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A tavola imbrandita di Pietro Filippini – pag
Tempo di lettura 8’10’’ A tavola imbrandita Uno, due tre... stelle! E chi si ferma è fuori
Di Pietro Filippini Foto di Fiorenzo Maffi Le guide gastronomiche sono amiche e nemiche dei ristoranti. «Le usi e ti usano», per dirla con chef Carlo Cracco. Perché in cucina, l’immobilismo è fatale. Così va il mondo dell’alta gastronomia. Ma la caccia alle stelle può anche logorare. Lorenzo Albrici spiega il perché.
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Fossero gli squid games, quelli dell’omonima serie tv coreana, a bloccarsi senza fiatare, si salverebbe la pellaccia da una sorte atroce. In cucina, invece, l’immobilismo è fatale. Che siano cuochi a una, due o tre stelle, chi si ferma è fuori. Così va il mondo dell’alta gastronomia: ammaliante e rigoroso, prodigo e spietato, complicato. Un mondo legato a doppio filo alle guide di settore, che «usi e ti usano», chef Carlo Cracco dixit. Ed è vero, perché essere citati sulle bibbie dei gourmand porta lustro, visibilità, clienti e può aprire a nuove opportunità di lavoro. Allo stesso tempo, tuttavia, la caccia alle stelle può logorare. Chef sull’orlo di una crisi di nervi, datori di lavoro impazziti, famiglie rovinate, addirittura vite spezzate. Di tutti i colori. Come nei piatti: variopinti, scenografici, abbelliti da foglioline qua e là. E pensare che «un tempo con le pinzette si facevano solo gli orologi», ha constatato perplesso Frédy Girardet, un monumento della cucina. È l’adorazione della spettacolarità che pone un’asticella altissima dove talvolta si perde di vista la sostanza, schiavi (con la sindrome di Stoccolma) delle guide, ambite e brandite. Cuochi al servizio del proprio ego in primis, poi del cliente, «sempre più critico ed esigente», ci spiega Lorenzo Albrici, chef e patron della Locanda Orico, che ci accompagna in questa degustazione agrodolce fra le portate dell’ansia da stelle.
Che poi mica tutti si mettono ai fornelli con il tarlo delle guide. Albrici, nel 1998, dopo una lunga esperienza in prestigiosi ristoranti, apre nella sua Bellinzona. Il cielo nel mirino? No, memore delle follie conosciute nelle cucine pluristellate. Poi però dopo pochi mesi finisce sulla Gault & Millau, due anni più tardi ha già appuntato sulla giacca il «macaron» della Michelin. Et voilà, il gotha della critica gastronomica in Svizzera gli punta i fari e lo porta in alto. «Non volevo - ci spiega - perché provoca maggiore stress, ma l’ho accettato». E di buon grado, perché i riconoscimenti attirano i clienti: dagli avventori locali (oltre il 90% all’Orico) a chi mangia solo negli stellati, fino a chi, viaggiando, sbircia le insegne sul tragitto del navigatore. È un onere e un onore, che tutto sommato pone in una posizione di favore. Che può anche non durare. «Il declassamento fa parte del gioco. Certo, perdere una stella è uno smacco, fa rumore, oserei dire anche più di quanto non ne faccia un premio. Rimango comunque perplesso quando vedo colleghi che dopo aver giovato per anni dei punteggi delle guide, se «retrocessi» iniziano a dirne peste e corna», sottolinea lo chef bellinzonese, che non si nasconde: «Prima o poi, mi aspetto di perdere la stella». Ma non per un «downgrade» della qualità al servizio o in cucina, bensì perché i parametri delle guide sono cambiati. «Oggi c’è una tendenza ai «fuochi d’artificio», alla lavorazione estrema del prodotto, che apprezzo poco, a una perfezione sotto tutti i punti di vista che è difficilmente sostenibile economicamente e dal punto di vista pratico. E presto o tardi non faremo più parte di questo tipo di ristorazione. C’è chi ha detto che «bisogna fare centomila piatti per ricevere una stella, ma ne basta uno per perderla». E forse è vero: è sufficiente che un piatto resti in cucina tre secondi in più, che vada lungo un poco di cottura, che bruci qualcosina, che si metta un pizzico di sale di troppo… D’altra parte, non siamo dei robot».
Il diritto all’errore, che fa emergere una stortura nelle dinamiche delle guide specializzate. L’anonimato degli ispettori è diventato quasi una favoletta romantica e le guide affidano agli chef un ruolo promozionale che stride con la vocazione del critico. «È un gioco pericoloso, perché non è normale che una guida collabori con gli chef che recensisce. Dovessero, un giorno, mangiare male nei loro ristoranti, le guide ne scriverebbero in tono minore deprezzando l’immagine del testimonial che porta loro «like» e indotto? È un business paradossale».
E allora il rischio di venir bocciati dalle guide aumenta, perché al di là della bravura del cuoco fra le pentole, l’alta ristorazione, oggigiorno, richiede grossi investimenti. Non a caso, sempre più spesso i ristoranti premiati dalle guide sono all’interno di hotel di lusso o godono del sostegno di fondazioni o grosse aziende alle spalle. Fino a qualche anno fa i grandi alberghi mandavano i clienti nei ristoranti gourmet, ora li hanno al loro interno. E anche se vanno in perdita, rientrano nel bilancio (economico e di prestigio) dell’offerta. Vuoi una, due o tre stelle? Bene, allora dalle posate agli arredi, dalla cantina dei vini al servizio, tutto dev’essere impeccabile. Maniacale. E anche in cucina, ça va sans dire. «C’è chi ha 20-25 cuochi per una quarantina di coperti, allora ci si può permettere di curare ogni minimo dettaglio, anche le famigerate foglioline. E i costi, nonché i prezzi, vanno alle stelle», puntualizza Albrici, senza voler demonizzare questa realtà. «Chi ha la possibilità di farlo, rimane nel giro, ma ci sono diversi esempi di grandi chef che hanno fatto un passo indietro, cambiando tipo di offerta. Noi non possiamo permetterci certi investimenti, siamo una sorta di mosca bianca. Abbiamo aumentato i prezzi solo del 2025% in oltre vent’anni, ma non lo faremo ulteriormente, nonostante le attuali difficoltà nel far quadrare i conti. Abbiamo gli stessi prodotti di qualità dei migliori ristoranti a livello internazionale, ma non dobbiamo dimenticarci in quale contesto operiamo».
Contesto geografico, economico e sociale. Il contesto attuale, in evoluzione. O involuzione. Tanti giovani vogliono diventare chef stellati prima ancora di essere cuochi. «Mi dà un po’ fastidio - ammette il patron della Locanda Orico - perché tutto è orientato al riconoscimento, il che produce piatti a misura di guida, estremizzati. Ci sono giovani cuochi che non hanno più le basi della cucina, ma sono abilissimi con le nuove tecnologie e a giocare con l’estetica. Conta più come anziché cosa c’è nel piatto. Piace alla gente? Forse sì, ma non sono così convinto». Perché anche il cliente è cambiato. «Prima chi entrava in un ristorante gourmet apprezzava tutto di più. Il «giorno x» di una cena o un pranzo stellato si fantasticava sul menu, i piatti, l’atmosfera. Oggi si trova già tutto su web e social media. E il cliente è molto più critico e meno rispettoso. E spesso, quando ci si confronta, si sentono cose che non stanno né in cielo, né in terra. Ma non sempre è così. E, in fondo, lavoriamo per loro, per la loro soddisfazione. E l’agitazione sta soprattutto lì: non è l’ansia da stelle, ma l’ansia da clientela». Che move il sole e l’altre stelle. E chi si ferma è fuori. ■
Tempo di lettura 4’25’’ Reportage, romanzi, saggi... Ma per scegliere un buon libro ci si può anche affidare all’olfatto
Cosa vi spinge a scegliere un libro piuttosto che un altro? Alcuni ammettono il potere del marketing, dando «la colpa» alla copertina particolarmente accattivante. Altri, soprattutto i lettori seriali, si basano sulla conoscenza degli autori, sulle uscite segnalate dalle librerie e fagocitano tutto quanto c’è a disposizione. C’è però anche chi si affida ad altri sensi, forse meno legati al concetto di lettura: il tatto e l’olfatto. Tra chi frequenta assiduamente gli scaffali delle librerie, infatti, non è raro imbattersi in lettori attratti dal profumo di un libro o dalla sua consistenza. Poco male, l’importante è leggere! Oggi più che mai abbiamo bisogno di figure di riferimento per affrontare un futuro problematico. Una di queste, poco nota ma di elevatissimo valore scientifico e morale è Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma nel 1968 e ispiratore del rapporto «I limiti alla crescita» del 1972. Nato a Torino nel 1908 Peccei fu economista anticonvenzionale, antifascista, e tra i primi a domandarsi se consumi, crescita demografica e inquinamento avrebbero potuto mantenersi all’infinito o si sarebbero scontrati con la finitezza del mondo. Colto, poliglotta, cosmopolita, generoso, lungimirante, onesto: sono le virtù che emergono dalla sua autobiografia «La qualità umana» uscita nel 1976 e ripubblicata da Castelvecchi Editore. Peccei morì nel 1984 ma il suo lucido pensiero è ciò di cui avrebbe bisogno la nostra politica per trovare una guida.
Laura Silvia Battaglia
Giornalista di guerra
Il reportage più bello, complesso, completo e ampio su un paese chiave per la comprensione dell’Africa subsahariana e del colonialismo europeo. Ricerca documentale magistrale, scrittura ricca di centinaia di interviste sul campo. Questo è il compendio del lavoro di reporting di una vita e, per me, un modello assoluto e irraggiungibile. Prendetevi tempo e stomaco per leggerlo. Non ve ne pentirete.
«Congo» di David van De Reybrouk
Pippo Russo
Sociologo dello sport e scrittore
Massini inventa le vite di undici donne fenomenali, ognuna con la sua idiosincrasia, il suo sogno, la sua paura. Alternando leggerezza, ironia e commozione, travolge il lettore nella dirompente epopea di un gruppo di pioniere che osa sfidare gli uomini sul terreno maschile per eccellenza: il campo da calcio.
«Ladies Football Club» di Stefano Massini
Renato Martinoni
Professore emerito di letteratura italiana
Romanzo del Nobel per la letteratura, tradotto da Eugenio Montale, narra la storia di un colono che dal Midwest si trasferisce in California, in una terra fertile e vergine, fra sogni delusi e una religione malata.
Luca Mercalli
Meteorologo, climatologo e divulgatore
«La qualità umana» di Aurelio Peccei
Nicola Camponovo
Consulente in Digital Marketing
Questo è un libricino che si legge facilmente in una domenica pomeriggio; non di ultima uscita ma dal taglio accattivante. Una lettura che aiuta ad aprire gli occhi su innovazione e capitalismo in modo semplice ed efficace. Sfogliando le sue pagine impariamo a porci le domande per trovare valore in luoghi inaspettati. Un libro di economia che non si limita ai soli aspiranti imprenditori, ma adatto a chiunque voglia costruire il futuro e cerchi una lettura energizzante. Per costruire il futuro occorre un cambiamento...bisogna andare da 0 a 1.
«Da Zero a Uno» di Peter Thiel
Raphaël Brunschwig
Managing director del Locarno Film Festival
Si tratta di un’analisi junghiana de «Il fondo del sacco» di Plinio Martini. Un libro a mio avviso importante perché a partire da fatti storici permette di cogliere significati altrimenti invisibili della nostra realtà - e ci permette di prendere davvero coscienza del senso della storia del nostro Cantone. Un libro che, per dirla con le parole di chi ne ha scritto l’introduzione, fa emergere una domanda molto attuale e provocatoria: è la realtà sociale che crea la psiche, o è la psiche a creare la realta sociale?
«L’anima del Ticino» di Roberto Buffi
Emanuele Colombo
Senior Strategic Advisor di Swissgrid
Dall’Italia un immenso black out coinvolge a macchia d’olio l’Europa occidentale. Sperando di poter scongiurare questa eventualità il prossimo inverno.
«Black Out» di Marc Elsberg