Quaderno di Appunti_ La scuola Adotta un Monumento: Santa Pelagia

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(GIÀ “ITALO CALVINO”)

Quaderno di appunti degli allievi che hanno adottato la Chiesa di Santa Pelagia e il Bastione San Maurizio

Chiesa di Santa Pelagia

I ragazzi ci guidano alla scoperta di ciò che abbiamo dimenticato

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L‟Opera Munifica Istruzione - O.M.I. - Istituto di Pubblica Assistenza e Beneficienza (IPAB - Ente Morale Italiano), sorta nel 1700 ha da sempre operato nel campo dell‟educazione, attivando interventi differenti, secondo i cambiamenti che la Società ha via via percorso. Il progetto di “LA SCUOLA ADOTTA UN MONUMENTO” si inserisce quindi coerentemente nel filone di intervento proprio dell‟OMI. Per questi motivi il Consiglio di Amministrazione ha ritenuto di sostenere e collaborare con la Scuola che ha adottato la Chiesa di Santa Pelagia, patrimonio dell‟Opera, e proprio per questi motivi, oggi è lieto di partecipare alla presentazione di questo “QUADERNO DI APPUNTI”, risultato di un grande impegno dei ragazzi della Scuola Media Statale “Italo Calvino” (ora “Lorenzo il Magnifico”) e dei loro insegnanti. Richiamando l‟interesse della Città verso un suo Monumento importante, che merita di essere valorizzato, i ragazzi ci guidano alla scoperta di ciò che abbiamo dimenticato. Condividiamo questo obiettivo e vogliamo unirci a loro per conoscere meglio, per sapere di più, rivolgendo un invito anche a tutti quei cittadini che sono interessati a scoprire le bellezze di questa nostra Città.

Il Presidente dell‟Opera Munifica Istruzione Rosanna Balbo Caffarena

Un grazie speciale a Gigi Lombardi obiettore

Questo volume è stato stampato dalle tipografia A4 Servizi Grafici di Chivasso (To) per conto dell‟OPERA MUNIFICA ISTRUZIONE nel maggio 1998


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(GIÀ “ITALO CALVINO”)

Quaderno di appunti degli allievi che hanno adottato la Chiesa di Santa Pelagia e il Bastione San Maurizio

I ragazzi ci guidano alla scoperta di ciò che abbiamo dimenticato

a cura della Prof.ssa Emilia Pozzo La Ferla

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LA CHIESA DI SANTA PELAGIA Hanno collaborato all‟esecuzione di questo volume gli alunni della Scuola Media Statale Lorenzo Il Magnifico, per la parte sulla Chiesa di Santa Pelagia: Alessandrino Osvaldo, Anselmo Salvatore, Buczkoswski Przemyslaiw Konrad, Caravotta Giuseppe, Cinus Stefania, Ierardo Marco, La Micela Deborah, Macaluso Matteo, Manno Benoit, Marchese Francesca, Martinengo Mattia, Mastromartino Valentina, Mulas Federica, Musso Fabrizia, Ornito Ludovico, Pino Sebastian, Polizzi Nunzio, Previti Armando, Tucci Massimo per la classe Terza A. Adornetto Daniela, Berardi Andrea, Bonanno Anna, Bonventre Salvatore, Buccoliero Ilaria, Calagna Luca, Cambria Eleonora, Cartisano Carmelo, Cirillo Nunzio, Colasanto Alessandro, Licata Michele, Miccu Rosa, Nastasi Simona, Pellingra Anna Rita, Perlo Marco, Quartu Silvia, Rinaldi Vincenzo, Rocchetti Laura, Rossetti Marianna, Scarano Claudia per la Classe Terza B. Albanese Elena, Bombonato Marcello, Campanile Luisa, Carella Monica, Congiu Davide, Culeddu Silvia, Mina Marco, Morello Stefania, Moretti Francesca, Ortoffi Elisa, Paletto Malvina, Ruffo Simona, Salvi Cristina, Savarola Fabio, Taibi Tatiana, Viglione Alessia, Grudic Nicolas per la Classe Terza C. Per la parte sul Bastione San Maurizio hanno collaborato: Agirò Natalie, Berrone Daniele, Bontempi Enrico, Cuciniello Ilenia, D‟Agostino Antonio, Ferrazzo Felice, Ibrini Erminia, La Fasciano Dario, La Schera Nicola, Liuzzo Tondiglia Maria, Mascetti Elisa, Nugara Gabriele, Pinna Alessio, Righi Vito, Sanogo Aicha Bobo I, Simoniello Marco, Temponi Mattia, Totaro Silvia per la Classe Seconda B.

La Città di Torino ha lanciato il progetto “La Scuola adotta un monumento" Che cosa vuol dire “adottare” un monumento? Vuol dire prendersene cura: studiarlo, conoscerlo e farlo conoscere agli altri; scoprire la sua importanza nella storia della città, che poi in fondo è la nostra storia; se è dimenticato, trascurato, rovinato, bisogna sensibilizzare la cittadinanza affinché venga conservato e, se necessario, restaurato. Le classi 1°A, 1°B e 1°C della nostra scuola “Italo Calvino” ora “Lorenzo il Magnifico”, nel 1995 hanno ottenuto dal Sindaco l'adozione simbolica della Chiesa di Santa Pelagia. Abbiamo scelto questa Chiesa perché pur passandoci davanti tante volte l'abbiamo sempre trovata chiusa; per noi non esisteva, era un edificio anonimo e grigio. Ora che l'abbiamo conosciuta (siamo in 2°), ha preso vita e colore, è diventata importante e vorremmo che lo diventasse anche per gli altri. Quando si parla di monumenti, molti pensano a quelli che si trovano in mezzo alle piazze, come per esempio quello equestre di Emanuele Filiberto in P.zza San Carlo, o come quello del Conte Verde davanti al Municipio. In realtà la parola monumento deriva dal verbo latino "monere", che vuole dire "ricordare" e quindi sta a significare un "segno" a ricordo di una persona o di un avvenimento, di cui si vuole tramandare la memoria. In generale è un'opera di architettura o di scultura e come tale ha valore artistico, culturale, morale e storico. E' molto importante comprendere che il monumento è un documento dell'epoca storica in cui è stato costruito, quindi diventa un bene culturale tutto ciò che testimonia il passato, anche se non è un'opera d'arte. Ogni monumento ha bisogno del suo spazio e del suo ambiente, trae bellezza e significato dalle cose che lo circondano. Ad esempio: tutti noi abbiamo nel cuore una chiesetta, una abbazia, un pilone votivo che sorge al nostro paese in mezzo alla campagna o di fronte al mare o lungo una mulattiera di montagna; ebbene se noi sradicassimo quel monumento e lo mettessimo in mezzo alle case di cemento non lo riconosceremmo più. E' quindi importante conservare attorno ad ogni monumento il suo ambiente e la sua giusta cornice. Un altro elemento importante per conoscere un monumento è la sua storia: sapere perché è stato costruito, perché è sorto in quel preciso punto della città e a cosa è servito in passato.


OGNI MONUMENTO E’ LEGATO ALLA STORIA DELLA SUA CITTÀ’ Ci siamo accorti studiando la Chiesa di Santa Pelagia che la sua storia è intrecciata a quella di Torino ed abbiamo capito come gli avvenimenti storici, politici, economici ed artistici siano tutti legati tra di loro. Esaminiamo brevemente la storia di Torino fondata dai Romani nel 40 a.C. che la chiamarono "Augusta Taurinorum". (fig.2)

Durante il periodo del medioevo la città subì molte traversie: guerre, carestie, periodi buoni e periodi cattivi; il suo aspetto cambiò, le sue strade perdettero l'allineamento romano, perché in alcuni punti le case sconfinarono e soprattutto dopo il mille aumentarono di numero. Dei resti medioevali della città Noi abbiamo visto il campanile di Sant‟Andrea in stile romanico e la Chiesa di San Domenico in stile gotico. Nel periodo rinascimentale la città dal 1412 potrà vantare uno studio generale, cioè una Università e nella seconda metà del 1400 verrà costruito da Meo del Caprino il Duomo. Nel 1563 Emanuele Filiberto, Duca di Savoia, decise che Torino sarebbe stata la Capitale del suo Stato; l‟italiano diventò la lingua ufficiale.. La città si presentava con 20.000 abitanti ed un aspetto modesto, ma egli prima di pensare al decoro del suo aspetto esteriore pensò a fortificarla. (fig.3)

Fig.2 - Pianta di Torino romana Come vediamo da questa prima piantina, ha una forma quadrangolare; è divisa da due vie principali che dove incontrano le mura danno luogo alle porte; è suddivisa da vie perpendicolari che formano diversi isolati. E' orientata in modo che le facciate degli edifici siano rivolte verso i punti cardinali intermedi, per meglio sfruttare le caratteristiche climatiche del territorio. Vediamo anche che due lati della città sono difesi naturalmente dal Po e dalla Dora. I resti più importanti della città romana sono: la Porta Pretoria che si trova all'interno di Palazzo Madama, il Teatro, un tratto delle mura con la base di una torre, le Porte Palatine ed i resti della Torre angolare, che si trova vicino alla Chiesa della Consolata. Come si può notare, la città era molto piccola. La cosa che però fa più effetto è il pensare che Torino rimase così chiusa entro le mura romane per 1500 anni.

Fig.3 - Torino al tempo di Emanuele Filiberto


Vediamo infatti in questa piantina, che le mura sono più massicce e che c'è una stella che è la nuova cittadella costruita dall'Architetto militare Paciotti. (fig.4)

Fig.5 - Torino dopo il primo ampliamento

Fig.4 - Michelangelo Morello: Pianta prospettica del pentagono della Cittadella di Torino (Incisione in rame 1682) L'ubicazione della cittadella è logica, infatti due lati della città sono protetti dalla Dora e dal Po, mentre il lato ovest era sguarnito. La città era comunque insufficiente, perciò venne deciso nel 1620 un suo ampliamento verso sud, che noi possiamo vedere bene in questa piantina. (fig.5) Possiamo osservare che le nuove strade mantengono lo schema a scacchiera, che sono più spaziose di quelle romane, infatti saranno di 11 metri anziché di sette.

Carlo di Castellamonte, che progettò quest'ampliamento disegnò, la Via Nuova, cioè Via Roma che partendo dal Castello doveva arrivare alla Nuova Porta. Al centro di questa via ideò la Piazza Reale, cioè l‟odierna P.zza San Carlo. Questo ampliamento non dette sufficiente respiro alla città, perciò nel 1673, su progetto di Amedeo di Castellamonte, venne iniziato un nuovo ampliamento verso il Po. (fig.6) Come possiamo vedere anche dalla piantina, venne rispettato il tracciato ortogonale, tranne che nella via che unisce il Castello al Po e che passa davanti alla Chiesa di San Francesco da Paola: è Via Po. Come nel precedente, anche in questo ampliamento venne progettata una piazza importante: è Piazza Carlo Emanuele II, cioè Piazza Carlina. Proprio qui vicino le Suore Agostiniane acquistarono un lotto di terreno sul quale più tardi sorgerà la Chiesa di Santa Pelagia. Gli avvenimenti di Francia e Spagna coinvolsero Torino che nel 1706 uscirà vittoriosa da un assedio lungo e penosissimo; l'episodio di Pietro Micca si inserisce in questo momento storico.


Fig.7 - Torino dopo il terzo ampliamento Fig.6 - Torino dopo il secondo ampliamento Durante l'assedio vennero costruiti dei bastioni di difesa della città verso nord ovest. Essi verranno sfruttati nel 1719, quando l'Architetto di Corte Filippo Juvarra inizierà il terzo ampliamento, nel quale troveremo una nuova piazza, cioè Piazza Savoia. (fig.7) La forma della città si può paragonare ad una mandorla. Ma dove sono finite tutte queste mura? La fine dei bastioni di Torino fu decretata da Napoleone che nel 1800 li fece smantellare ed aprì la città all'esterno. Fece anche demolire il tratto di mura che ancora divideva P.zza Castello. (fig.8) Questa è una piantina della metà del 1800 ed è molto simile all'aspetto attuale di questa zona della città. Se noi proviamo a colorare di verde i grandi viali ed i giardini del Centro, ritroviamo la forma a mandorla della Torino barocca.

Fig.8 - Torino dopo la demolizione delle mura.


OGNI MONUMENTO E’ ESPRESSIONE DEL SUO TEMPO La Chiesa di Santa Pelagia fu costruita nel 1700, perciò noi cercheremo di sapere come si viveva in quell'epoca. Poiché la città era sovente coinvolta in guerre e periodi di crisi, doveva essere rispettato un regime di vita molto severo, strettamente sorvegliato dalla Polizia. I quattro quartieri della Città erano divisi in 60 cantoni ed ognuno di essi in due isole; ogni cantone era sotto il controllo del cantoniere. Egli percepiva uno stipendio dal Comune e godeva di alcuni privilegi; suo compito era quello di fare da Ispettore di Polizia, compilare l'elenco dello stato Civile, cioè dei morti e dei nati, vigilare sulla milizia, sugli alberghi, denunciare i forestieri e i vagabondi. Alla sera di solito si accendevano due torce alla porta del Palazzo di Città, mentre il campanone maggiore della torre suonava l'Ave Maria, poi le porte della città si chiudevano fino all'indomani mattina al suono dell'Angelus. Di notte le strade erano abbastanza buie, anche se erano illuminate da cento lanternoni ad olio messi nei punti più importanti a spese dei padroni di casa. Nel caso venisse dato " l'all'armi ", ogni cittadino aveva l'obbligo di mettere i lumi alle finestre. Chi voleva uscire di sera doveva procurarsi una lanterna. In questo periodo vennero costruiti, soprattutto nelle zone degli ampliamenti, nuovi palazzi; anche se di proprietà di nobili essi non erano destinati solo ad abitazione del padrone di casa, infatti gli androni sontuosi e i grandi saloni di rappresentanza nascondevano botteghe e negozi da affittare. Sopra il piano nobile abitavano famiglie borghesi, sopra ancora artigiani ed operai. Nobili, operai, artigiani, abitando la stessa casa, si incontravano e sorgevano così legami di collaborazione tra i vari strati della popolazione. A Torino quindi non successe come in altre capitali che a fianco di palazzi sontuosi sorgessero delle catapecchie. La città si stava avviando a trasformarsi da città nobiliare a città borghese: erano molto numerosi i commercianti, grande importanza aveva l'industria tessile, vi erano filande private e altre filande sorsero presso gli Istituti di Carità come l'Albergo di Virtù, l'Ospedale di Carità, l'Istituto delle Rosine; vi erano poi anche numerose tessiture per stoffe, damaschi, velluti, calze di seta e nastri. C'erano altre manifatture tra cui ricordiamo una vetreria. Questo spirito imprenditoriale verrà colto anche dalla nobiltà, infatti le famiglie nobili facevano a gara per aprire fabbriche e commerci. Un aspetto importante dell'economia cittadina era quello che riguardava l'artigianato, infatti vi erano ben 22 Università delle Arti e dei Mestieri. Queste Corporazioni avevano il compito di preparare e di controllare l'abilità degli apprendisti, prima di dar loro l'abilitazione ad esercitare un mestiere.

L'Università dei minusieri, cioè dei falegnami, è ancora viva in città anche se in modo diverso. Tutti gli anni il 19 marzo, festa di San Giuseppe, si trovano presso il loro altare nella Chiesa di Santa Maria di Piazza. I visitatori che nel 1700 arrivavano a Torino la giudicarono in modo diverso: alcuni la trovarono brutta e monotona, altri invece la apprezzarono. Il Conte Biffi di Cremona disse di essersi trovato in una città singolare: "strade spaziose, palazzi a cinque o sei piani. L'architettura di gusto barocco presa nel suo complesso forma un colpo d'occhio ammirevole. E poi le piazze ed i viali ricavati sui baluardi, con i loro tigli altissimi, sono ameni e poi sono ornati dalle cento e cento figure femminili che passeggiano con i loro zerbini in uniforme militare e in trine e ricami." Un cenno particolare meritano le donne torinesi che da molti turisti furono elogiate per la loro bellezza ed eleganza. Tra tutti scegliamo il più famoso: Giacomo Casanova che disse "Le donne torinesi hanno tutti gli incanti che può desiderare l'amore". Tutta la città viveva di riflesso gli avvenimenti di corte: nascite, matrimoni, morti, visite regali, ecc. Grande importanza avevano le feste religiose perché la popolazione e la corte erano molto devote. Le processioni erano frequenti. Le più importanti erano quelle del Venerdì Santo, di Pasqua, del Corpus Domini, della Consolata e di San Giovanni; altre venivano organizzate per ottenere grazie e per ringraziamento. Oltre a queste feste religiose c'erano feste profane e fra tutte primeggiava il Carnevale. Altre fonti di divertimento erano il Teatro Regio e il Teatro Carignano, che vennero costruiti intorno alla metà del secolo. Ora torniamo alla nostra Chiesa di Santa Pelagia. Dopo il secondo ampliamento della città, le Suore Agostiniane acquistarono il lotto di terreno qui indicato per costruire il convento e una Chiesa. (fig.9) Fig.9 - Lotto acquistato dalle Suore Agostiniane L'attuale Chiesa, dedicata appunto a Santa Pelagia, venne costruita tra il 1769 e il 1772. Poiché le suore di clausura nei secoli scorsi si dedicavano all'educazione delle ragazze, anche nel convento di Santa Pelagia vi era un educandato femminile. Nel 1800, con la venuta a Torino di Napoleone, la Comunità delle Suore Agostiniane di Santa Pelagia venne


soppressa e anche dopo la Restaurazione, nonostante le suppliche, non poté più tornare nella sua sede. La Chiesa nel 1803 venne invece affidata alla Mendicità Istruita (ora Opera Munifica Istruzione). Ma che cosa è? L‟Opera Mendicità Istruita è un'opera benefica nata del 1700. Quando prima si è parlata di quel secolo, non abbiamo detto che quelle guerre e quelle crisi che lo hanno attraversato hanno determinato il diffondersi della povertà. Accanto ai nobili, ai borghesi, agli artigiani, agli operai, c'erano molti poveri; ebbene per aiutare questi poveri l'abate Garessio e Felice Fontana, un semplice muratore che lavorava in San Filippo, li radunavano in P.zza San Carlo, insegnavano loro il catechismo e poi distribuivano del denaro. In seguito personaggi illustri dettero il loro aiuto a questa iniziativa anche attraverso lasciti e donazioni. Le riunioni non si tennero più in P.zza San Carlo, ma in luoghi riparati presso diverse chiese della città. Dell'istruzione religiosa si occuparono laici e religiosi, che avevano incarichi diversi:  promotori che pubblicizzavano l'iniziativa  pescatori d'anime che esortavano i poveri a recarsi alle riunioni  distributori di marche che distribuivano una marca che dava diritto, terminata l'istruzione e le funzioni, a ricevere l'elemosina  regolatori che stabilivano il grado di istruzione dei partecipanti  lettori che leggevano libri edificanti in attesa delle funzioni  istruttori che insegnavano il Catechismo  depositari che custodivano i fondi  infermieri che si occupavano della salute dei poveri che partecipavano alle funzioni. Nel 1775 questa organizzazione, nata spontaneamente, ma già regolamentata, venne approvata dal Vescovo e l'anno dopo anche dal Re. (fig.10)

Fig.10 - Atto del Re (1776)


I responsabili però si resero conto che non era sufficiente insegnare il catechismo. Fu così che nel 1789 si ottenne dal Re l'autorizzazione ad aprire una scuola di carità, alla quale si ispirarono altre in Piemonte. (fig.11) Per venire incontro alle necessità economiche dell'Opera, il Re concesse di far eseguire quattro lotterie, (fig.12) il cui ricavato andava a favore della nuova scuola di carità e delle iniziative che avevano i seguenti obiettivi:  promuovere l'istruzione religiosa, riunendo nei giorni festivi in Chiesa al mattino uomini e ragazzi, alla sera donne e ragazze; ad essi veniva dato poi un aiuto economico;  procurare ai fanciulli i principi più importanti dell'istruzione;  far apprendere ai ragazzi quei mestieri per i quali si dimostravano più portati.

Fig.12 - Biglietto della Lotteria

Fig.11 - Atto del Re (1789)

In seguito venne aperta una seconda scuola ed in poco tempo gli allievi arrivarono a trecento: ad essi veniva dato il vestiario ed ai più poveri anche un aiuto giornaliero. Degli assistenti vigilavano gli allievi e la loro condotta. Durante la Rivoluzione francese e sotto Napoleone, il Re si rifugiò in Sardegna, così venne a mancare all'Opera ogni sovvenzione; fu chiusa la


Chiesa di Sant‟Antonio Abate, presso cui si trovava l'Opera, e furono soppresse l'istruzione domenicale e le due scuole. Qualche anno dopo, riconosciuti i meriti del servizio che questa Istituzione dava, venne ad essa assegnata la Chiesa di Santa Pelagia con la sacrestia e il monastero, che in parte venne utilizzato come scuola ed in parte dato in affitto con il grande orto che ne faceva parte. Nel 1803 quindi riaprì la Chiesa e in autunno ricominciarono sia la scuola domenicale che quella regolare. In essa insegnava anche il teologo Sineo che, per essere compreso da tutti i ragazzi, parlava in dialetto piemontese: le sue lezioni erano seguite anche da estranei, perché erano particolarmente vivaci ed interessanti, smentendo così il nomignolo di "Scuola degli ignorantelli". Due anni dopo venne aperta anche una scuola femminile in cui si insegnavano lettura, scrittura e lavori domestici. Sulla scuola vigilavano a turno dodici nobildonne, una ogni mese. Alle allieve più meritevoli veniva donata in premio una veste. Dopo la caduta di Napoleone, gli ordini religiosi tornarono alle loro sedi, ma la Mendicità Istruita riuscì a mantenere la Chiesa di Santa Pelagia e parte del Convento. Le scuole si moltiplicarono ed il Re decise di affidare le scuole maschili ai Fratelli delle Scuole Cristiane e quelle femminili alle Suore di San Giuseppe. L'educazione delle ragazze era molto incoraggiata, tanto che per le più brave, a partire dal 1838, venne costituita una dote che veniva consegnata loro al momento del matrimonio oppure, se nubili, all'età di 25 anni. I ragazzi invece venivano avviati presso imprese artigiane, affinché imparassero un mestiere; questo apprendistato durava quattro anni, terminati i quali il ragazzo otteneva quella che noi oggi chiamiamo qualifica. L'Opera li seguiva attentamente e forniva loro anche il vestiario. Altra iniziativa veramente innovativa promossa dall‟Opera fu l'istituzione delle scuole serali. Con il passare del tempo il numero delle scuole continuava ad aumentare ed aumentavano anche i benefattori che partecipavano attivamente al loro funzionamento. Il Comune si accordò con l'Opera per il funzionamento e la gestione di nuove scuole nei diversi quartieri della città, tanto che gli allievi suddivisi in classi di 45-50 superarono il migliaio. L'azione della Opera, anche con modalità diverse, è durata nel campo della scuola fino a pochi anni fa. Diminuendo gli alunni, anche la Chiesa è stata chiusa e poco per volta dimenticata dagli abitanti del quartiere.

LA CHIESA L'Architetto che nel 1769 progettò la Chiesa di Santa Pelagia si chiama Filippo Nicolis di Robilant; egli disegnò anche la Chiesa di San Giovanni Decollato, meglio conosciuta come Chiesa della Misericordia, e edifici in altre città piemontesi. Le sue opere segnano il passaggio tra lo stile barocco e quello neoclassico.

Fig.13 - Chiesa di Santa Pelagia Questi stili sono abbastanza diversi tra loro. Lo stile barocco è nato nel 1600, si riconosce per le sue forme ricche di movimento, di chiaroscuro creato da elementi che sporgono e che rientrano e da un intrecciarsi di linee curve; ama la ricerca delle decorazioni, che hanno il compito di rappresentare la


magnificenza e il potere delle grandi monarchie. L'artista vuole stupire lo spettatore, creando immagini mai viste e sfrutta la prospettiva per dare l'idea di uno spazio infinito, di angeli, santi e figure allegoriche in cieli azzurri ricchi di nuvole. Nel 1700 il barocco diventa meno monumentale, più leggero e decorativo e si chiamerà rococò. Gli elementi architettonici che meglio sintetizzano il barocco sono la colonna tortile, la conchiglia e il cartiglio. Il neoclassicismo è lo stile che viene dopo la metà del 1700, si pone quasi in contrapposizione al barocco, perché alla fantasia opporrà la linearità e la razionalità. Quindi gli artisti neoclassici si ispireranno, come dice la parola stessa, all'arte classica, cioè a quella greca e romana e così troviamo delle costruzione che hanno, per esempio, dei timpani e delle colonne che ci ricordano il tempio greco. Naturalmente però gli artisti non cambiamo modo di costruire da un giorno all'altro, ma il passaggio da uno stile all'altro è graduale. Se noi guardiamo la facciata della Chiesa di Santa Pelagia (fig.13) vediamo chiaramente queste trasformazioni: infatti su un corpo centrale in mattoni dalla linea curva di ispirazione barocca si innesta un pronao formato da un timpano sostenuto da quattro colonne con capitello ionico con ghirlande che ricorda il tempio greco. E' interessante esaminare la pianta di questa Chiesa. (fig.14) Essa è formata da una composizione di figure circolari: il corpo centrale è un cerchio sul quale si innestano tre ellissi di uguali dimensioni, che formano l'ingresso e le cappelle laterali. Un ellisse più grande forma il presbiterio. Di fianco al presbiterio troviamo una forma che ricorda un po‟ una conchiglia stilizzata che è il Coro. La Chiesa a pianta centrale è decorata con elementi verticali, cioè con delle paraste che mettono in risalto la struttura della Chiesa; esse sono sormontate da una trabeazione, cioè da una fascia di cornici molto aggettanti, cioè sporgenti, che creano un effetto di chiaroscuro prima della copertura. L'andamento della trabeazione è interrotto sugli altari da tre timpani che li mettono in risalto. La Chiesa è coperta da un cupola semisferica nella quale si inseriscono, formando degli archi, le absidi degli altari e dell'ingresso, dando così l'idea di una croce. La Chiesa è illuminata da quattro finestre ovali che si trovano tra un abside e l'altra, e da due finestre a forma di conchiglia, che si trovano dietro i timpani. Sopra l'ingresso c'è l'organo. Sopra gli altari si trovano dei quadri del pittore Blanchery.

Fig.14 - Pianta della Chiesa di Santa Pelagia Il dipinto dell‟altare di destra rappresenta San Luigi Gonzaga, che sviene nella contemplazione del Crocifisso che tiene in mano.(fig.15) Egli è sostenuto da un angelo, mentre nella parte alta altri angeli li assistono. Ai suoi piedi vediamo la corona, che è simbolo di regalità, e il giglio, che è il simbolo della purezza.


Santa Monica, cioè la madre di Sant‟Agostino, o Sant‟Anna, la madre della Madonna.

Fig.15 - Pala dell’altare destro. Il dipinto dell‟altare maggiore rappresenta la gloria di Santa Pelagia.(fig.16) Cominciando dall'alto vi sono la Madonna con il Bambino che tiene in mano una corona, sotto la corona c'è Santa Pelagia inginocchiata su una nuvola. Sulla destra, con l'abito da Vescovo e la mitra in testa, c'è Sant‟Agostino e in basso in centro la figura di una Santa un po‟ anziana che potrebbe essere

Fig.16 - Altar Maggiore.


arredamento realistico. Le diverse figure sono messe in evidenza dalla luce, che le fa risaltare su uno sfondo scuro. Dalla cappella laterale sinistra si accede al Coro, l'ambiente più insolito e suggestivo della Chiesa, che è messo lateralmente rispetto all'altare. (fig.18)

Fig.18 - Il Coro delle Monache Agostiniane.

Fig.17 - Pala dell’altare sinistro. Sull‟altare di sinistra c‟è il quadro di San Francesco di Sales che, inginocchiato su una nuvola, adora il Sacro Cuore. Egli è circondato da angeli. In basso a sinistra c'è un diavolo vinto che è schiacciato da un angelo. (fig.17) In tutti e tre questi dipinti le figure sono ambientate in uno spazio irreale formato da cielo e nuvole; solo in quello di San Luigi c'è un accenno di

Il Coro, anche se nella forma del soffitto fa pensare ad una conchiglia barocca, è vicino allo stile neoclassico per il ripetersi uniforme degli stalli in legno e per la balconata, sostenuta da mensole, che corre lungo la parete circolare, per la regolarità delle finestre alternate a paraste che la illuminano, per le due paraste che incorniciavano la grata che lo divideva dal presbiterio. Nel Coro si trova un quadro: esso venne regalato dal Re Vittorio Amedeo III all'Opera nel 1870 ed è opera di Amedeo Rapous, professore della Reale Accademia di Pittura e di Scultura. (fig.19)


In quei tempi si diffuse la fama di un Santo eremita Pelagio al quale si rivolgevano per consiglio anche dei religiosi. Uno di essi un giorno lo trovò morto; andò a chiamare i suoi confratelli, lo svestirono per prepararlo alla sepoltura e si accorsero che era la bellissima Pelagia, che in seguito venne proclamata Santa. E' la protettrice degli attori

Fig.19 - Pala del Coro. Esso rappresenta in alto la Madonna con il Bambino, a destra San Filippo Neri, a sinistra San Vincenzo da Paoli. A destra in basso in piedi c'è il Beato Amedeo di Savoia che intercede presso la Vergine per i poverelli che lo circondano. Il quadro che venne restaurato negli ultimi anni conserva un colore luminoso.

CHI ERA SANTA PELAGIA? Pelagia è vissuta nel terzo/quarto secolo d.c. ad Antiochia, era una grande e bellissima attrice, ricca, famosa e amante della bella vita. Un giorno, mentre attraversava una piazza della città seguita dai suoi servi e dai suoi ammiratori, incontrò un gruppo di vescovi che lì si erano riuniti. I vescovi si girarono dall'altra parte per non guardare quella donna perduta; tra loro c'era il Vescovo Nonno che invece fissò intensamente Pelagia: i loro sguardi si incontrarono e tra loro scoccò una scintilla. Il giorno dopo Pelagia andò dal Vescovo ed ebbe con Lui una conversazione, poi altre. Alla fine Pelagia indossò un saio e si ritirò in eremo a Gerusalemme e più nessuno sentì parlare di Lei.

Fig.20 - Antico dipinto di Santa Pelagia. L‟Opera Munifica conserva un bellissimo quadro di Santa Pelagia, che ne rappresenta tutti gli attributi. (fig.20) La figura della Santa in estasi, disposta diagonalmente, domina tutta la composizione; sotto i suoi piedi vediamo la maschera, la tromba e un po‟ più in là il liuto. Sul ceppo a destra ci sono le


radici con le quali si nutriva, sullo sfondo si vede l'orto degli ulivi di Gerusalemme ed in alto la tromba divina. Anche noi abbiamo eseguito un lavoro che rappresenta Santa Pelagia e lo abbiamo offerto a questa Chiesa, all‟Opera Munifica Istruzione, che ci ha aiutato nel nostro lavoro e ci ha permesso di imparare tante cose. (fig.21)

Fig.21 - Mosaico eseguito dai ragazzi.

OGNI MONUMENTO VIVE CON L’AMBIENTE CHE LO CIRCONDA Per illustrare questo punto del nostro programma abbiamo pensato che più che le parole fossero eloquenti le immagini, perciò abbiamo eseguito delle copie dal vero delle nostre case che illustrano l‟ambiente della Chiesa di Santa Pelagia. A conclusione del nostro lavoro sulla Chiesa di Santa Pelagia, noi ragazzi abbiamo capito l‟importanza del passato, abbiamo constatato che questa chiesa è un monumento d‟arte che ha avuto importanza per la nostra città; perciò non ci sembra giusto che la grondaia sia così bucata da sembrare un pizzo, che i suoi affreschi si stacchino ed i calcinacci piovano dal soffitto , che due pale d‟altare siano poco leggibili, perciò chiediamo alla cittadinanza ed alle autorità di intervenire per un serio restauro.






IL BASTIONE SAN MAURIZIO

ideale per le necessità militari di una capitale. Le diverse trasformazioni quindi non sono altro che tappe di una complessa realizzazione.

Il Bastione San Maurizio venne adottato simbolicamente dalla classe 2B nel 1996. Prima di soffermarci sul Bastione San Maurizio, è necessario esaminare come si è trasformata nel tempo la cinta muraria di Torino. Gli ampliamenti della città furono tre, si può pero‟ pensare che essi facessero parte di un‟idea già progettato dagli architetti che nel 1600 avevano studiato la possibilità di

Fig.22 - Presenza contemporanea delle due cinte murarie.

trasformare Torino in una città fortezza a forma di mandorla; forma ritenuta

Osservando la figura 22 dove compare la cittadella, che venne fatta realizzare da Emanuele Filiberto dopo aver scelto Torino come capitale del suo Stato nel 1563, vediamo che oltre alle mura romane c‟è una imponente cinta fortificata, che fu iniziata dai Francesi durante la loro occupazione della città durata 27 anni nella prima metà del 1500. La presenza contemporanea di queste due cinte murarie, attualmente, è evidente in uno spazio vicino al teatro romano. Nella figura 23 è ben rappresentata la fortificazione verso il castello dopo il I° ampliamento di Carlo di Castellamonte del 1620; all‟estrema destra vi era il


Bastione San Lorenzo; è evidente anche la fortificazione di Palazzo Madama cioè del Castello.

Fig.23 - Borgonio: Veduta prospettica di Torino dopo il 1° ampliamento.

Fig.24 - Morello: Studio per il 2° ampliamento.

Nello studio per il II° ampliamento (fig.24) sono ancora evidenti le mura precedenti dove si vede bene la modifica del Bastione San Lorenzo. Il procedimento di ingrandimento della città non era determinato dalla volontà dei cittadini, essi non potevano costruire fuori dalle mura, perché prima veniva fatta costruire la cinta muraria e poi in un secondo momento la nuova porzione di città veniva occupata dai cittadini, che dovevano seguire le direttive del sovrano date attraverso l‟architetto di corte Questo procedimento è evidente dai documenti riguardanti l‟assedio di Torino del 1706. In quel periodo esistevano già le mura che verranno poi sfruttate da Filippo Juvarra per il III° ampliamento del 1719. In quella zona della città per alcuni anni ci fu una doppia difesa esterna in modo che, nell‟eventualità di un cedimento della difesa più avanzata, ce ne fosse una di riserva. Le fortificazioni che nel 1706 circondavano la città comprendenti cittadella, bastioni, fossati, strade coperte e opere avanzate occupavano i 7/10 di tutta la superficie della città, che allora contava 40.000 abitanti. Torino comunicava con l‟esterno per mezzo di quattro porte: La Porta di Po, che si trovava alla fine di via Po, la Porta Palatina, la Porta Susina che si trovava dove ci sono i quartieri Militari in Corso Valdocco (opera di Filippo Juvarra)e la Porta Nuova al fondo della via nuova cioè di via Roma.

Fig.25 - Bellotto: Veduta dell’antico ponte sul Po a Torino.


Le fortificazioni si trovavano a qualche decina di metri dall‟abitato; oltre ad esse c‟era la campagna aperta ed esistevano due sobborghi: quello del Ballone e quello in riva al Po' su entrambe le sponde, collegate da un unico ponte di legno.(fig.25). Parlando però delle difese di Torino nel XVIII secolo bisogna ricordare la difesa sotterranea, i 14 km circa di gallerie che partivano dalle tre punte esterne della Cittadella in direzione esterna, con cunicoli e fornelli predisposti per la guerra di mina e contromina praticata in quell‟epoca. Esistevano due ordini di gallerie: la ”capitale bassa” scavata ad una profondità di circa 14 metri che collegava la Cittadella con l‟esterno e la “capitale alta”, ad una profondità di circa 6 metri, che con molte diramazioni portava ai diversi punti della pianura antistante, dove era necessario fare esplodere le mine. I due ordini di gallerie comunicavano tra loro con alcune scale particolarmente sorvegliate. Fu proprio in una di queste scale che avvenne il sacrificio di Pietro Micca. (fig.26)

Tornando in superficie e guardando la pianta della città contiamo 16 bastioni. (fig.8) Il bastione è un opera di difesa consistente in un terrapieno contenuto in un perimetro poligonale di grossa muratura, la cui parete esterna risulta costruita da una parte inferiore a scarpata e da una superiore verticale. Noi ora puntiamo la nostra attenzione sul tratto di mura che ancora esiste ai Giardini Reali, gli altri tratti furono fatti abbattere da Napoleone nel 1800. (fig.27)

Fig.27 - I Bastioni San Maurizio e San Lorenzo dal Theatrum Sabaudiae.

Fig.26 - Scala di Pietro Micca. Disegno del Gen. Guido Amoretti Vi era poi la galleria Magistrale che con un percorso a zig-zag metteva in comunicazione tutte le varie gallerie.

Qui possiamo vedere il Bastione San Lorenzo, che ha una forma asimmetrica, e poi il Bastione San Maurizio, che era il più grande di tutta la città. I Bastioni però non erano così come li vediamo attualmente, perché noi vediamo solo la parte superiore. Essi continuano sotto terra per altri sette-otto metri e intorno ad essi c‟era un largo fossato che teneva lontano i nemici (fig.28).


Fig.28 - Bellotto: Veduta di Torino dall’alto del Bastion Verde del Giardino Reale e del tipico Garittone. Su entrambi i Bastioni sorgono due padiglioni: quello di San Lorenzo è anche chiamato "Il Bastion verde” ed ha subito in tempi abbastanza recenti dei restauri, quello di San Maurizio invece è da tempo completamente abbandonato e il suo degrado è molto avanzato. Non solo il Garittone sta cadendo poco per volta a pezzi, ma il Bastione stesso è trascurato, vi sono degli alberi che sono spuntati tra i mattoni e che certamente danneggiano la sua solidità: nello spigolo i mattoni sono caduti. (fig. 29) Noi abbiamo visitato il bastione e il Garittone l‟anno scorso e poi nel mese di febbraio ed abbiamo constatato come il suo degrado sia aumentato durante l‟ultimo inverno: a terra abbiamo trovato le grondaie e dei detriti. Passiamo ora alla descrizione del padiglione che ha la forma di un pentagono non regolare, uno dei suoi lati infatti è più piccolo degli altri. I due lati, rivolti verso i giardini Reali, sporgono oltre le mura sorretti da una serie di mensole collegate da archi. Alla punta protesa verso l‟esterno c‟è un balconcino triangolare, le due pareti sono decorate da paraste che incorniciano le finestre.

Fig.29 - Particolare del Garittone anno 1997 I tre lati interni del padiglione sono invece privi di decorazioni. Alla base del bastione c‟è un medaglione in bassorilievo con l‟immagine di San Maurizio che era il protettore di casa Savoia. L‟interno del Garittone è attualmente inagibile; dall‟ultima persona che l‟ha abitata, la signora Lisa figlia del giardiniere Reale, abbiamo saputo che all‟interno, all‟altezza del balconcino, c‟è un grande e bellissimo salone che occupa tutto il piano, che c‟è un piano seminterrato ed una cantina nella quale si apre un profondissimo pozzo. Dietro il Bastione San Maurizio vi è la zona dell‟antica Accademia Militare, che era stata progettata da Amedeo di Castellamonte e che è stata presentata con chiarezza nel Theatrum Sabaudiae. Il Theatrum Sabaudiae è un‟opera molto importante che contiene i disegni di Torino del 1600 ed i progetti che i Savoia volevano realizzare per farla diventare una vera capitale. Alcune tavole, come quelle rappresentate nelle pagine precedenti, sono abbastanza attinenti alla realtà, altre invece non sono state realizzate. Il Theatrum Sabaudiae venne stampato ad Amsterdam nel 1686. Osservando il disegno "Veduta del complesso dei palazzi del Comando" possiamo notare come questa parte della città sia stata progettata in modo coerente: ogni spazio ed ogni costruzione è stato studiato come cellula di un unico organismo equilibrato, lineare e maestoso allo stesso tempo, adatto a rappresentare la grandezza del Sovrano. Nella piantina (fig.27) sono rappresentati i fabbricati relativi all‟Accademia Militare ed al Teatro regio effettivamente realizzati.


DAL BASTIONE SAN MAURIZIO ALLA CHIESA DI SANTA PELAGIA ATTRAVERSO 8 CORTILI Per unire idealmente i due monumento adottati il Bastione San Maurizio e la Chiesa di Santa Pelagia, abbiamo tracciato un percorso che si articola attraverso 8 cortili. Innanzitutto dobbiamo sapere che cosa s‟intende per cortile: esso è un‟area scoperta compresa entro il perimetro di un fabbricato, pubblico o privato, destinata a dare aria e luce agli ambienti interni. Ogni famiglia che si affaccia sul cortile concorre, con le sue abitudini, a dargli una fisionomia particolare. Si tratta di un„area intermedia fra lo spazio pubblico e quello privato, comune sia agli adulti sia ai fanciulli Alcuni cortili sono stati scelti per le loro caratteristiche architettoniche, appartenenti a stili da noi studiati e ricorrenti nei monumenti adottati, altri, invece, per la loro importanza dal punto di vista storico. Con questa iniziativa, che è stata molto interessante, abbiamo potuto scoprire delle curiosità riguardanti cortili facenti parte di palazzi nei quali, è accaduto molte volte, abitiamo. Con il nostro lavoro abbiamo voluto far rinascere l‟interesse ed il rispetto per il cortile, un luogo troppo spesso trasformato in posteggio di auto ed precluso ai giochi dei fanciulli che speriamo venga rivalutato e torni ad essere, come un tempo, un sereno punto d‟incontro.

ANTICO CORTILE DELL’ACCADEMIA MILITARE Il Primo cortile del nostro itinerario è un cortile che non c‟è più; la sua storia può essere ricostruita leggendo le tracce che ha lasciato sulla facciata dell‟Archivio di Stato. Il primo progetto dell‟Accademia Militare lo troviamo nel Theatrum Sabaudiae, che venne realizzato quasi completamente secondo i disegni di Amedeo di Castellamonte. La costruzione dell‟Accademia venne iniziata nel 1675. Essa era formata da un ampio cortile circondato da edifici e da un isolato diviso in quattro parti che comprendeva la Cavallerizza, scuderie ed alloggiamenti; il progetto primitivo venne più volte modificato, per esempio per costruire il teatro Regio o per realizzare la Cavallerizza. Nel complesso dell‟Accademia Militare lavorarono tre grandi architetti: Amedeo di Castellamonte nell‟impostazione generale, Benedetto Alfieri nella costruzione del Teatro e della Cavallerizza e Filippo Juvarra nell‟Archivio di Stato. Nell‟antico grande cortile si affacciavano: la facciata interna del Teatro Regio, la facciata dell‟Archivio di Stato, il Palazzo dei Paggi ed un quarto edificio, che era il principale sul lato di Via Verdi. Di questo storico cortile ci rimangono purtroppo solo delle fotografie. Tranne quello del Regio, i palazzi avevano un porticato al pianterreno ed un loggiato al primo piano, gli archi erano sostenuti da colonne binate. L‟Accademia Militare di Torino venne colpita dai bombardamenti nel 1943 durante la seconda Guerra Mondiale e vennero distrutti la maggior parte dei palazzi che si affacciavano sul cortile.

Fig.30 - Cortile dell’Accademia Militare


Nel 1936 l‟antico Teatro Regio era stato distrutto da un incendio. Nel 1959 venne sgomberata tutta la superficie, perciò tutta l‟area doveva essere ripristinata o restaurata. Dopo molte discussioni tra coloro che volevano ricostruire secondo gli antichi schemi e coloro che volevano strutture nuove, venne costruito il nuovo Teatro Regio su progetto dell‟Architetto Mollino, inaugurato nel 1973. La piazzetta rimasta di fronte all‟Archivio di Stato è ciò che rimane dell‟antico cortile ed è dedicata all‟architetto Mollino.

un‟atmosfera particolarmente suggestiva. La monotonia del materiale usato è spezzata dalla leggera decorazione che troviamo sopra le finestre, sotto i davanzali e tra una finestra e l‟altra. Di fronte all‟ingresso vediamo il fianco della Cavallerizza con le caratteristiche finestre a forma di conchiglia stilizzata tipiche dello stile barocco. L‟edificio d‟ingresso ha un porticato formato da archi ribassati, la pavimentazione è a ciottoli di fiume a due colori.

CORTILE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

CORTILE DI VIA VERDI 7 E‟ uno degli antichi cortili interni dell‟Accademia Militare e si trova di fianco alla Cavallerizza, è completamente rivestito in cotto e in esso si respira

La città di Torino inaugurò nel 1412 i primi corsi dello "studio generale", cioè dell‟università degli studi e la sua prima sede fu un edificio situato nella zona di via San Francesco d‟Assisi. L‟università degli studi ebbe una storia piuttosto travagliata, legata alle vicende storiche della città, venne per un certo periodo chiusa e spostata a Mondovì e poi riaperta con Emanuele Filiberto. L‟attuale palazzo venne costruito dopo il II ampliamento della città, nel 1713, dall‟architetto Gorove, nel periodo in cui Vittorio Amedeo II diventato re si dedicò all‟organizzazione, anche scolastica, del suo regno.


L‟isolato ha una forma trapezoidale ed è stato quindi piuttosto difficile dare a tutta la costruzione l‟aspetto di equilibrio e di regolarità che si riscontra nel cortile. La facciata che dà sulla contrada della Zecca (via Verdi) e le due laterali sono in cotto, l‟edificio appare austero, ma le decorazioni delle finestre e l‟imponenza del portale lo rendono più ricco rispetto a quello antistante dell‟accademia Militare. Attraverso un androne si entra nel cortile che contrasta per il suo colore chiaro e luminoso, è di forma rettangolare e, come la maggior parte degli edifici importanti dell‟epoca, ha un porticato al piano terreno ed un loggiato al primo piano. Gli archi del porticato e del loggiato sono sorretti da colonne fasciate con un capitello ionico sormontato da una cornice sporgente, una balaustra separa i due piani. Al di sopra, appare un terzo piano più rientrato, ancora un ultimo piano con finestre semicircolari e più rientrato ancora, un ultimo piano con finestre rettangolari. E‟ interessante percorrere il porticato ed il loggiato, al quale si accede per mezzo di due scale imponenti, perché lapidi, statue e momenti ci ricordano i personaggi importanti che qui hanno studiato o insegnato. Attraverso il cortile e l‟androne si esce in via Po, cioè nella "Contrada di Po", dove l‟edificio dell‟Università degli studi assume le caratteristiche comuni a tutti gli altri isolati: solo il maestoso portale, disegnato da Filippo Juvarra, lo mette in evidenza.

I Cristiani ritennero gli Ebrei responsabili della morte di Cristo e, poiché deicidi, segnati da grande infamia e destinati all‟emarginazione. Le prime regole ufficiali di discriminazione si trovano nel Corpus Iuris di Giustiniano. Durante tutto il medioevo si susseguirono nei vari stati Europei, dove si erano stabiliti gli Ebrei, leggi ora un po‟ più rigide, ora un po‟ più permissive,

CORTILE DI VIA SAN FRANCESCO DA PAOLA 10 BIS, FACENTE PARTE DEL GHETTO ANTICO Che cosa vuol dire la parola ghetto? E‟ un quartiere, un recinto, un isolato in cui sono obbligate a vivere delle persone che fanno parte di una certa comunità. Comunemente la parola ghetto è legata a ebreo, perché, nel corso della storia in quasi tutta Europa sono sorti dei ghetti ebraici, dove gli appartenenti a questa religione vivevano forzatamente isolati dal resto della città. Anche Torino aveva un ghetto, e di questo, in un momento in cui si parla di diritti delle minoranze, di rispetto reciproco, di tolleranza, di culture interrazziali, non c‟è molto da vantarsi. Per poter parlare, anche in modo molto superficiale, degli Ebrei e rendersi conto della loro presenza nel mondo, è necessario ricordare che le loro origini e la loro storia ci sono tramandate dalla Bibbia, che tra loro nacque Gesù Cristo e che avvenimenti e circostanze storiche determinarono nel 70 d.C. la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito e la Diaspora, cioè la dispersione del popolo ebraico esiliato dal proprio territorio nazionale.

ma sempre gravemente discriminanti. Nel corso della storia si incontrano casi di medici e di dotti Ebrei ricevuti con onore presso nobili famiglie o di artigiani apprezzati soprattutto nel campo


della stampa, ma sono episodi rari, il più delle volte erano tollerati e talvolta addirittura cacciati dallo Stato nel quale risiedevano e costretti ad emigrare. Pare proprio che in seguito a questi movimenti alcune comunità ebraiche si stabilirono in Piemonte. Nel 1430 Amedeo VIII promulgò delle leggi per il suo Stato, gli "Statuta Sahandiae", nelle quali venne anche regolamentata la posizione degli Ebrei: divieto di possedere immobili, divieto di costruire nuove sinagoghe, esclusione dalla vicinanza e dalla coabitazione con i Cristiani, obbligo di portare un segno distintivo, divieto di uscire di casa durante la "Settimana Santa" e di leggere libri vietati dalla Chiesa; i Cristiani a loro volta non li dovevano offendere, né molestare, né cercare di convertirli. Gli Ebrei però non erano considerati sudditi, ma stranieri, e potevano risiedere in questo o quello stato per concessione del Monarca. Questa concessione però doveva essere rinnovata dopo un certo periodo di tempo e pagata a caro prezzo; essa veniva rilasciata solo se una o più famiglie del gruppo fosse in grado di esercitare il prestito di denaro ad interesse. Benché in Italia ci fossero dei grandi banchieri (es. i Medici), ai Cristiani in genere questo era vietato perché contrario alla morale. Queste famiglie di "prestatori" avevano anche il dovere di assistere le famiglie povere, che rappresentavano la maggior parte della comunità. Agli Ebrei era anche concesso di svolgere alcuni modesti lavori e commerci. Nelle leggi di Amedeo VIII si parla di vita ed abitazioni separate, cioè di ghetti. In realtà, anche se la comunità ebraica viveva piuttosto raccolta per ragioni di sua comodità, e incontrò momenti più o meno difficili, a Torino non si parlò di attuazione di ghetti fino alla II° Madama Reale, cioè Giovanna Battista di Nemour, vedova di Carlo Emanuele I, che diventata reggente e, influenzata dal fratello Luigi XIV il Re Sole, ordinerà a tutti gli Ebrei di risiedere in un unico isolato compreso tra via San Francesco da Paola, via degli Ambasciatori (via Bogino) via San Filippo (via Maria Vittoria) e via des Angemmes (via Principe Amedeo). Nel 1700 a causa dell‟aumento della popolazione ebraica venne aggiunto un altro edificio più piccolo che si affaccia su Piazza Carlina, via del Moro (via des Ambrois) e via San Francesco da Paola. Le condizioni di vita erano certo infelici, perché gli Ebrei dovevano rientrare nel ghetto, chiuso da cancelli, prima che facesse buio, non potevano frequentare la scuola normale e dovevano portare un disco bianco e rosso, largo quattro dita sulla spalla sinistra davanti e dietro. I ragazzi dovevano seguire i loro studi all‟interno di questi isolati, dove erano organizzate le loro scuole e dove c‟erano anche sinagoghe. L‟unico aspetto positivo di questo isolamento fu quello che la comunità si rinforzò, che la loro tradizione e la loro cultura venne sempre alimentata da uno spirito di continuità e di solidarietà che era molto sentito. Quando venne abolito l‟obbligo della segregazione? Una prima volta quando alla fine del 1700 arrivarono i Francesi e Napoleone, che diedero agli Ebrei i

diritti di tutti i cittadini, però questi diritti vennero ritirati con la Restaurazione e una seconda volta con la legge di emancipazione del 1848 di Carlo Alberto, sollecitata da Cavour e da Roberto e Massimo D‟Azeglio. Veramente la parola emancipazione non è adatta, perché gli Ebrei non erano schiavi (in quell‟anno vennero concessi tutti i diritti anche ai Protestanti, che furono in epoche precedenti perseguitati). Un altro momento tragico per la comunità ebraica fu la persecuzione della II° Guerra Mondiale, che costò a molti di essi la deportazione nei campi di sterminio nazisti: questo momento della loro storia però non è più legato al ghetto. L‟edificio del ghetto era di proprietà dell‟Ospedale di Carità, che lo affittava alle diverse famiglie che abitavano in condizioni di sovraffollamento. In questo isolato vivevano più di mille persone. Esso era suddiviso da caseggiati interni in diversi cortili che erano però comunicanti, perché, siccome nel ghetto grande c‟erano due sinagoghe, tutti dovevano avere la possibilità di arrivarci. Una sinagoga di rito Italiano si trovava al II-III piano verso via San Francesco da Paola, quella di rito Spagnolo era al I piano di uno dei cortili detto delle Otto botteghe e questo nome testimonia la presenza di botteghe artigianali. Sotto il cortile più grande c‟era il bagno rituale e nel cortile della Taverna, quello che fa angolo tra via Bogino e via Maria Vittoria, c‟era il forno delle azzime, che è un pane senza sale preparato per il periodo pasquale. Una terza sinagoga di rito Tedesco si trovava nel ghetto nuovo. Dopo la legge di Carlo Alberto lentamente la costruzione si svuotò; nel 1865 l‟Ospedale di Carità decise di metterla in vendita e l‟architetto Panizza studiò la nuova sistemazione dell‟isolato. Dell‟antico ghetto restano soltanto questi tristi cancelli, che hanno la serratura solo dalla parte esterna e che troviamo quasi su tutte le porte dell‟isolato.

PALAZZO COARDI DI CARPENETO Sorge nell‟antica isola di Sant‟Angelo Custode: alla sua costruzione partecipò Amedeo di Castellamonte e venne poi rimodernato nel 1700 dall‟architetto Bonvicini. Benché sia uno degli edifici più importanti della piazza, ha l‟ingresso rivolto verso via Maria Vittoria, in quanto la piazza che ospitava il mercato del vino era poco signorile. Il palazzo si presenta con un atrio grandioso, adatto ad esprimere la ricchezza e la nobiltà dei proprietari. Ha delle decorazioni a stucco che mettono in risalto le sue linee architettoniche, il soffitto è sostenuto da colonne in pietra con un ricco capitello ionico con ghirlande; vi sono quattro nicchie con statue a grandezza più o meno naturale di soggetto allegorico.


Interessante è anche la pavimentazione del cortile fatta in ciottoli di fiume a due colori, che presenta un semplice disegno a rettangoli e cerchi: era un tipo di pavimentazione molto diffuso perché piuttosto economico, di lunga durata, facilmente riparabile ed adatto ai cavalli. Le pietre venivano raccolte da mano d‟opera femminile lungo i fiumi o altri corsi d‟acqua e trasportate in ceste, poi venivano selezionate a secondo della grandezza e del colore. Erano messe in opera da operai specializzati provenienti per la maggior parte dal Biellese. Essi usavano, come attrezzo di lavoro una martellina asimmetrica con una parte a forma di martello piatto e con l‟altra a forma di lungo becco. Con la parte a becco scavavano nel terreno appositamente predisposto la sede del ciottolo, con la parte piatta invece, dopo averne controllato la solidità battendola, lo sistemavano al suo posto. Potevano seguire i disegni stabiliti, creando così dei veri tappeti di pietre. In un primo momento tutte le strade di Torino erano ricoperte di ciottoli, solo in un secondo tempo vennero sistemate le corsie in pietra per i carri.

PIAZZA CARLINA

Questo atrio immette in un cortile rettangolare che è stato pensato soprattutto nella parte di fronte all‟androne come un fondale scenografico. A prima vista la casa appare di tre piani; in realtà, osservando bene vediamo: un piano terreno, un piano ammezzato, il piano nobile, un secondo piano ammezzato ed un secondo piano che possiamo definire seminobile. L‟altezza dei due ammezzati è inferiore a quella degli altri piani. Un ballatoio corre lungo tutto il piano nobile, tre balconi sono all‟ultimo piano. Dai tetti vediamo spuntare sul lato di via Maria Vittoria e su quello di fronte tre soffitte piuttosto imponenti, decorate con paraste e sormontate da un timpano o dal semicerchio.

Piazza Carlo Emanuele II o Piazza Carlina o Piazza Carolina venne pensata quando nel 1673 venne realizzato su progetto di Amedeo di Castellamonte, il secondo ampliamento verso il Po, per dar più spazio alla cittadinanza e per nobilitare la città con edifici prestigiosi. Infatti nel 600 le trasformazioni della città non avvenivano per l‟iniziativa dei cittadini, come al tempo dei comuni, ma per volere dei sovrani, che volevano fare della capitale l‟immagine dello Stato e del potere. Questa piazza venne progettata di forma ottagonale e circondata da portici, ma due anni dopo morì il duca e tutto si fermò. Cinque anni dopo la vedova di Carlo Emanuele II , Maria Giovanna Battista di Nemour ("Madama Reale" e reggente dello Stato per il figlio Vittorio Amedeo II) decise, per affrettare i lavori della piazza e per vendere i terreni, di tornare alla classica forma quadrangolare con case di tre piani e con giardini all‟interno dei cortili, secondo lo schema del Castellamonte e con al centro della piazza un monumento equestre.


Fig.31 - F.Castelli: Piazza Carlina nel 1817.

Bettino (aiuto del Castellamonte) - Disegno del primo progetto di Piazza Carlina Questa sistemazione appare anche nel teatro Sabaudiae; in seguito si stabilì di spostare in Piazza Carlina il mercato del vino che prima si trovava in piazza della Cittadella. Certamente quel tipo di mercato non era adatto a dar prestigio alla piazza ,anche perché era prevista la costruzione di " ali stabili ", cioè di tettoie per riparare i negozianti, i carri, i tini, i cavalli ecc. che ben presto si trasformarono in baracche. Questi " baracconi " dedicati ai Santi Defendente, Camillo, Grato, Ambrogio furono progettati dal Castellamonte. Avvenne quindi che alcuni proprietari di palazzi nobili scegliessero di far aprire le abitazioni sulle vie che conducevano alla piazza, in particolare su via Maria Vittoria, molto importante perché attraversava la città dalla Cittadella al Po. E‟ interessante oseervare, oltre alle antiche piante, l‟incisione degli inizi dell‟800 (fig.31) che da una visione della piazza: in fondo si riconoscono Palazzo Guarene , l‟Albergo di Virtù, a destra la cupola di Santa Croce; quelle costruzioni più basse sono i baracconi del vino frequentato dai Brentatori questo nome deriva da " brenta ", che era una misura di capacità.

Durante l‟occupazione francese della fine del 1700 in piazza Carlina venne innalzata la Ghigliottina, chiamata in dialetto "La Beata" o "La Beatissima": di qui nasce l‟imprecazione "Ma và n‟s‟la Beata!" Dobbiamo ancora ricordare che i vari isolati, non solo di piazza Carlina, ma di tutta la città, avevano il nome di un santo al quale erano dedicati.

CASERMA BERGIA COLLEGIO REALE DELLE PROVINCE Quest‟edificio ha una storia lunga ed importante che inizia nel XVIII secolo. Vittorio Amedeo II nel 1713, dopo la vittoria sui Francesi, ottenne il titolo di Re e si dedicò all‟organizzazione del suo Stato. Con una serie di provvedimenti, che vanno dal 1720 al 1730 circa, tolse ai Padri Gesuiti il monopolio dell‟insegnamento superiore e lo passò allo Stato. Fece costruire la nuova sede dell‟Università in via Po e aprì agli studiosi la sua biblioteca. Nel 1729 il Re decise di istituire un collegio per il mantenimento di cento giovani meritevoli, provenienti dalle province, desiderosi di studiare, ma poveri, destinati a diventare funzionari e professori da inviare nelle diverse parti del Regno. Venne scelta come sede una casa di proprietà dei Padri Filippini. Avvenne poi che molte famiglie, anche nobili e ricche, chiedessero di poter iscrivere in


quella scuola i propri figli e perciò il numero degli studenti crebbe. Una decina di anni dopo bisognò chiedere al Re una sede più grande e più adatta. Venne individuato allora nell‟isola di San Sebastiano la casa di un medico, il Dott. Molinetti, abbastanza grande da poter alloggiare i cento collegiali più i pensionanti. I lavori di adattamento e di trasformazione vennero affidati all‟architetto Bernardo Vittone e l‟edificio, alla metà del 1700, poté ospitare circa 250 studenti. Con la rivoluzione francese, l‟invasione di Nizza e Savoia e la minaccia di invasione della città, vennero chiusi l‟Università e il Collegio delle Province, tanto più che alcuni spazi erano destinati a truppe militari. Nel 1787 l‟edificio venne destinato a caserma, il Collegio delle Province, verrà riaperto in altra sede in epoca napoleonica e poi definitivamente chiuso nel 1860. Dopo la caduta di Napoleone, con la Restaurazione, tornò a Torino Vittorio Emanuele I che, volendo riorganizzare la sua città, dietro insistenza dei suoi ministri decise di istituire un nuovo corpo militare, cioè i Carabinieri. Siamo nel luglio 1814.\ I militari di questo nuovo corpo furono armati con sciabole e carabine (di qui il nome di Carabiniere), indossarono un abito di panno turchino, tagliato in modo da adattarsi al corpo, con nove grossi bottoni, ampio davanti in modo da lasciar libertà di movimento e con le iniziali si Sua Maestà sul colletto. Furono selezionati, di altezza non inferiore al m. 1.75 e, cosa molto importante ed innovativa per quei tempi, capaci di leggere e scrivere. Il nucleo di Carabinieri nacque in questo edificio e fu formato da 27 ufficiali e da 776 militari, il loro primo comandante fu Thaon Di Revel. I compiti dei Carabinieri erano importanti: dovevano inseguire i malfattori, indagare sui delitti, proteggere il commercio, sorvegliare i vagabondi, accompagnare i prigionieri, arrestare i colpevoli, ecc., avevano cioè un compito di polizia in un momento in cui non esisteva ancora nulla del genere; oltre a ciò avevano da seguire le vicende militari in quanto facevano parte dell‟esercito. In poche parole ebbero tutti quei compiti che ancora oggi i Carabinieri, con metodi e tecnologie moderne, continuano a svolgere. Ora osserviamo la costruzione e in particolare il cortile. L‟architetto Bernardo Vittone, che si firmerà sovente con il titolo di ingegner, scrivendo di questo edificio si dispiace di non averlo potuto ideare completamente, ma di aver dovuto adattare una costruzione preesistente e di aver avuto pochi denari a sua disposizione.

Nel progetto originario la costruzione doveva essere il doppio di quella realizzata, doveva avere due cortili separati dal refettorio e da una movimentata cappella; questa ed il secondo cortile non vennero edificati. La facciata è severa, adatta ad un edificio dello Stato; esso si presenta diviso orizzontalmente in due parti: in quella bassa che comprende i primi due piani c‟è un finto bugnato ai lati, che evidenzia la parte centrale con il portale. Gli altri due piani sono uniti da un ordine girante di lesene, che suddividono gli spazi nei quali si aprono le finestre. Il portale è fiancheggiato da colonne fasciate in pietra che poggiano su un alto piedistallo (plinto) e che sorreggono il balcone decorato da volute barocche. Sotto il balcone vediamo una decorazione classicheggiante con triglifi e metope lisce.


Alla severità della facciata si contrappone l‟eleganza dell‟atrio decorato con stucchi bianchi di ispirazione rococò, che hanno lo scopo di formare tanti piccoli riquadri, che moltiplicano lo spazio non troppo grande. Sulla destra di fronte all‟accesso alle scale, possiamo notare come la forzatura della prospettiva dia l‟effetto di una profondità maggiore di quella reale. Osservando gli stucchi vediamo conchiglie, riccioli, motivi floreali e testine molto eleganti. Dall‟atrio si entra nel cortile, che riprende la severità della facciata, anche se in modo più libero. Qui possiamo vedere bene lo schema di molti palazzi di questo periodo, che hanno una galleria al piano nobile che sovrasta il porticato del piano terreno. In questo caso il porticato occupa solo tre lati del perimetro, in quello di fondo viene solo continuato il motivo (disegno) dei pilastri e degli archi. Come nella facciata ritroviamo l‟ordine gigante che unisce i due piani superiori, le lesene si impostano sui pilastri del porticato e dividono le grandi finestre ad arco realizzate con accorgimenti prospettici in modo da dare un maggior effetto di profondità. L‟eleganza delle finestre della galleria è guastata dai parapetti, che sono stati aggiunti in un secondo tempo. Caratteristici sono i capitelli delle lesene, che hanno la forma di uno scudo e che all‟interno riproducono i simboli delle materie insegnate nell‟antico Collegio delle Province. Al centro del cortile vi è una fontana a base ottagonale.

tessitura, prima della lana e poi della seta. Era una delle manifatture più importanti dello Stato Sabaudo, venivano infatti prodotti: galloni, calze,

EDIFICIO DI PIAZZA CARLINA 15 ANTICO ALBERGO DI VIRTÙ Questo edificio sorge nell‟antica isola di San Bartolomeo e fin dal 1682 ospito‟ l‟albergo di virtù. Questa era una istituzione a carattere educativo e assistenziali; fondata nella seconda metà del 1500 dai soci della Compagnia di San Paolo. La Compagnia di San Paolo era una congregazione di laici nata nel 1500, che aveva come scopo quello di organizzare attività di tipo caritativo e assistenziali. Essi fondarono l‟Albergo di Carità, che voleva educare gli "ignobili" alle arti meccaniche e l‟Ospedale di Carità per il ricovero dei mendicanti. L‟Albergo di Carità prenderà il nome di Albergo di Virtù nel 1587 e passerà sotto la protezione di Emanuele Filiberto e dei suoi successori; l‟ospedale di Carità invece fu affidato al Comune e troverà la sua sede nell‟attuale palazzo degli Stemmi in via Po. Nell‟Albergo di virtù si raccoglievano gli orfani ed i convertiti dal protestantesimo con lo scopo di evitare la mendicità, di dar loro una educazione religiosa e di avviarli ad un mestiere che li aiutasse a vivere. Ma poiché bisognava tenere presente anche le necessità economiche dello Stato gli ospiti lavoravano dopo aver imparato l‟arte della lavorazione della

nastri di seta e splendidi velluti, che facevano concorrenza a quelli francesi. La facciata di questo edificio, originariamente, era molto più semplice e lineare, come si vede nella fig 31; era messa in evidenza da un bugnato solo il portone. Le altre decorazioni furono aggiunte all‟inizio del 1900, forse per renderlo più simile al Palazzo Guarene. Attraversato un androne decorato da stucchi che ne sottolineano le linee architettoniche, arriviamo all‟elegante cortile quadrangolare circondato da un porticato, che crea al primo piano un grande terrazzo recinto da una balaustra. Il porticato venne aggiunto nel 1700, perché in origine non c‟era. Le colonne sono in pietra, con un semplice capitello sottolineato da un collarino. Se guardiamo con attenzione, vediamo che il colonnato non è uguale, perché di fronte all‟androne la campata è più larga, e vi sono a destra e a sinistra delle colonne binate. Tutto questo serve a mettere in evidenza l‟ingresso della cappella che c‟era un tempo, dedicata alla Vergine della Concezione.


L‟albergo di virtù funziono‟ fino al 1890. In seguito l‟edificio, che è di proprietà del Comune, venne adattato ad abitazioni private.

CORTILE DI VIA SAN MASSIMO 31/33: ISOLATO DEI MASTRI FABBRICATORI DI STOFFE IN ORO, ARGENTO E SETA. Nel 1500/1600 la lavorazione dei tessuti di seta era modestamente diffusa a Torino, erano prodotte stoffe semplici, lisce e piuttosto economiche. Verso la fine del 1600 aumentò la richiesta di stoffe più ricche e preziose: infatti nel 1686 venne fondata “L‟Università dei mastri fabbricatori di stoffe d‟oro, d‟argento e di seta della Città di Torino”, che affittò un locale nella contrada di Po vicino alla Confraternita dell‟Annunziata e che in quella chiesa si riservò la cappella dell‟Assunta per le proprie manifestazioni religiose. Perché fu scelta quella zona della città? Perché essa, che da pochi anni era entrata a far parte della città (II ampliamento 1673), ospitava già da tempo antiche manifatture: tessiture, fornaci di vetri, fabbriche di maioliche. Il ramo tessile era quello più importante ed in continuo incremento. Sempre in quella zona si trovavano " mastri minusieri " ( falegnami) e mastri serraglieri (fabbri), utili per le riparazioni ai telai e c‟era disponibilità di mano d‟opera femminile. La presenza di artigiani tessili però non era molto gradita alla cittadinanza, perché i telai funzionando erano molto rumorosi, perché le vibrazioni prodotte dal telaio in azione compromettevano la solidità dei muri e perché le incertezze delle commissioni non garantivano il puntuale pagamento dell‟affitto. Per queste ragioni, l‟Università pensò ad un progetto ambizioso, cioè alla costruzione di un fabbricato adatto alla manifattura e nello stesso tempo ad abitazione degli addetti. La realizzazione del progetto di cercare una manifattura abitazione fu tentato da privati, fu parzialmente finanziato dai Savoia, ma venne attuato in modo quasi completo solo 100 anni dopo. A metà del „700 l‟attività della tessitura era in gran parte sostenuta dagli istituti di carità (Albergo di Virtù, Ospedale di Carità) e da artigiani che, pur facendo parte dell‟Università, lavoravano isolatamente. Finalmente nel 1781, dopo un‟ennesima supplica dei tessitori, il re acconsentì a che venisse individuato nell‟isolato San Pasquale, vicino ai bastioni e all‟ospedale San Giovanni, un lotto di terreno ancora poco costruito e di forma irregolare, nel quale sarebbe sorta questa manifattura-abitazione, in un edificio progettato appositamente e non adattato frettolosamente.

Questo isolato era adatto perché periferico e perché la tessitura di stoffe preziose rientrava tra le" manifatture delicate e di gran lusso dipendenti dalle arti del disegno", come quelle per la lavorazione di arazzi, mosaici, pietre dure e porcellane e perciò poteva rientrare entro le mura della città, mentre le manifatture che producevano tele comuni, pellami, vetri, ferri ecc. " vanno stabilite lungi dalle città grandi, nei paesi". I lavori di costruzione procedettero a rilento e con fatica; dopo tre anni l‟intero isolato venne acquistato, sotto costo, dai Padri Trinitari Scalzi di San Michele, che si impegnarono di portare a termine l‟edificio. Essi affidarono il progetto all‟architetto Pietro Bonvicini, che organizzò tutto l‟isolato, sistemando dalla parte opposta alla manifattura la chiesa di San Michele. Per quanto riguarda il decoro della città, la chiesa si sarebbe trovata sulla linea di quella dell‟Annunziata, la via dell‟ospedale sarebbe stata ben completata dalla nuova costruzione che le monache di Santa Pelagia avrebbero fatto costruire al fondo del loro orto. Esaminiamo ora il progetto di questo edificio così innovativo: esso è eseguito tenendo presente le necessità lavorative, prevede infatti grandi cameroni


(laboratori) alternati ad altre più piccole usate per abitazioni. Esso è formato da un piano terreno, quattro piani e un piano di soffitte. Ogni piano prevedeva dieci appartamenti serviti da quattro scale poste agli angoli della costruzione, più trentatré soffitte. Dei tre requisiti di una costruzione Bellezza - Comodità - Solidità, venne messo al primo posto la Solidità, cioè venne data grande importanza alle caratteristiche strutturali ed al materiale di buona qualità; al secondo posto la Comodità, cioè la buona e agevole distribuzione degli ambienti; al terzo posto la Bellezza, che si raggiunge con la distribuzione razionale degli elementi necessari alla costruzione: la ragione infatti dice che in una fabbrica non ci deve essere nulla che non sia necessario. Tutto ciò che c‟è deve servire per qualche cosa (siamo nell‟illuminismo). La dimostrazione che le semplici strutture possono essere "belle" ci è data dalla scala dell‟angolo acuto dell‟edificio, che forma un doppio pozzo, nel quale sono evidenti le rampe di scale, gli elementi portanti dei ballatoi e che per l‟equilibrato alternarsi di spazi chiari e scuri creano un effetto molto suggestivo. E‟ uno spazio che possiamo definire moderno, funzionale, molto vicino al nostro gusto. La decorazione esterna è limitata a fasce orizzontali, che separano i diversi piani e al bugnato che fascia gli angoli; le finestre sono solo ritagliate nella facciata. Più ricche sono le soffitte, che erano usate come abitazione. Proseguendo la storia della nostra fabbrica-abitazione possiamo ancora dire che non ebbe il successo previsto, perché non venne occupata interamente dai mastri tessitori a causa della crisi tessile, perciò i Padri Trinitori divisero qualche laboratorio e affittarono anche ad altri. A questo va aggiunto che negli ultimi due-tre anni del 1700 la crisi peggiorò e molti tessitori vendettero i loro telai. (In questo periodo Torino fu occupata dai Francesi e poi da Napoleone). Il governo napoleonico destinò l‟edificio in parte vuoto all‟opera maternità dell‟ospedale San Giovanni. Negli anni 1970-80 l‟edificio fu restaurato ed adibito ad abitazione. A conclusione possiamo dire che il progetto dell‟Università dei mastri fabbricatori di stoffe d‟oro, d‟argento e di seta della città di Torino non ha avuto un brillante esito economico, ha però testimoniato con questo edificio la nascita di una nuova realtà legata ai problemi della rivoluzione industriale e alle problematiche del lavoro e della città, che ancora oggi sono attuali.


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