La palestra dello scrittore Il ritmo e il movimento a cura di Enrico Valenzi
La palestra dello scrittore. Il ritmo e il movimento. a cura di Enrico Valenzi Prima edizione 2005 Seconda edizione luglio 2010 Š Omero, Roma 2010. Tutti i diritti riservati. www.omero.it www.omeroeditore.it Isbn: 978-88-901869-0-5 Illustrazione di copertina di Flavia Brandi Impaginazione e graďŹ ca di Luigi Annibaldi
Indice
Premessa
7
Lezione 1 - Prime definizioni del ritmo e del movimento
9
Ritmo e movimento nel racconto Una pallottola nel cervello di Tobias Wolff. Esercizi 1 e 2 - Composizioni con cambio di ritmo e di senso Lezione 2 - Ritmo e movimento nella descrizione Ritmo e movimento nei racconti La cena di Clarice Lispector e La morte non è la fine di David Foster Wallace. Esercizio 3 - Scrivere un brano di pura descrizione Lezione 3 - Ritmo e movimento nel dialogo (prima parte) Ritmo e movimento nei racconti Due amici di Guy de Maupassant, La cintura da ufficiale di Sergej Dovlatov, Una vera bambola di A. M. Homes e nel romanzo di Jerzy Kosinski Oltre il giardino. Esercizio 4 - Duellare con i dialoghi famosi della letteratura Esercizio 5 - Gli oggetti ci parlano Lezione 4 - Ritmo e movimento nel dialogo (seconda parte) Ritmo e movimento nel racconto La mia vita in un casino del Texas di Charles Bukowski, nel poema epico La maschera di scimmia di Dorothy Porter, nel romanzo Vita e opinioni di Tristram Shandy di Laurence Sterne, nel romanzo epistolare Le relazioni pericolose di Pierre Choderlos de Laclos. Esercizio 6 - Scegliere due dialoghi e proseguirli per una ventina di battute
13 22
25 26 31 34
35 36 40 43 46 48 49
51 53 54 54 57 59
Esercizio 7 - Trasformare lo scambio epistolare dei protagonisti de Le relazioni pericolose in un botta e risposta via e-mail Lezione 5 - Ritmo e movimento nel monologo Ritmo e movimento nei romanzi Il male oscuro di Giuseppe Berto, Almost blue di Carlo Lucarelli, Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, 54 di Wu Ming, nella raccolta di finte interviste Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace. Esercizio 8 - Scrittura di “prima intensità” di un monologo Lezione 6 - Ritmo e movimento nel racconto fantastico-surreale Ritmo e movimento nel racconto Un incrocio di Franz Kafka, nel racconto epistolare Lettera a una signorina a Parigi di Julio Cortázar. Esercizio 9 - Scrivere due incipit di massimo 10 righe per due possibili racconti fantastici. Esercizio 10 - Inventare un animale fantastico
Piccolo zoo fantastico Lo squonk (Lacrimacorpus dissolvens) di Jorge Luis Borges Lo psicotarlo di Marco Papa L’antivampiro di Marco Papa Zio Cri (Il Cugino Del Grillo Saggio Di Pinocchio) di Massimo Mongai Il Gaarg di Massimo Mongai Lezione 7 - Ritmo e movimento nell’uso delle parole Ritmo e movimento nel racconto La passeggiata di Tommaso Landolfi, nel romanzo Il gioco del mondo di Julio Cortázar, negli Esercizi di stile di Raymond Queneau, nella traduzione degli Esercizi di stile di Umberto Eco. Esercizio 11 - Descrivere una scena forte, sia dal punto di vista drammatico che dell’impatto visivo, utilizzando una lingua inventata da voi, una specie di grammelot o di glíglico.
59
61 63 65 67 68 69 71
73 75 78 82 82
83 83 83 84 84 84
85 86 88 89 92
Premessa
Rispetto al nostro precedente manuale di scrittura creativa, intitolato anch’esso La palestra dello scrittore, questo volume ha diversi punti di continuità didattica e divulgativa. Qui, come nel primo volume, i capitoli sono definiti sotto forma di lezioni. Anche in questo caso i testi che compongono il libro vengono utilizzati da tempo come materiale didattico all’interno delle aule della scuola Omero e delle aule universitarie. L’aspetto laboratoriale del libro è evidenziato ancora una volta dalla presenza in coda a ogni singola lezione di un bel numero di esercizi di scrittura. Però questa è solo la prima chiave di lettura del libro che possiamo riassumere così: si tratta di un corso avanzato di narrativa, con esercizi tecnicamente “acrobatici” e, speriamo, molto divertenti da svolgere. Ma nel sottotitolo, che è presente nella copertina del volume con la dizione Il ritmo e il movimento, abbiamo voluto sottolineare un elemento di novità importante: stavolta proviamo a indicare la possibilità di una linea creativa prevalente da assegnare, sia nell’ambito della scrittura che in quello della lettura, a una coppia di elementi della struttura narrativa a loro modo inscindibili e fondamentali come il ritmo e il movimento. E diamo un’attenzione particolare a questo binomio basilare della narrativa attraverso un ampio ventaglio di modalità di utilizzo: il ritmo e il movimento nella descrizione, nel dialogo, nel monologo, nel racconto fantastico, nelle singole parole. Tantissimi gli esempi testuali presenti nel libro, con citazioni provenienti da racconti e romanzi di valore assoluto, e riguardanti sia la letteratura classica che la letteratura che classica magari lo sarà domani. Buona lettura e buona scrittura.
7
La danza in tutte le sue forme non può essere esclusa da una nobile educazione; danzare con i piedi, con le idee, con le parole, e devo aggiungere che bisogna essere capaci di danzare con la penna? Friedrich Nietzsche
Lezione 1 Prime definizioni del ritmo e del movimento
Benvenuti al corso di narrativa proposto dalla Scuola Omero e intitolato Il ritmo e il movimento. Scopo del corso è quello di riuscire a farvi produrre, poco alla volta, dei testi letterari compiuti in cui risuonino e agiscano il ritmo e il movimento più congeniali alle vostre voci narrative. Prima di entrare nel vivo del laboratorio è bene darvi un minimo di istruzioni per l’uso intorno a questo libro. Intanto vi anticipiamo che la scelta dei testi letterari inseriti nelle sette lezioni che seguono è caduta spesso su autori vicini ai nostri giorni. Autori che noi di Scuola Omero consideriamo, con una formula un po’ azzardata, “i classici di domani”. Ossia autori e testi che, se letti tra dieci, venti, trent’anni e oltre, crediamo possano mantenere inalterata la loro bontà letteraria. Abbiamo deciso di portare diversi esempi della narrativa attuale perché è proprio con questa narrativa che si può equivocare più facilmente sulla “presa” e sull’efficacia del ritmo e del movimento. In molti casi l’attualità letteraria può essere cattiva consigliera e far risultare orecchiabile e interessante ciò che in realtà è assemblato con tagli narrativi pieni di scorciatoie e astuzie stilistiche. Pensiamo perciò che, isolando dal frastuono del presente delle voci uniche e originali, possiamo dare un contributo a tutti gli appassionati di narrativa proponendo dei nostri punti di riferimento artistico. Crediamo che poi, una volta fatta l’esperienza sulle narrazioni recenti, si possa risalire con bella autonomia ai classici del passato (presenti in buon numero nel nostro libro) per affinare ulteriormente le proprie capacità di ritmo e movimento. Altra indispensabile avvertenza sull’utilizzo di questo libro riguarda gli esercizi assegnati alla fine di ogni lezione. Questi esercizi possono sembrare azzardati e spericolati. Beh, forse lo sono. Però pensiamo che la loro miscela di rischio e fantasia sia appropriata per liberare, senza riserve, ogni vostra voglia e sentimento espressivo. D’altronde più elementi della vostra personalità farete sprigionare dalle composizioni assegnate e più se ne arricchirà la vostra stessa scrittura.
9
Prime definizioni del ritmo e del movimento
Prime definizioni di ritmo Il ritmo e il movimento in narrativa si possono definire come l’insieme dei passi, più o meno rapidi e più o meno intricati, che l’autore compie attraverso le trame, i personaggi e gli ambienti delle sue storie. Il ritmo è l’aspetto più elementare da isolare in una narrazione. Semplificando, si può dire che il ritmo ha a che vedere con le scelte dell’autore rispetto al proprio modo di periodare. È chiaro che periodi lunghi, carichi di aggettivi e avverbi, pieni di subordinate e con pochi punti fermi, portino la narrazione a un ritmo lento e articolato. Per contro è anche evidente che un’impostazione narrativa fatta di tanti periodi brevi, composti solo di proposizioni principali, asciugati di aggettivi e avverbi, spinga il racconto a un ritmo cadenzato e brevilineo. Fin qui tutto troppo facile come primo tentativo di definizione di ritmo. È ora di complicarci un po’ la vita. Il ritmo nella narrazione è dato anche da una serie di parti del discorso combinate tra loro che concorrono a dargli un corpo e quindi a innalzare o ad abbassare la velocità di fruizione narrativa e di conseguenza a segnare l’intero scorrere ritmico di un testo. Queste parti possono essere: la complessità o semplicità dell’intreccio; l’altezza o la bassezza delle disquisizioni dei personaggi; il multilinguismo o al contrario l’uso di una lingua omogenea e compatta; la scelta di una lingua letteraria raffinata o invece di una lingua media; la specializzazione tecnica di un testo o la sua genericità; i continui cambi di ritmo narrativo o invece la costanza della cadenza; ecc. Su tutto però è fondamentale che l’autore provi il massimo piacere nell’esprimere proprio quel particolare ritmo che si forma nelle sequenze date dalle sue parole. Se l’autore per primo prova delle belle sensazioni nell’attaccare una storia con un certo passo anche al lettore arriverà la spinta ad abbandonarsi all’andamento ritmico del tutto.
Prime definizioni di movimento Il movimento è dato dall’insieme dei rapporti che si creano tra il ritmo e la trama, tra il senso della storia e l’arco di sviluppo dei periodi. Se il movimento funziona, ossia se l’autore rispetta e centra le proporzioni tra le parti drammaturgiche (e cioè l’autore riesce a trovare un giusto rapporto tra incipit, centro e finale di storia) non è però ancora detto che l’aspetto ritmico sia ben realizzato. È il caso della prima
10
Lezione 1
stesura del Talento di Mister Ripley di Patricia Highsmith. Ecco cosa ci dice in proposito la grande scrittrice americana di gialli: Ho cominciato a scrivere il libro con un umore bucolico e sembrava procedere bene. Ma a pagina 75 cominciai a sentire che la mia prosa era rilassata come me, direi quasi flaccida, e che un’atmosfera rilassata non era quella adatta per il signor Ripley. Decisi di stracciare tutto e ricominciare da capo, sia mentalmente che fisicamente in bilico sul bordo della sedia, perché Ripley è questo tipo di giovanotto – un giovanotto in bilico sulla sedia, se pure si siede.
Al contrario, se il ritmo funziona, non è detto che l’autore riesca nell’obiettivo di dare il giusto sviluppo drammaturgico alla storia. Se l’autore si incanta a seguire un ritmo, le sonorità, la lingua che usa e non fa procedere nei modi e nei tempi giusti la storia, il senso del discorso e le sue connessioni col ritmo potrebbero spezzarsi portando fuori sintonia il movimento generale della composizione. Sul ritmo che va a discapito del senso della storia ecco quello che ci scrive Lu Ji ne L’arte della scrittura, scritto nel III° secolo d.C.: A volte ritmi e armonie dominano e lo scrittore si lascia sedurre. E il cattivo musicista suona più forte per nascondere le imperfezioni. I falsi sentimenti sono uno schiaffo in pieno volto alla grazia.
Insomma, dopo questi primi ragionamenti, ci si può arrischiare a dire che ritmo e movimento sono uno il riflesso dell’altro. Il ritmo rappresenta la parte più primitiva, più intuitiva e lirica di uno scrittore. Il movimento è l’elaborazione più mediata e articolata di una serie di elementi che partono dal ritmo fino ad arrivare al significato profondo che si vuole dare alla storia. Il vero problema, per amalgamare al meglio tutte le parti che compongono il movimento della narrazione, sta nel trovare equilibrio tra le parti pulsanti e interne della storia e quelle formali esterne. Ecco alcune riflessioni d’autore sul rapporto tra le diverse parti narrative: Italo Calvino Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. Nella mia predilezione per l’avventura e la fiaba cercavo sempre l’equivalente di un’energia interiore, di un movimento della mente. Ho puntato sull’immagine, e dal movimento che
11
Prime definizioni del ritmo e del movimento
l’immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che non si può parlare d’un risultato letterario finché questa corrente dell’immaginazione non è diventata parola. Come per il poeta, la riuscita sta nella felicità dell’espressione verbale, che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del mot juste, della frase in cui ogni parola è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile.
Ecco ora un altro contributo sulle relazioni esistenti tra parti narrative diverse che possono dare movimento e vita a un’opera letteraria: Marcel Proust Quel che noi chiamiamo ‘realtà’ è un certo rapporto tra quelle sensazioni e i ricordi che ci circondano simultaneamente, rapporto unico che lo scrittore deve ritrovare, se vuol concatenare per sempre nella sua frase i due termini differenti. In una descrizione possiamo elencare indefinitamente gli oggetti presenti nel luogo descritto; ma la verità comincerà solo quando lo scrittore avrà preso due oggetti differenti, ne avrà stabilito il rapporto e lo avrà saldato con gli anelli necessari dello stile; o meglio, come la vita stessa, quando, riaccostando una qualità comune a due sensazioni, ne avrà liberato l’essenza comune, riunendole insieme, per sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora.
Inevitabilmente con Calvino e Proust sono entrati in ballo (a proposito di ritmo e movimento) concetti letterari decisivi come la scelta della parola giusta e la capacità di mettere in contatto narrativo oggetti molto diversi tra loro. Ma il ritmo e il movimento in un testo scritto lo trasmettono anche altri fattori, solo apparentemente più superficiali, come ad esempio la disposizione delle parole sulla pagina. Ecco cosa ci dice Stephen King a proposito del ritmo e del “colpo d’occhio” che la nostra scrittura è in grado di offrire al lettore: Aprite un libro di narrativa a caso e guardate un paio di pagine. Osservatene la composizione, le righe tipografiche, i margini, e soprattutto gli spazi bianchi dove cominciano e finiscono i paragrafi. Siamo in grado di giudicare senza leggere se il libro che abbiamo scelto sarà facile o difficile, giusto? I libri facili hanno molti paragrafi brevi, in special modo paragrafi di dialogo che possono essere di solo una o due parole in tutto, e un sacco di spazio bianco. Sono ariosi come i coni gelato della Daury Queen. I libri difficili, quelli pieni di idee, narrazione o descrizioni, hanno un aspetto più ponderoso. Un’aria densa.
12
Lezione 1
I paragrafi sono importanti per come appaiono quasi quanto per quel che dicono; sono manifesti. È la cadenza ritmica del racconto a stabilire dove ciascuno comincia e finisce. Io sono pronto ad affermare che è il paragrafo e non la frase l’unità di base della scrittura, il luogo dove si fonda la coerenza e le parole hanno la possibilità di diventare qualche cosa di più di semplici vocaboli. Se deve esserci un momento di accelerazione, esso si manifesta a livello di paragrafo. Bisogna imparare a usarlo bene se si vuole scrivere bene. Questo significa molto esercizio: bisogna imparare il ritmo.
Adesso è tempo di entrare concretamente in una narrazione per vedere da vicino quali strategie, relative a ritmo e movimento, possa adottare uno scrittore in un racconto breve. L’esempio scelto è il bellissimo racconto Bullet in the brain, Una pallottola nel cervello, di Tobias Wolff, pubblicato il 25 settembre 1995 sul “e New Yorker Magazine”, e poi nella raccolta intitolata e night in question, 1996, Proprio quella notte, ed. Einaudi Stile libero, 2001, traduzione di Laura Noulian, pag 217-223.
Il ritmo e il movimento nel racconto “Una pallottola nel cervello” Sul racconto Una pallottola nel cervello c’è un aneddoto tutto di marca omerica (nel senso della nostra scuola di scrittura Omero) che, pur correndo il rischio di risultare troppo autoreferenziali, pensiamo valga la pena di raccontare in questa sede. Se non altro perché questo racconto è davvero esemplare nel mostrarci quanto il ritmo e il movimento siano tra gli elementi decisivi di quel patto ideale che in ogni nuova produzione letteraria si viene a creare tra scrittore e lettore. Un giorno del febbraio 2001 Fabio Cozzi, collaboratore di vecchia data della nostra rivista web www.omero.it, ci invia per posta elettronica la segnalazione di un libro di racconti appena usciti per la collana Stile Libero della Einaudi e scritti da un certo Tobias Wolff, autore americano contemporaneo. L’articolo naturalmente era inviato alla nostra redazione con lo scopo di essere pubblicato su Omero.it. All’arrivo della mail, contenente ampie parti del racconto Una pallottola nel cervello, mi trovavo per caso davanti al computer col mio amico e direttore di Omero.it Paolo Restuccia e così per deformazione professionale abbiamo deciso di leggerci subito la novità letteraria, abbandonando ogni nostra altra attività. Dopo aver assaporato, si fa per dire, le prime 20-30 righe del racconto ci siamo guardati con la stessa espressione tra l’idiota e l’amareggiato che hanno i lettori quando si stanno domandando, con un libro appena comprato in mano, “ma chi e perché ha pubblicato ciò?”. Ora, per ricreare la
13
Prime definizioni del ritmo e del movimento
nostra stessa situazione di partenza, ecco anche per voi, amici lettori, le prime righe del racconto di Wolff. Ci si rivedrà tra qualche riga per scambiarci le prime impressioni:
Una pallottola nel cervello Anders non riuscì ad arrivare in banca che qualche istante prima della chiusura, ragion per cui ovviamente c’era una fila che non finiva più e lui si ritrovò bloccato dietro due donne la cui stupida e rumorosa conversazione gli urtò subito i nervi. In ogni caso, la sua disposizione d’animo non era mai delle migliori. Anders era un critico letterario noto per l’elegante e noncurante ferocia con cui stroncava qualsiasi libro gli capitasse di recensire. Con una coda che ancora doppiava il corrimano, uno dei cassieri, una donna, espose la targhetta CHIUSO davanti al suo sportello e si ritirò in fondo alla banca, si appoggiò a una scrivania e iniziò a chiacchierare animatamente con un altro impiegato che intanto maneggiava delle carte. Le due donne davanti ad Anders interruppero la conversazione e guardarono con odio la cassiera. – Oh, gentile la signorina, – disse una. Poi si girò verso Anders e aggiunse, sicura del suo appoggio: – Ecco un esempio di quella cortesia per cui questa banca va famosa. Anders aveva sviluppato un suo personale e violentissimo odio verso la cassiera, ma immediatamente lo rivolse sulla presuntuosa e piagnucolosa donnetta davanti a lui. – Oh, in che mondo viviamo, – disse. – Quante tragiche ingiustizie! Se non ti amputano la gamba sbagliata, se non ti bombardano il paesello natio, ti chiudono lo sportello sotto il naso! Lei non si lasciò scoraggiare. – Non ho detto che era una tragedia – ribatté. – Dico solo che è un pessimo modo di trattare i clienti. – È imperdonabile – rimbeccò Anders. – In Cielo ne prenderanno nota.
Il ritmo e il movimento nel primo atto Ecco, quella che avete adesso è proprio la stessa espressione nebbiosa che Paolo Restuccia e io abbiamo avuto nel febbraio 2001 dopo aver letto l’incipit del racconto di Wollf. Perché ci troviamo in questo stato? Perché il movimento del primo atto è dominato da una fiacchezza di senso disarmante. I personaggi sono costretti all’immobilismo tipico di una fila che non scorre per il cattivo servizio di una banca. Ci viene riferita dall’autore, in terza persona, la solita sequenza di scaramucce verbali che si sviluppano in queste situazioni di stress. Solo uno scrittore che sa quanto forte sarà lo sviluppo del suo racconto può rischiare un attacco così flebile nei confronti del lettore. Lettore che continua a leggere, e così facemmo io e Paolo,
14
Lezione 1
solo sulla fiducia. Fiducia nel nostro collaboratore e pure, bisogna confessarlo, nell’Einaudi che ha pubblicato il libro. Un lettore comune non può credere che la storia che hanno pubblicato e che sta leggendo sia solo in quello che sta scorrendo sotto i suoi occhi, ormai già da qualche riga. E però non c’è nessun segnale di sviluppo possibile. Solo un colpo esterno potrebbe sollevarne l’interesse. D’altronde il racconto non si intitola Una pallottola nel cervello ? Ma il ritmo finora è blando e senza scossoni. Arriviamo persino a chiederci stizziti se la pallottola nel cervello non ce l’abbia per caso chi ha scritto il racconto. Per sperare in migliori sviluppi futuri della storia ci attacchiamo come disperati ad alcuni indizi che Wolff ci mostra. L’autore spende diversi periodi, descrittivi e ritardanti l’avvio della storia, per ritrarre il carattere indisponente di Anders (“la sua disposizione d’animo non era mai delle migliori”) e i tic professionali tipici del suo mestiere (“era un critico letterario noto per l’elegante e noncurante ferocia con cui stroncava qualsiasi libro gli capitasse di recensire”). Queste sono le sole note originali dell’inizio che possano far sperare in uno scarto drammatico. Davvero poca roba. Troppo poca per esser vera. E allora? C’era il rischio concreto che per una volta Paolo Restuccia rispedisse al mittente l’articolo di un nostro collaboratore di valore. Comunque ci siamo rituffati con coraggio nel racconto di Wolff come farete voi adesso. Ci si rivede alla fine del secondo atto.
... Una pallottola nel cervello Lei si succhiò le guance, ma fissò lo sguardo oltre le spalle di lui e non disse niente. Anders si accorse che l’altra, la sua amica, stava sbarrando gli occhi guardando nella medesima direzione. E a quel punto i cassieri interruppero ciò che stavano facendo, e i clienti piano piano si girarono tutti e il silenzio calò nella banca. Due uomini che indossavano impeccabili abiti blu e avevano passamontagna neri in testa si erano piazzati ai lati della porta. Uno dei due rapinatori teneva una pistola premuta contro la nuca dell’agente della vigilanza. L’agente aveva gli occhi chiusi, e le labbra gli tremavano. L’altro rapinatore era armato con un fucile a canna mozza. – Zitti! – gridò l’uomo con la pistola, benché nessuno avesse fiatato. – Se solo uno di voi cassieri si azzarda a premere l’allarme, qui siete tutti carne morta. Afferrato l’idea? I cassieri annuirono. – Ma bravo! – disse Anders. – Carne morta – Si girò verso la donna che gli stava davanti. – Magnifica sceneggiatura, eh? Ecco la dura poesia delle classi socialmente pericolose che ti colpisce come un tirapugni. La donna lo guardò con gli occhi dilatati.
15
Prime definizioni del ritmo e del movimento
Quello col fucile a canna mozza diede uno spintone all’agente costringendolo a inginocchiarsi. Passò il fucile al suo compagno e con uno strattone afferrò i polsi dell’agente, gli tirò le braccia dietro la schiena e gli bloccò le mani con un paio di manette. Poi lo fece ruzzolare a terra con un calcio fra le costole. Riprese il fucile e si avvicinò alla porta di sicurezza in fondo al banco. Era un uomo basso e pesante, si muoveva con particolare lentezza, quasi torpidamente. – Apritegli! – gridò il suo compare. Il rapinatore col fucile varcò la porta di sicurezza e lentamente passò davanti ai vari cassieri, porgendo a ciascuno di essi una busta di plastica. Quando arrivò davanti allo sportello vuoto, lanciò un’occhiata a quello con la pistola, il quale disse: – Di chi è quel posto? Anders guardò la cassiera. Lei si portò una mano alla gola e si girò verso l’uomo con cui prima chiacchierava. Lui annuì. – Mio, – disse lei. – E allora muoviti culona e riempi la borsa. – Ecco – disse Anders alla donna davanti a lui – giustizia è fatta. – Ehi! Furbone! T’ho detto forse di parlare? – No – disse Anders. – Allora chiudi quella fogna. – Sentito? – disse Anders. – «Furbone». È una battuta de I Killer. – Per l’amor di Dio, stia zitto, – gli disse la donna. – Ehi, tu, sei sordo o cosa? – L’uomo con la pistola si avvicinò ad Anders e gli piantò l’arma nella pancia. – Pensi che gioco? – No – rispose Anders, ma la canna della pistola gli faceva il solletico come fosse un ditone puntato e gli venne la ridarella. Per bloccarla si costrinse a fissare il rapinatore negli occhi, che erano chiaramente visibili dietro i buchi del passamontagna: azzurro pallido, cerchiati di rosso, infiammati. Gli batteva la palpebra destra. L’uomo alitò una zaffata penetrante come ammoniaca che sconvolse Anders più di tutto quanto era successo fino a quel momento, e avvertì un acuto disagio quando quello lo pungolò di nuovo con la pistola. – Ti piaccio, furbone? – gli disse. – Hai voglia di ciucciarmi l’uccello? – No – disse Anders. – Allora piantala di allumare. Anders si mise a guardare le scarpe del rapinatore, erano lucide con la mascherina lunga. – Non giù. Su! – Gli ficcò la pistola sotto il mento e spinse verso l’alto finché Anders non ebbe gli occhi rivolti al soffitto.
16
Lezione 1
Il ritmo e il movimento nel secondo atto Adesso farvi riemergere dalla lettura è proprio un colpo basso. Il ritmo e il movimento del racconto hanno preso il sopravvento su ogni scetticismo iniziale. E in effetti dall’inizio della rapina in poi Paolo e io procedemmo velocissimi nella lettura, correndo rapidi incontro al finale. Cosa è successo di così eclatante nell’esposizione del racconto? Si fa concitato e viene accelerato di botto dall’arrivo improvviso di due rapinatori. Il nostro Anders non abbandona il suo atteggiamento caustico e distaccato neppure in presenza dei due criminali. E qui il movimento del racconto raggiunge di colpo un apice di tensione molto forte. Il lettore teme per la vita di Anders e spera che riesca a dominare il suo sistema linguistico di sputasentenze per non vederlo incappare nelle reazioni incontrollate di rapinatori pronti a tutto. Il ritmo si fa serrato e il movimento frenetico. Il periodare si essicca e si scandisce su un’andatura molto abbreviata rispetto all’incipit. L’esposizione del testo si fa tesa per una serie di scene che riprendono azioni e dialoghi di tono violento. Ma il senso dello svolgimento del racconto viene inceppato da Anders che non riesce a smettere il punto di vista del critico letterario e i suoi atteggiamenti da recensore perpetuo. Infatti, coerentemente col suo sferzante sguardo analitico, Anders giudica le frasi del rapinatore come dozzinali e rubate a vecchie sceneggiature di film di serie B. È straordinario che il ritmo continui velocissimo nei tempi esagitati di una rapina mentre intanto Anders ne fraziona e ne ritarda l’andamento con una spinta di anticlimax devastante per lui, ma anche per la storia che scorre. L’effetto è tragicomico. Si va pericolosamente verso un “controsenso” che non promette, per Anders, nulla di buono. Il movimento si inceppa, e quando questo accade di regola si sorride. Ma qui si sorride con gli occhi dilatati dalla paura. Perché il clima del racconto è comunque di taglio realistico. E ora dritti filati verso il terzo atto. Tutti sperando assurdamente nella salvezza del protagonista, Anders, che, con tutta la carica dell’antipatia da critico letterario dell’universo mondo che si ritrova, alla fine è riuscito a generare in noi comunque un’attrazione autentica per la sua verità narrativa.
... Una pallottola nel cervello Anders non aveva mai prestato molta attenzione a quella parte della banca, un vecchio pomposo salone coi pavimenti, gli sportelli e i pilastri di marmo, e una decorazione di
17
Prime definizioni del ritmo e del movimento
ricci dorati sopra gli sportelli dei cassieri. Il soffitto a cupola era affrescato con delle figure mitologiche alla cui bruttezza polputa e togata Anders aveva rivolto un’occhiata molti anni prima e dopo di allora aveva sempre evitato di osservare. Adesso non aveva altra scelta che esaminare attentamente l’opera del pittore. Era persino peggiore di quanto ricordasse, intrisa della solennità più falsa e ridondante. L’artista conosceva due o tre trucchi del mestiere e li usava e li riusava senza misura, il rosa della parte bassa delle nuvole aveva una certa freschezza, amorini e fauni non lesinavano sguardi schivi ed esitanti. Il soffitto era gremito di scene drammatiche; quella che attirò l’attenzione di Anders raffigurava Zeus ed Europa, che il pittore rappresentava con un toro che adocchiava una giovenca di là da un mucchio di fieno. Per rendere sensuale la giovenca, il pittore le aveva smussato i fianchi in maniera suggestiva e aveva munito gli occhi di lunghe ciglia socchiuse dalle quali essa contemplava il toro con appassionato gradimento. Il toro aveva l’aria compiaciuta e le sopracciglia inarcate. Se ci fosse stato un fumetto che gli usciva dalla bocca, dentro ci sarebbe stato scritto: «Hurrah». – Di che ghigni, furbone? – Di niente. – Pensi che sono comico? Pensi che sono una specie di pagliaccio? – No. – Pensi che mi puoi prendere per il culo? – No. – Tu prendimi per il culo, e diventi storia. Capischi ? Anders scoppiò a ridere. Si coprì la bocca con entrambe le mani e disse: – Scusa, scusa – e dopo sbuffò fra le dita senza potersi più trattenere e ripeté: – Capischi ! Oh, Dio, capischi,– e fu a quel punto che l’uomo con la pistola alzò l’arma e gli sparò dritto nella testa.
Il ritmo e il movimento nel terzo atto e nel primo finale Eccolo là. È successo. Il nostro Anders è andato fino in fondo. Non si è fermato neanche sotto la minaccia di una pistola. In realtà era lui che con la sua visione critica del mondo teneva sotto scacco i rapinatori e tutti gli altri. Compresi noi lettori. E ci dispiace che sia finita qui. Anche perché come vecchi voyeur implacabili speravamo che la scena di tensione parossistica tra Anders e i rapinatori durasse di più e presentasse altre varianti con situazioni di tortura psicologica. Ma non è questo l’intento di Wolff e lo vedremo. Il suo non vuole essere un racconto centrato sul confronto sadico tra violenza fisica e violenza intellettuale. O almeno non un racconto che parla solo di quello. In questo terzo atto il massimo dell’anticlimax avviene quando il nostro Anders con la pistola puntata sotto il mento è costretto a guardare il soffitto a cupola della banca. La descrizione, attraverso il suo sguardo di
18
Lezione 1
critico, fa sì che l’azione della rapina svanisca ai suoi come ai nostri occhi di lettori. E il risultato finale è la fuoriuscita di un sogghigno da parte di Anders, divertito dallo scarso livello artistico dell’affresco sul soffitto, che in verità è più simile al soggetto di un fumetto che a un affresco. Il sogghigno si sprigiona dalla faccia di Anders come fosse un colpo di pistola. Il rapinatore colpito si incazza a morte, gli spara e lo ammazza. Il movimento del racconto qui sarebbe finito e con esso il ritmo visto che Anders è morto. Ma è adesso che Tobias Wollf compie il suo capolavoro trasformando il ritmo e il movimento della deflagrazione nel cervello di Anders in un racconto di una intensità e di una potenza visionaria davvero uniche. Le parole viaggiano a ritroso nel tempo alla velocità di una pallottola e alla fine centrano una frase che diventa poesia e che fa diventare pura lirica l’intera vita del personaggio Anders. Ci rivediamo più in là con lo sguardo offuscato di lacrime.
... Una pallottola nel cervello La pallottola fracassò il cranio di Anders, attraversò il cervello, e uscì dietro l’orecchio destro, spargendo scaglie d’osso nella corteccia cerebrale, nel corpo calloso, indietro verso i gangli basali, e in basso fino all’ipotalamo. Ma prima che tutto ciò accadesse, l’ingresso della pallottola nel cervello innescò una crepitante catena di trasferimenti di ioni e di neurotrasmissioni. A causa della sua peculiare origine, questo processo seguì un tracciato peculiare, riportando casualmente in vita un pomeriggio estivo di circa quarant’anni prima, che non era mai stato richiamato alla memoria. Penetrata nel cranio, la pallottola continuò ad avanzare a una velocità inferiore ai 300 metri al secondo, un ritmo pateticamente lento, degno di un ghiacciaio, almeno rispetto all’attività frenetica delle sinapsi attorno al proiettile. Una volta nel cervello, cioè, la pallottola entrò nel tempo cerebrale, il che diede ad Anders tutto l’agio di contemplare la scena che, con una frase che lui avrebbe aborrito, «gli passò davanti agli occhi». Stabilito che cosa Anders ricordò, occorre forse notare tutto quello che invece non ricordò. Non si ricordò del primo amore, Sherry, o di ciò che più di tutto in lei lo aveva fatto impazzire, prima di piacere, poi di rabbia: la sensualità totalmente disinibita e specialmente il tono amichevole con cui alludeva al suo pene, da lei ribattezzato Signor Talpa, snocciolando frasi come «Ohò, il signor Talpa ha voglia di giocare», o «Vediamo dove va a nascondersi il signor Talpa!» Anders non si ricordò di sua moglie, che pure aveva molto amato prima che lei lo sfinisse con la sua prevedibilità, o di sua figlia, ormai un’accigliata professoressa di Economia a Dartmouth. Non si ricordò di quando restava dietro la porta della camera di sua figlia ad ascoltarla mentre rimbrottava l’orsacchiotto dicendogli che era stato cattivo e descrivendogli le punizioni davvero raccapriccianti che avrebbe ricevuto
19
Prime definizioni del ritmo e del movimento
se non si decideva a filare dritto. Non si ricordò nemmeno uno delle centinaia di versi che aveva imparato a memoria in gioventù, così da potersi far venire i brividi a comando: «Silenzioso, in cima a una vetta nel Darien», o «Mio Dio, ho sentito parlare di questo giorno» o «Tutti i miei cari? Tutti, dici? Oh, crudele! Tutti?». Non si ricordò di nessuno di questi versi Anders. Non si ricordò della madre che in punto di morte, parlando del padre, aveva detto: – Avrei dovuto pugnalarlo nel sonno. Non si ricordò del professor Josephs che raccontava ai suoi studenti come i prigionieri ateniesi in Sicilia fossero stati liberati se erano capaci di recitare Eschilo, e poi si metteva lì a recitare Eschilo lui stesso, in greco antico. Anders non ricordò di come si era sentito pizzicare gli occhi al suono di quelle parole. Non si ricordò della sorpresa che aveva provato vedendo il nome di un ex compagno di università sulla copertina di un romanzo, non molto tempo dopo che si erano laureati, o il rispetto che aveva provato dopo aver letto quel libro. Non si ricordò del piacere di provare rispetto per qualcuno. E neanche si ricordò di una donna che aveva visto suicidarsi buttandosi da una finestra del palazzo dirimpetto al suo pochi giorni dopo la nascita di sua figlia. Non si ricordò di aver gridato: «Signore, abbi pietà! » Non si ricordò di aver mandato a bella posta l’auto di suo padre a sbattere contro un albero, o di essere stato preso a calci nelle costole da tre poliziotti durante una manifestazione contro la guerra, o di quella volta che si era svegliato ridendo. Non si ricordò di quando aveva cominciato a guardare le pile di libri sulla sua scrivania con un misto di noia e paura, o di quando aveva cominciato a odiare coloro che li avevano scritti. Non si ricordò di quando tutto quanto aveva cominciato a ricordargli qualche altra cosa. Ecco cosa ricordò Anders. Caldo. Un campo di baseball. Dell’erba gialla, il ronzio degli insetti, lui appoggiato a un albero mentre i ragazzi del quartiere si radunano per una partita. Li guarda mentre litigano sulla superiorità del genio di Mantle o di Mays. È tutta l’estate che dibattono questo tema, l’argomento è diventato noioso per Anders: opprimente, come il caldo. Poi arrivano gli ultimi due ragazzi, Coyle e un suo cugino arrivato dal Mississippi. Anders non ha mai incontrato il cugino di Coyle prima e non lo vedrà mai più. Gli dice ciao come fanno tutti gli altri ma poi non fa più caso a lui almeno finché non hanno diviso il campo e qualcuno chiede al cugino di Coyle in quale posizione vuole giocare. – Interbase, – dice il ragazzo. – Interbase è la posizione migliore che ci sono –. Anders si gira a guardarlo. Vorrebbe sentire il cugino di Coyle ripetere la frase che ha appena detto, ma è abbastanza sveglio da capire che è meglio non chiederglielo. Gli altri penserebbero che fa il cretino, che prende in giro il ragazzo per il suo errore di grammatica. Ma non è questo, proprio no. È che Anders è stranamente eccitato, euforico, per quelle tre parole finali, così totalmente inaspettate, così musicali. Prende il suo posto in campo come in trance, ripetendole fra sé e sé. La pallottola è già nel cervello; l’attività cerebrale non potrà continuare in eterno a superarla in velocità, e niente la fermerà per
20
Lezione 1
incanto. Essa deve seguire la sua traiettoria e uscire dal cranio trascinando come una cometa la sua coda di memorie, di speranze, di talento e di amore, nel salone di marmo della banca. Non ci si può fare niente. Ma per il momento Anders può ancora avere tempo. Tempo per le ombre che si allungano sull’erba, tempo perché il cane legato alla catena abbai alla palla che vola, tempo perché il ragazzo nel campo di destra picchi la mano nel guanto da baseball annerito dal sudore e ripeta sommessamente come una cantilena: «La migliore posizione che ci sono, la migliore posizione che ci sono».
Il ritmo e il movimento nella coda Beh, alla fine della lettura Paolo e io eravamo proprio emozionati. Così come credo siate voi adesso, nonostante questa lettura guidata e frazionata. Felici di aver letto un grande racconto. Specialmente perché all’inizio aveva finto così bene di raccontare cose di poco conto. Ma il titolo, Una pallottola nel cervello, era lì apposta per invitarci a continuare. Lo scrittore Tobias Wolff nel racconto riesce a dedicare al personaggio di Anders i momenti più belli e inaspettati della sua vita di critico nel lasso di tempo che la pallottola impiega per attraversargli il cervello. Il ritmo diventa quello di un altro racconto. Il senso pure. Si sta volando sul passaggio deflagrante della pallottola (come nel volo del barone di Münchausen a cavallo della palla di cannone) sopra i pensieri più importanti della vita di Anders. I suoi ricordi più intensi si accavallano e si elidono veloci, diventano la negazione del ricordo; un’elencazione di non ricordi. Di tutta una vita di memorie e fatti autobiografici salienti resta soltanto una scena estiva rimandata dall’infanzia verso l’età adulta, in questa assurda morte sul pavimento di marmo di una banca. Il movimento del racconto si fa epico per lo scarto tra la fine impietosa e pubblica di Anders e la sua attività mnemonica solitaria che solo lui e il lettore possono seguire. Il ritmo diventa quello ripetuto di una cantilena mantrica impostata sul non ricordo. E si arriva all’ultima frase che è replicata come avesse il valore di un verso poetico (che a me chissà perché ricorda vagamente per il non sense l’assurdo titolo dell’acchiappatore nella segale, e Catcher in the Rye, il ricevitore nella segale, del Giovane Holden di John D. Salinger) nell’ultimo riflesso percepibile della mente di Anders “La migliore posizione che ci sono, la migliore posizione che ci sono”. La sua vita e il suo racconto finiscono come uno scherzo del destino “insieme con” e “attraverso” un refuso. Meraviglioso percorso di un ritmo e di un senso colpiti a morte dalla pallottola di un criminale da strapazzo. Un ritmo e un senso morti ridacchiando all’infinito
21
Prime definizioni del ritmo e del movimento
su tutti gli errori e i refusi del mondo. Tutte queste cose Paolo, io e naturalmente il nostro redattore Fabio Cozzi le abbiamo fatte presenti a Tobias Wolff in persona il 10 febbraio 2003 quando l’autore di Una pallottola nel cervello è stato protagonista di un incontro organizzato dalla Scuola Omero insieme alla Casa delle letterature del Comune di Roma. E Tobias Wolff, autore stimatissimo dal grande Raymond Carver, quello stesso Wolff docente di scrittura creativa alla Stanford University e scrittore con ben tre racconti inseriti nelle antologie della serie Best American Short Stories, beh Tobias Wolff sorrise delicatamente sotto i baffi bianchi dicendo “Capischio, capischio...”
Esercizio 1 Prendiamo spunto dallo splendido finale del racconto Una pallottola nel cervello per eseguire il primo esercizio del corso sul ritmo e movimento. Per la prossima volta proviamo a raccontare una scena di grande rapidità e intensità, fisica ed emotiva, spostando da un certo punto in poi il senso del racconto, e di conseguenza anche il suo ritmo e il suo movimento, in una direzione molto diversa dall’avvio. Mi spiego meglio: immaginiamo una scena che vede un furioso alterco tra coniugi, fatto di battute cattive, lancio di oggetti e altro. D’improvviso, tramite una luce particolare, un suono lontano, insomma un dettaglio sensoriale, dovete fornire i presupposti, per uno solo dei personaggi attivi nella scena, di creare un’associazione mentale interna. Seguendo l’input di quell’associazione mentale il litigio sparisce o si allontana dal personaggio e quindi dal racconto e la narrazione si sposta all’interno dei pensieri e delle emozioni del personaggio stesso. Prima di scrivere il pezzo vi consiglio di rileggere l’ultima parte del racconto di Wolff per entrare già in un clima filtrato e molto interno a un personaggio. Il componimento da realizzare deve essere lungo minimo 30 righe, massimo 60 (ogni riga 60 battute) ed è importante, per la sua migliore riuscita, che facciate cadere la scelta su un’azione rappresentata in un punto di acme emotivo e fisico: un atleta visto nel massimo sforzo agonistico; un inseguimento con sparatoria; una persona che assiste a una scena violenta; una ballerina nel pieno della sua performance; una prova per un lavoro importante; ecc. Una volta decisa la scena da raccontare e il contesto, bisogna descrivere la scena nel suo andamento agitato per poi trovare quell’elemento giusto che faccia scoccare nel personaggio il suo allontanamento psicologico dall’azione vissuta. Ovviamente si tratta di scrivere solo una scena, integralmente o parzialmente, e non un racconto finito. L’esercizio è importante per testare la capacità di coordinare e tenere insieme più ritmi e movimenti in un’unica storia. 22
Lezione 1
Esercizio 2 Per 20 righe (sempre da circa 60 battute l’una) cambiate il punto di vista del personaggio che guarda il soffitto affrescato della banca nel racconto Una pallottola nel cervello. Insomma, provate a passare la narrazione da Anders al rapinatore. In questo modo sarà il rapinatore a guardare il soffitto e a far girare i suoi pensieri sui contorni di quello stesso affresco. Col suo linguaggio e col suo carattere, naturalmente. Per far questo bisognerà allontanarsi dal ritmo e dal movimento prolisso ed estetizzante di Anders e andare verso quello sovreccitato, esagitato e gergale del rapinatore. Le immagini e i pensieri del criminale si possono riportare sia in terza che in prima persona. L’esercizio è importante per il livello di immedesimazione, ritmica e di senso, che si riesce a trovare con un personaggio diverso da quelli già “sfruttati” nel racconto.
23
La palestra dello scrittore. Il ritmo e il movimento a cura di Enrico Valenzi Sembra che il tuo racconto sia scritto bene, la storia è originale, i personaggi sono forti, eppure non funziona. Perché? Qualche volta la risposta è nel ritmo e nel movimento della scrittura. I racconti si muovono, hanno uno sviluppo, sono scritti con più o meno parole, con paragrafi più o meno lunghi, con una lingua più o meno sofisticata. Lo scrittore deve saper scegliere il passo di danza con il quale far avanzare la sua prosa: La palestra dello scrittore. Il ritmo e il movimento contiene i consigli per farlo al meglio.
La palestra dello scrittore. Il ritmo e il movimento è il secondo volume della serie La palestra dello scrittore della Scuola Omero. Per acquistare l’intero libro: www.omeroeditore.it 10€ - pp. 90 - 17x24cm www.omero.it www.omeroeditore.it www.fantareale.it