70 anni di A&B
Ambiente
Bioingegneria
OOPP
Premio Professionalità a Stefano Rolli
Sulphur Cap e visita alla Centrale Enel di Genova
Così progredisce la Scienza della Vita
Nuovo Codice contratti e “modello Genova”
ISSN 2611-2337
REGISTRATO NEL 1949
Atti e Bollettino di informazione degli Ordini degli Ingegneri della Liguria
n. 2-4 I aprile-dicembre 2019
DISSESTO IDROGEOLOGICO LA SFIDA SI VINCE CON LA TECNOLOGIA
E IL PONTE VA. IN DIRETTA Trimestrale di informazione a cura dell’Ordine degli Ingegneri di Genova
Poste Italiane Spa – Spedizione in Abbonamento PostaleDL353/2003(Conv.InL.27/02/04)Art.1Comma1 -MP-NO/TRIMESTRALE-GENOVAANNOLXX-N.2-4/2019
il rullo di Rolli
Stefano Rolli Vignettista satirico
LA BAMBINA E L’INGEGNERE 4 dicembre 2019, ore 8:10, vedo un messaggio vocale su whatsapp. Voce di bambina, intorno ai 6 anni. Parla educatamente, scandendo bene le parole. «Mi presento, sono Beatrice. Perché il ponte è caduto? Di che materiale era fatto? Grazie, ciao». È la figlia di un’amica. Subito, di getto, la mia risposta: «Ciao. I ponti invecchiano e si ammalano come le persone. Vanno controllati e curati. Per le persone ci pensano i medici, come la tua mamma. Per i ponti provvedono gli ingegneri, come me. Ma se sono troppo malandati devono essere demoliti e ricostruiti. Qualche volta qualcuno non fa bene il suo lavoro, dice che un ponte è sano mentre invece non lo è, magari per rimandare i lavori e risparmiare denaro. È per questo che dobbiamo essere onesti e studiare, perché dalle nostre azioni o omissioni possono dipendere la vita delle persone e l’economia di un Paese. Ah, dimenticavo, era fatto di cemento armato». Solo una voce innocente di bambina, priva di malizia, può porre un quesito così com-
plesso in modo semplice, diretto, garbato e chiaro come ha fatto Beatrice. E a una bambina cosa, e come, si può rispondere se non dicendo ciò che si pensa? Però, se avesse chiesto le stesse cose un adulto, sarebbe stato tutto diverso. Da grandi non ascoltiamo con l’innocenza dei bambini e allora - chiamala diffidenza, chiamalo spirito di conservazione, definiscile sovrastrutture mentali o in qualunque altro modo - la risposta sarebbe stata diversa, più ragionata, meno diretta. In questi casi ti domandi: perché me lo chiede, rispondo o no, che idea si farà e quali conseguenze ci saranno, mi esporrò a critiche? E così via. Certo, l’argomento apre a molte considerazioni, come l’inutilità di tante norme di “tutela burocratica”, che impongono una pratica amministrativa anche per piantare un chiodo, ma che non riescono ad evitare che un viadotto crolli portandosi dietro 43 persone. Norme tanto severe quanto confuse, che si contraddicono, che non delinea-
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no le responsabilità in modo chiaro e che, talvolta, portano tutti in stato di accusa, buoni e cattivi, insieme, in attesa di giudizio. Ma, anche, il fatto che sappiamo poco o nulla della sicurezza di gran parte delle costruzioni in cui viviamo, che dovrebbero essere oggetto di verifica a tappeto, almeno quelle con oltre 50 anni di vita. Ma, se ci pensi un po’ su, sale la paura di trovarti sui social con una frase estrapolata, fraintesa, strumentalizzata o amplificata, con gente che ti accusa di fare allarmismo per guadagnarci sopra. Allora ti verrebbe da urlare: sveglia, capite cosa sto dicendo? Parlo di sicurezza vera, non dei soliti inutili pezzi di carta! Non vi interessa sapere se il tetto sta per cadervi in testa, o se l’impianto del gas è a fine vita e rischiate di saltare in aria? Ma con i grandi, talvolta, sei costretto a tacere, perché difficilmente vogliono o riescono a capire. M.M.
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i 70 anni di A&B CONFERITO DALL’ORDINE DEGLI INGEGNERI DI GENOVA, DOPO UN SEMINARIO FORMATIVO
Incontro con Stefano Rolli, “Premio alla Professionalità” Il rapporto fra “Ingegneria, informazione e satira” al centro di un dibattito fra il presidente degli Ingegneri genovesi e quello dei Giornalisti liguri, il direttore di A&B, l’assessore alla Cultura e alla Formazione della Regione Liguria, l’avvocato degli Ingegneri. Applausi e clima di festa per il popolare vignettista del “Secolo XIX”, da sei anni collaboratore della nostra testata, che a una sala piena ha offerto la sua visione del giornalismo satirico con semplicità e molti esempi. menta i fatti principali della politica e della cronaca sulla prima pagina del Secolo XIX, si può capire il motivo per cui l’Ordine di Genova abbia deciso di premiarlo con una targa alla professionalità, in occasione della presentazione ufficiale del libro, uscito per Natale, “A&B 1946-2019 - 70 anni di Storia della testata dal dopoguerra a oggi. Dal 2014, Ingegneria, Informazione e Satira con Stefano Rolli”, con l’organizzazione congiunta dell’Ordine ligure dei Giornalisti, la partecipazione dell’assessore alla cultura Ilaria Cavo, giornalista anch’essa e l’intervento, fra gli altri, del segretario generale della Camera di Commercio genovese, Maurizio Caviglia. Per Rolli, decisamente uno dei più bravi vignettisti satirici italiani, un meritatissimo giorno di gloria: premio a parte, sala Frixia dell’Ordine in piazza della Vittoria piena di ingegneri e diversi colleghi giornalisti, molti complimenti, domande, applausi, richieste di autografo: «Non sono mai stato coccolato così tanto», ha commentato modestamente lui, dopo il dibattito che ha preso spunto proprio dal libro dedicato alla storia di “Atti e Bollettino”, con un’ampia riflessione sul ruolo della satira e l’evoluzione che essa
ha subito nel corso dei decenni. Non sono mancate riflessioni sui problemi che caratPrendi un house organ che da 73 anni esce terizzano il mondo dell’informazione, con senza interruzioni. Ma non uno qualunque: giustificate preoccupazioni sui riflessi nel quello dell’Ordine degli ingegneri della procampo del diritto penale e civile per la difvincia di Genova, che dal dopoguerra è famazione a mezzo stampa. anche la più antica testata ingegneristica Tra gli ospiti, nella mattinata della giornata italiana. Metti che sia stato registrato in formativa del 7 gennaio, oltre a Rolli, anche tribunale l’anno successivo alla legge sulil presidente dell’Ordine dei Giornalisti della la stampa del ‘48 e che proprio nel 2019 Liguria, Filippo Paganini, il giornalista Gianabbia “compiuto ufficialmente” giusto 70 franco Sansalone, direttore di A&B, l’Assesanni, nel corso dei quali abbia attraversato sore alla Cultura della Regione Liguria Ilaria molte fasi battendo diversi record fino alla Cavo e il Segretario Generale della Camera trasformazione, sei anni fa, da rivista tecnidi Commercio di Genova Maurizio Caviglia. ca in testata di informazione, passando da Ha aperto il Presidente dell’Ordine degli Inuna direzione e contenuti sempre rimasti gegneri, introducendo sulla storia dell’ingesaldamenti ingegneristici a un taglio giornagneria, che, dal dopoguerra, con un’Italia in listico, con direttore per la prima volta un rovina e da ricostruire, ha rivestito un ruolo giornalista, allargando i lettori dagli iscritti fondamentale: ha sottolineato il fatto che alle istituzioni, agli altri ordini professionali, aver avuto fin da subito un giornale (all’ealle associazioni imprenditoriali, ai referenpoca “Atti dell’Ordine degli Ingegneri della ti istituzionali e a tanti altri soggetti. Metti provincia di Genova”) che ne ha riportato la che fra i generi giornalistici usati nel nuovo storia, le iniziative, i dibattiti “tecnici” del corso la satira abbia avuto il ruolo di “apripitempo che si sono via via intrecciati con gli sta” in ogni numero, proprio come i grandi avvenimenti del Paese, consente adesso a settimanali nazionali e questo abbia contritutti gli iscritti, ma non solo a loro, di avere buito al suo successo. Se poi il vignettista un patrimonio di informazioni che va ben satirico è un giornalista bravo e notissimo al di là di un semplice archivio. Dando atto come Stefano Rolli, che ogni mattina comche dalla fine del 2013, quando la testata era ancora della Federazione degli Ordini degli Ingegneri della Liguria (tornata a Genova nel 2017) e si decise di trasformarla da mezzo tecnico a testata di informazione per un pubblico più largo affidandola per la prima volta a un giornalista professionista, fu chiamato come direttore Gianfranco Sansalone. Il quale a sua volta, prendendo la parola, ha ricordato come ha presentato un piano editoriale - accettato dal Consiglio dell’Ordine - in base al quale aveva preso come modello per rilanciare il giornale il taglio dei settimanali nazionali, fatti di inchieste, apLa consegna della targa a Stefano Rolli da parte del presidente Michelini. Alla sua sinistra, il presidente dell’ordine ligure dei giornalisti, profondimenti, titolazione Filippo Paganini. Da sinistra nella foto, il segretario della Camera di Commercio di Genova, Maurizio Caviglia e l’assessore regionale alla aggressiva, notizie inedite, Cultura, Ilaria Cavo (giornalista in aspettativa per l’incarico amministrativo). nessuna autoreferenzialità,
Marco Marchegiano
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i 70 anni di A&B per creare autorevolezza e credibilità: «Da qui l’idea di aprire con una vignetta, e subito il pensiero è corso a Rolli, con la speranza che mi dicesse di si. Quindi ho deciso di aprire con una notizia scelta fra le più singolari, farla commentare da Stefano con una vignetta satirica in una rubrica titolata “Il Rullo di Rolli” e con Michelini, che era il direttore editoriale, abbiamo pensato che lui invece avrebbe seguito subito dopo con un’altra rubrica, “Il Post Rullo”, che avrebbe ripreso l’argomento ma in maniera tecnica e ragionata e possibilmente avrebbe formulato una proposta per risolvere il problema. Ebbene, la combinazione di queste tre cose - notizia singolare, vignetta satirica e approfondimento tecnico - ha funzionato al punto che da allora quest’apertura è la parte più letta del giornale. Grazie anche a Stefano che riesce sempre a centrare il bersaglio con efficacia». Stefano Rolli: «Ricordo quando Gianfranco, col quale siamo amici e anche ex colleghi di testata, mi propose di collaborare alla rivista degli ingegneri. Ero terrorizzato perché l’ingegneria è una cosa seria e io non ne sapevo niente! Poi mi è venuto in mente quando, anni prima, mi era giunta l’offerta per fare il vignettista di un noto quotidiano sportivo. Ero perplesso perché di sport non ho mai capito nulla, e poi ero fedele al mio giornale. Comunque ne parlai al mio caporedattore dell’epoca, dicendogli che io fino ad allora avevo fatto solo vignette politiche. “Perché, tu ci capisci qualcosa di politica? Eppure lo fai”, mi rispose. Allora, mi sono detto, mi posso buttare anche nel settore dell’ingegneria, che comunque è legata alla politica, al costume, soprattutto in una regione come la nostra, dove le tematiche come le infrastrutture o la difesa del territorio sono fondamentali. All’inizio ero spaventato, avevo il timore di non riuscire a “entrare” in argomenti complessi e difficili come la scienza e la tecnica, ma invece penso sia andata bene. Del resto, una vignetta non deve fornire delle risposte, deve far emergere le contraddizioni e far sì che chi la guarda si ponga delle domande». «Sono d’accordo - ha detto dal canto suo Filippo Paganini, Presidente dei Giornalisti - sul fatto che la vignetta abbia forza maggiore di un articolo che contiene notizia e commento, in barba alla teoria di Piero Ottone secondo il quale le notizie vanno separate dalle opinioni. Ripercorrendo la storia, è vero che abbiamo avuto giornali satirici già a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ma la satira è sempre stata confinata all’interno di un ghetto, di un giornale periodico che affiancava informazione ufficiale. I grandi vignettisti vivevano in un mondo separato dal giornalismo ufficiale; nel dopoguerra grazie a Guglielmo Giannnini con L’uomo qualunque, la satira fece un passo avanti, ma solo negli anni Settanta i giornali, anche quelli più paludati, come il Corriere della Sera, diedero totale dignità alle vignette. Il vero boom arrivò con Giorgio Forattini, che nel 1974, dopo il referendum sul divorzio, fece una vignetta con Amintore Fanfani, che non era certo alto di statura, che saltava come un tappo da una bottiglia di champagne.
INCONTRO CON STEFANO ROLLI, “PREMIO ALLA PROFESSIONALITÀ”
Oggi tutti i giornali offrono ai vignettisti la dignità della prima pagine mentre prima la collocazione era nella pagina della posta dei lettori». «Questa giornata - ha sottolineato l’assessore regionale alla Cultura, Ilaria Cavo, giornalista di Mediaset in aspettativa per l’incarico amministrativo - ha il merito di unire mondi che sembrano lontani, come il giornalismo satirico ed un settore tecnico come quello dell’ingegneria. Sono tanti gli spunti che fornisce la vostra rivista: mi viene in mente la vignetta di Rolli in cui come prevenzione dagli eventi sismici ci si affida ad un cornetto rosso. “A&B”, che io ricevo e leggo, pone temi che riguardano anche la formazione e la prevenzione, con il contributo di professionisti di grande livello, utilizzando suggestioni più serie ed altre più leggere. È vero, come ha detto Rolli, che la satira ha il vantaggio di porre domande ma di non dover fornire risposte; tuttavia ha anche lo svantaggio di dover condensare ed esaurire in una vignetta e un paio di battute un tema magari molto complesso, mentre ad esempio chi scrive un editoriale ha uno spazio molto più ampio per esprimere il proprio punto di vista». Se il tema era il rapporto tra ingegneria, informazione e satira alla luce del lavoro fatto dal giornale “di casa”, gli spunti non sono mancati. Dalla teoria della comunicazione di Shannon e Weaver che dal 1949, su modello matematico, impose un nuovo modo di considerare il rapporto fra l’emittente di un messaggio e un ricevente (il suo interlocutore), tenendo conto della codifica, della decodifica, del codice di comunicazione (ad esempio la lingua usata), del canale (dalla voce in un rapporto faccia a faccia, al telefono, all’email, a Skype, ecc.), delle possibili interferenze (rumori) che possono far arrivare il messaggio al ricevente in maniera diversa da come è partito. «È interessante - ha detto Michelini - che si siano messi assieme due mondi diversi come ingegneria e giornalismo, satira compresa, non solo come singole persone ma anche come Ordini. Per quanto riguarda il giornale ritengo che l’obiettivo di rendere semplici concetti complessi sia stato raggiunto, non so fino a che livello. Certo è che senza Rolli sarebbe stato tutto più difficile». Sansalone: «Ho cominciato a lavorare negli anni Settanta, e la passione per la satira mi è venuta seguendo i duelli tra Fortebraccio sull’Unità e Montanelli con suo “Controcorrente” sul Giornale. Erano i tempi di Altan e Staino, fino all’irruzione del Male di Pino Zac, Vincino, Angese, Mannelli, Vauro… In un’Italia in crisi per il terrorismo, in piena angoscia dopo il rapimento Moro. Ricordo che con lo statista Dc rapito, Il Male pubblicò la sua famosa foto con la bandiera delle Bierre alle spalle e lui - professore sempre impeccabilmente elegante - spettinato e con la camicia sbottonata, con un fumetto che gli faceva pronunciare un famoso slogan pubblicitario dell’epoca: “Scusate. Abitualmente vesto Marzotto!”. O la vignetta di Cristo in croce sul Monte Calvario che rivolto ai due ladroni dice “E vabbè, ridendo e scherzando abbiamo fatto mezzogiorno!”.
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Ogni numero una richiesta di sequestro per diffamazione, vilipendio e un mare di altri reati. Senza contare i numeri con le prime pagine false dei maggiori quotidiani dell’epoca. Poi vennero Cuore, Frigidaire, Zut….»., Paganini: «Ripensando alle pesantissime provocazioni del Male, o anche alle vignette in cui Forattini disegnava Spadolini grasso e sfatto e poi con un pisellino piccolissimo per irriderlo ulteriormente; oppure al Manifesto che titolò l’elezione di Papa Ratzinger “ Il Pastore tedesco”, mi chiedo se la satira possa sfondare certi limiti. Io credo che il punto sia quello di rispettare la dignità delle persone di cui ci si occupa e di pensare a punti di riferimento etici più che deontologici Rolli: «La satira è sostanzialmente irrisione del potere e deve esercitare una forma di controllo sui poteri, per cui ha anche una valenza democratica. Vi ricordo che oggi sono esattamente 5 anni - era il 7 gennaio 2015 - che si è consumata la strage nella redazione parigina del giornale satirico Charlie Hebdo, con 12 morti e 11 feriti. Un atto che ha dimostrato che la satira è anche una cosa seria. Pur senza dimenticare le discussioni che vi furono in Italia per la loro vignetta sul terremoto ad Amatrice, con le macerie che assumevano la forma delle lasagne. Ecco, in quella vignetta lasciava perplessi la mancata individuazione di un’irrisione del potere; poi, dopo le polemiche ne uscì un’altra in cui si diceva “Non è Charlie Hebdo a distruggere le vostre case ma la mafia”. Forse volevano recuperare, ma la pezza fu peggiore del buco. Insomma, voglio dire che in questi casi si esce automaticamente dai confini, per cui diventa superfluo discutere se si tratti o meno di satira. Non lo è per definizione. Infatti quella rivista contiene anche pagine dedicate allo humour nero e vengono trattati anche temi serissimi, con interventi di analisi politica. Non a caso tra le vittime della strage c’era anche un professione di economia della Sorbona, che era lì per consegnare un pezzo. La satira cade nel momento in cui la sua funzione non è assolta: ed è la funzione che definisce la satira, e non il suo limite. Faccio un esempio: Maurizio Crozza e Beppe Grillo sono due autori satirici, ma mentre il primo lo è rimasto, Grillo non lo è più, non perché sia venuta meno la sua bravura, ma
L’intervento del presidente dei Giornalisti Filippo Papagnini
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i 70 anni di A&B
L’avvocato dell’Ordine degli Ingegneri, Stefano Betti
nell’attimo in cui si diventa un leader non si fa più satira, ma comunicazione politica. La satira semplifica: si dice che una vignetta valga più di un titolo. Questo non so dirlo, però so che titoli come quelli che fa Il Manifesto sono essi stessi una vignetta». Chiusura con l’intervento di Stefano Betti, legale dell’Ordine degli Ingegneri, che ha toccato un tema delicato e attualissimo come quello della diffamazione a mezzo stampa. «A suo tempo - ha spiegato - è stato l’argomento della mia tesi di laurea. E questo mi fece capire che non avrei mai fatto il giornalista perché era un mestiere troppo pericoloso. Come giurista ho grande stima di chi, ogni giorno, attraverso le vignet-
INCONTRO CON STEFANO ROLLI, “PREMIO ALLA PROFESSIONALITÀ”
te riesce a porre domande. Noi abbiamo una Costituzione che all’articolo 21 tutela la libertà di stampa, ma abbiamo anche norme che andrebbero profondamente ripensate, perché sono pesantissime ed è assurdo che chi sbaglia, in buona fede, venga punito con la prigione. È qualcosa che come giurista mi fa salire la pressione. Ci sono altri meccanismi che si potrebbero adottare, come la rettifica più puntuale. Ma voglio aggiungere che attaccare il potere quando è caduto in disgrazia ha un’utilità limitata: il compito dell’informazione dovrebbe essere di farlo prima, ma questo è molto più difficile. Ecco perché dovrebbe essere consentita una maggiore libertà di espressione, senza che vi siano pene da 1 a 6 anni per diffamazione a mezzo stampa. Anche se la giurisprudenza ha enucleato dei meccanismi che consentono di difendersi, le norme andrebbero ripensate, senza censure implicite a chi deve tutelare l’informazione». Pronta la replica di Paganini: «A conferma delle tesi sostenute dall’avv. Betti, ricordo che non più tardi di un anno fa il Presidente della Repubblica ha dovuto graziare un collega che, in caso contrario, sarebbe andato in galera proprio per diffamazione a mezzo stampa. Inoltre il nostro Paese è al 52° posto nella graduatoria della libertà di stampa, anche perché è l’unico che conserva la reclusione per diffamazione. Aggiungo che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia invitandola a cambia-
Il direttore di “A&B”, Gianfranco Sansalone
re le proprie norme. Ma purtroppo le cose addirittura peggiorano: sono decine i giornalisti sotto scorta; c’è un problema di diritto non solo penale ma anche civile: chiedere risarcimenti milionari ha la funzione di una censura preventiva; infatti l’ex giudice ed oggi parlamentare, Felice Casson, ha posto il tema dei limiti al risarcimento, obbligando chi vuole fare causa per diffamazione a mezzo stampa a versare una cauzione. Infine sta pure arrivando una legge sulle intercettazioni telefoniche, per cui se un giornalista pubblica un’intercettazione secretata da un magistrato, finisce in galera». (fotoservizio Mimmo Giordano)
IN UN LIBRO LA STORIA DI “ATTI E BOLLETTINO” E LA RACCOLTA DI TUTTE LE VIGNETTE DI ROLLI
Sessanta pagine di cui la metà con la riproduzione di tutte le vignette firmate dal gennaio 2014 - sia nella storica rubrica “Il Rullo” di A&B, sia nella “Web edition” uscita da gennaio 2015 a settembre 2017, sia come appoggio di vari pezzi - dal vignettista Stefano Rolii, colonna del Secolo XIX, e anche dell’house organ dell’Ordine degli Ingegneri. Nell’altra metà del libro - uscito a Natale - la ricostruzione (sulla base della ricerca storica effettuata dal giornalista Marco Marchegiano) dei 73 anni di vita della rivista dell’Ordine genovese), da quando è uscita (prima fra quelle di ingegneria del dopoguerra in Italia) nel 1946 e a 70 anni dalla registrazione al n. 64 del 25 marzo 1949 del Registro del Tribunale di Genova, secondo la legge sulla stampa n. 47/1948. Una lettura interessante che dà un assaggio non solo del giornale dell’ultima fase, ovvero dalla trasformazione da rivista tecnica in giornale di informazione diretta a un ampio pubblico e non ai soli iscritti all’Albo, ma racconta tutte le fasi attraversate - con la pubblicazioni di pagine storiche estrapolate dall’archivio oggi custodito presso la sede di piazza della Vittoria - attraversate da una testata che dal ’46 ha visto 10 direttori (di cui solo l’ultimo giornalista, gli altri tutti ingegneri, per la maggior parte presidenti dell’Ordine), tutti elencati nella sezione storica del libro. I direttori più longevi sono stati il Presidente Sebastiano Frixa, 20 anni dal 1972 al ’92 più altri 5 dal 1993; e Gaetano Paolillo, mai stato presidente ma direttore e innovatore della rivista per 15 anni dal 1998 al 2013. Sfogliando il giornale si scopre che la storia dell’ingegneria si intreccia fortemente con quella d’Italia fin dalle prime uscite: si parla non solo di ricostruzione - l’argomento più sentito nel dopoguerra - ma anche di porto, di marineria nazionale, di industria, di ingegneria e di tutte le sue esigenze. Capitolo interessante la pubblicità:, gli inserzionisti e il modo in cui si evolve. La presenza martellante dell’Eternit - come di tantissime grandi industrie e piccoli produttori e aziende fornitrici di servizi - che si propone, come su tutti i giornali di settore dell’epoca, come il nuovo materiale dalle mille qualità positive. Proprio perché parlò di ingegneria agli addetti ai lavori, la pubblicità, che è un elemento cardine dell’economia e della ricostruzione - in pieno Piano Marshall - del dopoguerra, è una testimonianza che merita di essere guardata. Altro tratto distintivo e molto importante il ruolo detenuto per molti anni dai “Atti” per la pubblicazione del “Listino dei prezzi interessanti l’edilizia e le costruzione industriali”, curato fino all’inizio degli anni Novanta, prima di cedere il passo alla Camera di Commercio di Genova, poi ad Unioncamere e quindi alla Regione Liguria. Per scaricare il volume in formato Pdf, l’indirizzo è questo: http://www.ordineingegneri.genova.it/atto/ab-70-anni-di-storia-della-testata-raccolta-vignette-stefano-rolli/
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random CONGRESSO CNI: “OLTRE” PER APRIRE NUOVI SCENARI NEL 2021 GLI INGEGNERI ITALIANI OSPITI A GENOVA
Nuovi scenari per ›“Oltre. l’Ingegneria”: su questo
tema, ampio e denso di significati, si è svolto a Santa Teresa di Gallura (Sassari), dal 18 al 20 settembre, il 64° Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri d’Italia. L’ottavo consecutivo aperto da Armando Zambrano - come ha sottolineato lui stesso - nelle vesti di presidente del CNI. Gli ingegneri italiani si riuniranno a congresso il prossimo anno a Parma e nel 2021 a Genova, come è già stato deciso dall’Assemblea nazionale. Folta la delegazione ligure, proveniente dai quattro Ordini provinciali e dalla Federazione regionale degli ingegneri della Liguria che li rappresenta tutti davanti alle istituzioni regionali, all’assise tenuta in Sardegna, che in tre giorni ha toccato molti temi usciti dal dibattito precongressuale avviato sulla piattaforma TalkIng, aperta a tutti gli iscritti. Cinque gli ambiti di discussione individuati con questo sistema e su cui si è soffermata particolarmente la discussione: Rinnovare l’Ordine: crescita, rappresentanza, servizi; Previdenza e fiscalità eque, sostenibi-
li, accessibili per il professionista; Ingegneri nello spazio europeo: futuro, mobilità, competitività; Una politica per le infrastrutture materiali e immateriali: strategie e priorità; Innovazione tecnologica e libera professione: protagonisti o spettatori? Zambrano ha presentato un Documento Programmatico, che è stato discusso è approvato dal Congresso dopo un’integrazione su quattro punti (Professione ingegnere: organizzazione, mercato, concorrenza; Come cambia il mercato dei servizi di Ingegneria; Ingegneria di frontiera; Infrastrutture per la crescita) seguita a uno specifico dibattito il 19 settembre.
Nell’ambito del Congresso, si sono fra l’altro svolti - a beneficio dei delegati - quattro workshop formativi realizzati in collaborazione con la Luiss Business School, sui seguenti argomenti: - Le domande nella comunicazione istituzionale: rispondere, contromanipolare, lanciare messaggi; - La leadership: creare fiducia per attivare ed orientare gli altri; - Le sfide e le opportunità del lavoro di squadra; - Digital Transformation: spunti metodologici e operativi per la comunicazione innovativa nel settore Engineering. La relazione con il Documento Programmatico di Zambrano e le integrazioni si possono scaricare in Pdf da questo indirizzo: https:// www.fondazionecni.it/images/approfondimenti/10_DIGIT_Rel_Presidente_SS2019_ 16set2019_e0950.pdf
PICCOLI E MEDI IMPRENDITORI MALATI DI SUPERLAVORO LA TECNOLOGIA UN RIMEDIO PER RIPRENDERSI IL TEMPO Solo una decisa minoranza dei piccoli e medi imprenditori italiani non lavora mai ›durante le festività (esattamente il 36%), le
vacanze estive e invernali (il 28%), le festività religiose segnate in rosso sul calendario (31%) e il week-end (18%). Nel complesso, il 66% ammette che la cultura del superlavoro che porta buona parte dei dipendenti a fare troppe ore di straordinario per incrementare i guadagni oppure per seguire meglio il business aziendale, non è una cultura aziendale sana e uno su tre (34%) sostiene di essere esso stesso intrappolato in ritmi lavorativi malsani e circa la metà (il 48%) si rende conto che non dedicare tempo alla propria persona e ad altri interessi extra lavorativi ha ripercussioni negative sulla salute (propria e dei dipendenti) e uno su quattro (23%) dichiara di essersi dovuto fermare per problemi di salute mentale dovuti allo stress da alti ritmi lavorativi. Anche questa è una faccia della piccola e media imprenditoria oggi in Italia, bellezza! Lo rivela Salesforce, che ha analizzato le
risposte del report “Time to transorm” di 2.200 Pmi che operano nell’area Emea (acronimo che sta per Europa, Medio Oriente ed Africa), e quelle riportate riguardano gli imprenditori italiani. La cosa singolare è che per oltre la metà degli imprenditori intervistati la creazione di un proprio business aveva lo scopo di raggiungere un maggiore equilibrio tra vita privata e lavoro, ma di questi oggi solo il 54% crede di esserci riuscito. Dalla ricerca emerge chiaramente la necessità pressante degli imprenditori di avere maggior tempo per gestire le proprie attività quotidiane. «La mancanza di tempo in questi casi - spiega Giovanni Crispino, Regional Vice-President di Salesforce per il Sud Europa e Israele - ha un impatto negativo sulla salute generale delle aziende e dei loro dipendenti. Tutte le attività, dalla strategia alla pianificazione, dalla formazione allo sviluppo del prodotto, dal servizio clienti al marketing, dipende dalla necessità di avere il tempo sufficiente per concentrare le proprie risorse in modo intel-
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ligente e produttivo. Ma se gli imprenditori non hanno tempo sufficiente per svolgere le proprie mansioni lavorative, è probabile che tutte le aree del business non ricevano l’attenzione di cui hanno bisogno. Il problema è che la risorsa-tempo sarà sempre limitata, e il ritmo di lavoro delle Pmi è probabilmente destinato ad aumentare. Quello che la nostra ricerca fa emergere è che la tecnologia può costituire una soluzione in termini di aiuto, rapidità di decisione e operatività per dare la possibilità alle imprese di ricavare quel tempo in più che può davvero fare la differenza in termini di business e salute aziendale». La tecnologia come soluzione dunque per ridurre il lavoro. Ne è consapevole il 59% degli intervistati che indica ad esempio l’Internet Of Things, l’Intelligenza Artificiale e la robotica come “strumenti” preziosi in questo senso, mentre il 46% pensa che le nuove tecnologie abbiano già fatto il loro dovere rendendo i propri dipendenti più produttivi già rispetto a solo due anni fa.
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random CITTADINANZATTIVA: IN 10 MESI NELLE SCUOLE 70 CROLLI E 17 FERITI (276 E 54 FERITI DAL 2013) bollettino di guerra che un’asso›Un ciazione di consumatori - esattamente
Cittadinanzattiva - ha censito attraverso la rassegna stampa dei quotidiani locali regionali. E non c’è certo da stare allegri visto che la ricerca ha riguardato le condizioni dell’edilizia scolastica italiana. Basti pensare che in soli 10 mesi, da settembre 2018 a luglio ’19, nelle nostre scuole si sono verificati 70 crolli o distacchi di intonaci, oltre che rotture di finestre, crolli di muri di recinzione e di alberi vicino agli edifici. Il dato peggiore mai constatato dall’associazione, che monitora con regolarità questa e altre criticità del nostro Paese. Ovvero un episodio ogni 3 giorni di scuola (29 nel Nord, 24 nel Sud e 17 nel Centro), con l’aggravante di 17 persone ferite, fra adulti e ragazzi. Una tragedia sfiorata ogni volta, una spada di Damocle che pende perennemente sul capo di alunni, studenti e personale scolastico. Presentando a fine settembre l’Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola, Cittadinanzattiva ha riassunto i risultati della ricerca dal 2013 ad oggi: 276 episodi simili, con 54 feriti. L’associazione - che quest’anno ha realizzato un focus sulla situazione in cui versano gli asili nido - ha sottolineato come al momento siano stati utilizzati solo 1,6 miliardi di euro sui 4,5 disponibili per la messa in sicurezza degli istituti scolastici nel nostro Paese, ma anche come sia tortuoso l’iter per riuscire a farsi assegnare e utilizzare effettivamente i fondi. Secondo Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva, «dall’esame dello stato di attuazione dei 15 principali filoni di finanziamento, emerge
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la quantità inusitata di passaggi tra i diversi enti e organismi di controllo e la farraginosità delle p ro c e d u re per arrivare fino in fondo. Spesso sono n e c e s s a ri anni. Comuni e Province, oltre che di interventi di semplificazione dei meccanismi legati all’utilizzo dei fondi, hanno bisogno di supporto tecnico costante per aggiornare i dati, accedere ai bandi, progettare, appaltare e controllare gli interventi». Per questo al governo viene chiesto di prendere in considerazione la proposta di una legge quadro sulla sicurezza a scuola avanzata proprio da Cittadinanzattiva insieme con Save the Children, e inoltre di ampliare i fondi per le verifiche di vulnerabilità sismica, e di fare indagini diagnostiche di soffitti e solai degli edifici scolastici costruiti fra gli anni ’50 e ’70. Riguardo gli asili nido, è emerso che sono più sicuri - dal punto di vista strutturale degli edifici - rispetto alle altre scuole esaminate, ma meritano comunque un voto insufficiente, anche se negli ultimi
sette anni gli episodi di crollo sono stati rarissimi. «Più di due nidi su cinque - spiega ancora Bizzarri - sono in regola con le certificazioni (di agibilità statica, presente nel 42%, rispetto al 26% delle scuole di altro ordine e grado; di agibilità igienico-sanitaria, 47%, contro il 36%; di prevenzione incendi, 41%, contro il 33%). I nidi sono anche meglio manutenuti, visto che sono stati interessati da interventi di manutenzione ordinaria in 2 casi su 3, rispetto al 27% delle altre scuole. Non sono invidiabili invece riguardo la “sicurezza sismica”: solo il 15% ha effettuato le verifiche di vulnerabilità (rispetto al 29% degli altri istituti), appena il 4% è stato migliorato sismicamente (contro il 9%), e ancor meno, il 2%, è stato del tutto adeguato sismicamente (contro il 5%)». Dal punto di vista dell’uso delle risorse, due terzi dei fondi per gli asili nido non sono stati ancora utilizzati.
Ordine Ingegneri Genova / aprile-dicembre 2019 / n° 2-4
random P.A. LA RIVOLUZIONE DIGITALE SULLE “NUVOLE” COSA CAMBIA CON IL NUOVO PIANO TRIENNALE AGID
AGID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, ha preparato il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2019-2021, documento con cui l’Agenzia vuole ridurre il gap con gli altri Paesi europei in tema di digitalizzazione della P.A. Il documento rappresenta uno strumento efficace e un buon punto di riferimento per i Responsabili della transizione digitale nel settore pubblico, i quali dovranno tenerlo sempre a portata di mano nell’adempimento della loro funzione e saranno accompagnati nel processo di trasformazione da AGID e dal Team per la trasformazione digitale. I principali obiettivi del Piano sono quelli di fornire: La strategia di digitalizzazione della PA centrale e locale; Il supporto alla PA per la realizzazione dei servizi in modalità digitale; Gli indirizzi per la razionalizzazione della spesa ICT; Il coinvolgimento del mercato tramite azioni congiunte con i fornitori per favorire l’utilizzo di soluzioni omogenee e interoperabili. I principi fondamentali del piano sono che: Le PA devono fornire servizi digitali come opzione predefinita; Le PA dovrebbero evitare di chiedere informazioni già in loro possesso a cittadini, professionisti e imprese. Viene inoltre identificata la fornitura di servizi attraverso il Cloud come modalità preferita, per l’adozione
del quale dal 1° aprile 2019 i nuovi contratti di acquisizione di servizi Cloud, appunto, di amministrazioni centrali e locali possono essere stipulati solo se quelli da acquistare, qualificati, sono presenti nell’apposito Catalogo per la PA di AGID. I vantaggi di questa adozione per gli utenti saranno un miglioramento dell’efficienza operativa, una riduzione dei costi, la semplificazione dell’aggiornamento del software, l’aumento della sicurezza e la protezione dei dati e la velocizzazione dell’erogazione dei servizi a cittadini, professionisti e imprese (https:// www.agid.gov.it/sites/default/files/ repository_files/kit_imprese.pdf). L’adozione del paradigma della “nuvola” nella PA rivoluziona il modo di pensare i processi di erogazione dei servizi della PA verso i cittadini, con notevoli vantaggi in termini di incremento di affidabilità dei sistemi, qualità e risparmi di spesa. La progettazione della migrazione ai servizi Cloud e alla progettazione dei processi per una maggiore adozione di software gestionali documentali può vedere gli Ingegneri dell’Informazione protagonisti attivi. Le PA devono inoltre adottare il sistema di identità SPID per l’autenticazione di ogni servizio offerto, anche se si parla anche della Carta di Identità Elettronica (CIE), che per ora è indipendente da SPID, ma che potrebbe convergere verso le stesse modalità operative.
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La Carta Nazionale dei Servizi (CNS), nonostante si continui ad emetterla come Tessera Sanitaria (TS-CNS), viene citata solo come metodo di accesso (insieme a SPID) al Cassetto digitale dell’imprenditore realizzato da Infocamere, il punto d'accesso in mobilità a informazioni e a documenti ufficiali, aggiornati in tempo reale, della propria impresa. Vista la eterogeneità di dimensioni e disponibilità economica delle varie Pubbliche Amministrazioni, i temi fondamentali per l’adozione del Piano sono quello della unitarietà delle scelte progettuali e della possibile condivisione di soluzioni all’interno della PA (riuso) e di un monitoraggio cooperante delle attività in corso al fine di favorire i più deboli (tipicamente nella PA locali) per aiutarli a mantenere un passo adeguato. Molto interessante è anche la presenza di progetti di Intelligenza Artificiale (Machine Learning) e Blockchain, in attesa delle Linee guida stabilite nella Legge di semplificazione 2019. Il successo di questo Piano dipenderà soprattutto dalle amministrazioni locali, nodo cruciale nella fornitura dei servizi ai cittadini, e speriamo che sia finalmente giunta l’ora della svolta decisiva. Matteo Gentile
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random GDPR: SOLO IL 28% È COMPLIANT, ECCO I MOTIVI CHI SI È ALLINEATO VANTA MOLTI RITORNI POSITIVI 2019 solo il 28% delle aziende italia›Nel ne è GDPR compliant, contro la previsio-
ne dello scorso anno che faceva ritenere il 78% delle imprese in grado di esserlo entro maggio 2018, il termine stabilito: è quanto emerge dal secondo report Championing Data Protection and Privacy – a Source of Competitive Advantage in the Digital Century, del Capgemini Research Institute, che ha messo a confronto le autoprevisioni del 2018 rispetto all’adeguamento al General Data Protection Regulation, il Regolamento UE per la protezione dei dati, con i risultati effettivi 12 mesi dopo. Gli ostacoli maggiori, secondo quanto dichiarato dagli intervistati, sarebbero la complessità dei requisiti normativi, i costi di implementazione e le sfide relative alle infrastrutture legacy (sistemi informatici, applicazioni o componenti obsoleti che per qualche motivo è complesso sostituire). Questo avrebbe contribuito a portare a una lentezza imprevista nell’adeguamento delle aziende al nuovo sistema. Ma molti sono quelli che stanno effettuando massicci investimenti per recuperare il tempo perduto e adeguarsi alle nuove linee guida per la protezione della privacy e per affrontare il futuro in maniera adeguata, sostenendo di rilevare un consistente aumento dei costi delle commissioni professionali (il 40% stima che per sole spese legali nel 2020 spenderà 1 milione di dollari, e il 44% ritiene che la stessa cifra se ne andrà per gli aggiornamenti tecnologici) e sottolinea i disagi legati alle leggi diverse adottate dai Paesi extra-europei con i quali bisognerà rapportarsi. Il miglior tasso di organizzazioni conformi al GDPR è stato registrato negli Usa (35%), il peggiore in Svezia (18%). Al secondo posto Regno Unito e Germania (pari al 33%), mentre a fondo classifica, penultimi, si trovano Spagna e Italia (entrambi al 21%). Questo per stare sui dati negativi.
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Ma chi invece si è allineato correttamente al Regolamento, ha dato risposte - sugli effetti - più che positive: l’81% di quel 28 per cento che si trova in regola con il GDPR ha affermato di avere avuto ritorni positivi sia in termini di reputazione sia di brand image. Ma non solo. Il 92% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver raggiunto un vantaggio competitivo, mentre la s tragrande maggioranza dei dirigenti ha affermato di aver notato un impatto positivo sulla fiducia dei clienti (84%), sulla brand image (81%) e sul morale dei dipendenti (79%), e ancora miglioramenti nei sistemi IT (87% rispetto al 62% del 2018), nelle pratiche di cybersecurity (91% vs. 57%) e in cambiamenti e trasformazioni a livello di organizzazione (89% vs. 56%). Dal report emerge chiaramente che le aziende che si sono adeguate al GDPR hanno maggiori probabilità di utilizzare piattaforme cloud (84% rispetto al 73% di
quelle non conformi), crittografia dei dati (70% vs. 55%), Robotic Process Automation (35% vs. 27%) e conservazione dei dati industrializzati (20% vs. 15%). Inoltre, l’82% di quelle conformi aveva adottato misure per garantire che anche i propri technology vendor fossero in linea con le nuove norme sulla privacy dei dati (contro
il 63% delle non conformi), e la maggioranza (61%) delle organizzazioni in linea ha dichiarato di sottoporre i subcontractor ad audit per la conformità in tema di data protection (rispetto al 48% delle altre). «Questa ricerca - ha dichiarato Alessandro Menna, Cybersecurity Lead Capgemini Business Unit Italy - mette in luce sia le sfide nel raggiungimento della conformità al GDPR, sia le interessanti opportunità per le aziende che la rispettano. Lo scorso anno molti dirigenti avevano delle aspettative evidentemente troppo ambiziose e ora si sono resi conto dell’entità degli investimenti e dei cambiamenti organizzativi necessari per essere in linea con i requisiti del Regolamento: dall’implementazione di tecnologie avanzate che supportano la protezione dei dati alla diffusione tra i dipendenti di una mentalità adatta alla tutela della privacy e dei dati. Tuttavia, le aziende devono riconoscere che la conformità apporta vantaggi superiori al previsto, con miglioramenti in termini di fiducia dei clienti, soddisfazione dei dipendenti, reputazione e ricavi. Questi benefici dovrebbero incoraggiare ogni azienda ad essere pienamente conforme».
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random DIRITTO ALL’OBLIO, LA CORTE DI GIUSTIZIA UE DECIDE: GOOGLE NON DEVE DEINDICIZZARE IN TUTTO IL MONDO un motore di ricerca di livello mondia›Sele riceve dall’Autorità Garante di un Paese
europeo la richiesta di cancellare una notizia per la quale ha ragione di chiedere il rispetto del diritto all’oblio, il motore deve farlo ma può tenerla visibile negli altri Continenti in cui opera. È questa la sostanza della decisione della Corte di Giustizia dell’UE, che nella seconda metà di settembre si è pronunciata su un caso che oppone da anni l’Autorità per la Privacy francese al gigante californiano di Mountain View. Era il 2016 (il diritto all’oblio era stato riconosciuto dall’Ue due anni prima), quando la CNIL - Commission nationale de l’informatique et des libertés (Commissione nazionale per l’informatica e le libertà) aveva irrorato una sanzione di 100 mila euro a Google Inc, la creatura fondata in un garage da Sergey Brin e Larry Page, perché aveva rifiutato di cancellare alcuni contenuti non solo in Francia e in Europa, ma nelle pagine lette in tutto il mondo applicando in pratica il provvedimento di cancellazione a tutte le estensioni del suo nome di dominio. Google aveva prima chiesto inutilmente al Consiglio di Stato francese di annullare la sanzione dell’Autorità per la privacy sostenendo in sostanza che il diritto alla deindicizzazione non comporti l’obbligo di applicare alla soppressione dei link contestati il principio della non limitazione geografica, comportando così il coinvolgimento di tutti i domini del suo “motore”. La ricerca fatta per la cancellazione, includeva infatti solo quelli in uso in Europa, del quale territorio la Francia era parte, ed aveva eliminato i risultati che quella ricerca aveva evidenziato. Da qui il ricorso alla Corte di Giustizia Ue. La quale ha dato ragione alla società americana (che - secondo quanto lei stessa dichiara in una pagina che compare a chi rivolge al
motore di ricerca la domanda sul suo stesso fatturato - genera un business di circa un miliardo di dollari a trimestre, guadagnando, tra servizi cloud e pubblicità, qualcosa come 615 dollari al secondo). «Il gestore - dice infatti dice la Corte di Lussemburgo - non è tenuto a effettuare la deindicizzazione in tutte le versioni del suo motore di ricerca», pur sostenendo che «una deindicizzazione mondiale sarebbe idonea a conseguire pienamente l’obiettivo di protezione perseguito dal diritto dell’Unione». Ma il problema è che «molti Stati terzi non
riconoscono il diritto alla deindicizzazione o comunque adottano un approccio diverso per tale diritto». Il diritto alla protezione dei dati personali «non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Inoltre, l’equilibrio tra il diritto al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, da un lato, e la libertà di informazione degli utenti di Internet, dall’altro, può variare notevolmente nel mondo». Dalla normativa europea «non emerge che il legislatore dell’Unione abbia proceduto a tale bilanciamento per quanto riguarda la portata di una deindicizzazione al di fuori dell’Unione, né che abbia scelto di attribuire ai diritti dei singoli una portata che vada oltre il territorio degli Stati membri. Non risulta neppure che esso abbia inteso imporre a un operatore, come Google, un obbligo di deindicizzazione riguardante anche le versioni nazionali del suo motore di ricerca che non corrispondono agli Stati membri. Il diritto dell’Unione non prevede, per giunta, strumenti e meccanismi di cooperazione per quanto riguarda la portata di una deindicizzazione al di fuori dell’Unione». Quindi la conclusione che non c’è per la società un obbligo di deindicizzazione su scala mondiale. Secondo la Cgue, «allo stato attuale, non sussiste, per il gestore di un motore di ricerca che accoglie una richiesta di deindicizzazione presentata dall’interessato, eventualmente a seguito di un’ingiunzione di un’autorità di controllo o di un’autorità giudiziaria di uno Stato membro, un obbligo, derivante dal diritto dell’Unione, di effettuare tale deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore». Il diritto europeo, precisano i giudici, obbliga il gestore di un motore di ricerca a «effettuare tale deindicizzazione nelle versioni del suo motore di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri e ad adottare misure sufficientemente efficaci per garantire una tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona interessata. In tal senso, una simile deindicizzazione deve, se necessario, accompagnarsi a misure che permettano effettivamente di impedire - o quantomeno di scoraggiarli se-
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riamente dal farlo - agli utenti di Internet che effettuano una ricerca sulla base del nome dell’interessato a partire da uno degli Stati membri di accedere, attraverso l’elenco dei risultati visualizzato in seguito a tale ricerca mediante una versione “extra UE” del suddetto motore, ai link oggetto della domanda di deindicizzazione». Sarà il giudice nazionale a dover verificare che le misure attuate da Google rispettino queste esigenze. La Corte dice anche che il diritto europeo non vieta che la deindicizzazione avvenga su tutte le versioni di Google, quindi su scala globale; quindi rimanda alle Autorità nazionali, che devono effettuare un bilanciamento di diritti. Sono loro infatti che rimangono «competenti ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall’altro, il diritto alla libertà d’informazione e, al termine di tale bilanciamento, a richiedere, se del caso, che il gestore di tale motore di ricerca effettui una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore».
Immediata la reazione in Italia del Garante della Privacy Antonello Soro, che ha sottolineato come - in attesa di leggere le motivazioni della decisione della Corte Ue, non si può che rilevare come la decisione abbia «sicuramente un impatto rilevante sulla piena effettività del diritto all’oblio. In un mondo strutturalmente interconnesso e in una realtà immateriale quale quella della rete, la barriera territoriale appare sempre più anacronistica». «A maggior ragione - continua Soro in una nota - acquista ulteriormente senso l’impegno delle Autorità europee di protezione dati per la garanzia universale di questo diritto, con la stessa forza su cui può contare in Europa. L’equilibrio tra diritto di informazione e dignità personale, raggiunto in Europa anche grazie alla disciplina dell’oblio, dovrebbe rappresentare un modello a livello globale». Secondo alcuni commentatori, la decisione contribuirà ad aumentare le differenze tra l’accesso ai contenuti su internet nelle varie aree del mondo. In Europa, ad esempio, i cittadini potranno non vedere alcuni contenuti che li riguardano, ma negli Stati Uniti invece sarebbero visibili a chiunque.
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attualità CONVEGNO AD ANCONA, PER INIZIATIVA DEGLI ARCHITETTI, SULLE OPERE PUBBLICHE
Dal nuovo Codice dei contratti ai vantaggi del “modello Genova” Fitto dibattito di professionisti ed esperti sulla situazione normativa e sulle attese degli operatori del settore edilizio per uno sviluppo che superi gli attuali limiti dovuti a contraddizioni, burocrazia, decisioni politiche e legislative che tardano ad arrivare. Nonostante i miglioramenti introdotti, molto rimane da fare. L’intervento del Presidente del Consiglio Superiore dei LLPP: il progetto del nuovo Viadotto Polcevera è il frutto di una collaborazione da esportare per la sua positività.
Donato Carlea*
Ingegnere, Presidente Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Viviana Caravaggi Vivian
Consigliere Ordine Architetti Ancona Coordinatore scientifico evento
La curiosità è la caratteristica principale di un buon professionista, ci protende verso la novità, indica la passione per la ricerca. I curiosi sono coloro che si dedicano alla ricerca al di fuori delle istituzioni tradizionali, gli interessi e le attività intellettuali si incanalano in nuove direzioni, una passione inestinguibile e pronta ad aumentare sempre di più. La curiosità è l’impulso per far sì che le opere pubbliche si realizzino, le infrastrutture, puntuali e lineari, moderne e antiche, possano tornare ad essere uno dei volani principali dell’economia italiana. E allora come si legano queste speranze, questi obiettivi alle attività fondamentali delle Pubbliche Amministrazioni? Il mondo degli appalti pubblici è attraversato dall’ennesima rivoluzione normativa: un decreto, la relativa legge di conversione n. 55/2019, un regolamento in attesa, forse la riscrittura del Codice...linee guida parzialmente abrogate, norme sospensive transitorie, sentenze, giurisprudenza, consuetudini…le istituzioni dello Stato non riescono mai ad applicare tempestivamente la legge in quanto le norme si susseguono con ritmi vorticosi e impediscono agli addetti ai lavori di familiarizzare con le norme che dovrebbe applicare e che già sono cambiate. Tantissime le novità, molte le doman-
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de, innumerevoli i dubbi degli addetti ai lavori che si ritrovano, d’altronde, ad assumere responsabilità rilevanti in uno scenario di certo non caratterizzato da certezza normativa ed uniformità interpretativa, è spesso difficile imboccare la strada giusta per gestire l’iter di realizzazione di un’opera pubblica. Sono circa 200 le modifiche normative dal 1994 ad oggi e altrettante le previsioni di modifica. È sempre più evidente che c’è necessita di chiarezza normativa dove al centro ci sia il progetto perfetto, la semplificazione delle procedure di appalto, i finanziamenti certi oltre che i piani di manutenzione per la gestione del ciclo di vita dell’opera. Non dimenticando i principi Europei di Trasparenza, Economicità, Parità di trattamento... Queste sono le tematiche al centro di un Convegno svoltosi all’Auditorium Mole Vanvitelliana di Ancona l’8 novembre, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Ancona, un percorso di Architettura e Ingegneria che ha visto la presenza di numerosi personaggi di spicco del mondo dei Contratti pubblici, tutti concordi nell’affermare che le OO.PP., e l’edilizia in generale, svolgono un ruolo determinante per il Paese in chiave di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Oltre al Presidente del Consiglio Superiore dei LL.PP., co-autore di questa sintesi, erano presenti il vicepresidente della Regione Marche arch. Anna Casini, il sindaco di Ancona Valeria Mancinelli, il Presidente di Anci Marche
“Perché questo seminario? Il mondo è attraversa-
to da continue rivoluzioni normative. Per gli appalti pubblici c’è il decreto legislativo n. 55/2019, di cui attendiamo il Regolamento, forse ci sarà la riscrittura del Codice. Ma ci sono anche molti dubbi degli addetti ai lavori, incertezza normativa, non uniformità di interpretazione
”
Arch. Donatella Maiolatesi, Presidente Ordine Architetti Provincia Ancona
“
In questa parte del Paese ci sarebbe la più grande opera pubblica di tutti i tempi: si chiama ricostruzione post terremoto. Ma abbiamo una burocrazia e dei meccanismi, soprattutto negli appalti pubblici, insopportabile: un Comune fuori dal cratere fa 15 atti per poter avviare la propria opera, dentro il cratere ne fa 22. E non se ne esce, a meno che non si compiano percorsi come quelli per il ponte di Genova
Dott. Maurizio Mangialardi, Presidente ANCI Marche
”
“Paragonare il ponte di Genova con la miriade di
piccoli Comuni (i sindaci delle Marche sono 86) i cui tecnici non sono abituati a gestire grandi progetti e guadagnano 1.000-1.500 euro al mese, diventa un po’ complicato. Se da 2 anni e mezzo nelle Marche sono fermi 1,5 miliardi di euro per una miriade di opere sparse sul territorio, un problema ce l’abbiamo. Non dimentichiamo i cordoli antisismici di cemento armato costruiti sui tetti, che hanno gravato sui muri facendo crollare gli immobili e causando morti in regola con le norme
”
Arch. Anna Casini, vice Presidente Regione Marche, Presidente “Itaca”
“
Il nostro Paese aveva oltre 50 miliardi investiti e non spesi, un ritardo che derivava dalle norme. Siamo intervenuti - dopo audizioni con professioni ed enti interessati - con un primo intervento di semplificazione del codice dei contratti e gli appalti stanno ripartendo. Il decreto attuativo doveva essere completato in ottobre, ma in agosto è caduto il governo, ora siamo in dirittura di attivo. Altri punti su cui stiamo lavorando: il disegno di legge sulla rigenerazione urbana; il decreto sul terremoto; il difficile accesso alle aree nel cratere… Modello Genova: abbiamo
Foto di gruppo dei relatori al convegno
Ordine Ingegneri Genova / aprile-dicembre 2019 / n° 2-4
attualità Maurizio Mangialardi, il sen. Mauro Coltorti, Presidente dell’VIII commissione Lavori pubblici al Senato, il vice Presidente del Consiglio Nazionale Architetti, Rino la Mendola, il vice Presidente ANCE Edoardo Bianchi, il Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Genova Maurizio Michelini e l’arch. Stefano Russo, del Renzo Piano building Workshop. Il confronto e la condivisione interdisciplinari, sono più che mai necessari per il perseguimento del bene comune, i costruttori e i professionisti non devono lavorare separati, l’alleanza fra i vari attori del processo è fondamentale, nel segno di una visione strategica, per far crescere il Nostro Paese. La passione, l’umiltà, l’ascolto e il dialogo con tutte le parti coinvolte, sono di fondamentale importanza per il benessere comune, ed è importante che ci siano persone che in nome dell’interesse comune, gettino il cuore oltre l’ostacolo. Sono molte le difficoltà in cui si trovano ad operare gli addetti ai lavori (dipendenti pubblici, liberi professionisti, imprese, politici, pubblici amministratori, ecc), è evidente che ci sia il bisogno di un superamento delle infrazioni di normative ipertrofiche, di un vero snellimento delle procedure, di finanziamenti certi e di sgravi burocratici, con “a valle” controlli ferrei e severi per chi delinque. Sappiamo che l’Italia è ancora afflitta da un “cancro” che ne mina alla base ogni possibilità di sviluppo accurato, dove professionisti e imprenditori onesti possano seguire un percorso di crescita, regolamentato da una sana competizione, per merito e qualità. I comportamenti scorretti e illegali all’interno della pubblica amministrazione hanno poco a che fare con le “mafie” in senso stretto, c’è la necessità di operare eliminando la discrezionalità, limitando il raggio di manovra degli addetti ai lavori, con normative più semplici e chiare. Il mal funzionamento della macchina pubblica deve essere contrastato non certo con normative che permettono un procedimento fittizio che consente ad un progetto esecutivo, approvato e validato di essere “migliorato” dalle imprese che dovrebbero eseguirlo e permette ad una commissione di scegliere un’impresa arbitrariamente, prima ancora che discrezionalmente. Molti progetti sono fermi o bloccati a causa di un circolo vizioso di combinazione tra burocrazia, difficoltà finanziarie e processi decisionali politici. Sotto il profilo processuale gli appalti impugnati presso i tribunali amministrativi regionali sono tendenzialmente meno del 3% del totale delle
DAL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI AI VANTAGGI DEL “MODELLO GENOVA”
gare bandite. Sembra quindi che il contenzioso non incida che per una percentuale infinitesimale sull’aggiudicazione e realizzazione dei contratti pubblici ma i numeri statistici, nascondono sorprese e devono essere analizzati in dettaglio. Nell’ambito di questa minima percentuale, infatti, è stato verificato che le impugnazioni delle procedure sopra il milione di euro rappresentano circa il 50% del totale dei gravami, mentre per gli appalti di minore importo le percentuali scendono sensibilmente. È evidente che esiste un’area di impunità amministrativa. Senza dimenticare che il contenzioso elevato, in numero e importi, compare con grandissima frequenza durante l’esecuzione dei lavori e quasi sempre è dovuto a carenze progettuali. Al Forum Mondiale dell’Economia la valutazione della qualità dell’economia delle infrastrutture Italiane risulta al 7° posto per la spesa pubblica più alta e si colloca solo al 27° posto per lo stato delle infrastrutture considerato che: il Giappone è al 4° spendendo l’11% in meno, la Svizzera è al 6° spendendo il 16% in meno; gli Stati Uniti sono al 9° spendendo il 13% in meno. Un contributo alla soluzione dei problemi potrebbe essere dato dal progetto esecutivo corretto e validato, il quale può produrre sul mercato della progettazione un affinamento del livello di design, incentivare nel settore dei servizi una sana concorrenza, obbligare le P.A. ad organizzare in maniera razionale la propria attività, contribuire alla risoluzione delle patologie quali l’eccesso di ribasso; in altre parole un progetto redatto senza incognite (perfetto), approssima allo zero i rischi quali riserve, varianti, contenziosi e tempi di realizzazione. Molte sono le tematiche affrontate e ancora da affrontare relativamente alla realizzazione delle opere pubbliche. Le Pubblica Amministrazione, che ci
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creato una serie lunga di commissari, e questo serve per dare slancio al Paese e all’economia perché si superino i rallentamenti
”
Sen. Mauro Coltorti, Presidente VIII Commissione permanente LLPP
“
Con il nuovo Codice dei contratti pubblici introdotto dal D. Lgs. n. 50/2016, e il relativo Regolamento di cui al DM 2/12/2016 n. 263, sono stati raggiunti diversi obiettivi. L’ art. 145 c. 5, alimenta la rivoluzione per cui il giovane senza soldi ma con cervello può vincere concorsi importanti e presentare progetti al prezzo più basso di 40 mila euro mentre prima il limite era di 100 mila; inoltre c’è il divieto di incarichi gratuiti o in conto spesa; prima bisognava avere un fatturato da 2 a 4 volte il valore dell’importo, ora da 1 a 2 oppure una polizza assicurativa; è stata anche abolita la cauzione provvisoria. Ma ci sono ancora tante criticità da superare, come il riconoscimento della centralità del progetto. Ad esempio, ci sono molti buoni motivi per ricorrere al “concorso di progettazione
”
Arch. Rino La Mendola, vice Presidente Consiglio Nazionale Architetti
“Sbloccacantieri: è stato più che altro un ennesimo
correttivo per provare a semplificare qualcosa, ed elimina il massimo ribasso puro nei lavori pubblici. Riguardo la centralità del progetto, chi ha mai detto che non debba essere centrale? Si dice ci sia un problema di “blocco della firma”: allora si intervenga perché a chi nella P.A. tocca firmare lo faccia senza il timore che gli vengano sequestrati i propri beni. E si riperimetri l’abuso d’ufficio. Il pesidente dell’Anac Cantone dice che fatto 100 questo reato, al termine del primo grado, le condanne sono il 3%. Ma se questo 3% viene ibernato nella P.A., senza più lavorare, fare concorsi, col rischio di richiesta risarcitoria di danno erariale per colpa grave, è devastante. I commissariI Ok per casi gravi come Genova, ma per altri il modello è inesportabile
Dott. Edoardo Bianchi, vice Presidente Ance
”
“
Il mio primo pensiero va al 14 agosto 2018, alle 43 vittime del crollo di della pila 9 del viadotto Polcevera. Noi tutti entriamo negli edifici, percorriamo le strade e saliamo sui mezzi di trasporto fidandoci della catena di controllo che lo Stato prevede per garantire la nostra sicurezza, dalla progettazione alla manutenzione e al controllo, con norme che sulla carta sono spesso rigidissime. Quelle persone si sono fidate e sono morte. Occorre prendere atto che ciò che l’uomo costruisce non è eterno, va controllato, manutenuto e, a un certo punto, demolito. Per la ricostruzione del viadotto Polcevera abbiamo seguito il decreto legge 109 del 2018, che prevede l’affidamento mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione, a valle di una libera analisi di mer-
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attualità sentiamo di rappresentare, dovrebbe garantire il benessere della collettività, dovrebbe essere animata da spirito di servizio al cittadino e non dalla ormai cronica repulsione all’assunzione delle responsabilità, considerato il quadro normativo incerto. Solo un quadro giuridico più lineare potrebbe evitare il cosiddetto “Blocco della firma”, nel perseguimento di una chiarezza delle regole e riduzione dell’incertezza interpretativa (in realtà si tratta di un obiettivo che dovrebbe permeare sempre l’azione del legislatore). La P.A. non può rimanere ingessata e strangolata da norme ipertrofiche che non permettono al Paese di crescere, e deve essere dinamica e pulita. I controlli sugli appalti sono fondamentali, dovrebbero essere più incisivi, con la certezza della pena per chi delinque, mentre le procedure dovrebbero essere più snelle e veloci, è oggi più che mai è urgente sia così. Dobbiamo operare consapevoli che le opere di architettura e ingegneria sono elementi che segnalano una svolta nella vita sociale, culturale ed economica del Paese. Le OO.PP. (opere puntuali, infrastrutture, ecc.) non sono solo funzionali, sono espressione di innovazione, design, scienza sintesi di creatività progettuale, possono divenire esse stesse opere d’arte o simboli di un nuovo modo di pensare l’architettura. Il “progetto perfetto” è lo strumento indispensabile per cogliere le nuove sfide della qualità delle città e della vita urbana. I professionisti sono concentrati a sopravvivere negli adempimenti normativi ipertrofici e non riescono a pensa-
DAL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI AI VANTAGGI DEL “MODELLO GENOVA”
re al Progetto di qualità, innescando un circolo vizioso che non permette di raggiungere l’obiettivo, quello di produrre qualità architettonica e urbana fondata sulla ricchezza e sulla diversità del patrimonio culturale italiano, architettonico, paesaggistico, urbano, monumentale, indirizzandola verso un nuovo rinascimento del Paese. Per la realizzazione dell’opera pubblica servono semplicità e trasparenza: “un procedimento semplice e lineare, naturalmente con gli opportuni correttivi, porta alla trasparenza” . - I concetti di semplicità e trasparenza si possono articolare in modo astratto nei seguenti punti: - Puntare esclusivamente sul progetto esecutivo non migliorabile in fase di gara; - Il progetto deve essere perfetto, naturalmente redatto nei tempi e con i costi necessari; - Le imprese devono avere il giusto tempo per studiare il progetto e formulare una offerta congrua; - Eliminazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; - Copertura finanziaria negli anni previsti per la realizzazione dell’opera; - Adeguata importanza dei piani di manutenzione; Per fortuna ogni tanto succede che professionisti italiani realizzino un’opera che da sola racconta la voglia di rilancio e di riscossa di una Nazione intera. Ma è anche quella che ci rende ancora più competitivi in Europa, e più in generale all’estero dove i professionisti italiani sono già molti apprezzati. È il caso del nuovo Ponte di Genova, attuato con una norma apparentemente derogativa (Decreto Genova). Il Legislatore ha statuito una norma ad hoc, ci chiediamo perché in questo Paese per realizzare opere sia sempre necessario costruire norme eccezionali. Il progetto ha comunque acquisito il parere positivo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, rilasciato con un esemplare comportamento in termini di rapidità e approfondimento. Quadro normativo semplice, progetto perfetto, riduzione dell’incertezza interpretativa: ci auguriamo vivamente che questo sia un punto di partenza nuovo e proficuo per gli addetti ai lavori, per tutte le istituzioni pubbliche coinvolte oltre che una speranza per l’Italia. (scelta e sintesi degli interventi sono della redazione di “A&B”)
*Dal 5 dicembre 2019 alla presidenza
L’intervento dell’arch. Stefano Russo, del “Renzo Piano Building Workshop” -
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del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici è tornato l’Ing. Massimo Sessa
cato. Lo stesso decreto dispone che il Commissario operi in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatti salvi l’antimafia e i vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Non si tratta di un “liberi tutti”, ma di un utile strumento che consente di applicare le direttive UE e le linee guida della Commissione Europea secondo le migliori pratiche internazionali laddove, in Italia, vengono invece prescritti requisiti procedurali e regimi operativi inutilmente più rigorosi, al di fuori di quelli minimi che ci impone l’Europa e che derivano dal buon senso. E’ stato così possibile adottare criteri di resilienza procedimentale, parallelizzazione dei processi e attività progettuale in progress, per fare presto e bene. Abbiamo comunque ritenuto di chiedere un parere - di carattere facoltativo - al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che si è espresso in tempi record, fornendo importanti indicazioni che abbiamo avuto modo di recepire nelle successive fasi di progettazione. E per questo ringrazio il Presidente Prof. Carlea, anche a nome del Commissario Bucci
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Ing. Maurizio Michelini, Presidente Ordine Ingegneri Genova, Rup costruzione Viadotto Polcevera
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Confermo che la richiesta di parere era facoltativa. iI progetto giunto da Genova è entrato in Consiglio Superiore il 18 marzo 2019. Il parere è stato espresso 8 giorni dopo. Abbiano dimostrato rapidità e profondità. Ma attenzione: prima è stato fatto un lavoro che io mi auguro possa diventare consuetudine, e non solo quando si affronta un’emergenza di tal genere. C’è stata una splendida collaborazione tra i progettisti del nuovo viadotto genovese, il Commissario e il Consiglio Superiore ai LL.PP. La prima visita che ho fatto all’esterno dopo la mia nomina è stata proprio a Genova: un atto dovuto non solo alla Città, ma anche all’Italia, per una situazione davvero drammatica. E allora, man mano che il progetto andava avanti, succedeva quello che io sto sperando di fare: una fase interlocutoria prima ancora che il progetto venga presentato al nostro Consiglio; ed è quello che abbiamo fatto. In otto giorni abbiamo espresso un parere, con la conclusione scritta nella lettera che l’ing. Michelini vi ha letto, dove ingegneria e architettura sono state riportate e messe insieme. Il modello Genova deve essere esportato perché nel rispetto delle regole è diventato un modello positivo
Prof. Ing. Donato Carlea, Presidente Consiglio Superiore LLPP
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Il progetto per il nuovo viadotto è stato curato da Salini, da Fincanieri e come progettista strutturale da Italferr. Noi abbiamo curato la parte artistica. Come vedete da questo schizzo di Renzo Piano, il ponte dialoga con il tessuto urbano in cui è inserito. Quest’altra immagine mostra la particolarità della Valpolcevera, con il quartiere di Certosa, il Campasso, la rete ferroviaria, il fiume Polcevera e l’area industriale. Abbiamo lavorato su un’infrastruttura nazionale ed europea, e la fretta - solo un anno per concludere tutto - è diventata elemento progettuale. Il ponte attraversa la valle come una nave, è sobrio, con campate da 50 metri tranne due - quelle sul Polcevera e sul parco ferroviario - di 100. Ha 3 corsie per senso di marcia, il Morandi era largo 18 metri, questo è di 30, ma la sua dimensione si percepisce solo da vicino. Sia la forma dei piloni sia quella degli impalcati, studiati come la carena di una nave, lo rendono prospetticamente leggero, sottile, volutamente non invadente. È stata usata tecnologia avanzata anche per la manutenzione: un robot che lo percorre all’interno manda informazioni in remoto e consente di intervenire in caso di problemi; l’energia arriva da pannelli solari; le saldature in opera sono state ridotte al minimo a favore dell’uso di bulloni per ridurre i tempi. Sotto il ponte un parco verde recupererà e valorizzerà l’area .
Arch. Stefano Russo, Renzo Piano Building Workshop
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genova 2018-2048 I LAVORI PER LA COSTRUZIONE DEL NUOVO VIADOTTO SUL POLCEVERA
E IL PONTE VA. IN DIRETTA Nei siti ufficiali del Commissario e dei costruttori, attraverso foto, video e telecamere puntate sul cantiere, è possibile seguire l’andamento dei lavori, compreso il montaggio delle campate sulle pile che sosterranno la nuova struttura. Oltre alla documentazione ufficiale relativa agli atti e alle procedure sull’opera, fra News Letter, Agenda di Cantiere, comunicati stampa e altro, l’aggiornamento è continuo. E due “InfoPonte” in via Jori e Porta Siberia aggiornano i cittadini su viabilità e servizi. Come tutti sanno, al cantiere per la costruzione del nuovo viadotto Polcevera non ci si può avvicinare, sia per questioni di sicurezza personale (security) sia per le rigide regole che sovrintendono la sicurezza in senso lato: l’area è sorvegliata dall’esercito e dalle forze dell’ordine e vengano fatti controlli per evitare la presenza di estranei. Il solo pericolo di infiltrazioni mafiose, in un’opera di queste proporzioni, è alto, tanto che nel maggio scorso è stata revocato l’incarico a una ditta di subappalto per parentele dei titolari con un pregiudicato con condanne per criminalità organizzata (fra l’altro, non si dimentichi che tutta la zona è ancora sottoposta a sequestro dell’autorità giudiziaria, che non ha concluso le indagini sulle cause del crollo). Ma forse non tutti sanno che è possibile seguire con relativa facilità, e praticamente in diretta, come procedono i lavori, senza muoversi da casa. L’opportunità è data in primo luogo dalle informazioni fornite - a cura dell’ufficio stampa - dal sito dello stesso Commissario straordinario per la ricostruzione (www. commissario.ricostruzione.genova.it > menù NOTIZIE > News - Approfondimenti - Comunicati stampa - News Ambiente&Salute - Photo Gallery - Foto panoramiche - News Letter (alla quale ci si può iscrivere ricevendo un resoconto settimanale sugli avvenimenti); menù VIABILITÀ; menù AGENDA DI CANTIERE. Oltre alle foto, video girati anche col drone in vari momenti cruciali sia della demolizione del Morandi sia della nuova costruzione. Senza considerare ovviamente le altre voci del menù, da
Prima campata con Conte l’1 ottobre 2019 (ph. Mimmo Giordano)
cui si può arrivare agli atti e alla documentazione relativi all’attività del Commissario e del suo staff. Inoltre, come si legge proprio nella NewsLetter n. 15 di dicembre, nella Sala Maestrale della Biblioteca Cervetto (lunedì-venerdì, ore 9-18) in Via Jori 60, è stato aperto
Sesta campata, l’ 8 gennaio 2020 (ph PerGenova)
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un InfoPonte, dove su uno schermo passano le informazioni principali, come la viabilità, che interessano i cittadini che abitano attorno alla zona del cantiere, ma anche nel resto della città. InfoPonte è uno strumento creato con il sostegno di Comune di Genova, Ordine degli Architetti, Ordine degli Ingegneri, Rina Consulting, PerGenova, Fit - Federazione Italiana Tabaccai; e presto uno schermo “gemello” sarà installato anche presso lo “Spazio Ponte” operativo a Porta Siberia, nel Porto Antico, dove sono in mostra progetti, plastici, video, foto e altro materiale che spiega, con l’ausilio di tecnici ed ingegneri, tutti i segreti della nuova costruzione. Anche “PerGenova” (società consortile per azioni costituita da Fincantieri Infrastructure e Salini Impregilo) offre dal proprio sito un’ulteriore possibilità di seguire passo passo l’attività del cantiere. Al consorzio sono stati affidati la progettazione (che procede secondo l’idea regalata alla Città dall’Arch. Renzo Piano) e i lavori di costruzione del nuovo viadotto. Anche in questo caso, su www.pergenova.com - oltre alle informazio-
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genova 2018-2048
L’InfoPonte in via Jori (Ph. Commissario Ricostruzione)
ni istituzionali e progettuali - il menù offre molte informazioni: da MEDIA (News, Fotogallery, Comunicati e rassegna stampa, Videogallery) a LIVECAMERA, ovvero otto telecamere puntate sul cantiere, in diretta, da prospettive diverse. I lavori, a che punto Intanto, mentre procedevano i lavori di demolizione del Morandi, come si diceva, quelli di costruzione della nuova struttura sono cominciati in parallelo, nel mese di aprile, con un progetto “in progress” che ha seguito quello di Renzo Piano, che ha regalato alla Città la sua idea per il nuovo viadotto, è stato nominato direttore artistico, e partecipa all’impresa con gli architetti del suo Building Workshop di Vesima, uno
E IL PONTE VA. IN DIRETTA
dei suoi studi sparsi per il mondo (gli altri sono a Parigi, dove vive, e a New York). Fondamentale l’avvio della costruzione delle 18 pile su cui poggeranno le 19 campate, quasi tutte a distanza di 50 metri l’una dall’altra e tre - che scavalcano il torrente e il parco ferroviario - a 100 metri, tutte di uguale altezza e dimensione per garantire uniformità prospettica, per una lunghezza totale di poco più di 1.000 metri. Il viadotto avrà tre corsie più una di emergenza e una pedonale per lato, per una larghezza totale di 30 metri contro i 18 del Morandi. Il ponte, come è ormai noto a tutti, è in acciaio e l’impalcato ha una struttura mista acciaio-calcestruzzo, mentre la soletta sarà prefabbricata in calcestruzzo armato e poi completata. Come si ricorderà, e come è già possibile vedere, la forma della struttura (che sarà verniciata di chiaro perché di giorno rifletta la luce) secondo l’idea di Piano è far ricordare la carena di una nave (internamente ispezionabile, che sarà percorso, all’esterno, da un robot che fotograferà e manderà immagini a una postazione remota di controllo consentendo eventuali immediati interventi di manutenzione in caso di bisogno), è munita di impianto fotovoltaico per l’energia necessaria, l’illuminazione notturna e di altre tecnologie.
I primi conci di acciaio, costruiti negli stabilimenti di Castellammare di Stabia, sono arrivati via mare l’1 luglio e sono stati assemblati sul posto per la costruzione del primo impalcato. Poi sono cominciati a salire, mano a mano che le pile erano pronte, le campate: la prima, sulle pile 5 e 6, l’1 ottobre alla presenza del presidente del Consiglio, del nuovo ministro alle infrastrutture Paola De Micheli e delle autorità locali; la seconda il 7 novembre sulle pile 4-5; la terza, pile 6 e 7, il 20 novembre; la quarta, 15 dicembre, pile 14-15; la quinta, 28 dicembre, pile 7-8 e la sesta - prima collocata nel 2020 - nel pomeriggio dell’8 gennaio, pile 3-4. Ognuna lunga 50 metri - per un totale di 300 metri - e di un peso variabile fra 500 e 600 tonnellate, secondo se la dotazione dei carter (le parti in acciaio laterali di cui è composto il nuovo viadotto) fosse stata montata interamente o parzialmente a terra oppure in aria, a 40 metri d’altezza. Con la costruzione dei piloni e gli incessanti preparativi per alzare nuove campate, nel “cantiere che non si ferma mai”, intanto i lavori continuano. Quanto alla consegna dell’opera, da un lato continuano anche le polemiche di molti sugli «inevitabili ritardi rispetto alle date annunciate dal Commissario Bucci», dall’altro Bucci si dice ottimista e rimanda alle imprese appaltatrici; e queste ultime, pur parlando di maltempo e consegna in ritardo dei materiali, ufficialmente non si pronunciano. Un argomento su cui si saprà di più nelle prossime settimane. G. San.
L’implosione del Morandi il 28 giugno 2019 (Ph. Luca Zennaro)
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cover CAMBIARE MENTALITÀ IN UN PAESE “DOMINIO SPAZIALE” DELLE ALLUVIONI
Dissesto idrogeologico: la sfida sono le strutture intelligenti Basta guardarla dallo spazio per capire che l’Italia è intrinsecamente vulnerabile più che altre parti d’Europa e del mondo. Nei secoli, la pressione urbanistica è cresciuta, ci si è stretti attorno ai fiumi, e si sono anche aggiunti i cambiamenti climatici. Eppure abbiamo finanziamenti, la protezione civile è fra le migliori al mondo. Ma bisogna imparare a ragionare in modo nuovo. Puntare alla sicurezza dei beni non negoziabili, come la vita umana, mettere in campo tecniche di flood proofing, integrare competenze e rapporti costi/benefici, analisi di scenario e strumenti di simulazione. In altre parole, governare la tecnologia senza abbandonare i metodi tradizionali. Docente di “Rischio idrogeologico e protezione civile” e “Hydrology for flood risk evaluation” nel Politecnico di Milano, il Prof. Ing. Giovanni Menduni è impegnato in numerosi progetti nazionali e internazionali nei temi del rischio idrogeologico e della gestione degli interventi di mitigazione. Ha anche una lunga esperienza sul campo come Segretario generale di Autorità di bacino, Direttore generale dell’Ufficio rischi naturali del Dipartimento della protezione civile e Commissario delegato per il terremoto. Si è occupato a lungo anche di open data, informatica del territorio, e partecipazione pubblica.
Giovanni Menduni
Ci sono problemi che paiono non trovare mai soluzione. Il dissesto idrogeologico è uno di questi: ogni anno nuove notizie di frane rovinose, alluvioni devastanti, vittime e danni interpellano la nostra società e, in modo particolare la comunità degli ingegneri che, diciamo geneticamente, ha come imprinting primario l’attitudine ad analizzare i problemi e trovare il modo risolverli. Il database RENDIS di ISPRA raccoglie il repertorio delle opere di ingegneria contro il dissesto eseguite, in corso di esecuzione o programmate nel nostro Paese, contando oltre 6 mila interventi per quasi 7 miliardi di euro. Il nuovo piano Proteggitalia, varato dal Governo nel marzo dello scorso anno e oggi in pieno svolgimento, ha previsto ulteriori 3,2 miliardi in opere di mitigazione e ripristino, uno dei quali già interamente programmato e in parte in esecuzione. La nostra Protezione civile è universalmente riconosciuta tra le migliori al mondo. Eppure, i titoli dei giornali continuano a presentarci in una situazione immanente di costante insicurezza e, nei fatti, questa è la percezione dei cittadini. Da cittadini e, soprattutto, da ingegneri, viene da chiedersi il perché. La risposta non è né univoca né, tantomeno, oggettiva. Il problema è difatti di quelli complessi, non suscettibili di essere semplificati in poche headlines accattivanti di immediata compressione. È bene dunque parlare di “risposte”, ciascuna delle quali risente della formazione, dell’esperienza e del punto di vista di chi le formula. Provo così a mettere sul piatto la mia, ben cosciente che non sarà esaustiva, definitiva o quant’altro. C’è una questione preliminare da affron-
tare, che è quella della posizione del problema. Il nostro Paese è densamente abitato, ha una forte vocazione manifatturiera ed è altrettanto intensamente infrastrutturato. Dei 300.000 chilometri quadrati della sua superficie, meno di un quarto sono pianeggianti, mentre il resto è collina e montagna. La pianura è di per sé un forte attrattore di processi economici e sociali. La Figura 1, che mostra l’Italia vista dalla ISS attualmente comandata dal nostro Luca Parmitano, illustra plasticamente questo concetto. In particolare le pianure del Po, dell’Adige, dei fiumi del Nordest, dell’Arno, del Tevere (così come l’area vesuviana), risultano come un’unica serie di insediamenti, praticamente senza soluzione di continuità. Questa evidente densità è ancora più significativa se confrontata con il contesto internazionale circostante e ben visibile nell’immagine. La pianura alluvionale, dal punto di vista fisico, nient’altro è se non l’inviluppo delle tracce dei fenomeni di dinamica idrologica e morfologica del corso d’acqua che la attraversa. Le pianure sono dunque, in re ipsa, il dominio spaziale delle alluvioni. Nelle pianure si fondano altresì le città, si
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fanno passare i fasci di infrastrutture, si costruiscono gli aeroporti, si impiantano le industrie e i servizi. L’esposto specifico italiano, e cioè il numero degli elementi per chilometro quadrato in grado di subire danno durante una alluvione, è elevatissimo se confrontato con il contesto internazionale. Siamo pertanto intrinsecamente vulnerabili ai fenomeni alluvionali, più che da altre parti di Europa e del mondo. Per le frane le cose non vanno meglio. I dissesti censiti, sempre da ISPRA, nel repertorio IFFI sono dell’ordine di 700 mila: in media la cifra astronomica di poco meno di 3 per chilometro quadrato di territorio collinare e montuoso. Fatti che dipendono dalla intrinseca natura geolitologica del territorio, ma anche (e spesso) da interventi antropici scriteriati. A fronte di un esposto generalmente più basso, la minaccia risul-
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DISSESTO IDROGEOLOGICO: LA SFIDA SONO LE STRUTTURE INTELLIGENTI
ta l’energia che viene ceduta dal mare alla nella seconda metà “supercella” temporalesca nel suo correre del secolo scorso, verso la costa. Non si tratta di un fenoè andata sistematimeno lineare bensì “a soglia”: la intensità camente crescendo dei fenomeni aumenta difatti in maniera in maniera parossiben più che proporzionale rispetto all’instica. cremento della temperatura. Questo tipo Questa (lunga) predi eventi, spesso veri e propri tornado, è la messa serve a cacifra di molte delle catastrofi più significapire che il probletive degli ultimi anni. ma è complesso, A questo punto viene da chiedersi cosa coinvolge numerosi si può fare e, in particolare, cosa gli inattori e, soprattutto gegneri possano fare. La prima cosa che perché non si parte mi viene in mente, per quanto stravagante da zero ma, al conpossa sembrare, è “cambiare mentalità”. trario, da una situaLa cultura novecentesca è stata improntazione fortemente ta al fenomeno: bisogna evitare che i fiumi compromessa. Ne superino la linea di ripa o che tracimino i è un esempio la propri argini. Cosa di per sé tutt’altro che situazione genoveperegrina, ma purtroppo difficilmente conse dove, come ben seguibile a livello generale e, soprattutto, spiega il mio collecome unica opzione. ga Renzo Rosso nel Tenere a forza i fiumi entro il proprio letbel libro “Bisagno: Figura 1. L’Italia vista dalla Stazione spaziale internazionale (ISS) to, in linea assolutamente generale, può il fiume nascosto”, avvenire abbattendo le portate di piena il misero torrente è ta tanto diffusa quanto insidiosa. attraverso opere di laminazione (casse, stato appunto nascosto dalla foce ai monIn questa breve nota parlerò più speciinvasi), ovvero che le stesse portate venti. Dapprima in sordina, seppellendo alcuni ficamente del problema delle alluvioni, gano a transitare a livelli più bassi (attraaffluenti tra l’Ottocento e l’inizio del Noveseguendo l’impostazione della mia formaverso riduzioni della scabrezza) ovvero incento; poi con la copertura dalla foce a Brizione personale di ingegnere. La sollecicrementando le quote arginali. Nelle aree gnole negli anni ‘30, e via così, tra l’altro tazione idrologica, come sappiamo, è di costiere, come ad esempio Genova, si può fabbricando alla chetichella, verso la fine carattere eminentemente stocastico, dove ricorrere a canali scolmatori che recapitino degli anni ‘80, le piastre davanti al Ferprobabilità di occorrenza e intensità del direttamente a mare i deflussi in eccesso, raris, il tutto pagando costantemente un fenomeno vanno in maniera inversa: gli soluzione relativamente indolore. Le prime prezzo altissimo in vittime per le ricorrenti eventi eccezionali sono, appunto, tali: acdue specie dei fatti hanno invece marcati alluvioni che ne sono derivate. cadano di rado. Una frana lascia un segno limiti di sostenibilità. La disponibilità di siti A tutto ciò si aggiunge la tormentata vicenindelebile sul territorio, modificandone la ancora liberi per la realizzazione di casse da dei cambiamenti climatici i cui effetti, morfologia. Oggi, semplicemente navigandi espansione o invasi di laminazione è riai fini della produzione del dissesto, sono do su Google Earth, è possibile riconoscere dotta al lumicino, e si tratta comunque di particolarmente evidenti per la generaziol’impronta morfologica lasciata da eventi opere la cui realizzazione, prima, e gestione delle celle temporalesche nelle zone franosi occorsi secoli e secoli or sono. I ne poi, è delicata e complessa. Per quancostiere. L’incremento della temperatura segni delle alluvioni sono invece effimeri to attiene l’incremento della conduttanza della superficie marina, uno degli effetti ed altrettanto effimera ne è generalmente osserviamo che distruggere l’ambiente più eclatanti del global change, incremenla memoria per le comunità rivierasche. Il fiume ha significato, per secoli e secoli, disponibilità di risorsa, di energia e via di comunicazione: driver di sviluppo troppo allettanti per potervi rinunciare a causa di sporadiche alluvioni: ne è un esempio Firenze che, negli ultimi mille anni è stata alluvionata una sessantina di volte, alcune delle quali (l’ultima nel 1966) in maniera assolutamente catastrofica. Eppure, pur disponendo delle famose dolci colline che la circondano, il suo centro non si è spostato di un centimetro dall’area (vulnerabilissima) della Florentia romana del 59 a.C. Diciamo dunque che i territori si sono stretti attorno ai fiumi, per così dire, “più del dovuto”, sempre che tale categoria abbia un senso univoco. D’altro canto, il valore dell’esposto è cresciuto a dismisura, basti pensare alla presenza delle auto, alla tecnologia, ai grandi centri commerciali che, soltanto poche decadi fa, non esisteva o era significativamente minore. Oltre a ciò ricordiamo che, fino all’intervento dei Piani per l’Assetto idrogeologico dei primi anni 2000, il controllo delle fasce fluviali era ben più debole rispetto ad oggi, a fronte di una pressione urbanistica che, Sottopasso allagato durante l’alluvione di ottobre a Genova (ph. Zennaro)
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DISSESTO IDROGEOLOGICO: LA SFIDA SONO LE STRUTTURE INTELLIGENTI
L’alluvione di autunno a Genova, che ha determinato danni a negozi e imprese (ph. Zennaro)
fluviale (rapandolo a zero o, addirittura cementificandolo) vuol dire ridurre in fin di vita il paziente per la pretesa di curarlo. Il ricarico delle sommità arginali per elevarne la quota, ha anch’esso limiti di sostenibilità anche perché, come insegnò la grande alluvione del Po del 1951, significa nei fatti trasferire il rischio a valle e dunque spostare il problema anziché risolverlo. Resta poi tutta la classe di interventi mirati a ridurre le portate di piena al momento in cui si formano, e dunque operando sulla capacità del territorio di trattenere in vari modi i deflussi, prima che raggiungano il reticolo di drenaggio (e, oltre a ciò, anche quando lo hanno raggiunto). È il mondo delle sistemazioni idraulico forestali e, più in generale, della manutenzione del territorio, sul quale il nostro Paese ha grandi tradizioni, ormai per buona parte disattese per il regredire dell’interesse economico dell’agricoltura collinare e l’incremento della superficie a bosco non mantenuto. Si pone dunque una domanda: pur ipotizzando una accettabile disponibilità di risorse economiche, è pensabile di risolvere in maniera ragionevolmente tempestiva il problema delle alluvioni nei termini nel quale è stato posto poc’anzi, e cioè ottenere una ragionevole sicurezza idraulica alla scala dell’intero Paese, per eventi con ricorrenza, diciamo, secolare? Orbene, la risposta non può essere che negativa. E non per un approccio aprioristicamente e snobisticamente scettico: si tratta purtroppo di una semplice, amara, constatazione. La Legge quadro sulla difesa del suolo, quella che ha avviato il lavoro delle Autorità di bacino, è del 1989. Per oltre trent’anni si è provato a dare una risposta in termini
“agendo sul fenomeno”, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si potrà obiettare che i soldi sono arrivati con il contagocce e che, dunque, poco si è potuto fare. Si tratta di una osservazione solo apparentemente e quantomeno parzialmente corretta. La difesa del suolo italiana è stata caratterizzata dalla presenza di milioni e milioni di euro inoperosi per anni, fermi per impicci di ogni genere, magari piccoli ma del tutto esiziali per la realizzazione dei lavori. La cassa di espansione di Figline sul fiume Arno, uno dei presidi a difesa della città di Firenze, è stata finalmente inaugurata dopo mille revisioni e aggiustamenti (tutti di carattere riduttivo) del progetto: ebbene le risorse disponibili risalivano, almeno in quota parte, alla legge finanziaria del 1998. Non si tratta di una questione di soldi, o meglio, non si tratta solo di una questione di soldi. E allora, viene da chiedersi, come si deve fare? Una possibile risposta sta, come si diceva, in un cambio di mentalità: invece che al fenomeno, puntare alla riduzione del danno che tale fenomeno è in grado di produrre. Garantire la sicurezza assoluta dei beni non negoziabili (primo tra tutti la vita umana) e cioè quelli la cui perdita non consente alle comunità il tempestivo recupero dello stato antecedente all’indomani di un evento. E poi agire laddove il danno è più grave, scalando via via verso le cose meno importanti. Questo tipo di approccio non significa rinunciare alle risorse tecnologiche tradizionali di cui si è detto e che comunque continuano a rivestire un ruolo centrale. Ma consentono altresì di porre in campo una infinità di ulteriori presidi, sia strutturali che non strutturali che per anni e anni sono
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stati del tutto ignorati. Tra questi le tecniche di flood proofing, che rafforzano la resilienza dei fabbricati e dei servizi pubblici, i sistemi di previsione e allertamento su cui peraltro l’Italia è molto avanti a livello internazionale, l’attitudine dei cittadini verso i messaggi di allerta e le norme di compor tamento. Non vanno poi ignorati i temi pianificatori (e di regolazione) della gestione e della manutenzione del territorio e, soprattutto, la pianificazione di protezione civile comunale. Si dirà che si tratta di “pannicelli caldi” a fronte del potere devastante di una grande alluvione e verrà da invocare, ancora una volta, qualche sano muraglione di cemento armato. Non è così e per provarlo, tra tanti argomenti, basti l’osservazione (e anche questo lo leggiamo sui giornali ogni giorno) per cui la maggior parte delle vittime delle alluvioni avviene in condizioni di evento conclamato quando, per così dire, tutte le carte sono sul tavolo: vite che si perdono per comportamenti scriteriati e spesso per il deliberato ignorare i messaggi di allerta e le raccomandazioni delle autorità. Un’ultima osservazione è sul ruolo dell’ingegnere in questa nuova sfida. È fondamentale e, anzi, si amplia a dismisura rispetto alla sempre fondamentale progettazione e direzione delle opere: da un lato si chiede di approfondire la conoscenza degli effetti degli interventi in chiave del loro rapporto benefici/costi. Questo chiede un uso costante e specifico degli strumenti di simulazione e della analisi di scenario. Dall’altro chiede buone capacità di integrazione di competenze e tecnologie. Perché la difesa dalle alluvioni, tema appunto complesso, richiede un buon mix di competenze e tecnologie. La sfida delle “strutture intelligenti” e, più in generale, degli “interventi intelligenti” è peraltro solo all’inizio: consente e vieppiù consentirà effetti moltiplicativi importanti delle opere, a parità di costo, di impatto ambientale e di consumo di suolo. Una sfida che ci deve interpellare: la litania della mancanza di soldi, alla luce dei fatti, non ha più senso.
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cover LA “LEZIONE” DI UNO DEI MAGGIORI ESPERTI ITALIANI DI TEMATICHE LEGATE AI PROBLEMI IDROGEOLOGICI
Frane, come salvarsi la vita Cascini: «Ma in Italia non c’è cultura» Dopo la catastrofe di Sarno si è ottenuta la zonazione delle aree a rischio da frana. Ma se prevedere dove questo è elevato consente di evacuare la popolazione, strutture e infrastrutture non vengono protette. I cittadini tacciono, ma dovrebbero essere i protagonisti di una rivoluzione culturale. Chiediamoci perché, visto che la tecnologia e le conoscenze esistono ma non sempre sono pienamente utilizzate. Con il prof. Leonardo Cascini, docente di Geotecnica all’Università di Salerno (primo incarico all’ateneo calabrese di Arcavacata a Cosenza per un decennio dal 1974, e poi a Trieste e all’Università della Basilicata), autore di diverse centinaia di pubblicazioni scientifiche, relatore in convegni in Italia e all’estero, responsabile scientifico per numerose attività e destinatario di importanti riconoscimenti, nonché componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, facciamo il punto su uno dei fenomeni naturali più comuni nel nostro Paese.
Gianfranco Sansalone
Per le frane, prof. Cascini, il fattore di rischio - come per tutti i rischi - è impossibile da annullare. Può essere solo mitigato. Suppongo ci sia però una scala di classificazione specifica e le chiedo quali sono potenzialmente le più insidiose e che cose le rende tali. Dietro questa domanda c’è un mondo. Le categorie di frane sono tante e molto diverse fra loro. Ce ne sono molte - le cosiddette frane esistenti - di cui si sa dove e come sono, come si muovono e a quale velocità; in genere sono lente e creano problemi soprattutto a strutture e infrastrutture. Spesso hanno conseguenze catastrofiche quelle cosiddette di primo distacco, che cioè si verificano per la prima volta in un determinato luogo, anche se magari ci sono stati episodi in zone adiacenti. Nel territorio della Campania e della Liguria, per mantenersi nelle nostre regioni, questo tipo di frane purtroppo crea molti problemi. Per esempio in Campania sono frequenti le colate rapide di fango, che nascono dai terreni di origine vulcanica presenti sui versanti e che traggono origine dalle eruzioni del Vesuvio. In concomitanza di piogge critiche vengono giù per la prima volta con molta velocità e in genere aumentano di volume lungo il percorso verso valle. Segnali premonitori? Se la zona è studiata a fondo ci sono e possono essere colti. Nella provincia di Genova la situazione è molto simile, ancorché i terreni interessati siano molto diversi da quelli campani. A volte ci si trova davanti a volumi non molto significativi che vengono erosi in seguito ad eventi pluviometrici particolarmente intensi e sono rapidissimi: se non si è preparati possono produrre vittime. Ma ripeto, il mondo delle frane è estremamente variegato. Come si possono intercettare, con strumenti o basta l’osservazione? Diciamo che dal 1998, quando il 5 e
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6 maggio piogge intense e prolungate provocarono numerose colate rapide di fango a Sarno e in altri comuni della Campania, causando 160 vittime, è partita un’azione molto importante. Cioè in tutto il territorio nazionale sono state individuate le zone ad alto rischio, le cosiddette “zone R4” ed “R3”, dove questa ed altre tipologie di frane veloci possono innescarsi ed evolvere rapidamente verso valle. Attenzione, la distanza percorsa da queste masse può essere molto elevata e, quando si incanalano in corsi d’acqua, possono causare vittime e danni ingenti anche a decine di km dai luoghi dove si sono originate, come avviene in molti Paesi del Sudamerica. In Italia, le aree in cui questi fenomeni possono originarsi, evolvere ed arrivare dovrebbero essere ben indicate sulle carte dalle Autorità di bacino. Per esempio in Campania è ben noto dove si possono innescare, quale percorso possono fare e dove possono giungere. Il problema è legato al preavviso: quando possono accadere. Quest’ultima previsione dipende dalla disponibilità di soglie di allarme adeguate sia a livello regionale e sia locale. In Campania le soglie a livello regionale sono molto ben sviluppate, mentre andrebbero implementate quelle a livello locale. La mappa - sempre ammesso che venga aggiornata dalle Autorità di bacino e che qualcuno controlli - offre dunque un grande vantaggio. Ma a questo punto come si mitiga il rischio? Quando si parla di rischio bisogna precisare “rischio per chi e per cosa”? Da una parte c’è quello per la vita umana, se l’elemento esposto è la persona. Dall’altra l’esposizione riguarda le strutture e le infrastrutture. Sono due cose totalmente diverse. Mi spiego meglio. Nel momento in cui si sa da dove parte una frana, ad esempio pluvioindotta tipo quelle della Liguria, della Campania
Leonardo Cascini
o di tante altre regioni - e si lega il suo innesco al raggiungimento di certe soglie pluviometriche, si riesce a procedere in anticipo con l’evacuazione, allontanando le persone dalle zone classificate a rischio (in Campania ormai funziona così), e quando arriva la frana non fa vittime. Tenga presente che questi sistemi di allarme, per quanto sempre migliorabili, funzionano già abbastanza bene, in quanto nonostante il ripetersi sistematico di eventi franosi significativi sembra diminuito in misura significativa il numero delle vittime. Quindi il rischio per la vita umana può essere mitigato con interventi “non molto costosi”, che danno il preallarme e consentono, almeno in linea teorica, di mettere al sicuro la popolazione. Quando invece si passa al rischio per le strutture e le infrastrutture, il problema è di un altro ordine di grandezza. Perché per mitigarlo, in questo caso bisogna fare interventi molto costosi. E questi interventi possono essere fatti o nelle zone dove i fenomeni si originano o in quelle di valle. Nel primo caso si parla di interventi attivi che inibiscono l’innesco dei fenomeni e che richiedono un livello di conoscenze elevato, mentre nel secondo bisogna costruire nelle zone di valle dei grandi bacini dove questi volumi vengano incanalati. Il presupposto di base è in ogni
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FRANE, COME SALVARSI LA VITA CASCINI: «MA IN ITALIA NON C’È CULTURA»
caso rappresentato da una nuova cultura che induca a far investire dei fondi per realizzare opere che talora possono essere molto costose. Su quest’ultimo aspetto, può fare un esempio efficace che riguardi Genova, città che lei conosce? Si, le faccio un esempio pratico, ma tenga conto che vale per Genova come per Napoli o tantissime altre città e regioni italiane. Immagino che lei sia al corrente che sul Chiaravagna anni fa è stata abbattuta una casa costruita a cavallo del torrente, anche se il problema non è ancora risolto; e che sul Bisagno ci sono situazioni critiche di edifici che ostacolano il percorso delle acque… Certo. Su questo giornale ne abbiamo parlato invocando l’intervento delle ruspe… Allora, primo livello la vita delle persone. In casi come questi, se c’è una soglia di allarme pluviometrico, in caso di superamento le persone vengono evacuate e si salva loro la vita. Ma questo non vuol dire aver salvaguardato le strutture: se parte infatti un flusso iperconcentrato, ovvero molta acqua con dei sedimenti, e incontra un impedimento che ne sbarra il corso, ecco che può succedere il disastro. Per evitarlo, o si elimina l’ostacolo, o si allarga il corso, o si interviene in altro modo. In ogni caso è necessario fare un investimento più o meno grande, e lei sa quante risorse sono necessarie a Genova per opere strutturali. Quindi vede come i due rischi - vita umana e opere - sono diversi. Sono diversi ma possono sovrapporsi. Se per ipotesi - a Genova come in qualunque altro posto del mondo - in un caso del genere una piena eccezionale e una frana di primo distacco investissero un edificio, le conseguenze potrebbero essere tragiche. Sono perfettamente d’accordo con lei, ma come dicevo prima è necessario che ci sia una cultura che faccia capire che bisogna investire dei fondi, e investirli bene naturalmente. Negli anni ‘50-‘60 dopo la Seconda Guerra Mondiale, sul territorio italiano, da Nord a Sud non si è posta la dovuta attenzione al territorio perché bisognava ricostruire un Paese ma non si pensava dove andare a farlo. Ed è anche per questo che molte costruzioni, all’epoca realizzate con tutti i permessi, sono poi state dichiarate a rischio. Oggi bisogna, quindi, che la gente si convinca che in alcune zone si deve necessariamente convivere con un livello di rischio, accettando i sistemi di allarme, o si deve procedere alla sua mitigazione con interventi talora costosi. Sembra un concetto semplice ma è difficile farlo comprendere, anche se quasi sempre non sono i privati cittadini che devono realizzare gli interventi costosi, e questo è un bel problema.
La frana che il 19 gennaio 2014, a Genova Capolungo (Nervi) obbligò cinque famiglie a lasciare altrettante villette affacciate: 7 mila metri cubi di roccia crollarono improvvisamente in mare
Lo si vede durante le grandi mareggiate, ad esempio, quando le case costruite vicino alle spiagge vengono distrutte. Secondo lei incide anche una questione di maturità civica insomma… In Italia accade una cosa molto strana: da una parte spesso non riconosciamo il rischio dell’area nella quale viviamo e, quando succede un evento catastrofico, ci chiediamo stupiti perché lo Stato, la Regione, la Provincia etc. non siano intervenuti per tempo; dall’altra non ci rendiamo conto dei fondi che devono essere investiti per mitigare il rischio e, quindi, non facciamo sentire la nostra voce perché questo problema diventi una priorità. In definitiva, il nostro è un atteggiamento passivo che non fa prevalere la cosiddetta coscienza civica che, nel rendersi conto di una priorità, deve pretendere che questa sia soddisfatta rinunciando naturalmente ad altri benefici. Ora, ci dobbiamo chiedere se ciò accade perché non abbiamo consapevolezza o piuttosto perché forse è meglio non impegnarci nella risoluzione di un problema per il quale dobbiamo essere in molti a fare sentire la nostra voce consapevole. La inadeguatezza di questo comportamento sta in questo semplice-contorto ragionamento: noi spesso accettiamo un rischio ben al di sopra di quello accettabile, protestando solo quando accade qualcosa e non impegnandoci prima perché venga mitigato. Ed in questo dobbiamo fare passi in avanti nella nostra coscienza civica. In che senso? Lei vuol dire in sostanza che gli errori non sono solo della politica e di chi amministra o governa, ma sostanzialmente anche dei cittadini perché accettano passivamente le scelte di chi è al potere?
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Io penso che in parte sia così. Cerco di spiegarmi facendo degli esempi e citando dei numeri sul cosiddetto rischio accettabile, che come si intuisce è quello che una società è disposto ad accettare. Lei sa che il rischio di incidente aereo è bassissimo. La probabilità che una persona perda la propria vita con questa modalità è 10-9, una su 1 miliardo; perché nessuno accetta che un aereo possa cadere. Per le frane, 10-4-10-5 è il rischio accettabile riconosciuto in alcuni Paesi, cioè se io vivo in una determinata zona dove c’è una probabilità superiore a 1 su 100 mila di perdere la vita per una frana il rischio non è accettabile. Ma lei lo sa quanto è il rischio per un incidente automobilistico? È 10-2, cioè 1 su 100, e le persone lo accettano tranquillamente. Sbagliando secondo me. Quindi, ritornando alle frane, se il privato cittadino non ritiene accettabile il rischio dell’area nella quale vive perché superiore agli standard internazionali, deve scendere in piazza e dire “Io voglio che vengano investite delle somme per ridurlo”. Sapendo però che se le somme vengono investite in quel settore poi non possono essere utilizzate in altri. Non so se sono stato chiaro, ma è proprio il caso di dire che tutti noi navighiamo nella medesima barca e addossare le colpe di una cattiva navigazione solo al timoniere è miope o, quanto meno, poco produttivo. La magistratura viene spesso tirata in ballo perché in caso di disastri non è intervenuta prima… Vale lo stesso discorso. Se non c’è una rivoluzione culturale non usciamo da questa situazione. Per esempio nel 1800 si bonificavano le pianure per le rilevanti conoscenze in campo idraulico, mentre si trascuravano i versanti, dove spesso si
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cover procedeva a interventi dissennati, per una mancanza culturale di fondo. Un primo cambio radicale avvenne con l’introduzione del vincolo idrogeologico del 1923, che inibiva qualsivoglia azione a salvaguardia della montagna. Poi abbiamo l’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, quindi la pesantissima crisi del 1998 in Campania e cambia tutto, perché il governo chiede di fare la zonazione del rischio da frana. Io ho la sensazione che per passare dalle ultime zonazioni - che sono state un avvenimento storico in Italia - a qualcosa di più avanzato, ci vorranno molte decine di anni ancora e arriveremmo alla metà, se non oltre, di questo secolo. Che cosa voglio dire? Che gli italiani per fare progressi in un settore del genere hanno bisogno di vivere disastri su disastri; poi, a un certo punto, decidono di cambiare. Ma quando lo fanno, dopo tanto tempo, in genere sono i migliori al mondo. E allora per rispondere alla sua domanda osservo che la magistratura è uno dei tasselli che compongono il mosaico di quella che noi chiamiamo coscienza civica; da sola può poco e solo in un’ottica punitiva, insieme agli altri può concorrere a creare condizioni di vita più elevate. Mi è capitato di sentire da alcuni suoi colleghi la tesi che anche i disastri contribuiscono allo sviluppo dell’ingegneria, perché gli errori servono a migliorare. Lei cosa ne pensa? Io parlo della mia materia, la geotecnica, e mi occupo da molti anni di eventi naturali che generano conseguenze calamitose. In maniera provocatoria, ma fino a un certo punto, le dico che di ciò che si conosce scientificamente oggi si applica molto poco. Cioè, penso in maniera opposta a quello che mi ha appena riferito. Nel senso che sono convinto che se solo si applicasse non dico tutta la conoscenza attuale, ma il
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50-60%, noi mitigheremmo questo rischio, anche se la conoscenza è solo una parte del processo. Come dicevo, ci vuole il concorso della popolazione, dei politici, dei tecnici, e anche delle imprese, perché un lavoro deve essere fatto bene, in tempi ragionevoli e costare poco. Nell’ultimo secolo in Italia si sono fatti dei progressi che pochi conoscono ma sono straordinari. Immagini che la Francia si occupava di zonazione del rischio da frana dai primi anni Sessanta del Novecento. Noi abbiamo cominciato a discuterne nel 1998: ma lei lo sa che l’Italia ha recuperato rapidamente il ritardo di un trentennio sui francesi? Perché siamo bravi. Ma anche perché il governo aveva deciso di investire soldi, ha fatto la zonazione e ha funzionato. Il difetto di questo Paese è che una volta fatto un passo in avanti, poi si ferma. Nelle fasi straordinarie io dico che gli italiani sono fantastici; è nell’ordinario che dovremmo probabilmente cercare di individuare meglio gli obiettivi da perseguire e i mezzi necessari per realizzarli. Prof. Cascini, a Sarno nel 1998 - 173 mm. di pioggia nelle prime 48 ore sul territorio colpito, più di 2 milioni di metri cubi di materiale riversato sui centri abitati, 160 morti, 178 case distrutte e 450 danneggiate - lei ha avuto la gestione scientifica di tutta l’emergenza per circa 3 anni. Che cosa ha imparato l’Italia da questa catastrofe? Dopo Sarno è cambiato tutto in Italia. Pensi che a me chiesero - e lo abbiamo fatto in 11 giorni - di perimetrare le aree a rischio residuo; dopodiché c’è stata l’emanazione del DL 180 dell’11 giugno 1998, “Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania” che, di fatto, ha dato attuazione alla Legge 183 del 18 maggio 1989, “Norme per il
La frana che nel 1998 distrusse gli abitati di Sarno e Bracigliano
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riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”. Infatti, fino all’emergenza di Sarno erano state istituite le Autorità di Bacino ma nessuna zonazione era stata presentata. Ma dopo, le Autorità di bacino furono costrette a zonare le aree a rischio presenti sui propri territori e in due anni fu recuperato il tempo perduto nel decennio precedente. Quindi attenzione: in seguito a Sarno, quasi l’intero Paese è stato dotato di zonazione del rischio da frana, di soglie pluviometriche e di sistemi di allarme e questo ha fatto fare dei progressi fantastici per quanto riguarda la mitigazione del rischio da frana (ed anche di alluvione) per la vita umana. Ma ripeto: per opere e infrastrutture - come gli edifici sul Bisagno, visto che lo abbiamo preso ad esempio, ma ripeto in Italia e nel mondo ce n’è un’infinità - è tutta un’altra cosa. Allora che fare professore? Non si possono delocalizzare le persone perché questo non viene accettato in nessuna parte del mondo. Allora bisogna realizzare delle opere adeguate, ma costano. Come le dicevo, il nostro territorio, purtroppo, nel dopoguerra e fino al termine del 1900 non è stato trattato tanto bene. A questo punto bisogna spendere i soldi per riportarlo a un livello di sicurezza accettabile, per quanto riguarda strutture e infrastrutture, con il ricorso a fondi consistenti, piani pluriennali, tanta competenza, onestà intellettuale ed una coscienza civica elevata. Solo così si possono raggiungere traguardi importanti e reali benefici per tutti. Una società si deve interrogare sulle sue proprie priorità. E mi ripeto dicendo che è la popolazione che deve rivendicare quello che ritiene prioritario, che i tecnici facciano la loro parte con onestà e velocità, che i politici investano il denaro necessario e che si vedano i risultati veri. Sempre facendo un esempio della mia città: la metropolitana di Napoli è una delle opere più belle realizzate negli ultimi 70 anni. Ha delle stazioni considerate tra le più suggestive d’Europa, opere d’arte e un’architettura invidiabile. Lei sa che da quando l’hanno costruita non c’è stato uno sciopero, un qualunque problema che abbia creato intoppi? L’hanno messa su un binario preferenziale tutti, gli amministratori, i politici, le imprese. Hanno fatto i lavori in un tempo ragionevole e tutto è andato bene. Quindi se si vogliono perseguire degli obiettivi e ottenere dei risultati si ottengono. E se nel settore delle frane non succede, non sarebbe una cattiva idea fare un bel dibattito in cui ci interroghiamo seriamente tutti quanti chiedendoci perché. Partendo però dal presupposto - per me inderogabile - che le conoscenze scientifiche e tecniche esistono, sono molto avanzate e bisogna utilizzarle. Ma da sole non bastano».
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cover HANNO UN’ORIGINE NON SEMPRE LINEARE ED EFFETTI DEVASTANTI
E l’incubo delle burrasche tiene sempre alta la tensione Confronto fra esperti partendo dalla mareggiata che il 29 ottobre dello scorso anno danneggiò gravemente la costa ligure, porticcioli e strutture balneari. Un punto della situazione sulla ricerca nel settore - che vede l’Università di Genova fra le più avanzate al mondo - e le proposte per raggiungere una sinergia fra gli studiosi e le risorse che analizzano il problema per cercare di prevederne i fenomeni calamitosi. Marco Marchegiano
Eventi più rari ma di intensità sempre più grande. È lo scenario che attende per i prossimi anni il bacino del Mediterraneo per quanto riguarda le perturbazioni: una situazione che richiede previsioni via via più tempestive e precise, in un’ottica di tutela delle persone, del territorio ma non solo; basti pensare alle ripercussioni di carattere socio-economico che tutto ciò può determinare in Liguria, dove le attività legate in modo diretto o indiretto al turismo balneare rappresentano l’8% del PIL regionale. Un esempio emblematico dell’estremizzazione dell’intensità degli eventi è costituito dalle burrasche, che hanno una genesi non sempre lineare. Normalmente sono appunto generate da un’interazione tra l’atmosfera e gli Oceani, ma nel drammatico evento che colpì la Liguria il 29 ottobre dello scorso anno, le temperature marine, di 2 gradi superiori alle medie, non ebbero alcuna influenza. Decisiva, per determinare la ciclogenesi, fu invece
l’intromissione di aria proveniente dalla stratosfera, che da un’altitudine di circa 15.000 metri precipitò rapidamente verso il mare. A proposito delle burrasche, diventa fondamentale comprendere se possano essere previste, tema al centro del convegno del 10 ottobre presso l’Istituto Nautico San Giorgio, a Calata Darsena, a cura dell’Ordine degli Ingegneri genovese e di Aipam, l’Associazione di ingegneri periti di avarie marittime (Burrasche marine in Liguria, genesi e conseguenze”). Giovanni Besio, del Dipartimento di Ingegneria civile, chimica e ambientale dell’Università di Genova: «Non è possibile formulare una risposta tipo “sì” o “no” sul fatto se oggi si possa prevedere l’arrivo di una burrasca nei mari del Mediterraneo. Il tema è molto complesso, ed è necessario partire da una doverosa premessa: le previsioni meteomarine, oltre i due giorni non sono affidabili. E i modelli numerici rappresentano una semplificazione approssimata della realtà, perché non è possibile simulare la totalità dei processi fisici responsa-
bili di un certo fenomeno». Anche se l’evoluzione della potenza di calcolo dei moderni computer ha reso possibile l’impiego di complessi modelli matematici molto utili alla previsione dei fenomeni metereo. Antonio Ricchi, dell’Università di Napoli: «Valutare i rischi meteomarini è non solo complesso ma talvolta quasi impossibile. In occasione della burrasca dello scorso autunno vi fu una ciclogenesi che rimase bloccata per quattro giorni sul Mediterraneo, poi in poche ore virò dalle Isole Baleari verso il Mar Ligure. Si produssero venti di un’intensità pari a 150 Km. orari ed onde alte 8 metri. I nostri studi ci portano a dire che, a causa dei cambiamenti climatici ma non solo, avremo perturbazioni meno frequenti ma più estreme e, dunque, con effetti sempre più nefasti. Mi riferisco appunto alle “rapid cyclogenesys” e alle “bomb-cyclogenesys”, sviluppatesi appunto in quell’occasione». La comprensione dei processi fisici di base responsabili del moto ondoso nella propagazione dal largo verso riva, ha
Alcuni dei relatori al convegno (ph. Mimmo Giordano)
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cover permesso di sviluppare sistemi predittivi e di re-analisi in grado di fornire informazioni accurate e molto dettagliate sullo sviluppo delle mareggiate lungo la costa. «La cultura della competitività tra differenti settori - spiega però Besio - è obsoleta; si dovrebbe invece fare squadra e mettere a sistema competenze diverse». Insomma, non è sufficiente la presenza del “Centro dei Mare”, che pure lodevolmente ha contribuito a riunire le discipline che nelle acque trovano il proprio campo di indagine e che formano competenze fortemente specialistiche e multidisciplinari, dove più di 400 docenti e ricercatori dell’Università di Genova svolgono didattica e ricerca. Grazie alla loro attività, l’Ateneo genovese si posiziona tra i migliori al mondo sui temi marittimi. Ma, come auspica Besio, serve un ulteriore cambio di passo per far dialogare più proficuamente il mondo universitario e altre competenze. Per l’ing. Tania Del Giudice, meteorologa dell’Arpal di Genova, il grande spazio acqueo che dalla costa ligure arriva fino a Gibilterra, favorisce lo sviluppo di burrasche che poi vengono a impattare anche con grande violenza sulla regione. Del Giudice spiega il metodo di lavoro dell’Arpal, concentrandosi sulla gestione dell’evento particolare del 29 ottobre dello scorso anno «avvenuto in un contesto di allerta rossa, piogge intense, e di un avviso per mareggiata intensa. Noi diamo informazioni relative alle zone della costa sulla quale ci si attende una mareggiata, e anche
E L’INCUBO DELLE BURRASCHE TIENE SEMPRE ALTA LA TENSIONE
più o meno sul suo ordine di grandezza - mare soltanto agitato, localmente, mareggiata normale o intensa. La genesi è un po’ questa: quando le perturbazioni sfondano la porta di Gibilterra e attraversano il Mediterraneo stazionando per 48-72 ore, l’onda ha modo di sviluppare un’altezza tale da arrivare anche sulla Liguria con un’energia veramente importante. Quindi il concetto è aspettare e dare agli utenti un preavviso il più verosimile possibile, perché oltre tre giorni si chiama “tendenza”. Noi abbiamo una boa di prova a Capo Mele che permette di vedere qual è l’altezza d’onda, il periodo, ovvero i secondi di transito tra una cresta e la successiva: il periodo d’onda è un elemento importante per capire quanto è forte la mareggiata che sta arrivando». Del Giudice raccomanda poi a tutti di consultare sempre il sito Arpal (https:// www.arpal.gov.it/homepage/meteo. html) sottolineando l’importanza della collaborazione con l’Università. Le burrasche e le conseguenti mareggiate hanno un forte impatto sulla costa ligure, le cui spiagge sono costituite da un misto di sabbia e ghiaia: il turismo balneare nella regione è nato grazie ai ripascimenti effettuati con il materiale di scarico del raddoppio ferroviario, e che oggi vengono operati con grande frequenza, talvolta eccessiva. «Quelli stutturali, definiti dalla Regione - sottolinea Luigi Nocerino, del Dipartimento di Scienza della terra e dell’ambiente di Unige - sono opportuni, ma quelli effettuati con stagiona-
lità dai vari Comuni, rischiano di avere un impatto negativo sulla flora marina, in particolare sulla posidonia». Carlo Nike Bianchi, dell’Accademia di scienze e tecniche subacquee: «Nel solo 29 ottobre 2018, nella zona compresa tra Santa Margherita, Rapallo e San Michele di Pagano è andato distrutto il 61% delle praterie di posidonia presente, valutabile in una perdita economica nell’ordine di 50 milioni di euro all’anno». «La spiaggia - per Luigi Nocerino - è non solo un bene naturale ma la prima opera di difesa della costa. Per tutelarla sono necessari studi morfologici, monitorando non solo gli eventi estremi ma anche quelli medi con modelli di previsione delle reazioni - che sono sempre diversi perché diversa è la composizione dei litorali e la loro pendenza - di fronte agli eventi stessi». Senza contare gli effetti sulle imbarcazioni. Sulla relazione tra il fenomeno meteomarino e la risposta della nave si sofferma Carlo Podenzana, del Dipartimento di ingegneria delle telecomunicazioni elettriche e navali dell’Università di Genova: «Due i punti principali: da un lato le azioni esterne (il mare) e le risposte dell’imbarcazione nel suo complesso e delle sue singole strutture; dall’altro l’impiego dell’analisi di rischio, fissando opportuni limiti di accettabilità, sulle probabilità dell’evento dannoso e dell’entità delle sue conseguenze».
Il pubblico nella sala dell’Istituto Nautico San Giorgio (ph. Mimmo Giordano)
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logistica GRANDI OPERE STRATEGICHE - ANIMATO DIBATTITO FRA INGEGNERI CON VISIONI TECNICHE DIVERSE
Gronda, un confronto aperto su modalità e opportunità Nella sede dell’Ordine a Genova, un incontro formativo diventa l’occasione per far emergere esperienze e diversità di approccio non solo sulla nuova arteria di cui si parla da decine di anni e sulla quale c’è un progetto e diverse varianti, ma anche per illustrare studi alternativi appositamente realizzati avrebbe dovuto fare un’analisi costi-bene2018, nei giorni immediatamente sucfici seria non è stato fatto in modo corcessivi al crollo del ponte Morandi, proponendo scenari e proposte progettuali alternative alla grande opera. «Il mio studio - ha spiegato - aveva l’obiettivo di capire cosa si potesse fare nel minor tempo possibile per aiutare la città nel periodo immediatamente successivo al 14 agosto 2018. Il progetto firmato da Società Autostrade è stato concepito nel 1989, ha poi subito diverse peripezie e siamo arrivati ai giorni nostri con un progetto esecutivo basato su un insieme di considerazioni che sono da analizzare. Nel frattempo lo scenario è cambiato moltissimo, in parti- Gli Ing. Alfredo Perasso, Alfredo Drufuca, Mauro Solari e Michele colare per quanto riguarda il traf- Troilo (Ph. Barsanti) fico, cresciuto esponenzialmente. retto. Non è un problema di Genova, ma A Genova si sta lavorando al progetto del del nostro Paese: in Italia non esiste una Terzo Valico, un investimento da 6 mimodalità corretta di affrontare il problema liardi di euro che presuppone di spostare della pianificazione delle opere pubblile merci su ferro; se guardiamo il Libro che, in particolare quella dei trasporti. Ci Bianco dei Trasporti noi stiamo andando sono corridoi percorsi da promotori che si nella direzione opposta, anche all’Europa. sostituiscono a quello che dovrebbe esHo elaborato 27 scenari diversi, e ne ho sere un processo di pubblica decisione, scelti alcuni, quelli più validi. Mi sono e portano avanti, dal loro punto di vista accorto delle potenzialità effettive di tre correttamente, strategie di investimento e infrastrutture stradali: il prolungamento di realizzazione. Non è così che può funziolungomare Canepa, il raccordo tra il canare: non c’è un solo studio di fattibilità sello dell’Aeroporto e Campi e il tunnel in questo paese che non abbia marchio sub-portuale, valide alternative alla Gronprivato, e al Ministero non c’è nessuno da se i flussi non crescono. Se cresceranno in grado di leggere questi dati. Abbiamo per altre variabili, ovviamente non si potrà dire no alla Gronda o ad altre infrastruttuquindi dovuto affrontare questioni comre. Teniamo comunque conto che nel mio plesse senza avere gli strumenti adatti, ed progetto c’è un lotto della Gronda, e cioè è da qui che sono nati i problemi, in certi casi abbiamo ripreso gli studi fatti dai proil raddoppio dell’A7». ponenti rifacendo i conti secondo quanAlfredo Dufruca, dal to dicono la regole della professione». canto suo, ha puntato l’attenzione sulla strutDue le fasi in cui si è svolta l’analitura e sugli esiti della si costi-benefici della Gronda: «Nella valutazione tecnico-eprima - ha spiegato Drufuca - abbiamo conomica svolta dalla preso le carte di Spea e abbiamo corretto assumendo tutti i dati di base, dai commissione del Mit: tempi ai costi. Abbiamo trovato qualche «Se oggi ci troviamo con errore di calcolo, ritrovandoci alla fine un progetto di Gronda che di fatto danno per con numeri abbastanza simili, ma non approvato - ha detto abbiamo potuto lavorare sugli scenari e con qualcuno che, a di domanda. Le alternative di Spea non torto o a ragione, porta comprendono alternative urbane alla scenari alternativi che Gronda, ma sono alternative di tracciahanno l’obiettivo di far to alla Gronda. A oggi, quindi, abbiamo funzionare meglio il potuto fare una valutazione soltanto sui nodo di Genova, e per dati che avevamo a disposizione, assoqualcuno hanno valore, ciando al progetto, così come presentato Gli Ing. Alfredo Perasso, Alfredo Drufuca e Mauro Solari (Ph. Barsanti) significa che il lavoro che da Spea, alcune altre suggestioni, so-
Andrea Barsanti
La neo ministra alle Infrastrutture e ai Trasporti, Paola De Micheli, era proprio a Genova in visita ufficiale, quel 19 settembre, e col sindaco di Genova, Marco Bucci, e il governatore ligure, Giovanni Toti, ne aveva approfittato per discutere della Gronda e degli sviluppi del progetto. Contemporaneamente, nella Sala “Sebastiano Frixia” della sede dell’Ordine degli Ingegneri, in piazza della Vittoria - un affollato incontro formativo ad accesso libero faceva il punto sullo stesso argomento, su cui si dibatte da anni con posizioni spesso distanti anni luce. Relatori ufficiali gli ingegneri Alfredo Perrazzo; Alfredo Drufuca, della commissione di esperti che si è occupata dell’analisi costi-benefici della Gronda (e di altre grandi opere) su incarico del ministro dei Trasporti del governo gialloverde, Danilo Toninelli sulle grandi opere; e Mauro Solari, tra i promotori di uno dei più dibattuti progetti alternativi all’opera, e cioè la cosiddetta mini Gronda, variante di riferimento del Movimento 5 Stelle. Il seminario, organizzato dalla commissione trasporti dell’Ordine, ha ripercorso la revisione dell’analisi costi e benefici della Gronda, che ha fornito nuovi input per eventuali modifiche al tracciato ed elementi di valutazione anche per la sua costruzione in diverse fasi e verifiche di opportunità al termine di ognuna di esse. A prendere la parola per primo Alfredo Perrazzo, che ha illustrato la storia della mobilità di Genova e la sua analisi dei flussi di traffico realizzata nell’agosto
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logistica
prattutto perché con il crollo del Morandi lo scenario è cambiato radicalmente». La domanda da cui è partita la commissione, nel redigere l’analisi costi-benefici, è: la Gronda è l’unica alternativa, o ci sono varianti che possono raggiungere indici di fattibilità migliori? «A questo punto - è stata la risposta di Drufruca - la soluzione di riferimento è solo la ricostruzione del Morandi a due corsie. L’alternativa che fa il minimo indispensabile per migliorare la situazione è il potenziamento fino a Cornigliano-Aeroporto; la seconda è quella della Gronda così come la conosciamo, con tutti i vincoli che Spea alla fine ha sempre ribadito, e poi l’alternativa Multedo e la bretella di Campi. Abbiamo quindi paragonato i benefici dell’opera in termini di risparmio con i costi di investimento e di gestione: non ci sono particolari differenze, tenuto conto dei tassi di crescita esponenziali del traffico. Va ripensato interamente il sistema, va rifatto il Piano nazionale dei trasporti, l’ultimo risale al 1985. È questo è il vero grande problema: il trend dominante è la crescita della domanda». Mauro Solari, dal canto suo, si è concentrato sull’importanza della Via, la Valutazione di Impatto Ambientale: uno strumento che «dovrebbe avere una visione olistica dei problemi - ha detto - soprattutto quando si tratta di opere come la Gronda. Il termine ambientale è forse
GRONDA, UN CONFRONTO APERTO SU MODALITÀ E OPPORTUNITÀ
deformante, perché la Via dovrebbe occuparsi di tutte le problematiche, e l’analisi costi-benefici è un pezzo della Valutazione di Impatto Ambientale, in cui devono entrare anche aspetti ambientali e sociali. Per sua natura e per come è nata negli anni ’60 in Francia, questo strumento nasce proprio per ridurre i conflitti ed è di supporto alle decisione del politico, che deve scegliere sulla base delle osservazioni dei tecnici specializzati: al primo tocca dare il peso ai vari comparti ambientali». La domanda a cui il politico deve - dovrebbe - rispondere è, ha sottolineato Solari: «È più importante la salute o il lavoro? Ma non è quasi mai successo così, e i vari studi sono sempre stati giustificazioni per la realizzazione dell’opera. Dal 2002, il processo logico per cui il politico decide, dopo avere avuto tutti gli elementi tecnici per farlo, viene rovesciato: le opere ritenute strategiche dal governo ottengono la Via positiva a prescindere, e in base a valutazioni non tecniche il politico sceglie. La Gronda è una di queste. Nella valutazione, la stessa delibera regionale di approvazione dell’opera sottolinea che non è stato valutato praticamente nulla - impatto ambientale legato a rumore, biodiversità, suolo e sottosuolo - ma la valutazione era comunque positiva. Negli anni ’90 posso assicurare che sarebbe stata bocciata e sarebbe stata chiesta nuova documentazione, ma così non è stato. Vanno fatte - le conclusioni di Solari - tante cose: portare i binari nei porti, realizzare la linea di forza possibilmente con il tram e in sede
propria, il completamento del nodo ferroviario di Genova sfruttando le linee metropolitane allontanando il traffico dalle case, eliminando problema amianto e pali dal Polcevera. La riduzione dell’opera consentirebbe di fare gran parte di tutto questo». Acceso il dibattito con posizioni diverse una volta ultimate (e in alcune occasioni anche durante) le relazioni: nella sala piena, gli ingegneri presenti hanno chiesto approfondimenti sui modelli presentati da Perrazzo esponendo il proprio punto di vista, tra chi ha ribadito l’estrema e urgente necessità di partire con il progetto della Gronda e chi invece ha sottolineato come il modo più efficace per ridurre traffico e inquinamento non sia costruire nuove infrastrutture, ma togliere quanti più possibile veicoli dalla strada, puntando sulla mobilità in sharing ed elettrica. Un po’ di polemica anche da parte di chi ha visto nell’incontro una sorta di “manifesto” contro la Gronda, immediatamente rispedita al mittente dal presidente dell’Ordine degli Ingegneri, Maurizio Michelini, assente all’incontro ma da noi interpellato in proposito: «A prescindere da come la si pensi su quest’opera, e più in generale su altre, va ricordato che il compito dell’Ordine è fare formazione e informazione, consentendo a chiunque abbia una proposta o un punto di vista, documentato, di esprimerlo liberamente».
Dove, come e quando
Nel suo sito www.grondadigenova.it, Autostrade per l’Italia definisce la Gronda (esistono quattro progetti di Gronda in Liguria e numerose varianti di cui si discute da decenni) come «un nuovo tratto autostradale a due corsie per senso di marcia che rappresenta il raddoppio dell’esistente A10 nel tratto di attraversamento del Comune di Genova (dalla Val Polcevera fino all’abitato di Vesima). La nuova infrastruttura comprende 65 km di nuovi tracciati autostradali e si allaccia agli svincoli che delimitano l’area cittadina (Genova Est, Genova Ovest, Bolzaneto), si connette con la direttrice dell’A26 a Voltri e si ricongiunge con l’A10 in località Vesima. Data la complessità dal punto di vista orografico del territorio attraversato, Il nuovo sistema viario si sviluppa quasi interamente in sotterraneo e prevede 23 gallerie, per un totale di circa 50 chilometri, circa il 81% dell’intero tracciato». Fra le news, l’ultima è del 22 luglio 2019: «Gronda: Aspi resta in attesa del via libera del progetto esecutivo da parte del MIT», con la precisazione che «dopo l’approvazione del Piano di convalida del progetto definitivo, avvenuto nell’aprile 2018», non è necessario, per l’avvio dei lavori, il preventivo inserimento della Gronda nell’aggiornamento del PEF e la sua approvazione, e che ad oggi la società ha «già realizzato il 92% degli espropri sul territorio e bandito gare di pre-qualifica per un importo complessivo di 490 milioni». L’analisi costi-benefici dell’opera è stata pubblicata il 21 agosto 2019 dal Ministero delle Infrastrutture: i costi del progetto originario, finanziati in parte dalla Società Autostrade in parte con l’aumento dei pedaggi, sarebbe di circa 4,7 miliardi di euro e 10 anni di lavori.
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logistica GRANDI OPERE STRATEGICHE - PERCORSI REALIZZATI O CHE RIMANGONO SULLA CARTA
LÀ DOVE NASCE, O MUORE IN CULLA, IL PROGETTO “ITALIAN STYLE” Quando si costruisce un’opera infrastrutturale, la sua utilità è in genere decisa - come è giusto - da chi governa, in base alle strategie politiche e agli indirizzi programmatici che caratterizzano i responsabili delle scelte che incidono sulla vita dei cittadini. Anche se, come hanno sempre sottolineato soprattutto gli ingegneri - anche su questo giornale - ma non solo, sarebbe bene che chi fa le leggi, prima di prendere una decisione, sugli aspetti tecnici chiedesse il parere degli Ordini professionali, che sono tenuti a fornirli gratuitamente quando riguardano la loro professione. Per poi decidere in piena consapevolezza. Fatto sta che questo avvenga, nella Pubblica Amministrazione, è cosa assai rara. Meno raro è vedere cantieri che si aprono e poi procedono a singhiozzo oppure chiudono, che le gare fatte al massimo ribasso si rivelino una cancrena che fa ammalare anche progetti nati come fiori all’occhiello, che i costi preventivati lievitino, che le “cattedrali nel deserto” proliferino in questo Paese come in nessun altro mai. Non per niente, giusto per fare un esempio, secondo uno studio firmato dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) nell’estate scorsa, le grandi opere incompiute nel nostro Paese sembrano il monumento all’italica incapacità di “dire e fare”, allo spreco di risorse, all’incoerenza. Le ragioni sono tante e non è questa e ora la sede per esaminarle. Al momento basta dire che da quello studio - ripreso recentemente dalla stampa ligure in occasione del dibattito sul provvedimento “sblocca cantieri” - nella classifica delle grandi opere pubbliche incompiute stilata dall’Ance, fra le prime 5 regioni, la Liguria è seconda con lavori bloccati per 6 miliardi di euro, preceduta dal Piemonte (9 miliardi e 100 milioni) e seguita dalla Toscana, (4,9 miliardi), dal Veneto (3,7) e dalla Lombardia (3,4). In questa e nelle pagine che seguono la parola passa agli ingegneri che dal punto di vista tecnico rispondono innanzitutto ad alcune domande di base: quali sono i requisiti da non trascurare nella costruzione di una grande opera strategica? Quali gli strumenti usati dagli specialisti per compiere le proprie analisi? Quali le valutazioni tecniche che si possono fare - anche con conclusioni diverse - su alcune delle opere oggi più discusse e tormentate nel campo dei trasporti? Cominciamo con i primi contributi. Ma il dibattito continua. In attesa di capire cosa farà, sulle singole opere, il governo. Gianfranco Sansalone
Analisi costi benefici: parola d’ordine, cautela Le opere strategiche devono necessariamente essere figlie di una scelta politica, lo strumento tecnico delle ACB può essere utilizzato per decidere quale strategia applicare per raggiungere un obiettivo fissato, non possono dire se questo sia corretto o meno. Inoltre, ha senso utilizzare un modello che usa indici economici frutto di una scelta politica per valutare l’utilità della stessa scelta politica? Davide Isola
Commissione Trasporti Ordine Ingegneri di Genova
Le Analisi Costi e Benefici (ACB) rappresentano oggi un utile strumento a disposizione di noi ingegneri per pianificare/eseguire studi ed acquisire nuovi incarichi di lavoro; bisogna però comprendere a fondo la loro corretta metodologia applicativa per non rischiare di trasformarlo in “fattore di stagnazione” per l’intera collettività. Le ACB esistevano e venivano già utilizzate negli anni ’90: erano uno strumento tecnico di valutazione che nel corso del tempo si è progressivamente affinato. L’errore commesso oggi è stato di utilizzarle per la valutazione di grandi opere strategiche il cui valore intrinseco è di per sé difficilmente quantificabile e prevedibile (basti pensare che cosa ha generato l’avvento di internet). Non si deve inoltre dimenticare la complessità del sistema in cui le opere strategiche vanno ad inserirsi e che le ACB dovrebbero essere in grado di modellare e rispecchiare nel minimi dettagli al fine di eseguire
delle corrette valutazioni. La principale difficoltà che si incontra nell’apprestarsi ad eseguire un’ACB è proprio quella di definire i limiti spazio-temporali su cui valutare i costi e i benefici dell’intervento. È necessario ipotizzare il futuro stato del sistema e confrontare gli indici di riferimento sia nel caso di “intervento” che di “non intervento”. La domanda che noi tutti ci dovremmo porre è: crediamo veramente di essere in grado a priori di conoscere e stimare i benefici derivanti dalla realizzazione di un’opera strategica, determinando quindi il loro limite spazio-temporale? Esistono dei corrispettivi valori economici riferiti a parametri socio-ambientali, come ad esempio inquinanti non prodotti, congestione non causata, valore della vita ecc., previsti dalle ACB e tali valori risultano spesso essere ago della bilancia per il risultato dell’analisi stessa. Riflettendo bene però ci rendiamo conto che i corrispettivi valori economici (decisi alcuni a “tavolino” mentre altri frutto di studi statistici) non sono altro che una rappresentazione econo-
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mica degli obiettivi strategici che la collettività si è prefissata, con lo scopo di creare i presupposti per un futuro più sostenibile. Ha senso quindi utilizzare un modello che usa indici economici frutto di una scelta politica per valutare l’utilità della stessa scelta politica? Le opere strategiche vengono fatte per sortire degli effetti benefici decisi da una scelta politica, le ACB devono essere utilizzate per capire quale sia il metodo migliore per raggiungere quell’obiettivo. Più il sistema è articolato e più risulta difficile (quindi con maggiore probabilità di errori) stimare i benefici indotti dalla realizzazione di un intervento migliorativo, sia dal punto di vista delle quantità che del limite spazio-temporale in cui essi si realizzano. Le opere strategiche devono necessariamente essere figlie di una scelta politica, lo strumento tecnico delle ACB può essere utilizzato per decidere quale strategia applicare per raggiungere un fissato obiettivo, non possono dirti se l’obiettivo che ti sei prefissato sia corretto o meno.
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logistica GRANDI OPERE INFRASTRUTTURALI - QUALE RAPPORTO FRA TECNICI E POLITICA?
Dagli specialisti gli scenari che orientino il “decisore” Gli strumenti da utilizzare, secondo le situazioni, sono principalmente la Valutazione di impatto ambientale, la Valutazione ambientale strategica, l’Analisi costi benefici, l’Analisi multicriteria, quella Gerarchica.
Mauro Solari
Ingegnere, già membro Commissione VIA Regione Liguria Quale dev’essere il rapporto tra tecnica e politica nella scelta di una grande opera infrastrutturale? Personalmente ritengo che il compito dei tecnici debba essere offrire al decisore politico degli scenari, in cui le varie opzioni possibili siano fra loro confrontate per valutarne gli impatti positivi e negativi per ogni comparto. È quindi evidente che lo studio tecnico debba premettere la scelta politica, in modo che questa sia basata su evidenze razionali. L’alternativa è che il politico decida, nel migliore dei casi, sulla base di pressioni di lobby economiche, o, nel peggiore, su fenomeni di corruttela. Gli strumenti da utilizzare sono la VIA Valutazione di Impatto Ambientale (per le opere) o la VAS - Valutazione Ambientale Strategica (per i piani e programmi). Ricordo che la VIA/VAS copre tutti gli aspetti: ambientali, economici (l’opera deve avere un senso, una sua giustificazione), sociali (art. 41 Cost.), sanitari (art. 32 Cost.). L’Analisi Costi Benefici è parte integrante della VIA/VAS, che deve valutare le possibili alternative, compresa l’opzione “zero”, cioè la non realizzazione dell’opera. Nel caso di infrastrutture di trasporto si dovrebbero confrontare le varie modalità (nave, gomma, ferro) e i possibili percorsi, a valle, ovviamente, della verifica di una effettiva domanda. La VIA/VAS è quindi uno strumento con due funzioni fondamentali: 1 - È (o dovrebbe essere) uno strumento per il raffreddamento dei conflitti. La VIA nasce negli anni ‘60 del Novecento in Francia nei processi di ricomposizione fondiaria perio-
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dicamente indetti dalle Prefetture proprio con questo scopo: le conclusioni della VIA in quanto razionali e trasparenti comportano, nella maggior parte dei casi, l’adesione alle stesse. Ma questa deve essere la caratteristica della VIA/VAS: di essere razionale, logica e trasparente, nel senso che chiunque deve essere in grado di arrivare alle medesime conclusioni partendo dagli assunti logici dati. Ovviamente non sarà mai oggettiva, perché l’oggettività non esiste. 2 - È (o dovrebbe essere) uno strumento di supporto alle decisioni, e dovrebbe essere utilizzato dalla politica per le sue scelte. Ma dove si esplica la scelta politica se la VIA/ VAS definisce già cosa è meglio o peggio per ogni comparto? Nei pesi da attribuire ai vari comparti. È meglio mantenere in funzione una acciaieria che inquina provocando problemi nei comparti ambientali e sanitari o è meglio chiuderla con i problemi che si generano nei comparti economici e sociali? Il tecnico (ingegnere, chimico, naturalista, sociologo, economista, medico, ecc.) può solo esprimersi sull’entità degli impatti, ma la valutazione se uno è più importante di un altro è esclusivamente una scelta politica, rispetto alla quale il tecnico in quanto tale non può entrare. Lo può fare come cittadino. Per la valutazione dei pesi un altro strumento a supporto delle decisioni è l’analisi multicriteria. Con essa si supera il solo criterio economico su cui si basa l’Analisi Costi-Benefici, e si prende atto dell’impossibilità di individuare l’alternativa ottima (come pretende di fare quest’ultima). Infatti non esiste la “soluzione” migliore che soddisfi contemporaneamente tutti i parametri, ma occorre scendere a compromessi, dando un diverso peso ai comparti o ai parametri interni a ciascun comparto, consapevoli che la scelta finale sarà dettata dalle preferenze di ogni singolo decisore. Il risultato non è il meglio assoluto, che non esiste, ma uno spettro di possibilità basate sui giudizi dei decisori. Un metodo diffuso è l’analisi gerarchica (Saaty, 1987) che permette di ricondurre la decisione ad una struttura gerarchica tramite confronti a coppie. Esso consente ai decisori di derivare i pesi in modo non arbitrario. Operativamente viene chiesto ai decisori di esprimere una preferenza per ogni coppia di parametri su una scala da 1 a 9, dove 9 esprime il fatto che il parametro X1 è nove volte preferibile rispetto a X2. In questo modo si costruisce una matrice da cui dedurre i pesi per
ogni singolo parametro e per ogni comparto. Rispetto allo scenario prima delineato, la realtà delle scelte effettuate in questi anni è molto diversa. Con la “legge obiettivo” (L. 443/01) si è invertito l’ordine logico delle procedure, nel senso che si è stabilito che le opere definite “strategiche” dal governo dovevano (nei fatti) avere una VIA positiva. Quindi abbiamo avuto delle scelte politiche senza valutazioni tecniche (che solo la VIA può dare) e quindi basate su valutazioni “altre”, snaturando la VIA a sola “giustificazione dell’opera”, tramite misure compensative, non sempre efficaci, per gli impatti più evidenti. In questo modo si è persa la possibilità di valutare soluzioni alternative. Un esempio di scuola è il progetto del Terzo Valico. L’incarico di realizzare l’opera fu affidato al COCIV senza gara nel 1991, con la formula del “general contractor”, per cui si doveva procedere non solo alla realizzazione dell’opera, ma anche alla sua progettazione. Il progetto fu bocciato 3 volte negli anni ‘90 dalla Commissione VIA per “mancanza di giustificazione dell’opera” per poi essere approvato con la Legge obiettivo nel 2002, escludendo tutte le possibili alternative al tracciato proposto. Tipo il raddoppio della Genova-Ovada, sull’asse Alessandria-Novara-Sempione, con la galleria di valico già a doppio binario ed utilizzabile per gli high-cube e negli anni ‘80 individuata linea con free way europea per il trasporto merci (che in generale sarebbe da separare dal quello passeggeri per le diverse esigenze tipo velocità, frequenze di fermate, lunghezza dei treni, ecc.). Ma nel tempo sono anche state escluse anche altre alternative progettuali emerse: l’antico progetto dell’ing. Navone del 1905, il “Bruco”, il progetto dell’arch. Rigamonti, che avevano in comune la lunghezza della galleria (mediamente metà di quella che sta realizzando COCIV) e la pendenza (≤ 10 ‰ che avrebbe configurato il Terzo Valico come ferrovia di pianura, contro il 12,5 ‰ del progetto COCIV). Inoltre per carenza dello Studio di Impatto Ambientale non sono stati calcolati i costi derivantidallapresenzadirocceamiantifere,che faranno lievitare l’attuale stima di 6,2 miliardi di euro, in coerenza con l’aumento di costi registrato nel tempo da tutte le grandi opere.
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logistica GRANDI OPERE STRATEGICHE - ANALISI COSTI BENEFICI SOTTO LA LENTE
Terzo Valico: ACB sbagliata? Ma i lavori non si fermano La metodologia di analisi adottata si è basata su dati e considerazioni spesso errati, ingiustificati o fuorvianti che, nonostante ciò, hanno portato alla scelta di non interrompere l’opera. Evidenti errori perfino nel calcolo delle distanze fra le varie tratte hanno inciso sulle considerazioni finali di un’opera da 6,2 miliardi di euro.
Francesco De Milato
Ingegnere Elettronico, Dott. Ricerca in Elettronica ed Informatica, Analista di dati l 13 dicembre 2018 il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (MIT) ha pubblicato l’Analisi Costi Benefici (ACB) (http://www. mit.gov.it/sites/default/files/media/notizia/2018-12/3.%20Allegato%201%20 %E2%80%93%20Analisi%20costi-benefici%20del%20Gruppo%20di%20 Lavoro%20sulla%20valutazione%20 dei%20progetti.pdf) e la valutazione giuridica (http://www.mit.gov.it/sites/default / files/media/notizia/2018-12/4.%20Allegato%202%20%E2%80%93%20Relazione%20tecnico-giuridica.pdf) volute dall’ex ministro Toninelli per decidere se proseguire o interrompere la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi. Quanto segue non intende spiegare o confutare la metodologia di analisi adottata, ma mettere in evidenza come sia basata su dati e considerazioni spesso errati, ingiustificati o fuorvianti che hanno portato alla scelta di non interrompere l’opera. Per chi non lo sapesse, il tracciato a progetto del Terzo Valico non parte da una stazione di Genova (Principe o Brignole) ma dalle colline di Fegino, nel quartiere Rivarolo, e termina dopo Rivalta Scrivia, circa 2 km prima della stazione ferroviaria di Tortona (si veda la cartina). Ebbene, l’ACB sembra ignorarlo, avendo basato tutti i calcoli su una riduzione del tracciato di 21 km, affermando che «la
tratta di valico attuale presenta infatti una estesa di 75 km contro i 54 di quella di progetto», dove 54 sono i chilometri da Fegino a fin poco dopo Rivalta e 75 quelli da Brignole a Tortona passando per Novi. E soprattutto ignora che l’attuale linea principale per Tortona non passa da Novi, ma da Cassano, per un totale di 71 Km (46 fino ad Arquata, poi altri 25). Questo significa che anche con il Terzo Valico si dovranno percorrere 12 Km sulla linea attuale per arrivare fino a Brignole e Tortona, portando il futuro tracciato a 66 Km, per cui l’attuale percorrenza sarà ridotta non di 21 Km come asserito, ma di 9 Km (via Novi) e di 5 Km (via Cassano); questo si ripercuote su tutti i calcoli successivi. Per esempio l’ACB sbaglia quando toglie 21 Km, invece di 5, dalla distanza attuale Genova-Monaco di Baviera per calcolare il risparmio favorito dal Terzo Valico per trasportare le merci, quadruplicando così il numero di chilometri risparmiati. Analogo errore lo commette calcolando il tempo di viaggio da Genova a Milano, perché non lo fa a parità di partenza (Brignole) e arrivo (Tortona), ma considerando per il Terzo ValicosologliestremiFegino-Rivalta(54Km). Ipotizzando medie di 100 Km/h sull’attuale linea e di 200 Km/h sulla nuova, afferma che ora si percorrono 75 Km (via Novi, ma non lo dice)in45minuti,mentreinfuturoi54Kmsarannopercorsiin16.2minuti,risparmiandone 28.8. Se però aggiungesse i 12 Km mancanti (7.2 minuti a 100 Km/h) si salirebbe a 23.4 min, che l’ACB dovrebbe confrontare non col tempoviaNovi,maviaCassano,42.6min.per 71 Km. La corretta riduzione di tempi è pertantoparia42.6-23.4=19.2min.enon28.8, che rappresenta quindi un’errata sovrastima delbeneficiointerminiditempo(50%inpiù). Altrettanto sbagliato è affermare che attualmente la distanza Genova–Arquata è di 75 Km, quando in realtà è 46 Km, come da orario FS del 2003. Questo inficia i calcoli fatti dall’ACB per confrontare tre scenari di costo per trasportare 100 TEU da Genova a Monaco, definita «una tratta “tipo”». In realtà da uno studio del 2016 sui collegamenti merci con la Germania
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del Sud, condotto dalla Drewry, società di consulenza e ricerca inglese, si scopre che: 1 - Monaco non è una delle tante destinazioni possibili, ma l’unica nella Germania del Sud che abbia una qualche convenienza da Genova; 2 - Già adesso, senza Terzo Valico, le merci da Shangai arrivano a Monaco nello stesso tempo sia da Rotterdam che da Genova; 3 - Rotterdam è però preferita a Genova perché permette di portare un high cube (container pari a 2 TEU) da Shangai a Monaco spendendo 1.874 $; tramite Genova costa circa 800 $ in più, pari al 50%. Appare evidente che mezz’ora in meno (su 30 giorni) o il raddoppio della lunghezza dei treni non serviranno a colmare il gap di 800 $, dato che l’ACB stima in 204 € il risparmio di costi per high cube dovuto al Terzo Valico. D’altra parte è la stessa ACB a scrivere: «Non essendo disponibile alcuno studio o modello su cui basare le analisi...» per gli scenari di domanda, confermando ufficialmente per la prima volta che quest’opera da 6.2 miliardi di euro è ritenuta fondamentale senza uno studio della domanda. A proposito dei tre scenari ipotizzati dall’ACB, si noti che facendo partire due treni merci da Genova ed unendoli a Arquata, si potrebbe avere un notevole risparmio per andare a Monaco rispetto a quanto avviene ora con due treni fino a destinazione; risparmio di poco inferiore a quello stimato col Terzo Valico, ma senza spendere 6.200 milioni di euro. L’ACB ignora inoltre il problema dell’estrazione e smaltimento dell’amianto in discariche autorizzate, costi non previsti quando è stato quantificato il valore dell’opera e per questo motivo non è chiaro se ora siano adeguati a garantire la salute umana e coperti da una riduzione del margine di guadagno o da nuovi finanziamenti. Nonostante il fatto che questi errori abbiano gonfiato i benefici a favore dell’opera Terzo Valico, le conclusioni del’ACB sono che «solo assumendo ipotesi molto favorevoli al progetto, i benefici ottenuti risulterebbero dello stesso ordine di grandezza
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logistica dei costi. Questo scenario ha, a giudizio del gruppo di lavoro, una elevata probabilità di non verificarsi». L’analisi giuridica e le valutazioni del Mi-
nistero (http://www.mit.gov.it/sites/default/ files/media/notizia/2018-12/2.%20Valutazione%20del%20progetto%20del%20 Terzo%20Valico%20dei%20Giovi%20definitiva.pdf) ribaltano queste conclusioni, avvalendosi tuttavia di ulteriori errori o dati azzardati. Ad esempio definisce l’opera «strutturata in 6 lotti costruttivi (detti anche “non funzionali”)», come se “non funzionali” fosse sinonimo di lotti costruttivi, quando invece significa che la realizzazione è stata autorizzata dal CIPE in base all’art. 2 c. 232 L. 191/2009 (Finanziaria 2010) perché il progetto rientra tra quelli «non suddivisibili in lotti funzionali di importo inferiore a 1 miliardo di euro». Questa autorizzazione comporta però che il Contraente Generale rinunci «a qualunque pretesa risarcitoria, eventualmente sorta in relazione alle opere individuate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’alinea (comma - ndr), nonché a qualunque pretesa anche futura connessa all’eventuale mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi». L’analisi giuridica, ignorando questo vincolo, afferma che essendo stati spesi 1.522 milioni di euro su 6.2 miliardi, l’importo residuo del contratto è 4.636 milioni, cifra sulla quale applica il criterio del decimo per calcolare il costo di recesso: 463,6 milioni. In realtà poiché l’opera è stata autorizzata imponendo al Contraente Generale di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria per i lotti non ancora finanziati ed essendo disponibili alla data dell’ACB solo i primi
TERZO VALICO: ACB SBAGLIATA? MA I LAVORI NON SI FERMANO
4 lotti, il 5° e 6° dovevano essere esclusi dall’importo residuo del contratto, che pertanto era di 2.245 milioni e il suo decimo 224,5, e non 463,6. Questa cifra si ridurrebbe addirittura a 179,6 se il criterio del decimo fosse calcolato sui 4/5 dell’importo residuo, come previsto dal codice degli appalti (ed escluso dall’analisi giuridica con autonoma interpretazione, senza citare fonti giurisprudenziali). L’analisi giuridica paventa inoltre ulteriori spese dovute «alla necessità di far fronte alle pretese di terzi, conseguenti all’adozione dell’atto di recesso», lasciando intendere che i subappaltatori possano a loro volta avanzare pretese al committente. Questo è in contrasto con Cass. Civile sez. II n. 16917/2011, che afferma che i contratti di subappalto non instaurano «alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore», per cui il subappaltatore può rivolgersi solo all’appaltatore per le obbligazioni di pagamento derivanti dal subcontratto e «a tale principio non si sottrae l’esperimento dell’azione per il pagamento dell’indennizzo spettante all’appaltatore in caso di recesso del committente». Oltre a riprendere queste valutazioni, che ribaltano l’esito dell’ACB, il documento redatto dalla Struttura Tecnica di Missione afferma che la non prosecuzione «comporterebbe la perdita delle somme già spese, pari ad almeno 1.522 milioni di euro, e ulteriori costi di recesso dai contratti in essere, di incerta quantificazione, ma stimati almeno pari a 1.195 milioni di euro». Quest’ultima cifra tuttavia non è quantificata né dall’ACB, né dalla relazione giuridica (che si ferma a 463,6 milioni di euro) o altrimenti documentata, mentre la prima (1.522 milioni) non tiene conto che le somme già spese non sono tutte perse. Oltre ai 60 dati ai Comuni, restano alla comunità opere viarie come rotonde e strade (ad
esempio tunnel sotto gli Erzelli) realizzate con il primo lotto da 500 milioni, mentre altre opere potrebbero essere riconvertite per interventi necessari ma privi di fondi pubblici, ad esempio il tratto di galleria in costruzione sotto Serravalle per realizzarne una circonvallazione. Lo stesso documento del MIT cita inoltre l’8° Rapporto per la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici per affermare che le riserve in termini di contenzioso incidono «attorno al 45% del valore dei contratti stipulati». In realtà, a pag. 103 si legge che tale percentuale è relativa alle «richieste delle imprese aggiudicatarie», il che non significa che sia effettivamente riconosciuto al termine del contenzioso. Tant’è che lo stesso rapporto ricorda che esiste una «soglia del 20% (attuale limite massimo delle riserve)»; ma questo passo non è riportato nel documento pubblicato dal MIT. Il MIT conclude affermando che l’interruzione dell’opera comporterebbe anche «il rimborso totale o parziale dell’assistenza finanziaria prevista per l’implementazione del sistema ERTMS sulle sezioni italiane appartenenti al Corridoio Reno-Alpi, stimata pari a circa 27 milioni di Euro», senza indicare alcun documento che ne attesti l’esistenza. Occorre investigare sul sito della Commissione Europea dedicato a Mobilità e Trasporto per scoprire che i fondi citati si limitano alla tratta Milano-Tortona, con esclusione quindi della tratta Tortona-Genova, legata al Terzo Valico. E che i 27 milioni vanno ripartiti con la ben più lunga tratta Novara-Padova-Venezia-Mestre. Nonostante tutto questo, il Ministero ha ritenuto conveniente continuare la realizzazione del Terzo Valico.
Nell’immagine, scaricata dal sito di RFI, in blu il tracciato del Terzo Valico dei Giovi. È stata integrata con le annotazioni in rosso per chiarire meglio gli estremi della nuova linea a progetto rispetto alle stazioni ferroviarie esistenti. La tabella dall’orario FS 2003 evidenzia le distanze attuali tra le varie stazioni arrivando a Tortona passando da Novi o da Cassano.
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logistica GRANDI OPERE STRATEGICHE - HANNO CARATTERISTICHE E FUNZIONALITÀ MOLTO DIFFERENTI
Perché la linea costiera non sarà mai ad alta capacità Due studi analizzano le tratte ferroviarie Genova-Ventimiglia e della Costa Azzurra, individuandone i limiti e le modalità dei progetti di miglioramento. Si tratta di percorsi che non possono essere nemmeno paragonati al TAV Torino-Lione, che nasce strutturalmente e contestualmente diverso. Senza contare il fattore tecnico, e quello economico, che impediscono interventi drastici sulla costa. proprio territorio di competenza. Le argomentazioni riportate nel seguito sono volte a dimostrare l’impossibilità dell’uso della linea ferroviaria costiera come infrastruttura ad alta capacità.
Limiti tecnici ferrovia Genova-Ventimiglia
Davide Isola
Commissione Trasporti Ordine Ingegneri di Genova «In Europa, l’Italia è impegnata, insieme a tutti gli Stati europei, a trasferire una quota del 30% dei traffici di lunga percorrenza dalla strada alla ferrovia entro il 2030 (il 50% entro il 2050) attivando varie forme collaborative ferro-gomma. La Rete Transeuropea di Trasporto (TEN-T), che individua la rete principale, è solo una parte di un disegno ancora più lungimirante: costruire un’unica rete multimodale capace di integrare i trasporti terrestri, marittimi e aerei in tutta l’Unione Europea. Se l’Italia non partecipasse al raggiungimento di questo obiettivo, non solo metterebbe in difficoltà gli Stati confinanti che, invece, stanno intervenendo sulla stessa rete transnazionale, ma si autoescluderebbe da un fondamentale processo positivo, che da tempo è sostenuto da specifiche Direttive europee e da consistenti finanziamenti». L’ing. Salvatore Crapanzano spiega così, in poche righe, perché sia sbagliato mettere in discussione scelte già prese in merito ad opere di interesse strategico (e sulle quali si è già investito). Chiarisce come non sia possibile decidere in modo autonomo a livello nazionale e come realizzare le singole componenti del sistema che ricadono nel
(Estratto Quaderno 11 Osservatorio per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione) - Anche se alcune recenti gallerie sono state realizzate con standard P/C80, la codifica di linea mantiene oggi una sagoma P/ C22; tutti i tunnel sono gallerie monotubo (a singola canna per entrambi i binari), con modulo compreso tra i 525 e i 500 metri. La linea ferroviaria genovese di ponente è quindi una linea dedicata principalmente al trasporto passeggeri. Le caratteristiche di questa linea, infatti, non risultano conformi alle Specifiche Tecniche di Interoperabilità (STI 2014) per il trasporto moderno delle merci e dei container navali. La linea è stata originariamente costruita quasi interamente a binario unico per le difficoltà tecniche e per la necessità di contenere i costi. Tuttavia, si rivelò ben presto insufficiente a soddisfare le esigenze di collegamento, così si optò per un raddoppio di binario (spesso in nuova sede). I lavori per il raddoppio sono proseguiti in diverse fasi temporali, lentamente; dopo quasi 150 anni, ancora oggi alcuni tratti rimangono a binario unico. Dopo 25 anni
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di attesa, nel 2001 è stata aperta all’esercizio la tratta di raddoppio tra San Lorenzo al Mare e Ospedaletti. Dal 2016 è in funzione anche la linea S. Lorenzo-Andora, lunga 18,8 Km di cui 16,5 in galleria. Non si è ancora a conoscenza dei tempi certi per la realizzazione della tratta rimanente tra Andora e Finale Ligure, progettata in doppia linea in nuova sede. Secondo il progetto di RFI, saranno 31,4 i chilometri (25 in galleria) al costo di 1,54 miliardi di euro (non è compresa la spesa impiantistica e tecnologica). Il progetto per l’ultima parte di raddoppio tra Andora e Finale Ligure prevede ulteriori 25 chilometri di tunnel, che sommandosi a quelli esistenti tra Savona e Finale portano a 71,8 chilometri di galleria, tra Ventimiglia e Savona. L’unico intervento (funzionale al trasporto merci) per l’adeguamento di sagoma previsto riguarda la linea da Savona a Genova (ora P/C32): l’obiettivo è collegare i due porti a sagoma P/C45. A lavori ultimati i chilometri in sotterranea saliranno a 87,2 sui 144 Km complessivi nella tratta Genova -Ventimiglia. Le criticità che il progressivo raddoppio di
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logistica
PERCHÉ LA LINEA COSTIERA NON SARÀ MAI AD ALTA CAPACITÀ
linea (tra Ventimiglia e Savona) deve ancora affrontare sono di doppia natura: Tecniche: il raddoppio della linea costiera impatta su un territorio fortemente urbanizzato e dai rilevanti valori paesistico-ambientali. Di conseguenza circa l’80% del tracciato corre in galleria (difficoltà ad aumentare limiti di sagoma). Finanziarie: nel Contratto di Programma MIT-RFI, recentemente approvato, non compaiono i finanziamenti necessari al completamento del raddoppio Genova-Ventimiglia (tra Andora e Finale Ligure) e viene indicato, come anno di attivazione utile per i lavori, uno Scenario che va oltre il 2026 Considerando che i nuovi interventi di raddoppio non sono stati fatti in ottica e per la sostenibilità del trasporto merci, che l’attuale linea costiera è prossima alla saturazione e che la necessità di spostarsi da parte del-
percorso tortuoso a ridotte velocità. Le aree della costa, sempre più densamente popolate, da tempo richiedono a questa linea di gestire un maggior traffico di passeggeri. Oggi, la rete ferroviaria della Provence, Alpi e Costa Azzurra presenta una serie di problemi dovuti ai limiti di saturazione dell’infrastruttura (sempre più prossimi), dovuti all’ingente traffico passeggeri esistente. I nodi urbani di Marsiglia, Tolone e Nizza sono i più trafficati e presentano le criticità maggiori. L’intera linea elettrificata a doppio binario si presenta con velocità massime consentite che variano tra i 100 e i 160 Km/h, con un carico assiale di 20 tonnellate massime (limitato al C3) inadeguato al transito delle merci; la sagoma della tratta tra Tolone e Nizza raggiunge il P/C45 mentre la codifica di linea per il trasporto combinato della linea Marsiglia-Tolone e Nizza-Mento-
le persone sarà sempre crescente nel corso del tempo appare chiaro come anche le future migliorie non potranno essere usate per incrementare il traffico merci ferroviario con la Francia attraverso XX Miglia.
ne rimane a P/C22. Le criticità relative al trasporto passeggeri saranno affrontate attraverso una serie di investimenti previsti in circa un trentennio. Gli interventi programmati da SNCF, su richiesta del Governo, per soddisfare le necessità dei cittadini mirano a potenziare la funzione di trasporto passeggeri della rete ferroviaria, aumentando la capacità e le prestazioni. Nel pacchetto degli investimenti riportato dal Conseil d’Orientation des Infrastructures a gennaio 2018, non si parla in alcun modo di trasporto delle merci. Il Conseil d’orientation des infrastructures (COI), presieduto da Philippe Duron, ha presentato il 10 febbraio 2018 il proprio rapporto al Ministro dei trasporti Elisabeth Borne. Tale rapporto è il passaggio preliminare al “disegno di legge sulla mobilità”,
Limiti tecnici ferrovia costiera su territorio Francese
(Estratto Quaderno 11 Osservatorio per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione) Proprio perché non risulta possibile ragionare in ottica di sola prospettiva nazionale è necessario guardare anche la situazione oltre i propri confini per capire la sostenibilità della nostra idea. La linea da Marsiglia a Mentone è una delle principali linee ferroviarie passeggeri del sud-est della Francia; si snoda soprattutto in superficie nel territorio della Costa Azzurra, tra rilievi e vallate che implicano un
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voluto dal Presidente Emmanuel Macron per programmare la strategia nazionale di investimento della Francia per le principali infrastrutture di trasporto nei prossimi 20 anni. Dalle precedenti analisi è possibile comprendere il perché la linea costiera non sia mai stata inserita “nei corridoi delle merci”, perché sia necessario prendere le decisioni in modo condiviso e perché in nessun modo la linea Genova-Ventimiglia potrà sostituirsi alla Torino Lione o viceversa. La linea Torino-Lione e quella costiera sono inserite in differenti contesti e pensate per usi differenti, non è corretto legare i due progetti ed i due pacchetti di investimenti (che per altro non risultano esserlo nei fatti andando ad attingere da fondi differenti). Tutte le grandi opere devono essere viste in un contesto globale, ed è per questo motivo che Terzo Valico e TAV risultano essere entrambi necessari. Probabilmente oggi si potrebbe studiare meglio il tracciato, rendendolo più efficiente e meno impattante per il territorio (soprattutto durante la fase dei lavori), ma la struttura rigida del sistema dei trasporti e della sua pianificazione impone spesso tempi lunghi con decisioni e comportamenti che devono risultare necessariamente coerenti durante le fasi di pianificazione, progettazione ed esecuzione. I due precedenti estratti mostrano chiaramente come risulti impossibile dal punto di vista tecnico (o comunque molto oneroso ed impattante per il territorio) intervenire sulla linea costiera Genova-Ventimiglia per adattarla agli standard di una linea merci ad alta capacità. La tecnica costruttiva utilizzata per la realizzazione delle gallerie (a singola canna per entrambi i binari) non consentirebbe l’utilizzo dell’infrastruttura a regime ridotto di singolo binario durante i lavori di ampliamento, per questo motivo si renderebbe praticamente obbligatoria la realizzazione di nuove gallerie in un territorio densamente popolato e dall’elevato valore paesaggistico e naturalistico. Si ricorda infine che la normativa UE in presenza di gallerie mono-canna impone, per linee continentali, una distanza massima tra le uscite di sicurezza di 1 km (specifiche tecniche di interoperabilità, STI, anno 2008).
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logistica GRANDI OPERE STRUTTURALI - UNA LETTURA CRITICA DELL’ACB SUL DISCUSSO TAV, IL TRENO AD ALTA VELOCITÀ
Nuova Linea Torino-Lione: quei due dati sorprendenti Dall’Analisi del 12 febbraio emerge fra l’altro che il risultato negativo esposto in quasi 7 mld di euro, a fronte di un investimento indicato in 12 mld (ma per l’Italia il massimo è di 5,1 mld), e che il risultato dello scenario “ottimistico” (che prevede una maggior quota di traffico da strada a rotaia, cioè l’obiettivo del progetto) è peggiore di quello “realistico”. «Due incongruenze che si associano a superficialità e giudizi sommari».
Fulvio Quattroccolo Commissione Trasporti Ordine Ingegneri di Torino
La Nuova Linea Torino Lione (NLTL) è il progetto, in corso di attuazione, di rinnovo del collegamento ferroviario fra Italia e Francia, in sostituzione di quello attuale che utilizza il traforo del Frejus, in attività dal 1872 (dunque da 147 anni) e con una quota di culmine di 1.335 mt slm. Fa parte del processo di ricostruzione, con caratteristiche tecniche allo stato attuale, di tutti i valichi alpini con i tunnel “di base”, nel quadro della rete TEN-T per connettere l’Europa e favorire la vicinanza e l’interscambio fra i popoli del Continente. I tunnel di Loetschberg e Gottardo in Svizzera, Brennero fra Italia e Austria, Semmering e Koralm in Austria, e anche il Terzo Valico, sono tutte opere ultimate o in avanzata fase di costruzione, insieme alle linee di adduzione anch’esse in via di adeguamento. La NLTL è il punto critico in cui il Corridoio Mediterraneo della rete TEN-T attraversa le Alpi, insieme al molto più breve (8,3 km) tunnel sotto i Pirenei sulla nuova linea in variante (44,4 km) Perpignan-Figueres fra Francia e Spagna, già in esercizio dal 2013. L’AnalisiCostiBenefici(ACB)perlaTorino-Lione prodotta dal gruppo di Marco Ponti per il MIT è stata resa pubblica il 12 febbraio 2019,
seconda dopo quella sul Terzo Valico. Dalla prima avevamo avuto modo di vedere e capire come sarebbero state costruite anche le altre Analisi in corso, con quali criteri, metodo e livello di approfondimento, e con quali errori e carenze che sono stati evidenziati dai numerosissimi interventi di critica da parte di accademici e professionisti. In questa seconda Analisi pubblicata, sono stati soprattutto due gli aspetti sorprendenti che hanno attirato l’attenzione: il risultato negativo esposto in quasi 7 mld di Euro, a fronte di un costo di investimento indicato in 12 mld (mentre chi conosce la materia sa che il costo massimo per l’Italia è di 5,1 mld), e il fatto sorprendente che il risultato dello scenario “ottimistico” (nel quale cioè una maggior quota di traffico passa dalla strada alla rotaia, cioè l’obiettivo del progetto viene realizzato meglio) è peggiore di quello “realistico”. Queste incongruenze indicano per certo che nel documento ci
diabilmente la credibilità del risultato e la stessa utilizzabilità dell’Analisi prodotta. Una conferma, anche, del fatto che il modello ACB funziona piuttosto male se applicato a opere che devono avere effetti a scala macroeconomica, soprattutto se, come in questo caso, non si tiene conto degli obiettivi di politica industriale, economica e ambientale sovraordinati. Anche perché numerose altre valutazioni dell’opera negli anni passati, fatte da vari soggetti in fase di studio, di progetto e di istruttoria dei finanziamenti UE, come richiesto dalle norme europee, hanno portato a risultati sempre positivi e sono state recepite negli accordi internazionali di riferimento. Inizierò proprio da questi due punti, che sono stati al centro anche delle considerazioni sulla ACB fatte dalla Commissione Trasporti dell’Ordine Ingegneri Torino e pubblicate a inizio marzo. Il primo dipende da un problema relativo al
Figura 1
sono delle anomalie, di metodo e/o di applicazione, che devono essere analizzate e evidenziate, poiché compromettono irrime-
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perimetro della analisi: è stata considerata la tratta da Torino a Saint Jean de Maurienne, cioè quella nazionale italiana Tori-
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logistica no-Bussoleno e quella transfrontaliera corrispondente al tunnel di base e alle opere connesse lato Italia. (V. figura 1) Questo può anche avere un senso, visto che sono le parti di linea sulle quali l’Italia è chiamata a mettere dei fondi. Il problema nasce nel momento in cui l’ACB, che è stata richiesta solo dall’Italia e non dagli altri soggetti coinvolti (Francia e UE), non considera solo il costo a carico del nostro Paese, ma quello totale: 12 miliardi, che è pure errato in eccesso essendo quello effettivo certificato ad oggi di complessivi 10,5 mld, di cui 5,082 mld a carico dell’Italia, come chiaramente descritto nel Quaderno 13 (Feb. 2019) dell’Osservatorio per l’Asse Ferroviario Torino-Lione (che ricordiamo è un organismo ufficiale istituito con DPR nel dicembre 2006). Non si capisce per quale motivo il MIT abbia ritenuto di allargare l’analisi anche a capitoli che non competono al reale committente, e soprattutto di non evidenziare, almeno a parte, i risultati relativi al solo “conto” italiano. O forse si capisce… perché in ogni caso questa ambiguità ha dato origine a una grande manipolazione dell’informazione pubblica sui costi della Torino-Lione, come tutti certo ricorderanno. Il paradosso “più cresce il trasporto ferroviario, peggiore è il bilancio dell’ACB” nasce invece dal metodo applicato dal gruppo di Ponti, che dichiara (a pag. 30) di aver “sostanzialmente” seguito le LG del MIT, ma anche quella che secondo loro è la «miglior prassi internazionale, se pur semplificata». A proposito di semplificazioni appunto, l’aver scelto di applicare il calcolo con il metodo “del surplus” che richiede di utilizzare il costo generalizzato del trasporto, ma senza avere a disposizione stime previsionali accurate del traffico, senza un modello di trasporto a supportare le ipotesi, e senza neppure aver acquisito in modo certo i dati del costo attuale del trasporto asserendo che non si sa nulla di quanto gli utenti pagavano prima (cioè adesso, ma bastava chiederli o leggere il Quaderno 11 dell’Osservatorio di Novembre 2018]), ha portato ad un’applicazione indiscriminata della cosiddetta “regola del mezzo”, che in una situazione come quella di studio, che avrà come effetto un grande incremento del traffico a partire da un valore molto basso, praticamente dimezza l’intero campo dei
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NUOVA LINEA TORINO-LIONE: QUEI DUE DATI SORPRENDENTI
Figura 2
benefici per gli utenti. In questo caso, avendo a disposizione scenari di domanda sommari, nessun modello di trasporto elaborato, e nessun riferimento al costo iniziale, non era corretto utilizzare il costo generalizzato, e quindi il carico fiscale trasferito (accise) doveva essere considerato un effetto distorsivo da depurare. In quest’ottica, secondo il principio dell’adattamento dei sistemi tributari all’evolvere dell’economia, venendo meno un cespite tassabile si libera capacità fiscale per un prelievo compensativo, attraverso scelte politiche del tutto legittime. Sul fronte della valutazione dei costi e dei
benefici, invece, si sono adottate ipotesi molto sofisticate, e quindi incompatibili con la superficialità della stima della domanda, arrivando così a dei paradossi nel risultato. La stessa superficialità si riscontra nella trattazione del tema “pedaggi” come surplus negativo per i produttori: il valore calcolato è infatti condizionato dall’altissimo costo del passaggio nel tunnel autostradale del Frejus e anche del Monte Bianco, ma manca qualsiasi analisi della struttura di tale costo, e quindi eventualmente della quota che realmente incide sul conto di sostenibilità economica del gestore e quale
Figura 3
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logistica
NUOVA LINEA TORINO-LIONE: QUEI DUE DATI SORPRENDENTI
Figura 4
invece è ascrivibile a una situazione di quasi-monopolio. (Vedi figura 2). Senza contare che una parte non trascurabile del traffico trasferito su treno proverrebbe dal valico di Ventimiglia e non costituirebbe quindi una perdita per il gestore di A32 e tunnel (eventualmente per quello della A10), e che in ogni caso vale il ragionamento fatto per le accise sulla non-applicabilità a fronte di una stima superficiale della domanda. Ma voglio mostrare in che modo si può affermare che lo scenario della domanda adottato è superficiale e sommario. Dato per scontato che il paradosso “più c’è traffico sulla ferrovia, peggiore è il risultato dell’investimento” sia frutto di un metodo molto discutibile e non accettabile, e che quindi sia auspicabile che molto traffico sia trasferito sulla ferrovia, l’ACB sulla Torino-Lione evidenzia come la previsione della domanda nello scenario considerato “realistico” sia stata costruita in modo del tutto arbitrario, partendo dalle analisi fatte dall’Osservatorio nel 2011 (Quaderno 8) ritenute irrealistiche, e arbitrariamente riducendole del 50% o più, senza alcuna giustificazione tecnica o valutazione contrapposta. Ma perché partire da un documento del 2011 quando era disponibile una serie di dati molto approfonditi e recenti riportati in un documento ufficiale quale è il già citato Quaderno 11 dell’Osservatorio del novembre 2018, pubblicato e scaricabile dal sito dell’Osservatorio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi dello stesso Governo? Quaderno che fra l’altro ha per titolo proprio “Contributi tecnici per una
corretta valutazione economica degli interventi di adeguamento della linea ferroviaria Torino-Lione”. Nel Quaderno, il cap. 2 a cura del prof Roberto Zucchetti (CERTeT Bocconi) tratta delle Dinamiche di sviluppo e interscambio di beni nell’attraversamento dell’arco alpino occidentale, sia merci che passeggeri, sia in termini di interscambio economico e bilancia commerciale fra i vari Paesi, sia di volumi di merci, differenziando per flussi fra macro-aree europee e per valico di transito. Sono analizzate per ogni paese raggiungibile dai valichi sul confine con la Francia le variazioni dal 1988 al 2017. Interessante il confronto fra i volumi in transito dai confini con la Francia e con la Svizzera dal 2005 al 2017, che mostra come il traffico con la Francia sia costantemente superiore (Vedi figura 3). Inoltre sono sviluppati scenari possibili di evoluzione al 2060 fondati su ipotesi definite negative e molto negative, la più ottimistica delle quali prevede «bassa crescita con crisi periodiche ed elasticità media», la peggiore «stagnazione permanente con crisi periodiche ed elasticità minima». Come si vede da questa nostra elaborazione su dati indicati dalla ACB (p. 42), lo scenario peggiore porta a un volume di interscambio comunque superiore a quello ipotizzato nello scenario “realistico” della ACB. (54 mio ton contro 48,4 al 2034). Nello scenario meno negativo, il volume potrebbe arrivare a 63 mio ton al 2034 (Vedi figura 4). Sempre nel Quaderno 11 sono sviluppati i
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conteggi che dimostrano la convenienza economica del trasporto ferroviario rispetto a quello stradale, nelle condizioni consentite dai treni “lunghi e pesanti” che potranno circolare sulla nuova linea: convenienza che giustificherà un elevato shift modale da parte dei trasportatori, insieme alla maggiore attrattività di un servizio più efficiente ed affidabile. Questi dati fra l’altro, insieme alla rilevazione dei costi attuali di trasporto, avrebbero permesso di conteggiare nel dettaglio i benefici come surplus dell’utente e costruire una curva della domanda più aderente alla realtà. È interessante osservare come, anche prendendo per buoni i conteggi fatti nell’ACB pubblicata (che peraltro in gran parte buoni non sono) e adottando lo scenario ACB di trasferimento modale “ottimistico” (che come abbiamo visto non è poi così irrealistico) che corrisponde a un traffico ferroviario sulla nuova linea di 23,4 milioni di ton al 2034 (43,3% di quota modale su un totale di 54 milioni, o 37% su 63 milioni, percentuali assai inferiori alla quota modale svizzera) e solo depurando il risultato dalle distorsioni negative di accise e pedaggi, il Valore Attualizzato Netto Economico dell’opera a 30 anni risulterebbe pari a 6,28 miliardi positivo. Anche in uno scenario intermedio resterebbe comunque un ampio margine. E questo senza considerare né le obiezioni sulla perimetrazione dell’analisi e sul calcolo dei benefici, né gli effetti indiretti sull’economia, né i costi del “fermarsi” (oneri di chiusura contratti e accordi internazionali, opere di messa in sicurezza dei lavori fatti e del territorio, stimati in oltre 2,5 miliardi di euro). In conclusione, le Analisi Costi-Benefici che contengono le incoerenze di metodo indicate nei punti precedenti ed altri numerosi errori e leggerezze nella determinazione degli elementi di calcolo non possono essere utilizzate ai fini della valutazione di convenienza delle opere analizzate, a maggior ragione in quanto si tratta di opere rispondenti a programmi strategici di politica economica nazionale, di coesione territoriale europea, ed a lavori in corso.
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logistica GRANDI OPERE STRATEGICHE - L’IMPRENDITORE DEI TRASPORTI PRESENTA IL SUO PROGETTO PER GENOVA
Spazi e sprint in porto? «Ecco il Bruco che ci salverà» «Per servire regolarmente le mega navi, oggi un porto deve avere una capacità di 8-10 milioni di teu: ciò richiede almeno 500 ettari di spazio portuale più 3.000 ettari logistici limitrofi, oltre a un’adeguata capacità di deflusso. La soluzione? Un sistema di trasporto continuo - che non confligge con le altre opere in corso - per 10 milioni di teu annui: un tunnel dedicato di 38 km. collegherà i 3 accosti ricavabili sulla diga foranea di Genova Pra con gli spazi illimitati di Novi Ligure-Basaluzzo».
Bruno Musso Presidente Gruppo Grendi Nell’attuale secolo, che possiamo definire della logistica, i punti di eccellenza sono rappresentati dai porti, nucleo dell’evoluzione tecnologica e dell’organizzazione aziendale, soprattutto in rapporto ai vettori intermodali. Le eccellenze portuali determinano la comparsa delle mega navi - contenitori da 20.000 teu da utilizzare sulle lunghe distanze per servire i grandi traffici quali il collegamento Europa-Cina e presto divenute il settore di punta che trascina l’intera catena del trasporto marittimo. Infatti queste navi possono rea-
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lizzare le economie di scala loro proprie solo grazie al salto tecnologico portuale che permette di ridurre a 5 giorni i 20 giorni necessari a una struttura tradizionale per l’intero carico e scarico di una mega nave: una differenza che diventa determinante in rapporto ai 20 giorni di navigazione di una rotta quale Shangai-Genova. Parallelamente gli 8.000 teu giorno/nave impongono di concentrare il traffico della singola linea in pochi porti, 2 o 3 al massimo, in ognuno dei quali muovere tra carico e scarico 14.000 teu/approdo. Un singolo accosto (8.000 teu* 250 giorni lavorativi) che serve una singola linea con 3 partenze settimanali (14.000 teu* 3 volte settimana* 50 settimane), muove così circa 2 milioni di teu/anno: cioè quasi il corrispondente dell’intero traffico del porto di Genova, e più di quello dei 4 principali porti dell’Alto Adriatico. È evidente che il salto dimensionale dei volumi di traffico, conseguenza delle nuove tecnologie portuali che permettono l’utilizzo delle mega navi, rappresenta la vera rivoluzione trasportistica del secolo della logistica. Le strutture portuali italiane esistenti ed i progetti futuri a noi noti, non sono in grado di fronteggiare questa sfida.
Infatti un porto, per poter servire regolarmente le mega navi, deve avere una capacità di 8-10 milioni di teu: il che richiede almeno 500 ettari di spazio portuale più 3.000 ettari logistici limitrofi oltre ad un’adeguata capacità di deflusso. Nel Mediterraneo solo il Nord Italia giustificherebbe la realizzazione di un porto di destinazione finale per mega navi, perché la pianura padana è l’unico mercato che già oggi muove 8,5 milioni di teu. Ma nella situazione attuale, in cui il traffico viene sbriciolato su 12 porti, diventa impossibile utilizzare le economie di scala; si produce di conseguenza un aumento di nolo marittimo stimato 500 $ a container. A causa di questi elevati costi, un 25% del totale del traffico destinato alle regioni settentrionali italiane (2 milioni di teu) sceglie i porti del Nord Europa, minando la competitività del Nord Italia, perché viene così a ubicarsi, in termini economici, a 1.200 km. dal mare. Come ribaltare questa situazione e diventare competitivi rispetto ai porti del Nord Europa, porti di pianura con spazi illimitati superiori a 10.000 ettari, contro i 200 ettari di Genova, maggiore porto italiano? Per potersi adeguare è
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logistica necessario integrare il porto con la pianura, e solo a Genova questo è tecnicamente possibile collegando gli alti fondali del Tirreno con la retrostante pianura padana. Nessun sistema di trasporto tradizionale ha però la potenzialità necessaria per fronteggiare questi volumi di traffico: basta pensare che sono sufficienti 3 accosti per mega navi che operano in con- temporanea per generare un flusso di 24.000 teu giorno, che per la prosecuzione terrestre non può utilizzare nessun sistema tradizionale. Infatti ipotizzando di usare le ferrovie occorrerebbero circa 400 treni/ giorno (contro i 30 di Genova), cioè uno ogni 4 minuti per 24 ore, o in alternativa con la strada 480 mezzi all’ora. La soluzione c’è ed è tecnologicamente ed economicamente realizzabile: il BRUCO, un sistema di trasporto continuo con potenzialità di 10 milioni di teu annui che, attraverso un tunnel dedicato di 38 km., collega i 3 accosti ricavabili sulla diga foranea di Genova Pra, con gli spazi illimitati di Novi Ligure-Basaluzzo. Il progetto può autofinanziarsi perché produce un risparmio di 50 €/ container di trasporto terrestre e di 500 $/container di nolo marittimo, ed è quindi in grado di aumentare la competitività industriale italiana. Questo però richiede che la gestione venga affidata a più operatori in concorrenza: infatti il monopolio di un singolo privato potrebbe produrre una rendita di posizione valutabile a regime intorno ai 6-8 miliardi di € anno. Sarebbe un’infrastruttura aggiuntiva che al livello del Nord Italia non sostituisce né danneggia le realtà attuali e i progetti di sviluppo sia ferroviari che portuali; infatti pur raddoppiando la potenzialità di tutti i porti del Nord Italia (circa 6 milioni di teu), servirebbe via Genova traffici oggi persi, cioè i 2 milioni di teu provenienti in pianura padana dal Nord Europa, nonché la Svizzera e il Sud Germania. Permetterebbe la nascita del centro logistico del Sud Europa, in grado di facilitare lo sviluppo di tutti i settori logistici, quali traffici mediterranei, passeggeri e autostrade del mare, che potrebbero anche fruire degli spazi portuali, preziosi e necessari, così liberati. Discorso analogo vale per il terzo valico ferroviario dell’Appennino che diventerebbe più strategico
SPAZI E SPRINT IN PORTO? «ECCO IL BRUCO CHE CI SALVERÀ»
sia per far fronte alla crescita generalizzata di tutti i traffici, sia per il treno veloce passeggeri necessario alla realizzazione della metropolitana Genova, Milano, Torino, presupposto per la mega regione della logistica. Il Nord Italia, centro logistico del Sud Europa, diventerebbe infatti la vera porta d’ingresso della Via della Seta, con sviluppo occupazionale analogo a quello dei grandi porti del Nord Europa, stimabile in 300.000 unità - numero quasi 10 volte superiore a quello dell’attuale occupazione nella logistica genovese. Nel ‘900 la siderurgia in banchina realizzata a Genova dall’Italsider ha permesso all’Italia di superare l’handicap della mancanza di materie prime e diventare una grande potenza industriale; in questo secolo il Bruco potrebbe permettere di giocare ad armi pari la sfida logistica con i porti del Nord Europa.
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professione L’EVOLUZIONE DELL’INGEGNERIA CLINICA E BIOMEDICA IN UN INCONTRO NAZIONALE DELL’ORDINE AL DUCALE
Fra ingegneria e medicina cresce la Scienza salva-vita Non solo invenzioni di apparecchiature medicali per la diagnosi e la cura dei pazienti e lavoro fianco a fianco con il personale sanitario, ma soprattutto - per gli ingegneri - salvaguardia della salute delle persone in qualsiasi contesto della professione, come recita l’art. 1 del codice deontologico. Cronaca di un confronto fra specialisti e delle proposte per intensificare la formazione e sviluppare le tecnologie integrando le competenze.. Stefania Stefanoni
C’erano una volta le professioni di ingegnere e quella di medico: distinte, completamente diverse. Non avevano niente in comune se non il fatto che, in entrambi i casi, il percorso di studio era lungo e impegnativo ma le prospettive di lavoro invidiabili. Se in una Facoltà lo studente sarebbe impazzito su libri propedeutici di analisi, fisica, geometria, meccanica razionale, per poi specializzarsi in uno dei tanti campi dell’Ingegneria, nell’altra i tomi di patologia e anatomia del corpo umano avrebbero fatto dormire sonni agitati ai numerosi “discepoli” di Esculapio. Sembra siano passati secoli: oggi le apparecchiature sempre più sofisticate e le metodologie di indagine medica che vengono utilizzate in ambito sanitario, impongono una profonda integrazione tra il sapere ingegneristico e la conoscenza medico-scientifica. Proprio sulle opportunità sempre maggiori che si aprono grazie all’integrazione fra le varie specializzazioni che formano i nuovi professionisti nell’ambito della Sanità pubblica e privata, il 9 settembre - su iniziativa dell’Ordine degli Ingegneri di Genova - si è tenuto un confronto di respiro nazionale a Palazzo Ducale (“L’Ingegnere biomedico e clinico, ruoli e opportunità nella sanità e nella libera professione”), che ha visto i contributi di alcuni fra i maggiori specialisti di entrambe le discipline, con la moderazione attiva di una brillantissima Tiziana Lazzari, vice Presidente di Palazzo ducale Fondazione per la Cultura. La quale ha dato la parola subito alle autorità. Fra le quali l’assessore alla Sanità Sonia Viale («Qui si parla della vita, della salute delle persone. E noi abbiamo una priorità: il sistema sanitario ligure deve muoversi in fretta per raggiungere il livello di altre regioni; e voglio anticipare proprio in questa occasione un Protocollo di intesa tra gli Ordini, l’Università e la Regione per mettere a sistema tutte le nostre conoscenze»); Giorgio Roth, Preside della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova («La nostra Università ha dato il via alla specializzazione di Ingegneria Biomedica in Italia, finalizzata alla realizzazione e alla manutenzione di impianti utilizzati nel mondo della me
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Al tavolo del convegno la presentazione di Tiziana Lazzari
dicina; l’avanzamento dei sistemi utilizzati in campo sanitario e frutto dell’ingegneria ha portato a un naturale affiancamento della figura dell’ingegnere a quella del medico anche nella fase di diagnosi e terapia. Per sviluppare la parte formativa, didattica e di ricerca di queste nuove figure professionali la proposta del Protocollo di Intesa consentirà di compiere insieme grandi passi avanti»); Alessandro Bonsignore, vicepresidente dell’Ordine dei Medici («Per non essere travolti dall’innovazione tecnologica dobbiamo preservare l’umanizzazione delle cure: sono sicuro che un coinvolgimento di tutte le professioni porterà un cambiamento senza perdere di vista i principi ispiratori della professione»). Quindi, l’apertura del presidente dell’Ordine Maurizio Michelini, che ha tracciato un “quadro”, ripreso poi anche durante il programma Tv serale sullo stesso tema del convegno andato in onda con i relatori come ospiti a Terrazza Colombo. In sintesi: «Il primo punto del Codice deontologico degli Ingegneri dice che la professione deve essere esercitata nel rispetto della salute dell’uomo. In particolare, gli ingegneri biomedici e clinici non solo si occupano di apparecchiature sanitarie, ma studiano
anche il corpo umano, perfetta opera di ingegneria. Allora è possibile parlare, più in generale, di ingegneria per la salute, come elemento di cultura trasversale e universale rispetto a tutti i settori in cui si esercita la professione. L’ingegnere che progetta edifici, macchine, mezzi di trasporto o altre opere che interagiscono con l’uomo può e deve agire secondo criteri di prevenzione, perché la persona meglio curata è quella che non si ammala. Occorre il rispetto della salute e dell’ambiente nell’intero ciclo di vita di tutto quello che noi costruiamo. È un imperativo categorico per chi è iscritto all’Albo. E per compiere atti di professione riservata, anche nel settore biomedico e clinico, in forma autonoma o subordinata, occorre essere iscritti (vedi R.D. 2537/1925, art. 51 e D.P.R. 328/2001, art. 46)»». Presso l’Ordine degli Ingegneri di Genova è stato istituito l’’Elenco Tipologico’ degli Ingegneri Biomedici per consentire agli interessati di evidenziare le proprie competenze e professionalità spoecifiche. Paolo Piccini, Amministratore Unico di Liguria Digitale, dal canto suo ha detto che «il mio vuole essere un contributo per indirizzare la crescita della Bioingegneria. Dopo aver unito tre poli preesistenti - Li-
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professione
guria Digitale è il soggetto gestore dell’unico polo ligure di Scienze della Vita, del mondo dell’industria, della ricerca e degli ospedali e preposto al finanziamento di progetti - lo scopo è quello di fornire al mondo politico indicazioni su dove convogliare eventuali finanziamenti. Nel settore della bioingegneria ci rendiamo conto che ci sono problemi più di quantità che di qualità: mancano le persone qualificate nei settori tecnico-scientifici; sono ben contento dunque che si capisca la necessità di unire gli sforzi comuni in questo campo». Silvio Sabatini, professore della Scuola Politecnica Università di Genova, ribadisce fra l’altro in maniera efficace le differenze tra Ingegnere biomedico e clinico: «La figura di Ingegnere clinico - spiega rientra tra gli ambiti di Ingegneria Biomedica, quando si incontra il mondo degli ospedali e delle strutture sanitarie: diciamo che è una declinazione dello sbocco di Ingegneria Biomedica». Attesissimo l’intervento di Sergio Cerruti, professore del Politecnico di Milano, che ha illustrato con grande meticolosità la situazione studentesca a livello regionale e nazionale: «Vedo tanti giovani - ha esordito - che dimostrano interesse in questa disciplina, ci aspetta un brillante futuro! In Ingegneria biomedica si laurea ormai un grande numero di studenti a livello nazionale, è una realtà sempre più radicata in Italia e la terza dopo Ingegneria Gestionale e Meccanica. C’è un fortissimo interesse non solo da parte dei giovani, ma anche e soprattutto del mercato; basti pensare che, degli studenti che si laureano, il 95,8% è occupato e addirit-
FRA INGEGNERIA E MEDICINA CRESCE LA SCIENZA SALVA-VITA
tura l’87% trova occupazione nell’arco di 6 mesi. Non dimentichiamo però che il settore delle tecnologie biomediche deve essere opportunamente regolamentato; l’Ingegnere Clinico deve essere un “Civil Servant” che faccia in primis gli interessi del paziente, oltre che della struttura per cui lavora. Ormai non abbiamo bisogno di un informatico, ma di una figura polivalente, esperta in medicina e in ingegneria. La Medicina si sposta sempre più da una scienza che inseriva in un protocollo generico il paziente a una che adotta un percorso personalizzato; la maglietta sensorizzata per il controllo a domicilio, la visualizzazione real time su tablet o smartphone di misurazioni di pressione arteriosa e frequenza cardiaca, rilevazioni di parametri clinici contactless con telecamere avanzate: questi esempi ci aiutano a pensare a quanto ormai sia fondamentale reperire figure professionali che siano contemporaneamente dotate di sapere tecnico, medico e scientifico». A un convegno dedicato ai ruoli e alle opportunità nella Sanità e nella libera professione dell’Ingegnere Biomedico e Clinico non poteva mancare Ernesto Iadanza, presidente della divisione Health Teconology Assessment IFMBE (acronimo di International Federation for medical and Biological Engineering) che ha anticipato i nuovi progetti dell’Associazione: «Una summer school in Brasile entro la fine del 2019, la fondazione di un gruppo di interesse con il Parlamento europeo sull’Ingegneria Biomedica e Clinica, logica conseguenza dell’inserimento della figura professionale nella classifi-
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cazione ESCO (classifica europea delle competenze) in cui è esplicitato che cos’è e cosa fa l’Ingegnere Biomedico. Infine, stiamo trasformando materiale di e-learning in dispense: c’è fame in tutte le parti del mondo di questo tipo di documentazione».
L’ing. Gianni Vernazza
Non solo in ambito scientifico, ma anche in quello giuridico è necessario sapersi muovere , come ha sottolineato Cesare Bruzzone, avvocato e professore dell’Università degli studi di Genova: «L’Ingegnere Clinico - ha spiegato - può essere la figura che assicura la corretta stipula e gestione dei contratti di manutenzione di apparecchi medicali, inoltre deve essere
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professione ferrato in argomenti quali la trasparenza dei dati (GDPR), la responsabilità civile e penale della struttura e del sanitario; nelle perizie e nelle consulenze tecniche in giudizi civili e penali potrebbe essere chiamato come consulente tecnico di parte». Nella parte del convegno intitolata “Cosa pensano di noi?” Gabriella Paoli, dirigente Arisa e Matteo Gentile, consigliere dell’Ordine degli Ingegneri, si sono divertiti a raccogliere interviste su cosa le persone pensavano fossero e facessero gli Ingegneri biomedici. «È emerso – raccontano - che, pur essendosi questa disciplina affermata nel 1996, pochi hanno percepito correttamente gli sbocchi professionali e il significato dell’Ingegneria Biomedica, per cui questo può essere un buon punto di partenza per imparare a divulgare correttamente la sua importanza». Maria Mirella Luciani, del Ministero della Salute, ha dato un’azzeccata definizione: «Secondo me l’ingegnere biomedico è la cerniera tra il mondo della medicina e quello della tecnologia. La Medicina non può più farne a meno, un ingegnere non può non lavorare con un medico». Il direttore scientifico dell’Istituto Gaslini Carlo Minetti ha descritto il cambiamento della figura dell’Ingegnere biomedico: «Negli anni 70 l’ingegnere biomedico era chi si occupava delle apparecchiature con i tecnici. Ora c’è stata una evoluzione che ci affianca nella valutazione della progettualità. A noi ormai serve un collega che ci aiuti a elaborare alcuni aspetti che non sappiamo affrontare». Dello stesso avviso anche Uccelli, Direttore scientifico dell’Ospedale San Marti-
FRA INGEGNERIA E MEDICINA CRESCE LA SCIENZA SALVA-VITA no di Genova: «Non è più il tecnico che viene chiamato per le riparazioni quando qualcosa non funziona, ma è un collega a tutti gli effetti. Proprio in questi giorni abbiamo avuto una deroga per assumere un bioingegnere; questo non deve essere un caso isolato, ma solo l’impulso a far rientrare naturalmente nelle strutture ospedaliere figure che ci permettano di supervisionare macchine sofisticate e anche andare oltre». A Berti Riboli, Consigliere di Presidenza Confindustria Genova per Salute Scienza e Vita, il merito di lanciare una piccola provocazione: «Per far decollare questa complessa figura professionale perché non far studiare insieme, sin dall’inizio, Ingegneri, bioingegneri e medici? È fondamentale un corso di Laurea di questo tipo in lingua inglese, cosa che ci catapulterebbe in uno scenario inimmaginabile di opportunità e crescita. Per reggere i cluster di altre regioni italiane, prima tra tutte la Lombardia, dobbiamo rimanere al passo con pensieri sempre più innovativi». E di pensieri innovativi ha fatto il proprio credo l’IIT, con il nuovo Direttore Scientifico Giorgio Metta il quale alla domanda: Cosa pensa dello studio combinato proposto da Berti Riboli? ha risposto: «I nostri team sono costruiti per portare a casa il risultato, senza guardare chi sia a comandare, quindi questa barriera da noi è già stata abbattuta da tempo. Siamo abituati a far lavorare insieme teste provenienti da diversi filoni di studio. Se lo abbiamo fatto noi, perché non costruire qualcosa di simile anche al di fuori? Qualunque mezzo, anche la multidisciplinarietà, va bene se si raggiunge lo scopo prefissato».
In conclusione i componenti della Commissione Ordinariale di Ingegneria Biomedica coordinati da Stefano Scillieri, professore di Ingegneria Clinica a Genova, hanno dato uno sguardo al futuro prossimo. Cosa bisogna fare per concretizzare tutte le potenzialità di questa disciplina? Da Piccini il consiglio di dare un’occhiata fuori casa: «Basterebbe seguire un po’ di più quello che fanno Stati Uniti e Inghilterra e trarne ispirazione». Per Scillieri «Le ASL dovrebbero assumere più ingegneri biomedici per poter effettuare davvero un salto di qualità nel settore delle tecnologie sanitarie anziché appaltare all’esterno come largamente avviene gran parte del servizio di ingegneria clinica» Con i piedi per terra Antonio Uccelli il quale, alla domanda Dove saremo tra cinque anni? ha risposto con grande sincerità: «Ho paura di dire che rischiamo di essere dove siamo ora, con molta più tecnologia. Auspico un‘accelerazione positiva verso la multidisciplinarietà e la possibilità di investimenti». In conclusione, come buona parte dei convegni organizzato dagli Ingegneri, anche questo, che ha avuto il sapore di un costruttivo brain storming, ha aperto grandissimi spunti di crescita che coinvolgeranno certamente Università, Ospedali, Ordini professionali: l’importante, a questo punto, sarà non perdere tempo e portarsi al passo di altre avanzate realtà europee, con la concretezza e l’apertura alle grandi sfide che da sempre contraddistinguono il mondo dell’Ingegneria, compresa quella biomedica. (Fotoservizio Aba News)
Un momento del dibattito Tv a Terrazza Colombo
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professione INGEGNERIA NAVALE - GLI SVILUPPI DELLA RICERCA PER LA PREVISIONE DELLE PRESTAZIONI
Quell’elica che in acqua decreta successi e avarie È il mezzo grazie al quale la potenza del motore trasmette la spinta necessaria per garantire alla nave le caratteristiche di moto desiderato, e a partire dalla progettazione bisogna tener conto di requisiti fondamentali, come efficienza, cavitazione e robustezza, che incidono sulla navigazione. L’erosione delle pale è causa di rumori a bordo, inquinamento ambientale e altri danni. Un “viaggio” con due specialisti che ci svelano i suoi “segreti”.
Davide Grassi Federica Valdenazzi Ingegneri navali Cetena
L’elica rappresenta una delle più affascinanti invenzioni dell’ingegno umano come mezzo di trasmissione e conversione della potenza dal motore di propulsione alla spinta necessaria per garantire alla nave le caratteristiche di moto desiderate. La progettazione dell’elica segue la spirale di progetto tradizionalmente utilizzata per la nave nel suo complesso, partendo dalla definizione di una geometria iniziale che soddisfi i requisiti di base e verificandone le caratteristiche di efficienza, cavitazione e robustezza, per poi passare attraverso livelli di dettaglio crescenti con l’obiettivo raggiungere il miglior compromesso tra le differenti esigenze progettuali. Le eliche navali moderne appaiono significativamente diverse da quelle progettate venti o trent’anni fa: l’evoluzione è principalmente legata allo sviluppo tecnologico delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati, ai regolamenti ed al costo di produzione. Le dimensioni crescenti del naviglio mondiale e il relativo aumento delle potenze installate a bordo, richiedono il trasferimento di enormi quantità di energia attraverso il propulsore, esaltando la problematica della cavitazione (cioè la formazione di cavità sulle pale che si muovano in un liquido a eccessiva velocità) in particolare nella sua forma più pericolosa per la vita dell’elica: quella erosiva. La cavitazione avviene con la generazione di piccoli volumi di acqua in stato gassoso che si verifica quando la pressione nel fluido adiacente la superficie di pala scende al disotto del valore critico di vapore (figura 1). Questo fenomeno rappresenta un vincolo progettuale anche per aspetti legati al rumore irradia-
to; essi rivestono particolare importanza per unità militari in termini di segnatura acustica o per applicazioni civili in termini di comfort a bordo e per rotte considerate sensibili dal punto di vista ambientale. Il tema delle emissioni inquinanti infine, unito all’aumento del costo del combustibile, costituisce un’importante driver per lo sviluppo dell’elica nella direzione di una sempre maggiore efficienza propulsiva. Per molti anni le eliche di propulsione sono state progettate utilizzando teorie nelle quali la pala è rappresentata da filamenti vorticali in moto stazionario all’interno di un fluido non viscoso. A partire dagli anni Sessanta, con l’avvento dei calcolatori elettronici e dei più moderni cluster di calcolo ad alte prestazioni, le tecniche di progettazione si sono evolute rapidamente fino alle moderne formulazioni numeriche basate sulla soluzione delle equazioni del moto viscoso non stazionario (RANSE). La fluidodinamica computazionale (CFD) costituisce attualmente uno dei più utili strumenti nelle mani del progettista di eliche; essa viene impiegata a partire dalla simulazione del flusso intorno alla carena della nave nella condizione di rimorchio alla velocità desiderata per determinare la spinta richiesta al propulsore (figura 2). Le moderne tecniche numeriche di simulazione possono essere applicate con successo anche al calcolo del campo di moto intorno alla carena in condizione di auto-propulsione (figura 3). Questa analisi consente al progettista di ricavare importanti informazioni quali i coefficienti propulsivi che descrivono l’interazione tra la carena e l’elica e sono utili per la stima preliminare della potenza richiesta e per il dimensionamento di massima del propulsore. La simulazione della condizione di autopropulsione fornisce inoltre preziosi dettagli sulla scia nominale ed effettiva (depurata dall’effetto indotto dell’elica stessa sul campo di moto) che viene impiegata per progettare nel dettaglio la geometria della pala destinata ad operare nel flusso perturbato dalla presenza della carena (figura 4). La CFD può essere utilizzata non soltanto per le eliche di propulsione ma anche per la progettazione dei thruster di manovra (cioè eliche che possono essere collocate a pro-
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1 - Gli effetti della cavitazione sulla superficie di pala
ra o a poppa per rendere una nave o un’imbarcazione più manovrabile) che rivestono particolare importanza durante le operazioni della nave in porto o per mantenere una posizione e/o un orientamento predefinito in mare aperto nelle diverse condizioni
2 - Simulazione del campo di moto intorno alla carena in avanzo
meteo marine. L’elica di manovra intubata, in particolare, rappresenta una caratteristica comune a tutte le navi passeggeri, da lavoro e di ricerca. La collocazione geometrica di tali propulsori all’interno della carena della nave li rende soggetti a pro-
3 - Simulazione della condizione di autopropulsione
blemi di cavitazione indotta dalla qualità del campo di moto all’interno del condotto. Esso risulta infatti significativamente perturbato dalla presenza delle griglie protetti-
4 - Calcolo della scia sul propulsore
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professione ve, della carenatura e dai supporti del POD (macchina a forma di gondola, appesa sotto la poppa della nave, che combina sia la funzione propulsiva sia quella di governo) e dalla geometria dell’imbocco del tunnel. La simulazione CFD consente di determinare accuratamente le caratteristiche del flusso all’interno del condotto evidenziandone le aree di eventuale separazione all’origine della cavitazione sull’elica. Tali fenomeni indesiderati all’interno del campo di moto sono solitamente localizzati a valle dell’imbocco del tunnel e vengono innescati dalla presenza di superfici a spigolo vivo impiegate in funzione di raccordi strutturali. Allo scopo di ottimizzare il comportamento dell’elica è possibile introdurre opportuni avviamenti di raccordo tra la superficie della carena e del tunnel che impediscano la separazione del flusso viscoso incidente sul propulsore riducendone significativamente le problematiche legate a cavitazione, rumore e vibrazioni indotte. Come accennato in precedenza, uno degli aspetti più sfidanti nella progettazione delle eliche consiste nel garantire le prestazioni propulsive limitando i livelli di emissioni acustiche in acqua. L’elica è una delle più importanti sorgenti di rumore irradiato dalla nave e la necessità di ridurre il rumore irradiato in acqua, da sempre obiettivo importante della progettazione di mezzi militari, è diventata negli ultimi anni prioritaria anche per il naviglio civile. La sempre maggiore sensibilità ai temi ambientali ha messo l’inquinamento acustico dovuto alla navigazione sotto i riflettori e le società di classifica hanno elaborato notazioni di classe aggiuntive per le navi che contengano i livelli di rumore irradiato sotto certi limiti; i requisiti di progetto sono diventati in generale più restrittivi e ci si aspetta che possano entrare in vigore a breve normative internazionali prescrittive di bassi livelli di rumore irradiato. Un recente importante workshop internazionale sul rumore irradiato in mare, organizzato da Transport Canada e tenutosi a Londra nell’aprile 2019, ha passato in rassegna gli strumenti e le tecnologie disponibili ad oggi per la riduzione dei livelli di rumore irradiato e ha evidenziato le
QUELL’ELICA CHE IN ACQUA DECRETA SUCCESSI E AVARIE
5 - Poster divulgativo sul rumore irradiato dalle navi (portvancouver.com/echo)
aree in cui sono urgentemente necessari ricerca e sviluppo tecnologico (figura 5). Per il progettista, è ovviamente importante disporre di strumenti previsionali accurati del rumore irradiato dall’elica che permetta di confrontare i livelli di rumore con
6 - Diversi tipi di cavitazione osservati sull’elica PPTC al tunnel di cavitazione di SVA: cavitazione laminare e a bolle sulla pala; vortice di estremità e vortice dal mozzo. (www.sva-potsdam.de/pptc-smp11-workshop/)
i requisiti progettuali e i vincoli normativi. A questo proposito, va detto che le emissioni acustiche dell’elica coprono un intervallo molto ampio di frequenze, da pochi Hz fino a oltre 50 kHz. Per le eliche delle navi commerciali, il rumore irradiato è
7 - WED (Wake Equalizing Duct)
essenzialmente dovuto alla cavitazione, sempre presente alle normali velocità di esercizio. Vi sono diversi tipi di cavitazione: quella laminare genera rumore
sia alle basse frequenze (cosiddette “di pala”) sia alle alte, per effetto dell’implosione delle bolle di vapore che avviene in tempi caratteristici molto piccoli; la cavitazione che si forma nel vortice che si stacca dalle estremità di pala genera i livelli più alti di rumore a frequenze tipicamente comprese fra 100 e 200 Hz; la cavitazione a bolle che si forma alla radice di pala contribuisce al rumore sia alle basse che alle alte frequenze (figura 6). I fenomeni di formazione e dissipazione della cavitazione sono molto complessi; prevederne accuratamente gli effetti in termini di rumore è sfidante. Su questi temi, la ricerca si muove in più direzioni: da un lato, sviluppare e validare le tecniche CFD per essere in grado di calcolarne accuratamente le dinamiche, anche nelle strutture vorticose generate dall’elica (metodo CFD DES/LES); dall’altro, sviluppare metodi più speditivi basati su modelli più semplici e/o regressioni di dati sperimentali e numerici, utilizzando ad esempio tecniche di machine learning; questi metodi sono attraenti perché utilizzabili nelle fasi preliminari di progetto, dove i calcoli CFD LES/DES sono ad oggi poco utilizzabili a causa dei tempi lunghi di modellazione e calcolo. Infine, un tema di ricerca sull’elica di interesse per cantieri, armatori e costruttori di propulsori è quello dei cosiddetti ESD Energy Saving Devices (figura 7), introdotti negli anni Ottanta ma tuttora oggetto di ricerca soprattutto grazie al recente sviluppo delle metodologie CFD. Esempi di progetti europei focalizzati alla comprensione dei meccanismi di funzionamento e alla definizione di linee guida per l’analisi idrodinamica degli ESD sono STREAMLINE, GRIP e LEANSHIPS. Numerosi modelli numerici sono stati sviluppati per la modellazione del comportamento integrato di elica, carena e del dispositivo di recupero energetico; a partire dai più accurati ma computazionalmente impegnativi RANS-RANS per arrivare ai meno precisi ma speditivi accoppiamenti RANS-BEM che modellano l’elica e l’ESD attraverso una formulazione non viscosa di tipo BEM.
Il seminario dell’Ordine
«Eliche di propulsione - Nuovi strumenti per la previsione di potenza, per la progettazione e per la realizzazione dell’elica»: il 23 settembre, nell’ambito del Salone Nautico alla Fiera Internazionale di Genova, a cura di Atena Lombardia, Ordine Ingegneri Genova e UCINA su questo tema si è svolto un seminario formativo che ha visto numerosi interventi. Referente scientifico per il rilascio dei crediti formativi, l’ing. Felice Lombardo, dell’Ordine degli Ingegneri di Genova. Fra i relatori ufficiali Stefano Gaggero e Diego Villa, Università di Genova, “L’evoluzione della progettazione delle eliche: dalla sperimentazione Foto di gruppo dei relatori (ph Mimmo Giordano) alla simulazione”; Francesco Salvatore, CNR-INM, “Il contributo di CNR-INM per la ricerca e lo sviluppo nel campo della propulsione”; Christian Lena e Luigi Francesco Minerva (Marin), “Metodi tradizionali e innovativi per il design dell’elica”; Giovanni Caprino (Cetena), “Gli sviluppi della ricerca per la previsione del rumore e delle prestazioni dell’elica ad alte prestazioni”; Luca Radice (Eliche Radice), “Dalla progettazione all’industrializzazione: l’evoluzione della tecnologia nel corso degli ultimi 100 anni”. In queste pagine il contributo di due specialisti che hanno partecipato ai lavori, su uno dei temi più scottanti che riguardano le problematiche legate all’elica e alle sue funzioni propulsive.
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professione TRA PROGETTAZIONE E NORME, LA RIPARAZIONE, IL RIPRISTINO E L’AMMODERNAMENTO DELLE UNITÀ
Refitting, l’eterna giovinezza per le imbarcazioni “vissute” Un settore in crescita in un mercato sempre più consolidato, con un fatturato di 240 milioni di euro annui e un quadro normativo in continuo aggiornamento. L’importanza della verifica dei Requisiti Essenziali imposti dalla UE quando si mette mano alle unità da diporto che poi circolano nelle acque europee. Sul mercato si affacciano nuove realtà cantieristiche che si specializzano nelle attività di refit, prestazioni sempre più richieste mento di mercato della nautica ormai consolidato come realta ̀ emergente in continuo sviluppo, particolarmente nell’area mediterranea. Tutto ciò impone alcune riflessioni. Non a caso il 20 settembre, nell’ambito del Salone Nautico, Enave - Ente Navale Europeo Srl, organismo autoriz-
zione con l’Ordine degli Ingegneri di Genova ha tenuto un seminario tecnico per illustrare gli aspetti tecnici, progettuali, normativi e pratici “di cantiere” che si nascondono dietro al refit o alla riparazione di una unità da diporto. Al quale ho partecipato come relatrice assieme a diversi ingegneri
Giulia Cresci
Ingegnere Nautico Ufficio struttura valutazione Enave Il refitting di un’imbarcazione comprende una serie di attivita ̀ come la riparazione, il ripristino, l’ammodernamento di un’unità. Fra le attivita ̀ di questo tipo si possono citare l’aggiunta o la sostituzione di un elemento, la personalizzazione per apportare delle migliorie tese a soddisfare i bisogni dell’armatore, il ripristino di parti logore o mal conservate, l’introduzione di elementi piu ̀ tecnologici per migliorare ad esempio la navigazione, le prestazioni, i consumi. Il refit nautico è un settore in crescita con un fatturato di circa 240 milioni di euro (fonte Ucina), ed è un seg-
Il tavolo della presidenza in un momento del dibattito (ph. Mimmo Giordano)
zato a condurre le procedure di valutazione di conformità per la marcatura CE e ad effettuare le visite di idoneità per il certificato di sicurezza delle imbarcazioni italiane - in collabora-
Il pubblico al seminario sul refitting alla Fiera Internazionale (ph. Mimmo Giordano)
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specializzati, come Francesco Prinzivalli (navale) socio fondatore Enave; Damiano Lancia (nautico) Customer care & Refit Manager Vismara Marine; Giovanni Ceccarelli, Ceccarelli Yacht Design; Stefano Signori (navale), Studio Mare Nostrum; Alessandro Suardi (navale), Capo ufficio struttura valutazione Enave. Il quadro normativo è in continuo aggiornamento ed è importante fornire degli strumenti ai professionisti che affiancano gli armatori nelle operazioni di refit in modo da poter coniugare i desideri dell’armatore con le esigenze tecniche e legislative. Nel corso del seminario, il settore è stato analizzato sulla base del rapporto tra cantiere/progettista ed ente tecnico, allo scopo di proporre un educational rivolto agli operatori del settore, utile a comprendere le procedure da seguire e la loro importanza.
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professione
REFITTING, L’ETERNA GIOVINEZZA PER LE IMBARCAZIONI “VISSUTE”
Un intervento di refit a Sestri (ph www.cantierisestri.it). Oggi molti cantieri propongono ai propri clienti non solo l’ammodernamento estetico delle loro barche, ma anche importanti interventi strutturali, come ad esempio il rifacimento della plancetta di poppa, l’aggiunta di un secondo bagno ad esempio nella camera di poppa di un 12 metri o altri interventi impegnativi.
Un primo panel di esperti, di cui facevano parte gli Ing. Damiano Lancia, Giovanni Ceccarelli e Stefano Signori, si è concentrato sugli aspetti progettuali dalla parte del cantiere, sulle richieste dell’armatore e sulle procedure da attuare in collaborazione con l’ente tecnico. Soddisfare le richieste del cliente è alla base del cantiere, che però deve tenere conto delle norme attualmente in vigore. Spesso infatti, un lavoro di modifica in una imbarcazione puo ̀ sfociare in qualcosa di piu ̀ grande. Un intervento, che puo ̀ sembrare fine a sé stesso, va valutato in termini di permanenza dei Requisiti Essenziali. Requisiti imposti dalla Direttiva 2013/53 UE che stabilisce la progettazione e la fabbricazione di unità da diporto e componenti, e le
norme sulla loro libera circolazione nell’Unione Europea. Qualora sussistano dubbi sulla permanenza, anche di uno solo dei Requisiti Essenziali, è necessario provvedere a verificarli tutti (come chiarito dall’Ing. Suardi nel corso della sua esposizione). Questo spesso comporta, in aggiunta alla modifica “iniziale”, anche la sostituzione o ammodernamento di alcuni impianti come quello combustibile o quello delle acque nere, ma non solo; avendo apportato delle modifiche ai requisiti essenziali andranno sicuramente aggiornati Manuale del Proprietario e calcoli di stabilità. Un secondo panel, che includeva i tecnici Enave, Ing. Alessandro Suardi e la sottoscritta, si è focalizzato sulla parte normativa. Un refit o una ripa-
razione puo ̀ assumere forme diverse a seconda dell’entita ̀ della modifica. Il quadro normativo parla chiaro: se si apportano innovazioni o mutamenti rilevanti per i quali vengano meno i requisiti essenziali imposti dalla Direttiva attualmente in vigore, è necessaria una APC-Post construction Assessment; se si apportano modifi che alle caratteristiche tecniche non essenziali in base alle quali è stato rilasciato il certificato di sicurezza, è necessaria la convalida dello stesso (valido solo su unità iscritte al RID). La valutazione Post Costruzione è, formalmente, molto simile alla certificazione di una nuova imbarcazione, poiché dal momento che ad essa vengono apportate delle modifiche rilevanti, è considerata una nuova unità. La convalida invece si esegue nel caso in cui all’unità siano state apportate innovazioni o abbia subito mutamenti alle caratteristiche tecniche di costruzione non essenziali, effettuando un’ispezione completa a bordo e verificando la permanenza dei requisiti di sicurezza. Rispetto agli anni precedenti si stanno affacciando sulla scena nuove realta ̀ cantieristiche: si tratta di cantieri che, a causa della forte competizione nel mercato delle nuove costruzioni, scelgono di dedicarsi al Refit, per questo è importante formare ed informare gli esperti del settore. In generale è abbastanza un’opinione comune che questo mercato, seppur sempre più selettivo e qualitativo, continuerà a dare buone soddisfazioni agli operatori.
Un traghetto passeggeri sottoposto a un intervento completo di refitting nei cantieri di Sestri Ponente a Genova (ph www.cantierisestri.it)
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professione ENTRA IN VIGORE LA NUOVA NORMATIVA AMBIENTALE EUROPEA PER DIFENDERE ARIA E MARE
Sulphur Cap al via dal 2020 Armatori, si cambia la rotta! È ormai noto quanto le navi inquinino soprattutto quando stazionano nell’area portuale. Le soluzioni: scrubber, o utilizzo di combustibili tradizionali compatibili con le norme IMO. L’Ordine di Genova – fautore di una articolata proposta abbinata all’elettrificazione delle banchine - ha messo a confronto DNV-GL (Registro Navale Norvegese), raffineria Iplom e Carnival Corporation. Dialogo difficile ma con un unico nobile obiettivo. Intanto l’Autorità di Sistema del Mar Ligure Occidentale ha finalmente imboccato la via dell’energia pulita in porto Andrea Barsanti
Non solo auto: in tema di emissioni e tecnologie per ridurle, anche il settore marittimo, com’è noto, sta per andare incontro a una vera e propria rivoluzione. La deadline è il primo gennaio 2020, quando entrerà in vigore il nuovo Sulphur Cap approvato dall’International Maritime Organization (Imo), che abbasserà il limite delle emissioni di zolfo delle navi dall’attuale 3,5 allo 0,5%. Un cambiamento che porta con sé numerose incognite, e che inevitabilmente ha creato non poco fermento tra gli armatori. Che si ritrovano a studiare, per poi applicarle in tempo, nuove strategie e modelli per adattare le proprie flotte alle nuove disposizioni europee e continuare a operare senza violare i regolamenti. E senza incidere sull’ambiente. La questione non è certo nuova, e questo giornale sostiene da tempo la proposta dell’Ordine degli Ingegneri di Genova, che proprio per l’incombere della direttiva europea che impone l’uso di carburanti ecologici sulle navi per non inquinare i mari e i porti (soprattutto quelli che si trovano nei centri abitati) quando sono ormeggiate, hanno lanciato l’idea di convertire l’ex centrale a carbone - dismessa dall’Enel nel porto genovese - per la produzione di energia pulita a favore dello scalo e dell’elettrificazione delle banchine. Sul tema della salvaguardia dell’ambiente introdotto dalla direttiva europea, “faccia a faccia” il 15 aprile scorso organizzato dall’Ordine degli Ingegneri in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Comunicazioni dell’Università e con l’Associazione Italiana di Tecnica Navale (ATENA) Sezione Ligure-Piemontese. Sul palco alcuni protagonisti di assoluto primo piano moderati dal Presidente ATENA Liguria-Piemonte Prof. Podenzana Bonvino: rappresentanti del Registro Navale Norvegese DNV-GL, dell’Iplom di Busalla e del maggior gruppo amatoriale mondiale in ambito crocieristico Carnival, introdotti dall’ing. Felice Lombardo, responsabile per l’Ordine del settore “porti e mare”. «L’intera flotta mondiale - conferma subito Lombardo - dovrà adeguarsi alle nuove normative in campo ambientale e marittimo, e questo è l’ultimo settore - dopo quello terrestre ed aereo - ad essersi adeguato agli indirizzi della Cop 21 riguardo la lotta
L’ing. Felice Lombardo, Consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Genova
alle emissioni e al riscaldamento globale, perché con grandi difficoltà nell’individuazione delle regolamentazioni a livello mondiale. Le normative stabilite, infatti, hanno implicazioni notevoli: significa riconvertire tutta la flotta, e anche i porti dovranno adeguarsi. I combustibili dovranno essere compatibili con quelli definiti dall’IMO: contenuto di zolfo inferiore allo 0,5% al di fuori dell’area portuale, ma addirittura allo 0,1% in quella portuale. Si rischia ormai di correre per adeguarsi all’ultimo minuto». La prima incognita, visto che mancano ormai pochi mesi all’entrata in vigore del limite più stringente, è sicuramente cosa accadrà se gli armatori non si adegueranno. Risponde Giovanni Vallarino, rappresentante del Registro Navale Norvegese - a cui oggi sono iscritte circa 12.500 navi, pari al 20% della flotta circolante - country manager di DNV-GL, il più grande e importante ente di certificazione internazionale: «La normativa - spiega - è nota già da un po’ di tempo, così come la sua prevista entrata in vigore. Coinvolge pesantemente gli armatori dal punto di vista dei costi di adeguamento per soddisfarla, e influenza anche l’indotto industriale sia per la fornitura di fuel, il carburante tradizionale, sia per quella di carburante alternativo. Adeguarsi nei termini è possibile, ma affatto semplice. C’è una percentuale di navi che soddisferà la norma con specifiche modifiche, e un’altra parte, molto grande, che potrebbe essere in compliance se venisse reso disponibile il carburante. Le soluzioni tecniche e relative a quest’ultimo non erano chiare, e non lo sono di fatto neppure oggi. Non c’è una soluzione principale, è un discorso di investimento da parte de-
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gli armatori: per capire cosa succederà nel caso in cui una flotta non sia in regola, dovremo vedere come la norma verrà applicata dalle singole Nazioni aderenti al trattato». Le “specifiche modifiche” cui Vallarino fa riferimento fanno parte delle tre principali possibili alternative a disposizioni oggi degli armatori: l’adozione di scrubber, ovvero “filtri” che possono essere installati sulle singole navi per diminuire la percentuale di zolfo emessa nell’aria; l’installazione di nuovi motori alimentati da combustibili “puliti” (gas naturale liquefatto, metano, idrogeno o elettrico); oppure l’utilizzo di speciali carburanti prodotti proprio per diminuire le emissioni. Tra le vie percorribili, l’utilizzo dello scrubber (che comporta comunque costi e tempi per il refitting) per usare lo stesso combustibile che si sta utilizzando oggi, o l’uso di un carburante che le raffinerie si impegnano a fornire, dunque. Tra queste c’è anche la IPLOM di Busalla: «Noi già da tempo stiamo producendo combustibile a 0,1% di zolfo - spiega Valter Mantelli, che proprio della raffineria genovese è Technical manager - per cui è obbligatorio l’utilizzo in tutte le aree SECA in cui vige il limite di emissioni di zolfo. Noi già da tempo produciamo alcune centinaia di migliaia di ton-
Gli ingegneri Giovanni Vallarino e Davide Crovi del DNVGL norvegese
nellate l’anno di questo particolare tipo di combustibile, e ci siamo impegnati a fornirne 500 mila tonnellate. Sino ad ora, era un mercato di nicchia perché le zone erano circoscritte, ma adesso ci stiamo preparando per assicurare il rifornimento anche per il porto di Genova, perché si tratta di un prodotto eco-compatibile ed adattabile ai motori delle navi». La discriminante, ovviamente, è ancora una volta il prezzo: aumentando il costo di produzione aumenta anche quello d’acqui-
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Gli ingegneri Gianfranco Peiretti e Valter Mantelli, rappresentanti Iplom
sto, visto che per questa tipologia di combustibili la loro produzione necessita di grandi quantità di idrogeno e catalizzatori. A oggi il carburante ecologico costa circa una cinquantina di dollari in più alla tonnellata rispetto al tradizionale carburante, ma la grossa incognita economica riguarda la futura fornitura: ce ne sarà abbastanza per soddisfare la richiesta? «Noi - riflette Mantelli - siamo una piccola raffineria. Riusciremmo a fornire il 20/25% del fabbisogno del porto di Genova. Il mercato è comunque molto più alto: l’unica cosa certa è che è impossibile fare una previsione, sia sul prezzo sia sulla diffusione». La terza punta del triangolo è rappresentata dagli armatori: se il Registro navale si occuperà di supportare gli armatori sulle possibili scelte da assumere, e le raffinerie di fornire il carburante, alle Compagnie è affidato in primis il compito di fare una scelta, e adottare la soluzione che meglio concilia costi e risultati. «Partiamo dall’ultima opzione - è l’approccio dell’ing. Franco Porcellacchia, vice presidente di Carnival Corporation - cioè utilizzare carburanti più puliti, non derivanti dalla raffinazione diretta del petrolio. Il gas naturale liquefatto è un’opzione, ma difficilmente utilizzabile sulle navi esistenti. Occorrerebbe realizzare un particolare assetto della nave, con attenzioni anche alla sicurezza. Tale soluzione interverrà nella progettazione e realizzazione delle navi nuove che gli armatori decideranno di ordinare ai cantieri. Il beneficio si vedrà, ma in modo lento e graduale, nel futuro. Le altre due alternative sono il GNL, combustibile con tasso minimo di zolfo, o gli scrubbers: Carnival ha una flotta talmente grande che per forza di cose ci saranno tutte e tre le
SULPHUR CAP AL VIA DAL 2020 ARMATORI, SI CAMBIA LA ROTTA! opzioni». Un’ulteriore possibilità, meno quotata ma più efficace sul lungo termine, è quella di puntare sull’elettrico, come da proposta avanzata dall’Ordine degli Ingegneri di Genova. Carnival già utilizza navi alimentate anche a batterie, e le difficoltà di trasformare questo proposta in realtà per l’armatore sarebbero al momento ancora tante. «L’energia elettrica ricevuta da terra - dice infatti Porcellacchia - può essere utilizzata quando la nave è in porto, e non in navigazione: ci vorrebbero batterie enormi, non c’è ancora la tecnologia sufficiente per un’applicazione pratica su larga scala. Ciò che è possibile, invece, è che navi attrezzate possano ricevere energia da terra da banchine elettrificate e spegnere i motori utilizzandola quando sono in porto. La rete elettrica solitamente non è però in grado di far fronte al fabbisogno di una nave. Si può pensare a una generazione in loco, ma bisogna vedere anche come viene generata la stessa energia elettrica. Stiamo ragionando su impianti ibridi, in parte a carburante e in parte elettrici, ad esempio per la navigazione in Norvegia, nei fiordi, dove c’è richiesta di emissioni zero: se vogliamo portare i passeggeri là, dobbiamo adeguarci usando una nave che opera normalmente, ma che ha batterie ricaricabili in navigazione e che si attivano quando si entra nel fiordo. A quel punto si procede sino al porto di approdo, si ricaricano le batterie da terra, si esce dal fiordo e poi si riprende la navigazione con combustibile». Su quest’ultimo argomento, il 2 luglio successivo, l’Autorità di Sistema Portuale, ha imboccato definitivamente la strada dell’elettrificazione delle banchine lanciando in un convegno una proposta di sgravi per incentivare l’allacciamento alla rete elettrica presente a terra delle unità ancorate in porto, puntando sui vantaggi del cosiddetto cold ironing. Vantaggi illustrati agli operatori e soprattutto agli armatori con una dispensa a cura dell’ing. Davide Sciutto (ADSP) e del Prof. Ing. Paolo Pinceti (UniGE-DITEN) dal titolo “L’elettrificazione delle banchine dei porti del Mar Ligure Occidentale, normativa-esperienze-soluzioni tecniche”. Una circostanza accolta molto
favorevolmente dall’ing. Felice Lombardo che segue queste tematiche presso l’Ordine degli Ingegneri di Genova (v. A&B n. 12-2017), secondo il quale «Non si può che plaudire all’iniziativa che risponde pienamente al programma di Politica di Salvaguardia e tutela Ambientale imposta dalla Comunità Europea e recepita dal Governo Italiano. Ad avviso dell’Ordine degli Ingegneri però, resta da definire una strategia complessiva sull’intera area di competenza dell’AdSP (Genova e Vado) che consenta, anche attraverso una politica nazionale di sviluppo sostenibile delle realtà portuali, di
L’ing. Franco Porcellacchia, della Carnival Corporation
assicurare continuità alle agevolazioni tariffarie così come già in uso dal 2005 nei porti del Nord Europa. Resta poi il nodo cruciale di assicurare sempre e comunque la fornitura di energia elettrica attesi i carichi che a regime incideranno in maniera considerevole sull’intera rete elettrica del settore Nord Ovest Nazionale». I punti di rifornimento da banchina di energia elettrica riguarderanno il terminal Messina; Prà per i rimorchiatori; il terminal traghetti di Vado; il sistema delle riparazioni navali, già in servizio dal 2018 e costato 12 milioni di euro. Progetti e studi di fattibilità sono in corso per il Terminal Crociere della Stazione Marittima di Genova, la banchina della Piattaforma APM terminal di Vado Ligure mentre per il 2020 si dovrebbero concludere i lavori nella banchina PSA del Porto di Prà, con un investimento di 10 milioni di euro. (Fotoservizio Andrea Barsanti)
Mancato monitoraggio della CO2: sanzioni da 20.000 a 150 mila euro Gli armatori che non rispettano la norma europea sul controllo, la comunicazione e la verifica della CO2 generata dalle proprie navi in violazione al Regolamento (UE) 2015/757, sono passibili di ammende. Hanno dato parere favorevole - a circa un anno e mezzo, l’1 gennaio 2020, dall’entrata in vigore dalla nuova disciplina ambientale europea - le competenti commissioni parlamentari, aprendo così la strada per l’applicazione concreta della normativa per combattere la compromissione dell’aria e delle acque marittime a causa dell’uso di carburanti fortemente inquinanti. L’Italia doveva in verità aver già approvato il sistema sanzionatorio entro luglio del 2017, e per questo ha un corso una procedura d’infrazione per il mancato rispetto dei termini. Le norme entreranno in vigore dal momento della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del governo approvato dal Parlamento, e riguardano gli armatori e le società che da loro abbiano eventualmente assunto l’esercizio della nave. Grande imputata l’anidride carbonica emessa, ma è previsto un monitoraggio annuo che descriva quantità e fattore di emissione del carburante, di ogni tipo, consumato; le distanze totali percorse e il tempo trascorso in mare; l’efficienza energetica media, l’attività di trasporto complessivo ed altri dati relativi all’utilizzo della nave. Secondo le infrazioni commesse, le sanzioni, secondo il testo passato in Commissione, vanno da 20 mila a 150 mila euro.
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professione GENOVA - L’ULTIMA VISITA POSSIBILE DOPO LA CHIUSURA IN ATTESA DELLE DECISIONI SUL SUO DESTINO
Viaggio nella centrale Enel del Porto fra impianti storici e voglia di futuro Un’escursione guidata dai tecnici che spiegano la produzione in energia elettrica partendo dall’acqua purissima – portata allo stato di vapore surriscaldato nelle caldaie grazie al polverino di carbone - che alimenta le turbomacchine per la produzione ed immissione direttamente nella rete nazionale. Il ciclo produttivo spiegato ai visitatori dall’ultimo gruppo di dipendenti rimasto in attesa di chiudere il portone per l’ultima volta e consegnare le chiavi. Suggestivo l’ingresso in una caldaia dove si apprende il ciclo produttivo per la trasformazione dell’elettricità, partendo dall’acqua, dal vapore e dal calore fornito dalla combustione del polverino di carbone. I tecnici raccontano con parole semplici il funzionamento delle macchine e disegnano la storia di quella che arrivò ad essere per un breve periodo la più grande centrale d’Europa. La Prof. Arch. Sara De Maestri, dopo il vincolo ottenuto dalla Soprintendenza, appoggia il progetto degli Ingegneri di conversione dell’impianto per produrre energia pulita da utilizzare in porto e rilancia l’idea del Museo archeologico industriale: «Non si può distruggere un patrimonio come questo». Gianfranco Sansalone
Una piccola emozione la regala l’ingresso dentro la caldaia n. 9. Porta blindata tipo caveau, una grande camera circolare in basso e poi più stretta verso l’alto, completamente vuota, altissima (oltre 20 m), con pareti tubolari, un’impalcatura di tubi innocenti e tavole che consentono di camminarci dentro in sicurezza. Accanto all’ingresso, appena entrati, sulla sinistra tre foto storiche in bianco e nero, già viste sui libri, appese una accanto all’altra, dell’inaugurazione dell’impianto con il Re negli anni Venti; una cerimonia più o meno stesso periodo in pompa magna con presumibili dirigenti dello stabilimento giacca e cravatta, specialisti di laboratorio in camice bianco in fila sulla destra e qualcuno che parla su un palco laggiù in fondo alla sala da cerimonie ricavata fra le macchine. Roberto Venuti, responsabile della sicurezza, barba e caschetto rosso, concetti chiari e parole asciutte, spiega al gruppo con bambini al seguito che ascolta attento e fotografa tutto quello che può, cos’era quel locale della centrale termoelettrica e come funzionava. «Questa - dice - è una caldaia a tiraggio bilanciato. vuol dire che
Sala macchine - Gruppo turboalternatore GR. 3 e 4
ha un aspiratore a gas che aspira gas in fondo alla catena prima della ciminiera e un aspiratore aria, che aspira l’aria comburente, la miscela nei mulini insieme al carbone e la manda su questi angoli bruciatori posizionati in modo tangenziale lungo le pareti che si alzavano e Il complesso della centrale elettrica Enel abbassavano dall’efinitiva della centrale avvenuta nel 2017 sterno facendo muovere nello stesso senso seguita all’ultima fumata di quel sabato la palla di fuoco che si creava qui dentro». 13 agosto dell’anno precedente) nessuno È il pomeriggio di domenica 30 giugno, potrà mettere più piede qui dentro. ultima occasione per visitare la centrale Nell’inconfondibile struttura a scacchi elettrica a carbone del porto di Genova bianchi e rossi con il camino a strisce con grazie alle iniziative di “Zones Portuaigli stessi colori che si staglia nel porto di res - Festival Internazionale tra Città e Genova, sotto la Lanterna e il Terminal Porto”, progetto curato dall’Associazione Rinfuse, ben visibile da tutti gli affacci U-BOOT Lab e promosso da Incontri in Citpanoramici della città, gli impianti pur dità (DAFiSt - UniGE), partito da Marsiglia smessi rendono il ciclo produttivo integro, nel 2010, che si vigilato finora dall’ultimo risicato nucleo di propone di svemanutentori e tecnici che attende di chiulare e valorizzare dersi definitivamente il portone alle spalle l’identità portuaper non tornarci più. E il momento è venule delle città atto. Da fine 2020 la centrale tornerà al detraverso passegmanio sotto la potestà dell’Autorità del Sigiate, veleggiate, stema Portuale del Mar Ligure Occidentale visite guidate, che dovrà deciderne il destino in accordo azioni artistiche, con la Regione, sperabilmente all’interno convegni, mostre di un piano più ampio che riguardi l’enere vari momenti gia, la logistica, i destini di questa città di incontro, in spesso incredibilmente avanzata quanto collaborazione dannatamente masochista. Finora si è sencon associazioni tito di tutto: da chi vorrebbe radere la strute istituzioni locatura al suolo a chi vorrebbe farne un museo li. Dopo questa del cinema, da chi ha chiesto all’Enel la visita (che segue demolizione degli impianti e delle strutture la chiusura de-
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VIAGGIO NELLA CENTRALE ENEL DEL PORTO FRA IMPIANTI STORICI E VOGLIA DI FUTURO
gli ossidi di azoto (NOx - ndr), che sono inquinanti. Quindi tutto quello che veniva fatto qui dentro serviva a ottimizzare la combustione, lo scambio termico con le pareti e soprattutto a ridurre gli inquinanti. Ma potevamo agire solo sugli ossidi di azoto. Perché per l’SO2 (anidride solforosa - ndr), L’ingresso dell’ultimo gruppo di visitatori, in 30 giugno, nell’impianto dismesso derivato classico dal carbone, si potepiù antiche o danneggiate a chi sta lottanva lavorare solo sul quantitativo di zolfo che do per non disperdere il patrimonio imc’era all’interno del combustibile. Se io ho piantistico storico e vuole conservarlo per un combustibile con 0,6% di zolfo me lo farne un Museo Archeologico industriale. ritrovo totalmente all’uscita al camino, non Fino all’Ordine degli Ingegneri che ha ipoci posso fare niente. A meno che non usi tizzato una riconversione dell’impianto con un impianto di desolforizzazione: ma qui l’uso di fonti energetiche a minor impatnon c’era lo spazio necessario per instalto ambientale finalizzata alla produzione lare proprio niente per il trattamento dei di energia per il soddisfacimento delle fumi, per cui lavoravamo sul combustibile sempre più esigenti necessità energivore riducendo il quantitativo di zolfo massidell’area portuale ed in particolare per il rimo all’interno della tonnellata di carbone. fornimento da banchina alle navi in sosta. Poi la legge ci imponeva l’Autorizzazione Ciò in vista dell’entrata in vigore della diAmbientale Integrale, sostituita successirettiva europea che proprio dal 2020 prevamente dall’AUA, l’Autorizzazione Unica vede drastiche misure per ridurre l’inquiAmbientale), e potevamo lavorare con un namento delle navi nei porti ma anche in carbone al massimo di 011. Pensate che alto mare, con l’uso di carburanti rispettosi noi avevamo impianti nati per bruciare cardell’ambiente e/o altre soluzioni durante le bone con un PCI (potere calorifero inferiore soste negli scali, soprattutto quando questi - ndr) pari a 6000-6500 e siamo stati cosi trovano dentro le città, come in Liguria è stretti a passare a 011, usando un carbone la norma, e bisogna tenere i motori accesi molto giovane, quasi una via di mezzo con per fornire energia a bordo. la torba che ha un potere calorifero 4500«Una palla di fuoco - continua Venuti con 4600, per cui bruciando lo stesso quanle parole più semplici che trova per esprititativo di carbone siamo passati da 155 mere procedimenti complessi - che serviva a 136 megawatt. Ovviamente abbassando a riscaldare l’acqua che passava nei tubi gli inquinati SO2 al camino. Quel tipo di di questa camera di combustione». Pima carbone arrivava dall’Indonesia, uno dei di finire, secondo il processo di produzione pochi fornitori che non davano problemi di delle centrali a combustibili fossili, nella approvvigionamento» turbina dove un apposito procedimenSi ascolta affascinati, mentre i bambini to la trasformava in energia elettrica che giocano, e Venuti spiega che l’acqua usapoi veniva immessa nella rete nazionale ta nel processo di produzione dell’energia attraverso un alternatore. «Lassù in cima elettrica non poteva essere di mare perché - indica Venuti - vedete quei congegni: si avrebbe corroso i tubi, per cui veniva «prichiamano OFA (over fire air) e servivano ma osmotizzata, depurata, resa praticaper immettere aria fredda per abbassare mente distillata, resa purissima». E dalle tubazioni principali partivano dei tubi che passavano «dal laboratorio chimico, attrezzatissimo, al secondo piano, dove lavoravano decine di periti che spillavano il liquido con regolarità per analizzarne la puIl Responsabile della sicurezza Roberto Venuti nella Caldaia 9, e le tubazioni di parete
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La Professoressa Sara De Maestri
rezza». Mischiata nel gruppo della trentina di “esploratori” c’è anche una vera esperta, Sara De Maestri, architetto e docente del Dipartimento di Ingegneria Civile Chimica e Ambientale (DICCA) dell’Università di Genova. Si deve anche all’iniziativa sua e dei suoi colleghi della Scuola Politecnica (prof. ing. Pietro Giribone e Pietro Zunino, con la collaborazione dell’ing Giacomo Fui che hanno prodotto una ricerca tecnica specifica) e all’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI), che insieme a Italia Nostra hanno chiesto - il 30 settembre 2017 - dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio della Liguria e ottenuto ai sensi del D. Lgsl. n. 62 del 26 marzo 2008 e del Codice dei Beni Culturali, che la struttura venisse vincolata nel suo assetto architettonico e impiantistico e che il progetto di riuso ne preveda la conservazione con una destinazione d’uso compatibile e che tenga nella debita considerazione l’intero settore con particolare riguardo per le valenze storico-architettonico-paesaggistiche della Lanterna di Genova. «In sostanza - semplifica la prof. De Maestri - che è anche relatrice in un convegno del programma di “Zones Portuaires“ - vogliamo che una parte dell’impianto diventi Museo Archeologico e spero che gli enti
Tubazioni vapore principale - Valvole a forcella
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Quadro elettrico - QMM
pubblici competenti non ostacolino questo progetto; alcuni hanno fatto presente che la Centrale è in piena zona industriale operativa ed è vicina a depositi di carburanti, per cui questo renderebbe poco opportuna la circolazione di turisti e visitatori. Ma l’inconveniente si può risolvere trovando un accesso posteriore, passando dalla via della Lanterna». Favorevole De Maestri anche al
Sala macchine - Gruppo Turboalternatore GR. 6
progetto degli Ingegneri, che vedrebbe realizzabile in un’area dell’edificio destinata ad essere “ripulita”, dove attualmente ci sono due turbine, la sala manovre in mezzo, subito dopo due caldaie collegate alle turbine e poco distante un’altra caldaia del 1958, alta 45 metri, che consentirebbe di utilizzare più livelli.
VIAGGIO NELLA CENTRALE ENEL DEL PORTO FRA IMPIANTI STORICI E VOGLIA DI FUTURO Uno dei tecnici racconta la storia della Centrale ai visitatori. «Al 1927 - dice - risale l’installazione dei gruppi 1 e 2, da 25 megawatt; in mezzo c’era gruppettino che non aveva nessuna caratterizzazione, recuperava del vapore e produceva 3 megawatt da spurghi e scarti delle altre due turbine. Negli anni ‘29-’30, per un brevissimo periodo questa è stata la più grossa centrale d’Europa. Nel dopoguerra, col Piano Marshall, l’aiuto alla ricostruzione e alla ripartenza porta l’installazione dei gruppi 3 e 4, che arrivano dall’America, da 70 megawatt l’uno e per un periodo rimane un assetto impiantistico con due gruppi da 25, un gruppettino da 3 e due da 70 MW. Negli Anni ‘60, c’è sempre più richiesta di energia. I gruppi 1-2 e il gruppettino posizionato in mezzo che veniva chiamato gruppo 5 anche se non aveva sue caldaie, sono stati demoliti ed è stato realizzato il gruppo 6, che ha lavorato per 60 anni. Quando sono arrivato io negli anni ’90, l’assetto era gruppo 6 e gruppi 3 e 4, perennemente a tavoletta, perché il carbone era qualcosa di base, come il nucleare oggi, e una volta a accesi gli impianti era sconveniente spegnerli e poi riavviarli». «Oggi la centrale si lascia alle spalle commenta Felice Lombardo, responsabile del gruppo di lavoro Ingegneria navale
Condotti carbone - Alimentatore carbone al mulino 5/3
e portuale del Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Genova - una potenza complessiva di 300 MW e un patrimonio industriale che ha segnato la storia dell’energia in Italia e in Europa, ma potrebbe scrivere ancora pagine importanti se verranno fatte scelte che sapranno guardare all’economia portuale in modo compatibile con le esigenze ambientali, come peraltro l’ASP è obbligata a seguire attraverso il proprio PEAP (Piano Energetico Ambientale Portuale) previsto
Sala macchine - Pompe di circolazione H2O mare / Condensatore GR. 6
Sala manovre - Vista banco e GR. 3, banco elettrico, banco GR. 4
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dal D.lgs 169/2016. Indipendentemente dalle scelte che verranno fatte nella politica ambientale portuale con il varo del PEAP entro il 31/12/2019, si ritiene imprescindibile la considerazione circa l’opportunità di mantenere una autonoma unità di produzione di energia elettrica di tipo strategico per sopperire ad eventuali deficienze future sulla rete di distribuzione nazionale, destinando e finalizzando una buona percentuale della produzione per le esigenze di rifornimento di energia elettrica alle navi dalle banchine».. (Fotoservizio Aba News)
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professione SEMINARI FORMATIVI DELL’ORDINE CON L’ASSOCIAZIONE PREGIA
La valutazione immobiliare verso frontiere innovative Negli interventi di alcuni fra i più qualificati esperti del settore, le varie metodologie e le tecniche per stime oggettive, secondo approcci sperimentati e validi anche per quotazioni finanziarie complesse. La figura del valutatore e le organizzazioni che operano nel settore. L’ing. Felice Lombardo: «Il valore del bene non è fine a se stesso, ma in funzione di chi lo deve usare». Stefania Stefanoni
Red Book, Norme UNI, Standard di valutazione immobiliare, procedure di certificazione: presso la Sede dell’Ordine in piazza della Vittoria a Genova, l’8 novembre gli Ingegneri si sono addentrati nel mondo e nelle problematiche dei valutatori immobiliari, dipanato dall’abilità dialettica e tecnica di alcuni professionisti legati al settore, grazie all’organizzazione congiunta con l’associazione PREGIA, acronimo di Professionisti Economico Giuridici per gli Immobili Aziendali. Il segretario del sodalizio, Carlo Frittoli, dopo aver ricordato un precedente incontro sultema, ha dato la parola all’ Arch. Paolo Rosasco, dell’Università di Genova anticipando, attraverso esempi concreti, come «l’applicazione degli standard possa rivoluzionare determinate metodologie che in precedenza sono state usate in modo non altrettanto valido». In modo chiaro e pragmatico, Rosasco ha presentato dunque “l’applicazione della tecnica con DCFA in un caso di studio“. L’argomento è stato affrontato in modo rigoroso pur nell’esposizione semplice e lineare, con la premessa che «gli standard di valutazione immobiliare rappresentano una serie di regole uniformi e condivise a livello internazionale di natura metodologica e operativa, raccolte e presentate in maniera sistematica». Ma quali caratteristiche devono possedere? «Sono ripetibili a livello internazionale e hanno la massima oggettività, la stima ha inizio da dati reali di mercato ed è basata sul calcolo». E con quali metodi applicativi si conduce una valutazione? «Tre sono gli approcci utilizzabili: il primo è sicuramente quello di “mercato”; si raccolgono dati su immobili simili a quello che sto valutando per diverse caratteristiche e si costruisce un campione estimativo attraverso il comparaison approach; il secondo approccio è quello “reddituale”, che basa la valutazione dell’immobile sulla capacità di produrre un reddito. Il terzo, detto approccio del “costo”, lo utilizzo quando non ho immobili simili al mio in quan-
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tità tale da poter estrapolare un comparaison approach o non posso basare la previsione di valore sulla capacità di produrre un reddito». La breve panoramica sulle nozioni di standard e approcci ha portato alla definizione della DCFA: «La stima mediante Discount Cash Flow Analysis di un investimento immobiliare si conduce attraverso 8 fasi: descrizione dell’immobile, analisi delle consistenze, ipotesi base della valutazione, analisi dei ricavi potenziali, analisi dei costi a carico dell’acquirente, trend e tassi di riferimento da applicare a ricavi e costi per determinarne l’entità anno per anno, flussi di cassa (ricavi - costi) e, infine, stima del valore dell’immobile». Per approfondimenti, il segretario Frittoli ha rimandato «al sito www.pregia. org dove è possibile trovare una ricca libreria dedicata alle valutazioni finanziarie complesse, con ampi riferimenti ai tassi di attualizzazione e capitalizzazione». Ammonendo: «Ho visto valutazioni di capannoni industriali lievitare a valori esorbitanti: teniamo sempre conto che il valore di mercato calcolato deve riscontrarsi con valore di mercato reale». Lo sanno bene i membri del RICS, la prestigiosa “Royal Institution of Chartered surveyors” che compie 150 anni: «Conta 100.000 professionisti qualificati in tutto il mondo - ha informato Maurizio Negri, uno dei suoi membri e responsabile di PRAXI - con un trend positivo di crescita. L’elemento qualificante per la nostra Associazione è il controllo sull’operato attraverso la verifica in maniera approfondita della rispondenza alla realtà delle dichiarazioni di ciascun aderente, che sa di doversi adeguare sempre ai rigidi standard valutativi RICS contenuti nel Red Book, una sorta di “Bibbia” e di Linea Guida dell’organizzazione, in cui si impone l’adozione degli IVS (Standard valutativi Internazionali) al campo dell’applicazione immobiliare». Qual è la base della valutazione per il RICS? «Elemento fondamentale è la base di valore, che specifica la natura dell’ipotetica transazione e definisce le
caratteristiche, le motivazioni e le relazioni tra le parti coinvolte. Le basi di valore principali sono tre: Il valore di mercato, quello di investimento e l’equitable value». I libri e le raccolte di criteri valutativi sono molteplici: «Red Book, IVS, Blue Book (francese), UPS: da una comparazione tra questi standard fatta nel 2005 - ha detto l’Avvocato Antonio Campagnoli - è risultato che sono molto simili. Ciò che è importante sottolineare è che la valutazione immobiliare richiede una professionalità elevata. Sono socio PREGIA proprio perché ritengo importante le unioni di professioni diverse. Questi incontri devono essere dunque propulsivi alla fusione di aspetti economici, sociologici e architettonici: è una grande novità, e come tutte le novità, prima che si realizzi questa fusione attenderemo tanti anni, ma un punto resta fondamentale: continuate a dire ogni giorno “Io non so nulla”, nonostante abbiate studiato, e se riuscirete a dirlo sarà sempre un passo avanti». «Le competenze del valutatore - ha aggiunto dal canto suo il responsabile scientifico del Codice delle Valutazioni Immobiliari Giampiero Bambagioni - sono state esposte dalla norma UNI 11558 del 2014. Il valutatore deve avere conoscenze in ambito estimativo e di valutazione, con erudizione degli standard nazionali e internazionali di valutazione immobiliare. Deve essere ferrato inoltre su elementi di diritto pubblico e privato, matematica finanziaria, catasto, certificazione ambientale ed energetica, fiscalità immobiliare. Si delinea quindi una figura altamente professionale, che abbia seguito i corsi di formazione continua, poiché ha l’obbligo di aggiornare le sue competenze, e, ultimo elemento ma non meno importante, deve avere un codice di condotta e la sua attività deve essere esercitata nel rispetto delle leggi dello Stato». Un bagaglio di competenze notevoli, che gli Organi di certificazione devono testare sui professionisti da verificare. Ma chi esamina l’esaminatore? L’Inge-
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professione gner Riccardo Bisagno, Lead assessor di ACCDREDIA, ha affrontato proprio il tema dello “schema di certificazione dei valutatori immobiliari”: «ACCREDIA, nato dalla fusione di diversi enti di accreditamento, tra cui SINCERT, SIT, SILAB è un’associazione senza scopo di lucro, incaricata di pubblico servizio, che si occupa di esaminare gli organi di certificazione controllandone il corretto comportamento. È a sua volta controllata dal Ministero dello Sviluppo economico e dispone di tre dipartimenti, con sede a Torino, Milano e Roma. La filiera di certificazione italiana è la più credibile del mondo. Nelle banche dati sul nostro sito, c’è anche l’elenco dei soggetti in possesso di valutazione di conformità». I valutatori devono però fare i conti non solo con la conoscenza del mercato, ma con un grande problema: l’aumento del numero di immobili commerciali sfitti. E proprio su questo argomento di grande attualità, l’8 marzo scorso gli Ingegneri stessi avevano aderito ad una analoga un’iniziativa di PREGIA, col concorso di altri sei Ordini professionali, presso la sede della Camera penale genovese, a pochi passi dalle saracinesche abbassate della Rinascente, uno dei simboli della cri-
LA VALUTAZIONE IMMOBILIARE VERSO FRONTIERE INNOVATIVE
si delle grandi strutture commerciali. Riflettori puntati, in quella occasione, sui cambiamenti della valutazione degli immobili destinati appunto alle attività commerciali. Mentre fino a qualche anno fa infatti, ogni Ordine tracciava la propria strada senza sentire il bisogno di chieder pareri ai colleghi di un’altra categoria, oggi si sente fortemente l’esigenza di fare squadra, di interagire per trovare insieme spunti e soluzioni che aiutino a contrastare la crisi anche nel settore degli immobili aziendali. Gli Ingegneri, in quell’occasione, attraverso il loro rappresentante Felice Lombardo, consigliere dell’Ordine genovese, hanno posto l’accento su un punto: «Oggi il compito del valutatore di immobili commerciali è agevolato dall’adozione degli standard internazionali di valutazione e da strumenti come le banche dati a cui ci si rivolge per evitare le discrezionalità notevoli che si verificavano nel passato». Concetto su cui abbiamo chiesto un approfondimento. «In sostanza penso che l’approccio valutativo debba essere fatto attraverso strumenti generali, partendo dal principio estimativo: il valore del bene non è fine a se stesso, ma in funzione di chi lo deve usare».
Da dove si parte per stabilire il valore di mercato di un immobile aziendale? «Grazie all’adozione di standard extra-nazionali, sicuramente la stima di un immobile può essere ricondotta al valore di mercato secondo la sua definizione in ambito internazionale. Chi deve redigere stime può così seguire una linea precisa e condivisa, fornendo valutazioni periziali attendibili e verificabili». Quali sono le basi della stima di un immobile? «Sicuramente le linee guida promosse dall’ABI e sottoscritte anche dai sette Consigli Nazionali delle professioni tecniche, tra cui anche l’Ordine degli Ingegneri, che denotano un orientamento della moderna teoria estimativa verso l’applicazione dei metodi usati in ambito internazionale, ovvero il Metodo di confronto di mercato, quello finanziario e il metodo dei costi. È bene sottolineare che questa è una materia che coinvolge davvero tutti gli Ordini professionali, viste le innumerevoli discipline tecniche, scientifiche, giuridiche ed economiche chiamate in causa. Per questo è di fondamentale importanza il confronto continuo, ragionato e produttivo fra tutti i professionisti dei vari settori».
Le saracinesche abbassate della Rinascente di Genova (ph. Mimmo Giordano)
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professione IL COMPETENCE CENTER GENOVESE, UNO DEGLI 8 IN ITALIA, AVRÀ IN DOTAZIONE 11 MILIONI DI EURO
Start 4.0 progetta sicurezza e inventa anche “Port Lab” Il partenariato pubblico-privato con capofila CNR, con l’Università, l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) le due Autorità di sistema portuali della Liguria e 33 aziende allarga le collaborazioni per realizzare strumenti strategici, formativi e innovazione a favore delle imprese liguri. Una simulazione digitale, con la creazione di un “gemello” dello scalo genovese, per studiare logistica, criticità, sicurezza a 360 gradi. Un intreccio di competenze che rende il progetto genovese all’avanguardia
Roberto Marcialis
Ingegnere, Responsabile Esecutivo Progetto Start 4.0
La quarta rivoluzione industriale, che coincide con l’introduzione delle nuove tecnologie nei sistemi produttivi e con l’evoluzione nel campo
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delle macchine intelligenti, i big data e lo sviluppo delle infrastrutture, ci vede immersi in una sfida storica ed è in quest’ottica che nasce Start 4.0, uno degli 8 centri di competenza riconosciuti dal Ministero dello Sviluppo Economico nell’ambito del Piano nazionale Industria 4.0. La costituzione dei Competence Center rappresenta un lungimirante e solido progetto governativo sul quale l’attenzione, l’investimento e l’aspettativa pubblica è stata ed è tutt’ora alta. Con questi Poli si dà vita in Italia ad uno strumento strategico di supporto alle imprese per affrontare le sfide che la quarta rivoluzione industriale ha posto in essere. L’investimento in formazione e competenza - nel quale l’Italia sconta ancora un divario
con altri Stati europei - è alla base di questo indirizzo che vuole essere un supporto concreto nel rafforzare la competitività delle aziende interessate e del Sistema Paese in termini di innovazione e ricerca. I Competence Center si vengono a caratterizzare per essere progetti selezionati, con una guida di un polo universitario o di ricerca e un forte coinvolgimento di eccellenze e grandi player privati. La loro mission in sintesi è la formazione e awareness sul 4.0, in particolare per le Pmi, fornire Live demo su nuove tecnologie e accesso a best practice in ambito 4.0. A Genova Start 4.0, un partenariato pubblico-privato con capofila il CNR, è stato capace di valorizzare e raffor-
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professione zare le numerose collaborazioni già presenti sul territorio nei settori di riferimento. La partecipazione vede schierate 33 aziende, tra le quali 13 grandi aziende e 20 PMI, insieme all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e le due Autorità di sistema portuali della Liguria. La volontà è di allargare e rafforzare le collaborazioni, oltre alle molte già attive, come la rete nazionale della Camera di commercio (Unioncamere), il digital Innovation Hub gestito da Confindustria Liguria, il CNIT, il CINI. In questo contesto l’esigenza primaria è sviluppare collaborazioni diffuse tra tutti gli attori: la ricerca scientifica, le imprese, il sistema finanziario, i sistemi di governo dei territori, le istituzioni nazionale e internazionali, i portatori di interesse e di categoria, per continuare ad investire nell’innovazione e nella tecnologia delle aziende al fine di aumentarne in modo considerevole la competitività. Il 18 febbraio scorso, insieme alla Presidente Paola Girdinio, abbiamo presentato con la massima soddisfazione Start 4.0, il Competence Center genovese dedicato a Sicurezza e Ottimizzazione delle Infrastrutture Strategiche, con sede in Corso Perrone, all’ombra del Ponte Morandi,
START 4.0 PROGETTA SICUREZZA E INVENTA ANCHE “PORT LAB” nella sede del Consiglio Nazionale di Ricerche di Genova. L’11 aprile inoltre - tra i primi due Competence Center nazionali - abbiamo anche firmato il decreto di concessione del finanziamento da parte del Ministero dello sviluppo economico: un passaggio formale che rappresenta però un riconoscimento tangibile della bontà ed efficacia della nostra prospettiva progettuale che avrà in dotazione circa 11 milioni di euro, dei quali metà proprio provenienti dal finanziamento MISE. L’impegno sarà incentrato sul tema della sicurezza, intesa come cybersecurity (conservazione, protezione, e condivisione dei dati), safety (sicurezza del trasporto delle merci e delle infrastrutture) e security (relativa alla movimentazione di persone, in connessione con le infrastrutture); che declineremo (nel test-bed ideale della Liguria) in 5 domini applicativi: il porto; l’energia, i trasporti, il settore idrico, la produzione. Il progetto consentirà lo sviluppo di iniziative volte ad aumentare la competitività di specifiche catene di approvvigionamento industriale della massima importanza per l’economia regionale. Inoltre, il coinvolgimento di grandi società operanti su mercati internazionali consentiranno al Centro di avviare
iniziative e partenariati a livello nazionale e livelli europei fin dall’inizio. Tra i progetti più innovativi che verranno presentati - nonché vero elemento di distinzione con gli altri sette Competence Center - c’è infatti la realizzazione di una piattaforma per la simulazione di porto, logistica e i processi doganali basati sul paradigma Industry 4.0: il Port lab 4.0. Al quale tutta la struttura tiene molto, considerandolo il fiore all’occhiello della proposta di Start 4.0. Si tratta di “digital twin”, un “gemello digitale” del porto di Genova, sul quale poter sperimentare con big data, intelligenza artificiale e realtà aumentata, proprio le tematiche della sicurezza a 360 gradi. L’infrastruttura portuale, la più importante di Genova e con una fondamentale valenza nazionale ed europea, racchiude infatti al suo interno la security, dal punto di vista dei trasporti, la safety, per la presenza di lavoratori e passeggeri, e la cybersecurity che riguarda le informazioni che, sempre più spesso, viaggiano assieme alle merci. È il nostro impegno, in questa fase storica, per farci carico di criticità e portare un contributo concreto alla sicurezza e vivibilità del nostro Paese in un’ottica europea.
Sistema portuale, brevetti, ICT, logistica: la Liguria nel piano nazionale industria 4.0 Nella Sala Frixa dell’Ordine degli Ingegneri di Genova, il 14 maggio si è svolta la presentazione - da parte del Responsabile Esecutivo Ing. Roberto Marcialis - del Progetto Start 4.0, uno degli otto riconosciuti dal Ministero dello Sviluppo Economico nell’ambito del Piano Nazionale Industria 4.0, che ha per scopo svolgere attività di orientamento e formazione alle imprese e di supporto nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale per la realizzazione o il miglioramento di prodotti, processi o servizi tramite tecnologie avanzate in ambito Industria 4.0. I mezzi per raggiungere questi obiettivi sono la mappatura del livello di maturità digitale delle imprese, il finanziamento e lo sviluppo con contributi pubblici di progetti di ricerca e innovativi e la promozione di misure formative in collaborazione fra aziende e Università. La Liguria possiede caratteristiche e competenze importanti per l’innovazione: è infatti la prima regione per numero
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di brevetti pro capite nel campo ICT; inoltre ha il sistema portuale più importante d’Italia, per cui il primo “industrial team” a decollare sarà il “Port Lab 4.0”, un laboratorio che vedrà l’adozione di tecniche di security nella digitalizzazione della logistica portuale, nel tracciamento delle merci e nella gestione dei dati e la creazione di un modello virtuale (“digital twin”) dell’infrastruttura e di una piattaforma per la simulazione dei processi portuali, logistici e doganali secondo i paradigmi dell’Industria 4.0, iniziando dalla nuova piattaforma in costruzione nel porto di Vado Ligure. Il primo bando per il finanziamento progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale in tema di tecnologie abilitanti 4.0 da parte di Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMI) o grandi imprese in paternariato con le precedenti, nell’ambito di una dotazione totale di 1,6 milioni di euro, è stato già finanziato per un progetto di max 200 mila euro, con scadenza 31 gennaio 2020. Matteo Gentile
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professione LA RIVOLUZIONE DIGITALE - UNO SGUARDO VERSO L’EVOLUZIONE DEL MONDO IOT
L’internet delle cose cresce mentre la tecnologia vola L’uso di internet per l’utilizzo di dispositivi, apparecchiature, impianti, materiali, prodotti, opere, beni servizi e molto altro, ha favorito un balzo nella ricerca e nella creazione di soluzioni e applicazioni in campo sia civile che industriale, sfruttando la velocità di trasmissione del 5G, che fa intravvedere un futuro pieno di sorprese. Vediamo qui di seguito la testimonianza di ingegneri, specialisti e dirigenti che raccontano come sta cambiando ancora il “business model” e i vantaggi dell’integrazione uomo-macchina. Matteo Gentile
Consigliere Ordine Ingegneri Genova Delegato “Information and Communication Technology” L’Internet delle cose (o degli oggetti) è una delle evoluzioni dell’uso della Rete internet: gli oggetti (le “cose”) sono in grado di rendersi riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi (il proprio stato, misure rilevate, ecc.) ad una infrastruttura in grado di archiviare ed analizzare queste informazioni, aggregarle o unirle ad altri dati provenienti da dispositivi diversi. Per “cosa” o “oggetto” si può intendere ad esempio dispositivi, apparecchiature, impianti civili o industriali e sistemi, materia-
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li e prodotti, opere e beni, macchine e attrezzature, vestiti, e così via. Questi oggetti connessi che sono alla base dell’Internet delle cose si definiscono più propriamente smart objects (oggetti intelligenti) e si contraddistinguono per alcune proprietà o funzionalità. Le più importanti sono identificazione, connessione, localizzazione, misura, capacità di elaborare dati e capacità di interagire con l’ambiente esterno. Lo scopo è raccogliere dati in tempo reale al fine di ottimizzare i processi aziendali, i servizi erogati, effettuare monitoraggi, ecc. Proprio su questi temi il 26 giugno, nella sede dell’Ordine degli Ingegneri di Genova, si è tenuto un interessante evento organizzato in collaborazione con il CTI Liguria (il Club per Tecnologie dell’Informazione, una libera associazione che aderisce a FI-
sicomtesting.com
DAInform, la Federazione Nazionale delle Associazioni Professionali di Information Management) e l’AICA (Associazione Italiana per l’informatica e il Calcolo Automatico) dal titolo “IoT tecnologia abilitante della trasformazione digitale”. I campi di applicabilità sono molteplici: dalle applicazioni industriali (processi produttivi), alla logistica e all’infomobilità, fino all’efficienza energetica, all’assistenza remota e alla tutela ambientale. L’idea dell’IoT è nata nel 1999 da Kevin Ashton e si pensava che si sarebbe potuto parlare di questa tecnologia realmente quando il numero di oggetti connessi avrebbe superato la popolazione mondiale, fatto avvenuto nel 2008: oggi siamo circa al doppio. Le stime fatte qualche anno fa dicevano che si sarebbero raggiunti nel 2020 circa 26 miliardi di oggetti connessi a livello globale, ma probabilmente ci vorrà qualche anno in più. L’integrazione con internet implica l’utilizzo di indirizzi IP univoci; IPv4 permette di avere 4,3 miliardi di indirizzi univoci, ecco perché si sta passando allo standard IPv6, che permette di raggiungere 2128 indirizzi. L’innovazione dovuta a questo nuovo paradigma dell’IoT sta portando ad una trasformazione digitale che richiede l’adozione di tecnologie che consentano la connessione del maggior numero di “oggetti” e dispositivi possibili. Durante l’evento, il prof. Adorni, presidente di AICA, ha presentato una panoramica teorica del mondo alla base dell’IoT e ha ricordato che si è da poco concluso a Genova il primo master su IoT e Big Data, i cui partecipanti sono ora impegnati negli stage aziendali. Come IoT introduce all’Industria 5.0 Per quanto riguarda l’impiego a livello industriale dell’IoT, Andrea Gozzi, Managing Director di MindSphere World Italia, ha raccontato come l’ecosistema di MindSphere creato da Siemens sia in grado di eseguire applicazioni industriali (MindApp) e servizi digitali per il monitoraggio e l’analisi dei dati provenienti da impianti industriali, utilizzando una piattaforma PaaS (Platform as a Service) aperta in gra-
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professione
L’INTERNET DELLE COSE CRESCE MENTRE LA TECNOLOGIA VOLA
swzo.it
do di interfacciarsi con i dispositivi IoT e raccoglierne i dati per analizzarli attraverso una connessione sicura, mostrando alcune possibili applicazioni di diverso livello di complessità. Riccardo Melioli di Deloitte ha illustrato come le tecnologie IoT e Big Data debbano essere viste come abilitatori al cambiamento di Business model, in quanto dopo la rivoluzione di Industria 4.0 che ha visto i sistemi fisici diventare strettamente connessi con i sistemi informatici si arriverà a una Industria 5.0, con un nuovo modello di integrazione uomo-macchina verso una collaborative industry in cui c’è la piena integrazione tra uomo e tecnologia. Il cambiamento del business model si scontra spesso con la resistenza culturale al cambiamento da parte del management aziendale, che spesso ha difficoltà a seguire o cercare di anticipare le continue innovazioni tecnologiche. La nuova frontiera dell’automazione che vede la gestione delle informazioni all’interno del processo produttivo è arrivata. Siamo di fronte infatti ad un importante cambiamento nel modo di gestire macchine e impianti, ma non è cambiato l’obiettivo: la performance.
Il monitoraggio delle performances di impianto secondo il concetto di “Automazione 5.0”, che vede la gestione delle informazioni dall’uomo, attraverso l’IoT, l’intelligenza artificiale fino ai robot e viceversa, è stato al centro dell’intervento “IoT nella pratica della servitization” di Dimitri Bologna e Renato Bocchi di Dedagroup che hanno presentato una applicazione pratica di questi concetti al fine del calcolo dell’OEE (Overall Equipment Effectiveness, indici di performance) di impianto produttivo. Le applicazioni IoT e le applicazioni 5G “La Connettività 5G e le applicazioni IoT” è stato il titolo dell’intervento di Simone Bertucci dell’Innovation Garage di Ericsson, che ha illustrato una delle più grandi difficoltà che dovrà affrontare la rete 5G per supportare l’IoT: nella nuova generazione di reti non ci sarà più lo sbilanciamento attuale tra quantità di banda disponibile in download e upload come accade oggi con la rete 4G, prevalentemente pensata per la navigazione e la fruizione di contenuti multimediali, ma sarà disponibile una maggiore banda anche in upload e i
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tempi di latenza di rete diminuiranno fino a 1 msec. La rete 5G, che sarà capillarmente distribuita, sarà la tecnologia determinante e abilitante non solo per l’IoT, ma anche per la diffusione di tutte quelle tecnologie come blockchain, agrifood, pagamenti digitali, controllo a distanza, monitoraggi, big data e intelligenza artificiale che sono basate sulla raccolta e scambio di dati e sarà una delle due gambe, insieme al cloud, che serviranno per camminare sulla strada della digital transformation. Riguardo al tema dell’osservazione e dell’analisi predittiva, Alessandro Delucchi e Matteo Colli di Artys hanno presentato una soluzione IoT innovativa per il monitoraggio in tempo reale delle piogge e la gestione del rischio idrogeologico. Un approccio cooperativo e innovativo tra le realtà del comparto industriale e l’ecosistema Telco è essenziale, in termini di progetti pilota e piattaforme aperte di sperimentazione, per creare un contesto di business vincente, con servizi e modelli operativi che accelereranno l’adozione del 5G, e gli ingegneri possono giocare un ruolo fondamentale in questo contesto. In primo piano gli ingegneri dell’informazione “La potenza è nulla senza sicurezza”: le nuove possibilità offerte dall’IoT e la velocità di trasmissione che offrirà la rete 5G aprono i dispositivi alla rete e, in mancanza di una adeguata gestione, gli impatti possono diventare enormi (si pensi ad esempio alla guida autonoma dei veicoli, e allo studio secondo cui basterebbero trentaseimila veicoli autonomi “infiltrati” e comandati da un hacker per bloccare ogni forma di mobilità su strada a Manhattan). Gestire dispositivi IoT senza pensare alla sicurezza è come comprare e montare delle porte senza le serrature. È proprio per questo che ancora una volta le competenze degli Ingegneri dell’Informazione devono emergere in maniera determinante.
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qui ordine “
TRADIZIONALE CERIMONIA DI PREMIAZIONE ALL’ORDINE CON GLI ISCRITTI ALL’ALBO DA 50 E 60 ANNI
SENATORI E GRANDI SENATORI UNA VITA PER L’INGEGNERIA La forza del passato per guardare al futuro. Un legame forte tra generazioni anche lontane, un passaggio di testimone che non conosce rallentamenti o intoppi, avendo come punto di riferimento, sempre e comunque, il talento, la competenza e l’etica del lavoro. È con questo spirito che il 18 dicembre, nella sede di Piazza della Vittoria, gli Ingegneri genovesi hanno festeggiato i Senatori ed i Grandi Senatori, ovvero i colleghi al traguardo di 50 e 60 anni di iscrizione all’Ordine. Una giornata non solo legata alle celebrazioni ma che ha costituito – così come negli anni scorsi – un momento di riflessione sullo “stato di salute” dell’universo ingegneristico, in tutte le sue sfaccettature. Il Presidente Michelini e il Segretario Enrico Sterpi hanno condotto la cerimonia, con stimoli e riflessioni, sui temi più attuali, senza far mancare un invito a governo e P.A. affinché si ponga fine alla “cultura” nefasta che ingabbia le idee costringendo i professionisti a non sviluppare iniziative per la giustificata preoccupazione di essere sanzionati per il mancato rispetto, alla virgola, delle norme. «Noi - ha detto il Presidente - come sempre abbiamo fatto in questi anni, siamo disponibili a collaborare con le istituzioni per scrivere bene le norme sin dall’inizio anziché dover ricorrere ai ripari dopo, da qui il nostro coinvolgimento attivo nei tavoli di lavoro comunali e regionali. Negli
anni in cui è nato il nostro Ordine, e per molto tempo a seguire, non vi era l’omologazione che vi è oggi, si applicavano la fisica e la matematica per risolvere i problemi, insomma, si praticava l’ingegneria. Oggi è invece prioritaria la ricerca di una norma che ci dica come operare, che ci “copra le spalle“. Si tende ad evitare le scelte discrezionali basate sull’esperienza o lo sviluppo di nuove idee, per la paura di essere giudicati colpevoli per non aver rispettato alla lettera una tra le migliaia di disposizioni disseminate qua e là nel nostro ordinamento. Sarebbe bello poter uscire da questa “gabbia normativa“ e tornare ai tempi in cui era possibile liberare il proprio talento». In piena sintonia Donatella Mascia, presidente dell’Ordine dal 1993 al 1999, prima donna in Italia ad assumere un ruolo così importante: «Così come sono ora, le gare di assegnazione dei lavori costituiscono un impoverimento per la nostra categoria. Non è operando in questo modo che viene dato il giusto riconoscimento a chi ha grandi qualità». Dal canto suo, Francesco Boero, che è stato invece presidente dal 2009 al 2013, ha ricordato come bisogna guardare sempre all’insieme del «mondo ingegneristico, che non è solo la libera professione, ma è molto più articolato». Presente, fra gli altri, anche il nuovo preside della Scuola Politecnica dell’Università, Giorgio Roth, il quale ha sottolineato i
livelli sempre più alti, a livello nazionale ma non solo, che sta raggiungendo la struttura ingegneristica genovese da lui guidata. Quindi si è passati alla consegna dei riconoscimenti ai Senatori (50 anni di iscrizione all’Albo) e ai Grandi Senatori (60 anni), premiati con medaglie, diplomi, targhe d’argento e una copia del libro sui 70 anni di “A&B - Atti e Bollettino”, la rivista dell’Ordine - V. servizio a pag. 4). Alcuni di essi non hanno potuto essere fisicamente presenti e sono stati rappresentati da familiari o amici (nel caso Enrico Bruno Brizzolara, la figlia Maria Cristina è giunta appositamente dagli Stati Uniti per ritirare il riconoscimento). Il titolo di Senatore quest’anno è andato agli ingegneri: Alberto Bagnasco, Paolo Enrico Bozano, Enrico Bruno Brizzolara, Giovanna Ferrari, Francesco Francaviglia, Giorgio Maria Lasagna, Gottardo Lavarello, Giovanni Battista Medico e Giorgio Minetti. Quello di Grande Senatore a Fernando Carretta, Giuseppe Galliani, Pier Giorgio Giordano, Giancarlo Messori, Pasquale Giuseppe Picollo e Sandro Stura. A ognuno di essi l’occasione di ricordare episodi, esperienze, vita vissuta in un intreccio di umanità e professione in cui l’ingegneria è sempre stata in primo piano, motivo di viaggi per il mondo, studio continuo, soddisfazione, orgoglio, e, spesso, nostalgia. M. Mar.
Nella foto di Paola Leoni, premiati in posa con il presidente Michelini (il primo a destra) e i Past President Donatella Mascia (al centro) e Francesco Boero (il primo a sinistra)
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qui ordine IL BILANCIO CONSUNTIVO AL 31 DICEMBRE 2018 SI È CHIUSO CON ENTRATE PER UN TOTALE DI OLTRE 792.300 €
L’acquisto di una nuova sede nel futuro dell’Ordine degli Ingegneri Formazione, investimenti di ammodernamento delle macchine, restyling informatico, futura integrazione dell’organico: il processo di crescita va avanti fino al nuovo obiettivo, permesso dal buono stato di salute dello strumento finanziario. L’importanza del recupero delle morosità pregresse, che possono consentire ancora dei margini. Stefania Stefanoni Tempo di bilanci: a maggio il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Genova ha approvato all’unanimità il bilancio economico, che poi è stato sottoposto al voto nell’adunanza generale di fine mese. Al tesoriere Deborah Savio il compito di commentarne la presentazione con un esordio positivo: «Il bilancio è solido: nel 2018 sono stati recuperati circa 155.000 euro di tasse arretrate». Come avete chiuso quest’anno, che cosa hanno messo in evidenza i conti ? Crescita, diminuzione, stasi? «Il bilancio mette in evidenzia sicuramente un consolidamento; non possiamo crescere, dobbiamo sempre chiudere in pari. Sono aumenta-
te le attività legate alla formazione, abbiamo ammodernato le macchine dell’ufficio, Pc, server, ecc.; stiamo procedendo alla digitalizzazione dell’Ordine e ad adeguarci ai nuovi adempimenti che ci coinvolgono. Inoltre, stiamo procedendo ad una revisione sistematica degli elenchi tipologici esistenti e ne stiamo introducendo di nuovi». Quali sono stati gli investimenti più significativi? «Ad esempio abbiamo messo a calendario circa 150 eventi tra corsi e seminari, ma questi non rientrano tra gli "investimenti", dal momento che si autosostengono con i diritti di segreteria e sono finalizzati solo alla copertura delle spese. Piuttosto, analizzando la voce di bilancio relativa alla locazione e la situazione
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attuale di mercato, abbiamo scoperto che, con quello che spendiamo di affitto, contraendo un mutuo possiamo acquistare un immobile nostro per la sede realizzando dei risparmi». Avete già individuato dove andare? «No, siamo in fase di ricerca, ma abbiamo le idee chiare su come vogliamo che sia: abbiamo bisogno di una base con due sale conferenze, oltre a uffici, sala riunione e altri servizi; dovrebbe trovarsi preferibilmente a piano terra, in una zona ben servita… se poi ci fosse anche possibilità di parcheggio sarebbe perfetta». Oltre a questo, su quali altri obiettivi vi state concentrando? «Puntiamo ad ampliare ulteriormente l’offerta formativa: proprio a questo scopo nel 2019 abbiamo ammodernato la sala “Frixa”, dove teniamo incontri e corsi di formazione, con una dotazione multimediale». Il restyling informatico della sala ha avuto già il suo battesimo… «Abbiamo realizzato un primo evento in videoconferenza con altri 11 Ordini collegati: una nuova, grande opportunità per implementare la formazione». Sembra che che il bilancio delle attività dell’Ordine sia positivo; c’è un margine di miglioramento? «Puntiamo a recuperare ancora buona parte delle morosità pregresse, stiamo approntando la procedura per assumere una nuova risorsa per la segreteria; vorremmo poi ritornare a quattro dipendenti: così era infatti in origine la pianta organica dell’Ordine, ridotta nel tempo per pensionamenti e dimissioni e non ripristinata».
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qui ordine RICORDO - UNA LUNGA CARRIERA SEGNATA DA SUCCESSI COME DOCENTE E PROFESSIONISTA
L’eredità di Giorgio Berardi fra i Grandi dell’Ingegneria Docente di Meccanica dei terreni e Tecnica delle fondazioni e Ingegneria civile, si era laureato nel 1954 dedicandosi con passione alla Geotecnica creando una biblioteca specializzata e un laboratorio di meccanica delle terre. Moltissime le sue relazioni tecniche congressuali, i suoi volumi e le sue realizzazioni, fra le quali gli scavi sotto il grattacielo Piacentini, che era definito “Terrazza Martini”; le fondazioni del ponte sul Tevere; le gallerie e le fondazioni dei viadotti sull’autostrada dei Fiori; la costruzione della sede dell’Alfa Romeo di Arese e moltissime altri interventi. Molte le sue specializzazioni e incrollabile il suo mito di disponibilità verso i colleghi, con un carattere concretamente genovese. Renato Lancellotta*
Il 25 marzo 2019 ci ha lasciati Giorgio Berardi, docente di Meccanica dei Terreni e Tecnica delle Fondazioni all’Università di Genova e Ingegnere Civile. Il distacco tra ricerca geotecnica e pratica professionale, più volte dibattuto nelle pagine di molte riviste scientifiche da autorevoli colleghi, e la constatazione che oggi è sempre meno frequente imbattersi in contributi di ingegneri professionisti con dati interessanti su lavori eseguiti o in memorie di ricercatori su argomenti e problemi di interesse applicativo, ne accentuano ancora di più la scomparsa. Giorgio Berardi lascia infatti ampia e profonda traccia di un’attività professionale che lo ha visto sempre disponibile, sempre pronto a mettere al servizio delle istituzioni e dei colleghi la sua grande esperienza e la sua capacità di trovare soluzioni improntate al rigore, ma dettate anche da tanto buon senso, a problemi di notevole complessità e che ne hanno ispirato anche i lavori di ricerca. Ne è una prima testimonianza la relazione presentata al IX Convegno Italiano di Geotecnica tenutosi a Genova nel 1968, che aveva come tema “la geotecnica delle rocce lapidee e il comportamento delle opere nei riguardi geotecnici”. Ancora oggi, la sua relazione “sui problemi geotecnici della città di Genova con particolare riguardo alle pareti rocciose” rimane un lucido riferimento per chi voglia comprendere la complessità geologica e morfologica, la varietà di litotipi e la marcata diversità tra zona di levante (caratterizzata quasi totalmente dalla formazione di calcari marnosi) e zona di ponente (caratterizzata invece dalla presenza di calcescisti, gabbri, serpentine, pietre verdi, ossia rocce eruttive e metamorfiche con modesti affioramenti di rocce sedimentarie), per l’attenta e ricca disamina (anche nel loro sviluppo storico) delle tipologie di sostegno delle terrazze sovrapposte che caratterizzano il tessuto urbano della città, per i continui e forti richiami sulle cause di dissesti verificatisi nel corso di diversi interventi, spesso
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prodotti da una mal riposta fiducia nelle potenzialità tecnologiche dei mezzi di scavo. È ben noto come, a partire dal dopoguerra, nell’Ingegneria Geotecnica si sia avuta una significativa estensione dei temi affrontati, con progressi nella sperimentazione in sito e in laboratorio, nelle modalità di analisi dei problemi e di progetto delle opere d’ingegneria, evoluzione dei mezzi di calcolo, introduzione della modellazione numerica, monitoraggio dei lavori. Al X Congresso nazionale tenutosi a Bari nel 1970, dedicato ai due temi: “Miglioramento delle caratteristiche dei terreni” e “Applicazione dei moderni procedimenti e mezzi di calcolo alla risoluzione dei problemi geotecnici”, Berardi era stato invitato a tenere la relazione generale sul secondo tema, e accanto a una disamina completa dei mezzi di calcolo ormai disponibili, arricchita da un’ampia e circostanziata bibliografia su esempi di applicazione, puntualmente metteva in luce quanta attenzione occorresse ancora prestare al reale comportamento dei terreni, attenzione che gli proveniva dalla già menzionata esperienza su tanti casi reali. Volendo ricordare un altro dei temi cari a Giorgio Berardi, sempre ripercorrendo la sua presenza agli appuntamenti della nostra comunità, vanno richiamate la memoria sul comportamento del palo di fondazione in terreno incoerente (pubblicata negli Atti dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Pisa, nel 1961) e quella presentata al convegno di Milano del 1973, nelle quali si evidenziava la necessità di affrontare l’interazione tra palo e terreno e, conseguentemente, la dipendenza dell’attrito laterale dallo scorrimento relativo e dall’incremento delle tensioni prodotte dal palo stesso. Lavori che, per gli spunti di originalità in essi contenuti, avevano richiamato l’attenzione di studiosi di fama internazionale quali Poulos e Kézdi e dato vita a interessanti scambi di corrispondenza. Si tratta di un tema, quello delle fondazioni profonde, ripreso successivamente in varie occasioni
Il prof. Giorgio Berardi in occasione della cerimonia per i 60 anni di iscrizione all’Ordine degli Ingegneri di Genova (2015) con l’allora Presidente Roberto Orvieto. Ci ha lasciato il 25 marzo a 91 anni
anche con riferimento ai reticoli di micropali e, a tale proposito, va segnalato come le prime applicazioni si ritrovino proprio in interventi di stabilizzazione di coltri in frana nell’area genovese e come Giorgio Berardi abbia dato in diverse pubblicazioni scientifiche significativi contributi sui criteri di dimensionamento di tali opere. Nella sua ricca attività occupano poi un posto importante le ricerche teoriche e sperimentali sugli ancoraggi in roccia, a partire da quelle pubblicate nel 1960 sulla rivista Geotecnica (con questo nome era nata nel 1954 la Rivista Italiana di Geotecnica). Si tratta di lavori intesi a comprendere i meccanismi di trasferimento del carico alla roccia, la distribuzione della tensione di connessione lungo la fondazione dell’ancoraggio e la sua evoluzione al crescere del carico applicato; lavori per molti aspetti pioneristici e proprio per questo citati da T.H. Hanna nel suo volume “Foundation in Tension. Ground Anchors” (McGraw-Hill, 1982). Attività di ricerca, questa sugli ancoraggi, che continuerà negli anni successivi, come documentato dai lavori pubblicati nel ‘67 e nel ’72, e che sarà riconosciuta a livello internazionale con la partecipazione al
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qui ordine
L’EREDITÀ DI GIORGIO BERARDI FRA I GRANDI DELL’INGEGNERIA
di approccio top-down) al disotto del “Grattacielo di Genova” (la Torre Piacentini, all’epoca chiamata Terrazza Martini, progettata dall’arch. Piacentini e per molti anni l’edificio in c.a. più alto in Europa) per la realizzazione della complessa galleria urbana in marne plioceniche che collega la Sopraelevata alla zona Piccapietra (1972); le fondazioni del ponte sul Tevere a Monterotondo (1987-1989), le gallerie e le fondazioni a pozzo dei viadotti dell’Autostrada dei Fiori (degli anni 196667) e lo svincolo autostradale di Spotorno; e poi ancora la sede dell’Alfa Romeo a Arese del 1961-62, l’autosilo di Chiavari (1963-64); il pronto soccorso dell’ospedale S. Martino di Genova del 1961, i numerosi parcheggi interrati in zona urbana a Genova, tra i quali quello nella piana alluvionale del Torrente Bisagno (Piazza della Vittoria, 1992), per concludere con il complesso consolidamento di falesie rocciose a Rapallo (ultimo lavoro professionale del 2014). Giorgio Berardi era nato a Genova il 23 luglio 1928 e si era laureato in Ingegneria Civile nel 1954. Aveva iniziato subito la sua attività accademica, svolgendo dal ‘55 al ‘61 le esercitazioni di Scienza delle Costruzioni sotto la guida del prof. Riccardo Baldacci e dal ‘60 al ‘62 anche quelle di Tecnica delle Costruzioni. L’interesse per la Geotecnica nasceva negli stessi anni, perché nel 1958 Berardi aveva realizzato (con i fondi dell’Istituto di Ponti) il laboratorio sperimentale di meccanica delle terre, acquistando le attrezzature negli Stati Uniti e adoperandosi per creare una biblioteca di Geotecnica. Nell’anno accademico 1959-‘60 aveva tenuto un corso libero di Meccanica dei Terreni e negli anni successivi era stato incaricato di svolgere il corso di Meccanica dei Terreni e Tecnica d e l l e Fondazioni. Nel 1962 a v e v a conseguito la libera docenza in Scienza d e l l e Costruzioni, insieme con Elio Giangreco, e nel 1967 aveva vinto il concorso da Ordinario di Geotecnica, insieme a Pietro Colombo e Ruggiero Jappelli. Foto del prof. Giorgio Berardi con gli allievi del corso durante una visita in cantiere
gruppo di lavoro “Rock Anchor Testing”. Ma gli interessi di Giorgio Berardi, anche se prevalentemente rivolti a aspetti applicativi, hanno toccato anche ricerche di base, come testimonia la memoria pubblicata nel 1961 con l’ing. M. Torrigiani sulla “consolidazione dei terreni in presenza di variazioni termiche”, negli Atti dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Genova, o la memoria sulla reazione indotta in un semispazio elastico da un cilindro in esso connesso e sollecitato assialmente (1959) e quella sul comportamento del palo di fondazione in terreno soggetto a consolidazione (1960), per citarne alcune. L’elenco dei lavori professionali svolti è troppo lungo per essere riportato con un minimo di completezza in questo breve ricordo, anche se ci si volesse soffermare solo sui progetti che si trovano nell’album dell’attività professionale, che faceva parte della documentazione che i candidati ai concorsi universitari erano obbligati a presentare (un aspetto questo da mettere in rilievo, visti i tempi che corrono, giacché in tal modo si sottolineava «l’importanza che nell’insegnamento e nella ricerca applicata assume l’esperienza vissuta nel campo concreto dell’Ingegneria», volendo qui usare le parole del prof. Riccardo Baldacci). Non è possibile però non segnalare, come prima accennato, che i problemi affrontati da Berardi esulavano dalla routine, per la complessità delle formazioni coinvolte, le condizioni al contorno difficili da gestire, la necessità di coniugare “mestiere” e “scienza del costruire”. Tornano così alla mente i complessi lavori di consolidamento della parete rocciosa in via Dino Col del 1966; gli scavi (forse tra i primi esempi
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Per le sue riconosciute competenze, era stato chiamato a far parte della Commissione istituita nel 1982 per i lavori di consolidamento della Torre di Pisa, assieme a Leo Finzi (presidente), Raffaello Bartelletti, Luciano Caroti, Michele Jamiolkowsi, Carlo Lodovico Ragghianti e Luca Sampaolesi. Chi ha avuto la fortuna di averlo come docente, nei vari corsi (Stabilità dei pendii, Meccanica delle rocce, Costruzioni in sotterraneo, Geotecnica nella difesa del territorio oltre al già menzionato corso di base di Meccanica dei Terreni e Tecnica delle Fondazioni) ne ricorda la chiarezza espositiva, la ricchezza di concetti trasmessi, l’attenzione che non voleva mai tradire l’aspettativa degli allievi che aspirano a diventare ingegneri. Se ne trova un lucido riflesso anche nel capitolo 45.2, dedicato alla Ingegneria delle Fondazioni, che Giorgio Berardi accettò di redigere nel 1972 per l’Enciclopedia dell’Ingegneria (ISEDI, Milano) e che rimane ancora oggi un sicuro riferimento, anche per alcuni temi non affrontati in altri testi di fondazioni (quali ad esempio le fondazioni a pozzo e gli ancoraggi). Mi sia ora concesso chiudere questo breve ricordo con una nota personale. Coloro che hanno conosciuto il prof. Berardi, amici e colleghi, sovente lo ricordano come un “borbottone”, “un carattere difficile”, che traducendo significa che era un genovese, schivo e riservato, ed era una persona non incline a compromessi, mai disposto a dire mezze verità per compiacere l’interlocutore. Ma proprio per questo una persona affidabile, un amico vero. Pochi giorni prima della sua scomparsa avevo avuto l’ennesima occasione di sentirlo, questa volta volevo parlare della laurea che suo nipote Lorenzo avrebbe discusso di lì a poco sotto la guida del prof. Giovanni Solari, e anche in quella circostanza, salutandomi affettuosamente, Giorgio non aveva voluto nascondermi la verità. Quasi un segno di continuità, la discussione della tesi di Lorenzo è avvenuta nello stesso giorno nel quale sono stati celebrati i suoi funerali. Ai familiari del Prof. Giorgio Berardi giungano le più sentite condoglianze dell’Ordine degli Ingegneri di Genova, della direzione e della redazione di “A&B”.
* Renato Lancellotta è Former Prof. of Geotechnical Engineering, Chair of the Committee TC301 on Preservation of Monuments and Historic Sites of the International Society of Soil Mechanics and Geotechnical Engineering, Editor in Chief of “Rivista Italiana di Geotecnica”, Dept. of Structural Building and Geotechnical Eng.
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qui ordine GENOVA - INGEGNERI ULTIMI NEL "TORNEO DI CALCIO ORDINI E PROFESSIONI"
Con Deborah in campo si vince sempre Divertimento e senso di responsabilità per il fine benefico della sfida calcistica fra professionisti. Quest’anno anche i “cugini” Architetti hanno schierato una donna, Carola, ma fra i calciatori. E alla fine serata di gala con consegna dei fondi per l’Associazione Gigi Ghirotti e la Fondazione Cepim, la soddisfazione più grande. Stefania Stefanoni
“Mens sana in corpore sano”. Con questo motto l’Ordine degli Ingegneri si è tuffato anche quest’anno nell’avventura sportiva battezzata un anno fa e giunta alla sua seconda edizione: TOP 2019, ovvero il Torneo di Calcio Ordini e Professioni. E poco importa che abbia finito con l’occupare una posizione per niente ambita (per la cronaca è arrivato ultimo): ciò che conta è che dalla maratona calcistica (ben 14 gare in sette giorni, dal 2 all’8 giugno tra il campo sportivo Sanguineti di Genova Quarto e lo stadio della Sciorba ) gli Ingegneri siano usciti con la certezza di essersi divertiti e di aver fatto del bene: anche quest’anno l’incasso è stato devoluto in beneficenza all’Associazione Gigi Ghirotti e alla Fondazione CEPIM. Al via cinque Ordini professionali: Architetti, Avvocati,Commercialisti,IngegnerieMedici. L’iniziativa benefica ha riscosso grandi consensi: durante il Galà di Premiazione che si è tenuto al Castello D’Albertis sono state fatte altre donazioni e ha aderito anche un paesino ligure, che ha devoluto parte dell’incasso di una sagra organizzata qualche giorno prima. In sintonia con il diffondersi di una mentalità più “elastica” sull’ingresso delle donne nel mondo del calcio, è raddoppiato anche il numero di rappresentanti femminili tra tanti uomini: se l’anno scorso l’unica donna del torneo è stata Deborah Savio, tesoriere dell’Ordine di Genova e allenatrice del team degli Ingegneri, quest’anno si è segnata la presenza di un nome in rosa anche nella compagine “cugina”, quella degli Architetti, che ha reclutato nelle sue file come giocatrice la professionista Carola Picasso. La “Mister” (sigh) Deborah Savio, ha mo-
"Mister" Deborah Savio, allenatrice degli Ingegneri alla serata di gala
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strato la solita grinta: «Anche se il campo era più comodo - commenta - con servizio stand presente a tutti gli incontri, il calendario delle partite è stato massacrante, troppo concentrato in pochi giorni» . La squadra degli Ingegneri Per la cronaca, quali sono state le partite più dure per voi? «Sia quella pareggiata con gli Avvocati, con goal valido annullato per errore arbitrale all’ultimo secondo, sia l’ultima disputata con gli Architetti, pareggiata nei tempi regolamentati e persa ad oltranza ai rigori dopo un’infinità di tiri per parte». Sorprende il fresco entusiasmo con cui la vostra squadra ha affrontato il torneo: per che cosa sarà ricordata dagli Ingegneri l’edizione 2019? «Pur essendo la squadra che meglio ha rappresentato lo spirito della manifestazione, successo riconosciuto da tutti e anche dai giornali, abbiamo collezionato ben due espulsioni, una dalla panchina alla prima partita, e una (per me immotivata) in campo sempre in seguito a un errore clamoroso dell’arbitro. Ma siamo usciti comunque ridendo» Quest’anno ha giocato anche un’altra donna, Carola Picasso. Vi conoscevate già? «Credo che la giocatrice degli Architetti alla fine non sia potuta scendere in campo perché aveva un altro torneo in concomitanza; no, non ci conoscevamo…» Se la passione per il calcio giocato ha spinto la Picasso a partecipare, l’investitura come allenatrice è arrivata sul capo di Deborah direttamente dall’alto. alla domanda “Che cosa ti ha spinto a prendere le redini del gruppo fin dall’anno scorso”, la risposta arriva con una risata: «Diktat presidenziale», tira a sottolineare la sua grande propensione a fare squadra in ogni iniziativa con il resto del Consiglio, Presidente Michelini in testa, e la capacità di mettersi in gioco nelle sfide serie come in quelle più ludiche. Hai sempre avuto passione per il calcio o l’hai scoperto ora grazie al torneo? «Da giovane ho giocato pochissimo, ma i
miei figli calcavano i campi di calcio e io di riflesso bazzicavo spesso i terreni di gioco». Entriamo nei dettagli: per prepararvi al torneo avete svolto veri allenamenti? Deborah non si fa cogliere impreparata e rispondendo da “mister” navigata: «Svolgevamo allenamenti a 7 per il fiato e a 11 per provare le posizioni e gli schemi. Mentre perdevamo ci siamo fatti le più grandi risate in panchina, l’abbiamo presa con lo spirito giusto: eravamo li per divertirci e fare beneficienza». Ma perché nel calcio maschile non ci sono donne allenatrici o sono rare come le mosche bianche? «Non saprei. Maschilismo, tradizione? Io con i miei ragazzi mi sono trovata benissimo; ho sempre ascoltato i consigli di tutti, ma alla fine decidevo sempre e solo io e nessuno ha avuto da dire. Ad esempio, dopo la prima partita ho deciso che avrei cercato di far giocare tutti, giovani e meno giovani, più o meno in forma, a prescindere dal risultato. Le altre squadre sono arrivate con formazioni molto agguerrite, noi avevamo un’età media decisamente superiore agli avversari, ma eravamo li per divertirci e ci siamo riusciti». L’anno prossimo proverete a scalare la classifica? «Certo! Quest’anno siamo stati un po’ sfortunati per gli infortuni e le indisponibilità dovute alle partite troppo ravvicinate, ma abbiamo deciso di organizzare l’edizione futura tutti insieme e prevedere un calendario più giocabile. E se ci sarà qualche donna in più, ben venga». L’invito è chiaro: chissà che al TOP 2020 non si aggiungano, trascinate dall’entusiasmo di Deborah e Carola, altre pennellate di rosa.
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qui federazione FEDERAZIONE REGIONALE DEGLI ORDINI DEGLI INGEGNERI DELLA LIGURIA Piazza della Vittoria, 11/10 16121 Genova C.F. 95045940103
Presidente Gianni Rolando (IM) Consiglieri GENOVA Maurizio Michelini, Alfonso Russo, Deborah Savio IMPERIA Riccardo Restani LA SPEZIA Pietro Franchetti Rosada, Claudia Bedini SAVONA Diego Pastorino, Marcello Macciò
www.federazioneingegneri.liguria.it PEC federazione.liguria@ingpec.eu
ORDINI DEGLI INGEGNERI DI GENOVA
Presidente Maurizio Michelini Vice Presidenti Paolo Costa, Greta Gualco Segretario Enrico Sterpi Tesoriere Deborah Savio Consiglieri Arturo Antonelli, Vittorio Bruzzo, Andrea Chiaiso, Matteo Gentile, Claudio Firpo, Michele Lanza, Felice Lombardo, Aristide Fausto Massardo, Alfonso Russo, Gianni Vernazza Consigliere Nazionale CNI Roberto Orvieto
Piazza della Vittoria, 11/10 16121 Genova Tel. 010.593840 / 010.593978 Fax 010.5536129 C.F. 80039470101 www.ordineingegneri.genova.it PEC ordine.genova@ingpec.eu ordine@ordingenova.it info@ordineingegneri.genova.it
ORDINI DEGLI INGEGNERI DI IMPERIA
Presidente Enrico Ingenito Vice Presidente Riccardo Restani Segretario Franco Sappia Tesoriere Simone Dimarcoberardino Consiglieri Fabiano Boeri, Maria Ramella, Giovanni Rolando, Stefàna Rossi, Marco Savini
Via della Repubblica, 11 18038 Sanremo (Imperia) Tel e Fax 0184.530799 C.F. 81001410083 www.ordineingegneriimperia.it PEC ordine.imperia@ingpec.eu info@ordineingegneriimperia.it loredana@ordineingegneriimperia.it
ORDINI DEGLI INGEGNERI DI LA SPEZIA
Presidente Pietro Franchetti Rosada Vice Presidente Nicola Brizzi Segretario Michele Cordeglia Tesoriere Simone Tesconi Consiglieri Claudia Bedini, Paolo Ferrari, Stefano Fusi, Riccardo Marangoni, Pietro Muscinesi, Claudio Rocca, Roberto Vallarino
Via Vittorio Veneto, 99/2 19124 La Spezia Tel. e Fax 0187.732768 C.F. 80017220114 www.ordineingegnerilaspezia.it PEC ordine.laspezia@ingpec.eu segreteria@ordineingsp.com
ORDINI DEGLI INGEGNERI DI SAVONA
Presidente Diego Pastorino Segretario Maria Alessandra Binaghi Tesoriere Diego Bergero Consiglieri Sara Arri, Ingrid Bonino, Gabriele Calzavara, Marcello Macciò, Federico Mazzetta, Danilo Muraglia, Piero Siccardi, Luciano Vicinanza
Corso Italia, 8/11 17100 Savona Tel. 019.822678, Fax 019.822696 C.F. 80003460096 www.ordineingegnerisavona.it PEC ordine.savona@ingpec.eu ingegneri.savona@ordineingegnerisavona.it
ISCRITTI ALBO PROFESSIONALE
al 31 dicembre 2019
Genova
Imperia
La Spezia
Savona
Liguria
Sezione A Sezione B
4.497 116
454 22
697 31
1.011 72
6.659 241
Totale
4.613 di cui 693 donne
476 di cui 71 donne
728 di cui 106 donne
1.083 di cui 175 donne
6.900 di cui 1.045 donne
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sommario A&B - Atti e Bollettino di Informazione degli Ordini degli Ingegneri della Liguria Periodico a cura dell’Ordine degli Ingegneri di Genova Codice Fiscale 95045940103 www.ordineingegneri.genova.it - PEC: ordine.genova@ingpec.eu Presidente: Maurizio Michelini Direttore Editoriale: Felice Lombardo Reg. Tribunale Genova n. 64 del 25 marzo 1949 Anno LXX - Trimestrale Proprietà: Ordine Ingegneri provincia di Genova Rappresentante legale: Maurizio Michelini N. 2-4 - Aprile-Dicembre 2019 Chiuso in redazione l’8 gennaio 2020 Direzione e Redazione: Piazza della Vittoria, 11/10 - 16121 Genova rivistaingegneri@ordineingegneri.genova.it Editore, impaginazione, stampa: Microart Srl - Il Geko Edizioni - Recco www.ilgekoedizioni.com - info@ilgekoedizioni.com Direttore Responsabile: Gianfranco Sansalone Hanno collaborato: Andrea Barsanti, Donato Carlea, Giulia Cresci, Francesco De Milato, Matteo Gentile, Davide Grassi, Davide Isola, Renato Lancellotta, Felice Lombardo, Marco Marchegiano, Roberto Marcialis, Giovanni Menduni, Maurizio Michelini, Pasquale Muià, Bruno Musso, Fulvio Quattroccolo, Stefano Rolli, Mauro Solari, Stefania Stefanoni, Federica Valdenazzi, Viviana Caravaggi Vivian. Foto: Aba News, Andrea Barsanti, Mimmo Giordano, Paola Leoni, PerGenova, Struttura Commissario Straordinario Ricostruzione viadotto Morandi, Luca Zennaro. Grazie per la collaborazione alle segreterie degli Ordini degli Ingegneri di Genova, Imperia, La Spezia e Savona Progetto editoriale: Agenzia Aba Comunicazione www.abacomunicazione.it - info@abacomunicazione.it Redazione giornalistica: redazione@abanews.it In copertina: La sorveglianza di un fiume in piena durante l’allarme rosso di novembre a Genova (ph. Luca Zennaro); la skyline della Valpolcevera col nuovo ponte meno impattante ideato da Renzo Piano (ph. Struttura Commissario per la ricostruzione) Questo numero è scaricabile in pdf dal sito dell’Ordine degli Ingegneri di Genova e viene spedito in formato pdf a tutti gli oltre 4.600 iscritti all’Albo degli Ingegneri di Genova e agli altri Ordini provinciali Liguri per l’inoltro ai propri iscritti e ai propri contatti. Viene anche mandato agli Ordini tecnici liguri e nazionali, alle pubbliche istituzioni, ai giornalisti e ai soggetti di interesse per la categoria. Inoltre una apposita tiratura stampata su carta viene diffusa a vari soggetti e attraverso le attività formative interne e gli eventi organizzati o a cui l’Ordine di Genova partecipa. La riproduzione, anche parziale, delle pagine e dei testi è consentita purché siano espressamente citati la fonte e gli autori. È vietato riprodurre, anche in modo parziale, l’impaginazione grafica senza espressa autorizzazione della proprietà. Le immagini riprodotte sono dell'Ordine, di autori regolarmente retribuiti o di archivi, oppure sono state reperite presso fonti pubbliche e libere. I marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari. Nel caso non sia stato possibile rintracciare eventuali detentori di diritti, l’editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri obblighi. Il prezzo dell’abbonamento è compreso nella quota di iscrizione annuale all’albo, le copie in abbonamento a titolo oneroso sono in percentuale non inferiore al 50% del totale delle copie spedite.
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1 Il Rullo... di Rolli Vignetta a cura di Stefano Rolli 2 I 70 anni di A&B Incontro con Stefano Rolli. Premio alla “Professionalità di Marco Marchegiano 4 In un libro la storia di “Atti e Bollettino” e la raccolta di tutte le vignette di Rolli 5 Random 10 Attualità Dal nuovo Codice dei contratti ai vantaggi del “modello Genova” di Donato Carlea e Viviana Caravaggi Vivian 13 Genova 2018-2048 E il Ponte va. In diretta - di Gianfranco Sansalone 15 Cover Dissesto idrogeologico: la sfida sono le strutture intelligenti di Giovanni Menduni 18 Frane, come salvarsi la vita. Cascini: «Ma in Italia non c’è cultura» di Gianfranco Sansalone 21 E l’incubo delle burrasche tiene sempre alta la tensione di Marco Marchegiano 23 Logistica Gronda, un confronto aperto su modalità e opportunità di Andrea Barsanti 25 Là, dove nasce o muore in culla, il progetto “Italian Style” di Gianfranco Sansalone Analisi costi benefici: parola d’ordine, cautela di Davide Isola 26 Dagli specialisti gli scenari che orientino il “decisore” di Mauro Solari 27 Terzo Valico: ACB sbagliata? Ma i lavori non si fermano di Francesco De Milato 29 Perché la linea costiera non sarà mai ad alta capacità di Davide Isola 31 Nuova Linea Torino-Lione: quei due dati sorprendenti di Fulvio Quattroccolo 34 Spazi e sprint in porto? «Ecco il Bruco che ci salverà» di Bruno Musso 35 Professione Fra ingegneria e medicina, cresce la Scienza salva-vita di Stefania Stefanoni 39 Quell’elica che in acqua decreta successi e avarie di Davide Grassi e Federica Valdenazzi 41 Refitting, l’eterna giovinezza per le imbarcazioni “vissute” di Giulia Cresci 43 Sulphur Cap al via dal 2020. Armatori, si cambia la rotta! di Andrea Barsanti 45 Viaggio nella centrale Enel del Porto, fra impianti storici e voglia di futuro - di Gianfranco Sansalone 48 La valutazione immobiliare verso frontiere innovative di Stefania Stefanoni 50 Start 4.0 progetta sicurezza e inventa anche “Port Lab” di Roberto Marcialis Sistema portuale, brevetti, ITC, logistica: la Liguria nel piano nazionale Industria 4.0 - di Matteo Gentile 52 L’internet delle cose cresce mentre la tecnologia vola di Matteo Gentile 54 Qui Ordine Senatori e Grandi Senatori, una vita per l’Ingegneria di Marco Marchegiano 55 Bilancio. L’acquisto di una nuova sede nel futuro dell’Ordine degli Ingegneri - di Stefania Stefanoni 56 L’eredità di Giorgio Berardi fra i Grandi dell’Ingegneria di Renato Lancellotta 58 Con “Deborah” in campo si vince sempre - di Stefania Stefanoni 59 Qui Federazione - I dati di Froil e Ordini provinciali
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