoiani. I partecipanti assistono alla miracolosa trasformazione delle olive in olio, ne colgono tutta la bontà al massimo della freschezza nel vivo delle operazioni di raccolta. Lucero, Gold Ridge Organic Farms e McEvoy Ranch sono solo alcuni dei luoghi dotati di oliveti e frantoi attraverso i quali offrire un’esperienza quanto più completa possibile. La maggior parte dei produttori, tuttavia, dispone semplicemente di sale di degustazione e vendita dell’olio, ma senza proporre una vera e propria offerta turistica attorno al processo di produzione. Va precisato che la forma più coinvolgente di turismo dell’olio incoraggia la degustazione di olio Evo estremamente fresco in purezza, da apprezzare indipendentemente dal cibo, nonché in combinazione con le varie preparazioni culinarie. Quest’ultima parte è fondamentale, perché l’olio extra vergine di oliva combinato con altri cibi sani e integrali massimizza le sue proprietà di esaltazione del sapore e i conseguenti benefici per la salute. L’olio extra vergine di oliva rallenta la digestione, fornendo all’intestino più tempo per assorbire efficacemente i preziosi nutrienti liposolubili presenti in altri ingredienti.

Alcuni apprendono del turismo dell’olio attraverso il passaparola, mentre altri ne vengono a conoscenza tramite Trip Advisor, Visit California, Woofing, Visit Yolo County, Travel Paso, o la Olive Oil Heaven Guide, che presenta una utile connessione con gli olivicoltori. L’esistenza di questa guida da sola mostra le prospettive del settore dell’olio da olive della California rispetto ad altri Stati. Il turismo dell’olio fa entrare nel vivo della realtà ciascun fruitore di un simile servizio, mostrando al meglio a tutti come gli oli possano variare notevolmente nel loro carattere da regione a regione, anche se in realtà pure da una stagione all’altra possono esserci spesso differenze evidenti finanche all’interno dello stesso uliveto. Come il vino, anche gli oli da olive non sono uguali. I fattori chiave includono l’età e la salute degli alberi, le cultivar di olivo, i tempi e le modalità di raccolta, quindi terreno, condizioni meteorologiche, altitudine, rapidità con cui vengono trasportate le olive appena raccolte dall’albero fino al frantoio e, soprattutto, così come per la vinificazione, è fondamentale l’abilità e l’impegno del custode dell’oliveto.



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Generazioni a confronto

Turismo dell’olio. Siamo solo all’inizio


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di Cristina e Francesca Salvagno con Giovanni Salvagno

el volume Le nostre vite per l’olio, edito da Olio Officina, c’è un capitolo dal titolo “Il padre, le figlie. Dialogo intergenerazionale”, dove ci si interroga su un tema oggi tenuto in grande considerazione, ma non del tutto sviluppato al meglio, anche perché è ancora in corso di acquisizione ed elaborazione. Partendo dalle riflessioni dei titolari della storica impresa familiare veneta, emergono tutte le opportune motivazioni per puntare sull’oleoturismo *

Le domande sono poste dalle figlie. Le risposte sono del padre Giovanni Salvagno – dell’omonimo frantoio per olive a Nesente Valpantena, alle porte di Verona – a sua volta figlio del fondatore Gioacchino.


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Intervista a Giovanni Salvagno

Oggi si parla tanto di turismo dell’olio, pensi che Quando ogni anno inizi una nuova campagna si possa fare qualcosa di importante e di nuovo, olearia, a cosa pensi? Hai più preoccupazioni o di speciale e di unico, o si è già fatto tutto? più gioie? Siamo solo all’inizio. È adesso che si comincia. Adesso abbiamo la fortuna del vino quale anticipatore di tendenze. Il vino come prodotto e come comparto produttivo è avanti di almeno venticinque anni rispetto all’olio. Questo perché il vino ha avuto la disgrazia nel 1986, e anche la grazia, nel contempo, di aver vissuto lo scandalo del metanolo. Lo scandalo ha portato tutti gli operatori verso una maggiore attenzione al prodotto, a una maggiore attenzione per la qualità e così, a rimorchio del vino, ora c’è anche l’olio. Sperando faccia bene.

Non vedo l’ora ogni volta di cominciare una nuova olivagione. Anche se ci sono un po’ di preoccupazioni, l’attesa è ricca di incognite, quando però tutto si conclude senza rischi le gioie sono immense. Prima di cominciare una nuova annata olearia, penso che tutto debba funzionare perfettamente, perché in fondo si lavora due mesi e si produce per dodici. Noi cominciamo i preparativi per la nuova olivagione non appena è finita la campagna olearia, così che i macchinari in frantoio siano già pronti a giugno. La chiamiamo ansia da prestazione? Per me è la gioia dell’attesa.

Secondo te un’azienda olearia attraverso la sola leva del turismo può acquisire importanti quote di mercato tali da non avere più alcuna preoccupazione e da non dover ricorrere alla vendita nei negozi? È possibile che il turismo possa rappresentare una quota di vendita molto significativa e soddisfacente?

È vero, c’è la gioia dell’attesa. Anche se, non nascondiamolo, c’è pure un po’ di comprensibile ansia, prima che inizi una nuova campagna di molitura delle olive. Tante le inquietudini, unitamente alla gioia dell’attesa. E se grandina? E se non piove più? E se piove troppo? E se alcuni dei tanti patogeni fanno fuori anzitempo tutti i frutti?

Un’azienda geograficamente ben posizionata ce la fa e ce la fa pure ad avere un reddito che permetta di vendere l’olio solo in azienda. Per esempio, prendiamo i frantoi posizionati intorno al lago di Garda, queste realtà possono tranquillamente vivere dei benefici del solo turismo.

Nel tuo centro aziendale è predisposto tutto per l’accoglienza. Quanto ritieni sia importante avvicinare il consumatore nel luogo in cui si produce l’olio? Il negozio aziendale è fondamentale. È il sistema di vendita che costituisce la base per poter vendere tutto il prodotto in azienda. Ci sono due categorie di produttori: ci sono gli imbottigliatori puri, che fanno i numeri; e poi ci sono i frantoiani, che sono quelli che puntano a vendere a un prezzo giusto un prodotto che fanno con amore e passione. È proprio questa seconda categoria di soggetti che ha maggiore interesse nel far venire gente in azienda. Noi Salvagno qui a Nesente apparteniamo a questa categoria.

Assolutamente sì, ho tonnellate di ansia addosso. Anche perché ogni volta non vedo l’ora che comincino ad arrivare i contadini in frantoio a portare olive, sane, fresche, parlanti. Il frantoio è la mia vita e della mia vita fa parte anche quella naturale ansia che c’è nel momento dell’attesa.


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“Non vedo l’ora ogni volta di cominciare una nuova olivagione. Anche se ci sono un po’ di preoccupazioni, l’attesa è ricca di incognite, quando però tutto si conclude senza rischi le gioie sono immense”.

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Il libro

Le nostre vite per l’olio. I cento anni del Frantoio Salvagno Tutto ebbe inizio nel 1923. C’erano gli olivi, in Valpantena. Proprio alle porte di Verona. Mancavano tuttavia i frantoi per la spremitura delle olive. Per usufruire dei pochi oleifici a disposizione, era necessario dirigersi altrove, più lontano. Gioacchino Salvagno pensò bene di aprire un proprio frantoio per metterlo a disposizione della comunità, così da condividere l’olio con la gente del luogo. È da allora che l’impegno della famiglia Salvagno continua senza interruzione. Giovanni, figlio del fondatore, è attivo sin dalla tenera età e non è mai stanco di impegnarsi con la medesima determinazione del suo esordio sulla scena. A cento anni di distanza dalla fondazione dell’azienda, Giovanni con la moglie Elena e le figlie Cristina e Francesca riflettono sulla propria storia e ne scrivono insieme un racconto toccante e intenso. Il volume, edito da Olio Officina, reca l’introduzione di Luigi Caricato. Pubblicato nell’ottobre 2023 nella collana OOF Book, è corredato di immagini e si sviluppa su 164 pagine.



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Testimonianze

Una oil experience tra frantoio, museo dell’olio e una oleoteca con cucina La quinta generazione della famiglia Bartolomei si racconta e rende nota la propria attività di accoglienza


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di Chiara Agostinelli

ai miei ricordi infantili, e da quanto mi hanno narrato mia mamma Carla, zia Rita e nonno Vincenzo, da tutti conosciuto come “Cencio”, oltre che dai suoi genitori, Argene e Luigi, la mia famiglia si è sempre dedicata con passione e amore alla produzione e al commercio di quell’eccezionale prodotto che è l’olio extra vergine di oliva. Ed è proprio a Montecchio, in una zona particolarmente vocata, che mio nonno ha deciso di fondare le radici di quest’attività che tuttora portiamo avanti con i medesimi valori. Dopo la laurea in Tecnologie e biotecnologie agroalimentari conseguita nel 2019 presso la facoltà di Agraria di Perugia, ho trascorso un anno all’estero, in Irlanda, per consolidare e approfondire la mia conoscenza della lingua inglese, fondamentale. Al mio rientro, più consapevole e più sicura di me stessa, ho deciso di proseguire sull’onda di chi mi ha preceduto, orgogliosa e fiera di quanto mi è stato tramandato, e fiduciosa per l’aiuto e l’esperienza di mamma e zia, con l’obiettivo di far sempre meglio. In questo scenario familiare io mi occupo soprattutto di Oil Experience e di tutto ciò che concerne l’attività di inco-

ming. Mi piace accogliere i clienti e farli sentire come a casa. Racconto loro la storia dei miei nonni e bisnonni, di come si produceva l’olio e di come la tecnologia ci permette oggi di farlo. Il mio ruolo consiste nel narrare e mostrare tutto ciò che c’è stato e che ora c’è. Una sorta di viaggio tra passato e presente, dal campo alla tavola. Ecco, il passato. Questo è ben rappresentato dal nostro “Museo dell’olio”, tre ricche sale espositive nelle quali è possibile toccare con mano la realtà. Il museo è stato solo uno dei nostri primi progetti. Lo abbiamo concepito per segnare un percorso e rendere omaggio alla storia di tanti uomini e donne passati dalle nostre terre popolandole e lavorandole. È un viaggio alla scoperta delle tecniche più elaborate di estrazione dell’olio. Vi si trovano anche attrezzi agricoli - aratri, carri e manufatti - attraverso i quali, insieme a una ricca raccolta di fotografie, viene narrata e documentata la vita contadina fin dai primi anni del ‘900. C’è una fotografia, in particolare, a noi molto cara: rappresenta la prima generazione della famiglia Bartolomei. Sguardi seri, corpi impostati, a documentazione di un momento immediatamente successivo alla raccolta. Le ceste piene di olive, un cavallo accanto al padrone Antonio e la moglie, unica donna seduta: ci sono tutti i tratti salienti della civiltà contadina di

un tempo. E poi vi è una pressa lignea del XVI secolo, realizzata interamente a mano: si notano ancora chiaramente i segni dello scalpello che ne hanno finemente delineato i contorni, intagliandola in un blocco unico di rovere. E, per finire, c’è la suggestiva sala degli orci, per poi chiudere il percorso museale con una sala con cucina a vista, in modo da donare ai visitatori una splendida e suggestiva vista sugli oliveti. È senza dubbio una location originale: per una degustazione, per un evento o una serata speciale. Fare turismo implica scelte precise. Un altro nostro progetto è il Ristorante Oleoteca a Orvieto, realizzato nel 2014. Qui oltre a degustare e acquistare i nostri extra vergini, e altri nostri prodotti, è possibile provare direttamente gli oli sui piatti della tradizione. L’ambiente richiama l’atmosfera del frantoio. C’è una macina in pietra per le olive, decontestualizzata, usata come tavolo. Oltre a pranzi e cene, nella nostra oleoteca con cucina è possibile anche fare assaggi d’olio e degustazioni a tema, o minicorsi. In estate, si mangia anche nel caratteristico vicolo adiacente al locale. Fare turismo implica tutto questo, e molto altro ancora: non basta produrre, occorre aprirsi all’accoglienza.


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La brillante intuizione di Georgios Karabatos

Lungo le rotte dell’olivo di Maria Carla Squeo

Un itinerario culturale riconosciuto nel 2003 dall’Unesco e nel 2005 dal Consiglio d’Europa abbraccia oggi Paesi del sud Europa e del nord Africa. Gli appassionati oleofili non hanno più scuse, perché i percorsi sono tracciati. Ed esiste perfino un collegamento marittimo, seppure simbolico, tra le città portuali del Mediterraneo


Illustrazione di Doriano Strologo

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sistono anche le rotte dell’olivo, per quanti intendessero percorrerle. Se ci pensiamo, oltre ai tanto celebri cammini di Santiago di Compostela, che, soprattutto in gioventù, in tanti hanno potuto sperimentare, vi sono molti altri itinerari da scoprire, interessanti e utili, che vanno dalla via Francigena alla via Romea, a molti altri ancora, di originali e insoliti, tra cui le “Rotte dell’olivo” * e “Inter Vitis”, il cammino della vite. È accaduto semplicemente questo: nel 1987, il Consiglio d’Europa ha avuto modo di lanciare l’idea di costituire una serie di itinerari culturali. E vi è una lodevole ragione dietro a questa operazione: quella di consentire ai propri cittadini di intraprendere una sorta di viaggio spazio-temporale alla scoperta del vasto patrimonio delle differenti tradizioni e culture dei diversi Paesi d’Europa. Lo scopo di tale iniziativa era di creare un patrimonio culturale condiviso; il proposito, quello di far conoscere ciascuno di questi itinerari attraverso una serie di indicazioni dettagliate dei percorsi, in modo da poter intraprendere veri e propri viaggi di conoscenza. Ed ecco, in particolare, le “Rotte dell’olivo”, riconosciute e certificate nel 2005 quali “itinerari di scoperta interculturale e di dialogo aventi per oggetto l’olivo, simbolo universale di pace”. Itinerari – come si legge nelle motivazioni – che diventano “un ponte verso una nuova cooperazione tra aree remote, altrimenti condannate all’isolamento, poiché riuniscono tutti gli operatori coinvolti nell’impiego dell’olivo (artisti, piccoli produttori e agricoltori, giovani imprenditori, ecc.), minacciati dall’odierna crisi. In questi tempi difficili – si legge ancora nel documento del Consiglio d’Europa – è un modo per difendere il fondamentale diritto al lavoro”. Forse queste rotte non sono poi così conosciute come meriterebbero, e proprio per questo è ammirevole l’iniziativa di riconoscerle e promuoverle. “Il viaggiatore – si legge sempre nel documento ufficiale del Consiglio d’Europa – può toccare con mano la civiltà dell’olivo e apprezzarne paesaggio, prodotti e tradizioni”. Tutto ciò non nasce però dal caso, ma lo si deve alla Fondazione culturale “The Routes of the Olive Tree”, un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro, indipendente da ideologie e inte-

Al momento fanno parte della rete riconosciuta dal Consiglio d’Europa Albania, Algeria, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Libano, Macedonia del Nord, Montenegro, Marocco, Portogallo, Slovenia, Spagna, Tunisia e Turchia.


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La figura di riferimento resta Georgios Karabatos. Sua è stata infatti l’idea, nel 1998, quando all’epoca era presidente della Camera di Commercio di Messinia, nel Peloponneso, di coinvolgere i primi viaggiatori desiderosi di conoscere i Paesi dell’olivo al di là della Grecia.


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ressi economici, con sede a Kalamata, in Grecia. Ed è proprio grazie all’impegno di questa fondazione, di cui è direttore esecutivo Georgios Karabatos e segretario generale Marinella Katsilieri, che le “Rotte dell’olivo” sono state ufficialmente riconosciute sin dal 2003 dall’Unesco quale “itinerario culturale mondiale per il dialogo Interculturale e lo sviluppo sostenibile”. La figura di riferimento resta Georgios Karabatos. Sua è stata infatti l’idea, nel 1998, quando all’epoca era presidente della Camera di Commercio di Messinia, nel Peloponneso, di coinvolgere i primi viaggiatori desiderosi di conoscere i Paesi dell’olivo al di là della Grecia. Percorsero così sedici mila chilometri in quaranta giorni, il viaggio piacque molto e da lì, negli anni successivi, furono organizzati una serie di itinerari in tutti i Paesi del Mediterraneo. Le belle storie, si sa, nascono dalla passione e dalla curiosità. Ecco allora i “protocolli di cooperazione” tra i vari Paesi del Mediterraneo e il censimento del patrimonio culturale dell’olivo, individuando i paesaggi olivetati più belli, i frantoi più antichi, divenuti nel frattempo musei di sito, e i frantoi più recenti, magari di design, con tutto ciò che ne consegue, tra scoperta di tradizioni, usi e costumi. E nel 2003 è stata fondata a Kalamata la Fondazione culturale “The Routes of the Olive Tree”, e da allora tutto si è delineato in modo ufficiale, coinvolgendo tanti popoli e tante nazioni.

Gli itinerari ora non riguardano più soltanto i Paesi strettamente olivicoli, ma anche altre aree d’Europa, con l’obiettivo di presentare e promuovere ovunque la civiltà dell’olivo e il valore nutrizionale delle olive e dell’olio. Sono nati pertanto proprio con questo spirito gli itinerari di divulgazione della civiltà dell’olivo, avviati attraverso incontri informativi, mostre, concorsi, laboratori creativi, ma anche studi scientifici per lo sviluppo di itinerari culturali locali e la creazione di una bibliografia sul tema dell’olivo comprendente titoli in tutte le lingue del Mediterraneo. Una vera missione, per la Fondazione diretta da Georgios Karabatos, fino a comprendere perfino l’organizzazione delle “Vie marittime dell’olivo”, una speciale edizione simbolica sulla scia della diffusione della pianta, da est a ovest, a partire dal percorso compiuto in passato, per secoli, dalle navi mercantili impegnate nel trasporto degli oli, ovunque questi fossero richiesti. Da tutto ciò si evince che l’olio non è solo merce, ma un bene prezioso che comprende, aggrega e unisce a sé tante culture e civiltà. L’olio ricavato dalle olive non è più soltanto un alimento tra i tanti, ma un autentico marcatore culturale che ha saputo raccontare in modo emblematico la storia di tanti popoli nel corso di oltre sei millenni.


llustrazione di Stefania Morgante

* * Olive oil brings out the flavours in food

Caricato Factory San Pietro in Lama [ Lecce - Puglia - Italia ] caricato.it


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Dialogo con Antonio Monte

di Chiara Di Modugno

Intraprendere un viaggio per visitare i più importanti centri produttivi dell’olivicoltura e dell’elaiotecnica italiana è proprio una buona idea. Si può partire dai musei. Ve ne sono ovunque, dalla Puglia fino alla Liguria, e si raggruppano in due distinte categorie.


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I musei della produzione olearia incubatori di popoli e cultura


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ell’ambito della dodicesima edizione di Olio Officina Festival, nel marzo 2023, Antonio Monte, l’architetto e ricercatore del Cnr-Ispc, nonché vicepresidente Aipai, Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale, ha raccontato, attraverso una ricca documentazione iconografica, l’immenso valore dei luoghi della produzione olearia attraverso due distinte categorie. La prima, quella dei “musei di sito”, dove ancora oggi si conservano tutte le strumentazioni, i congegni e i macchinari utilizzati in passato nel ciclo produttivo dell’olio. La seconda, quella dei “musei dell’olio”, all’interno dei quali sono state ricreate le tipiche ambientazioni di un tempo.

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“I musei sono case dove si conservano i pensieri del passato”

Marcel Proust


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«Non ha senso parlare di un luogo se questo non racconta la propria storia». A sostenerlo con grande convinzione è Antonio Monte. «Ed è proprio quello che fanno i molini da olio», chiarisce. «In Terra d’Otranto si chiamano trappeti. In altre zone d’Italia assumono il nome di molini, torchio, frantoio da olio e, successivamente, quando si è passati dalla forza animata alla forza inanimata, si è iniziato a parlare di oleifici moderni. Questi luoghi – precisa Monte – raccontano la storia, gli aspetti sociali ed economici di un popolo e delle comunità locali, nonché l’evoluzione delle strutture produttive e il progresso tecnologico avvenuto con l’introduzione dell’energia a vapore. Prima dell’affermarsi delle nuove tecnologie, i molini venivano chiamati diversamente. Avete mai sentito il termine “a sangue?”, oppure “a tiro”, “a bestia”? Ecco, venivano così definiti per evidenziare il fatto che erano azionati sia da una forza animale, sia manuale a braccia; oppure da una forza idraulica, quando c’era la possibilità di sfruttare l’energia derivante dall’acqua, poi successivamente sostituita dall’energia a vapore, grandissima invenzione tecnologica che ha portato alla nascita di nuove macchine per lo svolgimento dei cicli produttivi». Ebbene, come già premesso, quando si affronta il tema dei musei della produzione olearia occorre dividere le due tipologie esistenti in “musei di sito” e in “musei dell’olio” propriamente detti. Spiega l’archeologo industriale Antonio Monte: «I primi comprendono tutte quelle strutture – di cui sono stato anche progettista e direttore dei lavori di circa una quindicina di trappeti ipogei – in cui avveniva la produzione dell’olio lampante. Sì, proprio così: il tanto demonizzato olio lampante, il quale tuttavia ha costituito la principale risorsa economica della Terra d’Otranto delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Tali musei – precisa Monte – sono stati lasciati esattamente come un tempo, salvo qualche intervento di recupero, a cui ho preso personalmente parte, e di musealizzazione fine a sé stessa, facendo ben riconoscere, a chi visita una struttura, la sua storia e anche come avvenivano i processi produttivi».

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«Non ha senso parlare di un luogo se questo non racconta la propria storia»


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poi completamente abbandonato, per poi diventare oggetto di intervento di recupero tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Il frantoio si trova a Tuglie, in provincia di Lecce. In questa struttura sono state conservate le macchine originarie».

Il racconto per immagini e parole «Nei nostri lavori – precisa l’architetto Monte – abbiamo sempre cercato quanto più possibile di conservare l’identità delle strutture e delle macchine presenti. In questa foto siamo nel 1995, a Vernole, in una delle prime strutture. Si tratta di un frantoio ipogeo, di un ambiente prevalentemente pieno di terra, recuperato come avviene con uno scavo archeologico».

«A seguire, il risultato finale».

«L’immagine che segue – suggerisce Monte – ritrae l’inaugurazione del 1999, ricostruendo i torchi alla calabrese, alla genovese e tutta la vasca per la molitura per avere la possibilità di descrivere come avveniva il processo produttivo». «Tra il 2011 e il 2014 abbiamo invece eseguito un intervento in un frantoio collocato sotto una piazza».

«Di seguito è possibile osservare un trappeto semipogeo, a trazione animale, che diventa, con l’introduzione dell’energia idraulica, attorno agli anni Quaranta del Novecento, a trazione inanimata. Alla fine degli anni Cinquanta il frantoio è stato


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«Nelle immagini che seguono, il maestro d’ascia realizza la vite del torchio alla genovese e il posizionamento del torchio nel proprio alloggiamento».

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«L’obiettivo è sempre quello di raccontare come avvenivano i processi di produzione. Con il comune di Melpignano – puntualizza l’architetto Monte – abbiamo pensato a un progetto di valorizzazione che permetta di visitare tutte e sette le strutture produttive».

«Fasano, come si vede dall’immagine, il museo di sito in questione racconta la struttura, l’evoluzione tecnologica delle macchine con i torchi a vite, in legno, alla genovese, e poi i torchi, gli strettoi, in ferro di una fonderia del posto con l’argano dove venivano legati i torchi e con l’evoluzione tecnologica della vasca che non è più a una ruota bensì a tre macine».

«E questo è il risultato finale dopo il recupero nel 2014 fatto a Maglie».


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«Ed ecco un’altra bellissima struttura, a Cisternino. Anche qui vi è una evoluzione tecnologica: i torchi in legno, gli strettoi in ferro, le presse idrauliche della ditta Francesco De Blasio di Bari. Questo spazio oltre a essere un museo accoglie anche eventi».

«A Grottaglie, invece, si conserva il “trappeto dormiente”. È chiamato così perché conserva una batteria di torchi binati alla genovese».

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«In Basilicata, a Montemurro – ci informa l’architetto Antonio Monte – si può ammirare uno degli ultimi interventi di recupero a cui ho preso parte. Vi è il torchio alla calabrese, alla genovese, ma mancava la vasca che era stata completamente rimossa, ma disponendo di tutte le tracce a terra, e le dimensioni della pietra, siamo riusciti a ricostruire fedelmente la vasca di molitura delle olive. Come intervengo? Solo se dispongo di elementi certi all’80-90% procedo con la ricostruzione, altrimenti lascio il rudere così come è stato trovato. In questo caso, avevo tutti gli elementi: il mulo che girava, perché a terra c’erano i pezzi di pietra sui quali si muoveva, e già questo elemento mi restituiva la dimensione esterna della circonferenza intorno alla quale girava l’animale e dunque la traccia, a terra, della circonferenza della vasca, in modo da poter posizionare sia l’albero verticale, sia quello orizzontale della vasca».

«In provincia di Matera, a Colobraro, è possibile invece prendere visione di una struttura recuperata da una famiglia che produce olio, appartenuta al loro bisnonno. I titolari hanno così potuto recuperare la vasca con le tre pietre, i torchi e in seguito una pressa idraulica».


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«In Abruzzo, a Bucchianico, si conserva uno straordinario esempio di una pressa a leva del 1700, lunga 7,44 metri. Tale struttura è diventata museo di sito, proprio perché, in questo luogo, sino ai primi decenni del Novecento, è stato estratto l’olio».

«A Chiaramonte Gulfi, in Sicilia, è possibile prendere visione di un torchio a due viti di tipo calabrese, un torchio a una vite di tipo genovese e la vasca. Da notare che in Sicilia utilizzavano un sistema ad hoc per ancorare tutta l’imbragatura dell’animale, in modo da farlo girare, mentre in Puglia, invece, si utilizzava solo una stanga in legno, posizionata sulla parte retrostante del collo dell’animale».

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«In provincia di Imperia, a Chiusavecchia, nella Liguria di Ponente, vi è un trappeto a trazione idraulica, con due vasche (frantoi) per la molitura con una pietra, il tutto azionato appunto da una ruota idraulica».

«Un’altra realtà a trazione idraulica la si trova in Umbria. C’è la vasca di contenimento. Alzando la chiusa, l’acqua scende alimentando le macchine all’interno della struttura».


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«Tornando in Salento, a Patù, si notano alcuni torchi di prima generazione, quindi alcuni strettoi in ferro per poi passare alle presse, sempre a trazione animale, dove già si nota l’introduzione del ferro».

«Mentre a Cavaion Veronese – precisa l’architetto Monte – il museo Turri racconta, tra le varie, la figura del Castaldo, estremamente importante all’interno di una azienda agricola». «Tornando ai “musei dell’olio”, concepiti, da progetto, per essere esplicitamente musei, ecco di seguito alcuni luoghi emblematici, come per esempio il museo Carli a Imperia».

«A San Secondo Parmense hanno recuperato una serie di macchine, come un frantoio della Veraci, delle presse e un torchio a una vite». «L’interno del frantoio racconta sia la trazione animale sia quella idraulica, dove è possibile osservare anche l’evoluzione tecnologica che c’è stata, dal torchio in legno agli strettoi e alle presse in ferro in due o tre colonne. Anche la realtà di Bardolino merita di essere visitata, per comprendere come avveniva la molitura a trazione idraulica e la spremitura con i torchi».

«Anche a Trevi, in Umbria, al Museo della Civiltà e dell’olio viene tutt’oggi conservata una bellissima realtà: una struttura di torchi binati alla genovese».


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Le realtà da visitare sono tante, distribuite per tutto il territorio, da Nord a Sud. Perché l’Italia è ricca di storia e di una cultura che merita di essere compresa e conosciuta in tutti i suoi aspetti. Le molte testimonianze che raccontano l’Italia olearia sono tanti bellissimi frammenti di un mondo prezioso che va trasmesso nella sua immediatezza a tutti gli appassionati oleofili, nonché ai consumatori e alle nuove generazioni tutte. Perché l’olio è cultura, è sapere, è esperienza, è vita.


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Paesaggio rurale e frantoi ipogei

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In viaggio nel Salento degli olivi e degli oli di Francesco Caricato

a “Casa dell’Olivo – Oleoteca d’Italia”, di cui sono stato fondatore e che tuttora dirigo, sin dal suo esordio ha tracciato una serie di itinerari turistico-culturali allo scopo di valorizzare, far conoscere e apprezzare un paesaggio carico di storia e nel contempo ricco di straordinario fascino evocativo. Certo, oggi, a distanza di tempo – rispetto a quando nacque l’idea di valorizzare il tessuto olivicolo e oleario del Salento attraverso l’associazione culturale “Casa dell’Olivo” – il quadro che si presenta agli occhi dei visitatori è desolante.


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Volendo percorrere le campagne salentine, a seguito del grande dramma causato dal batterio Xylella fastidiosa, con i milioni di olivi secchi, ormai irrecuperabili, c’è tanta amarezza; però, si sa, anche a fronte di situazioni e contesti terribili, diventa comunque necessario reagire e non perdersi mai d’animo. Proprio per questo suggerisco di compiere un viaggio esplorativo nel Salento degli olivi e dell’olio: per ridare speranza a chi vi opera, per infondere coraggio, ma anche per rendersi conto della realtà, del drastico e angoscioso mutamento del paesaggio. Gli oliveti devastati dalla Xylella non hanno cancellato l’intrepidezza nel resistere al cambiamento dello scenario, né tanto meno hanno spento la forza e la tenacia nel reagire e voltare pagina, ricominciando così a definire un nuovo futuro. L’olivicoltura non è venuta meno, perché comunque in qualche modo si resiste, si sta tentando di affrontare l’evento patogeno cercando di rigenerare il paesaggio, impiantando nuovi olivi più tolleranti al batterio. Non ha d’altra parte senso rinunciare a ciò che resta della bellezza, e neppure ha senso desistere dal delineare e costruire la bellezza che verrà, la bellezza che si può immaginare e prevedere in prospettiva e in divenire, e men che meno, oggi più che mai, si deve rinunciare alla storia di un territorio che resta tuttora impregnato ovunque, anche in ambito urbano, di tanta cultura olivicola e olearia. Ecco, allora, il suggerimento di tre percorsi tematici, per altrettante escursioni. Vedere e calpestare il suolo, percorrendo in lungo e in largo le campagne, per rendersi conto della realtà, per vedere e apprezzare e soprattutto sostenere gli sforzi di chi non rinuncia a essere olivicoltore in una terra martirizzata dal batterio e dalla negligenza di


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chi non ha saputo e voluto reagire per arginare e limitare i danni. Buon viaggio tra gli olivi e i frantoi del Salento, allora. Che sia di buon auspicio, in vista di un futuro in cui si contempleranno ancora gli olivi, in tutta la loro magnificenza, e ancora altro olio si estrarrà dalle olive delle nuove piante che sostituiranno quelle che non ci sono più. L’olivo è una pianta tenace, e anche i salentini lo sono altrettanto.

“L’olivo è una pianta tenace, e anche i salentini lo sono altrettanto”.

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Specchia

Aquarica del Capo

Presicce

Quest’area comprende la parte terminale dell’istmo salentino, dove il piatto tavolato si fa più irregolare e si elevano esili dorsali. Il viaggio prende corpo lungo le serre salentine, le elevazioni collinari del basso Salento, tagliandole trasversalmente ed esplorando un territorio oggi devastato dalla Xylella ma pronto a rinascere, aperto a nuovi paesaggi che si intersecano e convivono con i paesaggi del passato, fatti di distese olivetate – per lo meno, quelle che si possono ancora definire tali, indenni al batterio – ma anche di spazi naturali e di vasti corridoi ambientali. La serie mediana delle serre salentine, che da Supersano si svolge fino al Capo di Leuca, era caratterizzata da un paesaggio fino a pochi anni fa costituito da intere distese di “boschi d’olivo”, e dove è notevole la presenza di tanti frantoi ipogei, alcuni dei quali restaurati, anche in ragione dell’impegno magistrale dell’architetto Antonio Monte. Degni di una particolare menzione sono soprattutto quelli di Acquarica del Capo (il trappeto a grotta del casale di Gelsorizzo), di Presicce (con i numerosi trappeti a grotta, di recente recuperati) e di Specchia (è il caso di citare i frantoi ipogei Scupola, Cicca, Perrone e Francescani Neri, che costituiscono una importante testimonianza storica dell’enorme produzione dell’olio di oliva nel basso Salento).

Primo percorso – Il territorio del versante occidentale delle serre salentine


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Cerrate

Vernole

Giurdignano

L’itinerario segue un lungo e articolato percorso geografico che attraversa l’intero Salento meridionale. Si va dalla duecentesca Abbazia di Santa Maria di Cerrate, con il contiguo Museo delle Tradizioni popolari e il frantoio ipogeo, fino a proseguire con il frantoio ipogeo Caffa, nel cuore della città di Vernole, e procedere risalendo alcune groppe del costone centrale delle serre, toccando i territori di Giuggianello e Giurdignano, ricchi di interessanti frantoi ipogei e di numerosi monumenti megalitici (i menhir di Palanzano, di monte Tangolo, San Paolo, Vicinanze I, Vicinanze II, Madonna di Costantinopoli, della Fausa, San Vincenzo), i dolmen (Orfine, Peschio, Chiancuse, Cauda, Grassi, Sferracavalli). Tra l’altro, sono ancora visibili i resti della famosa Centopietre (Centoporte), antica abbazia paleocristiana. L’olivo era sovrano in questo spettacolare paesaggio fatto di pietra, tra menhir e dolmen realizzati con grandi pietre ammucchiate in grandi cumuli dette specchie, o pietre sovrapposte a secco con secolare perizia “paretara” per l’utilizzo quale ricovero (è il caso di trulli, furnieddhi, pajeare), o come muretti divisori o muri di sostegno nel terrazzamento a pendii.

Giuggianello

Secondo percorso – Il territorio del versante orientale del Salento leccese


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Villa Castelli Mesagne

Torre Santa Susanna

Il percorso attraversa l’entroterra della provincia di Brindisi, in un affascinante contesto paesaggistico caratterizzato da un’alternanza di pianura e collina, fra frantoi ipogei urbani e rurali, castelli e masserie, e secolari esemplari di olivi, quelli, almeno, ancora presenti, non devastati dalla Xylella. Interessanti i frantoi ipogei di Torre Santa Susanna, recentemente recuperati, che costituiscono un importante esempio di archeologia industriale urbana. Allo stesso modo il Trappeto del Duca, risalente al XVII secolo, ubicato nella gravina di Villa Castelli, sulle ultime propaggini meridionali delle murge. Poi c’è Mesagne, già considerevole centro in età messapica, dalle testimonianze culturali e storiche di notevole interesse, fra le quali si segnala il frantoio di Palazzo Guarini, mentre in agro di Ostuni, la nota “città bianca”, sorge maestosa, in un contesto paesaggistico di rilievo, la masseria fortificata Li Santuri, dotata di un pregevole frantoio ipogeo.

Terzo percorso – Il territorio degli olivi del Salento brindisino


Una storia olivicola e olearia consolidata

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Il Salento, territorio che comprende l’antica Terra d’Otranto, per molti secoli nota e celebrata terra dell’olivo, che, con il frumento e la vite, ha rappresentato, fin da tempi più remoti, il trittico produttivo dell’agricoltura, si è contraddistinto da sempre per il suo paesaggio unico e irripetibile, già noto agli antichi Romani. Più avanti nel tempo, a cavallo tra medioevo ed età moderna, nella seconda metà del Quattrocento e, soprattutto, nel Cinquecento, l’olivo acquistò un posto importante nel quadro dell’economia locale. Le distese olivetate si sviluppavano da Otranto a Brindisi, e i centri di Gallipoli, San Cataldo (il porto di Lecce) e Brindisi divennero sedi di un fiorente traffico d’olio che ha visto protagonisti i mercanti veneziani, genovesi, fiorentini, napoletani, greci e albanesi. I viaggiatori stranieri, che nel Settecento visitarono il Salento – Johann Hermann von Riedsel, Carl Ulysses de Salis Marschlins e Henry Swinburne – ne esaltarono l’imponente mole e la diffusa presenza sul territorio. A fine Ottocento più della metà dell’intera superficie coltivata era destinata a oliveti, il cui prodotto veniva preparato e lavorato in numerose e complesse strutture, spesso sotterranee: i trappeti. In quegli anni si contavano nel Salento ben 1.700 frantoi, quasi tutti ipogei, ricavati nella roccia e ricoperti da volte a botte. I trappeti “a grotta” sono il classico esempio di architetture in negativo, per sottrazione, vere e proprie industrie sotterranee che hanno fatto la storia, l’economia e il paesaggio salentino.

di Anna Trono

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OXOS

Illustrazione di Doriano Strologo

Esiste un turismo dell’aceto?


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Un vero e proprio turismo dedicato agli aceti non esiste, o comunque non è così strutturato e organico come meriterebbe il prodotto in sé. Senz’altro non c’è nulla di paragonabile alle iniziative riservate a vini, birre e oli. Ci sono eventi come “Acetaie aperte”, certo, e anche musei da visitare (pochi), ma c’è un grande vuoto (anche culturale) da riempire.

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di Maria Carla Squeo Gli aceti, questi sconosciuti. E forse proprio per questo sarebbe il caso di far qualcosa e attivarsi. Chissà se le aziende acetiere saranno in grado di farlo, se vorranno farlo, se hanno piacere di accogliere turisti. In Emilia-Romagna, là dove esiste anche il Distretto del cibo dell’Aceto Balsamico di Modena Igp, qualcosa si fa, ma le altre regioni? Il fatto è che gli aceti balsamici partono favoriti, rispetto ad altri aceti più comuni. Nei territori ricadenti nelle provincie di Modena e Reggio Emilia si è creata una narrazione. C’è una identità definita, una storia omogenea e condivisa. Una gran fortuna per i produttori, e per quanti vorranno vivere in prima persona questa esperienza di conoscenza. La fortuna dei balsamici sta nell’aver superato la logica di prodotto generico e anonimo. L’essersi meritatamente elevato al ruolo di delicatessen è un vantaggio non da poco. C’è una reputazione guadagnata sul campo. Almeno finché non perderà valore sul mercato, questo vantaggio porta consensi e turisti curiosi di conoscere e approfondire il prodotto, di studiarlo, degustarlo, saperne di più. Qualche esempio di turismo? Massimo Malpighi, quinta generazione di una storica famiglia nel modenese, ha ideato una struttura ad hoc, “Taste&Tour”. “Il consumatore – sostiene – è curioso di conoscere, di capire, e per questo viene direttamente in azienda: la nostra acetaia accoglie circa trenta mila visitatori l’anno”. Visite guidate gratuite in lingua italiana e straniera alla scoperta della storia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop e delle sue tecniche produttive. I balsamici, sia il Tradizionale, a marchio Dop, sia il Balsamico Igp, sono molto ricercati. Si studiano gli abbinamernti, si degustano con curiosità e interesse. Lo stesso dovrebbe avvenire con gli aceti di vino, in particolare quelli realizzati con materie prime uniche e di alta qualità. La svolta può avvenire con gli aceti monovitigni, o quelli ottenuti in territori viticoli rinomati. Gli apprezzamenti del pubblico di consumatori possono esserci solo se c’è qualcosa di interessante da proporre e che susciti una aspettativa.

Ecco allora l’evento “Acetaie aperte”, organizzato dai consorzi di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop. Ecco i musei dedicati al Balsamico, le visite guidate in vigna, quindi nelle acetaie dove avviene la bollitura e dove si depositano i mosti, negli spazi destinati alle barricaie e le sale di invecchiamento, e infine le degustazioni. L’appuntamento con “Acetaie aperte” è per l’ultima domenica di settembre. Ma poi? Occorre andare oltre l’evento, creare l’abitudine a frequentare le acetaie. Si può partire dal Museo dell’aceto balsamico tradizionale di Modena a Spilamberto, allestito all’interno di Villa Comunale Fabriani, un edificio del XVIII secolo, struttura operativa dal novembre 2002. C’è da segnalare in particolare una sala che riproduce l’interno di una botte, dove sono collocati gli strumenti e i momenti topici del processo produttivo. Interessante anche la riproduzione di una bottega di bottaio, con i vari legni della tradizione, dal rovere al castagno, dal gelso al ginepro. I legni sono importanti nella creazione dell’aceto balsamico: la loro naturale stagionatura determina i profumi e gli aromi dell’aceto. Sono esposte nel Museo anche le storiche cinque botti che si dice siano appartenute alla famiglia Fabriani (XIX secolo). Accanto a questa storica batteria di botticelle vi sono quelle, dieci, di una batteria moderna. I musei servono a questo, a fare il punto sul passato e a proiettarci nel futuro. Nel Museo dell’aceto balsamico tradizionale di Modena a Spilamberto compare anche una bottiglia di aceto balsamico “brusco” del 1785, che fa ben riflettere su una tradizione acetiera più che consolidata, di cui si è fatta di recente carico la Consorteria, un’associazione creata nel 1967 proprio per valorizzare e tutelare questa storia così ben radicata nel territorio. Fin qui tutto bene, resta tuttavia da chiedersi cosa avvenga al di là degli aceti balsamici. Forse è il caso di intraprendere qualche iniziativa non occasionale in tal senso. Che ne dite?



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Andar per luoghi attraverso un libro

Viaggio (oliocentrico) in Italia. Con Pellegrino Artusi di Maria Gabriella Dongarrà e Mario Portera


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Il libro La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene è un classico imperdibile che continua a essere pubblicato con grande successo. Attraverso quest’opera, il padre della gastronomia moderna ci ha permesso di intraprendere una singolare esplorazione delle diverse regioni italiane a partire da un ricco quanto variegato e organico ricettario. Il merito dell’autore è nell’aver saputo creare un codice alimentare e culinario in grado di abbracciare l’intero Paese, dal Piemonte alla Sicilia.


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Maria Gabriella Dongarrà Dirigente medico pediatra presso il P.O. di Sant’Agata di Militello. Esperta di pediatria, scienze dell’alimentazione, promozione della salute, svezzamento dei bambini. Co-founder del sito pappablog.it. Mario Portera Freelancer of Public Health, esperto di sanità pubblica, epidemiologia, promozione della salute, laboratorio analisi. Titolare di azienda agricola specializzata nella produzione di olio Evo di qualità certificata a marchio Dop Valdemone, Igp Sicilia e Biologico.

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razie alla pubblicazione del suo libro, Pellegrino Artusi ha contribuito alla formazione della nostra identità nazionale, raccogliendo in un’unica opera le ricette regionali. La cucina popolare era stata, sino ad allora, divisa dalle distanze geografiche e dai dialetti regionali. Con Artusi viene descritta e resa pubblica proprio grazie al ricorso alla lingua italiana. Viene messo al bando l’uso delle lingue dialettali, sconosciute fuori da specifici territori. Il libro diviene così un codice alimentare e culinario valido per tutti, dalle langhe piemontesi alle coste siciliane. Il cibo diventa un elemento che unisce la cultura di un popolo. A tavola, oggi come allora, ci sentiamo di appartenere a una sola nazione. L’opera di Artusi ha perciò il grande merito di definire e offrire un codice alimentare e culinario nazionale. Tra le pagine del volume La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene si trovano indicazioni sull’uso delle materie prime. L’utilizzo di alimenti del territorio era allora una necessità, anche perché non esisteva ancora il mercato alimentare globale di oggi, che invece è diventato nel frattempo un modello importante di crescita sociale. Di conseguenza, nelle ricette di Artusi vi erano materie prime di qualità locali, senza rinunciare a risorse meno pregiate come frattaglie e interiora, che però fossero “sane”, perlomeno secondo i principi dell’epoca. Nella sua opera Artusi descrive con cura le tipologie di prodotti più opportuni da impiegare nelle diverse stagioni, e approfondisce in modo dettagliato pure i prodotti dell’agricoltura e della pesca, evidenziando quanto sia utile preferire una buona cucina casalinga vicina ai luoghi di produzione, dal momento che ne consegue una maggiore freschezza delle carni e un cibo più salubre. Le ricette di Artusi mettono insieme piatti della cucina borghese e popolare. Vengono utilizzati ingredienti semplici, dai forti legami con la cucina contadina. Si realizza pertanto il superamento delle distinzioni tra classi sociali a tavola. Artusi riassume l’essenza della vera cucina italiana. Utilizza ingredienti semplici e poveri, se si pensa al costo in termini monetari. A questi aggiunge la cura e la dedizione nella preparazione delle ricette. Somma, poi, le conoscenze che arrivano

da tradizioni popolari di diverse regioni d’Italia. Infine, completa con degli abili trucchi, per esaltare il piatto agli occhi dei commensali. Per dar risalto a questa opera straordinaria, su Pappablog. it abbiamo pensato bene di creare una sezione dedicata interamente a Pellegrino Artusi. Anche per riattualizzare il suo progetto. E anche perché, più semplicemente, vista la nostra attenzione all’età neonatale, gran parte delle ricette si possono considerare adatte allo svezzamento, come, altrettanto sicuramente, si rivelano essere delle ottime preparazioni per i pasti di tutta la famiglia.

L’olio di oliva nelle ricette di Pellegrino Artusi Analizzando le 788 ricette contenute nel celebre libro di Artusi, abbiamo preso nota in quante di esse veniva citato e pertanto utilizzato l’olio di oliva. L’autore ricorre tra l’altro a diverse denominazioni per classificare l’olio di oliva, distinguendolo in buono, fine, finissimo, sopraffine. Ed ecco, nel dettaglio, l’accurata distinzione degli oli di oliva secondo la classificazione merceologica che ne fa Pellegrino Artusi, con le relative ricette in cui questo prezioso liquido grasso veniva consigliato.


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Olio di oliva, in senso generico (377) Olio buono (5) Olio fine (7) Olio finissimo (2) Olio sopraffino (3) Tipologia olio di oliva

Numero Ricetta

Titolo ricetta

Olio buono

100 108 128 246 504

Spaghetti alle acciughe Crostini di capperi Salsa piccante Carciofi in teglia Ranocchi alla fiorentina

Olio fine

119 131 156 212 363 476 526

Salsa verde Salsa per pesce in granella Pastella per frittura Castagnole Vitello tonnato Arigusta Arrosto morto

Olio finissimo

74 450

Risotto nero con le seppie alla fiorentina Sparagi

Olio sopraffino

118 454 598

Baccalà Montebianco Insalata russa Stiacciata alla livornese


“Friggetele nell’olio, se lo avete eccellente, altrimenti nel lardo o nel burro”

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L’utilizzo dell’olio nelle ricette di Artusi Per condire a crudo L’utilizzo dell’olio nell’insalata è molto frequente nelle ricette di Artusi. Lo scrittore, ironizzando, sostiene come certi cuochi di cattivo gusto presentino insalate composte di tanti intrugli da dover raccomandare il giorno appresso l’olio di ricino o l’acqua ungherese! Il suo modello d’insalata e quella che oggi possiamo definire classica: “Prendete insalata romana o lattuga, tagliatela a strisce larghe un dito, mescolateci barbabietole e patate lesse tagliate a fette sottili, alcune acciughe lavate, nettate dalla spina e tagliate in quattro o cinque parti, ed infine pesce lesso a pezzetti. Potete aggiungere al più alcuni capperi e la polpa di due o tre olive indolcite. Condite ogni cosa insieme con sale, olio e non molto aceto, rivoltatela onde prenda bene il condimento ed ammucchiatela tutta insieme che faccia la colma”. (Ricetta n. 251) Per le cotture brevi L’olio di oliva serve per realizzare i soffritti o battuti base per sughi di carne o pesce, per molti tipi di pasta o risotti, per contorni quali verdure stufate, per secondi tipo spezzatino o carne brasata, e per secondi di pesce. Il battuto di verdure funge da base per il soffritto. “Ponete un tegame al fuoco con olio a buona misura e due spicchi d’aglio interi sbucciati; quando questi saranno ben rosolati gettateli via e aggiungete all’olio sugo di pomodoro, o conserva sciolta nell’acqua e anche qui un altro poco di sale e pepe; bollito che abbia alquanto, versate anche questo condimento nella pentola ov’è la broda e il cavolo”. (Ricetta n. 59) “Fate un battuto alquanto generoso con cipolla, aglio, prezzemolo, carota, sedano e mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe”. (Ricetta n. 65) “Tritate minutamente due cipolle non grandi, o meglio una sola e due spicchi d’aglio, e ponetele al fuoco in una cazza-

ruola con olio finissimo e in abbondanza ponetele al fuoco con olio buono in abbondanza e una presa di pepe”. (Ricetta n. 74) Per le cotture lunghe L’olio di oliva risulta fondamentale nelle cotture lente, sia perché permette di rosolare gli ingredienti in un primo passaggio, sia perché si degrada molto lentamente anche quando si abbassano le temperature e si continua a cuocere per lungo tempo. Per friggere Secondo Artusi: “Ogni popolo usa per friggere quell’unto che si produce nel proprio paese. In Toscana si dà la preferenza all’olio, in Lombardia al burro e nell’Emilia al lardo che vi si prepara eccellente, cioè bianchissimo, sodo e con un odorino di alloro che consola annusandolo”. (Ricetta n. 209) La minestra di Krapfen. Questa è presente tra l’altro nella sezione di Pappablog dedicata a Pellegrino Artusi. “Friggetele nell’olio, se lo avete eccellente, altrimenti nel lardo o nel burro”. (Ricetta n. 17) Per la cottura al forno Sono molte le ricette di Artusi che prevedono la cottura al forno, tanto da fargli affermare: “Se io sapessi chi inventò il forno vorrei erigergli un monumento a mie spese”. (Ricetta n. 525) Per preparare i dolci L’olio d’oliva viene consigliato in sostituzione del burro, per preparare dolci di ogni tipo, perché è una scelta non solo salutare, ma anche di miglior cottura e conservazione.


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Gli oli di oliva monovarietali e le ricette di Artusi oggi In un confronto immaginario fra Artusi e i produttori di oli italiani cosa potremmo aspettarci? Artusi sarebbe stato sicuramente un’efficiente stratega, e avrebbe con certezza valorizzato gli oli monovarietali, consigliandone un utilizzo appropriato. D’altra parte, in cucina l’olio ricavato dalle olive è un ingrediente fondamentale per valorizzare ogni ricetta. Gli oli monovarietali esistevano già nell’Ottocento, caratterizzavano gli oli regionali di quel periodo, seppure in modi necessariamente diversi da come vengono presentati e utilizzati oggi. Tali oli hanno giocato da sempre un ruolo importante nel creare sensazioni ed emozioni nella preparazione di un particolare piatto. Non vi è dubbio che la scelta di un particolare olio possa trasferire alla preparazione culinaria sensazioni olfatto-gustative-tattili interessanti, capaci di armonizzarsi o di contrapporsi gradevolmente con il piatto stesso. Oggi grande merito va dato al lavoro del Panel Amap Marche, che con la collaborazione dell’Istituto per la Bioeconomia del Cnr di Bologna ha elaborato e classificato gli oli monovarietali italiani in tipologie distinguibili anche dai consumatori meno esperti. È stato infatti creato uno strumento utile per far conoscere e comprendere le caratteristiche sensoriali e le potenzialità di questa meravigliosa tipologia di oli. Sono stati valutati undici attributi: fruttato di oliva, erba/ foglia, mandorla verde, carciofo, pomodoro, mela, frutti di bosco, erbe aromatiche, amaro, piccante e fluidità.

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Tipologie sensoriali Oli caratterizzati da un livello medio di fruttato, un livello medio-leggero di amaro e piccante, con sentore prevalente di mandorla fresca e leggere sensazioni di erba/foglia e carciofo.

Oli caratterizzati da un livello medio/intenso di fruttato, amaro e piccante, con sentore prevalente di mandorla fresca e leggere sensazioni di erba/foglia e carciofo.

Oli caratterizzati da un livello medio di fruttato, amaro e piccante e da una particolare sensazione di frutti di bosco.

Oli caratterizzati da un livello medio-intenso di fruttato, un livello medio di amaro e piccante, con sentori prevalenti di erba/foglia e pomodoro e leggere sensazioni di carciofo e mandorla fresca.

Oli caratterizzati da un livello medio/intenso di fruttato, un livello medio di amaro e piccante, con sensazioni erbacee prevalenti e leggeri sentori di carciofo, mandorla fresca e pomodoro.

Oli caratterizzati da un livello medio-intenso di fruttato, amaro e piccante, con sentori prevalenti di erba/foglia, carciofo e mandorla fresca, con leggere sensazioni di pomodoro.


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Ricetta

Una ricetta oliocentrica emblematica: il vitello tonnato


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Il termine potrebbe far pensare a un francesismo, ma anche a un’influenza dialettale presa dal piemontese, dal lombardo, dall’emiliano, dal veneto, terre che, da sempre, si contendono la paternità di questo piatto della nostra tradizione gastronomica. Il primo fu Artusi, che riuscì a imporlo dal Piemonte alla Sicilia come “piatto nazionale”, insieme a numerose altre ricette come i crostini di fegatini di pollo, gli spaghetti col pomodoro, gli gnocchi, il risotto alla milanese, le scaloppine al marsala, le crostate di frutta e la zuppa inglese. Il vitello tonnato è una ricetta oliocentrica per eccellenza, anche ai tempi di Artusi, perché nella sua ricetta ricorreva proprio all’olio di oliva fine. Possiamo supporre che doveva trattarsi di un olio ricercato e di qualità eccellente. Oggi per questa ricetta si consiglia di utilizzare l’olio extra vergine di oliva dal fruttato medio. Prima di Pellegrino Artusi, nessuno aveva mai pubblicato la ricetta del vitello tonnato. Fu lui a codificarla per la prima volta, citandola alla voce “antipasto” del suo libro. Ciò non significa che il suo piatto non fosse popolare, ma va precisato che i ricettari erano redatti per chi sapeva leggere e a quell’epoca si trattava di poche persone. In realtà il vitello tonnato era molto diffuso tra il popolo, proprio perché era fatto con carne di scarto e si poteva cucinarlo in anticipo. L’uso del tonno non può essere precedente al 1870-80 perché è proprio in quegli anni che nasce il tonno in scatola. Il merito della diffusione del tonno in scatola è tutto del siciliano Ignazio Florio, il quale divenendo tra i più importanti e influenti industriali dell’Ottocento, creò, nell’isola di Favignana, la fabbrica dove si lavorava sia il tonno, sia altro pescato. Il tonno veniva confezionato sott’olio, in pratiche scatole di latta che erano poi commercializzate in tutta Italia direttamente con le navi della flotta Florio. I capperi, invece, erano già presenti nelle salse del Settecento. L’essere salati ne permetteva la conservazione, il commercio e l'uso in cucina.


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Vitello tonnato Ingredienti — 1 kg di vitellina da latte in un unico pezzo (girello) — 2 acciughe sott’olio — 1/4 di cipolla — 1 foglia di alloro — 1 costa di sedano — 1 carota — qualche foglia di prezzemolo Ingredienti per la salsa tonnata — 200 g di tonno in scatola — 2 acciughe sott’olio — succo di mezzo limone — un pugnetto di capperi — olio extra vergine di oliva dal fruttato medio, q.b. — qualche mestolo di brodo Tempo di preparazione 90 minuti

Preparazione del vitello Dividere le due acciughe in otto pezzi. Praticare delle incisioni nel vitello e inserire i pezzi di acciughe. Mettere il pezzo di vitello in una rete per arrotolati. In una pentola capiente si versa dell’acqua abbondante. Si aggiunge la cipolla, l’alloro, il sedano, la carota e il prezzemolo. Si pone la pentola sul fuoco e si attende che l’acqua bolla, prima di aggiungere la carne che deve essere completamente sommersa. Si fa cuocere per un’ora e mezza. Si toglie la carne dal brodo, ponendola su un piatto e facendola raffreddare. Si taglia la carne a fette sottili. Si consiglia di utilizzare un’affettatrice, in modo da ottenere fette molto sottili e tutte uguali. Preparazione della salsa tonnata Nella ricetta originale di Pellegrino Artusi la salsa tonnata viene preparata tagliando gli ingredienti a coltello e passandoli attraverso un setaccio. Durante la preparazione veniva aggiunto l’olio e il succo di limone. Noi vi consigliamo di prepararla in modo facile, con un frullatore a immersione. È sufficiente riporre nel bicchiere di un frullatore a immersione il tonno sott’olio, le acciughe, i capperi, il succo di mezzo limone e frullate. Si aggiunge gradualmente l’olio extra vergine di oliva, continuando a frullare fino a ottenere una salsa cremosa ma molto densa. Si aggiunge infine qualche mestolo di brodo, in modo che la salsa sia cremosa, ma meno densa, e anche dal sapore meno forte. Preparazione del piatto Si dispongono le fette di vitello sul piatto di portata, si aggiunge la salsa e si fa insaporire per qualche ora. Si consiglia di ornare il piatto con qualche cappero, qualche spicchio di limone e qualche rametto di erbe aromatiche fresche. Conservazione Il vitello tonnato può essere conservato in frigo per 24 ore. Non occorre riscaldarlo prima di servirlo. È possibile anche congelare le fettine di vitello (senza la salsa). Poi si scongelano, si prepara la salsa tonnata e si condiscono le fettine. Si lascia infine un po’ insaporire, prima di servire. Consigli Il vitello tonnato è un secondo piatto ottimo per tutta la famiglia. La salsa tonnata nella ricetta originale di Artusi non prevede l’utilizzo di uova sode. Se si preferisce una salsa più dolce e corposa si consiglia di aggiungere nel bicchiere del mixer, insieme agli altri ingredienti, il tuorlo di tre uova sode. Si frulla con gli altri ingredienti, fino a ottenere una salsa cremosa. Per la preparazione della salsa tonnata si consiglia un olio dal fruttato medio. È quello che più si avvicina all’olio fine presente nella ricetta di Pellegrino Artusi. Con il brodo avanzato è possibile preparare un ottimo risotto.


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Verde musicale

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Il suono degli olivi di Alberto Fachechi

Il progetto “Verde musicale” è nato principalmente con lo scopo di ascoltare la voce della macchia mediterranea e fruire di una musica naturale proveniente direttamente dalle piante. Una naturale evoluzione del progetto vede protagonisti anche gli ulivi del Salento, decimati dal batterio Xylella fastidiosa.


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olti studi scientifici hanno evidenziato le dinamiche comportamentali e biologiche che permettono alle piante di comunicare. Queste possiedono oltre quindici sensi per percepire la realtà che le circonda e scambiare informazioni anche in relazione all’ambiente in cui vivono. I segnali elettrici delle piante possono essere convertiti in musica grazie alla quale possiamo renderci conto di quanto esse siano reattive alla nostra presenza e generino musica diversa in ogni situazione della giornata. Il progetto “Verde musicale” è nato principalmente con lo scopo di ascoltare la voce della macchia mediterranea e fruire di una musica naturale proveniente direttamente dalle piante. Una naturale evoluzione del progetto vede protagonisti anche gli ulivi del Salento, decimati dal batterio Xylella fastidiosa. Alcuni coraggiosi olivicoltori hanno continuato a prendersi cura dei propri alberi, che oggi riscoprono in salute, mentre numerosi sono gli ulivi abbandonati che vogliono tornare a vivere. E noi abbiamo voluto sentire la voce di questi ulivi mentre chiedono di essere salvati e curati e ai quali abbiamo chiesto di suonare per noi. Tutto questo è possibile grazie a Plants Play, un particolare dispositivo che permette di relazionarci con il regno vegetale. Il congegno è in grado di captare la variazione di impedenza elettrica delle piante, o degli alberi, tramite due sensori che vengono posizionati sulle foglie o sul tronco dell’albero, e, tramite un algoritmo, questo apparecchio è in grado di convertire l’impedenza elettrica in note musicali, con una polifonia che può arrivare a un massimo di cinque note in contemporanea. Le frequenze generate dalla pianta vengono registrate e inviate all’apposita App per smartphone per poi essere composte in una forma musicale. Il risultato è una melodia che può essere ascoltata dal vivo, utilizzando un’ampia varietà di strumenti ed effetti audio, e può essere registrata e condivisa sui propri social network. In poche parole, dopo l’applicazione degli elettrodi la pianta diventa il “compositore” che genera le note musicali, e lo smartphone invece ne è “l’esecutore” che suona le note generate dalla pianta inviategli dal dispositivo, mentre infine l’uomo è il “direttore d’orchestra” che ha la facoltà di scegliere quali regole può seguire la pianta per generare la musica. Grazie a questo tipo di dispositivo, è come se avessimo un senso in più per relazionarci con il regno vegetale. Con il progetto “Verde musicale” la musica delle piante si inserisce nelle discipline che ricercano il benessere psico-fisico dell’essere umano: musicoterapia, massaggi, centri estetici e spa, yoga e meditazione. Musicisti e artisti, di ogni genere e disciplina, possono beneficiare di questa tecnologia per creare performance a tema, arricchire spettacoli live ed espandere le loro possibilità di composizioni artistico-musicali.


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Margareth Madè

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Nel marzo 2023 sul palco di Olio Officina Festival abbiamo avuto il piacere di ospitare l’attrice Margareth Madè nelle inedite vesti di olivicoltrice, premiata per i suoi oli prodotti in Sicilia, dove lei è nata e ha le sue radici.

di Luigi Caricato foto di Salvo Alibrio

Camminando tra gli olivi

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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

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«Mi sembra di ricevere un David di Donatello – ha detto – visto che vengo dal cinema e mi ritrovo in un contesto così meraviglioso, dedicato all’olio extra vergine di oliva». Da dove sarà nata l’idea di produrre olio? «Dal grande amore per la mia terra», ci confida. «Essendo siciliana, e avendo un uliveto di proprietà che si affaccia da una parte sul barocco di Noto, dall’altra sull’oasi di Vendicari, verso la costa sud-orientale, il legame che ho con la tradizione è così forte da non poterlo certamente trascurare. Ho tanti ricordi, ancora vivi. Da piccola facevo merenda con pane e olio, il pane cunzato. E mia nonna era così presa dal realizzare anche il sapone all’olio, cosa che faccio anch’io, per me e per le mie bambine. All’inizio l’olio lo producevamo solo per noi, per la nostra famiglia. Poi è diventato un atto d’amore nei confronti della mia terra, una sorta di ritorno alle origini, l’occasione anche per lanciare un messaggio di speranza e di fiducia per il territorio, ma anche per l’olio extra vergine di oliva, visto l’alto valore intrinseco che gli appartiene ma che non sempre viene gli riconosciuto così come meriterebbe». E il cinema? Anche l’Italia potrebbe dare spazio e visibilità all’olivo e all’olio così come è avvenuto con il film Un’estate in Provenza di Rose Bosch, con Jean Reno e Anna Galiena. «Sì, il cinema racconta storie, e sicuramente l’ambientazione tra gli olivi si presta molto al racconto. Io per esempio ho interpretato Mannina, nel film Baaria di Giuseppe Tornatore. Ero la protagonista femminile, e ricordo molto bene la scena della raccolta delle olive. Ecco, la pianta dell’olivo, la sua coltivazione, l’estrarre l’olio dalle olive, sono tutti elementi che si ritrovano in diversi film, magari non in modo approfondito, ma in ogni caso l’olivo è presente sulla scena, in tanti racconti, in tante sceneggiature. Sicuramente meriterebbe tuttavia un film dedicato, come già è accaduto in più occasioni per il vino».


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