Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Redazione: 80123 Napoli, Salita Casale di Posillipo 14 - Tel. 300.783 Amministrazione: 80121 Napoli, Via dei Mille 61 - Tel. 231.692
Un fascicolo separato L. 800 - Estero L. 1.000
Abbonamen·to annuale:
Ordinario L. 2.000 - Estero L. 2.500 Sostenitore L. 10.000 Promotore L. 25.000 Un fascicolo arretrato L. 1.200 - Estero L. 1.500 Un'annata arretrata L. 3.000 • Estero L. 4.000 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV C/C/P n. 6-13689
Edizioni « Il centro •
La prossemica: un 1111ovo apporto all'archite//ura?
s
La poetica dell'arte povera
27
Note sull'UniversitĂ e la professione'
36
O. FERRARI, Una Biennale rimasta senza giudizio
57
Ubri, riviste e mostre
62
Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Urbano Cardarelli,
Marisa Cassola, Vitaliano Corbi, Renato De Fusco, Virginia Gangemi, Andrea Mariotti, Steno Paciello, Francesco Starace.
La prossemica: un nuovo apporto all'architettura?
Il quadro delle ricerche e degli studi semiologici si è di recente arricchito di una nuova branca disciplinare: la pros semica. Il suo teorico, Edward T. Hall, attraverso conside razioni derivate inizialmente da studi di antropologia e bio logia, e sulla scorta di analisi comportamentistiche, indaga sulla struttura dello spazio umano, giungendo a configurare una vera e propria Semiologia dello spazio 1• In altri termini la ricerca di Hall tende a costituire per lo spazio quello che la linguistica costituisce per l'universo dei segnali verbali, utilizzando e superando i contributi degli studi americani sulle scienze del comportamento 2• Hall opera nel solco aperto dagli s·tudi degli antropologi F. Boas, E. Sapir, L. Bloomfield e B.L. Whorf che per primi evidenziarono le profonde diffe renze esistenti tra le famiglie linguistiche 3• In particolare Whorf approfondisce il tema del rapporto del linguaggio col pensiero e con la percezione. Egli afferma che il linguaggio è un vero e proprio elemento costitutivo della formazione del pensiero e che, quindi, la vera percezione che un uomo ha del mondo che lo circonda è programmata dal linguaggio che egli parla... poiché due lingue diverse programmano spesso il medesimo insieme di eventi in modo totalmente differente, nessuna opinione e nessun sistema filosofico do vrebbe essere ritenLLto immLLne da influenze linguistiche 4• Hall traspone i concetti espressi da Whorf su di un con testo più vasto verificandone l'applicabilità all'intera sfera del comportamento umano ed utilizza gli strumenti della 5
ricerca linguistica per indagare sui comportamenti culturali degli individui e sulla complessa rete delle relazioni spaziali tra uomo e ambiente, fino ad oggi oggetto di studio della ecologia. Hall confuta la tèsi che l'esperienza sia ciò che ac
comuna tutti gli uomini, che dunque sia sempre possibile scartare in qualche modo linguaggio e cultura per risalire all'esperienza, . stabilendo un diretto ed originario contatto con l'altro. Codesta credenza, implicita e spesso esplicita, sulla natura del rapporto fra uomo ed esperienza, era basata sulla presunzione che, qtumdo due esseri umani sono soggetti alla medesima « esperienza », virtualmente gli stessi dati siano forniti ai due sistemi nervosi centrali, e c1ze i due cervelli li registrino in modo simile. L'indagine prossemica getta seri dubbi sula validità di questa assunzione, soprallutto quando si tratta di culture differenti 5 Confluiscono nella ricerca di Hall elementi della psicolo gia transazionale e del naturalismo critico americano; la tesi transazionista, che considera la percezione uno strumento di comunicazione, viene arricchita dalla considerazione che l'esperienza quale è percepita, attraverso una certa serie di filtri sensoriali, disposti secondo i condizionamenti culturali, è completamente diversa dall'esperienza percepita da altri, di ambiente culturale differente 6• La prossemica, embrionalmente espressa in The Silent Language che Hall pubblicò nel 1959, e sistematizzata in The · Hidden Dimension del 1966, utilizza ed elabora esperienze complesse ed investe campi di pertinenza pluridisciplinari, quali l'antropologia, la biologia, la psicologia, l'ecologia, la etnologia, la sociologia, ecc... La semiotica, scienza generale dei segni, costituisce il tessuto connettivo, il fondamento che riunifica i dati e le considerazioni desunte dalle diverse bran che disciplinari, e ne prospetta l'interpretazione ed i signi ficati. Le considerazioni dalle quali Hall parte e che costi tuiscono la base della individuazione dei sistemi prossemici, sono derivate dalla biologia e dalla fisiologia. Gli studi sul comportamento animale e in particolare le ricerche condotte da H. E. Howard 7 hanno messo in luce aspetti particolari quali 6 la territorialità, generalmente definita come quella caratteri-
�,ica condotta con cui un organismo afferma i propri diritti su di un'area difendendola contro membri della sua stessa specie 8• Lo studio delle relazioni tra animali e spazio con duce in altri termini alla individuazione di una sfera terri toriale che regola e condiziona il comportamento animale determinando modelli e reazioni differenti, a seconda che essi si sviluppino all'interno o all'esterno dell'area territo riale di ciascuna specie vivente. Da H. Hediger sono state individuate diverse distanze che corrispondono ad altrettante situazioni comportamenti stiche specifiche: la distanza di fuga, che varia da specie a specie, la distanza critica che comprende lo stretto intervallo che separa la distanza di fuga dalla distanza di attacco, la distanza personale, che ogni animale frappone fra sé e i suoi simili, la distanza sociale, considerata come distanza limite oltre la quale ogni animale ha la sensazione di perdere i con tatti con il branco di cui fa parte 9• Queste considerazioni of frono ad Hall la opportunità di stabilire paralleli, analogie e confronti tra comportamento animale e comportamento umano. Anche le ricerche dell'etologo Calhoun forniscono ad Hall materia per le sue osservazioni e deduzioni. Calhoun spe rimentò su di una colonia di topi gli effetti dell'aumento pa rossistico della densità sul comportamento animale che ma nifestò impressionanti distorsioni 10• Analogamente nell'am bito dei comportamenti umani, le relazioni tra sovraffolla mento e patologia sono evidenziate da Hall che esamina e recepisce i risultati delle ricerche effettuate da Chombard de Lauwes, sugli effetti negativi sociologi e psicologici del so vraffollamento nelle abitazioni cittadine 11• Le conclusioni cui giunge Hall possono in sintesi così essere espresse: esiste una soglia di sovraffollamento che varia da popolo a popolo in relazione al differente grado di coinvolgimento sensoriale e all'uso del tempo. È da ritenersi quindi indispensabile ap profondire le nostre conoscenze per imparare a calcolare esattamente la densità massima, minima ed ottimale delle oasi territoriali di diversa cultura che compongono le nostre città 12. Per raggiungere una più profonda conoscenza dei signi- 7
ficati dello spazio umano, Hall indaga sui modi e sui termini secondo i quali avviene la percezione dello spazio da parte dell'uomo. A seconda dei diversi ricettori sensoriali umani impegnati nella percezione, si distinguono «spazi» qualitati vamente differenti: lo spazio visivo, uditivo, olfattivo, termico e tattile. Il costante riferimento alla psicologia transazionale, inserisce le osservazioni di Hall sul valore della percezione dello spazio da parte dell'uomo, in un preciso quadro cultu rale. Alla tesi dell'individualità e della soggettività della per cezione, di matrice transazionista, viene aggiunto il ricono scimento che uomini di diverse civiltà abitano in universi
sensoriali diversi e le distanze tra i parlanti, gli odori, la tattilità, la percezione del calore del corpo altrui, assumono, significati culturali 13• L'uso dello spazio da parte dell'uomo appare strettamente relazionato all'esperienza percettiva e si articola quindi secondo modelli di comportamento che va riano nei differenti sistemi culturali. La possibilità di indi viduare un denominatore comune nell'uso dello spazio non viene tuttavia del tutto scartata da Hall, che osserva: Pur tenendo ben presente che ci sono grandi differenze tra le esi genze spaziali dei diversi individui e delle diverse culture, si possono tuttavia fare certe generalizzazioni, e si può stabilire un criterio che ci consenta di ordinare « oggettivamente» il senso delle varie esperienze spaziali. Insomma, la nostra espe rienza di uno spazio dato è determinata da ciò che vi pos siamo fare: un locale che può essere attraversato in uno o due passi ci dà evidentemente un'esperienza totalmente diffe rente da quella di una sala che ne richiede quindici o venti; una stanza col soffitto così basso che si può toccare dà tutta un'altra impressione di una col soffitto altro tre metri e mezzo 14• Le maggiori o minori possibilità di fruizione cinestetica costituiscono un ulteriore elemento di giudizio nella valuta zione percettiva dello spazio. E convinzione di Hall che le città americane non consentano nella maggioranza dei casi esperienze cinestetiche stimolanti; in tal modo non verreb bero esplicate tutte le possibili relazioni uomo-spazio e la 8 esperienza percettiva dovrebbe essere coI_1siderata.incompleta.
Ciò vale a dire in altre parole che lo spazio suscitatore di profondi stimoli sui nostri ricettori sensori, lo spazio che coinvolge l'uomo e che possiede qualità e aspetti materici e dimensionali tali da consentire un maggior numero di in terazioni tra uomo e ambiente, offre garanzia di una più vmpia articolazione della gamma molteplice delle relazioni uomo-intorno. Hall fa luce sui rapporti di stretta dipendenza che intercorrono tra l'uomo e il suo habitat. Il rapporto del l'uomo col suo habitat è in funzione dell'apparato sensoriale e del condizionamento del suo modo di reagire. Oggi, l'ordito profondo ed inconscio del nostro ego, la vita che si conduce: il flusso che percorre e unifica tutti i momenti dell'esistenza è costituito dagli elementi piccoli e grandi forniti da un si stema sensorio che reagisce ad un ambiente in gran parte prefabbricato della nostra civiltà ... Il senso umano dello spa zio è strettamente connesso al senso dell'ego, che è in intimo rapporto di transazione con l'ambiente. L'uomo può essere visto attraverso i vari aspetti (visivo, cinestetico, tattile e termico) del suo io, che possono essere bloccati o sviluppati dal suo habitat 15• L'evidente legame tra la ricerca di Hall e gli assunti che l'etologia (la disciplina biologica che studia le abitudini, i costumi e gli adattamenti degli animali ai l'ambiente) tende a dimostrare, sono chiaramente espressi nelle precedenti considerazioni. La tesi che accomuna l'etologia e la prossemica può con siderarsi in sintesi espressa nella proposizione che sia l'uomo sia l'ambiente sono attivi modificandosi reciprocamente 16• La prossemica in effetti utilizza i contributi dell'etologia e del l'ecologia (che studia le funzioni di relazione degli organismi con lo ambiente) offrendone una interpretazione in chiave semiotica. Il fitto sistema di interazioni tra uomo e ambiente, già messo in evidenza da Lynch, si definisce in termini più ampi e comprensivi nella ipotesi avanzata da Hall; mentre la ri cerca di Lynch tende alla individuazione delle « pubbliche • immagini della città, essenzialmente derivate dalla percezione visiva, in Hall la percezione umana dello spazio è ricono sciuta e relazionata all'intera gamma dei suoi ricettori senso- 9
riali e collegata all'uso umano dello spazio, ai modi di essere dell'uomo nello spazio, ai valori semantici che i comporta menti, costituenti veri e propri sistemi di comunicazione, as sumono nei differenti modelli culturali. Il rapporto transa zionale tra l'uomo e l'ambiente in altre parole determina un contesto comunicativo i cui significati sono relazionati ai mo delli di comportamento codificati nelle diverse civiltà. P. Fabbri osserva: il tratto distintivo di queste regole di com
portamento sociale, che più di ogni altro le renderebbe sog gette ad un trattamento linguistico, è il carattere inconscio e necessario del loro apprendistato e della loro manifesta zione. Non ugualmente distribuite nei differenti livelli di co scienza, regole e programmi ·delineano una tipologia com plessa di modelli disposti a piani secondo una stratigrafi" ::u mulativa nell'inconscio sociale 17• I modelli di comportamento umano avrebbero radici nei tre livelli delle manifestazioni dell'individuo che Hall così di stingue: manifestazioni infrnculturali che si riferiscono alla natura biologica dell'uomo, manifestazioni preculturali rela zionate ai caratteri fisiologici degli individui e manifestazioni microculturali che costituiscono il campo di osservazione e di studio vero e proprio della prossemica 18• I tre ambiti in dividuati manifestano interferenze di cui risulta complesso definire con esattezza aspetti e caratteri. Hall è del parere che la difficoltà metodologica che rende arduo esaminare il pas sc1ggio da un livello all'altro discende dalla indeterminatezza essenziale della cultura... Questa indeterminatezza dipende dal fatto che gli eventi culturali agiscono su piani diversi, mettendo un osservatore nell'impossibilità pratica di esami nare simultaneamente, con lo stesso grado di precisione, fe nomeni che interessano due o più livelli di analisi o di com portamento assai lontani tra di loro 19• Il livello microcul turale, di cui si occupa la prossemica, conterrebbe tre ca tegorie di spazio, di cui Hall analizza i caratteri: lo spazio preordinato, lo spazio semideterminato e lo spazio informale. Per spazio preordinato si intende lo spazio urbanistico delle città, definito nelle volumetrie e negli assi stradali, che 10 viene considerato alla base dell'organizzazione delle attività
individuali e sociali: abbraccia gli aspetti più appariscenti e quelli più nascosti della vita dell'uomo su questa terra, gui dandone e condizionandone il co,nportamento, imprimendosi 11el suo intimo. Gli edifici sono espressione di schemi preor dinati: essi si raggruppano insieme in guise caratteristiche, come si dividono nel loro interno secondo disegni stabiliti dal condizionamento culturale. La configurazione del paesag gio umanizzato, fai to di paesi, borghi, città, e di intervalli di campagna, non è disposta a casaccio, ma segue un piano, che muta col trascorrere dei tempi e delle culture 20• Imme diato appare il richiamo all'antropologia strutturale, ed ai contributi che ha fornito Lévi-Strauss, particolarmente con le ricerche sulle organizzazione dei villaggi dell'America del Nord e del Sud�•. Le ipotesi avanzate da Hall concordano in pieno anche con gli assunti di un'altra branca disciplinare: l'etnologia, che affronta lo studio comparativo delle vicende e degli aspetti caratteristici dei vari popoli; le modificazioni operate sull'ambiente, quindi, avrebbero la capacità di alte rare i comportamenti, le abitudini ed i modi di utilizzazione dell'intorno da parte dei differenti gruppi etnici, così come viceversa l'ambiente si strutturerebbe sotto l'azione plasma trice dei comportamenti umani. Per la prossemica i concetti di « spazio preordinato » sono mutevoli nelle diverse culture: la concezione dello spazio europeo ad esempio contrasta pro fondamente con la concezione dello spazio giapponese: il si stema europeo pone l'accento sulle linee, sulle strade, ·...il sistema giapponese accentra tutta l'attenzione sui punti di intersezione, quasi dimenticandosi delle linee 22• La categoria dello spazio semideterminato include quelle situazioni ambientali delimitate da elementi mobili e quindi variabili. Le considerazioni di Hall su questa categoria gli sono in parte suggerite dai risultati delle ricerche e degli esperimenti compiuti da un medico, Humphrj Osmond; co5tui aveva osservato che vi sono degli spazi, come quello delle sale d'aspetto ferroviario, che tendono a mantenere le per sone nell'isolamento reciproco, spazi che egli definì di « fuga sociale»; mentre altri, che egli definì spazi di « attrazione sociale », inducono la gente a riunirsi 23• Hall asserisce che 11
questi principi non sono generalizzabili e che categorie di spazio considerati preordinati in una comunità possono as sumere le caratteristiche di spazi semideterminati in una di versa civiltà; la stessa considerazione vale per gli spazi di « fuga sociale » e di « attrazione sociale "· Si ribadisce quindi, la tesi della prossemica che considera impossibile esprimere giudizi su qualsiasi aspetto della realtà se non se ne verifi cano le corrispondenze con i diversi modelli culturali che li sottendono. La terza categoria di spazi che la ricerca prossemica in dividua è chiamata « informale ». Le osservazioni sulla qua lità e sui caratteri dello spazio informale costituiscono uno dei contributi più interessanti forniti da Hall e più ricchi di aperture a nuovi campi di ricerca e di analisi. Lo spazio in formale comprende le distanze mantenute nei vari tipi di rapporto con l'altro. Queste distanze sono in generale stabi lite secondo schemi inconsapevoli... Gli schemi dello spazio informale comprendono confini e tracciati distinti, e signi ficati così profondi, anche se inespressi, da costituire una parte essenziale della cultura 2�.
La prossemica individua una tipologia delle distanze del l'uomo, così come, in precedenza, erano già state individuate da Hediger per le specie animali, riconoscendo quattro di stanze fondamentali: distanza intima, distanza personale, di stanza sociale, distanza pubblica. A ciascuna di queste di stanze corrisponde un livello di coinvolgimento sensoriale ed un modello di comportamento umano. La prossemica indaga sulle sfere spaziali che l'uomo possiede intorno a sé come estensione della sua persona... La capacità di riconoscere que �te varie zone di coinvolgimento e le attività, relazioni, emo zioni associate a ciascuna è ora diventata di estrema impor tanza 25• Le distanze che si frappongono fra gli individui e
12
le sfere spaziali che li circondano costituiscono altrettanti sistemi di comunicazione che trasmettono messaggi i cui si gnificati sono comprensibili se si rapportano alle abitudini ed alle convenzioni culturali delle diverse civiltà. Ricca di prospettive, per la ricerca dei valori semiotici dello spazio, la considerazione di P. Fabbri che nello spazio che l'uomo at-
traversa, la serie intera dei suoi incontri (transazioni), dise gna delle figure signifìcative. Figure codificate allo stesso li ,,ello delle regole della parentela, del galateo, delle forme della civiltà 26 • Acquisire i significati che l'adozione di una determinata distanza può assumere presuppone l'individua zione dei meccanismi che fanno disporre gli individui in diffe renti posizioni dello spazio; in questo comportamento, essi usano i sensi per distinguere fra uno spazio o distanza e un altro. La distanza scelta dipende da un rapporto di transa zione: il tipo di relazione fra gli individui che interagiscono, il loro sentimento della situazione e ciò che stanno facendo 27• Hall tenta di riconoscere le leggi e di ricostruire le regole che indirizzerebbero i comportamenti umani al fine di in dividuare il ruolo che essi assumono quali sistemi di signi ficazioni. Osserva che come per la gravità, l'infiuenza reci proca di due corpi è inversamente proporzionale non solo al quadrato della distanza ma forse anche al cubo dell'intervallo interposto 28• Le significazioni nascoste rappresentate dall'uso umano dello spazio non sono riconoscibili se non si superano i pre giudizi e le errate convinzioni che limitano le possibilità di interpretazione dei comportamenti umani. La generale in comprensione dell'importanza dei molti elementi che contri buiscono al senso dello spazio sembra dovuta a due principi sbagliati: 1) che per ogni effetto vi sia una causa sola e sempre identificabile; 2) che il « confine » dell'uomo coincide con quello del proprio corpo. Se ci sbarazziamo della pretesa ad una spie gazione unica e se pensiamo che l'uomo sia inserito in una serie di « campi» che si espandono e si contraggono fornendo informazioni di vario genere, cominceremo a vederlo in una luce completamente diversa 29• I campi di indagine della pros semica comprendono anche l'individuazione degli elementi dif ferenziali che caratterizzano il senso e l'uso dello spazio nelle diverse civiltà. Le annotazioni della prossemica su tale argo mento contengono elementi di particolare interesse e possono fornire la base. per un discorso più vasto e per ulteriori ap- 13
profondimenti in altri campi disciplinari. Il costante riferi mento tra il senso dello spazio e contesto culturale in cui si sviluppa, la relazione esistente tra usi, abitudini, convenzioni di alcuni popoli e i termini secondo i quali vengono esplicati modelli di comportamento e di uso dello spazio, sono oggetto della indagine prossemica che tenta classificazioni, raggrup pamenti, e stabilisce confronti. Le esperienze spaziali si con ligurano in maniera difforme nelle diverse civiltà, determi nando sistemi di comunicazione i cui significati vanno inter pretati caso per caso, e di cui non è possibile stabilire ge neralizzazioni. Il significato di una distanza o di una dispo sizione di oggetti e volumi nello spazio può assumere valori totalmente diversi se ci riferiamo ad esempio a popoli occi dentali od orientali. Anche tra i popoli che appartengono ad un unico sistema culturale è possibile riconoscere che a modelli di . comportamento codificati corrispondono sfuma ture di interpretazioni che ne variano alcune caratteristiche.
14
Quando un occidentale fa riferimento, col pensiero o con la parola, allo spazio, ha in mente la distanza che intercorre fra gli oggetti: è condizionato a guardare e a reagire agli og getti considerando lo spazio qualcosa di vuoto. Cile cosa veramente ciò voglia dire, diventa chiaro solo �e lo paragoniamo col modo di percepire giapponese, che dà invece un senso agli spazi, evidenziandone forme e configura zioni Questo concetto_ è designato da un suo termine proprio il «ma». Il «ma» (o intervallo) è un elemento base di tutta l'esperienza giapponese 30• La cultura giapponese, osserva Gre gotti, non conosce la nozione di spazio in sé, ma ha un modo e,raduale di ordinare l'ambiente che è un modo che i giappo nesi descrivono su tre gradi differenti e si chiamano: il di sordine apparente, l'ordine geometrico e l'ordine sottile 31• Hall indica tra gli altri fattori distintivi nei comporta menti umani il grado di coinvolgimento sensoriale e l'uso del tempo. Il grado di �oinvolgimento sensoriale do.vrebbe ip dicare la maggiore o minore partecipazione sensoriale del l'individuo in rapporto con gli altri individui o in relazione agli eventi esterni; l'uso del .tempo, è determinato dai modi
di programmare e distribuire le azioni. Sono individuati due modi contrastanti di utilizzare il tempo, adottati nelle di verse civiltà: tempo monocronico e tempo policronico. Il primo è caratteristico dei popoli a basso livello di coinvol
gimento, che usano dividere il tempo in tanti scomparti e programmare una cosa alla volta, e si disorientano quando devono affrontare troppe faccende contemporaneamente. Il secondo è usato da quei popoli che, probabilmente a causa dell'alto livello di coinvolgimento, tendono a svolgere pa recchie operazioni in una volta sola, come giocolieri. L'individuo monocronico, quindi, troverà in generale più funzionale separare le attività distinte in spazi diversi, men tre il policronico tenderà a radunarle tutte insieme 32• La prossemica, come s'è detto, mettendo in luce le sostan ziali differenze dell'esperienza spaziale nei diversi popoli, tende ad affermare che l'architettura e l'urbanistica non possono sottrarsi alla consapevolezza delle interazioni uomo-ambiente che acquistano, nelle diverse situazioni culturali, sfumature differenti di significati. Questa affermazione, che si condivide facilmente, ha bisogno di definizioni più precise e di appro fondimenti più rigorosi. Trasponendo i concetti derivati dalla indagine prossemica all'urbanistica ed all'architettura, Hall formula alcune ipotesi sulla organizzazione urbana fornendo indicazioni agli operatori urbanisti ed architetti che si arre stano a delle formulazioni abbastanza vaghe e generiche. La deplorazione della attuale megalopoli, che non consentirebbe l'esplicazione di comportamenti corretti, l'osservazione della mancanza di spazio negli alloggi e la constatazione della as soiuta indifferenza alle esigenze umane ed ai modelli di com portamento di molti schemi di organizzazione urbana e spa ziale a scala architettonica, non aggiungono molto a quanto negli ultimi anni già da altri studiosi hanno affermato. I compiti che Hall assegna all'urbanistica del futuro hanno il valore di semplici enunciazioni generiche se non si preci sano i modi secondo cui l'urbanistica e l'architettura pos sano recepire le indicazioni fornite da un codice antropolo gico quale in effetti vuole essere la prossemica. I problemi 15
proposti e che sinteticamente possono essere così enunciati sono: 1) Trovare il modo di calcolare e misurare la scala umana in tutte le sue dimensioni, comprese quelle più ce late e profonde... 2) Fare un uso costruttivo dei comprensori etnici... 3) Conservare spazi cittadini aperti, ampi, sgombri e agiati ... 4) Preservare i vecchi edifici e i vecchi quartieri ancora utili e soddisfacenti dalla distruzione della... ricostruzione urbana ... 33• Tale problematica, a questo livello di formulazione, non riesce a dare un contributo scientifico che possa essere real mente utilizzato dagli architetti. In definitiva il più valido apporto della prossemica non supera il livello teorico e spe culativo, non riuscendo ancora a fornire strumenti utilizza bili operativamente per la configurazione degli spazi urbani. Più che le considerazioni esplicitate da Hall sulla me galopoli e sulle ipotesi per la città futura, alcuni riferimenti impliciti ed enunciati teorici possono aprire prospettive di ricerche interdisciplinari che interessino l'architettura. L'in terrogativo che P. Fabbri si pone: nell'architettura e nell'ur banistica, bisogna cercare forme la cui sostanza non sia nient'altro che lo spazio? tocca direttamente i nostri proble mi 34• L'architettura dovrebbe stabilire un più intenso rap porto di coinvolgimento sensoriale con l'individuo, se la per cezione dello spazio non è solo percezione visiva e cineste tica, ma investe l'intera gamma dei ricettori sensoriali. Nuove prospettive si aprono alle ricerche architettoniche se vo gliamo che allo spazio sia assegnata una maggiore carica sti molatrice di rapporti interazionali con gli individui. Possono essere pienamente condivise le considerazioni critiche espresse da Fabbri sul valore degli studi prossemici: resta da percor. rere ancora molta strada, ... ma ci sembra pertanto la sola possibilità valida per articolare un modello spaziale che sia la proiezione delle categorie semantiche universali, di un atlante prossemico che indirizzerebbe una configurazione se16 miotica del mondo localizzandovi l'uomo.
Anche per la prossemica si è ancora una volta attuato il processo metodologico caratterizzante le scienze sociali. Così come le scienze naturali conoscono i loro problemi, si inter rogano sulle ipotesi, discutono dei risultati, così le scienze sociali si interrogano sui problemi, parlano dei metodi e tac ciono sui risultati. Bisognerà dunque che lo studioso faccia di tutto per mettere a fuoco questo nuovo campo di ricerche dove tutto è espresso nei suoi segni muti, ma dove tutto è 1·i'(luito nei suoi significati 3s_ La possibilità che i risultati degli studi prossemici ven gano utilizzati dall'architettura richiede un duplice sforzo di chiarimento in entrambi gli ambiti disciplinari: mentre la prossemica dovrà specificare ed esplicitare meglio i va lori semiotici spaziali che più direttamente interessano l'ar chitettura e l'urbanistica, d'altra parte è necessario che si in dividui a che livello ed in quali termini nel processo pro gettuale è possibile innestare le considerazioni ed i dati che la prossemica fornisce. Anche in questo caso, affiora il pro blema della determinazione di un rapporto tra un codice an tropologico, prossemico, che può giungere alla decifrazione completa dei significati linguistici che gli sono propri, e l'ar chitettura di cui non si identifica ancora con chiarezza la possibile codificazione. Il discorso investe quindi la valuta zione del ruolo e dei significati che assumono le acquisizioni delle altre discipline nell'architettura. Ciò perché, come af ferma Eco, quello che l'architettura mette in forma (un si stema di relazioni sociali, un modo di abitare e di stare in sieme) non appartiene all'architettura, perché potrebbe es sere definito e nominato ( e potrebbe sussistere), anche se, per ipotesi non esistesse l'architettura. Un sistema di rela zioni spaziali quale studia la prossemica, un sistema di rela zioni parentali quale studia l'antropologia culturale, sta fuori dell'architettura ... E dunque l'architettura deve andare a cer care quel sistema di relazioni là dove è messo in forma 36• · D'altra parte, come molto acutamente ha osservato Tafuri, bisogna tener conto delle interrelazioni e delle reciproche influenze che un sistema di significazioni ( quali ad esempio la prossemica), stabilisce con gli altri sistemi che l'architet- 17
tura comprende. Per questo, 11el definire la sostanza di un codice architettonico è opportuno far ricorso alla formula elaborata da Roman Ingarden.,e da Wellek e Warren per la letteratura: codice come sistema di· sistemi... Da un lato è lo studio delle varie strutture sociocultu rali che entrano a far parte dei linguaggi architettonici: i sistemi simbolici, il problema della conoscenza, il comporta mento sociale, le modificazioni indotte su tali domande dalle proposte degli architetti, le leggi della visione, le condizioni della tecnica ed i suoi intrinsechi significati, ecc. Dall'altro è lo studio delle interazioni che i vari sistemi esercitano reci procamente: lo studio delle deformazioni, in sostanza, che ogni sistema di valori subisce nell'entrare a fare parte di un codice artistico 37• Il tema della necessità della definizione in architettura di un reticolo strutturale nel quale vadano a collocarsi le significazioni extradisciplinari, indispensabile per valutare il possibile recupero, in chiave architettonica, delle ricerche della prossemica, in questa trattazione neces sariamente può essere solo brevemente sfiorato. Le considerazioni sull'opportunità di approfondire la re lazione tra comportamento umano e architettura e i contri buti che gli studiosi di architettura in questo campo tentano di fornire con interpretazioni ed osservazioni specifiche, an cora non riescono, dopo il razionalismo, a far individuare i termini di traduzione dei significati extradisciplinari in si significati architettonici; attualmente nessuna delle poetiche contemporanee è giunta a prospettare, con chiarezza, il va lore ed il ruolo dei contributi interdisciplinari ai processi co stitutivi dell'architettura. Alcune òsservazioni di Norberg-Schulz possono offrire un'idea del livello di approfondimento del tema delle inter relazioni uomo-ambiente in un saggio che tenta di sistema tizzare l'operare architettonico: Da un punto di vista teo rico è importan,te riconoscere che gli oggetti sociali sono poli possibili nella totalità architettonica, e che è necessario indicare il loro ruolo. In generale si può dire che un'attiva partecipazione al1� . l'interazione umana rientra nel compito edilizio. Gli edifici
e le città dividono e riuniscono gli uomini, mentre si creano « ambienti » adatti per varie attività pubbliche ( o pri vate). Un ambiente è caratierizzato dalle sue «possibilità» di vita sociale, e queste devono soddisfare le esigenze ambien tali. .. Un ambiente è sempre definito relativamente a partico lari attività. Lo stesso ambiente non si adatta a tutti i generi di inte razioni. L'ambiente perciò non consiste soltanto di differenti espressioni significative, nia anche di una «gerarchia» di esse. Le sue singole espressioni sono in correlazione con determi nate attività. Spesso questa correlazione è una pura questione di abitudine, in quanto siamo abituati ad usare oggetti fisici in particolari occasioni. Ma si deve anche riconoscere il fatto che un determinato ambiente fisico si adatta solamente a certe attività per cui le abitudini sono raramente casuali ...38• Queste affermazioni appaiono abbastanza generiche se non si chiarisce in base a quali considerazioni si debbano espri mere giudizi sulla adattabilità o meno di un ambiente a de terminate attività, poiché a seconda che la valutazione av venga sulla scorta di osservazioni puramente funzionali, o in base a considerazioni comportamentistiche o ad esigenze psicologiche, possono essere formulati giudizi totalmente dif ferenti sulle attitudini di uno spazio a contenere attività spe cifiche. Norberg-Schulz aggiunge ancora: Per il momento vo gliamo soltanto sottolineare che qualsiasi attività deve svol gersi entro una -cornice psicologicamente soddisfacente. E stato dimostrato che la cornice architettonica può essere fa vorevole o meno, ossia che esercita un'influenza sulla nostra attitudine. Quindi potremmo anche definire l'ambiente come l'effetto psicologico di ciò che sta intorno 39• L'obiettivo di evidenziare i caratteri delle differenti « dimensioni » che in tervengono nell'opera architettonica, e di individuare le in terrelazioni che tra i diversi sistemi si stabiliscono, può dirsi conseguito nel saggio di Norberg-Schulz 40, anche se, come te stimonia il brano riportato, mancano approfondimenti spe cifici nell'ambito di ciascuna « dimensione individuata » e non vengono evidenziati significati ed interpretazioni (nel 19
20
caso specifico per le relazioni uomo-ambiente) che non siano già generalmente riconosciuti. L'esigenza ampiamente avvertita di precisare i caratteri del rapporto individuo-ambiente, induce a diverse interpreta zioni ed ipotesi circa il �alare dei reciproci condizionamenti tra i due ambiti. Uno dei possibili atteggiamenti nei con fronti del problema è prospettato da Gregotti che individua anche i campi di ricerca entro i quali occorre ancora inda gare: non si deve pretendere, attraverso la costituzione del l'ambiente fisico di guidare o di controllare il comportamento umano. Quello che noi vogliamo è semplicemente rendere l'ambiente fisico più provocatoriamente disponibile alla im maginazione della società futura. Da questo punto di vista il ventaglio dei problemi che noi dobbiamo risolvere è molto alto e molto complesso. Bisogna cercare di capire un po' più chiaramente quali sono le interazioni che esistono tra l'am biente e il comportamento umano. A quale livello della scala dei valori, ad esempio, nel nostro modello di cultura, è collocata questa nozione di significazione dell'ambiente. Se abbiamo interesse per la sua identità o non ne abbiamo 41• A molti di ques·ti interrogativi, come s'è detto, tenta di rispondere la prossemica mentre sembra più complesso indi viduare i termini di utilizzazione dei dati prossemici per la progettazione. Infatti, se il configurare spazi per le medesime funzioni, in Germania o in Giappone, presuppone la individua zione di significati totalmente differenti, si dovrebbe dedurre che l'architettura è tenuta a cambiare essenza e caratteri nelle diverse situazioni culturali. Al contrario, le ipotesi avanzate da Eco suggeriscono una interpretazione che consente il recupero dei valori prossemici senza che l'architettura assuma il ca rattere di oggetto destinato ad una rapida obsolescenza in funzione delle variazioni dei modelli culturali comportamen tistici di base: Ora ecco che i problemi di prossemica costi tuiscono uno degli aspetti di quei codici antropologici in base ai quali la progettazione dovrà reinventare poi le proprie forme significanti. Ma nel fare questo ci si accorgerà che dal momento che la distanza di m. 3,20 tra me che parlo e l'altro che ascolta, muta di significato a seconda se il fatto
avvenga in Germania o in Francia, la progettazione si dovrà accorgere che il suo problema non è tanto quello di costruire forme dal significato più preciso, più limpido, più pregnante e più profondo, ma al contrario, forme il più possibile di sponibili a significati diversi 42• Si individuano quindi due atteggiamenti a livello proget tuale, cui dovrebbe corrispondere un diverso uso delle ri sultanze degli studi prossemici: o l'architettura accentua quei caratteri di ambiguità e di plurivalenza, che consentano ai suoi fruitori di esplicare differenti modelli di comporta mento, congeniali a ciascun gruppo etnico; ed in virtù della possibilità di attribuire più significazioni alle forme archi tettoniche, lo spazio venga di volta in volta riconfigurato, o . si definiscono spazi che rispondano alle precise esigenze prossemiche non solo dei diversi popoli, ma anche dei sotto gruppi etnici che si possono riconoscere in una stessa civiltà. In questo secondo caso gli architetti dovrebbero individuare una gamma di tipologie che soddisfino i diversi schemi pros semici. È questo il parere di Koenig che osserva: Lo studio prossemica distrugge ogni residua speranza di creare « uno stile internazionale »,o tipologia standardizzata tiniversalmente valide. Se ogni forma ha un valore in quanto significa uno spazio..., le differenze antropologiche fra i di versi usi dello « spazio prossimo » fra civiltà e civiltà, fra popolo e popolo, rendono impossibile pensare a standard molto larghi, universalmente accettabili; e quindi non pos sono ragionevolmente dar luogo a significanti (forme) simili 43• Sia Koenig che Zevi sottolineano inoltre l'importanza che la prossemica può assumere anche come strumento di studio e di valutazione critica dell'architettura di tutti i tempi: la let tura in chiave prossemica degli spazi wrightiani ha offerto ad Hall la posibilità di evidenziare aspetti di profondo interesse della sua concezione spaziale: Il vecchio Albergo Imperiale di Tokio, fornisce agli occi dentali un insieme compatto di esperienze visive, cinestetiche e tattili che fanno sentire di essere in un altro mondo... Gli stessi lunghi vestiboli armonizzano con l'edificio tenendo le pareti laterali letteralmente a portata di mano. Wright, che 21
era un vero artista nella scelta dei materiali usò i mattoni più rozzi, che sporgevano più di un centimetro dalla super ficie di calcina liscia e dorata che li separava. Camminando per questi vestiboli, l'ospite si trovava quasi costretto a far scorrere le dita lungo le scannellature... Con questo artificio, Wright voleva rendere più intensa e penetrante la esperienza spaziale coinvolgendo intimamente i visitatori con le super fzci dell'edificio 44• Ovviamente la utilizzazione della prossemica quale pa rametro di giudizio critico va condizionata alla possibilità di ricostruire i valori prossemici che corrispondono ai modelli di comportamento esplicantesi al tempo e nei luoghi ove sor sero le opere architettoniche da esaminare. L'operazione di individuazione degli schemi prossemici del passato appare quindi abbastanza complessa e problematica. In effetti si riafferma ancora una volta, in termini diversi, che opera ar chitettonica e contesto sociale risultano intimamente con nessi e che di tali relazioni non si può non tener conto in sede di valutazione critica. Minori difficoltà si prospettano per la utilizzazione della prossemica nella valutazione dell'architettura moderna e con temporanea. Anche se il giudizio complessivo su di un'opera non può essere profondamente modificato per carenze mani festate nei campi di indagine prossemica, pur tuttavia alcune considerazioni possono porre in luce aspetti e problemi fi nora scarsamente valutati: è piuttosto grave ( anche se po: clzissimi lo hanno detto) - afferma Koenig ad esempio - che gli indiani di Chandigarh abbiano dovuto murare i balconi delle loro case per adattare la concezione spaziale di Le Cor busier alla propria 45• È indubbio che la prossemica abbia aperto nuovi oriz zonti non solo agli architetti e agli urbanisti, ma anche ai critici, agli studiosi di storia dell'architettura, anche se alcuni aspetti e formulazioni nella ricer �a di Hall lasciano dubbiosi e non sono esenti da critiche. Giustamente Zevi avanza due riserve alla tesi di Hall: Anzitutto, il bisogno di individua zione non può essere arrestato al livello del gruppo etnico; 22 riguarda anche la famiglia e il singolo. Non basta dire: per
ogni popolo uno stile, una trama spaziale. Wright affermò un pensiero più avanzato: per ogni uomo uno stile. La seconda obbiezione riguarda il quadro ideologico di Hall, affetto sia da una visione eccessivamente statica dei diversi costumi spaziali, sia da una notevole dose di illumi nismo. Sembra quasi che basti capire le esigenze ed appagarle in modo a-critico per salvare il mondo... il problema invece non consiste nel « che », ma nel « con chi », si progetta, cioè nella dimensione extra-disciplinare dell'architettura, l'unica che consenta interventi organici ma attivi e rinnovatori 46• In definitiva sarà sempre compito degli architetti trasfe rire i risultati delle ricerche delle altre discipline nel campo dell'architettura e dell'urbanistica e innestare, selezionare e rielaborare considerazioni ed osservazioni recepite sotto forma di materia, non ancora intenzionalizzate, ed immetterle nel processo progettuale. Rimane questa l'unica strada che sembra poter sottrarre l'architetto alle esercitazioni forma listiche, che conducono a separare, in architettura, il signifi cante dal significato, la forma dallo spazio, e propugnano , forme-involucro i cui valori semantici spaziàli vengano con figurati in virtù dello «spontaneismo», non acquistando c<> scienza della complessa rete di aspetti e problemi sottesi alla proposizione degli spazi architettonici ed urbanistici. Spazi dichiarati disponibili per ogni tipo di attività, in effetti non lo sono affatto - dal momento che tale attributo non può essere considerato una dimensione ed una condizione prete dntenzionale dell'opera architettonica - finché non lo si rie sca a dimostrare ed a valutare anche in funzione delle istanze comportamentistiche. Anche le recenti analisi di R. Pages, sugli aspetti psic<> sociologici delle finalità della costruzione· di uno spazio abi tabile, hanno dimostrato che esiste la possibilità di giungere a riconoscere categorie e classificazioni degli spazi in fun zione delle particolari interazioni che vi si attuano 47• Con cordiamo quindi con Eco quando afferma: Costretto a trovare forme che mettono in forma sistemi di esigenze su cui non ha potere, costretto a articolare un linguaggio, come l'ar- 23
chitettura, che deve sempre dire qualcosa di diverso da se stesso... l'architetto si trova condannato, per la natura del proprio lavoro, ad essere forse l'unica e ultima figura di uma nista della società contemporanea: « obbligato a pensare la totalità» proprio nella misura in cui si fa tecnico settoriale. �pecializzato, inteso a operazioni specifiche e non a dichia razioni metafisiche 48• VIRGINIA GANGEMI
24
1 U. Eco, Edward T. Hall e la Prossemica, introduzione al voi. di E. T. HALL, La dimensione nascosta, Bompiani, Milano, 1968, p. VIII. 2 Ibidem, pag. VIII. 3 Cfr. L. BLOOM.FIELD, Language, New York, H. Holt e Company, 1933, passim; F. BoAs, Introduction, Handbook of American lndian Languages, Bureau of American Ethnology Bulletin 40, Washington, D.C., Smithsonian Institution, 1911, passim; E. SAPIR, Se/ected Writings o/ Edward Sapir, in Language, Culture and Personality, Berkeley, University of California Press, 1949, passim; B. L. Wt10RF, Language, Thought and Reality, New York, the Technology Press and John Wiley e Sons, 1956, passim; Linguistic Factors in the Terminology o/ Hopi Architecture, in « International Journal of American Linguistics •, voi. 19, N. 6, Aprile 1953, passim; Science and Linguistics, in « The Technology Review •, voi. XLII, N. 6, Aprile 1940, passim. 4 E. T. HALL, Op, cii., p. 8. s Ibidem, pp. 8, 9. 6 Ibidem, pag. 9. 7 H. E. HowARD, Territory in Bird Life, London, Murray, 1920. a E. T. HALL, Op. cit., pp. 15, 16. 9 H. HEDIGER, The Evolution of Territorial Behavior, in S. L. Wash burn, ed., Socia! Life of Early Man, New York, Viking Fund Publica tion in Anthropology, N. 31 (1961) passim. IO E. T. HALL, Op. cit., p. 38. li P. CHOM.BARD DE l.AUWE, Famille et Habitations, Paris, Editions du centre National de la Recherche Scientifique, 1959, passim. 12 E. T. HALL, Op. cit., p. 214. 13 U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano, 1968, p. 238. 14 E. T. HALL, Op. cii., p. 72. ts Ibidem, p. 83. 16 Ibidem, p. 11. 11 P. FABBRI, Considerations sur la Proxèmique, in « Langages •• N. 10, a. III, giugno 1968. Queste osservazioni sono suggerite a Fabbri dalle ricerche condotte da E. Sapir. 18 E. T. HALL, Op. cii., p. 129. 19 Ibidem, p. 130. 20 Ibidem, pp. 131-132. 21 Cfr. l.ÉVI-STRAuss, Antropologia strutturale, Il, Sag �atore, Milano, 1966, passim; cfr. anche: P. CARuso, L'analisi antropologica del paesag gio, in « Edilizia Modez:na •, n. 87-88. 22 E. T. HALL, Op. cli., p. 135.
23 Ibidem, p. 138. Ibidem, p. 142. 25 Ibidem, pp. 160-161. 26 P. Fr.DBRI, Op. cii. 27 E. T. HALL, Op. cii., p. 160. 28 Ibidem, p. 161. 29 Ibidem, p. 145. JO Ibidem, pp. 189-190. 1 . 3 V. GREGOTTI, Relazione al 17• Convegno Internazionale Artisti, critici e studiosi d'arte • Strutture ambientali•• Rimini, settembre 1968. 32 E. T. HALL, Op. cit., p. 215. 33 E. T. HALL, Op. cii., pp. 222-223. 34 P. FABBRI, Op. cit.; L'autore si pone anche altri interrogativi, sug geritigli dagli studi prossemici: « Che ne è della forma dell'apprendi stato infantile della strullura spaziale? Il modello dell'apprendistato linguistico è valido per questo sistema semiotico? Ci sono metodi per risolvere la " polyprossemica " che si produce tra i popoli che danno tanti significati diversi a distanze interpersonali uguali? t:. possibile organizzare una tipologia... dei modelli prossemici manifestati nelle culture diverse? Esiste un'acculturazione prossemica? All'interno di uno stesso modello prossemico vi sarebbero degli stili ineguali di rea lizzazione? Si può parlare di una psicoprossemica così come si parla di psicolinguistica? Si può considerare l'atto di manipolazione spaziale come un trailo della personalità? Si potrebbe considerare una pato logia prossemica inscrivendola nel quadro più vasto della aprassia?•· 35 P. F,\BBRI, Op. cit. 36 U. Eco, Op. cit., p. 234. 37 M. TAFURI, Teorie e storia dell'architettura, Laterza, Bari, 1968, p. 245; cfr. R. WaLEK e A. WARREN, Teoria della letteratura, Il Mulino, Bologna, 1965, passim, cui fa riferimento anche Tafuri. 38 C. NoRBERG-SCHuu, Intenzioni di architettura, Lerici, Milano, 1967, pp. 163-o4. 39 Ibidem, p. 164. 40 C. NORBERG-5CHUU, Op. cit. 41 V. GREGOTTI, Op. cit. 42 U. Eco, Relazione al 17• Convegno Internazionale Artisti, critici e studiosi d'arte « Strutture ambientali», Rimini, settembre· 1968. 43 K. KOEN!G, La dimensione nascosta di E. T. Hall, recensione in • Casabella •, n. 331, a. XXXII, dicembre 1968. 4-1 E. T. HALL, Op. cit., p. 69. 45 K. KOENIG, Op. cii. 46 Cfr. B. ZEVI, Prossemica e dimensione extradisciplinare, in « L'Ar chitettura, cronache e storia•, n. 158, anno XIV, dicembre 1968. 47 Cfr. R. PAGÈS, Relazione al 17• Convegno Internazionale Artisti, critici e studiosi d'arte « Strutture ambientali•• Rimini, settembre 1968; le individuazioni di Pagès tendono essenzialmente al riconoscimento di alcuni « grandi assi di analisi, a carattere psico-sociologico• - Pagès analizza il carattere delle diverse interazioni nello spazio abitabile ed osserva che « vi sono degli elementi dell'habitat che programmano le azioni delle persone; ... • mentre « vi sono al contrario degli spazi disponibili, degli spazi liberi che possiedono questa dimensione di disponibilità o di libertà •· Sono individuati da Pagès alcuni principi fondamentali, che rego lano « i meccanismi psico-sociali del concetto di assestamento dell'am biente»: il principio di dissociazione interfunzionale, il principio di liberazione interfunzionale o emancipazione interfunzionale, il princi cipio della • massimizzazione • della polivalenza dei supporti ( • ci si 24
25
deve sfon.are affinché un supporto determinato, sia il supporto di diverse funzioni, che realizzino così la polivalenza dei supporti»), la funzione estetica (« l'habitat è fatto per essere adattato anche in modo aciclico, nonciclico, non periodico; è fatto per adattarsi a sviluppi quan titativi e qualitativi imprevedibili... •l e la distinzione nella società con temporanea, della figura dell'artefice dell'opera, dell'esecutore, e del l'utilizzatore (« vi è una separazione sociale tra il promotore, tra il venditore e l'utilizzatore che abiterà»). Pagès conclude affermando la opportunità che • gli utilizzatori siano direttamente associati all'opera architettonica, all'opera urbanistica della quale non deve mai cessare la critica. Essa deve sempre essere aperta, deve essere smontabile, rimon tabile, mobile, modificabile e sempre a disposizione della retroazione della gente che l'utilizza •· 48 U. Eco, La struttur_a assente cit., p. 245.
26
La poetica dell' arte povera
II dibattito intorno alla cosiddetta arte povera, svoltosi sui cataloghi della galleria De' Foscherari e raccolto poi in un unico fascicolo a cura di P. Bonfiglioli (Quaderni De' Fosche• rari, Bologna, 1968) interessa soprattutto perché in esso sono confluiti alcuni temi centrali dell'arte d'oggi. Nel vuoto esistente fra arte e vita - scrive G. Celant nella presentazione della mostra bolognese dell'arte povera - il Ji. bero progettarsi dell'uomo, il legarsi, creativo, al ciclo evolu tivo della vita (siamo alla osmosi fra i due momenti) per un'affermazione del presente e del contingente. Là un'arte com plessa che mantiene in vita la « correptio » del mondo, col tentativo di conservare « l'uomo ben armato di fronte alla na tura». Qui un'arte povera, impegnata con l'evento mentale e comportamentistico, con la contingenza, con l'astorico, con la concezione antropologica, l'intenzione di gettare alle ortiche ogni « discorso » univoco e coerente (la coerenza « apparente » è. un dogma che bisogna infrangere), ogni storia ed ogni pas sato, per possedere il « reale» dominio del nostro esserci... arte come stimolo a verificare continuamente il nostro grado di esistenza (mentale e fisica) ... Un momento freschissimo che tende alla « decultura », alla regressione dell'immagine allo stadio preiconografico, un inno all'elemento banale e prima rio, alla natura intesa secondo le unità democritee e all'uomo come « frammento fisiologico e mentale »... Ne deriva una fi sicizzazione di un'idea, un'idea tradotta in « materia », un mo dello, formato ingrandito, dell'apprendimento mentale e fat tuale, naturaln1ente non una fisicizzazione vitalistica ed or- �
giastica, ma « nzentalistica ». L'autore ponendosi alla conver genza tra idea e immagine, diventa il vero protagonista del l'evento,· si integra all'attualità e al divenire evolutivo delle sue idee. Non importa verificare quanto questa poetica dell'arte po vera s'addica alle opere degli artisti presenti alla mostra (Pistoletto, Pascali, Kounelis, Paolini, Merz, Anselmo, Zorio, Pia centino, Prini, Boetti e Fabro), poiché il dibattito si è svolto quasi sempre prescindendo dalla lettura delle opere, ad ec cezione degli interventi rivolti a confutare la proposta del l'arte povera proprio col riferimento ad artisti o momenti dif ferenti dell'esperienza artistica. Se a Celant va ascritto il merito dell'iniziativa, a Bonfi glioli e a Boarini spetta quello di aver sottoposto la poetica dell'arte povera ad una più rigorosa verifica, riportandola ad un contesto ideologico, di derivazione marxiana, unitario ed organico. Per Bonfiglioli il problema arte-vita è connaturato con la cultura della società borghese capitalistica e non è distingui bile dalla condizione di separatezza ( divisione del lavoro) in cui tale società colloca l'arte, come finzione teorica di un'unità smentita dalla pratica. Secondo questo autore il superamento della separatezza dell'arte non può conseguirsi con una con ciliazione dei termini separati (arte e vita), ma deve passare attraverso il ribaltamento reciproco dei due interi contraddit tori, cioè, nell'attuale società divisa in classi, è necessario che l'arte si capovolga in prassi. Ove questo principio dialettico non fosse chiaro, il problema dell'unità rischierebbe di arre starsi a quello... conciliatoristico e coesistenziale dell'unifica zione... Il fatto è che l'unità di arte e vita non può essere pro posto in modo teorico, se non per via negativa. Positivamente, essa può consistere soltanto in un atto rivoluzionario, politico, che spezzi il confine della separatezza: allora soltanto l'arte potrà identificarsi con la vita stessa, senza che questa si neghi come vita estetica. Il che significa che l'arte povera dovrà pas sare in qualche modo attraverso la guerra povera per diven tare vita. Bonfiglioli, dopo aver avanzato il sospetto che l'arte 28 povera proponga l'unità di teoria e prassi come la prerogativa
quasi naturale di un esserci antropologico, osserva che il ten tativo è comunque interessante in virtù di quella negazione del presente, di quella richi ;.sta di futuro, di cui può farsi porta tore - Marcuse insegna· - un atteggiamento critico di regres sione. L'intervento di Boarini, che si affianca strettamente a quello di Bonfiglioli, presenta un più distesa riflessione sul tema del primario, accennando ad una prima ma sistematica ricognizione delle diverse forme in cui esso si presenta nel l'attuale situazione culturale. A me pare - egli afferma - che sostanzialmente l'esperienza dell'arte povera non sia che un aspetto di quella ricerca del primario che viene proposta da molte parti, anche come direttrice di indagine di varie scienze sociali e in particolare della antropologia culturale ... Anche la ricerca che sta all'origine dell'arte povera sembra quindi ri conducibile a una concezione del primario, e cioè all'illusione - estremamente sintomatica - di poter ricostruire l'unità dell'uomo al di fuori delle strutture sociali che ne perpetuano l'alienazione da se stesso e dai suoi prodotti. Alla proposta dell'arte povera si riconosce il merito di aver puntato, attraverso il tema del primario, sull'unità di arte e vita, ma la ricerca del primario acquisterebbe maggior va lore se fosse intesa come ricerca archeologica del represso... e come potenziamento della sensibilità. Non v'è dubbio che anche quest'ultima concezione del primario è riduttiva, tutta via consente un'apertura dialettica, in quanto porta a rove sciare dialetticamente l'attività teorica separata in una pratica separata. Il permanere della separatezza non può consentire la ricostituzione dell'unità, ma l'essere separatezza pratica e non più teorica, mantiene una tensione dialettica verso l'unità che non può essere sottovalutata. Per A. Del Guercio la proposta di deculturazione dell'im magine avanzata da Celant (ché di questo si tratterebbe, più che di recupero del primario), oltre a non essere riscontrabile nelle opere esposte, cade nell'illusione che sia possibile sta bilire un rapporto diretto tra arte e vita, eliminando appunto le mediazioni culturali. Tale atteggiamento ricorrente ciclica mente nell'esperienza dell'arte contemporanea è anch'esso una 29
tipica mediazione culturale. Questa contraddizione, conum que si manifesti, appare organica all'assunto di risolvere una volta per sempre ( oppure adesso per il futuro - idealisti camente prefigurato - della società) il problema dell'unità arte-vita. All'ipotesi di immagini minimali Del Guercio op pone quella di « immagini massimali ». Tra le caratteristiche decisive del mondo nel quale viviamo, oltre alla separatezza oggettivamente data, c'è anche l'estrema insopportabilità della separatezza stessa e la lotta pratica per porvi fine; oltre alla ricchezza del sistema ( e quindi al suo storicismo giustifica zionista) c'è la ricchezza dei fattori storici che accumulano le ragioni rivoluzionarie: a questa luce, ogni programma mini male si pone in ultima analisi come rassegnata accettazione di un saccheggio che ogni giorno viene perpetrato sotto i no stri occhi... Se saccheggio deve essere, sia un altro saccheggio: l'annessione criticà dei ricchi patrimoni specialistici ( origi nati dalla separatezza, ma sfociati in una serie di specificità insostituibili) accumulati durante il lungo regno delle società proprietarie. Il cui transito è un processo articolato, che si compie anche al particolare livello della specificità artistica... Più radicale nella sua posizione di dissenso è l'intervento di F. Arcangeli, il quale ridimensiona molti temi basilari di ogni « programmata rivoluzione degli intellettuali» e l'idea stessa di una società affrancata da ogni forma di repressione, in cui arte e vita celebrino la loro finale conciliazione. Sono tuttora convinto che l'uomo, se vorrà veramente convivere in un mondo di democrazia così terribilmente inflazionata, do vrà pure stabilire una percentuale variabile, a seconda dei luo ghi e dei tempi, di « autorepressione » ... Le forme attuali che vanno dal « living theatre » all'« environment », dall'« happe ning» alle ibridazioni ( già acutamente indicate da Renato Ba rilli) dell'« arte povera» di Celant testimoniano un'ansia, un'il lusione, una vivacità di ingegno innegabili. Ma, partendo da quel debordamento rispetto agli antichi limiti che ha avuto nel new dada americano il catalizzatore più potente ed attivo per la sorte del nostro decennio di arte visuale, mi par di consta tare che tutte queste forme segnano, a livello più o meno alto, 30 una confusione tra arte e vita da richiamare direttamente,
queste sì, il vitalismo estetico di D'Annunzio, o, se si vuole, di Wagner ( quale globalità più « environmentista » del « Wort Ton-Drama » wagneriano?). Accennando all'importanza dei «quadri» di J. Pollock, Arcangeli afferma che questi modificò la vita per quel tanto che l'arte, finché vivrà, potrà modificarla: come azione indi retta cioè ... Perché l'arte ancora confessa e promuove la con dizione umana; anche se ci illude di un'azione diretta, di una impassibilità operativa, di un libero intervento nei contesti tecnologici ... Ma finché si spara a canna continua... contro la " separatezza » senza approfondire il problema della specifi cità dell'arte, tutto e niente è possibile per l'artista... Io resto, da reazionario, ancora per l'insopprimibile rivolta contro la programmata rivoluzione; ma per la rivolta anzitutto delle nostre menti, per un interno rovesciamento della praxis che alluda almeno, che tenda, al recupero di qualche lontano germe d'un perduto equilibrio. Perché, quando il mondo si capovolge, non avvertirne angoscia mi pare il segno più pro fondo della malattia. Non riporteremo gli altri interventi al dibattito, alcuni dei quali di indubbio valore, perché nell'economia del pre sente articolo quelli già citati giustificano largamente le consi derazioni che intendiamo svolgere. Dobbiamo dire anzitutto che le motivazioni che sono al fondo dell'arte povera prima e dell'azione povera poi ci ap paiono largamente condividibili; d'altra parte esse si ritro vano al fondo di molti episodi ed esperienze della cultura contemporanea. Tali motivazioni, più evidenti nel testo con clusivo del dibattito, che tiene in parte conto delle obiezioni al recupero del primario mosse da Bonfiglioli e Boarini, si identificano sostanzialmente con la coscienza del limite d'in tervento dell'artista nell'attuale società e nel desiderio di tro vare nuovi modi di azione che sottraggono l'arte all'utilizza zione da parte del sistema o. - aggiungeremmo - all'indif ferenza. La coscienza del limite costituisce un tratto dominante dell'arte di oggi, da quando essa ha rinunciato a porsi come essenza o rivelazione del tutto. Ma che da questa coscienza, 3:
oltre a generarsi uno stato di inquieta tensione, derivi poi la necessità per l'arte di un superamento del limite, onde tra sformarsi in azione politica o attuare in un prossimo futuro la sua effettiva e compiuta universalità, nell'identificazione fi nale con la stessa vita, è affermazione che riposa o sull'inter pretazione provvidenziale della dialettica (più hegeliana che marxiana) o può essere considerata quale espressione di una volontà d'azione, e come tale va giudicata per la sua intenzio nalità pragmatica, se non esclusivamente per gli effetti che produce. Il programma dell'azione povera, che vuole sosti tuire alle opere un intervento diverso dell'artista nella realtà, con « fatti e azioni» - si pensi ad un happening politicizzato o al « teatro d'intervento» -, non proietta nel futuro l'iden tificazione di arte e vita, ma la riporta sul terreno del pre sente. Avendo però escluso in partenza che il problema possa porsi nei termini di una scelta tra arte e azione politica, si proclama la felice conversione dell'arte in azione politica; ma intanto si continua a fare arte, dando vita a manifestazioni che hanno fin troppo chiaramente i connotati dell'artisticità e che si collocano anzi, come ha osservato Arcangeli, sotto il segno dell'estetismo. Infatti,se alcune opere riunite sotto l'etichetta dell'arte povera erano niente altro che elementari esercitazioni formalistiche, certe « occasioni recitative », for nite recentemente ad Amalfi, più che interventi eversivi nel contesto socio-politico, sono classificabili tm i tentativi di al largare il campo d'azione dell'arte, di coinvolgere, nell'evento artistico una fetta più larga della realtà. Il punto di partenza è sì quello di negare la separatezza dell'arte, ma le caratteri stiche con cui viene pensato e attuato l'intervento nella « pro cessualità in corso» sono tipicamente estetiche; anzi è la vita stessa, la totalità del contesto sociale che vengono preliminar mente riportati sub specie artis e assimilati al teatro. « La vita diventa un continuo tableau vivant - scrive Celant - il contesto quotidiano s'è trasformato in scena... l'unica possi bilità di vita sembra risultare il teatro». Intanto quella iden tificazione è possibile, in quanto già prima la realtà è stata ridotta, come s'è detto, ad esteticità; così, a ben vedere, non 32 è l'arte a sacrificare le proprie ragioni, ma la vita o, diciamo
meglio, l'azione politica. Sicché davvero le situazioni estreme e le tendenze eversive appaiono, nel quadro complessivo del l'ideologia all'azione povera, mediate, svuotate e l'idea stessa di rivoluzione risulta, per così dire, esorcizzata. In conclu sione, non si tratta dell'arte che nega se stessa o si libera della sua separatezza, bensì dell'arte che pretende di ridurre a suo modo l'intera realtà; che è appunto il vizio fondamentale del1 'estetismo, di ieri e di oggi. Quando si accusa la «cultura» di mediare gli estremi, di neutralizzare ogni situazione ever siva, adattandola al sistema, non si tien conto abbastanza del fatto che proprio l'operazione con la quale si pretende di dissolvere l'arte nella vi,ta, trasformando l'attività artistica in azione, è un'operazione mediatrice, poiché né si rovescia vera mente l'arte in prassi rivoluzionaria, né si scarta la prima per la seconda, ma si tenta di fare qualcosa che sia insieme arte e rivoluzione, sovrapponendo alla realtà di una società divisa e di un'arte separata la pretesa conciliazione di arte e vita. Col passaggio dall'arte povera all'azione povera si finisce nelle secchr dell'estetismo e, nell'illusione di sottrarre l'arte ( col rifiuto del prodotto finito) all'utilizzazione da parte del sistema, le si conferiscono le caratteristiche più superficiali ed alienanti dello spettacolo e delle tecniche pubblicitarie, dispo nendola, così, di fatto ad una rnercifì�azione anc->r più radi cale di quella cui andavano incontro le opere dell'arte povera; la quale aveva almeno il merito, come s'è visto, di insistere sul problema del primario, inteso come proposta di recupero di una condizione originaria dell'uomo, repressa dalle società organizzate sul principio di prestazione e sul dominio del l'uomo e della natura. Una proposta desunta dalla tesi marcusiana (a �ua volta largamente tributaria del pensiero schilleriano) che nell'arte si manifesti la memoria di un'unità originaria, precedente alla separazione di fantasia e ragione, di natura e spirito e che, quindi, l'arte, per quanto essa stessa prodotto della divisione operata dal principio di realtà, si apparta sì, ma custodisce in sé, come memoria e progetto, l'aspirazione dell'unità. Am messa questa dimensione mitica del primario nell'arte, resta da chiedersi se essa sia capace di sottrarre l'arte dalla sua 33
34
condizione storica di separatezza. Bonfiglioli e Boarini sem brano, a ragione, non crederlo, attribuendo all'idea del pri mario solo una funzione critica per così dire, di disturbo del sistema, ma incapace di ricostituire, fuori del capovolgimento della teoria in prassi rivoluzionaria, l'unità di arte e vita. Ma a noi pare, che al di qua dell'alternativa di fondo (co stituita dalla prassi rivoluzionaria, la quale non può certo va lersi degli incerti surrogati dell'azione povera, ma dovrebbe semmai passare, per quel che riguarda direttamente gli arti sti, attraverso un momento organizzativo - dentro o fuori i partiti tradizionali non importa che dire·_ rivolto ad inci dere in qualche modo sull'attuale struttura del potere), al l'arte sia dato di svolgere, pur nell'ambito della sua cosiddetta separatezza teorica, un ruolo che va ben oltre quello di « re gressione critica » proposto attraverso il recupero del prima rio. Non si tratta però di capovolgere, con un'operazione più verbale che effettiva, la teoreticità dell'arte in prassi, bensì di sviluppare al massimo le possibilità inerenti alla sua teore ticità, come è stato del resto più volte indicato nel corso dello stesso dibattito. Ciò non vuol dire neppure ribaltare d'un colpo il mito della libertà originaria, repressa e contestata dal1 ·attuale società, nell'utopia di un futuro felice, nel quale si celebri non pure la conciliazione dell'intera umanità ma di questa con la natura, riprendendo il sogno che fu già del l'avanguardia storica. Si tratta, rimanendo sul terreno del pre sente - un presente che si riconosce nel suo spessore storico e perciò non riducibile all'immediatezza di una situazione esi stenziale - di compiere anzitutto una più soddisfacente rico gnizione dei rapporti che legano, o possono legare, l'arte alla vita. D'altra parte, va detto che il problema, arte-vita, per l'estrema complessità dei suoi momenti, è di quelli che non possono essere affrontati in un contesto di discorso eccessi vamente indeterminato, quale è quasi sempre e non senza ra gione quello della critica; e neppure può essere ricondotto di rettamente ad una definizione filosofica dei due termini. I pre supposti concettuali e le implicazioni di vario genere che la formulazione stessa di quel problema comporta avrebbero richiesto, da parte nostra, un lavoro di «esplicitazioni» inop-
portuno in questa sede eppure necessario, quando si voglia ritornare sulla questione, per evitare non solo le confusioni terminologiche e le soluzioni puramente verbalistiche, ma an che il sovrapporsi di piani diversi di discorso e di indagine. Ci pare, infatti, che il problema potrà essere affrontato cor rettamente solo se riportato nell'ambito di particolari ipotesi di interpretazione del fenomeno artistico, nel senso che solo attraverso di queste si potrà tentare di cogliere e diramare in prima approssimazione la complessità reale del problema. VITALIANO CORBI
35
Note sull'Università e la professione .
La spinta che investe le Università è fenomeno tra i più rilevanti e complessi dell'attuale contesto storico. Sviluppa tasi da vecchie radici, nella condizione definita « civiltà di massa,. e nella sua cultura, essa appare caratterizzata dalla deliberata volontà di porsi come forza autonoma nella lotta tra· gruppi di opinione, propria alle società del nuovo capita lismo. Muovendo dai giovani quella spinta s'identifica oggi con il movimento studentesco; non interessa solo il mondo universitario, ma l'intera struttura sociale. Considerare quindi gli aspetti e i problemi di quel movimento è oggettivamente utile; diviene per noi necessario nella crisi dell'Università contestata, cui è strettamente congiunta quella ormai palese dell'attività professionale, nel suo esercizio come nelle sue istituzioni. Il disagio e la protesta sembrarono all'inizio dettati dalle più manifeste e quantitative carenze delle nostre strutture universitarie. Ma presto per la crescente evidenza della frat tura in atto tra formazione professionale e possibilità del l'operare successivo, è subentrata l'esigenza di un più gene rale rinnovamento. Aspirazione che tuttora trova ostacoli ol tre che nella realtà intorno a noi, in quanti ripropongono in vari modi dilemmi insuperabili, trascurando già fatte espe rienze ed analisi già svolte, invece di tentarne successivi ap profondimenti e differenti modi di comportamento.
36
L'Università attuale non risponde alle esigenze poste dalla domanda di lavoro esistente nella società. Il nostro obiettivo tuttavia non è il semplice adeguamento alle esigenze
della domanda di lavoro. Riteniamo che l'Università debba e possa fornire a chi la frequenta, al tempo stesso... prepara zione professionale adeguata e strumenti di critica. Questa proposizione, tratta dai documenti redatti dagli studenti to rinesi durante una delle occupazioni di palazzo Campana, è ben chiara e riunisce due aspirazioni: quella ad una cono scenza utile a contribuire al progresso materiale per tutti, con l'aspirazione ad un individuale e libero sviluppo. Consi derandola con altre, G.C. De Carlo scrive: ...al fondo del pro blema... gli studenti ... propongono una nuova « definizione» dell'Università italiana e al di là di questo una nuova « defi nizione» della società 1• Attraverso una breve sintesi storica dell'istituzione uni versitaria nel nostro paese, De Carlo riconosce in essa quella originaria conformazione autoritaria e strumentalizzata che doveva essere confermata dagli eventi storici successivi e che è oggi la principale causa dei suoi ritardi e dei suoi guai. Per l'istruzione superiore Io Stato italiano si rifece ai modelli tedesco e francese. Del primo raccolse la vocazione al distacco dalle esigenze globali della società, in nome di una idealistica preservazione dell'armonia della conoscenza; tra scurò invece il principio... che G. Humboldt aveva posto alla base del suo programma per la fondazione degli Istituti Su periori Scientifici di Berlino [ « •.• considerare la scienza come un problema permanentemente irrisolto... come un campo di conoscenza che non è ancora scoperto e che mai potrà es serlo, anche se è necessario indagare come se si potesse in teramente scoprirlo»]. Del modello francese trascurò i con tenuti pragmatici per raccogliere le intenzioni autoritarie di una Università come Monopolio di Stato ... lo strumento più appropriato alla borghesia, come classe monopolizzatrice dello Stato... restando ferma ...l'esigenza autoritaria di base. Per conseguirlo occorreva massimizzare la strumentalizzazione dei quadri prodotti; cioè la preparazione di questi ai fuù soltanto operativi, richiedeva l'eliminazione di ogni libera ricerca e critica... dentro un sistema organizzativo che automaticamente producesse le motivazioni del suo agnosticismo. Questo cri terio guidò all'approvazione nel 1923 di quella riforma Gen- 37
tile, che nella sua prima stesura riproponeva l'idea di una
cultura che si distacca dalle orribili contingenze della realtà per non contaminarsi con la volgarità e la sopraffazione... Quali le regole che vennero imposte all'Università dalla volga rità e dalla sopraffazione? Le stesse che ordinano la struttura dell'Università italiana 1• Nel guardare parallelamente alla crisi dell'istituzione professionale, S. Giannini in un recente saggio apparso su Casabella 3, sviluppa questa tesi: L'esercizio di una profes
sione è un patto convenuto tra la società e l'individuo come libero professionista. Scopo di questo articolo è illustrare la società che l'ha convenuto ed il modello di professionista che ne è derivato. Poiché entrambi appartengono al passato, illu streremo l'evoluzione della società e la odierna situazione pro fessionale, con quel che resta del patto convenuto. Cerche remo di dimostrare che dell'antica figura professionale non resta più nulla, e che quella nuova è fragile e di dubbio fu turo. Nel saggio, l'analisi storica dei rapporti tra professio nista e società è condotta lungo tre assi, che ne individuano le coordinate economiche, sociali e scientifiche, caratteriz zanti il patto.
La società borghese liberale investe il professionista di dignità e privilegi, in cambio di un suo livello culturale e di efficienza specifica ùt un determinato settore, scientifico e tecnico, preconvenuio. AI suo tempo migliore, scrive Gian nini, il professionista è l'esempio concreto degli ideali della società borghese liberale. Dall'evoluzione cli quella società si sono sviluppate democrazie popolari e società neocapita listiche. Entrambi gli sviluppi sono ancora in atto e mo
strano una spiccata complementarità... Al momento sono in moto di ravvicinamento simmetrico... Nelle democrazie popo lari il professionista è stato soppresso... ed il funzionario di ruolo tecnico ha soppiantato l'antico gestore privato... Nella evoluzione neocapitalistica si riconosce ...un prevalere enorme degli interessi economici su tutti gli altri... si instaura la « società del benessere » fondata sulla dinamica dei consumi, sulla piena occupazione, sulla espansione dei mercati... una società d'istituzioni etico-politiche diventa una società di con38
sumatori e produttori classificata in base al potere di ac quisto... O meglio alla propensione a spendere... Tutto porta alla conclusione che il neocapitalismo sia anch'esso nemico dell'individualismo almeno quanto l'idea liberale gli era amica... L'individuo conta moltissimo come numero, cioè per le sue capacità aggregative... un gruppo, è estremamente importante; ...il numero è l'indice di potere del gruppo... Particolare importanza rivestono i gruppi di opinione, raccolti intorno a standards... politici, sociologici, culturali specifici, estetici... Sulla base del relativismo, cioè della pluralità di giudizi, si legittima come necessaria la plu ralità dei gruppi ( che è cosa ben diversa dalla democrazia) ... Solo così si assicura il necessario parallelismo con il processo economico, la -flessibilità di giudizio corrispondente alla -fles sibilità di mercato. E locuzioni come cc il mercato delle idee » acquistano senso proprio e comune... Al contrario delle democrazie popolari, il neocapitalismo ammette l'esistenza del professionista. Ma dell'istituzione
professionale, nella sua sostanza e nel suo rapporto con la società, quanto è rimasto? La risposta è già data ... il patto è cambiato o caduto... la dipendenza da ( o coincidenza con) uno o tutti i gruppi di opinione riconosciuti è... affidata ...alla maggiore o minore opinabilità della materia oggetto della professione. Però si riconosce questa affermazione come quasi totalmente vera per alcune professioni, fra cui quella dell'ar chitetto è esemplare... La società neocapitalistica trova indif ferente l'esistenza del professionista... sostituibile se il suo uso presenta maggiori costi o disfunzioni. I privilegi del pro fessionista sono totalmente scomparsi; egli lavora in perdita sociale ed economica e quindi ... è destinato a scomparire, a trasformarsi in cc businessman » o in funzionario tecnico... Sua unica speranza è un ulteriore cambiamento di condizioni am bientali... ma che certo non si tradurrà in una restaurazione dei passati valori... Questa scomparsa assume il valore di una perdita civile, ...morale e scientifica insieme. Morale perché significa la perdita di qualità personali irrecuperabili, quelle fondate sull'esercizio pubblico e democratico della co noscenza a fini di utilità sociale; scientifica perché significa la 39
perdita di tutti i vantaggi della diffusione della cultura in una forma insieme attiva e speculativa, senza recuperi possibili nel campo della sola ricerca pura. Il dichiarato proposito di Giannini è di fare un punto quanto possibile obiettivo su una condizione generale. Se la diagnosi è esatta o non ammette che parziali correzioni, l'en tità e la natura dei fenomeni appaiono tali da scoraggiare ogni proposito di realizzare presto il mutamento in cui va riposta l'unica speranza: a sostegno della quale Una cultura pro fessionale più sostenuta, una materia professionale meno opinabile, una coscienza professionale più salda sarebbero l'unico valido rimedio ai mali dell'occupazione anche nei frangenti neocapitalistici. Alcune conclusioni, anche nella loro brevità, non sem brano tuttavia riconoscibili per oggettive. La società neoca pitalista trova « indifferente » l'esistenza del professionista in una situazione d'insignificanza di apporti professionali, al trove non sappiamo quanto, ma qui tanto frequente da giu stificare per sé sola un criterio di interna sostituibilità; il quale peraltro non conduce affatto alla totale scomparsa di privilegi, bensì alla loro improduttiva ed ingiustificata attri buzione. Ed è vero che lo stesso assetto sociale cui parteci piamo provoca tale stato di cose, e che ciò costituisce sua . caratteristica. Ma che questa « indifferenza » sia connaturata necessariamente allo sviluppo di tale società, non sembra del tutto sostenibile, a meno di assumere il suo momento attuale come inevitabilmente e identicamente ripetibile: poiché qua lunque pluralità di giudizi non esclude l'intrinseco bisogno della società industriale di massa di procurarsi e migliorare comunque i servizi che tuttora essa richiede ai professionisti. Cioè più in generale, il bisogno di rinnovarsi continuamente nelle sue strutture, con il ritmo veloce che le è peculiare e che è la stessa causa principale delle sue interne contraddi zioni. Ciò aggiunge qualcosa di nuovo alla speranza, ma im pone anche più rapide riflessioni. Resta valido il fatto che da questa analisi siano posti in evidenza, e quindi indotti a modificarsi, modi di comportamento inattuali e che con40 trappongono ancora a quel ritmo una lentezza mortale.
Non conosciamo gli scritti sulla crisi delle professioni e dell'Università che ad opera di professionisti d'altra specializ zazione certo non mancheranno. De Carlo e Giannini sono architetti, e ciò sia pure nei detti limiti di conoscenza, rischia di far apparire poco sintomatici di una situazione generale pensieri che invece sono ad essa concretamente pertinenti. Anche per questa considerazione è opportuno richiamarci allo studio di F. Onofri, apparso su « Tempi Moderni »: Un nuovo schema di rivoluzione. S11 alcuni aspetti e problemi del movimento studentesco 4• Le argomentazioni che vi sono svolte in terpiini di analisi sociologica, individuano il campo d'azione e le potenziali va lenze del movimento; e sono interessanti a nostro avviso, quale quadro di riferimento, sia pure ancora schematico e non completamente condividibile, per le altre componenti del l'Università e della vita professionale. Per Onof.ri, l'attuale movimento studentesco è importante perché: 1. è un movimento strutturale: non solo nasce e si svi luppa entro una struttura, l'Università, ma mira alla sua trasformazione; 2. ... rappresenta... la nascita di un contropotere entro la struttura dell'Università; 3. è un movimento spontaneo o autodiretto... 4. nasce e si sviluppa... su un terreno oggettivo: il di vario... sempre più ampio, tra il tipo dei quadri ( laureati) che l'Università forma e fornisce (offerta) e il tipo di quadri richiesto dalla società in sviluppo (domanda); 5. per questo stesso fatto... ha in sé la potenzialità per estendersi e investire l'intera area della scuola (istruzione) ossia il punto di cerniera... tra società attuale e suo sviluppo... cioè ...la dinamica e l'immagine stessa che la società può pro porsi per il suo divenire; 6. ciò significa che il movimento è al tempo stesso pro dotto e catalizzatore di una crisi di valori che coinvolge e affligge l'intera società e tutte le sue strutture ufficiali. Questi sembrano gli aspetti oggettivi più rilevanti del l'odierno movimento studentesco. L'interdipendenza tra la crisi dell'Università e quella della 41
professione risulta al centro di queste proposizioni, che co stituiscono altrettanti problemi da mettere a fuoco, 'per un primo avvicinamento alla loro soluzione. Il processo ormai ripetutamente denunciato « come asservimento dell'uomo alla tecnica e alla produzione anziché di queste all'uomo »... tipico della civiltà industriale di massa ... così formulato, non si rivela per ciò che è: un processo intimamente e organica mente contradittorio. Questa contradizione non è solo con cettuale o logica, ma prima di tutto sociale... La società non riesce... entro e mediante le sue strutture, ad assicurare il rinnovo sociale dei valori e dei comportamenti... la società industriale di massa non può che... produrre continuamente e inevitabilmente le condizioni su cui nasce e si sviluppa in determinati gruppi sociali la sua propria contestazione ...con testazione dei poteri costituiti e l'insorgere di contropoteri entro e contro le strutture esistenti... La contestazione è la posizione ( protestai dell'uomo nei confronti di un muta mento che va più in fretta delle sue capacità d'intenderlo e controllarlo e che dunque gli si presenta come un processo reificante ed alienante. È da sottolineare la distinzione di Onofri tra la ricerca delle cause reali dei fenomeni esaminati e la loro assunzione in termini di valori astratti, che per sfuggire alla frustrazione si fa. apocalittica, svuotando così la protesta stessa di ogni con creta efficacia. Il movimento studentesco e la protesta giova nile nascono ed esplodono al di là dei testi apocalittici e fuor vianti, e nonostante il richiamo ad essi... proponendo, consa pevoli o no, l'esigenza di una progettazione del futuro, anzi di un progetto di società futura. Onofri muove dalla distinzione che nello studio dei mo vimenti collettivi fa la sociologia, tra quelli orientati verso la norma ( = movimenti di riforma) e quelli orientati sui valori ( = movimenti di rivoluzione); se si può riconoscere che la crisi di valori da tutti denunciata, consista in un appiatti mento dei valori verso meri modelli o norme di comporta� mento si deve anche concludere logicamente che qualsiasi contestazione delle norme vigenti non può non essere per sua 42 natura contestazio11e di valori ( o pseudo-valori, o sotto valori)
del sistema dominante; ...e dunque, secondo lo schema socio logico ricordato, movimento non di riforma ma rivoluzionario. Abbandonati gli scherni precedenti di « rivoluzione », come atto totale che sopprime un ordine sociale per sosti tuirlo con uno nuovo, si tratta di istituire dei contropoteri non già per arrivare ( giorno X della « rivoluzione ») a trasformarli in poteri dominanti ed esclusivi; bensì perché, quale che sia il potere gestionario e da chiunque gestito, solo la presenza operante di contropoteri permanenti può assicurare quel meccanismo di mutamento che garantisce, esso solo, dalla burocratizzazione, la sclerosi, la repressione [ ... ] uno schema di rivoluzione permanente... nasce nel momento in cui... si pa lesa illusorio ogni schema di rivoluzione che tenda a porsi fuori del sistema. Contro il sistema si può esserlo soltanto entro il sistema ...entro le strutture sociali di potere ... costi tuendo in esse dei contropoteri permanenti. Secondo Onofri, se il movimento studentesco essenzial mente vuole e vorrà affermare valori di libertà, contro quelle loro deformazioni che la società inevitabilmente determina con i suoi meccanismi, esso non può che rifiutaTsi ad ogni schema organizzativo ed a quella stessa fase « dell'ideologia », che nello schema di sviluppo sociologico segue alle prime due, che sono di agitazione, e di solidarietà. Solo forme ela stiche e aperte di organizzazione, da rinnovarsi secondo gli sviluppi degli avvenimenti, sono possibili per una gestione del contropotere, che non rinneghi le sue stesse ragioni di essere. Tra i due poli - continua Onofri - rappresentati dal mantenimento necessario dei valori di libertà che sono il suo fine, e la contestazione della società industriale di massa, per quello stesso fine necessaria globalmente e settorial rnente, deve trovare soluzione il problema principale del mo vimento studentesco: cioè, come « tenere insieme e in mo vimento » la diversità di posizioni delle parti che lo compon gono. La risposta, tra questi due poli, è rintracciabile ri"fl.et tendo a che · cosa può significare realmente riforma della scuola... È questo il punto di cerniera tra la società e il suo sviluppo o suo futuro, ed è anche uno dei punti su cui il di vario tra progresso tecnologico e sviluppo umano è più sen- 43
sibile e acuto... Riforma della scuola, in questa angolazione, significa al tempo stesso un adeguamento dell'istruzione alla società e della società all'istruzione... Il che significa, ap punto, predeterminare ciò che la società sarà; incidere sulla fisionomia futura della società. Si uscirebbe così ... dai di lemmi insolubili, perché falsi: o integrazione o Grande Rifiuto ( che poi conduce all'isolamento e alla rinuncia o all'integra zione) o resa incondizionata o insurrezione violenta ( che poi riporta alla burocratizzazione della vita associata e alla resa). Onofri, come molti altri osservatori, riconosce al movi mento studentesco universitario le potenzialità d'influire sul rinnovamento di tutta la scuola e la volontà d'incidere sui modi della vita associata ben oltre le strutture universitarie e professionali. Se ...quelle potem.ialità diventeranno effettua li... avremo finalmente conquistato nei fatti una nuova idea di avremo finalmente conquistato nei fatti una nuova idea di rivoluzione: non spettrale, non apocalittica, non illusoria, ma realistica, strutturale, permanente. Avremo cominciato a con quistare, cioè, un primo fondamentale meccanismo perma nente di mutamento autogestito della società. L'ipotesi finale di tale conquista, per Onofri si affida oggi alla possibilità che l'energia del movimento giovanile di con tinuo si recuperi; e tenendo fede sia ai principi di libertà che ne sono il fine, sia alla propria natura di movimento spon taneo, tragga dalla realtà le ragioni per un incessante rinno vamento della società. È evidente e non è nuova la volontà di conciliare i modi di una contestazione di processi alienanti e disumaniz zanti, ritenuta indispensabile alla libertà per tutti, con il ri spetto di quella stessa libertà: che preclude le vie della vio lenza in quanto questa conduce inevitabilmente a poteri che tale libertà negano. Senza precedenti sono però le cause e le condizioni che determinano oggi questa volontà. La tendenza al mutamento che, muovendo dalle società più sviluppate, in teressa ogni forma sociale di convivenza umana sembra dive nuta generalmente antropologica. È anche evidente che la complessità e l'estensione dei fenomeni considerati non con44 sentono ad alcun pronostico di avanzare troppo oltre la spe-
ranza. Tuttavia la logica interna che sostiene l'ipotesi di Onofri può indurre altri a condividerla, al di là del pessimismo come di ogni secondario interesse. In particolare, esaminiamo quali indicazioni possiamo trarre dal saggio citato, riguardanti spe cificamente il tema della presente rassegna sul rapporto tra università e professione, nel momento in cui si verificano: il decadere delle libere professioni, la cui istituzione è sempre meno capace di influenza; il consolidarsi della burocrazia in ruoli di crescente autorità; la condizione di insufficienza del l'Università, che origina le une e l'altra; i comportamenti ete rogenei degli individui e dei gruppi, in queste istituzioni operanti. Nel nostro paese, nota Onofri, i valori della civiltà di massa non hanno soppresso quelli emanati dal sistema poli tico, ma li hanno ridotti ad orientare i comportamenti indivi duali in occasioni determinate e sempre meno frequenti. Ne consegue però che alcuni processi decisionali... sono
passati in mano a gruppi di potere che si sottraggono in gran parte non solo ad un controllo politico-statale, ma ad ogni controllo in genere... Per non restare esclusi dai processi deci sionali e cioè per salvaguardare nel senso più ampio i propri interessi nel rapporto sociale, l'organizzazione di controp0teri... in tutti i processi propri della società civile... è con dizione indispensabile per una modificazione sostanziale delle srrutture di potere della società e quindi anche per una tra sformazione delle strutture politiche esistenti. I comportamenti e le organizzazioni dei gruppi classi ficati nell'area professionale appaiono disadatti nell'attuale civiltà di massa, ed in ogni caso destinati a modificarsi. In qualsiasi gruppo sociale anche una equilibrata condizione di vita non escluderebbe la nat�rale tendenza al suo migliora mento (cioè una tendenza ad una maggiore influenza di quel gruppo); ma nell'area della professione e dell'università i segni d'insoddisfazione e d'insicurezza sono viceversa molti e palesi, non limitati all'ambito del movimento studentesco. Quindi in quest'area si dimostra evidente una carenza di strut ture s nelle quali organizzare poteri potenziali rendendoli effet tuali, per l'esercizio di contropoteri, l'aspirazione ai quali 45
non solo è giustificabile in termini sociologici, ma è mani festa nei molteplici aspetti della crisi che la interessa. Le capacità di reazione a questa crisi di valori e di strutture adeguate agli attuali modi di vita, da parte degli individui e dei gruppi da essa colpiti, misureranno i loro specifici poteri potenziali, ipotizzabili in generale nell'intero contesto sociale.
Il divario o squilibrio tra istruzione... e richiesta di quadri dirigenti e di qualifiche professionali da parte della società in sviluppo è uno dei maggiori esistenti ... ma non è il solo. Anzi si può dire che la società industriale di massa è caratterizzata da tutta una serie di « gaps » o divart penna nenli. Ricordiwnone alcuni a caso: -sviluppi tecnologici ( mondiali) / e pianificazione su scala nazionale - sviluppi tecnologici / e addestramento professionale - richiesta ( domanda) di quadri / e istruzione ( sistema scolastico, Università) - aumento di popolazione / e necessità di spazi liberi o «naturali» - investimenti in fabbricazione e acquisto di automo bili I e investimenti per la regolarizzazione del traffico. - comportamenti di fatto / e consapevolezza delle deci sioni e scelte (nei loro effetti e conseguenze) - bisogni e aspettative / e strutture sociali e politiche ( che li rappresentano) - rapidità dei mutamenti / e nostra capacità di previ sione del futuro. Sono proprio questi e consimili divari che offrono... il « terreno oggettivo » su cui potranno sorgere e formarsi nuovi contropoteri ( oggi potenziali) ... Quello studentesco è oggi il primo a manifestarsi, uscendo dal potenziale e divenendo ef fettuale 6• Tutti questi divari sono tipici dell'intera società alto industriale; ma non si può fare a meno di osservare come alcuni di essi appartengano agli specifici interessi professio nali dell'architetto ed assumano particolare gravità nel luogo in cui viviamo. Come in tutti i luoghi ove lo « stato di benes46 sere» non risultando che assai parzialmente instaurato induca
tuttavia, accanto alle vecchie, molte delle sue tipiche disfun zioni; ancora più esasperate dall'assenza di quei benefici ma teriali che per definizione dovrebbero contraddistinguerlo. In Italia la professione di architetto fa la sua comparsa
nel momento in cui ha inizio la crisi di valori architettonici nella coscienza popolare: quando tutti si accorgono del turba mento di quel campo, fino ad allora privo di problemi per il consumatore ... La borghesia di allora cercò di creare un esper to in termini estetico-figurativi, delegato a fronteggiare... i problemi ... dell'edilizia 1• Ma come scrive S. Giannini, la dico tomia tra « arte e tecnica» - per la quale si ritenne di dover istituire un professionista surrogante in un colpo il diplo mato di Belle arti e l'ingegnere - non fu risolta. Rimase per campo a quell'esperto L'architettura ... non come fatto reale, ma come fatto critico e figurativo: una teorica molto distaccata dalla realtà. La nostra professione, ordinata con legge del 1923, non partecipò mai, in quanto tale, della florida condizione rico nosciuta tipica della società borghese liberale; le scuole di Architettura divennero Facoltà universitarie dal 1925 al 1935. Vna ovvia scarsezza di tradizioni professionali non poteva fornire energia per risolvere la contraddizione su cui era stata fondata la nuova Facoltà. Tale avvio, tuttora concorre a ren dere entrambe - scuola e professione - peculiarmente insta bili, e anche perciò più aperte alle istanze del movimento studentesco. La Facoltà di architettura incapace di districare dalla sua confusione istituzionale gli elementi di una tendenza cul turale ... non riuscì mai a svolgere un'azione di ricerca astratta o applicata ... Se qualcosa dì buono è stato prodotto dall'architettura. italiana, assai raramente è venuto dalla scuola. E se di questo " buono >• si ricercano gli autori, ci si accorge che il più delle volte o sono stati autodidatti o... avevano imparato altrove 8• Nel campo dei fenomeni e delle trasformazioni, determinati dallo sviluppo economico del paese, intorno ai primi anni del Sessanta, l'architettura non solo non forniva quadri capaci d'introdurre correttezza tecnica nelle operazioni che si veni- 47
vano compiendo, ma neppure idee, concezioni e proposte, che potessero contestarne l'incoltura. La scuola aveva continuato a sfornare... professionisti generici... non aveva prodotto ope ratori per la pianificazione territoriale né tecnici dell'urba nistica né progettisti urbani né autentici designers; tanto meno aveva « prodotto cultura», attraverso un esercizio siste matico e continuo di ricerca 9• Ancora oggi dopo un anno di dibattiti e di occupazioni, seguiti a precedenti varie locali spe rimentazioni, delle quali sfugge lo stesso più naturale riesame critico, le questioni di fondo restano insolute, e non si può davvero credere a un progresso, ma piuttosto a un regresso... in intricate digressioni... si rischia di perdere contatto con i problemi basilari che ancora sono al centro del dibattito uni versitario e nei quali occorre ancora lavorare 10• Mentre la professione di architetto appare inflazionata nel numero degli autorizzati al suo esercizio, parallelamente continua ad aumentare la popolazione scolastica degli aspi ranti ad essa. Accanto alla scarsità di occupazione, general mente lamentata, dovrebbe dunque ammettersi che la do manda sociale di architetti è oggettivamente in espansione... perché il superfluo decorativo, che l'architettura italiana è stata, tende (tendenzialmente) a trasformarsi in una necessità strutturale dello sviluppo del Paese 11• Di questa tendenza po trebbero essere segni: la diffusione dei « messaggi » sulla pianificazione, la crescente espansione produttiva nel settore degli arredi, forse l'eco stessa della contestazione più attiva nella nostra Facoltà. Segnali divulgati, all'esterno del mondo professionale, dai mezzi di comunicazione di massa, e che quindi richiamano nuovi aspiranti alla professione; molti dei quali, si spera, non debbano domani come oggi alimentare i ruoli d'insegnamento di scarse materie nella scuola d'ob bligo. Ai fini delle scelte possibili, è da rilevare quindi la differenza tra il tipo d'informazione che determina il richiamo ad una specifica attività (professione) e il tipo d'informazione che questa offre all'esterno. Manca del resto, in generale, esatta conoscenza di come vengano utilizzati dalla società i quadri professionali usciti dall'Università, così come man48 cano dati precisi sul grado e sui modi di occupazione degli
architetti; indicazioni se ne pot-rebbero trarre ai fini di una organica programmazione delle attività, come per fornire dati oggettivi a chi voglia considerarli nell'intraprendere la prepa razione universitaria.
È necessario dire con chiarezza che oggi non c'è figura professionale più esposta ad ogni colpo di vento, più sradicata da ogni convinzione, più asservibile e manovrabile di quella dell'Architetto; che non vi è professione più in crisi, senza esercizio di buona o mala fede o addirittura senza esercizio di fede... La notevole disoccupazione esistente oggi nel ramo viene falsamente attribuita ad una contrazione della doman da... Vero è invece che la professione dipende in gran misura dai gruppi di opinione politica delegati del potere ammini strativo, e che il controllo amministrativo sui prodotti del l'architetto... è trasformato in controllo degli incarichi di lavoro. Esistono grandi sperequazioni nella distribuzione di questi... la somma totale dei lavori, sarebbe tale da procurare occupazione alla totalità dei professionisti 12• Nell'alternare tra riferimenti ad una situazione d'indi genza culturale e riferimenti ad una condizione d'indigenza per scarsa occupazione, trova posto anche il fatto che l'ordi namento della professione, che congiunse architetti e inge gneri italiani dal 1923 a oggi fu oggetto di ben ottantadue decreti di legge. L'instabilità della professione di architetto e della sua scuola determina insoddisfazione e insicurezza, che caratterizzano la condizione attuale degli architetti italiani. L'involuzione della quale non è stata arrestata dai tentativi individuali o di gruppi isolati, perché questi non possono avere forza sufficiente a modifiche sostanziali della realtà; e spesso inducono a incomprensioni ed a reazioni interne, segni di vitalità some sussulti di un corpo estenuato, e come tali avvertite al di fuori. Nelle Facoltà di architettura, scrive De Carlo, osservatori esterni, presenti ad incontri tra studenti e docenti hanno notato con sorpresa il fatto singolare... che il linguaggio di ciascuna parte... era insignificante per l'altra al punto di farle dare per scontata l'inutilità dell'ascolto... L'adulterazione del linguaggio deriva infarti da una condizione d'insufficienza 49
culturale che riproduce continui malintesi ... Tutte e due le parti... sono soggette alle tentazioni di una comunicazione gergale. t:. noto che ciò non è limitato a quegli incontri, ma oltremodo più diffuso tra noi. Come lo stesso De Carlo dice: Oltre a chiudere in quanto gergo le possibilità di contatto con l'esterno ... stabilisce all'interno quegli scalamenti e quelle necessità d'iniziazione che sono tipiche dell'accademia. Ne deriva una condizione d'isolamento e di rigidità conservativa che dalla Facoltà si diffonde alla professione coinvolgendole entrambe in una identica crisi [ ... ] 'P. noto che l'architettura italiana è arrivata assai tardi alla consapevolezza di quel grande rinnovamento « di impegni e di immagini» che passa sotto il nome di Movimento Moderno... Oggi.. il ritardo conti nua e il distacco dal reale, che ne è la causa, appare come 1111 vizio connaturato ... Mentre preme attraverso gli studenti l'esigenza di un rinnovamento dell'architettura per una più intensa partecipazione alle trasformazioni strutturali della società, si profila... una nuova torsione diversiva verso le ragioni di un'architettura come « arte incontaminata» e di una scuola di architettura come «accademia» ... Le ragioni dell'architettura sono assai più complesse e sollecitanti... I problemi dell'ambiente fisico sono diventati fondamentali per il progresso umano... Il campo di azione dell'architettura e il flusso delle sue riverberazioni si sono enormemente allargati; per cui occorrono ormai competenze specifiche appropriate alla diversa qualità degli obiettivi perseguiti e degli strumenti impiegati. Soprattutto occorrono nuovi sistemi di valori e nuove strutture culturali che possano scardinare i presup posti ideologici obsoleti sui quali ancora l'architettura e la società si reggono. La grande rivoluzione che si profila nel mondo... trova l'architettura (italiana) ancora una volta im preparata. Come nell'epoca protoindustriale, l'orrore di un ruolo responsabile e impegnato si traduce in una sequenza di tempeste nel bicchiere di una rigida configurazione. La 1·ivolta degli studenti della Facoltà di Architettura è scoppiata dalla constatazione di questo incerto destino. Il suo anticipo è dovuto al fatto che il destino era più incerto che altrove; le 50 difficoltà in cui si è incagliata al fatto che era più misticato 13-
Le contraddizioni dell'architettura italiana sono il riflesso dei molteplici squilibri o divari da tutti riconoscibili nella so cietà in cui viviamo. Risolverle, vorrebbe dire aver già avviato mutamenti profondi, essersi avvicinati ad intendere l'ambi guità del reale più di quanto la nostra intelligenza sembra rivelare possibile. Essere più prossimi ad un faticoso equili brio. Troppe cose intorno sembrano giustificare il « De pro fundis » sulla nostra professione; per rinviarlo, ognuno dalla sua condizione, tutti dovremmo adoperarci ad utilizzare gli impulsi portati dal movimento studentesco, sappia o meno esso continuare ad esercitarli. Deve essere ridotto il divario, fra gli altri più modesto, che divide i comportamenti dell'ar chitetto dalla consapevolezza delle sue possibili scelte; evi tato ogni individuale ripiego su posizioni solo apparentemente più sicure; occorre una maggiore autodisciplina. Non aspettando mutamenti predisposti dal sistema poli tico-amministrativo, l'architetto deve riesaminare e rivedere le strutture attraverso le quali esplica la sua azione di con trollo sulla città... Perché l'atto individuale dell'architetto che inventa e che coordina le idee molteplici di una pro gettazione possa diventare realtà accorrono innumerevoli ope razioni di scelta e di verifica, cioè di controllo, · prima e dopo l'atto individuale stesso della creazione, che ne permet tano l'esplicazione e lo portino alla realizzazione. Bisognerà che siano gli architetti stessi, e più in generale, i tecnici, ad organizzare un sistema nel quale ognuno trovi il posto che gli spetta, per lavorare tutti insieme alla nuova città... Se gli architetti, se i tecnici fossero capaci di tale autodisciplina... se sapessero trarre un qualche insegnamento dalla storia del movimento operaio o dalla storia dell'industria e del neocapi talismo; se riuscissero a trarsi fuori dalla posizione nella quale si trovano, a metà strada fra il servo sciocco di un padrone ignorante che la sa lunga e l'intellettuale ribelle che si aliena fra le nebbie eccitanti della protesta solitaria; essi potrebbero acquistare un potere... per il bene della città fisica e della categoria stessa di coloro che la costruiscono 14• Per proporre e realizzare le nuove immagini e le nuove strutture che la società continuerà a richiedere all'architet- 51
tura, occorre predisporre il sistema efficiente attraverso il quale tutti gli atti della progettazione, nel loro intero arco, si 1endono concretamente possibili. L'immagine della Torre di Babele... è perlomeno ambigua; da un lato vi è il disordine delle istituzioni e la perdita del significato comune nella confusione delle lingue e dall'altro l'interesse per un disegno più vasto, più complesso, persino contraddittorio e confuso, della realtà e della sua costruzione; ... è l'allegoria di uno sforza secolare dell'umanità per costruire la razionalità in tutti i suoi aspetti. ( E non è una mera coinci denza che l'allegoria si riferisca ad un'opera di architettura) 15 • Non si pensa che nuovi modi di organizzazione e nuove misure legislative possano da soli risolvere la crisi della cul tura architettonica italiana, aspetto a sua volta particolare di più vaste crisi di valori e di cultura. Ma certo di quest'ultima potrebbero esser segno, poiché tra ciò che non è cultura primo sta il disinteresse per i concr1;ti modi di operare. Senza pregiudizio quindi di ogni raccolta e severa riflessione, riorga nizzarsi e mutare istituzioni verificate come incongruenti renderà meglio possibile tradurre in opere i nuovi pensieri dell'architetto. Tutto ciò potrebbe essere chiaro e tuttavia i segni di un'interna incomprensione permangono; sono ap parsi ancora in vari orientamenti nei convegni tenuti nel l'estate scorsa dai rappresentanti degli architetti italiani, a Bologna e successivamente a Firenze. Diverse per significato e misura negli stessi riferimenti al movimento studentesco, impliciti nel tema « Ordini professionali ed Università ita liana», le tendenze manifestate si dividono tra quelle interes sate alla generalizzazione di principi, per condanne tutte già pronunciate, e tendenze operative, oscillanti tra proposte ge nerali e particolari. Riportiamo qui quelle prospettate dagli architetti dell'Emilia-Romagna, perché mettono a fuoco prn blemi sui quali occorre la riflessione di tutti. 1. Unificazione dei provvedimenti legislativi di riforma dell'ordinamento degli studi universitari e degli ordinamenti professionali. 2. Prescindendo da preesistenze consolidate e da valutazioni corporativistiche e sindacali, accertare le reali esigenze 52
della società contemporanea in ordine alle professioni tecni che, adeguando a tali esigenze sia l'ordinamento degli studi che gli ordinamenti professionali, anche abolendo, unificando o creando nuovi tipi di attività e di professione. 3. Introdurre il criterio del contatto permanente tra pro fessione ed università rinnovata, istituendo seminari di perfe zionamento ed aggiornamento, con periodicità quinquennale, la cui frequenza da parte dei laureati sia condizione per la conferma dell'iscrizione agli Albi. 4. Ottenere una dichiarata presenza degli organismi di Stato e una adeguata apertura di talune grandi iniziative sta tali ( tipo Gescal, IACP, etc.) verso forme di sperimentazione nelle quali si collaudino il lavoro di gruppo con la partecipa zione attiva e paritetica di studenti e professori, nonché la pratica utilizzazione di indirizzi e tecniche nuove, oggi la sciate alla scelta occasionale di funzionari e politici. 5. Mettere a punto anelli strutturali istituzionalizzati di congiunzione fra organi direttivi professionali ed organi di rettivi e rappresentativi universitari, per attività comuni e e complementari. In tal senso gli Ordini dovrebbero ricevere ampia libertà di promuovere, con tutte le iniziative ritenute idonee, il prestigio della professione e non limitarsi ad una tutela passiva del titolo. 6. Soluzione delle disfunzioni derivanti dalla dipendenza da Ministeri diversi degli Ordini, delle Università e degli or ganismi tecnici preposti alle OO.PP. 7. Stesura di un ordinamento che, in diretto rapporto con l'ordinamento degli studi, inquadri tutte le professioni tecni che ad ogni livello, precisandone i compiti e lasciando ampia possibilità per tutti di passare da un livello ad un altro su periore mediante le prove che saranno prescritte, ma con esclusione di qualsiasi preclusione 16•
Queste proposte trattano materia complessa, che riguarda non solo l'architetto ma tutte le professioni tecniche ora ai fatti dell'architettura interessate: esse sono i titoli per altret tanti capitoli da stendere compiutamente. Lo farà il Ministero, l'Ordine, il Consiglio Nazionale, commissioni di «esperti» in loro rappresentanza, oppure quanti altri, studenti, professio- 53
nisti, docenti? e secondo quali criteri si organizzerà il neces sario lavoro? Esami di stato, abolizione del valore legale dei titoli di studio, facoltà libere, apprendistato, industria edili zia, sperimentazione, contestazione, ricerca, pianificazione e programmazione operativa, uffici tecnici pubblici, mass-media, occupazione, affidamenti d'incarichi, full-time, istruzione, or ganizzazione tecnica della progettazione, normative, ed avanti ancora; quanti di questi problemi non entreranno in quei ca pitoli e come si divideranno gli argomenti, i temi di ricerca, fra gli addetti alla professione e gli addetti alla scuola dell'ar chitetto? E non avranno essi bisogno dell'aiuto di altri esperti? Da alcuni si dice che occorre « liberare l'Università dal l'ipoteca professionale ». L'affermazione può assumere vari significati; il migliore dei quali esprimerebbe volontà di seria e appartata ricerca. Consapevolezza di necessaria medi tazione, indisponibilità ai sotto-valori, rifiuto (parziale). Ma ri porta alle domande per capire che cosa finora abbia impedito tutto questo. E tuttavia se è bene che Ofelia vada in convento, quale monachesimo, e tra quali mura, la proteggerà dalla con fusione? Anche qui forse hanno ragione quegli esperti che, per altre questioni assai più gravi, sostengono si tratti per lo più di un problema di comunicazione. L'uomo... non ha ancora ... utilizzato del tutto il suo poten ziale sul nuovo ambiente costruito dalla tecnica. Tale poten ziale è, in questo momento , neutralizzato da evitabili errori di comunicazione. Scienziati... ci dicono che la capacità di pen sare non è mai stata utilizzata secondo le sue vere possibilità. Di quei quindici miliardi di collegamenti che sono nel cervello molti restano inutillizzati; altri creano fantasmi... 17• Al di là dell'efficacia e dell'utilità di ogni intervento parti colare, un significato positivo dei convegni citati risiede nella stessa volontà manifestatavi di stabilire una piattaforma co mune di opinione, per la soluzione dei problemi della profes sione e delle loro relazioni con quelli dell'Università. Nono stante lo stato diffuso e quasi permanente di tensione e di protesta, temiamo però che tanto nell'ambiente professionale 54 come in quello universitario, la conoscenza di quei discorsi
sia inferiore al valore del più modesto di essi; forse per l'opi nione che solo altrove siano ritrovabili cultura o concreti in teressi. Questa opinione è stata finora tra le cause di una crisi invecchiata su se stessa.
La maggior parte della nostra personalità, per lo più, non è logica. Le parole corrono nei sentimenti, i sentimenti nelle parole; la linea di demarcazione non è affatto rigida. Ma di tcmto in tanto noi rimandiamo le nostre parole, e deliberata mente raccogliamo esperienze ed associazioni, prima di co minciare ad agire 1s. Dal dibattito, da rendere più chiaro e generale, accorre trarre tutte le indicazioni utili, prima della sua inevitabile usura. D'altra parte, per gli uomini di una barca che faccia acqua, il comportamento più naturale è di aggottarne insieme dal fondo, anche se il porto è troppo lontano per credere di poterlo raggiungere. STENO PACIELLO
1 G. C. DE CARLO, La piramide rovesciala, De Donato, Bari, 1968, p. 20. 2 Ibidem, pp. 6-11. 3 S. GIANNINI, De profundis per la professione di archile//o, in « Casabella » n. 327. 4 Cfr. • Tempi moderni» n. 33. s Al livello delle singole professioni, le organizzazioni sono varie ma eterngenee, burocratizzate da istituzioni antiquate, insuscettibili di coordinamento. Le loro azioni sono poco efficaci, perciò stesso contra state a volte dai singoli, spesso velleitarie. A livello interprofessionale manca ogni forma di organizzazione. Ciò porta a trasferire nel sistema politico - come è per tutti i gruppi sociali - ogni possibile azione di potere; però senza il sostegno di rappresentanze a quel livello inter settoriale organizzate - in modo diverso quindi da quelli propri ad altri gruppi sociali. 6 F. ONOFRI, Op. cii. 7 S. GIANNINI, Op. cii. 8 G. c. DE CARLO, Op. cii., p. 35. 9 Ibidem, pp. 4041. IO Ibidem, p. 49. 11 Ibidem, pp, 41-42. 12 S. GIANNINI, Op. cii. Di quest'ultima affermazione ognuno di noi vorrebbe verifica e conferma. In merito allo stato di preoccupazione sulle future possibilità di lavoro, vedere la proposta di disegno di legge presentata al Ministero LL.PP. dal Sindacato Architetti Liberi Profes sionisti di Campania, Abruzzi, Basilicata e Calabria. (Quaderni Docu menti SALP, n. 4, novembre 1968). 13 DE CARLO, Op. cit., pp. 60-68.
14 L. QUARONI, La torre di Babele, Marsilio, Padova, 1%7, pp. 32-37. 1s A. Rossi, Introduzione a La torre di Babele cit., pp. 11-12. 16 Intervento dell'arch. G. Trebbi al Convegno « Ordini professionali e Università italiana», Bologna, luglio 1968, in «L'Architetto», supple mento al n. 5. 11 S. CHASE, li potere delle parole, Bompiani, Milano. 1s Ibidem, p. 317.
56
Una Biennale rimasta senza giudizio ORESTE FERRAR!
Fa un effetto strano, e suscita sensazioni contraddittorie, scrivere oggi, a fine dicembre 1968, di questa XXXIV Biennale veneziana che s'è chiusa da appena un paio di mesi. L'evento, in se stesso, appare indicibilmente remoto: si ha a momenti l'impressione che non sia neanche mai accaduto; eppure sen tiamo che non è neanche vero che sia passato senza lasciar traccia alcuna, perché di tanto in tanto, quando meno ce lo aspettiamo, ecco che lo avvertiamo presente, lì, in una specie di sottofondo della memoria, come un qualcosa di oscuro, che preme, preme per diventar pensiero, ragionamento, e ragiona mento non dive!'}ta mai. Donde il disagio che ci procura la sua presenza. Il fatto è - e non si consideri questo come un poco arguto gioco di parole - che questa presenza non si è ancora « pre sentifìcata» del tutto alla nostra coscienza, critica o meno. Di questa Biennale ci siamo limitati tutti a prender atto, con maggiore o minor fastidio, raramente con interesse positivo, quasi mai con obiettività: se se ne è discusso, spesso lo si è fatto nei modi di quello che par divenuto quasi un « rituale dello scontento». La XXXIV Biennale appare remota già oggi, a fine di cembre 1968, non perché sia passata già in giudicato e perché il ricordo di essa torni dunque alla memoria decantato e mondo delle sensazioni contingenti, ma per la ragione esattamente opposta: perché, cioè, un giudizio, quale che esso sia, su di essa non è stato ancora formulato, e l'esi genza di tale giudizio si aggira tuttora nelle vuote e grigie 57
stanze della nostra coscienza: fastidiosa, inquietante, come un insetto sgradevole che corra ronzando entro una camera chiusa, cercando, ma invano, una via d'uscita. Di chi la colpa - se colpa può chiamarsi - di tutto ciò: della Biennale in se stessa, o della nostra collettiva cattiva coscienza? Personalmente sono dell'avviso che la colpa non sia della Biennale, se non per il fatto, puro e semplice, di essere stata. Voglio dire, cioè, che sotto qualsiasi altro aspetto, mi gliore o peggiore di quello che, di fatto, ha avuto, la Bien nale avrebbe comunque riscosso una assolutamente pari non rispondenza da parte della coscienza critica collettiva. È questo un dato di fatto che è stato in realtà percepito, sia pure molto confusamente, proprio da tutti quelli che in modo più singolarmente precipitoso, già alla vigilia del l'inaugurazione della mostra, prima ancora di prendere co gnizione diretta di essa, si sono rifiutati di distinguerne me riti e demeriti, ed hanno preferito negare il diritto all'esi stenza della Biennale stessa. Donde poi i noti fatti, dei quali si è parlato tanto: ho qui sul tavolo, davanti a me, un fascio di riviste e di ritagli di giornali, pieni delle cronache di quei giorni: ma da una parte e ·dall'altra i giudizi su ciò che era esposto alla Biennale sono estremamente concisi, sovente elusivi o svagati. La Biennale è stata allora inutile, come un oggetto an� tiquato e non più funzionante? Molti tra questi frettolosi recensori o elzeviristi lo hanno affermato. È stata un fatto negativo, o addirittura un « affronto » alla cultura moderna, come pure non pochi hanno dichiarato a gran voce? A me, francamente, non sembra che sia stato nulla di tutto ciò. Mi pare, piuttosto, che sia stata una Biennale né migliore né peggiore di tante che l'hanno preceduta: in de finitiva, anzi una Biennale «onesta», che r.ispecchiava abba stanza fedelmente le condizioni di alcuni settori della cultura - e non solo particolarmente di quella artistica - attuale. Il fatto nuovo, semmai, è stato che questa cultura non ha minimamente sopportato di riconoscersi nella figura che 58 di essa ha dato la Biennale.
Qualcuno mi potrebbe obiettare, a questo punto, che il fatto non è neppur esso tanto nuovo, e che anzi sempre la cultura più viva ha rifiutato di riconoscersi in quel tanto di schematico che hanno, in ogni caso, le proposizioni cri tiche in base alle quali è impostata qualsiasi mostra. Sono perfettamente d'accordo su questo punto, in linea di massima: ma quel che voglio dire, precisamente, è che nella attuale circostanza il rifiuto è stato radicale, a priori, e non è stato neanche un rifiuto nei confronti della critica in quanto tale ( lo dimostra il fatto stesso che, come di consueto, tutti gli artisti italiani e tutte le rappresentanze straniere hanno ri chiesto, per il catalogo, apposite « presentazioni» di critici), ma è stato un rifiuto nei confronti del proprio esser presenti. l'n rifiuto di natura esistenziale, da una parte (rifiuto ad esserci), ma soprattutto un rifiuto ad fsser posti di fronte ad uno specchio, a qualsiasi specchio, per non vedere la propria immagine riflessa, anche quando essa era, in defini tiva, l'immagine più veridica. Artisti e critici, insomma, hanno tutti preteso di « non esser visti» e soprattutto di non « vedersi», quasi a giocare a rimpiattino con se stessi, per un gioco, sostanzialmente tragico, di reciproche evasioni (ripeto: reciproche) e di con tinuo deferimento ad altri delle proprie individuali fisionomie. Cosa significhi un tale atteggiamento, ognuno è ben in grado di comprenderlo: nel migliore dei casi è un fenomeno di dandysmo, neanche poi tanto divertente; ma alla lunga è una rinuncia totale alla responsabilità, la confessione di fal limento d'una civiltà. La Biennale, dicevo, è stata rifiutata allora proprio per ché era uno specchio, e uno specchio sostanzialmente «onesto». Oh, certo, di difetti ne aveva pur molti, e proprio nelle parti che più avrebbero dovuto esserne esenti! Una volta constatato, ad esempio, che alla grande mostra retrospettiva delle « Linee della ricerca contemporanea: dall'Informale alle Nuove Strutture», che doveva avere valore program maticamente qualificante, era impossibile presentare sia pur semplici exempla di maestri che sono stati di capitale im portanza nella storia artistica recente (come quelli elencati 5ç
nell'appendice alla prefazione al catalogo: Tobey, Pollock, Masson, Newman, Noland, Morris Louis, Ernst, Mirò, Giaco metti, De Kooning, ai quali aggiungerei Moreni e Morlotti per la parte italiana), una volta constatato questo, dunque, era perfettamente inutile insistere nella realizzazione di una tale iniziativa; dannoso, anzi, dal momento che a tali lacune ha poi corrisposto una quantità di presenze affatto ingiusti ficate, di persone che in nessun caso hanno contato come protagonisti della « ricerca contemporanea»: dall'Arakawa al Dewasne, dal Fruhtrunk all'Hockney, dal Mack al Rudolph, al Sugarman, al Werkman, fino agli inutilissimi giochi tessili delle Abakanowic, Buie, Fruytier, Giauque e Hassel e al lurido, frusto happening del Vostell. Se poi a tutto ciò si aggiunga che alcune tra le presenze « legittime » figuravano con opere che neanche con tutta la migliore volontà potevano considerarsi scelte secondo criteri di significativa rappresentanza, se ne conclude facilmente che !"essersi ostinati a « sciupare », nel vero senso del termine, una occasione come questa che avrebbe potuto essere di fondamentale rilievo anche didattico, è stato davvero un gesto inopportuno, addirittura provocatorio. C'erano, altresì, grossi scompensi qualitativi anche nei criteri con cui sono stati organizzati altri settori, con esiti particolarmente deludenti per quel che riguarda i padiglioni degli Stati Uniti e del Brasile (nel caso del primo per le pre senze di personalità modestissime, quali il vecchio Dickinson, il Cremean, il Porter; nel caso del Brasile, in blocco), mentre come al solito di altre rappresentanze straniere non si sa rebbe poi tanto sentita la mancanza: così da quella del l'Unione Sovietica (che non si riscattava certo per la pre sentazione dei quadrucci dell'astronauta Leonov: faccia cia scuno il proprio mestiere; le cose migliori erano tutto som mato le litografie per la illustrazione di fiabe, del Vastnezov) a quelle di Cipro, della RAU, dell'Uruguay e dello stesso Ve nezuela, per il carattere pretenzioso e mondano della mostra della Marisol, e infine della Spagna, nel quale si registrava la caduta a picco d'un artista che tutti stimammo, il Feito. 60 Ma per il resto la Biennale non faceva che riflettere una
condizione attuale, in molti dei suoi aspetti generali: in specie per la mancanza di personalità di altissimo rilievo, cui si possa ascrivere il merito di aver condotto esperienze o almeno avanzato proposte di carattere· risolutivo, a fronte della quale sta una diffusa abbondanza di talenti estrosi e operanti su direzioni comunque di vivo interesse, intenti a ricerche positive: dai francesi Arman e Shoeffer (particolar mente importante quest'ultimo se riguardato nella prospet tiva lunga delle esperienze cinetiche) agli inglesi King e Riley, ai tedeschi Jenssen e Oelze. La presenza italiana con fermava la vitalità di una situazione in lento ma sicuro pro gresso, soprattutto per le opere di Pascali e di Leoncillo - per la recente scomparsa dei quali si fa così sempre più vivo il rimpianto - e poi di Adami, Colombo, Morandini e Strazza. Attorno a questi, lasciato il debito rlievo ai vecchi mae stri cui sono state dedicate le rare retrospettive (in primo luogo quella, veramente buona, di Delvaux, e poi quelle di Tamayo, di Glarner e di M. Ardon), erano altre schiere di pittori e di scultori ben impegnati, di indiscussa serietà, tra i quali ricordo quasi tutti gli altri italiani, il belga Peire, l'austriaco Goeschl, l'italo-canadese Molinari, i giapponesi Sugai e Takamatsu, l'olandese Visser, i romeni Grigorescu e Maitec, l'ungherese Vilt. Nulla di veramente nuovo, in sostanza, nessun outsider venuto perentoriamente alla ribalta. Il panorama, certo, nel complesso, è risultato smorto: ma la colpa, ripeto, non è della Biennale se la situazione è quella che è. Ecco, m'avvedo anch'io che di questa Biennale è sì pos sibile redigere un resoconto, trarre un bilancio del buono e del meno buono, senza che ciò significhi però la formulazione di un vero giudizio. Questo è ancora di là da venire, mentre resta, per quello che dalla Biennale risulta, una sensazione di disagio, come dicevo prima, che è forse il tratto più caratterizzante della nostra attuale condizione. Speriamo che si tratti, almeno, di un disagio salutare. ORESTE FERRAR!
61