INGEGNERIA
CIVILE E AMBIENTALE a cura di Ing. P. Pietrucci commissione
Finanza Immobiliare
visto da Ing. C. Pancheri Ing. M. Cima
L'articolo è tratto dalla Rivista IoRoma N°4/2016
LA BREXIT: IL LUNGO CAMMINO DEL REAL ESTATE IN UK È APPENA COMINCIATO Con il referendum popolare che si è svolto lo scorso 23 Giugno 2016, il 51,9% dei cittadini del Regno Unito ha votato a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. 14 ordine degli ingegneri della provinCia di roma
INGEGNERIA
CIVILE E AMBIENTALE a cura di Ing. P. Pietrucci commissione
Finanza Immobiliare
visto da Ing. C. Pancheri Ing. M. Cima
LA BREXIT: IL LUNGO CAMMINO DEL REAL ESTATE IN UK È APPENA COMINCIATO Con il referendum popolare che si è svolto lo scorso 23 Giugno 2016, il 51,9% dei cittadini del Regno Unito ha votato a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. 14 ordine degli ingegneri della provinCia di roma
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IL RISULTATO DEL REFERENDUM HA CAUSATO UNA IMPONENTE ONDA D’URTO SUI MERCATI FINANZIARI E SULL’ECONOMIA MONDIALE I CUI PRIMI EFFETTI SI SONO MANIFESTATI NELLA MATTINA DEL 24 GIUGNO, DOPO L’ANNUNCIO DEI RISULTATI, E A FARNE LE SPESE SONO STATE LE BORSE DI TUTTO IL MONDO.
L
e conseguenze di quella che viene definita come Brexit, che rappresenta uno shock senza precedenti nel processo di integrazione europea, possono essere analizzate secondo vari ambiti (economico, politico, sociale, finanziario, tecnologico, regolatorio, ecc.) e rappresentate secondo la loro successione cronologica. il risultato del referendum ha causato una imponente onda d’urto sui mercati finanziari e sull’economia mondiale i cui primi effetti si sono manifestati nella mattina del 24 giugno, dopo l’annuncio dei risultati, e a farne le spese sono state le borse di tutto il mondo. in due sole ore di contrattazione la sterlina inglese si è svalutata del 7% contro l’euro e del 10% rispetto al dollaro statunitense, raggiungendo il livello più basso dal 1985. le principali borse europee hanno registrato perdite
che vanno dal 6,8% di Francoforte al 13,4% di atene. piazza affari ha chiuso la peggior seduta di sempre con una flessione del 12,5%, addirittura superiore a quelle post 11 settembre e al crack di Lehman Brothers. londra, dopo un avvio molto negativo, ha paradossalmente limitato le perdite arrivando a chiudere in calo del 3,1%. in una sola seduta di borsa, le borse mondiali hanno bruciato 2.000 miliardi di dollari e la capitalizzazione delle aziende quotate in europa è crollata di 637 miliardi di dollari: in pratica, nel venerdì nero seguito al referendum che ha sancito la Brexit, solo le borse europee hanno perso più di 1,3 miliardi di dollari per ogni minuto di contrattazione. le vendite più consistenti su tutti i listini azionari europei si sono verificate nel settore bancario e assicurativo: banche greche a parte, le performance peggiori sono state quelle degli istituti britannici (le quotazioni azionarie delle cinque maggiori banche britanniche sono calate in media del 21%). dal punto di vista politico, le prime conseguenze della Brexit sono state l’avvicendamento del primo ministro David Cameron, promotore del referendum, che si era schierato per il “remain” e aveva invitato la popolazione a votare per la permanenza nell’unione europea, con la conservatrice Theresa May. per quanto riguarda il mercato immobiliare, a luglio scorso sei grandi fondi di real estate (Aviva, M&G, Standard Life Investments, Henderson Global Investors, Columbia Threadneedle e Canada Life) hanno sospeso le contrattazioni dei rispettivi fondi britannici dopo che, sulla scia dei timori innescati dall’esito del referendum, è cresciuto il numero de-
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CIVILE E AMBIENTALE gli investitori che hanno chiesto di ritirare i propri capitali. lo stop ai rimborsi dei fondi immobiliari britannici, che si era diffuso con un effetto domino in rapida successione, aveva portato il totale dei fondi congelati a 15 miliardi di sterline (circa 17,5 miliardi di euro). nel settore bancario era circolata la voce che alcuni grossi istituti, compagnie di assicurazione e studi legali sarebbero stati pronti a lasciare londra, la principale piazza finanziaria d’europa, per trasferirsi verso altre città come parigi, Francoforte, amsterdam o dublino con prevedibili conseguenze negative a cascata in altri settori, tra cui naturalmente anche quello immobiliare. alcune società di consulenza d’oltremanica hanno stimato che le restrizioni dell’attività finanziaria potrebbero comportare perdite per le società britanniche fino a 45 miliardi di euro mettendo a rischio 70.000 posti di lavoro. ma dopo questi primi dirompenti effetti, la situazione si è successivamente stabilizzata, sebbene l’incertezza sui tempi e le modalità della separazione dall’ue abbia continuato a produrre segnali contrastanti sull’economia del regno unito. le catastrofiche profezie che erano state formulate prima del referendum, a distanza di qualche mese non si sono avverate e l’economia britannica è addirittura cresciuta: nel terzo trimestre del 2016 il pil del regno unito è aumentato dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. nello stesso lasso temporale il tasso di disoccupazione è rimasto contenuto nelle dimensioni e stabile nel tempo, con un valore che nel periodo da giugno ad agosto si è attestato intorno al 4,9%. anche il mercato immobiliare britannico, dopo la contrazione iniziale causata dal risultato del referendum, ha poi recuperato un certo vigore, i prezzi e gli affitti hanno resistito e il calo della sterlina ha contribuito ad attirare acquirenti in cerca di affari. anche il settore uffici ha tenuto, la domanda è rimasta sostenuta e a fine settembre scorso gli uffici
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sfitti a londra erano ai minimi storici (2,5% o 3% secondo le zone). la tenuta del mercato immobiliare inglese sembra riconducibile a due fattori che in questa fase hanno pesato più della Brexit: la costante carenza di immobili in vendita e i tassi di interesse bassi per mutui e prestiti, grazie all’intervento della banca centrale inglese che a inizio agosto ha portato i tassi inglesi al minimo storico dello 0,25%. il fondo immobiliare Standard Life Investments ha fatto ripartire le contrattazioni lo scorso 17 ottobre, dopo aver effettuato una serie di operazioni tra cui la vendita di alcuni asset per poter ripristinare una congrua base di liquidità. di contro la sterlina, a parte qualche inversione di tendenza, ha continuato a svalutarsi: in quattro mesi ha perso il 15% del suo valore nei confronti dell’euro e il 17% rispetto al dollaro americano, il che porta evidenti benefici alle esportazioni britanniche però con il rischio che ciò produca un drastico aumento dei prezzi. da questo punto di vista qualche segnale si è già avuto, poiché nel mese di settembre l’inflazione del regno unito è cresciuta all’1% e la banca d’inghilterra stima per il 2017 un rialzo al 2,7%. dal punto di vista politico, Theresa May ha iniziato le trattative per attuare il “leave” e nel corso del Congresso del partito Conservatore svoltosi a Birmingham il 2 ottobre scorso ha dichiarato che la gran bretagna inizierà il processo di uscita dall’unione europea entro la fine di marzo 2017, invocando autonomamente l’articolo 50 del trattato di lisbona per via della cosiddetta Royal prerogative, l’insieme di poteri un tempo esercitati dal monarca del regno unito e che ora competono all’esecutivo. in effetti, normalmente i trattati internazionali rientrano nelle competenze della Royal prerogative, ma il 3 novembre scorso, su istanza di un gruppo di privati cittadini, l’alta Corte di giustizia ha stabilito che l’uscita dall’unione europea avrebbe come conseguenza anche il cambiamento di leggi interne al regno unito e di conseguenza non può essere una decisione di competenza esclusiva del governo ma, al contrario, deve essere approvata dal parlamento britannico. in altri termini, secondo l’alta Corte britannica il voto espresso dai cittadini con il referendum ha un valore meramente consultivo che dovrà essere confermato da Westminster. la risposta del primo ministro britannico non si è fatta attendere e, con una lettera aperta pubblicata il 6 novembre scorso sull’edizione domenicale del Telegraph, ha spiegato che il governo intende fare appello contro la sentenza dell’alta Corte rivolgendosi alla Corte suprema britannica.
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SECONDO L’ALTA CORTE BRITANNICA IL VOTO ESPRESSO DAI CITTADINI CON IL REFERENDUM HA UN VALORE MERAMENTE CONSULTIVO CHE DOVRÀ ESSERE CONFERMATO DA WESTMINSTER.
di fatto, dal punto di vista operativo le strade che il regno unito potrà intraprendere nel cammino di separazione dall’ue sono essenzialmente due. la prima, denominata “hard Brexit”, è la soluzione più netta e chiara. in tale ipotesi il regno unito abbandonerebbe l’unione europea nonché tutti i trattati e le istituzioni di cui fa parte e ciò comporterebbe la rinuncia a un posto nel Consiglio dell’unione europea, ai parlamentari europei e alla giurisdizione della Corte europea. Questa strada implicherebbe anche l’uscita dal mercato unico, cioè quell’insieme di accordi e trattati che consente il commercio senza barriere tariffarie o doganali all’interno di un’area che comprende tutti gli stati membri dell’unione europea più svizzera, norvegia, islanda e liechtenstein. scegliendo l’altra strada, la “soft Brexit”, il regno unito uscirebbe dalle istituzioni europee ma in qualche misura resterebbe all’interno del mercato unico, in una situazione analoga a quella in cui si trovano svizzera, norvegia, islanda e liechtenstein. ma questa soluzione sembra non piacere ai sostenitori del “leave” per due motivi. in primo luogo perché ciò implicherebbe l’accettazione di gran parte delle regole europee che riguardano la libera circolazione delle persone, mentre fermare l’immigrazione, era stato un caposaldo della propaganda dei comitati per il “leave”. secondariamente perché il regno unito dovrebbe continuare ad applicare tutti i regolamenti europei, mentre per i sostenitori del “leave” la vittoria al referendum era un modo per liberarsi delle pastoie burocratiche di bruxelles. inoltre, il regno unito avrebbe un ulteriore svantaggio, quello di doversi adeguare ai regolamenti senza più avere voce in capitolo, visto che a quel punto non sarebbe più un membro dell’unione. in altri termini, se londra vorrà continuare ad avere libero accesso al mercato comune ed evitare di veder applicare dazi o tariffe ai suoi commerci, dovrà rispettare le regole senza concessioni e, quindi, permettere la circolazione di merci e capitali, così come quella delle persone.
È senz’altro possibile immaginare scenari diversi, ad esempio che il regno unito riesca a negoziare un’uscita con una serie di eccezioni che permettano di limitare l’immigrazione e l’applicazione dei regolamenti. ma al momento pochi leader europei sembrano favorevoli a rendere semplice il processo di uscita in modo da non incentivare ulteriori tentativi di abbandono dell’unione europea da parte di altri paesi. È difficile prevedere oggi come procederanno le trattative. nel momento in cui inizieranno le procedure di uscita scatterà una sorta di conto alla rovescia: il governo del regno unito avrà due anni di tempo per negoziare una “soft Brexit”, prorogabili solo con un voto all’unanimità di tutti gli altri 27 stati membri. se non sarà raggiunto un accordo entro i due anni successivi (o entro la proroga), per il regno unito scatterà invece una “hard Brexit” cioè l’uscita dall’unione europea senza alcun particolare vantaggio. ma chi ci perderà di più con la Brexit? uno studio della banca d’inghilterra sostiene che, sul piano commerciale, a rimetterci sarebbe soprattutto il regno unito. le esportazioni britanniche sono per il 44 per cento destinate ai paesi dell’unione europea e tale commercio vale il 60 per cento del pil della gran bretagna. d’altra parte il regno unito è un mercato molto ricco per le economie europee: ad esempio la germania esporta in gran bretagna merci per 87 miliardi di euro, cifra che è quasi doppia rispetto alle importazioni. anche il peso degli investimenti è rilevante. rispetto al totale degli investimenti effettuati in gran bretagna, quelli europei valgono quasi la metà; a sua volta londra dedica al continente europeo la quota più alta dei suoi capitali destinati all’estero. pertanto, per comprendere chi possa avere più potere negoziale per dettare le condizioni della Brexit occorre tener conto anche di tali aspetti. le ripercussioni di breve-medio termine dipenderanno dalla chiarezza e dalla rapidità di risposta delle autorità politiche europee e dal processo di negoziazione dell’uscita del regno unito dall’ue, che come abbiamo visto presenta esiti a dir poco incerti. le conseguenze a lungo termine, non prevedibili a priori e quindi difficilmente anticipabili, dipenderanno in larga misura dai modi in cui le nuove regole influenzeranno le quattro libertà Fondamentali dell’unione europea, cioè la libera circolazione di persone, di beni, di servizi e di capitali. la sensazione, comunque, è che tutto quello che è stato detto o scritto sulla Brexit sia da considerarsi provvisorio e rivedibile. d’altra parte, come ha scritto il Financial Times il 3 novembre scorso, “No one knows what Brexit means”. ■
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