Opinion Leader Magazine - Numero 11

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persone e cose che fanno la differenza

N.1 - VI Anno - P/E 2012

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È L’ORA DI CAMBIARE.

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OL Diamoci del tu

è l’ora di

CAMBIARE Parto da un monito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Sul lavoro occorre cambiare”. Per continuare con la Camusso che finalmente si rende conto che abbiamo urgente bisogno di investimenti e dunque diventa favorevole alla TAV. Di esempi di questo tipo ne abbiamo a centinaia. Perché da noi è sempre tutto difficile e complicato, quando basterebbe soltanto essere convinti del proprio sì o del proprio no? È dunque l’ora di cambiare e di far valere il talento italiano che ci fa grandi nel mondo, la capacità di fare cose mirabolanti in presenza di una struttura economica facilitante e non distruttiva. Guardiamo gli amici a stelle e strisce e leggiamo che sono tornati ad assumere personale nelle industrie e, pensate un po’, anche nella finanza e nelle assicurazioni. Le profezie dei disastri di questi settori si erano sprecate. Eppure tre anni dopo sono di nuovo pronti a crescere. Di recente sono stato a Miami e ho conosciuto Maurizio Pasi, fondatore dell’azienda di orologi “Brera”. Mentre mi raccontava la storia della sua azienda (la storia di uno dei tanti italiani che creano in Usa), mi ha snocciolato due date che mi hanno fatto riflettere, il 2005 e il 2009. Mi disse che nel 2005 iniziava la crisi negli Stati Uniti e ciò lo indusse a chiudere la sua precedente attività, nel settore dei trasporti. Questo evento lo portò a dedicarsi alla sua vera passione, gli orologi. Bene, pensiamo adesso a come stavamo noi nel 2005: benissimo! Scintillanti come al volante di una “supercar”, ignari dei problemi che avremmo potuto avere. Maurizio Pasi continua dicendomi che verso la fine del 2009, negli Stati Uniti, si iniziavano a vedere i segnali di una ripresa: l’Europa entrava in crisi proprio a fine 2008! Questo discorso per dirvi che con tre anni abbondanti di ritardo abbiamo subito la crisi e adesso inizieremo la ripresa. Questa dunque è l’opportunità dopo il problema. Reagire come hanno fatto in USA e cercare di riprendere “l’onda buona”, dopo aver fatto una bella cura dimagrante di costi e di debiti. Il famoso deleveraging! Maurizio e Andrea Pasi l’hanno capito bene, così come tanti altri imprenditori che hanno la sfortuna di avere un’azienda in Italia. Perché la sfortuna? Perché da noi vince spesso chi ha un intrallazzo politico per l’assegnazione del lavoro. Perché da noi è impossibile gestire il lavoro come fanno nei paesi anglosassoni. Perché da noi esiste una burocrazia che inchioda. Insomma: perché ci auto penalizziamo, sempre. Ogni cosa viene complicata fino al punto di non riuscire a farla. A questo aggiungo che il Governo Monti sembra fatto da persone che hanno dimenticato cosa voglia dire “spingere” l’economia e dare fiato agli investimenti. Tasse e terrorismo consumistico sono il percepito di questo governo.

Chiedete quante auto ha venduto in Italia la Ferrari nel mese di gennaio rispetto all’anno precedente. Non ve lo dico per discrezione, ma è da vergogna. Fortunatamente vendono in Usa ed in Cina! In un paese che assomiglia ad un pontile sul mare, chiedete a chi costruisce barche come sta andando il suo mercato. Se non vi insulta o si mette a piangere è un miracolo. Chiedete ad un’azienda straniera di aprire una fabbrica in Italia. Chiedete ad un camionista quanto ha speso per un pieno. Chiedete ad un russo se vuole ancora comprare una casa da sogno in Sardegna. La più bella l’ho sentita da un nostro cliente che vende voli privati: K-air. Da poco chi atterra in Italia con un aereo privato paga fino a 7.5 euro al kg se si ferma per più di 48 ore. Per un Piaggio P180 sarebbero 30.124 euro, mentre per un aereo medio sono almeno 100.000. Si paga una tantum all’anno. Questo costo viene applicato anche se un “pazzo” decide di portare il suo aereo in officine italiane per la manutenzione. Ergo, immaginate un po’ che pienone di aerei privati nelle officine italiane e in Sardegna quest’anno! Dopo aver fatto scappare le barche, adesso scappano anche gli aerei dei turisti. Insomma, il buon Monti si è dimenticato di quanto insegnava in Bocconi: “il consumatore non deve essere terrorizzato e tartassato, ma rassicurato e incentivato”. In tutto questo ribadisco ancora una volta “viva Marchionne!”, un esempio di razionalità economica e gestionale per le aziende e per il paese. Poche parole, tanti fatti e molte decisioni. Una cosa è certa: è giunta l’ora di cambiare. Di tornare ai sani principi dell’economia, con meno finanza e meno debito, per ridurre il potere distorsivo delle banche con tanta industria e commercio per creare valore. Uomini di valore e non buffoni strapagati nelle amministrazioni pubbliche, come nelle aziende private. Un vero back to basic, come hanno fatto in America per ripartire. Gli Usa e il Giappone devono essere il nostro esempio per la ripartenza, sperando che in Cina non scoppi la bolla, perché altrimenti saremo veramente spacciati. Buona rinascita

L’editore Alberto Vergani

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CONTENUTI Elio Fiorucci, l’uomo che ha puntato agli angeli La storia di un inventore di stili

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20Da Miami a Milano... in zona Brera Maurizio e Andrea Pasi ci raccontano il sogno italo-americano

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He is the Mann Intervista a Peter Mann, per scoprire il mondo Ferrari Corse Clienti. Da dentro

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Be happy Sorridere è super cool

Quando i sogni diventano realtà Intervista a Stefania Cavallaro, uno dei volti più belli del giornalismo italiano

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Caleidoscopio d’estate La travolgente spirale della moda

E se quella sera avessi riconosciuto Gabriele A tu per tu con la bella Martina Panagia

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Ricerca e innovazione per uscire dalla crisi Una nuova energia per il 2012

Perfection reborn N104, l’apribile reinventato da Nolan

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Il primo dei primi Alla scoperta del collezionismo intelligente con Corrado Lopresto

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Strips vs dots Pois o strisce per una moda che prende forma

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68 Il sarto di famiglia L’eleganza che viene dal passato porta la firma di RE.A.LE.

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Entusiasmo in un click Gianni Rizzotti e la passione per la fotografia

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Quando il Made in Italy si mette in mostra Un’emozionante esperienza al Museo della Besana di Milano

L’arte di Giores Un viaggio fotografico chiamato GIOrgio REStelli

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88 Fashion gulp Tante idee “fumettose” a portata di stile È arrivato il nuovo Samsung: sorridete Tutti al lancio del primo smartphone che si sblocca con un sorriso

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Wood mood Atmosfere country-chic con l’arredamento Minacciolo

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Store Deha: apertura in stile Hollywood Inaugurazione in grande stile per il nuovo monomarca Deha

Il giro del mondo in 80 giorni Per andare dappertutto senza dimenticare lo stile 0 0 1

Nel segno del giallo Il libro da avere sul comodino

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Stay with Armani Viaggio alla scoperta dell’hotel più glamour del quadrilatero della moda 4 0 1

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Friuli Venezia Giulia: vivi la tua prossima vacanza Alla scoperta dei mille volti del Friuli Venezia Giulia

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Capelli da diva I consigli della beauty blogger direttamente da www.deeplydiva.com

Ice Cream Passion Abiti e accessori per assaporare i colori dell’estate

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A Elio Fiorucci, l’uomo che ha puntato agli

ANGELI

Stilista, talent scout, imprenditore, comunicatore e testimone attivo della trasformazione culturale degli ultimi 40 anni, Elio Fiorucci è a tutti gli effetti un “iniziatore”

“Beginners” di Walt Whitman

Appaiono raramente sulla Terra, solo ad intervalli, E alla Terra sono cari, e al tempo stesso pericolosi. Si mettono a repentaglio, più di chiunque altro, E la gente risponde loro anche se non li capisce subito. C’è, ogni volta, nel loro fato, qualcosa di sovversivo. Mai conoscono l’oggetto della loro adulazione, né la loro ricompensa, E ogni volta lo stesso inesorabile prezzo deve essere pagato Per la stessa grande occasione.

“Gli Iniziatori” sono coloro i quali aprono un cammino, una pista, lanciano un pensiero, uno stile, danno inizio a un’epoca, a una nuova stagione, costituiscono una luce per gli altri, indicano una direzione. Sono rari i “Beginners”, appaiono a paesi e società stanche. Un ritratto di Elio Fiorucci.

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ngioletti. Cuoricini. Pin-up. Jeans attillati. Colori fluo. Nanetti. Le creazioni di Elio Fiorucci fanno ormai parte dell’immaginario collettivo e sono diventate delle vere e proprie icone di stile. Chi non ricorda lo storico negozio Fiorucci di San Babila, nel cuore di Milano? E chi può negare che si trattasse del primo concept store italiano? Sì, perché Elio Fiorucci è prima di tutto uno sperimentatore, un curioso inventore di stili capaci di inserirsi nella corsa dei tempi e di dare il via ad una nuova stagione. Lo scorso 10 febbraio il Circolo Filologico Milanese - la più antica associazione culturale del capoluogo lombardo - ha voluto premiare Elio Fiorucci istituendolo come “testimone della straordinaria creatività di Milano alla fine degli anni ‘60”. Durante la cerimonia Oliviero Toscani è intervenuto leggendo, la poesia “Beginners” di Walt Whitman e dedicandola ad Elio Fiorucci. “Un amante del nuovo non sa esattamente cosa sta facendo: è la curiosità verso l’ignoto a muoverlo” ci spiega Elio Fiorucci all’inizio della nostra intervista, descrivendo il suo primo viaggio a Londra e l’incontro con quella rivoluzione dei costumi che travolgeva i giovani negli anni ‘60 e da cui lui stesso rimase coinvolto. Fu la scoperta di “Biba”, storico negozio di Kensington, e la conoscenza della sua creatrice Barbara Hulanicki a confermare la straordinarietà della vita che si stava svolgendo a Londra, una città in cui la nuova generazione era in grado di prendersi non solo il suo spazio, ma interi quartieri. Biba non era un semplice negozio, ma un mondo creato per i giovani in cui prodotti artigianali e vestiti di grande moda si vendevano a prezzi bassissimi.

Un luogo di incontro, più che un semplice store, in cui dominavano musica e voglia di conoscersi e in cui l’unico rischio poteva essere imbattersi in Brigitte Bardot o nei Beatles. “L’incontro con il nuovo è come una magia - prosegue Elio Fiorucci - e al suo interno sembra che l’uomo viva due volte. Il nuovo non si scopre, si riscopre, si riconosce in una sorta di impressione di familiarità”. Questo tipo di impressione divenne la cartina al tornasole che lo convinse a lanciarsi in un’impresa tutta sua. Un’attività che, pur non rompendo totalmente con la tradizione della sua famiglia, potesse rivelarsi rivoluzionaria nel trasportare un po’ del mondo londinese a Milano. E così nacque il Fiorucci Store, uno spazio colorato e innovativo, nel cuore della capitale della moda, accanto a negozi classici e dai nomi altisonanti. Uno spazio che chiunque continua, dopo anni, a rimpiangere. Non erano infatti né l’arredamento, né la posizione, né tantomeno i vestiti che venivano venduti a fare di quel negozio un luogo indimenticabile: si trattava dell’atmosfera. Una sorta di microclima allegro e salutare, anzi terapeutico, come il suo creatore preferisce definirlo. Un luogo in cui si respiravano novità e voglia di stare insieme, e in cui il conoscersi e il comunicare all’insegna dello stile si adattavano perfettamente allo spirito dei tempi. E poi il successo. Fiorucci diventa un marchio con una produzione industriale propria ed una distribuzione a livello mondiale. Gli angioletti diventano il simbolo di un life-style tutto incentrato sulla libertà di espressione, vero must del brand. Nel 1975 viene aperto uno Store a Londra (King’s Road) e nel 1976 a New York (59th Street).

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A sinistra, i nanetti di Love Therapy, simbolo del nuovo marchio Fiorucci. Sopra, uno storico poster pubblicitario Fiorucci del 1975.

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Un altro storico poster pubblicitario Fiorucci del 1976.

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Sopra, partendo dall’alto: Elio Fiorucci e Andy Warhol; Jean-Michel Basquiat; Keith Haring dipinge l’interno del negozio Fiorucci a Milano, la pagina di un magazine del 1984 ne riporta l’articolo.

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ELIO FIORUCCI, L’UOMO CHE HA PUNTATO AGLI ANGELI

Il periodo di New York sancisce Elio Fiorucci come membro di quel fervore culturale che influenzò negli anni a seguire tutto il resto del mondo. Dalla Factory di Andy Warhol, che scelse la vetrina del suo negozio per il lancio del suo giornale “Interview”, alla collaborazione con Basquiat, di cui produsse un film, alla conoscenza di una giovane ragazza dalle mille speranze - che qualche anno più tardi sarebbe diventata Madonna all’inaugurazione del celebre Studio 54. Un periodo intenso e all’insegna della creatività, che inserisce Elio Fiorucci nella storia di un’epoca accattivante, ma che rischia forse di sminuirne la personalità, in favore della contemplazione di un preciso contesto. Perché, come precisa Elio Fiorucci, “sono sempre le scelte dei singoli a determinarne il contesto, e le scelte migliori sono quelle che vengono compiute con lo spirito giusto, uno spirito privo di ira o di rabbia, che a sua volta rimanda al modo in cui le persone vorrebbero vivere”. Così, continuando con la nostra intervista, ci ritroviamo a scoprire un Signor Elio Fiorucci lontano dall’idea che abbiamo di celebrità, come se tutte le qualità siano prerogativa delle persone che hanno vissuto i periodi migliori. Un Elio Fiorucci che ci parla della felicità come di qualcosa di lontano dal successo, poiché vicina all’agire e al sentirsi giusti e che confessa, un po’ imbarazzato, di voler tornare indietro nel tempo per cancellare tutti gli errori commessi nel passato. Ma è proprio mentre lui ci rivela di essersi pentito moltissime volte e di aver compiuto tantissimi sbagli, che noi capiamo che cos’è che lo ha reso un personaggio così significativo: il suo modo di raccontare, o meglio di divagare. È dal modo in cui perde il filo del discorso per soffermarsi su un aneddoto divertente e da come magicamente questo filo ritorni pieno di spessore a concludere un ragionamento che ci sembrava perso, che comprendiamo la grandezza di un personaggio come Elio Fiorucci. Così, convincendoci che soltanto l’esperienza possa essere portatrice di insegnamenti, ci abbandoniamo al piacere dell’ascolto e ci sentiamo quasi partecipi della narrazione. Siamo a Manhattan tra la Settima e l’Ottava Avenue ed è il 1977. La strada è bloccata, le limousine si accalcano e davanti a noi migliaia di persone vestite in modo meraviglioso fanno una fila di cui a malapena si riesce a vedere l’inizio. È l’inaugurazione dello Studio 54 ed Elio Fiorucci, uno dei suoi sponsor, è appena atterrato a New York per l’occasione. L’atmosfera deve essere carica di emozioni e le guardie all’ingresso devono essere molto confuse, Sopra, l’invito originale per l’evento con Keith Haring.

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andrebbero forse licenziate per non aver riconosciuto il nostro personaggio. Ma Elio Fiorucci preferisce far finta di niente e seguendo quel motto orientale che invita a cogliere il lato buono delle situazioni, preferisce non allarmarsi ed agire di conseguenza. “In un attimo di lucidità - dice - mi sono detto che non avevo voglia di rimanere bloccato ad un tavolo a bere champagne tutta la sera. Come se l’errore delle guardie fosse un segno da seguire, mi sono seduto sul marciapiede e sono rimasto tutta la notte a vedere cosa succedeva la sera dell’inaugurazione dello Studio 54, fuori dallo Studio 54”. Noi, purtroppo, non eravamo lì davvero e possiamo soltanto immaginare come sia stato il debutto di quello che, in pochissimo tempo, sarebbe diventato il locale più esclusivo di New York. Tuttavia, ascoltando il Signor Elio Fiorucci raccontare questa storia, non possiamo che convincerci di come quella notte ciò che accadde sul marciapiede della 54esima Strada sia stato altrettanto spettacolare. E questo per quell’ultima frase, detta a mezza voce, sorridendo, pronunciata quasi soltanto per ricordare quanto possa essere strana e meravigliosa la vita: “Sono stato rifiutato dallo Studio 54 la sera dell’inaugurazione che io stesso avevo sponsorizzato”. Ma la vita di un personaggio come Elio Fiorucci è piena di questi aneddoti eccezionali, molti dei quali confermati o ricordati da altri luminari dello stile. È il caso di Calvin Klein che cita Elio Fiorucci sotto la voce “inventore del fashion jeans”. Fu, conferma Elio In alto, il negozio “Love Therapy” di corso Europa a Milano. Sopra, lo storico negozio Fiorucci. Il colore e l’allegria dominano sia l’interno che la vetrina.

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Sopra, l’interno del negozio “Love Therapy” di corso Europa a Milano. L’atmosfera è colorata come sempre.

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Storico poster pubblicitario Fiorucci.

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ELIO FIORUCCI, L’UOMO CHE HA PUNTATO AGLI ANGELI Fiorucci, grazie ad una collaborazione con Mario Morelli - allora modellista di Valentino - che il denim jeans venne ammorbidito e trasformato in qualcosa di più che un semplice abito da lavoro. “Mario Morelli aveva spostato il cavallo 2 cm più in alto rispetto al modello originale - spiega Elio Fiorucci - così le ragazze per allacciarsi questi nuovi jeans dovevano sdraiarsi a terra”. Un indumento tutto al femminile, insomma, che risaltava i fianchi e le forme delle donne e il cui successo non si estinse mai. Un capo che venne realizzato in tutti i colori e nei più diversi tessuti e che venne acclamato soprattutto in quella terra che ne aveva ispirato la creazione. Elio Fiorucci, con il fashion jeans, riuscì a vendere l’America agli americani. Ma non si limitò a questo. Per gli stilisti americani Fiorucci fu una vera e propria musa ispiratrice. Come per Marc Jacobs, che si ricorda 14enne a convincere la nonna ad accompagnarlo allo Store sulla 59esima. Questo perché i negozi Fiorucci convogliavano le personalità artistiche più in voga di quel tempo. Dai commessi, tutti giovani artisti, a Keith Haring che dipinse gli interni dello Store di Milano: il senso dei Fiorucci Store era comunicare la libertà di espressione e tentare di mostrare soltanto bellezza. È ovvio che la fortuna e la grandezza di un personaggio come Elio Fiorucci non possano essere dissociate dal tipo di periodo storico-culturale che il mondo stava attraversando durante gli anni della sua ascesa - periodo che, del resto, lui stesso ha contribuito ad influenzare. Tuttavia, per evitare di rimanere statici a sognare e invidiare i meravigliosi anni ‘70, le nostre riflessioni si volgono al presente, nell’intento di comprendere se le innovazioni di stile siano una particolarità di certi tempi o se, al contrario, siano appannaggio di personaggi particolari. Il Signor Elio Fiorucci ci rincuora. “Sono convinto - afferma - che ci sia sempre la possibilità di fare qualcosa di nuovo. C’è un momento in cui l’importante è conoscere le cose e un momento in cui diventa fondamentale realizzarle”. Ed aggiunge: “Se il mio negozio nascesse oggi sarebbe improntato alla tecnologia, ma non rinuncerebbe a quella caratteristica imprescindibile, motore della mia attività, che è la voglia delle persone di stare insieme: una voglia sempre attuale”. Il trucco per riuscire in tutto è quello che Elio Fiorucci ama presentare come il suo motto: “Fine della paura, inizio dell’amore”. di Salvatore De Martino In alto, un altro storico poster pubblicitario Fiorucci. Sopra, Elio Fiorucci e i suoi mitici angioletti in una foto del 1999.

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da Miami a Milano... in zona

BRERA

Intervista esclusiva ai creatori del nuovo brand di orologi “Brera”

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all’orologio nel taschino all’orologio sul polsino, questo accessorio ha segnato mode e modi in tutto il mondo. Oggi, due fratelli italiani, Maurizio e Andrea Pasi, stanno segnando una nuova tappa dell’orologeria con il nuovo brand Brera. Una collezione di orologi dallo stile italiano che ha già conquistato l’America, il Sud America e il Giappone, e che ora finalmente arriva in Italia. Maurizio e Andrea sono due persone solari, simpatiche ed intelligenti. La loro storia è fatta in due luoghi e due continenti diversi. Maurizio a Miami da 15 anni e Andrea da sempre in Italia. La competenza e la passione degli orologi hanno fatto scoccare la scintilla dell’idea Brera. Com’è nato il brand? Andrea ed io siamo da sempre appassionati di orologi e per anni abbiamo lavorato con i gioiellieri occupandoci del trasporto valori. La nostra passione per gli orologi e gli accessori in particolare è sempre rimasta nel cuore, mentre ci occupavamo di altro. In particolare, io, Maurizio, mi sono trasferito negli Stati Uniti, dove, per alcuni anni, mi sono occupato della distribuzione sul mercato americano di tre famosi brand di orologi italiani. Una volta acquisito il know how necessario abbiamo capito che era giunto il momento di dare sfogo alla nostra passione e lanciare il nostro brand.

Il primo studio era una collezione di 17 modelli che portava il nostro nome: “Orologi Pasi”. Ogni modello era diverso dall’altro e c’era una forte ricerca sull’originalità, perché volevamo qualcosa che non si fosse mai visto sul mercato. Per alcuni tempi la collezione è rimasta chiusa nel cassetto, poi, a fine 2008 si è presentata la possibilità di presentarla a un grande department store americano: Neiman Marcus. Era un test e fortunatamente è stato un boom. Un risultato inaspettato? Sapevamo di avere un buon prodotto, ma non ci saremmo mai aspettati un tale successo di vendite. Dopo 5 mesi eravamo il loro accessorio uomo più venduto e ancora oggi da loro siamo il 70% degli orologi più venduti nella fascia di prezzo tra i 500 e gli 800 $. Da “Orologi Pasi” a “Brera”, come avete scelto il nome definitivo? Anche se abbiamo iniziato a commercializzare in America, abbiamo voluto un nome italiano e “Brera” ci è piaciuto perché evoca immediatamente l’arte, si associa a Milano, alla moda e poi è un nome breve, facile da ricordare e da pronunciare anche in tante lingue diverse. A livello di marketing, per il settore orologi, all’estero i nomi brevi e italiani funzionano sempre molto bene. Last but not least, è anche un discorso sentimentale: di fatto questi orologi sono nati nei nostri uffici in Brera. Qual è l’ispirazione stilistica alla base degli orologi Brera? Innanzitutto parliamo di orologi per uomo e donna frutto del lavoro di designer italiani. Sono tutti modelli oversize di ispirazione militare, con casse molto grandi in acciaio spazzolato. Evolvendosi la collezione ha acquisito anche un carattere molto sportivo, ma sempre sovradimensionato. Inoltre, a parte il “supersportivo” e lo “scuba” tutti i modelli hanno il cinturino intercambiabile, così è facile cambiare spesso il look del proprio orologio. Abbiamo clienti che comprano tutti i cinturini a disposizione così basta scambiare le casse per avere ogni volta un orologio diverso. A livello di tecnologia, alla base di ogni modello, vi è un meccanismo Citizen Miyota che garantisce ottime prestazioni, ma con un costo accessibile. Tutta la componentistica viene realizzata su nostro disegno e in base alle nostre necessità, in modo che ogni dettaglio sia estremamente curato. Vogliamo che l’acquirente percepisca tutta la nostra passione e il nostro impegno e, soprattutto, non vogliamo trasformarci in qualcosa di già visto. Anche per questo tutte le nostre collezioni, pur essendo moderne, non sono mai ispirate alle tendenze del momento, vanno al di là del tempo e delle mode e sono adatte ad ogni occasione. Qual è l’unicità dei vostri orologi? Si tratta di un prodotto con un ottimo rapporto

In alto, un ritratto di Maurizio Pasi. A destra, “supersportivo” con cassa 48 mm in acciaio spazzolato e cinturino in gomma vulcanizzata.

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DA MIAMI A MILANO… IN ZONA BRERA A sinistra, Eterno Chrono Tonal edizione limitata del modello Eterno Chrono. Sotto, Eterno Chrono segnatempo classico interpretato in modo audace.

qualità-prezzo, ma il percepito è molto alto, praticamente quadruplicato. È un orologio innovativo, bello da esibire che entra nella logica del lusso accessibile, caratteristica non trascurabile in un periodo come questo. Secondo voi, oggi, un orologio cosa rappresenta davvero? Ormai ci sono tanti strumenti sempre a disposizione per conoscere l’ora, oggi l’orologio è diventato un accessorio fashion, un modo per esprimere uno status sociale, appartenenza, un mix di tutte queste cose. Partire dai department store vi ha aiutato a farvi conoscere e ad aumentare la distribuzione? Assolutamente sì, questo tipo di distribuzione innovativa è stata la nostra carta vincente. Essere da Neiman Marcus e Barneys significa aver già superato una selezione rigidissima e questo ci ha dato da subito credibilità portandoci contatti globali straordinari, tanto che in realtà non abbiamo dei venditori. Oggi siamo anche in Canada, Guatemala, Costa Rica, El Salvador, Messico, Caraibi, Asia e Giappone. Qui, in un solo anno, abbiamo fatto un passo importante nel mercato ed è stato un altro successo inaspettato. I giapponesi hanno una corporatura molto piccola e i nostri orologi sono sovradimensionati, temevano che non li avrebbero mai indossati ed eravamo pronti a produrre una collezione ad hoc solo per loro, invece stiamo andando benissimo. Pensa che abbiamo lanciato un nuovo modello con quadrante

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camouflage e in attesa dell’arrivo dell’orologio, un rivenditore ha esposto in vetrina un semplice cartello… ne ha venduti più di 70 in prevendita! È una grande soddisfazione, perché non sempre un brand funziona in tutti gli stati. Il vostro punto di vista ottimista sulla crisi. Direi che l’abbiamo dimostrato con i fatti. Entusiasmo, azzardo e motivazione! D’altronde ci siamo lanciati sul mercato in un periodo economico disastrato. Dopo aver conquistato l’America ora stiamo arrivando anche in Italia e in Europa in genere, dove la crisi si

sente ancora moltissimo e il mercato degli orologi è molto più difficile. Il nostro sogno nel cassetto è penetrare nei mercati principali e un domani produrre anche un’intera collezione di accessori: occhiali, pelletteria, gioielleria da uomo in materiali alternativi. Se non è ottimismo questo! Come vi state affacciando sul mercato italiano? Mentre in America il mercato è più diretto, in Italia serve un approccio individuale ai singoli punti vendita, per questo ci siamo affidati alla società MV Jewels di Marco Valente che ci permette di avere buona copertura distributiva pur mantenendo un rapporto diretto con

Sopra, Andrea Pasi con la splendida Madalina Diana Ghenea.

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DA MIAMI A MILANO… IN ZONA BRERA i gioiellieri. Inoltre, basandoci sulla nostra esperienza in USA, abbiamo deciso di essere presenti anche all’Excelsior, il nuovo grande department store milanese e in boutique fashion di fascia medio alta. In Italia arriveranno gli stessi modelli che vendete in America? Per ora iniziamo solo con la collezione maschile e poi piano piano porteremo anche i modelli femminili. Entro l’estate sarà attiva la vendita online anche per il mercato italiano e lì saranno disponibili tutti gli orologi. A livello di collezione quali sono i vostri progetti per il futuro? Ci piacerebbe realizzare un automatico, ma più per prestigio personale che per attaccare una vera fetta di mercato. Sicuramente porteremo avanti collaborazioni con designer famosi o emergenti. In America abbiamo già intrapreso questa strada con Carlos Campos ed abbiamo avuto un successo straordinario. Ora invece stiamo studiando una collezione con Stephen Gamson che ha uno stile colorato e diretto che si sposa molto bene con la nostra filosofia. Nel vostro percorso avete seguito un modello di imprenditore? In realtà assolutamente no! Quello a cui puntiamo sempre è mettere a proprio agio chi lavora con noi, nei nostri uffici si respira sempre un’aria motivata e questo sprigiona energia positiva. Oltre a voi due c’è un’altra persona importante all’interno della società, esatto? Sì, è mia moglie Tina (di Maurizio, ndr). Lei ha avuto un’esperienza come buyer di Prada per gli accessori negli Stati Uniti e questo le ha insegnato molto, poi ha lavorato anche per Pasquale Bruni. Quando lei è entrata nella società, il fatturato è passato da 12 a 40 milioni grazie al suo know how. E soprattutto sa essere sia analitica che fashion. È sempre un passo avanti. Le dobbiamo davvero tanto. Fino ad ora qual è stata la soddisfazione più grande? Vedere clienti che hanno collezioni di orologi importanti, ma che sono entusiasti del nostro prodotto e tornano ad acquistarli per avere tutti i modelli. Questo è quello che volevamo davvero. Sappiamo che avete anche molti fan davvero famosi, quasi leggendari direi! Grazie al suo personal shopper, Elton John lo ha acquistato a Las Vegas, poi ci sono Ryan Seacrest e Lamar Odom il famoso giocatore dei Los Angeles Lakers. Lamar ha indossato un Brera persino durante il suo matrimonio con Khloe Kardashian. Oprah Winfrey l’ha indossato per l’ultimo episodio in Australia del suo show. Grazie al suo security manager abbiamo fatto avere un orologio Brera anche a Lady Gaga. E poi Britney Spears, Marty Ramone, Peter Gabriel, le

attrici Kate Walsh e Leven Rambin. In Italia abbiamo intercettato Eric Singer, il batterista dei Kiss proprio mentre ne stava acquistando uno e così glielo abbiamo fatto avere personalizzato. Senza dimenticare il quarterback dei San Francisco 49ers che lo ha regalato a tutta la defensive line della squadra. E ancora David Croid e i campioni mondiali di motociclismo Carlos Checa e Casey Stoner. Avete qualche supporter anche in Italia? Vieri è un nostro fan fin dagli inizi, ma anche Maldini. Ora ne abbiamo in consegna ben cinque per Di Canio e uno personalizzato per Ibrahimovic. Proprio in questi giorni abbiamo avuto l’occasione di omaggiare con un “Brera” anche la splendida Madalina Diana Ghenea. Oltre al business vogliamo farvi anche qualche domanda curiosa. Per voi è sempre l’ora di? Cambiare, cambiare, cambiare... orologio (ovviamente scherziamo!). Quanti orologi avete a testa? Risposta all’unisono: tutti quelli della collezione! (in realtà, durante l’intervista Andrea ne indossa ben due, e uno è della concorrenza!) Amate Facebook, Twitter? Assolutamente no! Tina mi ha aperto un profilo Facebook, ma non lo guardo mai. Per me (Andrea, ndr) sono una distorsione della realtà. Nel campo della comunicazione, però, sono importantissimi e anche per Brera sono uno strumento da non trascurare. Consigliate ai nostri lettori quale modello Brera indossare nelle seguenti occasioni. Party: Supersportivo nero. Business: Classico. Cerimonia: Eterno SoloTempo. L’ultima domanda. Siete puntuali? Mai, ritardatari cronici! di Isabella Panzini

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MANN

È l’uomo che cercavamo e volevamo conoscere: uno degli eletti del “circolo” Ferrari Corse Clienti. Un personaggio divorato dalla passione: Peter Mann

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edi una Rossa e le domande sono due: “Quanto fa?”e “Chissà di chi è?”. Quando però la Rossa esce dal “garage” del reparto Ferrari Corse Clienti, allora la domanda è solo una: la seconda. Perché te lo chiedi sistematico, fisso, immediatamente, chi sarà quel fortunato possessore di una F1 da GP piuttosto che di una FXX o una 599XX. Tutte quelle Ferrari, insomma, che vanno al di là della “comune produzione” e sono frutto di quelle menti geniali e zuppe di passione che sono le anime che muovono Ferrari Corse Clienti, appunto. E allora bisogna togliersela la curiosità. Come? Pescando dal mazzo di quei super clienti della Casa di Maranello e andandolo a conoscere, un personaggio del genere. Per capire che faccia abbia, che lingua parli, cosa sogni e cosa possa provare a essere uno di quel “giro lì”. Che ce n’è una manciata selezionata nel mondo, non di più. La sorte vuole che dal mazzo esca un Jolly di quelli che una volta conosciuto ti cambia la partita o la giornata, Peter Mann: anni 55, di origini anglo-americane, una moglie e cinque figli. Un uomo di successo dominato da una passione, dalla passione per la Rossa, ovvio. Non le auto, i motori in genere: la Rossa. Che tratta con rispetto, che apprezza nel profondo: la storia, le radici,, i dettagli. g Un uomo che non capisce p “come si

possano spendere 100.000 euro per una Mercedes! Non capisco perché la gente lo faccia. Io amo solo le Ferrari. Amo il mito, la passione… Amo tutto della Ferrari”. Roba da guardarlo negli occhi e stringergli la mano: perché in un mondo dove lo sport preferito dalla massa è quello di incollarsi etichette sul petto, Peter Mann è un uomo vero che vive alimentato dalla passione: sia che guidi una Ferrari, sia che si occupi di una delle sue attività. Un uomo che in Ferrari Corse Clienti ha trovato “finalmente il posto dove si vive la passione e il mito”. Ricordi la prima volta che hai avuto contatto con il marchio Ferrari? In realtà no, perché ero troppo piccolo. Mio nonno, sotto lo pseudonimo di ”Héldé” è stato uno dei primi piloti privati a correre su una Ferrari, da cliente, nel ‘49, alla 24 Ore di Le Mans. Giusto per capirsi, mia mamma mi ha sempre detto che la mia prima parola detta è stata “car”. E che ero un bambino terribile, che gridava sempre e l’unico posto dove non gridavo all’età di 6 mesi era quando mi mettevano a sedere nella Ferrari da gara di mio nonno. Lì potevo starci delle ore. E la prima volta che hai guidato una Ferrari? Avevo 13 anni. La sorella di mio nonno aveva una Ferrari 330 GTC e io la usavo nella sua proprietà. Poi è arrivata la patente e lei aveva un 365 GTC/4, con quella vettura ho fatto tanti chilometri! Poi le corse… Da giovane avevo il sogno di diventare pilota, di diventare Campione del Mondo, ma solo al volante di una Ferrari, non di altre macchine. A causa del fatto che mio nonno aveva fatto gare in un’epoca pericolosissima, tutta la mia famiglia era stata contraria. Però sono stato tanto fortunato da poter avere delle Ferrari. E a partire dalla prima che ho acquistato sono sempre andato in pista. Ci andavo in autonomia. Ho corso nelle gare “Club” - negli Anni ‘80 - poi ho corso un po’ in F3 per imparare a guidare una monoposto e infine è arrivato il momento di conoscere Ferrari Corse Clienti.

A sinistra, Peter Mann, classe 1956, è uno dei pochi eletti a partecipare alle attività di Ferrari Corse Clienti. Eccolo a bordo della sua Ferrari F1 del 2008, Campione del Mondo per la classifica Costruttori. Sopra, il nonno “Héldé” alla 24 Ore di Le Mans del ‘49.

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Quante Ferrari hai? Se l’Alfa Romeo 8C venisse considerata una Ferrari, sono 11! Una 330 GTS del 1968, una Daytona, una F40, una “Challenge Stradale”, una 599 GTO (del colore della 599XX), una 599XX, una 360 GTC (che è l’ultimo sviluppo della prima GT che ha vinto il Campionato del Mondo), una 333 SP (l’ultimo telaio), una F1 del 2008, una FF e - come dicevo - una Alfa Romeo 8C. Ce ne è una che ami in particolare? No, però posso dire che l’F40 è l’unica che mi fa ancora paura. Per tutti i giorni, invece, cosa usi? La FF, con la quale ho percorso quasi 11.000 km da settembre, quando mi hanno consegnato la macchina, a oggi. È un’auto incredibile: grintosa quando vuoi andare forte, ma comodissima allo stesso tempo. È un modello che non ha concorrenza: è un’auto a “6 stelle”. È incredibile come sulla neve nessuno ti possa seguire. Il tutto con una sicurezza massima. E poi ha una linea molto bella. Anzi, di più! C’è una cosa che non deve mai mancare sulle tue Ferrari? Sulle macchine da corsa cerco sempre di avere un numero particolare, il 27. Quello di Gilles (Villeneuve, n.d.r.), della Ferrari e di Ayrton (Senna, n.d.r.). Ma per me è soprattutto il numero di Gilles. È un numero che rappresenta il mito della Ferrari. Ho il 27 sulla 599XX, sulla 333 SP e sulla GTC. Sulla F1 non posso metterlo perché deve rimanere il numero che originariamente aveva la vettura, ma i meccanici hanno applicato un piccolo 27 sul musetto di fianco al numero 1. Poi è arrivato “Ferrari Corse Clienti”… La 599XX è stata presentata al Salone di Ginevra, nel 2009. Dopo qualche tempo ho provato la macchina. E da quel momento sono entrato in un mondo unico. Ferrari Corse Clienti, per quelli che non hanno avuto il privilegio di parteciparvi, è tutta la storia non solo della Ferrari ma dello sport automobilistico al più alto livello. Da Antonello Coletta (direttore di Ferrari Corse Clienti) per arrivare all’ultimo meccanico, sono tutti appassionati. Fare questo lavoro senza la passione per quello che si fa, è impossibile. Sono tutti ex F1. In questa divisione ci sono personaggi che hanno storie incredibili da raccontare. Persone che hanno conosciuto Mansell, Prost, Arnoux, Michael, Barrichello, Irvine… Che hanno fatto tutto, che hanno visto tutto… Che ti raccontano delle storie che fanno venire la pelle d’oca ancora oggi. Quello che è veramente eccezionale è che a un certo punto tu sali su una macchina, con un capo meccanico che ti guarda negli occhi… e questo è la fine del mondo. Non c’è niente di più o di paragonabile. Gli altri ci hanno provato: Mercedes, Lotus… Ma non ci

riusciranno mai. Perché non bastano le auto e l’assistenza tecnica. Per regalare la magia che si prova qui serve quel mondo unico offerto dalla storia della Ferrari. Un mondo che nessuno può uguagliare. Cosa ti ha impressionato di più della F1? Il comfort. È incredibile quanto sia “comoda”. E poi la difficoltà nel comprenderla. È soprattutto un discorso di testa. Tu non puoi avere un altro pensiero che non sia guidare, quando sei al volante di una F1. E devi fare tutto in un decimo di secondo. Se pensi a qualcos’altro… sei fuori! E una volta che sai questo e vedi che i piloti “giocano” con i comandi sul volante, il rispetto per questi uomini è massimo. Inoltre c’è una cosa molto difficile: capire la velocità con cui affrontare le curve veloci. Per noi “gentleman driver” capire che bisogna andare molto di più, è una cosa difficilissima! Come si svolge un weekend di Corse Clienti? Dipende da dove ci troviamo: siamo stati in America, in Europa, in Asia… Solitamente arriviamo la sera prima: troviamo tutto prenotato da Alessandra Todeschini e dal suo staff. Fanno un lavoro incredibile: non capisco come loro possano ogni volta organizzare tutto alla perfezione. Il giorno dopo ci si trova in pista. Ormai, dopo due anni di attività con la 599XX, ci conosciamo bene e ci si ritrova sempre con estrema gioia con meccanici, ingegneri e tutto lo staff. C’è competizione tra voi piloti? Ufficialmente devo dire no. In realtà… naturalmente! Queste vetture sono dotate di una telemetria molto sofisticata che ti indica il tempo sul giro e molto altro, così a fine giornata possiamo chiaramente avere una classifica che indica i migliori tempi. Hai notato dei miglioramenti nella tua guida? Incredibili! L’anno scorso solo in un raduno non sono stato il più veloce, quindi posso ritenermi soddisfatto. Quali sono i colori della tua 599XX e perché li hai scelti? La mia 599XX è di color Blue Tour de France, con una striscia bianca davanti. All’inzio avevo pensato al rosso, perché una Ferrari deve essere rossa. Poi mi sono detto “tutti hanno una Ferrari rossa”. Quindi in omaggio alle origini francesi della mia famiglia ho trovato questo colore chic, sportivo e ben abbinabile al bianco. Quindi l’ho scelto. Se dovessi aggiungere una Ferrari alla tua collezione, quale sceglieresti? Un’auto da sogno? La Ferrari 250 Passo Corto Alluminio. Per me è un’auto di una bellezza intramontabile. Hai una pista preferita? Tre. Spa-Francorchamps: ho avuto l’opportunità di girare con la F1 su questo circuito. Ogni curva ha una storia legata alla massima formula. Il Mugello: è in Toscana, è la pista della Ferrari e poi è difficile e

Il gentleman driver di origini anglo-americane in un paio di momenti di svago: sopra, con Antonello Coletta (responsabile di Ferrari Corse Clienti) e sotto, con Luca Cordero di Montezemolo (Presidente Ferrari).

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La 599XX Blue Tour de France.

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tecnica. La terza è Monza: non è difficilissima, però sintetizza tutta la storia della F1. Qual è il periodo storico che più identifica il mito Ferrari? Ci sono vari periodi: quello di Ascari, quando è nato il Mondiale di F1; quello di Mauro Forghieri; e poi il periodo di Lauda e Regazzoni, quando arrivò il Presidente Montezemolo. A seguire anche Villeneuve e Scheckter. E poi ci sono gare memorabili, come quella a Digione nel 1979, quando Villeneuve e Arnoux lottarono per il secondo posto fianco a fianco, sorpassandosi infinite volte. Fu una cosa incredibile. Poi c’è stata l’epoca di Michael, un periodo favoloso per noi che abbiamo atteso quasi vent’anni per vincere. Ma la F1, come il mondo moderno, ha perso un po’ della sua leggenda e del suo mito: come tutto, nel mondo di oggi. Per cui il periodo più interessante per me sono gli anni Sessanta e Settanta. Qual è la cosa più curiosa che ti è capitata in relazione alla Ferrari? È successa diverso tempo fa. Mia madre decide di portarmi con mia sorella per la prima volta negli Stati Uniti. Era estate. Mi ricordo che il volo era un Londra - New York della Pan American. In aereo vedo

un uomo seduto tre file dietro. Vado da mia madre e le dico: “Su questo volo c’è l’Ingegner Forghieri. Dici che posso andare a parlare con lui?”. Mia madre mi risponde: “Ma chi è questo Forghieri”. E io: “Non ti preoccupare, vado!”. Non sapevo parlare una parola di italiano, eppure siamo rimasti a discutere per un’ora. Era rimasto senza parole, perché si stupiva del fatto che un inglese fosse così appassionato di Ferrari. Mi diede un adesivo, mi fece vedere dei disegni… Al 25esimo anniversario del Club Ferrari France è venuto come ospite proprio Mauro Forghieri. Io mi dirigo verso di lui e gli dico “Mi scusi Ingegnere, ma voi vi ricordate di un ragazzo di 15 anni…”. E lui mi risponde: “Su un volo tra Londra e New York?”. Ed io: “Ingegnere, esatto: ero io”. Ancora oggi siamo sempre in contatto. Lui è veramente un uomo che ha fatto la storia della Ferrari. Ferrari Corse Clienti coinvolge i clienti nello sviluppo delle vetture del futuro. Come avviene tutto questo? Quando siamo passati dalla 599XX all’evoluzione successiva, gli uomini Ferrari hanno chiesto a me e ad altri partecipanti a Ferrari Corse Clienti una lista delle cose che avremmo voluto migliorare nella macchina. E noi l’abbiamo fatta. Sono contentissimo di vedere che nella

Sotto, la Ferrari 333 SP. A destra, la F2008, monoposto di F1 che ha partecipato al Campionato del Mondo 2008, vincendo la classifica Costruttori.

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nuova versione realizzata quasi tutti gli aspetti evidenziati, alcuni dei quali anche molto complicati perché relativi all’elettronica, siano stati presi in considerazione dagli ingegneri. Quindi c’è veramente una partnership tra cliente e Ferrari. E la soddisfazione è vedere questa collaborazione realizzata in un prodotto. Cosa può volere ancora un cliente come te dalla Ferrari? Vorrei rimanere abbastanza giovane per poter salire in macchina. E che questo mondo viva e continui a vivere come una famiglia. Anche nel mondo dei concessionari, è diventato tutto molto moderno. Ci sono pochi che hanno ancora passione per quel che fanno. Io per esempio abito in Svizzera: il concessionario al quale mi rivolgo, vive per la passione per la Ferrari. È successo di avere un problema una domenica sera e lui lo ha risolto immediatamente. Come ti vedi tra dieci anni? Ancora su una Ferrari. E speriamo che tra 10 anni ci siano ancora auto interessanti! Soprattutto mi piacerebbe essere al volante della mia F1 e della 333 SP che per me è interessantissima. Nessuno ne parla tanto, ma è l’ultimo prototipo fatto dalla Ferrari. È l’ultimo prototipo accettato da Ferrari Corse Clienti ed è la macchina da

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gara che ha vinto di più. Inoltre monta un 12 cilindri con un rumore da sognare. Nell’ultimo anno ho fatto 3.000 km con questa vettura. Nei primi sei mesi ho fatto 650 km con la F1 e 5.000 km in due anni con la Ferrari 599XX. Dunque sono veramente un matto. Cosa ti piace di Ferrari Corse Clienti? Oggi viviamo in un mondo dove la passione non esiste più. Il mito della Ferrari è stato fatto per la passione di un uomo e di tanti altri. È difficile dire chi sia stato Enzo Ferrari. Credo sia stato un uomo che aveva solo un’idea in testa: vincere. Ha saputo gestire gli uomini di cui si è circondato. È riuscito a far uscire da tutti i suoi collaboratori le migliori qualità. E credo che il Presidente Montezemolo abbia questa stessa qualità. Viviamo in un mondo moderno, industrializzato, meno artigianale. Ma Ferrari Corse Clienti ha ancora un profumo diverso, il profumo della passione. di Yanek Sterzel

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quando i sogni diventano

REALTÀ

Stefania Cavallaro, uno dei volti più belli del giornalismo italiano, si racconta…

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i questi tempi dove i giovani vengono presi di mira dai politici italiani perché considerati a prescindere dei buoni a nulla, c’è, aggiungiamo per fortuna, ancora qualcuno che dà il buon esempio. Siamo lieti di raccontare la storia di Stefania Cavallaro, uno dei volti più popolari di Mediaset, che a partire dalle sue aspirazioni da bambina è riuscita, grazie alla sua tenacia e determinazione, a diventare una professionista affermata nel mondo giornalistico della televisione. Il proverbio dice che la fortuna aiuta gli audaci ma Stefania si appresta subito a correggerci sostenendo che la vera fortuna consiste nella possibilità di inseguire le proprie passioni. La nostra chiacchierata non poteva iniziare meglio… Giornalista per passione o per caso? Per passione… Quand’ero piccola passavo davanti alla torre di Cologno Monzese, il simbolo di Mediaset, e mi chiedevo se un giorno avrei lavorato lì... E in casa mi prendevano in giro! Mio padre è un ex professore universitario di chimica, mia madre è casalinga, ho un fratello medico, una sorella avvocato, e un altro fratello che si occupa di gestione in una multinazionale. Io con la mia fissa giornalistica ero una voce fuori dal coro. Come è arrivata a Studio Aperto? Era il 2001, all’epoca lavoravo anche per Rtl 102.5. Una collega di Studio Aperto, Roberta Mani, durante una conferenza stampa mi vide lavorare e mi disse che stavano cercando sostituzioni estive. Ho mandato il CV al personale. È bastato un fax! Mi hanno preso per tre mesi. E poi per altri tre... e contratto, dopo contratto, dopo due anni mi hanno assunta a tempo indeterminato. Sono qui da 11 anni, ormai. Ma mi sembra ieri! Chi le ha dato dei consigli? Di sicuro i miei direttori mi hanno insegnato quello che so. Daniele Vimercati è stato il mio capo a Telelombardia. Un giorno mi disse “Quando fai questo mestiere ti devi divertire. Se ti diverti vuol dire che lo stai facendo bene”. Mario Giordano mi ha insegnato ad essere semplice nel mio lavoro, ricordandomi sempre che c’è una “sciura Maria” a guardarti da casa. Giorgio Mulè mi ha insegnato a non accontentarmi e a non trascurare alcun dettaglio. Il mio direttore da due anni è Giovanni Toti, una persona che stimo tantissimo, che prima di questo incarico ha lavorato con me per tanto tempo come collega: lui mi dice sempre “Tieni gli occhi sempre fissi su un obbiettivo”. Riuscirci! Il mio consigliere principale rimane mio marito Andrea, giornalista pure lui, i suoi suggerimenti sono Top Secret! A sinistra, Stefania Cavallaro prima di entrare in studio. Sopra, Stefania mentre sceglie le notizie più leggere perchè anche una rassegna stampa può essere divertente.

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Lei è uno dei volti di punta del tg di Italia 1, come vive questa esperienza? È un privilegio, come quello di firmare un pezzo del tg, o un reportage in prima serata: la conduzione è solo una parte del mio lavoro. Che io amo moltissimo. Quali sono i momenti più significativi che ricorda della sua giovane carriera? La morte del Papa, l’esplosione della guerra in Iraq, la cattura di Saddam. È stato incredibile essere in redazione l’11 settembre del 2001... abbiamo visto il primo volo schiantarsi in diretta. 10 minuti dopo eravamo in onda. E non ci siamo fermati per 9 ore... L’intervista che mi ha cambiato? Quella ad “annastaccatolisa”, pochi mesi fa, a Livorno. A 33 anni ha lottato contro una bestiaccia terribile. Sono stata l’ultima ad incontrarla. Lei mi ha davvero aperto gli occhi. Mi ha lasciato una poesia che tengo appesa alla scrivania, si chiama “Ti auguro di trovare il tempo”. Un inno a non sprecare nulla di ciò che viviamo. Me l’ha insegnato in pochi minuti di chiacchierata. Ecco perché facciamo il mestiere più bello del mondo... L’esperienza più gratificante? Nel 2006 ho seguito la campagna elettorale dei due candidati premier alle politiche (all’epoca Prodi e Berlusconi). Due mesi con la valigia insieme al mio collega Angelo Macchiavello a seguire qualsiasi loro mossa. È stata un’esperienza incredibile. Vedere da vicino come nasce, cresce e si “complichi” una campagna elettorale. Personalmente è tra i progetti più appassionanti ai quali abbia mai partecipato. Quali consigli darebbe alle giovani telegiornaliste emergenti? La vera fortuna è avere la possibilità di fare tanta gavetta... Consiglio di scrivere, di cercare notizie, di proporre anche al più piccolo degli editori idee. È così che si cresce, a mio avviso. Nessuna esperienza è inutile. In tempi di crisi come questi quale deve essere il ruolo dell’informazione? Deve rispettare il desiderio di conoscere del telespettatore. Nei mesi più delicati della situazione economica abbiamo dato ampissimo spazio anche alle questioni più tecniche, cercando di spiegare alla gente il significato di Spread, Bund o Btp. Ecco, questo dovrebbe fare l’informazione. Rendere comprensibile a tutti quel che accade attorno a noi. Nel nuovo governo Monti avverte un approccio diverso nei confronti dell’informazione rispetto a chi l’ha preceduto? Onestamente non credo ci sia un approccio piuttosto che un altro nei confronti dell’informazione, quando si parla di politica. È una macchina che - di governo in governo - parla al pubblico attraverso appuntamenti Sopra, mise elegante per le occasioni ufficiali.

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QUANDO I SOGNI DIVENTANO REALTÀ rituali, spesso in diretta tv o tramite conferenze stampa. Monti è stato ospite negli stessi spazi d’informazione dove ho visto intervenire i precedenti presidenti del Consiglio. Avverte voglia di cambiamento nei giovani italiani? Posso essere sincera? Vedo due facce opposte. Un’Italia che scalpita per uscire fuori e un’altra che aspetta che arrivi la manna dal cielo. La notizia che vorrebbe dare un giorno? L’ho già data, il “triplete” dell’Inter! Rimpiango Mourinho... C’è tempo per gli affetti nella sua vita? Gli affetti sono la base, poi viene il resto. E se anche il tempo è incastrato con gli impegni del lavoro, lo spazio che condivido con la mia bimba e Andrea è di qualità. Secondo lei il rapporto genitori-figli è diventato più difficile? No, il problema è che oggi entrambi i genitori lavorano e conoscersi richiede più tempo. Ma sono una sostenitrice delle regole base dell’educazione, fissate quelle, il resto deve essere un circolo spontaneo d’affetto. Se dovesse scrivere un libro su se stessa come lo intitolerebbe? Dietro le quinte.

Il suo domani è a Milano o fuori? È già fuori! In Brianza. Silenziosamente. Progetti per il futuro? Troppi! Sicuramente continuare a crescere professionalmente, magari con una nuova sfida. Ma per il momento mi accontento di progettare un viaggio! Cosa farà da grande? La giornalista saggia! Secondo i Maya il mondo finirà nel 2012… come vorrebbe vivere la sua ultima giornata? Mi vien l’ansia solo a pensarci… Avvinghiata a mio marito e a mia figlia. La notizia quel giorno la darà qualcun altro. Ringraziamo Stefania Cavallaro per averci concesso quest’intervista, a nome di tutta la redazione è stato un piacere potersi confrontare non solo con un popolare volto televisivo ma con una donna “vera” che ha saputo trasmetterci interessanti esperienze di vita! di Francesca Andreoni

Sopra, Stefania Cavallaro alla conduzione di Studio Aperto.

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e se quella sera avessi riconosciuto

GABRIELE

Martina Panagia, modella e attrice dal carattere riservato e dalla bellezza travolgente, si racconta in tutta la sua disarmante spontaneità

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onfesso che quando il Direttore mi ha chiesto di andare ad intervistare Martina Panagia sono rimasta un po’ spiazzata. Non la conoscevo. Sono andata sul sito e ho scoperto che, in effetti, il suo blog sul trucco, la cosmetica e tutto quanto fa donna, era carino e ben fatto. Ho scoperto anche che aveva lavorato in Rai e su alcuni canali satellitari, ma soprattutto che aveva girato uno spot con George Clooney. Sì. Dovevo proprio conoscerla. In mancanza di lui almeno intervistavo qualcuno che l’avesse incontrato sul lavoro… Milano, 7 gradi sotto zero. Uno dei giorni più freddi degli ultimi trent’anni. Entro nell’agenzia dove c’eravamo date appuntamento e lei è già lì. Bene. È bella e puntuale. Un jeans, una maglietta attillata e un filo di trucco. Martina come hai iniziato a lavorare in TV? Ho iniziato per caso e quindi per fortuna. Io già studiavo teatro per hobby. Un giorno, in quarta liceo, per saltare l’interrogazione di latino andai nel bar di fianco la scuola. Facevano le selezioni per Miss Padania. Eh sì… feci quella prima selezione con altre mie compagne di classe proprio per saltare quella famosa interrogazione. Dal baretto di Legnano arrivai in finale e mi classificai seconda. Io, di origini napoletane, devo molto a quel concorso perché da lì mi notarono un po’ di agenzie, una delle quali mi chiamò per poi condurre su Rai Due “Cani, gatti e altri amici”. Grazie al cielo avevo già studiato teatro e quindi un minimo me la sapevo cavare. Questo è stato il mio esordio! Fortuna o segno del destino? Chi lo sa… Forse potrò sembrare un po’ presuntuosa ma sono fortemente convinta che ci sono delle persone nate per fare certe cose. Il poeta nasce per scrivere poesie, il pittore per fare arte. Poi c’è chi ha dentro una gran voglia di comunicare che può sfogare su un palcoscenico, nel lavorare in TV come conduttrice o semmai in un’agenzia pubblicitaria. Io comunque avevo dentro una gran voglia di comunicare! Ecco, questa forma di creatività, poi sfociata nella conduzione, magari sarebbe potuta sfociare in grafica pubblicitaria, in speaker alla radio o, perché no, nel fare la scrittrice. Cosa ti piace di questo lavoro? Essere in relazione con quante più persone possibili… Pensa che il mio bisogno di comunicare è così grande che quando non lavoro, soprattutto in questo momento di crisi, per me è veramente dura. C’è stato un periodo molto lungo in cui non succedeva nulla e allora cosa ho fatto…? (Ride, o meglio sorride con una punta di autocompiacimento n.d.r.). Ho aperto un blog su internet tutto al femminile. Questo blog mi ha in un certo senso salvata. Perché in un momento di crisi ho costruito qualcosa di cui vado orgogliosa. Sta crescendo giorno dopo giorno. Ho trasferito la mia esperienza personale sul make-up e addirittura mi hanno contattato alcune aziende per mandarmi i loro prodotti da recensire sul sito. Quindi mi sento in dovere di prepararmi e di informarmi bene A destra, un ritratto di Martina Panagia, modella, conduttrice e attrice. Una carriera iniziata quasi per caso.

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E SE QUELLA SERA AVESSI RICONOSCIUTO GABRIELE per evitare di scrivere cose non veritiere e deludere le mie lettrici. Da piccola volevi fare altro nella vita? Ho iniziato veramente presto. Appena cominciato il liceo una persona non sa ancora bene cosa vuole fare nella vita. Non ho neanche avuto il tempo di pensare cosa avrei fatto che mi sono ritrovata a farlo. Il tuo è un lavoro caratterizzato da diverse pause. Ci sono periodi in cui si lavora tantissimo e periodi in cui si sta a casa. Tu come riesci a gestire questi momenti di astinenza dal video e dal lavoro? Non sempre riesco a gestire bene questi periodi. Quando sono ferma ho un grande calo di autostima (il suo viso adesso prende una piega diversa, si rabbuia improvvisamente, crede nelle cose che dice, è una ragazza sincera n.d.r.). Magari pensi che non sei abbastanza brava per fare una determinata cosa. Oppure pensi che non sei abbastanza carina, che stai invecchiando e allora dici… Oddio! Ti fai una serie di domande e ti dai risposte che certo in quei momenti non ti aiutano. Ma in realtà non è un problema tuo, magari è proprio colpa del periodo, del momento. Sei mai stata sorpassata da una raccomandata? Sono stata sorpassata mille volte ma non lo so se erano raccomandate o no. Mi piace pensare che non lo fossero. Quali sono le tue passioni? A parte il famoso blog ho fatto tanti anni di nuoto. A livello agonistico quasi una decina. Poi però, improvvisamente, mi è successa una cosa strana. Mi sono accorta che in acqua ero sola. Tu e l’acqua, l’acqua e te. Se sei ragazzina e non hai nulla a cui pensare è bello ma quando cresci, almeno nel mio caso, certi pensieri inizi a farli. Qual è la cosa che assolutamente non faresti mai e la cosa che vorresti assolutamente fare nella tua vita? Lo sai che non ne ho idea? Aspetta che ci devo pensare un attimo. La cosa che vorrei assolutamente è essere serena. Perché essere felice è un’utopia, la felicità è solo un picco. La serenità invece può essere più costante, duratura. Quindi mi piacerebbe cercare di mantenere la mia serenità facendo le cose che amo e seguendo le mie passioni. Quello invece che non farò mai non lo so, perché secondo me bisogna provare un po’ di tutto. Cosa ti piace meno nel mondo dello spettacolo? La cosa che non mi piace è essere presa in giro. Mi è capitato a volte di incontrare dei millantatori. Produttori, registi, veri o presunti tali. Vedi… quando sei ragazzina non riesci sempre a distinguerli. Per fortuna sono sempre stata diffidente perciò proposte scandalose non ne sono mai arrivate. Forse è anche questo il motivo per cui non ho ancora fatto qualcosa di veramente importante (adesso ride Martina n.d.r.)… Non voglio dire che se scendi a compromessi fai qualcosa di importante, ma intendo dire che se hai voglia di rischiare magari quella persona che hai davanti non è un millantatore e tu puoi crearti delle occasioni. Io invece sono sempre rimasta chiusa nel mio guscio e non sono neanche mai andata alle cene per farmi conoscere nell’ambiente… Magari invece una ragazza un pochino più esuberante esce, conosce e poi decide liberamente della sua vita e del suo dopo cena (sorride ancora ma questa volta con un pizzico di malizia in più n.d.r.). Saresti disposta a sacrificare il tuo lavoro per un uomo? No, assolutamente no! Perché l’uomo che voglio al mio fianco deve capire che senza il mio lavoro non sarei felice. Per cui se avessi un’opportunità e lui mi chiedesse di rinunciarci vorrebbe dire che ama più se stesso di me. Sarebbe egoistico da parte sua dirmi, ad esempio, di non andare tre mesi in A sinistra, Martina in tutta la sua bellezza e sensualità.

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Martina Panagia incarna la tipica bellezza mediterranea.

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Argentina a girare un film. Se c’è, l’amore vero dura anche a distanza e quando si ritorna non può che essere più forte di prima. Hai qualche rimpianto? Una sera ero a cena con una mia amica, fidanzata con un importante personaggio dello spettacolo. Dopo cena mi chiede se voglio passare a casa del suo fidanzato, che a sua volta era a cena con un po’ di amici. Accettai… finalmente il mio riccio si stava aprendo. Arrivammo a questa cena. C’erano molte persone e in particolare un signore che mi fissava. Ero un po’ in imbarazzo. Come ti dicevo, per dirla come Aristotele, non sono proprio “un animale sociale”. Ogni volta che questo signore attaccava discorso cercavo di liberarmene. Il giorno dopo la mia amica mi chiese se Gabriele Salvatores fosse simpatico! (Martina, Martina…dai… n.d.r.). Non l’avevo assolutamente riconosciuto. È stato il mio più grosso rimpianto. Forse anche il mio più grosso errore professionale. Lui era molto interessato a me, professionalmente intendo, e io ho fatto di tutto per allontanarlo. Hai lavorato con George Clooney in un famoso spot. Come è stato collaborare con lui? Ti avesse invitato tête-à-tête a cena nella sua villa sul lago saresti andata? Questo è stato un altro mio piccolo rimpianto perché non ho dormito da quando ho saputo che dovevo girare quello spot. Ero così emozionata perché oltre a George Clooney c’erano anche altri personaggi In alto, un primo piano molto intenso e carico di emotività per Martina Panagia.

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E SE QUELLA SERA AVESSI RICONOSCIUTO GABRIELE importanti. Quando sono arrivata sul set ero completamente rovinata con occhiaie, brufoli… insomma un mostro. Tra l’altro per l’eccitazione non ho dormito neanche la settimana successiva. Ero cosi elettrizzata per l’esperienza… (e ci credo! n.d.r.). Insomma quello spot mi ha rovinato un mese di sonno. Ma ne valeva la pena… Clooney è sicuramente un bell’uomo anche se dal vivo perde un po’. Mi ha messo perfettamente a mio agio e si capisce subito che è un grandissimo professionista. Ho visto una differenza incredibile rispetto ai personaggi italiani. Spesso arrivano in ritardo, sclerano per piccole cose…. George Clooney lo hanno convocato alle 5 del mattino. Lui alle 5 e un minuto era lì sul set e alle 5 e mezzo era pronto a girare. Una professionalità incredibile. Con lui ho parlato di petrolio (no, questa proprio no, adesso me ne vado! n.d.r.) perché ricordo che in quel periodo c’era un’emergenza energetica. Se mi avesse invitato al lago sinceramente ci sarei andata di corsa (ok rimango! n.d.r.). Lui è veramente una persona carinissima, molto seria ed educata. Ti trasmette fiducia. Allora tu sai che se ti invita a cena ti invita a cena e basta. È pulito, è incredibile…. Faresti un reality? C’è stato un periodo in cui avevo l’impressione che lavorassero solo gli ex concorrenti del Grande Fratello. Con tutti i sacrifici che avevo fatto dovevo vedermi scavalcare da questa gente. Ma chi sono questi? Cosa hanno studiato? Ad un certo punto ho ceduto… ma non mi hanno presa. Col senno di poi per fortuna! Durante il provino ho detto qualsiasi cosa. Che il programma mi faceva schifo (è un fiume in piena adesso, non la controllo più, aiuto! n.d.r.) e che io ero un’attrice e visto che non lavoravo perché lavoravano solo quelli del Grande Fratello, allora volevo provarci anch’io. No, non mi hanno presa. C’è un personaggio televisivo a cui ti ispiri? Mi piacciono tantissimo quelle donne che sono riuscite a fare un po’ di tutto nella vita. All’estero ce ne sono molte di più che in Italia. Jennifer Lopez che è mamma, cantante, attrice, imprenditrice, insomma fa mille cose tutte fatte bene. In Italia invece non ce ne sono di così complete. Però ad esempio mi piace molto Michelle Hunziker. Magari ha avuto una vita privata travagliata però oltre ad essere madre sa essere un personaggio completo. Film preferito? Sì, c’è ma ancora non l’ho visto. Perché è il mio primo film in cui compaio per 120 secondi. Lo so, sono pochi, però è il primo e quindi va bene così. Qualche giorno fa ho scoperto anche di essere nel trailer per mezzo secondo. Questo sarà il mio film preferito. Si chiama “Ti stimo fratello” con Giovanni Vernia e Diego Abatantuono e uscirà a marzo. Libro preferito? Leggo moltissimo ma non libri molto impegnativi. Ho amato Harry Potter quando ero più piccola, perché mi piacciono i libri fantasy. Ora leggo un po’ di tutto, ma non ho un libro preferito, uno che mi rappresenti. Però evito quelli tristi. Non mi piace leggere o vedere film troppo tristi. Preferisco una risata! Dove ti vedremo prossimamente? In questo film per 120 secondi e poi spero mi vedrai da qualche altra parte. Ci sono delle cose in cantiere ma in questo lavoro a volte saltano anche quando hai firmato, per cui preferisco non dire nulla e aspettare. Grazie Martina e buona fortuna per il tuo futuro. In bocca al lupo. Crepi. di Daniela Ferolla

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ricerca e innovazione per uscire dalla

CRISI

Chi lavora per scoprire nuove energie che illuminino il paese? Risponde Stefano Besseghini, Amministratore Delegato di RSE

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d ascoltare gli opinionisti e a leggere gli editoriali dei maggiori quotidiani italiani sembrerebbe essere la panacea a tutti i mali. Il valore della ricerca scientifica come uno degli elementi trainanti per l’uscita dalla lunga crisi è tema riconosciuto e ricorrente sui tavoli istituzionali. Una virtù, quella della ricerca, spesso citata ma sovente non riconosciuta in termini di investimenti, organizzazione, valorizzazione di un patrimonio di idee e competenze che un Paese come l’Italia fa fatica a sostenere. E invece mai come oggi la ricerca è un aspetto di cruciale importanza,

soprattutto in un settore come quello energetico e in un contesto economico, dove le sfide sono globali e non più gestibili con i vecchi paradigmi dei fattori produttivi fisici. Stefano Besseghini, 46enne valtellinese, è da due anni Amministratore Delegato di RSE - Ricerca sul Sistema Energetico centro di ricerca pubblico dalla grande tradizione, le sue origini risalgono al primo dopo guerra con l’allora Cise, e dalle notevoli potenzialità come interlocutore del sistema energetico e delle imprese per la loro crescita in termini di competitività e capacità di essere al passo con i nuovi scenari di sviluppo. “Considerare la ricerca come antidoto alla recessione e alla stagnazione è opinione diffusa - sostiene Besseghini - e mette d’accordo economisti, politici, amministratori pubblici ed esperti. Investire in ricerca, proprio nei momenti di crisi, quando mi rendo conto può essere più difficile e più rischioso farlo, è invece la chiave per poter essere protagonisti del rilancio economico”. In Italia però, spesso, questo non accade. Sono d’accordo ma la questione va però contestualizzata. Dal mio punto di vista la ricerca è un attivatore, un primum movens da cui i sistemi Paese possono far partire il motore del proprio sviluppo. Non si deve però nemmeno essere troppo semplicistici e pensare che la ricerca da sola possa risolvere tutti i problemi. Serve comunque capirne le potenzialità e lo devono fare in primis i decisori per andare oltre alle semplici dichiarazioni di principio e inserire l’attività di ricerca in un sistema più complesso e articolato capace di dare soluzioni su una scala di tempi che non è immediata ma di medio periodo. In questo quadro di riferimento come si colloca l’attività di RSE? Una struttura di ricerca come la nostra, di dimensioni relativamente contenute ma dotata di grandi competenze in tutti i settori del sistema energetico e della sua filiera, è oggi in grado di svolgere un ruolo rilevante su diversi ambiti. Una delle caratteristiche di RSE è quella di saper prestare attenzione al contesto che ci circonda per proporre temi di ricerca e azioni che possano offrire chiari vantaggi competitivi al Paese in termini di supporto alle decisioni delle Istituzioni e di nuove opportunità per il sistema imprenditoriale. Ma come possono dialogare Ricerca e Impresa? Si tratta di mettere in comunicazione due mondi, a volte lontani, che invece devono assolutamente interfacciarsi in maniera non occasionale. Sarebbe più semplice creare un rapporto su progetti congiunti, elaborati in ambienti ad elevata “contaminazione” che sappiano unire l’attitudine al cambiamento e alla realizzazione di soluzioni innovative, tipica della ricerca, alla focalizzazione al risultato, patrimonio distintivo del settore industriale. Nella pagina precedente, una suggestiva immagine di un campo eolico. A sinistra, Stefano Besseghini, Amministratore Delegato RSE. A destra, un dettaglio di una pala eolica.

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RICERCA E INNOVAZIONE PER USCIRE DALLA CRISI RSE è, da questo punto di vista, in posizione privilegiata grazie alla lunga esperienza nel rapporto con il cliente e la provenienza industriale di molti dei suoi ricercatori. Inoltre occorre sempre guardarsi attorno, leggere in anticipo i cambiamenti e saperli interpretare. Questo è un altro elemento che caratterizza strategicamente l’attività di RSE: la dovuta attenzione all’evoluzione del contesto europeo e la capacità di mettere questa attività al servizio del sistema industriale italiano. Quali sono i settori dove RSE concentra la sua attività? RSE sviluppa programmi di ricerca in tre grandi ambiti: attività incrementali, strategiche e di frontiera. Le prime sono quelle attività su cui possediamo una competenza storica, ben radicata, e che rappresentano ancora sicuri elementi di interesse. Le attività strategiche sono quelle su cui RSE sta più fortemente investendo in termini di risorse umane e finanziarie per costruire nuove competenze. Nell’attività di frontiera stiamo cercando di intercettare gli aspetti più originali, a elevato rischio attraverso un attento scouting interno ed esterno delle idee di ricerca. Nel primo ambito, ad esempio, la competenza nella caratterizzazione delle grandi strutture per la trasmissione di energia che si svolgono nel salone ad alta tensione

(AT) del nostro laboratorio di Milano sono un elemento caratterizzante a livello internazionale. Nelle attività strategiche abbiamo recentemente inaugurato un nuovo laboratorio per la crescita di eterogiunzioni con tecnica MOCVD (Metal Organic Chemical Vapour Deposition). Si tratta di celle fotovoltaiche ad alta concentrazione che consentiranno di raggiungere, una volta implementate, un’efficienza vicina al 40% rispetto al 15% delle attuali celle. Guardiamo con grande interesse anche allo sviluppo dei temi legati alle Smart Grid, le reti intelligenti, che sappiano gestire sistemi di produzione non più localizzati in pochi centri ma molto più parcellizzati, tipicamente legati allo sviluppo della produzione da fonti rinnovabili, con sistemi razionalmente più evoluti di gestione della domanda. RSE coordina in tal senso progetti europei, osservatori di assoluto privilegio per capire l’evoluzione del mondo smart grid. Infine sui temi di frontiera stiamo investendo per consentire una rapida valutazione del reale potenziale degli argomenti e valutarne la promozione a temi strategici. Sono progetti molto puntuali come i nuovi materiali per batterie, celle a combustibile microbiche, sistemi di controllo stocastico della rete, metodi per la valutazione del livello di “smartizzazione” della rete. Argomenti oggi

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molto complessi ma che possono, entro breve tempo, trasformarsi in progetti più definiti e concreti. Ma come un centro di ricerca come RSE può rappresentare oggi un elemento strategico per l’Italia? Ci sono tre buoni motivi. Innanzitutto per l’attenzione che dedica al tema delle reti energetiche. Un argomento non banale: senza reti non esisterebbe alcun mercato energetico. E l’approccio multidisciplinare a questo tema è uno degli elementi caratterizzanti l’esperienza di RSE e del suo know-how. Un secondo elemento è la smartness, intesa come velocità di reazione al cambiamento di scenario. Sappiamo spostare la nostra attenzione da un tema all’altro in modo rapido e proattivo. Il terzo elemento è quello dell’autonomia che, se era un aspetto marginale nel mercato monopolista, diventa oggi elemento centrale nel mercato libero in un settore rilevante come quello energetico. E per finire, la nostra dimensione, siamo un soggetto sufficientemente grande da esprimere massa critica credibile sui temi di indagine e a livello internazionale, al tempo stesso non così grande da non potersi riorientare prontamente sulle esigenze e sulle linee strategiche del Paese. E in tutto ciò il cittadino, l’utente finale, come può valutare il lavoro di un centro come RSE? Occorre incrementare certamente la divulgazione scientifica e non limitarsi ad ambiti tecnici e specialistici. In Italia si sta subendo un analfabetismo di ritorno della cultura scientifica, drammatico e preoccupante. E chi lavora in questo settore dovrebbe rendersene conto e attivarsi partendo, ovviamente dai più giovani. Sarebbe opportuno attivare una task force di ex ricercatori di Enea, CNR, RSE da mettere a disposizione del sistema scolastico ai vari livelli sia agli alunni sia per gli insegnanti. L’Italia ha certamente bisogno di questo e ha risorse e competenze per farlo. Quello che manca ai giovani sono gli strumenti critici e una percezione storica e metodologica dell’attività di ricerca non nozioni o informazioni. Scienza e tecnologia non sono solo aspetti del processo produttivo ma grandi imprese fatte da uomini le cui avventure meritano di essere raccontate perché sono esempi.

RSE S.p.A. Ricerca sul Sistema Energetico è una società del gruppo GSE, che sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico, con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali, di interesse pubblico generale, finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema. L’attività di ricerca e sviluppo è realizzata per l´intera filiera elettro-energetica in un´ottica essenzialmente applicativa e sperimentale, assicurando la prosecuzione coerente delle attività di ricerca in corso e lo sviluppo di nuove iniziative, sia per linee interne sia in risposta a sollecitazioni esterne. RSE implementa attività con e per il sistema della pubblica amministrazione centrale e locale, con l’intero sistema produttivo, con le associazioni e i raggruppamenti delle piccole e medie imprese e le associazioni dei consumatori. Obiettivo strategico dell’attività dell’azienda è promuovere e favorire lo sviluppo delle professionalità di domani incentivando occasioni di supporto allo svolgimento di attività di formazione e divulgazione legate ai temi di ricerca sull’energia. Con i suoi 350 dipendenti RSE mette in campo un capitale umano che rappresenta un patrimonio unico di competenze ed esperienze, la cui difesa e sostegno rappresenta una condizione necessaria per consentire lo sviluppo di politiche di innovazione in un settore di enorme rilevanza per il Sistema Paese come quello energetico.

Besseghini Stefano Besseghini ha 46 anni, è laureato in Fisica e ha conseguito una specializzazione in scienza e tecnologia dei materiali. Ha svolto la propria attività di ricerca presso il CNR quale responsabile della sede di Lecco del CNR-IENI, una delle più attive realtà italiane nel settore della metallurgia fisica. Dal 2010 è Presidente di Politec Banda Larga e CEO al Polo dell’Innovazione della Valtellina. Si è occupato dell’organizzazione di attività culturali, con particolare riferimento ad eventi di divulgazione scientifica a carattere internazionale. Amante delle sfide, Besseghini pratica lo sci alpino nel quale vanta trascorsi agonistici.

di Maurizio Trezzi

A sinistra, uno dei tralicci che garantisce la rete elettrica italiana.

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i m i pr Il primo dei

Quando incontra gli amici collezionisti, Corrado Lopresto diventa un “bambinone”, insieme guardano le loro macchine come fossero figurine, discutendo con entusiasmo di quelle che stanno preparando, ammirando quelle già sistemate. Una passione, la sua, che l’ha portato ad essere il campione numero uno nell’ambito del collezionismo

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IL PRIMO DEI PRIMI

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a prima vittoria arriva subito, al primo concorso cui si iscrive. Siamo nel 2001 a Villa d’Este - l’appuntamento con le automobili d’epoca più rinomato in Europa - e lui, oggi il più famoso campione d’eleganza in Italia e all’estero, si porta a casa nientepopodimeno che la Coppa d’Oro, il “Best in Show” del pubblico, premio ambitissimo di un concorso dove riuscire a partecipare è già di per sé un grandissimo successo. E in quanto a successi, neanche a farlo apposta, Corrado Lopresto si può definire un vero collezionista. Dopo il primo, che lui ammette di ricordare con più affetto rispetto a tutti gli altri, ne arrivano altri, molti altri: in totale, saranno più di 120. Avete capito bene: un palmarès a tre cifre che fa pensare fin da subito a un parco vetture con una marcia in più. “La mia collezione è fatta di pezzi unici di marche italiane, parliamo di Alfa Romeo, Isotta Fraschini, Ansaldo, Diatto, Lancia... L’aver vinto così tanti premi è legato sicuramente al fatto che lo stile italiano è tornato di moda… negli ultimi 10 anni una macchina italiana furoreggia perché ha un design che si distingue, un tratto che si riconosce subito e quindi la si apprezza anche e soprattutto all’estero”. Fin dall’inizio, quindi, Lopresto ha creduto nella superiorità del Made in Italy e nella grandezza di stilisti sconosciuti o scomparsi, andando a caccia di prototipi capaci di differenziarsi, inseguendo auto dai “musi strani” che negli anni ‘40/‘50 venivano presentate nei vari concorsi di eleganza e saloni, e per questo erano volutamente esagerate. La sua scelta, come ci confida, è stata vincente. All’estero, infatti, è quasi sempre l’unico italiano a rappresentare egregiamente il nostro paese ed è lì che, confrontandosi con altre realtà, ha imparato a “migliorarsi”. “Un concorso di eleganza è un’esposizione per il 90% statica”, ci racconta per farci capire meglio in cosa consiste questo genere di competizione. “Ci sono un centinaio di macchine divise per categoria e posteggiate nelle location più belle del mondo, campi da golf, ville antiche, giardini spettacolari. Una giuria di esperti, fatta di storici dell’auto, giornalisti, collezionisti e stilisti, guarda e giudica le macchine per poi attribuire loro i premi che fisicamente consistono in coppe o coccarde. Dopo il primo, il secondo e il terzo di categoria, c’è il premio finale, il più prestigioso, che è il Best in Show e che viene riconosciuto alla più bella in assoluto fra tutte le vetture che hanno vinto la categoria”.

“Al mio esordio, a Villa d’Este, ero con la mia famiglia. Dopo aver vinto diversi premi, rientro in garage già soddisfatto di questi importanti risultati. Invece, dopo un’ora mi richiamano in pedana e scopro di aver vinto la mia prima Coppa d’Oro! Chi se lo sarebbe immaginato” Nella pagina precedente, l’elegantissima Alfa Romeo 6C 2500 SS Bertone premiata a Pebble Beach (California, 2010). A sinistra, la Lancia Aurelia B52 Coupé prototipo di Vignale/Michelotti del 1952 al concorso di eleganza di Pebble Beach.

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La splendida Isotta Fraschini 8A SS carrozzata Castagna, una macchina monumentale, bellissima, al concorso di Kuwait City.

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IL PRIMO DEI PRIMI

Di “Best in Show” Corrado Lopresto ne ha vinti una quarantina; addirittura 5 di fila a Francorchamps, in Belgio, senza dimenticare il suo record di Coppe d’Oro (unico ad averne vinte 3 a Villa d’Este). Un risultato sintomatico della sua straordinaria capacità di fare la differenza e del suo grande impegno. Perché, come ci spiega, ha scelto di specializzarsi in un filone storico, per fare recupero culturale di un periodo specifico e trovarne così i capolavori più rari. Gli anni ‘40/‘50 sono l’epoca che preferisce, gli anni del design, dell’effervescenza italiana, quelli caratterizzati da un fiorire di carrozzieri e stilisti allora sconosciuti: “Oggi capire chi sono questi personaggi ti consente di avere quel ritorno culturale importante che ti permette di fare collezionismo intelligente”. Quindi, traducendo, vuol dire partire dallo studio attento di disegni, foto d’epoca e condizioni di un’auto, per ricostruire la storia della vettura, trasformando un “rottame”, come lo definisce lui, in un vero e proprio gioiello a 4 ruote. E se la macchina è esclusiva, importante come autotelaio ed è stata realizzata in pochi esemplari, allora ci sono buone probabilità che si aggiudichi un premio in un concorso di eleganza. “Un’emozione da far tremare le gambe, come se ogni volta fosse la prima” quella che prova Corrado Lopresto quando è sulla pedana perché

Sotto, la Lancia 12/18 cv del 1908, la più vecchia Lancia del mondo, premiata con il “Best in Show” al centenario Lancia del 2006.

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Sopra, la Lancia Florida prototipo al concorso di eleganza di Ludwigsburg, nel 2010, premiata con diversi riconoscimenti.

“davanti a centinaia di giornalisti lo spettacolo è sempre incredibile e il piacere di vedere riconosciuto il proprio impegno è davvero unico”. A questo punto dell’intervista vogliamo sapere se, in tutto questo trionfo di premi, c’è stata una volta, almeno una, in cui il grande Lopresto è stato battuto… Certo, è capitato anche a lui: il segreto sta solo nel saper affrontare la delusione con lo spirito giusto: “Dopo aver vinto la Coppa d’Oro a Villa d’Este, la seconda con la Isotta Fraschini, partecipiamo al più importante concorso di eleganza a Pebble Beach, in California. Su 5 vetture della mia categoria ne premiano 4, tutte tranne la mia. In quell’occasione ci siamo rimasti molto male, soprattutto mio figlio che nonostante avesse solo 16 anni, era già abbastanza esperto per capire che la nostra vettura meritava almeno un premio. Io però ho capito da questa sconfitta come affrontare al meglio il prossimo concorso. Infatti, ci siamo preparati così bene che l’anno dopo ho vinto con un modello unico di Alfa Romeo 6C 2500 carrozzata Bertone, nella categoria delle Alfa Romeo più belle dei 100 anni… dove già essere selezionati tra queste 5 macchine è il massimo, ma vincere è stata una soddisfazione unica”. La nostra soddisfazione è quella di aver dato voce a un collezionista vero, che fa del suo entusiasmo il motore di grandi sogni. I suoi… come quelli di tutti noi. di Silvia Barlascini OPINION LEADER 65

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Dedicate a quelle con il pallino della moda… ma anche a chi non vede l’ora di mettere in riga lo stile. 1 - Per chi in fatto di eleganza non ha un temperamento ballerino, le sofisticate flats shoes in rafia by ERMANNO SCERVINO (€310). 2 - Spiritosa come la personalità di chi la indossa, la ballerina flessibile in tessuto pois firmata YAMAMAY (€19,90). 3 - “Un decoltè a pois” canteranno a gran voce tutte le amanti dell’originalità con le stilose scarpe di ERNESTO ESPOSITO (€468). 4 - Evocano un romanticismo senza tempo le irresistibili peep toe di KALLISTÈ (€280).

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il sarto di

FAMIGLIA Avere una consulenza di stile ed eleganza senza uscire di casa. Rifarsi il guardaroba senza muovere un dito, se non per comporre un numero di telefono. È tutto vero. Anzi… RE.A.LE.!

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no dei veri lussi della nostra epoca è sicuramente il tempo. Tra mille impegni, scadenze e appuntamenti spesso, anche fare le cose più semplici come comprarsi un vestito, diventa un’impresa epica. E allora, per la serie problema-opportunità, ecco l’ultima trovata per chi ha poco tempo, ma molta voglia di essere impeccabile ed elegante in ogni occasione: il sarto a domicilio RE.A.LE. “La questione “tempo” è quella che ha fatto nascere il nostro progetto. Oggi un uomo d’affari non riesce e spesso non ha voglia, di andare a fare shopping ma ha comunque la necessità di avere un abito o di rinnovare il guardaroba. Ecco allora che basta una chiamata e in 48 ore, ovunque si trovi, arriviamo noi ad accontentarlo!”. Noi, ovvero Remo e Andrea due giovani brillanti con le idee ben chiare in testa. Eh già… avete letto bene. Dite addio al vecchio archetipo del sarto, occhialino calato sul naso, un po’ su di età, dietro a RE.A.LE. ci sono due ragazzi, sguardo simpatico e sorriso amichevole, già forti di grandi esperienze. Da una parte, Remo Gigli, anni nel settore del lusso, un vero mago nel

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soddisfare i desideri della gente, dall’altra Andrea Terzi un amore per la sartoria tramandatagli dal padre proprietario di due celebri negozi veronesi che per anni ha lavorato a contatto con marchi come Brioni e Ricci. Giovani sì, ma con la voglia di fare le cose alla vecchia maniera. “Ci ispiriamo all’antica tradizione sartoriale” dice Andrea, “come i sarti del passato anche noi andiamo a casa dal cliente con metro e bunch sotto braccio, gli prendiamo le misure, scegliamo insieme i materiali in base a gusti ed esigenze, pensiamo a tutti gli accessori…”. Le parole di Remo e Andrea cercano di spiegarci in cosa consiste il loro lavoro ma finiscono per raccontarci una vera e propria storia fatta di passione ed entusiasmo. Quella di un sarto, capace e discreto, che si fa aprire prima la porta di casa poi quella dell’armadio, molte volte anche del cuore. Sì, perché tra la rifinitura di un orlo e un caffè, tra le quattro pareti di casa (forse qualcuna in più, visto il genere di clientela super esclusiva di RE.A.LE.) si finisce col parlare un po’ di tutto, esattamente come accade tra amici. “I clienti si confidano, si

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raccontano, ci chiedono dei consigli… e noi diventiamo di famiglia. Perché se un bravo sarto deve saper rendere l’abito espressione della personalità del cliente, conoscerlo diventa fondamentale.” Insomma si chiamano sarti ma potremmo definirli anche psicologi e chirurghi. Un abito cucito su misura nasce, infatti, dalla conoscenza della persona e delle sue abitudini, nonché dalla sua fisionomia. Un imprenditore con un po’ di pancetta, sempre in giro per il mondo? La sua giacca RE.A.LE. sarà tagliata per nascondere le rotondità e avrà le tasche studiate ad hoc per contenere i biglietti aerei. Un uomo dalle spalle strette che per rilassarsi ama fumare la pipa? Per lui Andrea e Remo creeranno un capo che rinvigorisce la figura con fodera dotata di taschino porta pipa. “Tante variabili un’unica regola: la qualità! Altissima. Sempre”, ci tengono a sottolineare i due soci. “Per i nostri capi usiamo solo i materiali più esclusivi e i migliori tessuti primi tra tutti quelli Dormeuil; dedichiamo una cura ai dettagli tipica del Made in Italy

perché è questo che i nostri clienti, stranieri e non, cercano e si meritano”. E se il successo di un prodotto si misura nella soddisfazione del cliente, esponenti reali, capi di stato, imprenditori e uomini di successo sono già pronti a garantire per RE.A.LE. “Un cliente soddisfatto è quello che torna e molto spesso lo fa con un amico da presentarci. Il passaparola è infatti la prima forma di pubblicità per noi. Chi si presenta ad una riunione o a una cena di gala con un nostro capo è come se si presentasse con noi; per quello vogliamo fare sempre le cose al meglio”. Insomma a intervista finita non abbiamo più dubbi: Balzac ha scritto “Il brutto si copre, l’arricchito si addobba, solo l’uomo elegante si veste”, “da R.E.A.LE.” aggiungiamo noi. Passate parola! di Simona Melli - foto di Silvia Terzi

Chi dice RE.A.LE. dice... 3 LINEE SARTORIALI. Dai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo sartoriale fino agli uomini di potere che devono confrontarsi con un pubblico di alto livello… una soluzione personalizzata per tutti. ACCESSORI ESCLUSIVI. “Facilitare il cliente in tutto: confezionargli un look finito che possa indossare al mattino senza dover pensare a nulla”. Ecco quindi anche una vasta gamma di cinture, borse, portafogli in pelle liscia, cocco, struzzo... SNEAKERS PERSONALIZZATE. Esclusività dalla testa ai piedi! Da oggi è possibile indossare una scarpa completamente personalizzata “Made in Italy” e costruita a mano: in pelle, tessuto, con loghi, nomi o brand… a decidere è la fantasia del cliente! Remo Gigli Cell. +39.389.9816632 Andrea Terzi Cell. +39.331.9346169 www.realesartoria.it

A sinistra, Remo Gigli e Andrea Terzi all’opera nel loro laboratorio. In alto e sopra, alcune creazioni firmate RE.A.LE.

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entusiasmo in un

Gianni Rizzotti, un fotografo che ha fatto della propria passione un mestiere

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ENTUSIASMO IN UN CLICK

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ianni Rizzotti, friulano di origine, si innamora della macchina fotografica da piccolissimo, trasformandola in un passepartout attraverso cui conoscere il mondo. Trasferitosi a Monza con la famiglia, comincia a sperimentare la sua passione all’interno dell’autodromo. Passando le sue giornate a testa in giù, appollaiato su uno degli alberi che attraversavano la pista, decide che sarebbe diventato, un giorno, il fotografo ufficiale della Formula1. Determinato e sicuro di sé lo diventerà. La sua vera professione sarà però la fotografia di moda. Allievo di Serge Libiszewski e di Gian Paolo Barbieri ne apprende rispettivamente la tecnica e la sensibilità, finchè a 26 anni apre il suo primo studio a Milano. La moda, il beauty, l’advertising costituiscono però, per un fotografo poliedrico e mai stanco, soltanto un mezzo per spingersi altrove. Sono il reportage e, in generale, la fotografia di viaggio a riscuotere il suo vero interesse. Polo Nord, Patagonia, Turchia, Yemen, il fondo dell’oceano, Gianni Rizzotti ama un tipo di viaggio che ha poco a che fare con le vacanze. Un tipo di viaggio che è, prima di tutto, scoperta e conoscenza e che diventa, subito dopo, attesa, a volte estenuante, del momento giusto per scattare: “La passione e la voglia di essere in un luogo - racconta - ripagano il sacrificio dell’attesa”. La fotografia di viaggio, infatti, non si limita agli spostamenti spaziali. Viaggiare è anche entrare in contatto con mondi nuovi, lasciandosi affascinare e non perdendo mai la curiosità. Così nascono le sue pubblicazioni: ‘About us’, un primo libro che racconta il mondo delle moto, cui ne è seguito subito un secondo, ‘Occhio alla moto’. Ma i progetti sono tanti e sempre diversi per concetto, stile o trattamento. Perché un fotografo è un po’ come un avventuriero che giunge fino all’estremo e, invece di lasciarsi travolgere, si ferma e scatta.

di Martina Polimeni Nella pagina precedente, un primo piano della supermodella Alek Wek. In alto, un autoritratto del fotografo. A destra, l’attrice Bianca Guaccero in una foto contenuta nel libro “Occhio alla moto”.

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Il manager Marco Seniga in una foto contenuta nel libro “Occhio alla moto�.

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Antonio Rossi, brigadiere delle Fiamme Gialle, in una foto contenuta nel libro “Occhio alla moto�.

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ENTUSIASMO IN UN CLICK

L’IDENTI-CLICK Nome: “Gianni” Cognome: “Rizzotti” Soprannome: “Il maestro” Data di nascita: “29 Agosto 1953” Luogo di nascita: “Spilimbergo (PN)” Passioni: “Viaggiare senza mai dimenticare la macchina fotografica” Libro sul comodino: “Napoléon, di Max Gallo” Piatto preferito: “Polenta e frico” Il sogno nel cassetto: “Andare in Antartide” Chiudi gli occhi e sei...: “In Australia, cullato dal movimento del mare sulla barriera corallina” La tua colonna sonora ideale per un viaggio: “Jimi Hendrix” La soddisfazione maggiore raggiunta: “I complimenti del mio maestro Gian Paolo Barbieri” L’ultimo film che hai visto: “The Iron lady” Non puoi uscire di casa senza...: “Aver dato un bacio a mia moglie Laura” Chi è Gianni Rizzotti in 1 parola: “Vulcanico”

“Fare il fotografo è un mestiere totalizzante: anche quando non ci si porta dietro la macchina fotografica, con gli occhi, si scatta. Qualsiasi cosa io faccia, in realtà, sto scattando fotografie” OPINION LEADER 77

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quando il Made in Italy si mette in

MOSTRA

A Milano “Disegno e Design”: una rassegna sulla storia della creatività italiana

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he cosa unisce il Ciao (il ciclomotore brevettato dalla Piaggio nel 1967) e il gatto di gommapiuma Meo Romeo (ideato da Bruno Munari per la Pirelli nel 1949), le creazioni di Salvatore Ferragamo e le macchine da caffè di Alfonso Bialetti? A qualcuno può sembrare scontato, ma non lo è affatto: è il design e la genialità italiana. Fra invenzioni, intuizioni ed eleganza i documenti di brevetto non solo custodiscono e proteggono le idee e il lavoro di designer, ingegneri e inventori fantasiosi, ma ripercorrono lo sviluppo, i sogni e le trasformazioni dell’Italia moderna. È questa la presentazione della ricchissima mostra “Disegno e Design” che si è tenuta a Milano, al Palazzo della Besana, dal 27 novembre 2011 al 29 gennaio 2012. Un’esposizione prodotta dalla Fondazione Valore Italia e dal Ministero dello Sviluppo Economico e promossa dall’Assessorato alla Cultura, Expo, Moda e Design del Comune di Milano, nata per presentare sotto una luce nuova il valore della creatività italiana applicata alla produzione industriale, unita all’interesse che comporta la corretta tutela della proprietà industriale. Tutto questo con l’obiettivo di restare in possesso della competitività del nostro paese nei mercati internazionali. La mostra ha ospitato centinaia di brevetti, disegni e marchi, attualmente tutti conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato e l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che ha avuto come proposito quello di connotare l’evoluzione e l’espansione della creatività italiana degli ultimi cento anni. Ne è nato un viaggio affascinante che ha coinvolto e portato i visitatori ad affacciarsi non solo dinanzi ai prodotti, comunemente già noti, ma soprattutto “nel backstage intellettuale” del designer attraverso i documenti brevettuali da cui è scaturita l’idea. A completare il percorso una ricca selezione di manifesti pubblicitari d’epoca, che hanno presentato queste storiche icone sul mercato. La tappa milanese di “Disegno e Design” rappresenta la terza edizione di questa fortunata Sopra, flacone di vetro conico, Campari, 1955.

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esposizione, che si è rinnovata nel tempo rispetto a Roma nel 2009 ed a Shanghai nel 2010, attualizzando ed ampliando i contenuti già presentati. L’edizione milanese ha voluto rappresentare un ulteriore contributo alla politica di diffusione di una corretta cultura della proprietà industriale che vede impegnata, ormai da molti anni, la Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione del Ministero dello Sviluppo Economico. Dalla nascita dell’idea alla realizzazione della stessa, con un’attenzione particolare ad un aspetto sinora poco indagato della produzione industriale e che costituisce invece il valore aggiunto del fenomeno del Made in Italy: l’unicità e irripetibilità del modello. Entrando più nei dettagli, il percorso espositivo a cui abbiamo preso parte si snoda dall’inizio del ‘900 e arriva fino ai giorni nostri, attraverso i più importanti settori merceologici: arredamento, moda, agroalimentare, veicoli, ricerca e innovazione. Il nucleo principale è costituito da brevetti concessi tra il 1900 e il 1965, per scoprire che oggetti di uso quotidiano, forme a noi divenute familiari e quasi scontate, sono in realtà frutto di un’idea innovativa e di un progetto. Vere e proprie icone del design e della produzione italiana, In alto, Ciclomotore Ciao, Piaggio, 1967. Sopra, Poltrona Ghost, Fiam, 1989.

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QUANDO IL MADE IN ITALY SI METTE IN MOSTRA come ad esempio la Vespa, il gatto Meo Romeo, la poltrona Vanity Fair, la lampada Tolomeo, testimoniano l’incredibile e preziosissimo apporto della creatività all’economia nazionale. Non mancano inoltre filmati, materiale documentario fornito da archivi privati, archivi storici e musei d’impresa, pubblicità e contributi audiovideo dei protagonisti dell’industria italiana. Un volume che di certo non dovrete farvi mancare nella vostra personale collezione è il catalogo edito da Marsilio Editore che raccoglie un’autorevole rassegna di saggi critici di professionisti ed esperti del settore accompagnando le immagini dei brevetti. Tra i vari ospiti illustri transitati in Besana e che abbiamo avuto il piacere di incontrare, ci ha colpito la presenza del Campione del Mondo della Super Bike Carlos Checa e il vice campione Marco Melandri. Chi l’avrebbe mai detto che due fra i piloti più popolari e amati dalla gente fossero anche appassionati di design! Com’era prevedibile le icone del design che hanno riscosso maggiore interesse non potevano che riguardare le due ruote, dalla Lambretta al Ciao passando per la Vespa, che se solo avessero avuto un po’ di

carburante… anche perché il casco era a portata di mano, infatti a pochi passi era possibile apprezzare il Nolan N104, un’evoluzione del modello modulare che ha segnato la storia dell’azienda di Brembate di Sopra. Non vogliamo inoltre dimenticare l’impegno che questa mostra ha profuso anche verso gli studenti, presentando quattro pubblicazioni dedicate proprio a loro, diversificate per scuole elementari, medie, superiori ed università, con l’obiettivo di sensibilizzare gli Italiani di domani portandoli a conoscenza degli elementi di base necessari per comprendere il reale valore dell’originalità di un’idea e del prodotto che ne deriva. I testi di Enrico Morteo, Roberto Piumini, Franco Ferrarotti e Giampiero Bosoni accompagnano le immagini dei brevetti con un linguaggio a metà strada tra il gioco, la riflessione sociologica, il contributo tecnico, con leggerezza e al contempo serietà scientifica. di Fabio Operti

Calzatura femminile con rivestimento a decorazioni ornamentali, Salvatore Ferragamo, 1940.

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l’arte di

GIORES Giorgio Restelli, in arte “Giores”, mette in mostra il colore

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rendete 120 pagine di pura ricerca visiva, 1200 metri quadrati di spazio espositivo, il tema del viaggio e… aggiungete il colore. Molto colore. E se non siete di quelli che “o è bianco o è nero”, lasciatevi guidare alla scoperta di un’esperienza da pelle d’oca. “Giores” è l’opera fotografica di Giorgio Restelli, il direttore delle Risorse Artistiche di Mediaset, raccontata nel volume Electa dall’omonimo titolo e presentata al pubblico al “Moc Arte” di Lodi. La mostra, inaugurata lo scorso 27 ottobre con un grande evento al quale hanno partecipato tantissimi volti della televisione e del giornalismo, ha rappresentato per i presenti l’occasione di vivere un indimenticabile percorso all’insegna di una geografia ricolorata e rivisitata. Partendo da una galleria d’arte assolutamente fuori dal comune, il locale di Giulio Gipponi, i visitatori sono stati condotti in una dimensione nuova, “rapiti” da quel mondo di colori raccontato in modo così “trasparente” dagli scatti di Giorgio. Osservare le sue opere vuol dire infatti abbandonarsi

a un’appassionante fuga tra paesaggi e scorci di vita, alla ricerca del contatto con la natura e la cultura di popoli che abitano luoghi isolati: dalle Seychelles al Texas, dalla Cambogia all’India. Gomitoli, lampioni, balconi, facciate, porte: ogni scatto è pervaso da una forte intensità emotiva e sebbene nasca sempre da un’esigenza reale e concreta, il voler ricordare un viaggio fatto nei cinque continenti, porta comunque all’esplorazione di un subconscio universale. Sono i colori accesi dei dettagli nascosti a sprigionare un’energia che va al di là dell’oggetto fotografato per comunicare una ricerca più profonda. Il coinvolgimento, non solo visivo, che scaturisce da “Giores” è assicurato, perché, come ci ricorda Giorgio Restelli, “senza il colore non poteva esserci vita, e quindi non poteva esserci la fotografia.” E noi aggiungiamo: non potrebbe esserci emozione.

di Silvia Barlascini

A sinistra, Giorgio Restelli posa davanti a una delle opere in mostra al “Moc Arte” di Lodi. Sopra, due immagini della collezione raccontano le più importanti esperienze di viaggio, e di vita, di Giorgio.

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L’ARTE DI GIORES

Nella pagina precedente i colori catturano i dettagli di un luogo e di un’emozione. Sopra, due foto scattate durante il vernissage della mostra. Tra gli ospiti presenti: Ezio Greggio, Enzo Iacchetti, le veline Costanza e Federica ed Elenoire Casalegno.

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L’ARTE DI GIORES

A sinistra, due opere protagoniste dell’esposizione “Giores”, oggi raccolte nell’omonimo volume (Electa, anno di pubblicazione 2011). Sopra, Giorgio Restelli durante la serata di inaugurazione, in compagnia di Cristina Parodi, Martina Colombari e Piero Chiambretti.

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FASHION GULP

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“Bang, gulp, snort”, ma da oggi anche “fashion, cool, trendy”: l’arte del fumetto diventa moda. 1 - Il supereroe Thor si prEpara a conquistaRE anche i guardaroba più ironici con la T-shirt stampata di BK by Sicem per Marvel (€34,90). 2 - Per sentirsi addosso lo spiRITO allegro dell’avventura, il ciondolo Eliot di SWAROvSKI decorato con cristalli tricolore, inseriti ® con l’esclusiva tecnica Pointiage (€187). 3 - L’arte Neo Pop del talentuoso artista Willow veste anche il classico BORSALINO con immagini stampate e dipinte a mano (€195 CIRCA).

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ung s m a S o v o u n l oi t a v i r r èa

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. in Italia o t a c r o è sba s i r r o s n a con u c c o l b s i per e che s grande stile n o i z ss, @su a e r n l e n o i n o e c o l ima g E lo ha fatt t logia, @ esentazione de l o u n c i e t d o te: @ o. di pr lefonin i Milan bero sta izzato l’evento g d b o e r r o o a i g s s l l g I a ce er ook le t italiano o caratt tore Ex

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cio aceb lo S hann del lan presso ost su F nti che a e p e alto i i r z n d i b t e u r o m g o e n t n la dic sta rata ad li i , e g ° e e s , s 1 z i s t a n t o o f n e a s f r u d lo in sco ten con to artico ospiti. Questi, enuto lo ologia e ha debuttato v n v c a e t i Se ques , s di d i u n smile xy Nex e @gra eguiti d oggetto a s o l n o n a o ù i i u t m G i p a s g n c s g o n lo su nti blo uovi ca c importa imo Sam i buzzing sui per il n si sbloc ù i e e p n h o c e i l l s e nuoviss d e s i Vip tra oro pa layer d l timane artphon t p m i e a m i s l s s s a i ” t o o e l o n p r Do Olt ivis ae i. la he ta Ludmil retizzat oni e… sorris o “cond ato” l’evento! uti, anc c i e n c n n s i o a o n c n h ia è o i e c iv k si oz ch “li ed più eo V to di em blogger dsetter y Nexus e hanno z, Matt n x e e a r u l t g a i i r G a d contenu ek e i fashion intervenuti ch o Ro uov ast e ge enthusi , Cecilia tenzialità del n mici o h r a c e i i e l l t l g i o Tanti i a io F 0 a le po i Claud zionali, anuela ù di 50 m d a i i m r n p e r p E ; n e e t o t , o i t i n n l z i n cu llia in a li e ita, talla naziona ci, Adriano Ga tare dal vivo e ideo ins phone e dato v i v e r a . l s e o c t aziende ru i te ttac gion mar agin Elio Fio o il privilegio d alla spe di imm to i dello s esta sta r e i u i o s l z q r o i a i c r u r d i quali g g 4 lo e i so usse even nko… A have indiscus la serata, anch l’Excelsior con in un s dirlo, l’ i o z d z a o Radche l l s t e e a a s t d del p iani è il c lo a mu sicurato duran ceso i p tettura omma, i c s h a n elegger c I i s r t a . t a s ’ a l ” f u l Nex o! he a ha in effect Galaxy e sorris ce, anc ilanese d n “WOW o m a n v a o a m r t u o s g f i n t r L’ar n un ta il o pe ncata i Sinatti. ile vide con protagonis a b l i a d p e s r c i in ri anz con una ti e spettacola occa aperta… b n ge tti a coinvol sciato tu la a h g Samsun na di Simo

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Samsung’s party people 1 - Il geek, super hi-tech, Luca Mercatanti. 2 - Un momento della video installazione dell’artista Claudio Sinatti. 3 - Una bellissima Cecilia Rodriguez. 4 - L’ex Miss Italia Federica Moro mostra sorridente il Samsung Galaxy Nexus. 5 - Il googlefonino conquista anche la coppia Viviani-Radchenko. 6 - Claudio Sinatti ha animato i 4 piani dello Store Excelsior con i 4 colori Samsung. 7 - Un sorridente Marco Balestri. 8 - L’amministratore delegato del Milan e Carlo Barlocco. 9 - Emanuela Folliero “annuncia” l’arrivo del nuovo Samsung. 10 - Sang Chul Lee brinda all’ottima riuscita dell’evento. 11 - Le hostess Samsung pronte ad accogliere gli ospiti. 12 - Irene Colzi del fashionissimo blog “Irene’s Closet”. 13 - Il palazzo dell’Excelsior animato da una spettacolare video proiezione. OPINION LEADER 93

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1 - Elio Fiorucci alle prese con il nuovo Googlefonino. 2 - Una sorridente Susanna Messaggio posa con il nuovo smilephone. 3 - Adriano Galliani marca stretto il Samsung Galaxy Nexus. 4 - Susanna Messaggio e il simpatico Giorgio Mastrota insieme. 5 - Alicia Lubrani Consumer Marketing Communications Samsung e Salvatore de Martino Direttore Creativo dell’agenzia Opinion Leader che ha curato l’evento. 6 - Martina Panagia mostra felice il nuovo gioello di casa Samsung. 7 - Anche la facciata dello store Excelsior semnbra sorridere... 8 - Un brindisi tra la iena Matteo Viviani e la bellissima Ludmilla Radchenko. 9 - Elio Fiorucci, pollice alzato, sembra dire “mi piace” il nuovo googlefonino. 10 - Sang Chul Lee e Carlo Barlocco, rispettivamente Presidente e Vice di Samsung Electronics Italia. 11 - The beauty and the geek; i due blogger Eleonora Carrisi e Filippo Fiora. 12 - Adriano Galliani e Claudio Barlocco provano il nuovo Galaxy Nexus. 13 - Il geek Simone Zaccariello del blog “GeekItalia”. 14 - La fashion blogger Veronica Ferraro di “The Fashion Fruit”. 15 - L’ex velina Thais Souza Wiggers conquistata dal nuovo Galaxy.

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MOOD Tradizione e design, la chiave del successo di Minacciolo

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ontinua il viaggio della redazione di Opinion Leader alla scoperta di quelle realtà aziendali che si sono affermate non solo nel nostro Paese, anche a livello internazionale, esportando in tutto il mondo le unicità e i valori del Made in Italy. Abbiamo fatto tappa a San Biagio di Callalta per incontrare una delle imprese di arredamento più apprezzate: Minacciolo. L’occasione era ghiotta perché il 18 novembre veniva inaugurato in anteprima il nuovo showroom presso la sede principale dell’azienda e non potevamo mancare all’appuntamento. Davanti ai nostri occhi si è presentato uno spazio di ben 1200 mq incredibilmente suggestivo, pensato fin nei minimi dettagli e capace di rappresentare ma soprattutto evocare la filosofia del marchio. L’evento, avvolto in una magica atmosfera, è stato accompagnato inoltre dalla presenza della bellissima attrice e modella Martina Colombari, che con la sua eleganza ha contribuito a conferire quel tocco di classe e a rendere indimenticabile la serata. Tra un risotto ai funghi e altre prelibatezze locali, Chiara Minacciolo, responsabile marketing e comunicazione, ci ha raccontato un po’ la storia dell’azienda, che come molte realtà di successo è sbocciata con il duro lavoro e la passione per l’artigianalità del papà Maurizio Minacciolo. Cresciuto da sempre nel mondo dell’arredamento, nei primi anni ‘70 Maurizio decide di fondare una piccola azienda con l’idea di industrializzare la produzione di mobili rustici in stile “ampezzano-tirolese”, molto in voga in quel periodo. Nel 1974 nasce il primo stabilimento e l’azienda, grazie alla richiesta sempre maggiore, conosce un veloce sviluppo. Nel 1991 avviene una svolta fondamentale: con la collezione “Tolà”, Minacciolo propone il mobile country in inediti e svariati colori, con reminiscenze stilistiche provenzali, inglesi e umbro-toscane, arricchito però con la tecnologia ed il know-how tipicamente italiani. Il preludio all’ulteriore importante passo successivo: Minacciolo dà vita alla collezione “English Mood” che, con le sue delicate e raffinate linee, ripropone il country in chiave più elegante, svincolandolo dall’originaria destiIn alto, composizione zona giorno in finitura Bianco Gesso, collezione “English Mood”. Sopra, cameretta in finitura Bianco Burro, collezione “English Mood”.

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nazione in ambienti di campagna, rendendolo adatto anche alle case di città, dando vita alla tendenza “country chic”. Oggi “English Mood” non è solo una collezione d’arredo, ma uno stile di vita attento ai dettagli e ricco di eleganti emozioni. Offre un completo “programma casa”, adatto a vestire con eleganza qualsiasi ambiente, dalla cucina al soggiorno, dalla camera al bagno. L’elemento che più risalta nella produzione Minacciolo è il legno che viene lavorato da maestri falegnami, altamente specializzati, custodi delle antiche tecniche artigianali nel rifinire con precisione ogni dettaglio. Una caratteristica che ci ha profondamente colpito è il sapiente connubio tra l’atmosfera del secolo che è passato, custode della tradizione, con la funzionalità unita alla tecnologia del nuovo millennio che rende questi arredi davvero inimitabili. La produzione non si ferma al solo arredo ma copre un po’ tutti gli ambienti della casa, trovando complementi coordinati come tessuti, tendaggi, tappeti ed oggetti

per la casa, servizi da tavola, frutto di un’accurata selezione. Se vi abbiamo incuriosito andate a visitare le collezioni Minacciolo sarà facile trovare uno store nelle vostre vicinanze, infatti sono numerosissimi i punti vendita presenti in tutta Italia (dal sito www.minacciolo.it è possibile consultare l’intero elenco). Inoltre negli ultimi anni l’azienda ha cominciato a realizzare store monomarca, all’interno dei quali il cliente può toccare con mano tutti i prodotti ed assaporare un’inconfondibile ed unica atmosfera davvero emozionante! di Fabio Operti

Sopra, il momento del taglio della torta che inaugura il nuovo showroom. Da sinistra: Giulia Minacciolo, Martina Colombari, Maurizio Minacciolo, Vallì Minacciolo, Chiara Minacciolo, Charlotte Krona.

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Store Deha: apertura in stile

HOLLYWOOD All’evento era presente la modella e attrice Madalina Ghenea, nuovo volto del brand, accolta da una folla di paparazzi

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opo Milano, Rimini, Riccione e Palermo il 17 dicembre Deha ha aperto il suo nuovo monomarca nella capitale, nel centro storico di Roma, a pochi passi da Piazza di Spagna e Via Condotti, il fulcro della fashion life romana. Proprio in quell’angolo della città in cui si respira moda, tra piccole botteghe artigiane e i più grandi nomi del fashion system, nasce il nuovo monomarca coerente con lo stile del brand. All’interno del negozio, dal quale si accede superando le vetrine allestite in maniera impeccabile, è possibile trovare tutta la collezione Deha e provare gli outfit preferiti all’interno degli ampi camerini. L’inaugurazione dello store è stato un evento da red carpet, grazie alla presenza magnetica di Madalina. I paparazzi accorsi per l’evento di apertura hanno portato nella capitale, con i loro flash e le loro luci, un po’ di quella magia tipica di Hollywood che tanto fa sognare, rendendo l’opening ancora più appealing. Che Madalina Ghenea fosse bella, non c’era alcun dubbio. Le sue foto parlano da sole e nella campagna Deha, dove interpreta i più grandi musical della storia, da Cats a Moulin Rouge, è superlativa. A Roma, in occasione dell’apertura del nuovo store Deha, dove Madalina ha incontrato giornalisti, blogger e fan, abbiamo scoperto che è anche simpatica. All’interno del negozio Madalina ha chiaccherato con alcune tra le più conosciute fashion blogger della città, tutte colpite dal suo total outfit Deha grintoso e sobrio allo stesso tempo e dalla sua disponibilità a raccontarsi e farsi fotografare insieme a loro. di Vera Vanetti

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IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI (con stile) 2

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Per chi vuole andare dove non è mai stato e ama essere alla moda ovunque. 1 - Portachiavi LOUIS VUITTON in metallo argentato e smalto, per non dimenticare da dove si è partiti (€325). 2 - Su radure deserte o su spiagge affollate, polo in cotone con bottoni in metallo e madreperla di JACOB COHEN (€280). 3 - Per attraversare montagne, costeggiare fiumi e camminare sotto cieli stellati, i comodi bermuda con tasche laterali firmati MEETING (€102). 4 - Scarpe Hi-Top in pelle HOGAN REBEL, perfette per deviazioni e percorsi inesplorati (€235).

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bio Cassina, a F r a c s O i d a t L’autointervis il fiato sospeso n o c e n e i t i v e er ch l’autore-manag ina? mano e ica dalla copert ud gi si o br cui si allunga la li r n pe U o iv ot m il è copertina convincono ecco L’immagine della e associazioni ci du te es qu Se o. ol noi qualcosa ci fa leggere il tit e voilà dentro di a… am tr la o m cassa della leggia mani fino alla che lo giriamo e re st no lle ne e riman succede. Il libro lla nostra vita. parte di noi e de a nt ve e un suo libro? di e a ri re lib come far piacer a a ns pe re to au Ma quando un il libro “nasce”. e anno fa do an qu Ci pensa giugno di qualch di a ic en m do giornata to una Milano. Era una Lo Zodiaco è na di o m uo D l de la l’ingresso entrare dentro mentre varcavo era in coda per e nt ge di ù la e pi sa di lio ava di sole meravig e ci si preoccup ch i nt ta e si va co da o rcon vam cattedrale. Era tto ciò che ci ci tu e ch te on fr i. eva di i segni zodiacal aiutare chi si av derli i simboli de ve a i alla nz se no va ro e lo racconta lib il tutti calpesta te en m in avevo già Duomo mi ha Una volta uscito nsato dentro al pe lo er av di o tt Il fa ne di Milano mia compagna. i anche altre zo or tt le ai e” er “ved ante della città. suggerito di far sono parte integr e ch a chiara. m e os m la trama era già do più o meno fa an qu po do “nati” poco a ogni giorno I personaggi sono lo sguardo trov ve do à tt ci a un , no prima. I Il luogo: Milano ha visto il gior n no e ch o ov rtante o di nu un passato impo sempre qualcosa n co e tt tu , ili do cosa rsone um : si crea seguen se protagonisti: pe en sp su a L . con il libro che lo diventerà r segno. onare a se accade, segno pe ci spiace abband e go lo pi l’e re preparare scrive la mente corre a Poi si arriva a à gi e ti na no gi che so stessi i personag nte. storia appassiona una loro nuova Cassina di Oscar Fabio

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i n a m r A stay with

Non è soltanto N lt t uno slogan, l ma lla fil filosofi fia profonda f d d dell nuovo hotel h t l griffato Giorgio Armani

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STAY WITH ARMANI

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opo un’attesa durata mesi, senza mai lasciar trapelare la minima informazione o qualche dettaglio così da farci sognare anche solo un pochino, finalmente il 10 novembre scorso in via Manzoni al civico 31 è stato inaugurato il nuovo elegantissimo e griffatissimo Armani Hotel. Un opening in pompa magna, tantissimi i vip e personaggi del mondo dello spettacolo che hanno preso parte all’evento stramondano: da Barbara Berlusconi con il suo compagno Pato a Matteo Marzotto, Bianca Brandolini d’Adda, Eva Riccobono e direttamente dagli Stati Uniti, solo per provare in anteprima le morbidissime lenzuola del nuovo Hotel di Re Giorgio, sono arrivate pure le attrici Jessica Alba e Maggie Gyllenhaal. L’hotel si può considerare come un atto d’amore verso Milano da parte dello stilista, accolto in città alla fine degli anni ‘50, un’epoca in cui ci si rimboccava le maniche e si veniva travolti dalla voglia di fare. Sarà un luogo soprattutto per gli stranieri di passaggio e contribuirà a mantenere viva via Manzoni per i milanesi anche la sera. Un hotel che nasce con la prerogativa di reinterpretare il concetto di ospitalità, di offrire in ogni dettaglio la mission estetica di Armani, dove il piacere personale trascende l’abito ed esplora i 5 sensi. L’Armani Hotel di Milano rappresenta la seconda incursione di Re Giorgio nel mondo dell’hôtellerie di lusso in collaborazione con Emaar Properties PJSC. Dopo l’hotel di Dubai, situato all’interno del Burj Khalifa, l’edificio più alto del mondo, il progetto Armani Hotels & Resorts scende fra le vie del Quadrilatero della moda nel cuore della città, all’interno dello straordinario palazzo di via Manzoni, in stile razionalista, progettato originariamente da Enrico A. Griffini nel 1937 e che lo stilista ha rilevato nel 1999. In questo edificio dalle linee potenti e austere, Giorgio Armani ha creato un mondo dove armonia e privacy si fondono insieme, in cui il lusso e la bellezza sono declinati nel più puro stile Armani, creando le condizioni per ridefinire un nuovo concetto di benessere:“Mi sono concentrato su ciò che volevo offrire seguendo la mia personale visione dell’estetica e un’idea precisa del comfort”, spiega lo stilista, in cui emerge un’attenzione alle esigenze degli ospiti al limite dell’ossessione. In questo “contenitore” di raffinatezza Armani ha realizzato i suoi sogni, compreso quello per la privacy totale. Come non apprezzare la peculiarità degli ascensori che vanno alle camere differenti da quelli che convogliano negli spazi comuni. I corridoi di puro scorrimento accompagnano

agli ingressi delle camere senza permettere di affacciarsi nemmeno con lo sguardo, un risultato ottenuto grazie a una nuova visione di ridistribuzione dello spazio che permette di creare un piccolo ingresso, evitando di presentare immediatamente alla vista l’intimità della stanza. Le 95 camere e suite offrono diverse soluzioni: dall’Armani Deluxe (ampiezza fino a 45 metri quadrati) alle suite Armani Signature e Armani Presidential, le cui dimensioni variano dai 170 ai 200 metri quadrati, articolate a doppia altezza con una magnifica scala dal forte impatto architettonico. Le stanze sono prima di tutto un’espressione di spaziosità e gusto per l’ordine che Giorgio Armani sperimenta da anni nelle proprie case. Equipaggiate di minibar, impianti hi-tech, armadi che scompaiono nelle pareti, accentuano l’impressione di una ricercata e rigorosa ampiezza tuttavia sempre accogliente così come vorreste che fosse la casa dei vostri sogni. Tutti gli arredi dell’hotel si ispirano alle collezioni Armani/Casa realizzati appositamente per l’albergo in varie preziose finiture che riflettono l’atmosfera d’epoca del palazzo: dai divani lineari rivestiti di raffinati tessuti, alle testate di legno retroilluminate dei letti. La stanza da bagno, è un’altra “chicca”, espressione di un vero couturier. Idealmente strutturata per due, offre i migliori servizi e la riservatezza di una cabina doccia il cui vetro permette la vista soltanto dall’interno verso l’esterno. Per quanto riguarda invece i pavimenti e le pareti, sono state scelte sfumature naturali crema-marrone a testimonianza di una costante ed elegante sobrietà che si manifesta anche nei materiali: gli elementi sono infatti realizzati con una pietra dalla texture regolare, Silk Georgette, proveniente dall’Asia. L’Hotel Armani non poteva che stupirci ulteriormente quando ci siamo imbattuti nei Lifestyle Manager, regalandoci un’inaspettata novità in termini di servizio. Costoro sono infatti il punto di riferimento per i clienti, perché si impegnano a soddisfare bisogni e desideri con un’assistenza continua e discreta. Dal momento della prenotazione si prendono cura dell’ospite, facilitando ogni procedura e ogni esigenza. Fin dal primo incontro nella lobby, affacciata su via Manzoni, quando il Lifestyle Manager accoglie il cliente e lo accompagna al settimo piano. Già, perché questo piano è il vero ingresso! E le vetrate che lo circondano un po’ di vertigini le mettono. Completa l’esperienza in questo incredibile hotel la visita agli spazi comuni concentrati al settimo e ottavo piano, definito come una sorta di ‘cappello’ Nella pagina precedente, una veduta notturna del complesso Armani in via Manzoni 31 a Milano, all’apice svetta l’Hotel. A destra in alto, l’elegante stanza da letto. Un sapiente connubio tra stile minimalista e comfort assoluto. A destra in basso, un’immagine della guest room arredata con mobili della collezione Armani/Casa.

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Un particolare del ristorante che offre un panorama mozzafiato, da cui è possibile intravedere le guglie del Duomo.

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Sopra, altrettanto affascinante la visuale diurna offerta dall’Armani Hotel in una giornata di sole.

di vetro, che regala una spettacolare e inaspettata vista su Milano, dal Duomo ai nuovi grattacieli. Al settimo piano si trova l’Armani/Ristorante, dove, fra pavimenti a scacchi in onice retroilluminato e granito nero e arredi e biancheria in nuance, si fa strada la ricca tradizione gastronomica italiana, con un’enoteca esclusiva, una sala da pranzo privata e un tavolo dello Chef all’interno della cucina. Ancora un piano di ascensore e siamo arrivati all’ottavo livello. È arrivato il momento di concedersi una tappa nella Spa “con vista”, l’unica in città. Quest’area si estende su di una superficie di 1000 metri quadrati interamente dedicata al benessere, alla bellezza e al relax, raccogliendo tutti i trattamenti e le terapie che infondono armonia tra mente e corpo. Individuato con lo Spa Manager il proprio percorso benessere si può scegliere fra sei sale trattamento dedicate, una couple Suite (per la coppia inseparabile) e una piscina progettata per bagni rilassanti che grazie alla possibilità di regolare la temperatura, favorisce uno stato di completo rilassamento. E se proprio non riuscite a fare a meno della palestra

troverete un vasto assortimento di attrezzi per l’allenamento cardiovascolare e muscolare, con accesso 24 ore su 24. Per gli incontri di lavoro è disponibile anche l’Armani/Business Centre. Aperto anche in questo caso 24 ore al giorno, copre una superficie di 200 metri quadrati, ed è dotato di una sala meeting privata e due saloni consiliari, con tutte le attrezzature più all’avanguardia in grado di rispondere alle richieste degli ospiti. Prima di lasciare l’albergo, facciamo capolino al Bamboo Bar dove fra musiche provenienti da compilation by Giorgio Armani, ottimi cocktail, mi godo ancora per una volta un’altra veduta della città, mai come oggi così speciale. di Fabio Operti

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Friuli Venezia Giulia: vivi la tua prossima

VACANZA L’idea per la prossima vacanza: mare, montagna, musica e cultura sotto il segno del Friuli Venezia Giulia, per un’esperienza da vivere in relax e puro divertimento

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orna a Milano l’evento più turistico dell’anno con un’edizione tutta nuova ed un concept ancora più business: la 32ma BIT (Borsa Internazionale del Turismo), che ha ospitato nei giorni 16-19 febbraio circa 2.000 espositori provenienti da 120 Paesi. Dati che dimostrano come il mercato del turismo continui a crescere in tutto il mondo, basti pensare che da noi in Italia contribuisce per il 13% del PIL, con una stima futura del 20%. Un’offerta ampia e diversificata che esalta le unicità di regioni e Paesi, facendo respirare l’intensa tipica di ogni viaggio anche solo attraversando i padiglioni dei circa 85 mila metri quadrati della Fiera. Ed è proprio qui che ci imbatte nello stand del Friuli Venezia Giulia: imponente, importante, pronto a far vivere l’esperienza di una vacanza tutta nuova tra musica, gastronomia e natura. E quel “vivere” non è usato a caso, ma è il concept dominante dell’intero spazio: LIVE, un riuscitissimo gioco di lettere tra FriuLI e VEnezia che da subito esprime l’importanza di sentirsi dentro un determi-

nato mondo, che è innanzitutto approccio alla vita della propria terra. Una terra dalla storia millenaria, regione a statuto speciale dal 1963, il cui nome deriva dal latino Forum Iulii, ossia foro di Giulio. Venezia Giulia fu successivamente introdotto per volontà di Graziadio Isaia Ascoli, linguista goriziano che lo propose rifacendosi alla tradizione romana della X Regio Venetia et Histria e delle Alpes Juliae. Aree dedicate dove trovano posto i cluster presenziati da Turismo FVG: turismo culturale, turismo naturalistico, mare, montagna, wellness e turismo enogastronomico e, su tutte, l’area Music&Live, allestita ricreando fedelmente l’atmosfera dei concerti dal vivo, con la possibilità per i visitatori di farsi fotografare immersi nel pubblico di fans di Springsteen oppure di Ligabue. Vivere il Friuli ancor prima di visitarlo. Una visita allo stand che fa da aperitivo alla possibile scelta del Friuli come meta per la prossima vacanza: con la bella stagione alle porte sarebbe un delitto non pensare di nuotare nel mare di Grado o Lignano? “Piccola Florida d’Italia”, così Hemingway definiva Lignano Sabbiadoro, capitale estiva del divertimento, dall’effervescente vita notturna e ricca di negozi e boutique che la rendono meta preferita di un turismo giovane e dedito allo shopping. E che dire di Grado? Meta per eccellenza del turismo famigliare, con la sua vasta offerta di parchi di divertimenti, centri benessere e un centro storico che la rende un piccolo gioiello delle terre di Nordest. Per tutti i gusti. Per chiunque voglia regalarsi una vacanza su misura, da vivere in compagnia o in famiglia, purchè in relax e divertimento. Nell’Area dedicata al turismo enogastronomico un caleidoscopio di sapori accompagnati da 80 milioni di bottiglie d’eccellenza: se la cucina friulana rappresenta il punto di fusione di tre grandi correnti culinarie (mitteleuropea, veneta e slava), la tipicità dei sapori regionali si manifesta infatti in una ricchezza di ricette capaci di soddisfare qualsiasi palato. Sapori di mare e di terra arricchiti dalla florida produzione vitivinicola del Friuli, tra cui spiccano i vini bianchi con otto zone DOC, due DOCG ed una DOC interregionale. Una ricchezza naturale che da vita a ben 1.500 aziende dedite alla produzione di 80 milioni di bottiglie l’anno, con gioielli del gusto come il Picolit e Ramandolo, senza ovviamente dimen-

Sopra, l’estate vista dal Molo di Trieste e le sue barche.

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Sopra, uno scorcio autunnale di Borgo Antico.

ticare il Friuliano, vino bandiera del territorio regionale. Protagonista dello stand del Friuli è senza dubbio la tecnologia di cui è dotato e che permette ai visitatori di navigare in libertà sul portale turistico della regione. Inoltre la presenza della web Tv consente anche a chi non è presente di visitare lo stand e seguire in streaming gli eventi in programma durante la 4 giorni della BIT. Eventi capaci di richiamare un pubblico numeroso e variegato, caratterizzati dalla presenza di nomi di spicco del mondo dello spettacolo e dell’informazione. E di eventi, soprattutto nautici, il Friuli può fare scuola… circa 100 all’anno! C’è solo l’imbarazzo della scelta, basta scegliere una data e partire per una vacanza, dove più mondi si fondono in un unico territorio fatto di colore, profumi e tradizioni. Dove la bellezza storica di una città come Trieste accoglie nelle sue strade turisti curiosi, guidandoli nelle mille facce del suo patrimonio artistico, mentre Gorizia rappresenta il vero “melting pot” dell’area Mitteleuropea, infine, Pordenone, spicca per il suo centro storico e l’offerta di musei e mostre temporanee che immergono il turista nella storia e nella cultura locale. E se per ora abbiamo respirato la forza di questa terra attraverso immagini, colori, profumi e video in uno stand indiscusso protagonista della 32ma BIT, attendiamo di partire per goderne della bellezza dal vivo. LIVE, appunto.

Save the date Eventi imperdibili che consigliamo per vivere l’emozione del mare: DAL

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BARCAMANIA - a Lignano, un evento dedicato alla nautica da diporto.

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VELA E VELA - a Muggia, per tutti gli amanti della vela.

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SETTIMANA INTERNAZIONALE DEI TRE GOLFI - raggruppa eventi velici e di intrattenimento tra Muggia, Isola e Portorose (in Slovenia).

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LA GRAISANA - dedicata alla regata storica e allo yachting.

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BARCOLANA, COPPA D’AUTUNNO - Trieste diventa teatro della più grande regata del mondo per numero di partecipanti.

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NAUTILIA - la mostra nautica delle imbarcazioni usate che si svolge ad Aprilia Marittima di Latisana.

di Alice Cimini

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C

i sono occasioni in cui vogliamo essere perfette. La nostra festa di laurea, la cena per conquistare Mr. Lui, il colloquio per il lavoro dei sogni ed altre mille situazioni in cui vorremmo sentirci sicure e belle. Quindi, scegliamo l’abito più adatto, il make up giusto e facciamo pure una puntatina dal parrucchiere di fiducia per un piega impeccabile. Peccato che dopo un paio di ore quella piega perfetta svanisca, si afflosci e perda di volume e consistenza... Ve lo dice una che ha i capelli così fini e sottili che se un boccolo mi rimane in forma per un quarto d’ora ha battuto il record di messa in piega. Per cui quando mi hanno proposto di andare vicino Crema per provare un nuovo trattamento per capelli a base di olio di Argan che promette un fissaggio dello styling duraturo, non ho esitato ad accettare. Prima di tutto perché l’olio di Argan, se di buona qualità, è una garanzia di per sé: stimola le funzioni vitali delle cellule, ristruttura la base cutanea ed idrata il capello in profondità. Vogliamo aggiungerci anche che questo particolare trattamento della linea Nashi Argan garantisce l’effetto “piega perfetta” a mano libera o con spazzola in soli 10 minuti? Voglio provare per credere, quindi vado! Dopo un breve viaggio in auto arrivo nella sede Landoll dove, nel laboratorio tecnico, vengo accolta da una hair stylist che subito mi porta in postazione per il lavaggio dei capelli, mi bagna la chioma e la tratta con Nashi Argan Shampoo (un prodotto idratante arricchito di Olio di Argan ed Olio di Lino che, tra l’altro, protegge anche il colore) e senza applicare il balsamo passiamo alla fase successiva. No no, un attimo… senza applicare il balsamo? I miei capelli senza balsamo sono disastrosi ed indistricabili! “Fidati” mi dice, e io lo faccio. Step successivo: dopo aver pettinato i capelli bagnati con una spazzola Tek, con dentini in legno naturale che massaggiano la cute e stimolano il bulbo pilifero, viene applicato Nashi Argan Deep Infusion. La maschera di nuova generazione è in grado di conferire struttura ai capelli e facilitare lo styling. Viene applicata contro squama, ciocca per ciocca (cioè con movimenti dalle punte verso la radice) con un pettine a denti larghi del brand Tek e messa in posa per 7 minuti sotto il macchinario che chiamano “acceleratore di calore” e che si può riprodurre anche a casa semplicemente infilandosi una cuffietta in testa per permettere al prodotto di penetrare in profondità e far durare i suoi effetti fino a 15 giorni successivi al trattamento. Finito il tempo di posa, si sciacquano i capelli e si è subito pronti per la messa in piega. Dopo alcune spruzzate di Nashi voglio mettere alla prova la promessa della piega perfetta: chiedo un bel mosso, con spazzola e phon, sfidando la gravità e l’ostinata liscezza dei miei capelli. Lo styling è stato effettuato con la spazzola tonda Ceramik Antibacteric con setole realizzate con un Nylon speciale addizionato con un potente antibatterico: perfetta per l’uso professionale è “easy cleaner” più facile da

capelli da

DIVA

la beauty blogger Martina di www.deeplydiva.com ha provato per noi in anteprima un trattamento per nutrire i capelli con olio di Argan

Sopra, Martina e la linea di prodotti Nashi Argan.

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pulire. La prima cosa che noto è che anche senza aver applicato il balsamo i miei capelli sono facilmente pettinabili (e questo è un ottimo segno) ma aspetto comunque che la piega sia terminata per valutare bene. O meglio, io vorrei aspettare di arrivare a sera per vedere se i bei boccoloni che mi sono stati acconciati rimangono in piega per anche solo due ore, e sarebbe già un bel successo. Una goccia di Nashi Argan Oil per dare un tocco di luce in più, saluto tutti e mi rimetto in auto verso casa: ho una cena importante la sera stessa e devo sbrigarmi per prepararmi al meglio. Un’ora e mezza di auto per tornare a Milano, una prova abiti per vedere qual è il più giusto per l’occasione, un velo di trucco per coprire i segni della stanchezza e… tu guarda, i miei capelli sono ancora in piega così come li aveva acconciati l’hair stylist ormai 3 ore fa! Bene, stasera almeno avrò i capelli in ordine per un po’ prima che si affloscino malamente. Ed invece no. No. Sono rimasti perfetti, senza nemmeno aggiungerci un po’ di lacca, per tutta la durata della cena e vi assicuro che la mattina dopo erano ancora morbidi, setosi e boccolosi. E il giorno dopo, per far ravvivare la piega e rinfrescare lo styling bastano alcune spruzzate di “Nashi Argan instant hydrating styling mask”, che aiuta i capelli a ritrovare lucentezza e disciplina. Un trattamento davvero efficace, adatto a tutti i tipi di capelli. Non temete di averli troppo grassi o spessi o che il prodotto possa procurare un effetto di unto o pesantezza: è stato studiato apposta per adattarsi ad ogni tipo di capriccio del vostro capello. Consigliatissimo, potete provarlo nei migliori saloni professionali di hairstyling ed avere sempre i capelli a posto per ore. di Martina Panagia

Sopra, le spazzole Tek utilizzate per lo styling. In alto a destra, il Nashi Argan Oil Spray, pensato per i capelli sottili, e la maschera Deep Infusion per idratare in profondità. In basso a destra, capelli luminosi e riparati dopo il trattamento professionale Nashi Argan.

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persone e cose che fanno la differenza

da un’idea di Alberto Vergani Direttore Responsabile Fabio Operti Art Director Alessia Pastori Hanno collaborato Francesca Andreoni, Silvia Barlascini, Anna Benzoni, Giovanni Berardi, Oscar Fabio Cassina, Alice Cimini, Fabio De Angelis, Salvatore De Martino, Nadia di Mauro, Daniela Ferolla, Simona Melli, Martina Panagia, Isabella Panzini, Martina Polimeri, Veronica Sormani, Yanek Sterzel, Maurizio Trezzi, Vera Vanetti Segreteria Veronica Sormani Relazioni Pubbliche Francesca Andreoni, Isabella Panzini, Vera Vanetti Ufficio Marketing Giovanni Berardi Responsabile Produzione Giovanni Berardi Concessionaria Pubblicità Mama Records s.r.l. via Tadino, 20 - 20124 - Milano tel. 02.29406108 Nadia di Mauro Opinion Leader è edito da Opinion Leader s.r.l. via Tadino, 24 - 20124 - Milano tel. 02.29517780 www.opinionleader.it redazione@opinionleader.it Prezzo: 5,00 euro

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