I Quattro di Albenga

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FOTO FLAVIO FURLANI


Veduta aerea di Albenga

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4 FOTO G. ASCOLI

FOTO S. NICOLA

FOTO F. GIOBERTI

FOTO S. NICOLA


Notizie, tradizioni, pregi, sapori e valori di quattro prodotti orticoli della provincia di Savona, legati al nome dell’antica città di Albenga.

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FOTO D. GRIGGIO

Via Iulia Augusta di Albenga

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Realizzazione COOPERATIVA L’ORTOFRUTTICOLA • Albenga

Testi INQUADRAMENTO AMBIENTALE Enrico Dosoli • Agostino Falavigna • Andrea Allavena ASPARAGO VIOLETTO Andrea Allavena • Enrico Dosoli • Agostino Falavigna CARCIOFO SPINOSO Silvana Nicola • Emanuela Fontana • Jeanet Hoeberechts • Daniela Saglietti • Giuseppe Piovano • Gian Enrico Bassetti POMODORO CUOR DI BUE Silvana Nicola • Emanuela Fontana • Jeanet Hoeberechts • Daniela Saglietti • Giuseppe Piovano • Gian Enrico Bassetti ZUCCA TROMBETTA Silvana Nicola • Emanuela Fontana • Jeanet Hoeberechts • Daniela Saglietti • Giuseppe Piovano • Gian Enrico Bassetti NOTE STORICHE E STATISTICHE Riccardo Galbussera

Cartografia Riccardo Galbussera • Fabrizio Gioberti • Daniele Griggio

Ricette Paolo Alberelli • Ivana Alessandri Guido • Fausto Carrara • Marcello Mastroianni • Silvio Torre

Progetto e coordinamento editoriale Riccardo Galbussera Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Savona Centro di Sperimentazione ed Assistenza Agricola “Franco Ugo” • Albenga

Grafica copertina e grafica impaginazione Copertina: Studio Gioberti • Albenga Interno: Studio D.G. di Griggio Daniele • Albenga

Stampa Tipolitografia Ciuni • Albenga © 2015 by L’Ortofrutticola. Tutti i diritti riservati. Il volume non può essere riprodotto in nessuna parte, né trasmesso in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dell’editore e dello studio grafico. I marchi di identificazione dei quattro prodotti sono registrati.

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FOTO D. GRIGGIO

Isola Gallinara vista dalla via Iulia Augusta, dal monte di Albenga

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Sommario COOPERATIVA L’ORTOFRUTTICOLA DI ALBENGA...................................................................11 INQUADRAMENTO AMBIENTALE.......................................................................................................13 Geopedologia Climatologia ASPARAGO VIOLETTO d’ALBENGA.....................................................................................................21 Introduzione La coltivazione Il post-raccolta Note storiche e statistiche CARCIOFO SPINOSO d’ALBENGA..........................................................................................................53 Introduzione La coltivazione Il post-raccolta Note storiche e statistiche POMODORO CUOR DI BUE d’ALBENGA...........................................................................................75 Introduzione La coltivazione Il post-raccolta Note storiche e statistiche ZUCCA TROMBETTA d’ALBENGA.........................................................................................................97 Introduzione La coltivazione Il post-raccolta Note storiche e statistiche CARTOGRAFIA..............................................................................................................................................115 Inquadramento della zona di produzione Delimitazione della zona di produzione RICETTE ..........................................................................................................................................................119 Sfogliata con Asparagi violetti d’Albenga e Gamberoni nostrani Asparagi violetti d’Albenga “Mimosa” Torta verde con i Carciofi spinosi d’Albenga Capesante gratinate con i Carciofi spinosi d’Albenga Piramide di Pomodori cuor di bue d’Albenga ed Acciughe fresche Gallinella di Capo Mele con Pomodoro cuor di bue d’Albenga e timo selvatico Terrina di Zucche trombette d’Albenga e Pescatrice Gamberoni nostrani e Zucche trombette d’Albenga al vapore.

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FOTO D. GRIGGIO

Battistero (V sec.) e torri di Albenga

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F

Cooperativa L’Ortofrutticola di Albenga I settori commerciali Fiori e Ortaggi dispongono di nuovi e ampi depositi adeguati ai sistemi di gestione qualità che permettono la razionalizzazione dei processi di lavorazione e l’aumento dei volumi di vendita di prodotti ortofloricoli. L’Ortoshop in un’ampia superficie di vendita al dettaglio, propone una vastissima scelta di prodotti agroalimentari a km0, locali, regionali e del Nord Italia attentamente selezionati, in particolare frutta e verdura freschissime. Una scelta che vuole tutelare l’attività dei piccoli agricoltori valorizzando le produzioni d’eccellenza dei nostri territori e garantendone ai consumatori la qualità e la salubrità.

Foto D. Griggio

ondata nel 1941, è la più grande Cooperativa agricola della Liguria. Con oltre 600 aziende agricole associate copre un’area di circa 2.000 ettari, oltre il 60% della superficie coltivabile della Piana di Albenga. La Cooperativa è socia di Piemonte Asprofrut, organizzazione di produttori ortofrutticoli con sede a Lagnasco (CN) che raccoglie più di 1200 imprese piemontesi, liguri e valdostane. La Cooperativa commercializza in Italia e in tutta Europa le produzioni orticole e floricole degli associati. Dal 2012 si è trasferita nella nuova sede, una moderna base logistica rispondente ai nuovi requisiti richiesti dal mercato, dove sono concentrati tutti i dipartimenti con la conseguente ottimizzazione della logistica interna e la riduzione dei costi gestionali, a beneficio dei clienti.

l La sede de L’Ortofrutticola, a soli 200 m dal casello Autostradale di Albenga, Regione Massaretti 30/1 17031 Albenga (SV) - info@ortofrutticola.it - www.ortofrutticola.it.

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FOTO D. GRIGGIO

Serre di Albenga e isola Gallinara

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE Enrico Dosoli, Agostino Falavigna, Andrea Allavena

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE

I

comuni indicati come zona di produzione dei quattro prodotti orticoli oggetto della presente pubblicazione, sono compresi nell'Albenganese e nel Savonese. L'Albenganese è rappresentato dalle valli che, tra Capo Cervo e Capo Noli, scendono a ventaglio verso il mare dallo spartiacque delle Alpi. Le valli del Merula e del Centa si allargano rispettivamente nelle due piane principali di Andora e di Alberga. Ad Est altre piane di minore profondità si alternano a stretti arenili. Il Savonese è rappresentato da una stretta fascia di terra compresa tra il displuvio, che corre vicino al mare, Capo Noli e Piani d’Ivrea. Le aree di pianura lungo il mare sono limitate rispetto all’Albenganese.

GEOPEDOLOGIA Le origini e le caratteristiche dei suoli agrari dell'Albenganese sono state definite in uno studio condotto da Luigi Peretti (1) sulla base di osservazioni geolitologiche e sui dati rilevati da 22 campioni di suolo prelevati tenendo conto dei principali bacini idrologici e della fascia costiera. Quindici dei campioni valutati cadono in comuni delle aree tipiche di produzione. I dati del citato lavoro, che presentano le maggiori ricadute di tipo agronomico-colturale, sono riportati in Tab. 1. La maggior parte dei terreni sono la conseguenza di fenomeni alluvionali, fluviali o marini avvenuti in epoche geologiche remote o recenti a cui si sono sovrapposti fenomeni di asporto e rideposito di materiali (alluvioni terrazzate). Il terreno prelevato a Bastia è di origine eluviale. È curioso notare come il terreno agrario di Laigueglia si sia formato da depositi di sabbia portati dal vento. Nonostante origini relativamente simili, i terreni dell’Albenganese presentano caratteristiche ben differenziate. Ad esempio i carbonati, che contribuiscono a definire le qualità chimico-fisiche del terreno come il pH, la struttura glomerulare delle particelle e la disponibilità per le piante di elementi nutritivi, possono essere quasi assenti o molto abbondanti (si veda il dato sull’effervescenza con acido cloridrico). La notevole variabilità è osservabile anche a carico delle parti fini del terreno (limo ed argilla) indicate in tabella dalle perdite per levigazione. Il valore massimo è osservato nel campione di Ortovero e quello minimo nel campione di Laigueglia (sabbia di duna). Molto differenziati sono anche la consistenza, l’aspetto ed il colore dei terreni dei vari campioni. Un'analisi più dettagliata sulle caratteristiche chimico fisiche dei terreni è proposta, per la zona di Albenga, sulla base dei dati di analisi del terreno effettuate e fornite dal Laboratorio Regionale Analisi Terreni e Produzioni Vegetali di Sarzana (*) utilizzando metodi ufficiali. In Tab.2 sono riportati i valori minimi, medi e massimi riscontrati per ciascun fattore analizzato. Sono riportate inoltre le classi che caratterizzano i fattori ed è indicata la percentuale di terreni che ricadono in ciascuna classe. La valutazione dei dati mette in evidenza notevoli differenze tra i terreni analizzati, attribuibile non solo alla probabile diversa origine geologica, ma anche alla lunga

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE

influenza delle colture e delle pratiche agronomiche. I terreni di Albenga cadono in prevalenza nella classe con pH leggermente alcalino (58%) e presentano valori di conducibilità elettrica estremamente variabili (da 10 a 3696 µS/cm). Il 40% presenta una tessitura franco sabbiosa; il 30% sono di medio impasto ed il 14% sono franco argillosi. La capacità di scambio cationico (CSC) può considerarsi adeguata nel 78% dei terreni. La disponibilità dei principali elementi nutritivi è in genere più che soddisfacente e indice di un'agricoltura intensiva. In particolare la dotazione di fosforo assimilabile è elevata nel 91% dei terreni; quella di potassio è sufficiente o elevata nel 60%; ben forniti di azoto il 77% dei terreni. La sostanza organica è stata trovata sufficiente o abbondante nel 96% delle analisi effettuate. Il rapporto C/N, superiore a 11 nel 40% dei campioni analizzati, può indicare una scarsa mineralizzazione o un recente apporto di sostanza organica. I terreni di Albenga possono considerarsi normali rispetto alla salinità ed all'alcalinità secondo la classificazione proposta dall'U.S Salinity Laboratory Staff (2). Non richiedono pertanto specifiche azioni correttive se non per colture particolarmente sensibili. I terreni analizzati sono idonei a colture come il pomodoro e l'asparago che tollerano valori di conducibilità fino a 12000 e 8000 µS/cm rispettivamente. Uno studio chimico-agrario dei terreni del Savonese è stato condotto da Bottini (3). Tra i numerosi dati, alcuni di maggior rilevanza applicativa sono riportati in Tab. 3. I terreni presentano origine sia alluvionale sia eluviale. Il pH è in genere neutro e solo in rari casi è acido. I valori di pH più elevato sono in relazione alla presenza di calcare nel terreno. Il materiale argilloso è ben rappresentato in tutti i campioni analizzati.

● Albenga e le sue torri (foto Griggio).

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE

Nonostante che dai dati sopra riportati sia possibile individuare caratteri prevalenti a carico dei terreni dell'Albenganese e del Savonese, solo una dettagliata analisi fisico-chimica può mettere in evidenza le caratteristiche peculiari di ciascun particolare terreno e fornire indicazioni sulle concimazioni e sulle pratiche colturali da adottare in funzione della coltura.

● Tab. 1 - Caratteristiche dei suoli agrari dell'Albenganese rilevati da Peretti (1). Si riportano i dati principali dei 17 campioni prelevati nella zona di coltivazione dei prodotti tipici. Numero Effervescenza campione con Acido e Località cloridrico (a) 1) Borghetto + d’Arroscia 2) Valle di Ortovero 3) Bastia ++ di Albenga 4) Pontelungo ++ di Albenga 5) Castelvecchio Rocca Barbena 6) Cisano +/sul Neva 7) Toirano -

Perdita per levigazione (b) (%) 60

Origine

Aspetto

Colore

Alluvione recente

Terreno granuloso a zolle friabili Terriccio friabile

Bruno chiaro bruno se inumidito Rosso-bruno, bruno rossiccio se inumidito Bruno rossiccio

80

Alluvione terrazzata

63

Coltre eluviale su sedimenti pliocenici Alluvione recente fluviomarina Terreno eluviale

10) Finale Borgo +/-

54

11) Andora

++

43

12) Capo Mele Laigueglia 13) Alassio

+/-

25

+/-

66

14) Ceriale

+

56

Terriccio sciolto grumuloso con ciottoli e ghiaia Zolle friabili con poco ghiaietto Terreno sciolto grumuloso misto a ciottoletti e scaglie Alluvione mista Zolle dure ma porose terrazzata mista ad eluvio con poco ghiaietto Alluvione antica e Zolle friabili con ghiaietto successivo eluvio Alluvione recente fluviale Suolo sciolto a zolle grumulose friabili con poca sabbia e ghiaia Aluvione terrazzata Materiale terroso a grumuli sciolti e friabili con poco ghiaietto Alluvione terrazzata Materiale terroso a grumuli sciolti e friabili con poco ghiaietto Alluvione Zolle porose assai friabili fluvio-marina recente con ghiaietto Deposito eolico antico Zolle porose finemente granulari risolvibili in polvere Alluvione marina recente Terriccio granuloso friabile con ghiaietto Alluvione antica Grumi porosi friabilissimi

15) Dori di Loano -

44

Alluvione antica

16) Pietra Ligure +/Borgio 17) Val Cornei + Finalmarina

60

Arenile marino 0locenico

56

Alluvione recente fluvio- marina

8) Borghetto S. Spirito 9) Calice

50 60 48 75

++

57

-

62

Zolle tenacissime impastate con ghiaietto Sabbioso agglomerato Suolo con abbondante scheletro

Non riportato Grigio-bruno Rosso-bruno scuro Rosso-bruno scuro Grigio-bruno Giallo-bruno, bruno scuro ad umido Giallo-bruno, bruno scuro ad umido Bruno Marrone con granuli bianchi Bruno chiaro Bruno con sfumature rossiccio-violacee a secco Bruno scuro Grigio-giallo Grigio-bruno

Note: (a) L'effervescenza indica la presenza nel terreno dei carbonati (++ elevati, + medi, +/- scarsi, - assenti); (b) La perdita per levigazione indica la percentuale di terreno costituita da parti fini (limo e argilla).

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE

Tab. 2 - Sintesi ed elaborazione dei dati di analisi chimico fisiche effettuate su terreni della zona di Albenga e fornite dal Laboratorio Regionale Analisi Terreni e Produzioni Vegetali di Sarzana. Per ciascuno dei fattori analizzati sono riportati i valori minimi, medi e massimi riscontrati. È indicata inoltre la frequenza dei terreni che ricadono nelle classi che caratterizzano il fattore. È fornita infine la classificazione dei terreni secondo l' U.S Salinity Laboratory Staff. 2.1 Granulometria

Analisi Sabbia Limo Argilla

Campioni valutati (No) 146 146 146

Valore (%) Min Medio Max 22,5 48,3 95,0 2,5 34,8 65,0 2,5 17,0 45,0

S1

SF

1,37

0,00

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) L FS F FL FSA FA FLA 0,00 40,41 30,14

8,2

2,74 14,38 0,00

AS

AL

A

0,68

0,00

2,05

1: S: sabbioso; SF: sabbioso franco; L: limoso; FS: franco sabbioso F: franco FL: franco limoso; FSA: franco sabbioso argilloso; FA: franco argilloso; FLA: franco limoso argilloso; AS: argilloso sabbioso; AL: argilloso limoso; A: argilloso. ●

2.2 pH

Analisi

pH

Campioni Valore valutati (No) Min. Medio Max fort. acido (< 5,4) 379

7,4

8,9

1,32

3,43

Campioni Valore (g/kg) valutati (No) Min. Medio Max

Calcare totale 323

0,1

8,4

43,0

58,31

4,49

0,26

molto calcareo (>500) 0,00

2.4 Calcare attivo

Campioni Valore (g/Kg) valutati (N°) Min. Medio Max Calcare attivo 213 0,1 5,1 99,2

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Medio Elevato Molto elevato 0,47 3,29 0,00

Basso 96,24

2.5 Capacità di scambio cationico (CSC)

Analisi CSC

27,97

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) poco calcareo med calcareo calcareo (10 - 100) (110 - 250) (260 - 500) 41,49 0,00 0,00

non calcareo (<10) 58,51

Analisi

4,22

2.3 Calcare totale

Analisi

4,8

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) acido legg. acido neutro legg. alcalino alcalino fort. alcalino (5,4 - 6) (6,1 - 6,7) (6,8 - 7,3) (7,4 - 8,1) (8,2 - 8,6) (> 8,6)

Campioni Valore (meq) valutati (N°) Min. Medio Max 375 3,6 14,1 99,0

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Bassa (<10) Media (10 - 20) Elevata (>20) 21,87 67,73 10,40

2.6 Grado di saturazione in basi

Analisi

Frequenza di campioni nelle diverse classi (% del catione sulla CSC) Campioni Valore (ppm) Molto basso Basso Medio Eevato valutati (No) Min2 Medio2 Max2 <1,5% <1% <35% 1,5-3% 1-3% 36-55% 3,1-4% 3,1-10% 56-10% >4% >10% >70% (K)

K Mg Ca

375 361 43

12,0 263,1 2485 40,2 292,6 3209 1057 2027 3256

(Mg)

(Ca)

12

(K)

(Mg)

(Ca)

27,20 0,00

(K)

0,28 2,33

(Mg)

(Ca)

15,74

(K)

19,68 23,26

(Mg)

(Ca)

45 80,4 41,85

32,56

2: I valori Min. Medio e Max indicano le quantità di K, Mg e Ca scambiabili ●

2.7 Fosforo assimilabile

Analisi

Campioni valutati (N°) P assimilabile 379

Valore (mg/kg) Min. Medio Max 0,2

144 5599,7

Molto basso (< 5) 2,64

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Basso Medio (5-10) (11-15) 3,43 2,37

Elevato (> 15) 91,56

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INQUADRAMENTO AMBIENTALE

2.8 Sostanza organica

Analisi

Sost. organica

Sost. organica

Povero (<1,5) 3,96

N totale

Campioni valutati (N°) 379

Campioni valutati (N°) 379

Valore Min. Medio Max 0,9

11,1

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Basso Normale Elevato (<9) (9 - 11) (>11) 28,3 31,13 40,63

37,2

Valore Min. Medio Max (g/kg) 0,2 2,5 9,7

Molto basso (< 0,5) 0,25

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Basso Mediam. fornito Ben fornito (0,5 - 1) (1 - 1,5) (>1,5) 6,6 15,57 77,58

2.11 Classificazione dei terreni secondo l’U.S. Salinity laboratory Staff (2).

Tipo di terreno

Conducibilità elettrica (meq/cm) T. Salino >4 T. Alcalino (o sodico) <4 T. Salso-alcalino (o Salino-sodico) >4 T. Normali <4

3:

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) Suff. dotato Ben dotato Ricco (1,5 - 2,5) (2,5 -3,5) (>3,5) 16,89 20,84 58,31

2.10 N totale

Analisi

Valore Min. Medio Max (%) 0,4 5,1 68,6

2.9 Rapporto Carbonio Azoto (C/N)

Analisi

Campioni valutati (N°) 379

ESP3 % <15 >15 >15 <15

pH <8,5 >8,5 <=8,5 <8,5

Frequenza di campioni nelle diverse classi (%) 0,0 1,18 0,0 98,82

Percentuale di sodio scambiabile rispetto alla C.S.C.

Tab. 3 - Caratteristiche dei suoli agrari del Savonese rilevati da Bottini (3). Si riportano i dati principali dei 19 campioni prelevati nella zona di coltivazione dei prodotti tipici.

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Numero campione e Località

Origine

pH

1) Noli 2) Spotorno 3) Legino 4) Albissola/ Celle 5) Celle 6) Varazze 7) Piani d'Ivrea 8) Cogoleto 1 9) Cogoleto 2 10) S. Ermete 11) Bossarino 12) Massapè / Quiliano 13) Zinola / Vado 14) Cadibona 15) Monte Moro 16) Lavagnola 17) Stella 18) Albissola Sup. 19) Casanova

Pendio detritico alluvionale Pianura alluvionale recente marino-torrentizia Deposito fluvio-marino Versante eluviale su conglomerato olocenico Piano di alluvione terrazzata Pendio eluvio detritico Ripiano eluvio detritico terrazzato Piano di alluvione marina Pendio detritico eluviale di roccia calcarea Alluvione recente Alluvione antica argillificata Piano d'alluvione olocenica Pendio detritico eluviale Pendio eluviale Pendio eluviale Piano d'alluvione fluviale antica Pendio roccioso Piano alluvionale antico Fascia d'alluvione recente

7,2 7,2 6,8 7,1 7,1 5,2 7,2 6,7 6,3 7,2 6,7 5,8 6,9 6,4 7,4 7,0 7,0 7,2 7,1

Calcare Materiale Azoto Fosforo Potassio (‰) argilloso totale solubile solubile (‰) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) Tracce 729,2 1,61 0,17 0,16 108 898,4 1,75 0,35 0,24 Assente 688,8 1,47 0,16 0,06 Tracce 786,2 1,89 0,17 0,05 Tracce 462,4 1,33 0,16 0,08 Assente 541,4 1,47 0,10 0,21 Tracce 369,4 2,54 0,14 0,22 Assente 439,8 1,89 0,18 0,21 Assente 508,8 1,75 0.30 0,24 35 385,6 1.89 1,56 0,06 Assente 608,2 2,52 0,37 0,62 Assente 512,6 1,26 0,09 0,08 Assente 444,4 2,59 0,39 0,38 Assente 508,6 1,69 0,33 0,05 Tracce 724,6 1,68 0,43 0,14 Tracce 469,6 3,57 1,82 1,07 Tracce 426,4 2,03 0,33 0,45 Tracce 482,2 1,75 0,61 0,19 Tracce 612,8 1,89 0,53 0,37


INQUADRAMENTO AMBIENTALE

CLIMATOLOGIA Le aree costiere dell'Albenganese e del Savonese si distinguono per un clima generalmente mite, anche se più freddo e ventilato di quello del vicino Ponente Ligure nella stagione invernale. È tuttavia da tenere presente che ciascuna località si caratterizza per un microclima particolare conseguenza di alcuni fattori principali quali: vallate che mettono in comunicazione le località costiere con le zone interne; anfiteatri montuosi che formano barriere ai venti di tramontana; capi che contrastano i venti marini; vicinanza dal mare. A titolo di esempio in Fig.1 sono riportati i dati medi trentennali relativi alle temperature massime, medie e minime ed alla piovosità di Albenga (capoluogo della maggiore pianura) e di capo Mele (promontorio sul mare) (4). Appare evidente come Albenga presenti temperature minime inferiori a quelle di Capo Mele, temperature estive superiori e più elevata piovosità. La piovosità è ben distribuita in entrambe le località; è scarsa nei soli mesi estivi. L'umidità relativa di Alberga (media mensile) è superiore al 70% durante tutto l'anno.

● Fig. 1 - Temperature massime, medie e minime mensili e piovosità di Albenga

e di Capo Mele.

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BIBLIOGRAFIA

Bibliografia 1. Luigi Peretti. L’Albenghese - Caratteri geolitologici. Supplemento agli Annali della Sperimentazione Agraria (1955), 2-18. 2. U.S. Salinity Laboratory Staff – Handbook N° 60, 1969. 3. Ettore Bottini. Studio chimico Agrario dei terreni della Liguria. Nota III. – Il Savonese. Annali della Sperimentazione Agraria (1958), vol. XII (2): 5-43. 4. www.meteo89.it/dati/liguria.htm.

(*) Si ringrazia il Dott. Stefano Pini del Laboratorio Regionale Analisi Terreni e Produzioni Vegetali di Sarzana (Servizio Produzioni Agricole, Promozione ed Assistenza Tecnica) per aver fornito i dati di 379 analisi chimico-fisiche del terreno relative alla zona di Albenga.

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ASPARAGO VIOLETTO d’ALBENGA Andrea Allavena, Enrico Dosoli, Agostino Falavigna

Introduzione Origine, diffusione ed importanza economica Caratteri botanici e biologici Esigenze ed adattamento ambientale La coltivazione Avvicendamento e lavori preparatori Produzione delle zampe ed impianto Concimazioni Controllo delle infestanti Irrigazione Interventi sulla coltura AvversitĂ e difesa Raccolta e produzione Il post-raccolta Fisiologia post-raccolta e conservazione Caratteristiche qualitative e nutrizionali Commercializzazione Utilizzo Bibliografia

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FOTO F. GIOBERTI


INTRODUZIONE

INTRODUZIONE Origine, diffusione ed importanza economica

L

a varietà di asparago Violetto d’Albenga è stata selezionata e conservata per molte generazioni dagli asparagicoltori albenganesi attraverso una metodologia ancora oggi in uso. In asparagiaie di almeno cinque anni, all’inizio del periodo produttivo sono individuate le piante (10-20 per 1000 m2) che producono i turioni con le caratteristiche desiderate: calibro grosso, numero possibilmente elevato e colore viola intenso. Le piante selezionate, di cui alcune sono femminili ed altre maschili, e che fioriscono in un periodo anticipato rispetto a quelle da cui i turioni vengono raccolti, si interincrociano ad opera di insetti impollinatori. Poiché tutti gli agricoltori adottano criteri selettivi simili, la fecondazione con polline esterno all’azienda, non pregiudica l’obiettivo della selezione, anzi evita l’eccessiva consanguineità, negativa ai fini produttivi. L’agricoltore, per i nuovi impianti utilizza esclusivamente il seme raccolto dalle proprie piante, ottenendo, dopo alcuni cicli, la propria popolazione di Violetto d’Albenga.

● Piante maschili e femminili selezionate all'inizio del periodo produttivo per la produzione di semente (foto Falavigna).

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INTRODUZIONE

● Particolare di pianta selezionata per la produzione di semente con tutore per evitare l'allettamento (foto Falavigna).

In passato esistevano popolazioni di Violetto d’Albenga diverse per intensità della colorazione e diametro dei turioni; purtroppo molte di esse attualmente sono irrimediabilmente perdute a causa della drastica riduzione del numero degli asparagicoltori. Dal punto di vista sistematico la varietà Violetto d’Albenga appartiene alla specie Asparagus officinalis L.; essendo però tetraploide (2n = 40 cromosomi) l’incrocio con le normali varietà diploidi origina progenie triploidi praticamente sterili. Progenie pienamente fertili si ottengono invece dall’incrocio con la specie tetraploide A. scaber Brign. sinonimo di A. maritimus Miller e di A. amarus De Candolle, spontaneo in diversi litorali del Mediterraneo e coltivato sul litorale del Cavallino in provincia di Venezia; la varietà è denominata Montina.

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INTRODUZIONE

In Europa una varietà tradizionale di asparago con turioni tendenzialmente viola, che deriva sicuramente da ibridazione tra A. officinalis ed A. scaber è “Morado de Huétor”, coltivato nell’omonima località dell’Andalusia in Spagna (1). L’ibridazione tra le due specie è avvenuta intorno agli anni ’30 del XX secolo, ma è tuttora possibile osservare grande variabilità tra le piante, una parte delle quali assomiglia ad A. scaber, mentre le altre sono morfologicamente simili ad A. officinalis. Molto variabile è anche il numero di cromosomi (da 30 a 50), il gusto più o meno amarognolo, il diametro più o meno grosso e il colore più o meno antocianico del turione (2). Anche la varietà Violetto d’Albenga potrebbe quindi derivare da ibridazione tra le due specie avvenuta probabilmente nel XVII secolo. Il lungo periodo di selezione, seguendo i criteri prima descritti, avrebbe permesso di eliminare i caratteri genetici indesiderati (es. gusto amarognolo, diametro piccolo dei turioni) e fissare quelli che oggi la caratterizzano, compreso il numero tetraploide di cromosomi. Come per altre produzioni tipiche locali, il futuro della coltura dell’asparago Violetto d’Albenga è legato alla capacità di far conoscere ed apprezzare le qualità peculiari del prodotto. Si può ragionevolmente prevedere che la registrazione dell’Indicazione Geografica Protetta per l’asparago Violetto d’Albenga, possa portare ad un raddoppio del consumo, stimato attualmente in 160 tonnellate, rendendo la coltura stessa economicamente conveniente e competitiva nei confronti delle colture concorrenti sul territorio della zona tipica di produzione.

● Turioni di A. scaber spontaneo in diversi litorali del mediterraneo (a sinistra), di Violetto d'Albenga (a destra) e del loro ibrido (al centro) (foto Falavigna).

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INTRODUZIONE

Caratteri botanici e biologici Oltre che per il genoma tetraploide, l’asparago Violetto d’Albenga si caratterizza per i turioni di colore viola intenso uniforme, calibro elevato, scarsissimo contenuto in fibra, gusto leggermente dolce e delicato, apice molto chiuso, brattee grandi, particolarmente aderenti; emissione relativamente tardiva in primavera. Gli steli molto alti (fino a 2,5 m), hanno un portamento espanso; i cladofilli sono lunghi 1-3 cm riuniti in 3-6 per verticillo, i fiori maschili e femminili sono lunghi circa 6-8 mm (dimensione circa doppia rispetto ai genotipi diploidi), inseriti singolarmente sulle ramificazioni primarie e secondarie. La parte ipogea della pianta di asparago è formata da un rizoma, da radici di riserva e di assorbimento. Le radici di riserva possono raggiungere nel Violetto d’Albenga un diametro di 1 cm ed una lunghezza di 2 metri e rimanere attive, salvo malattie o danni meccanici, per almeno 5 anni. Quando una radice di riserva è recisa, non cicatrizza ed il suo contenuto è riassorbito completamente da parte della pianta. Sulle radici di riserva si rinnovano annualmente quelle di assorbimento che presentano un diametro di circa 1 mm ed una lunghezza di 1-2 cm. L’insieme del rizoma e delle radici è detto comunemente “zampa”. Rispetto ai genotipi diploidi di asparago, il rizoma della varietà Violetto d’Albenga mostra un ritmo di accrescimento annuale più lento che permette una densità di investimento più elevata.

● Fiore maschile e femminile di asparago in cui sono ben sviluppati rispettivamente gli stami con le antere contenenti il polline e l'ovario con lo stilo e lo stigma (foto Falavigna).

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INTRODUZIONE

La varietà Violetto d’Albenga, analogamente a quelle diploidi, è dioica e perciò presenta 50% di piante maschili e 50% di piante femminili che producono rispettivamente polline e frutti. Questi ultimi sono bacche che a maturazione diventano rosse, raggiungono un diametro di 0,8-1,0 cm e contengono 1-3 semi il cui peso medio è di 27,5 mg. Rarissime sono le piante maschili andromonoiche in grado di produrre bacche e quindi semi. Le piante femminili sono chiaramente distinguibili da quelle maschili solo alla fioritura o per la presenza di bacche. Generalmente le piante maschili sono più precoci, produttive e longeve rispetto a quelle femminili; forniscono però turioni di calibro inferiore. Negli ultimi anni, alcune ditte sementiere hanno selezionato nuove varietà tetraploidi viola che derivano dal materiale genetico tradizionalmente coltivato ad Albenga. Le nuove costituzioni presentano caratteri molto simili al materiale originario. La coltura dell’asparago è poliennale con un ciclo variabile da 7-8 fino a 15 anni ed annualmente è caratterizzata da tre distinte fasi: produttiva, vegetativa e di riposo invernale. Durante la fase vegetativa, la pianta sintetizza i composti organici che in parte sono accumulati nelle radici come riserva ed in parte utilizzati per differenziare nuove radici e gemme sul rizoma sotterraneo. Le sostanze di riserva più importanti sono carboidrati e più precisamente fruttani con numero di polimerizzazione compreso tra 5 e 24; seguono amminoacidi liberi, altre sostanze organiche ed elementi minerali (3). In autunno, l’abbassamento della temperatura e la riduzione del fotoperiodo inducono la pianta ad entrare nella fase di riposo invernale. Il risveglio vegetativo è indotto quando il terreno raggiunge un’adeguata temperatura. I turioni si sviluppano dalle gemme differenziate nell’anno precedente, utilizzando esclusivamente le sostanze di riserva accumulate nelle radici; pertanto durante il periodo di raccolta, la pianta assorbe dal terreno quasi esclusivamente l’acqua. Terminata la raccolta, i turioni emessi evolvono a steli che raggiungono il pieno sviluppo utilizzando ancora le sostanze di riserva; solo quando i cladofilli sono pienamente sviluppati, inizia la sintesi e la traslocazione dei fotosintetati verso l’apparato radicale. In condizioni ottimali di coltura (assenza di malattie fogliari ed erbe infestanti, equilibrato apporto di elementi nutritivi e di acqua), l’accumulo delle sostanze di riserva è completo dopo 4 mesi circa di piena attività fotosintetica (4). Se per qualsiasi motivo l’accumulo è insufficiente, nella primavera successiva l’agricoltore deve ridurre la quantità di turioni raccolti affinché gli steli emessi possano trovare nelle radici riserve sufficienti per raggiungere lo sviluppo necessario per riattivare la sintesi di sostanze di riserva. Se la quantità di riserve asportate attraverso i turioni raccolti è uguale od addirittura superiore a quella della riserve accumulate nella precedente stagione, la pianta deperisce ed è più facilmente aggredita da marciumi radicali provocati da Fusarium.

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INTRODUZIONE · LA COLTIVAZIONE

Esigenze ed adattamento ambientale La varietà d’asparago Violetto d’Albenga essendo stata riprodotta e selezionata in loco, è adattata alle condizioni pedoclimatiche ed alla tradizionale tecnica colturale della zona di Albenga. Quando ci si allontana dalle condizioni ottimali di coltivazione la coltura necessita di maggiori interventi chimici (soprattutto concimazioni e trattamenti per la difesa dai parassiti). Di seguito sono riportate le principali esigenze pedoclimatiche. Terreno. Deve essere molto profondo, fertile, bene areato, tendenzialmente sabbioso, assolutamente privo di ristagni d’acqua, con una falda freatica ad almeno 1,5 m di profondità, irrigabile. Temperatura. Durante il periodo invernale la pianta, a livello radicale (o della zampa), sopporta bene temperature di qualche grado inferiori a zero. Per l’emissione dei turioni, il Violetto d’Albenga è più esigente rispetto alle varietà diploidi e richiede una temperatura del suolo superiore ai 12°; inoltre temperature dell’aria vicine allo zero bloccano l’allungamento del turione e ne aumenta il contenuto in fibra. Durante la fase vegetativa temperature comprese tra 23 e 28°C sono ottimali per l’attività fotosintetica e la traslocazione dei fotosintetati nelle radici; sopra i 36°C tale capacità è fortemente rallentata. Umidità dell’aria. Nel periodo vegetativo i valori elevati di umidità relativa e la permanenza di rugiada sono condizioni che facilitano gli attacchi di ruggine e stemfiliosi a cui la varietà Violetto d’Albenga è molto sensibile. Pertanto le zone più vocate alla coltura sono quelle caratterizzate da una buona movimentazione dell’aria e scarsa persistenza della rugiada sulla vegetazione.

LA COLTIVAZIONE Avvicendamento e lavori preparatori È consigliabile non impiantare l’asparago sui terreni che negli anni precedenti hanno ospitato piante sensibili al “mal vinato” (Rhizoctonia violacea) come patata e carota. Per il reimpianto della coltura sullo stesso terreno è consigliabile attendere almeno 3 anni, allo scopo di abbassare la concentrazione di spore dei funghi patogeni del genere Fusarium. È inoltre opportuno accertare la completa distruzione dei residui radicali che sono parzialmente tossici per le nuove piante. L’obiettivo principale delle lavorazioni è rendere il terreno penetrabile anche in profondità dalle radici, per aumentare la possibilità della pianta di assorbire acqua

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LA COLTIVAZIONE

ed elementi nutritivi. L’aratura del terreno deve perciò essere la più profonda possibile, senza portare in superficie strati non fertili. In caso di aratura poco profonda è consigliabile eseguire la ripuntatura del terreno per smuoverlo fino a circa un metro di profondità. Poco prima dell’impianto, per le lavorazioni superficiali del terreno sono adatti erpici e vangatrici meccaniche; le frese sono invece sconsigliate.

Produzione delle zampe ed impianto L’impianto delle nuove colture avviene utilizzando generalmente “zampe” che si ottengono da semine effettuate l’anno precedente. Per il vivaio deve essere scelto un terreno su cui l’asparago non è mai stato coltivato, sabbioso e sciolto. Ogni 1000 m2 di vivaio è consigliabile somministrare circa 10 t di letame molto maturo, che può essere sostituito con 300 kg di concime organico in pellet. Prima della preparazione del letto di semina si consiglia l’ulteriore aggiunta di 20 kg di azoto sotto forma di concime chimico a cessione programmata.

● Vivaio di asparago. La scelta del terreno, la concimazione e l'apporto d'acqua adeguati, il controllo delle infestanti, degli insetti e delle malattie, sono fondamentali per l'ottenimento di zampe di buona qualità (foto Falavigna).

La semina avviene verso la fine di marzo su prose appena rialzate da terra in file distanti almeno 40 cm, collocando un seme ogni cm ad una profondità di circa 2 cm. Per ottenere zampe di adeguata qualità sono necessari, durante l’intero ciclo vegetativo, il perfetto controllo delle erbe infestanti, degli insetti terricoli e delle malattie dell’apparato aereo, oltre ad un equilibrato apporto di acqua.

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LA COLTIVAZIONE

A fine inverno le zampe sono estirpate manualmente con una forca, oppure con l’ausilio di una macchina scavatuberi. Prima della messa a dimora le zampe devono essere separate singolarmente evitando ferite sul rizoma. È generalmente sconsigliato accorciare le radici; mentre è necessario verificare l’assenza di infezioni da Fusarium spp. visibili come imbrunimenti dei tessuti. Le zampe infette devono essere scartate; se la loro percentuale è superiore a 5-7% è opportuno eliminare tutta la partita. Allo scopo di evitare la penetrazione di Fusarium attraverso le ferite sulle radici e sul rizoma, è opportuno trattare le zampe, immergendole per 15’ in una soluzione acquosa contenente 200 g/hl di Benomil oppure ipoclorito di sodio (1% di cloro attivo). Le zampe devono essere trapiantate il più presto possibile; l’eventuale conservazione per alcuni giorni deve avvenire a 2°C e 90% di umidità relativa. All’impianto le zampe sono collocate sul fondo di solchi profondi circa 20 cm. Si procede alla copertura con la terra proveniente dal solco successivo. Il sesto di impianto più frequente prevede una distanza sulle file di 20-25 cm ed una distanza tra le file di 35-50 cm.

● Zampa di asparago infetta da Fusarium. Si notino le radici imbrunite e traslucide (foto Falavigna).

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LA COLTIVAZIONE

● Sopra, asparago coltivato sotto tunnel, ● Sopra, asparago coltivato sotto tunnel, cinquanta giorni circa circadall'impianto dall'impianto cinquanta giorni (foto (foto Galbussera). Galbussera).

● A destra, asparago coltivato sotto tunnel. Terminata la raccolta, sono in fase di formazione le fronde che ● A destra, asparago coltivato sotto tunnel. Terminata la raccolta, sono in fase di formazione le fronde che contribuiranno alla sintesi delle sostanze di riserva (foto Galbussera).

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LA COLTIVAZIONE

contrie ostanze di riserva (foto Galbussera).

Concimazioni

Per la concimazione di fondo è necessario considerare che la coltura è poliennale con apparato radicale che esplora il terreno almeno fino ad un metro di profondità. Inoltre si deve tener presente che gli elementi minerali fosforo e potassio sono poco mobili nel terreno; per contro l’azoto è facilmente dilavabile. All’aratura, si consiglia pertanto di interrare quantità di sostanza organica, fosforo e potassio tali da assicurare una buona disponibilità per almeno i primi 4 anni di coltivazione. È opportuno eseguire l’analisi chimica per accertare, anche in profondità nel terreno, se la dotazione di fosforo, potassio e sostanza organica è adeguata. Per la realizzazione delle coltivazione di asparago sono considerati livelli medi di dotazione quelli compresi tra: 25 e 30 ppm per il fosforo espresso come P2O5 assimilabile; 102 e 144 ppm per il potassio espresso come K2O scambiabile; 0,8 e 1,3% per la sostanza organica. Sulla base dei risultati dell’analisi chimica del terreno, la quantità di fertilizzanti da apportare prima dell’aratura del terreno sono riportate in tabella 1. ● Tab. 1 - Quantità di fosforo (P2O5), potassio (K2O) e sostanza organica (stallatico molto maturo) che è consigliato somministrare all’impianto per 1000 m2, in funzione della dotazione del terreno rilevata sulla base di analisi. Dotazione del terreno Bassa Media Alta

P2O5 (kg) 15 10 5

K2O (kg) 30 20 10

Stallatico (t) 20 10 5

Lo stallatico può essere sostituito con altra sostanza organica, di cui però si deve conoscere la provenienza, la composizione chimica e l’assenza di elementi minerali o chimici indesiderati (es. metalli pesanti, composti tossici, ecc…). Il piano annuale di concimazione consigliato deve tener presente le quantità di elementi minerali assorbite dalla pianta, quelle immobilizzate per reazioni chimiche o microbiologiche e quelle perse per percolazione, lisciviazione o ritorno all’atmosfera. Per la varietà Violetto d’Albenga le asportazioni operate dalla pianta, sono superiori rispetto a quelle di una normale coltura di asparago (5) a causa della maggiore produzione di turioni per unità di superficie investita (Tab. 2). ● Tab. 2 - Elementi nutritivi asportati annualmente dall’asparago Violetto d’Albenga (kg per 1000 m2 di terreno). Parte della pianta Apparato aereo Rizoma e radici Turioni (20 t/ha) Totale

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Azoto (N) 5,0 4,0 6,2 15,2

Fosforo (P2O5) 1,0 0,8 2,4 4,2

Potassio (K2O) 4,8 3,2 6,0 14,0

Calcio (CaO) 0,6 2,2 0,8 3,6

Magnesio (MgO) 0,15 0,22 0,20 0,57


LA COLTIVAZIONE

In base alla disponibilità dei principali elementi fertilizzanti, ed all’età della coltura, considerata una produzione media di 20 t/ha, i quantitativi consigliati sono riportati in Tab. 3. ● Tab. 3 - Quantitativi di sostanza organica (stallatico o equivalente in pellet), azoto minerale (N); fosforo (P2O5) e potassio (K2O) che è consigliato somministrare ogni 1000 m2 nell’anno di impianto e nei successivi. Fertilizzante Sostanza organica: stallatico (st) o pellet (pe) N (kg)

P2O5 (kg) K2O (kg)

Disponibilità nel terreno bassa media alta bassa media alta bassa media alta bassa media alta

anno di impianto(1) 0 0 0 20 15 10 0 0 0 0 0 0

Età asparagiaia 2° anno 4 st. o 0,5 pe. 2 st. o 0,2 pe. 0 20 10 10 15 10 5 20 15 10

3° anno e seguenti 4 st. o 0,5 pe. 2 st. o 0,2 pe 0 25 20 15 20 10 5 25 20 10

(1) Per la concimazione da effettuare all’impianto si veda la Tab.1

La sostanza organica ed i concimi fosfo-potassici possono essere distribuiti durante il periodo di riposo invernale ed interrati con mezzi meccanici. Anche i concimi azotati organo-minerali a lenta cessione possono essere apportati prima di iniziare la raccolta dei turioni; invece quelli a pronto o medio effetto (nitrici, ammoniacali, ureici) devono essere frazionati durante il periodo vegetativo tra giugno e settembre, cioè quando la pianta è in piena fase di assimilazione. Al fine di evitare sprechi ed eventuali danni all’ambiente, ogni apporto di concime non dovrebbe superare i 50 kg/ha di azoto (N) per anno.

Controllo delle infestanti Le erbe infestanti possono limitare fortemente la produzione (quantità e qualità dei turioni) e la durata economica di un’asparagiaia (indebolimento delle piante), poiché competono per lo spazio, la luce, l’acqua e gli elementi nutritivi. Il controllo delle malerbe deve essere particolarmente efficace anche perché con il passare degli anni i semi delle erbe annuali e gli organi di propagazione vegetativa di quelle perenni aumentano in modo esponenziale rendendo sempre più difficile il controllo. Il diserbo chimico, quando eseguito correttamente ed integrato da lavorazioni meccaniche o scerbature manuali, consente un controllo molto efficace delle infestanti nell’asparagiaia permettendo di ottenere un prodotto privo di residui.

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LA COLTIVAZIONE

Nella scelta del principio attivo da utilizzare vanno adeguatamente valutati: l’età della asparagiaia (impianti giovani, impianti in piena produzione); l’epoca di intervento (pre-emergenza, fine raccolta, copertura); le erbe da controllare (annuali, perenni). Viene riportato di seguito il diserbo consigliato nelle più comuni fasi della coltura. È necessario però considerare che in futuro nuovi principi attivi possono essere proposti, mentre alcuni di quelli adesso consigliati, possono essere non più ammessi sull’asparago. L’agricoltore inoltre può utilizzare prodotti alternativi a quelli indicati (sempre se ammessi sulla coltura), soprattutto se più adatti a particolari casi. Negli impianti in produzione, il diserbo eseguito prima dell’emergenza dei turioni, deve rigorosamente tenere presenti i tempi di carenza del principio attivo utilizzato (riportato sulle confezioni di prodotto); inoltre durante il periodo di raccolta non devono essere distribuiti diserbanti, compresi quelli che non prevedono tempi di carenza. • Dopo la messa a dimora delle zampe e nell’anno successivo prima dell’emergenza dei turioni: Pendimetalin (2,5 l/ha di formulazione commerciale al 31,7% di principio attivo) + Oxadiazon (1,5 l/ha di formulazione commerciale al 34,1% di principio attivo). • In post emergenza delle infestanti (fino alla quarta foglia vera) dopo il superamento della crisi di trapianto dell’asparago: Metribuzin (0,5 kg/ha di f.c. al 35% di p.a.). • In qualsiasi momento del periodo vegetativo contro graminacee (comprese gramigna e sorgagna): Cycloxydim, Haloxyfop-R-methyl estere, Propaquizafop. • In preemergenza dei turioni (impianti giovani od in produzione): Oxadiazion (2 l/ha di f.c. al 34,1% di p.a.) eventualmente miscelato con Glifosate (5 l/ha di f.c. al 30,4% di p.a.) • Subito dopo l’ultima raccolta della stagione e dopo aver eliminato anche i turioni non commerciabili o appena emersi dal terreno: Pendimetalin (2 l/ha di f.c. al 31,7% di p.a.) + Oxadiazon (3 l/ha di f.c. al 34,1% di p.a.) • In post emergenza sia dell’asparago che delle erbe infestanti (al massimo fino a 4 foglie vere): Metribuzin (0,7 kg/ha di f.c. al 35% di p.a.).

Irrigazione La giusta disponibilità di acqua nel terreno contribuisce a migliorare la capacità fotosintetica delle piante durante la fase vegetativa, la traslocazione e l’accumulo delle sostanze di riserva nelle radici; per contro la carenza idrica, oltre ad influenzare negativamente questi tre aspetti, contribuisce ad indebolire la pianta rendendola più vulnerabile agli attacchi dei Fusaria. Il sistema di irrigazione attraverso ala gocciolante è da preferire a quello per aspersione perché: permette di economizzare l’acqua; evita di bagnare la vegetazione estiva che rimane perciò più sana; consente di apportare l’azoto attraverso fertirrigazione. L’irrigazione per scorrimento o per sommersione può essere adottata per terreni molto permeabili dove l’acqua non ristagna neanche per poche ore.

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LA COLTIVAZIONE

Dopo il trapianto delle zampe, in mancanza di precipitazioni, è necessario intervenire con l’irrigazione di soccorso per bagnare bene il terreno fino a livello del rizoma (200-250 m3/ha). Durante la raccolta dei turioni l’umidità del terreno deve rimanere su valori medi; per le coltivazioni in pien’aria generalmente questa situazione si verifica attraverso le normali precipitazioni e la risalita capillare di acqua dagli strati più profondi; mentre per le coltivazioni in ambiente protetto può essere necessario intervenire con l’irrigazione. Nel periodo vegetativo le esigenze idriche della coltura corrispondono circa all’evaporazione di acqua da vasca di classe A (evapotraspirazione potenziale) moltiplicata per un coefficiente variabile da 0,5 ad 1,0 in base al livello di copertura del terreno da parte della fronda estiva. Al valore calcolato è necessario togliere le precipitazioni naturali e la quantità di acqua resa disponibile in altro modo nel terreno (6). In annate normali l’apporto di acqua attraverso irrigazione inizia 2-3 settimane dopo la fine della raccolta e termina dopo i primi temporali di settembre. Gli interventi saranno di 250-300 m3/ha.

Interventi sulla coltura A fine inverno ogni anno il terreno, dopo che è stato concimato e lavorato in superficie, viene coperto con circa 2 cm di sabbia possibilmente di fiume (quella di cava è meno adatta) che ha lo scopo di ridurre il compattamento, facilitare l’emergenza dei turioni e controllare la nascita di erbe infestanti annuali.

● Fronde di asparago nella stagione estiva. Un buon sviluppo delle fronde e la sanità delle stesse è essenziale per favorire la sintesi delle sostanze di riserva che saranno trasferite nelle radici e garantiranno una buona produzione nella stagione successiva (foto Allavena).

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LA COLTIVAZIONE

Durante la fase vegetativa, la parte distale degli steli più alti può essere recisa per evitare il loro allettamento o rottura a seguito di vento o di pioggia abbondante. Al termine di ciascuna stagione vegetativa (novembre-dicembre) gli steli delle piante, ormai completamente secchi, devono essere recisi a livello del terreno ed allontanati dal campo. È sconsigliato disintegrare gli steli e lasciare i residui sul campo, a causa del notevole incremento di erbe infestanti, di patogeni e parassiti.

Avversità e difesa Un’efficace difesa della coltura da patogeni e parassiti è particolarmente importante perché limita non solo i danni diretti, ma anche le conseguenze negative sia sulla resa produttiva sia sulla qualità dei turioni (più sottili) nell’anno successivo. Inoltre ripetuti attacchi portano la pianta a precoce invecchiamento ed a maggiore suscettibilità verso i marciumi delle radici e del rizoma provocati dai Fusaria. L’osservazione delle condizioni fitosanitarie della coltura, la quantificazione dei patogeni e dei parassiti e la conoscenza del loro ciclo biologico, sono indispensabili per impostare un programma di lotta integrata economico, efficace e rispettoso sia dell’ambiente sia del consumatore (Tab. 4). Ruggine. La varietà Violetto d’Albenga è particolarmente sensibile a questa malattia fungina e subisce quasi tutti gli anni attacchi più o meno precoci durante l’estate. L’agente causale Puccinia asparagi svolge l’intero ciclo biologico sull’asparago producendo in successione: basidiospore, picnidiospore ed ecidiospore in primavera; uredospore in estate e teleutospore in autunno (forma svernante). Ai fini della difesa integrata è molto importante conoscere le condizioni che predispongono la pianta all’infezione. Quando la vegetazione è asciutta le uredospore non germinano; mentre in presenza di acqua (anche sotto forma di rugiada) la germinazione avviene tra i 2 ed i 30°C; per i valori più bassi occorrono 24 ore, mentre già a 15°C sono sufficienti solo 3 ore. Nella zona di Albenga le condizioni favorevoli all’attacco si verificano in estate dopo un intervento irriguo a pioggia o dopo un temporale. Stemfiliosi. L’agente causale di questa malattia è il fungo patogeno Stemphylium vesicarium (anamorfo di Pleospora herbarum [Pers. et Fr.] Rabh) che tutti gli anni attacca le coltivazioni di Violetto d’Albenga. Sugli steli estivi e sui cladofilli le spore germinano in condizioni di elevatissima umidità relativa (95-100%) per almeno 24 ore, penetrando solo attraverso gli stomi aperti. Sui cladofilli i sintomi si manifestano come tacche necrotiche puntiformi con alone giallo; mentre sugli steli le tacche ellittiche sono larghe 1-2 mm e lunghe 4-10 mm con margine violaceo. I cladofilli colpiti cadono dopo circa 7 giorni dall’infezione.

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LA COLTIVAZIONE

In presenza di inoculo, gravi attacchi di stemfiliosi si verificano con temperature comprese tra 20 e 25°C, quando ad un giorno piovoso (almeno 15-20 mm di pioggia) seguono 2-3 giorni con cielo coperto e foschie mattutine. Temperature superiori a 25°C limitano invece l’attacco del fungo. Fusariosi. È la malattia più temuta dagli asparagicoltori perché è la principale causa della perdita di vigore e precoce invecchiamento delle piante. Le spore di Fusarium oxysporum (Schlecht) Snyd. & Hans. f. sp. asparagi possono trovarsi sull’epidermide del seme che può quindi trasmettere la malattia alle zampe prodotte nel vivaio. L’infezione causa il marciume delle radichette di nutrizione, che presentano una colorazione rosso porpora, e può estendersi al tessuto vascolare delle radici di riserva o all’interno del rizoma. Fusarium moniliforme (Scheld.) Snyd. & Hans. produce una aggressiva e penetrante infezione del rizoma e risulta la specie più frequente e virulenta in Italia. Fusarium culmorum è responsabile delle lesioni provocate sugli steli estivi a livello del terreno dove l’epidermide evidenzia lesioni rossastre, mentre la rimanente parte dello stelo ingiallisce lentamente e muore. F. oxysporum può conservarsi sotto forma di clamidospore per diversi anni nel terreno dove si diffonde molto lentamente; F. moniliforme produce spore aeree sugli steli infetti favorendo quindi una rapida infezione della coltura; la specie può anche sopravvivere sui residui di precedenti colture e dar luogo a severa infezione in impianti di asparago in successione. La pianta di asparago può essere in grado di tollerare le due specie terricole di Fusarium (F. oxysporum e F. moniliforme) senza manifestare sintomi, fino a quando uno o più fattori agronomici avversi, inducendo stress, favoriscono l’insediamento e lo sviluppo del micelio fungino all’interno dei tessuti. A questo punto il fungo diventa aggressivo ed anche se vengono ristabilite le condizioni ottimali, la malattia progredisce portando la pianta ad un lento, inarrestabile declino. Gli stress che finora si sono mostrati concausa degli attacchi dei Fusaria sono: siccità, ristagno idrico, periodi di raccolta più lunghi delle reali potenzialità produttive, ripetuti attacchi da parte di patogeni fogliari quali ruggine e stemfiliosi, ritorno in tempi ravvicinati della coltura sullo stesso terreno, elevata infestazione di erbe, reazione acida del terreno (7). Mal vinato. È la malattia dell’apparato radicale causata da Rhizoctonia violacea, un fungo patogeno anche per carota, patata, barbabietola e medica. L’infezione si manifesta sulle radici come filamenti violacei che formano dei piccoli sclerozi denominati “corpi miliari” dai quali il fungo penetra all’interno dei tessuti radicali. La pianta attaccata deperisce lentamente e muore, trasmettendo la malattia alle piante più vicine. La zona infetta si allarga di circa un metro per anno, ma la distanza aumenta in caso di contemporaneo attacco di Fusarium.

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LA COLTIVAZIONE

Cosside dell’asparago. (Hypopta caestrum Hbn). È l’insetto più frequente e dannoso alle coltivazioni di asparago in Liguria. Gli adulti sfarfallano in giugno e le femmine, provviste di un lungo ovopositore di sostituzione, depongono le uova nel terreno vicino alle piante in gruppi di 10-50 elementi (complessivamente 300-400). Dopo una incubazione di 25-30 giorni nascono le larve che penetrano nelle gemme sotterranee e nelle radici svuotandole; raggiunta la maturità in settembre-ottobre, le larve penetrano nel terreno fino a 30-40 cm ed entro una celletta tessono un bozzolo ovale appiattito, da cui usciranno nella successiva primavera a fine aprile-primi di maggio per risalire fino a 1-2 cm sotto la superficie del suolo, dove costruiscono un bozzolo cilindrico di seta misto a particelle di terra ove incrisalidano. La ninfosi dura circa un mese. Mosca dell’asparago. (Platyparea poeciloptera). Gli adulti, di colore bruno scuro lucente con il capo giallo rosso, sfarfallano da aprile a giugno ed ogni femmina depone circa 150 uova all’apice dei turioni; le larve scavano gallerie ed arrivano sul rizoma dove si impupano. Durante la raccolta generalmente i turioni non sono visibilmente danneggiati, in quanto l’uovo dell’insetto non ha il tempo sufficiente per dischiudersi; a fine raccolta invece i turioni colpiti danno origine a steli deformati e perciò quasi inutili ai fini dell’attività fotosintetica. Afide dell’asparago. (Brachycorynella asparagi). È un afide che svolge un olociclo monoico sull’asparago e sverna come uovo deposto sugli steli a livello del suolo. Ad inizio primavera nasce una fondatrice partenogenetica di colore verde, lunga 1 mm, molto feconda che genera nuove femmine partenogenetiche, vivipare, inizialmente attere, poi alate. Queste femmine formano colonie numerosissime sui rametti e sui cladofilli. Gli steli, infestati durante l’accrescimento anche da pochi individui, assumono una forma nana e densa di cladofilli, condizione negativa per la fotosintesi e positiva per l’ulteriore diffondersi del fitofago. Criocere. (Crioceris asparagi L. e Crioceris duodecimpunctata L.). Entrambe le specie appartengono all’ordine dei coleotteri; gli adulti (lunghi circa 6 mm) si distinguono per la diversa colorazione delle ali: scure, con 6 puntini chiari e rosse, con 12 puntini neri rispettivamente. Le criocere svernano nel terreno; compaiono in aprile per deporre le uova in maggio-giugno sui turioni o sui giovani steli dove schiudono dopo 3-8 giorni. Le larve vivono a spese della pianta, raggiungono la maturità in 15-20 giorni, scendono nel terreno e si impupano entro una celletta. In luglio-agosto sfarfallano gli adulti che danno origine alla seconda generazione. Nella coltivazione di Violetto d’Albenga questi due fitofagi compaiono tutti gli anni, ma raramente l’infestazione è tale da richiedere il controllo attraverso un trattamento chimico.

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LA COLTIVAZIONE

● Tab. 4 - Avversità più importanti della coltura dell’asparago Violetto d’Albenga ed interventi consigliati per il loro controllo. AVVERSITÀ Ruggine (Puccinia asparagi)

PRINCIPI ATTIVI Ossicloruro di rame Poltiglia bordolese Idrossido di rame Ciproconazolo Azoxystrobin (1)

Stemfiliosi (Stemphylium vesicarium)

Ossicloruro di rame Poltiglia bordolese Idrossido di rame Difenoconazolo (1) Azoxystrobin (1)

Fusariosi (Fusarium oxysporum f. sp. asparagi; Fusarium roseum; Fusarium moniliforme);

Benomil (2) Carbendazim (2)

Mal vinato (Rhizoctonia violacea)

Cosside dell’asparago (Hypopta caestrum)

Phosphamidon

Mosca dell’asparago (Platyparea poeciloptera)

Dimetoato

Afide dell’asparago (Brachycorynella asparagi)

Criocere (Crioceris asparagi, Crioceris duodecimpunctata)

Piretrine

Carbaryl Fenitrothion

TIPI DI INTERVENTO Interventi agronomici Asportare dal campo in autunno la parte aerea (al fine di abbassare il potenziale d’inoculo). Interventi chimici I prodotti rameici svolgono azione preventiva; i trattamenti iniziano 30-40 giorni dopo l’ultima raccolta dei turioni e ripetuti ogni 15 giorni fino a fine settembre. Ciproconazolo ed azoxystrobin hanno azione curativa; i trattamenti vanno iniziati alla comparsa delle prime infezioni estive e ripetuti ogni 20 giorni. Interventi agronomici Asportare dal campo in autunno la parte aerea (al fine di ridurre il potenziale d’inoculo). Interventi chimici I trattamenti iniziano quando le condizioni climatiche sono favorevoli al patogeno (umidità elevata e temperatura inferiore a 25°C); i prodotti rameici svolgono azione preventiva e vanno distribuiti ogni 15 giorni; difenoconazolo ed azoxystrobin hanno azione curativa ed un’efficacia di circa 20 giorni, perciò il trattamento va ripetuto al massimo dopo 3 settimane. Interventi agronomici Impiegare zampe sane e disinfettate prodotte solo su terreni scelti e controllati durante tutte le fasi colturali; riportare la coltura sullo stesso terreno almeno 3 anni dopo la precedente; attendere almeno 3 anni prima di reimpiantare l’asparago sullo stesso terreno. Interventi agronomici Avvicendare la coltura con altre poco suscettibili. Impiegare zampe sane. In presenza di focolai di malattia, estirpare e distruggere tempestivamente sia le piante malate che quelle vicine. Interventi agronomici Raccolta o distruzione dei bozzoli attraverso lavorazione superficiale del terreno. Cattura degli adulti. Interventi chimici 1 solo trattamento 10-15 giorni dopo la fine della raccolta (sfarfallamento adulti). Interventi agronomici Asportazione della vegetazione in autunno. Interventi chimici Dopo la fine della raccolta, solo quando con una trappola cromotofora ogni 1000 m2 si catturano più di 5 esemplari in una settimana. Interventi agronomici Asportazione della vegetazione in autunno. Interventi chimici Alla comparsa delle prime femmine partenogenetriche. Solo in caso di forte infestazione larvale sulla vegetazione.

(1) Principi attivi efficaci sia per ruggine che per stemfiliosi; per evitare l’insorgenza di resistenze nel patogeno, è opportuno alternare i principi attivi. (2) Ammessi ed utili solo per trattamento ai semi od alle zampe prima del trapianto.

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FOTO R. GALBUSSERA


LA COLTIVAZIONE

Raccolta e produzione

● Turioni, di buona pezzatura e qualità, quasi pronti per la raccolta. Si noti lo strato di sabbia grossolana che ricopre il campo (foto Allavena).

L’inizio del periodo di raccolta dei turioni in primavera dipende dalla temperatura del terreno e dell’aria; nella zona di Albenga esso cade verso la metà di febbraio in ambiente protetto non riscaldato e la fine di marzo in pien’aria. L’ultima raccolta invece deve avvenire quando nelle radici è ancora presente una quantità di riserve sufficiente per formare steli vigorosi ed alti come quelli dell’anno precedente. Generalmente, l’anno dopo l’impianto non si raccoglie; nell’anno successivo la raccolta avviene esclusivamente in pieno campo (per non sfruttare troppo la pianta) e termina il 20 maggio. Per le colture sane in piena produzione (3 anni o più dopo l’impianto), la raccolta termina verso i primi di maggio, in coltura protetta, e la metà di giugno in pien’aria. Se l’anno precedente la coltura aveva mostrato scarso vigore, oppure se la vegetazione estiva era stata danneggiata da grandine, siccità, malattie, fitofagi od erbe infestanti, il termine della raccolta dovrà essere anticipato in modo proporzionale al danno. Un utile riferimento per decidere di terminare la fase produttiva si basa sulla variazione del diametro dei turioni. Quando per almeno 3 raccolte di seguito il calibro medio tende a diminuire, è arrivato il momento di sospendere la raccolta. Un asparagiaia, in buone condizioni, a partire dal 4° anno dall’impianto produce circa 2 t/1000 m2 di prodotto commerciale all’anno, corrispondenti a 30-50 kg/1000 m2 ad ogni singola raccolta. Il turione di Violetto d’Albenga viene tagliato poco sopra il rizoma (10 cm circa sotto il livello del terreno), quando raggiunge un’altezza fuori terra di circa 15 cm.

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LA COLTIVAZIONE

â—? Raccolta di turioni in pieno campo con apposito strumento (in alto). La raccolta può essere effettuata anche scalzando il turione per agevolare il successivo distacco manuale dello stesso mediante torsione (in basso) (foto Galbussera).

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IL POST-RACCOLTA

IL POST-RACCOLTA Fisiologia post-raccolta e conservazione Dopo la raccolta il turione perde rapidamente le proprie caratteristiche qualitative essendo caratterizzato da una intensa attività respiratoria. Pertanto il veloce abbassamento della temperatura e l’elevata umidità dell’ambiente di conservazione sono molto importanti per ridurre l’attività respiratoria dei turioni appena raccolti. In campo i turioni dovrebbero essere collocati in casse e immediatamente coperti con teli bagnati. Se non sono immediatamente confezionati, dovrebbero essere refrigerati con aria forzata a 4°C e 95% di umidità. Dopo lavorazione e confezionamento, la conservazione dei turioni può avvenire, alle condizioni ambientali citate, per circa 1 settimana senza un apprezzabile deterioramento della qualità; invece a 13°C, dopo soli 4 giorni diminuiscono gli zuccheri (7%), la sostanza secca (8%) e l’acqua (7%); per contro aumenta il contenuto in fibra (4%) e la lunghezza del turione (22 mm).

Caratteristiche qualitative e nutrizionali Il valore nutritivo e la composizione chimica media dei turioni di asparago coltivato è la seguente: • Calorie 150-250 per kg; glucidi 3,5% (fruttosio, pentosani, esosani, ecc.); proteine ed amminoacidi liberi 2,2%; fibre 1,5%. ˙• Vitamine (per kg di prodotto): C (300 mg); proA (4 mg); B1 (2 mg); B2 (1,9 mg); B3(PP) (10 mg); B5 (6 mg); B6 (0,6 mg); B8 (biotina) (0,02 mg); B9 (0,9 mg); E (8 mg). • Elementi minerali (per kg di prodotto): Sodio (30 mg); Potassio (2 g); Cloro (0,4 g); Magnesio (120 mg); Calcio (0,2 g); Fosforo (0,7 g); Ferro (11 mg); Zinco (3,2 mg); Rame, Manganese, Iodio (0,02 mg). Medici ed igienisti di tutti i tempi hanno riconosciuto all’asparago importanti virtù salutistiche, tanto che il botanico Linneo attribuì alla specie più comune il nome “officinalis”. Recenti studi dimostrerebbero che i turioni di asparago possiedono diverse attività biologiche quali: antifungine, antimutagene, antitumorali e antivirali. In turioni sono state recentemente identificate saponine con attività inibitrice nei confronti di linee cellulari cancerogene; sostanze antiossidanti solubili in lipidi (tocoferoli) o in acqua (quercetina); flavonoidi con spiccata azione antiradicali liberi (8). Il caratteristico odore dell’urina prodotta dall’organismo umano dopo aver mangiato asparago, è determinato dalla produzione di metilmercaptano e di asparagina beta, derivati rispettivamente dal catabolismo dell’amminoacido metionina e dell’acido aspartico.

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IL POST-RACCOLTA

FOTO F. GIOBERTI

L’asparago è considerato un eccellente ortaggio anche per i seguenti motivi: • è un ingrediente delle diete vegetali ipocaloriche; • apporta quantità equilibrate di vitamine, sali minerali ed oligoelementi essenziali al funzionamento cardiaco e del sistema nervoso; • ha una forte attività diuretica per l’elevato rapporto Potassio/Azoto (200/2,5) ed è perciò consigliato per stimolare l’attività dei reni; sconsigliato alle persone con insufficienza renaria e cistiti; • stimola la muscolatura intestinale facilitando l’evacuazione.

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IL POST-RACCOLTA

Commercializzazione Al momento della vendita i turioni della varietà Violetto d’Albenga devono rispondere a tutte le norme contenute nel regolamento CE n° 2377/99 in vigore dal 1° gennaio 2002, con l’eccezione del colore e della lunghezza, che non rientrano nelle quattro categorie previste e dovrebbero quindi rappresentare una deroga. Il turione di asparago Violetto d’Albenga deve presentare un colore viola intenso ed uniforme per lunghezza variabile da 1/3 a 2/3; la rimanente parte (quella basale) deve essere bianca. I turioni, più lunghi rispetto alle varietà diploidi, variano da 25 a 37 cm. I rimanenti requisiti minimi di qualità sono: turioni interi, sani, freschi, puliti, asciutti, privi di parassiti o loro danni, senza odori e sapori estranei, tagliati di netto alla base. I turioni devono essere sempre confezionati e presentati in maniera adeguata; spesso vengono avvolti con fascette di materiale colorato che ne identificano la zona di provenienza. Il posizionamento della fascetta nella parte basale del mazzo non è consigliabile, poiché potrebbe mascherare eventuali difetti dei turioni e deprezzarne il valore commerciale.

Utilizzo Per l’utilizzazione in cucina la prima qualità da ricercare è la freschezza che è in relazione alla tenerezza e quindi alla quantità di parte edule del turione. Secondo un sapiente proverbio gli asparagi sono come il pesce azzurro: hanno quaranta qualità, ma ne perdono una all’ora. Al momento dell’acquisto il consumatore potrà accertare il livello di freschezza dei turioni osservandone il colore che deve essere brillante, la turgidità elevata (torcendoli si dovrebbero rompere facilmente provocando un piccolo schiocco), le punte ben chiuse, la base non lignificata e con taglio fresco. L’asparago Violetto d’Albenga è particolarmente pregiato per il gusto deciso, ma delicato ed un po’ dolce e per lo scarso contenuto in fibra che permette di utilizzare anche la parte basale bianca del turione. I turioni più grossi sono tendenzialmente meno fibrosi, ma oltre un certo limite (diametro superiore a 2 - 2,5 cm) appaiono meno adatti per i più comuni piatti. Per la cottura dei turioni, allo scopo di mantenere inalterata o quasi la loro composizione chimica è consigliato l’uso di vapore non in pressione.

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BIBLIOGRAFIA

Bibliografia 1. Espero Calvo J.A., Gonzales Fernandez J.L., 2000. El arte culinario del esparrago de Huétor Tàjar. Edito da Consejo Regulador Denominaciòn Especifica Esparrago de Huétor Tàjar. 2. Gonzàles Castañòn M.L., Schroeder M.B., 2002. Rapid detection of nuclear DNA amount and ploidy level in germlasms of Asparagus using flow cytometry. Proc. of the 10th International Asparagus Symposium. Ed. A. Uragami. Acta Horticulturae ISHS, 589: 193-199 3. Cairns A.J., 1992. A reconsideration of fructan biosynthesis in storage roots of Asparagus officinalis L. New Phytol, 120: 463-473. 4. Shelton D.R.., Lacy M.L., 1980. Effect of harvest duration on yield and on depletion of storage carbohydrates in asparagus roots. Amer. Soc. Hort. Sci., 105 (3): 332-335. 5. Kaufmann F., Kaufmann H.G., 1967. Indication sûr la fertilization minérale en culture d’asperge. Deutsche Gartenbau, 14: 160-162. 6. Thicoipe J.P., Adam D., Zuang H., 1977. Les besoin en eau de l’asperge. Pépiniéristes Horticultures Maraichers, 177 (5): 23-25. 7. Nigh E.L., Jr., 1990. Stress factors influencing fusarium infection in asparagus. Proceedings of the 7th International Asparagus Symposium. Eds. A. Falavigna, M. Schiavi. Acta Horticulturae ISHS, 271: 315-322. 8. Chin C.K., Garrison S.A., Ho C.T., Huang M.T., Shoo Y., Wang M., Simon J., 2001. Functional elements from asparagus for human health. Proc. of the 10th International Asparagus Symposium. Ed. A. Uragami. Acta Horticulturae ISHS, 589: 233-241.

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ASPARAGO VIOLETTO d’ALBENGA NOTE STORICHE E STATISTICHE

FOTO F. GIOBERTI

Riccardo Galbussera

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

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alla sua area di origine, la Mesopotamia, l'asparago si diffonde in epoca antica, come pianta officinale più che alimentare, prima in Grecia, da qui presso i Romani, poi in tutta Europa ed oggi è largamente coltivato in tutto il mondo. Dell'asparago scrivono Teofrasto, nel terzo secolo prima di Cristo; Plinio il Vecchio nella sua monumentale enciclopedica opera Naturalis historia del 79 a. C.; Columella nel De cultu hortorum, ed in particolare Catone il Censore che, in uno specifico capitolo del suo trattato De agri cultura, nel secondo secolo a. C., descrive dettagliatamente come deve avvenire la semina dell'asparago: Asparagus quo modo seratur (1). In epoca antica l’asparago, come testimonia il nome latino attribuito alla specie da Linneo (officinalis = farmaceutico), è molto apprezzato per le qualità terapeutiche. Le sue proprietà diuretiche sono già note nel primo secolo avanti cristo al medico greco Dioscoride. Plinio scrive che gli asparagi giovano alla vista, ai dolori di petto e di schiena e provocano il coito. Il medico greco Galeno, sostenitore di terapie mediche innovative rispetto alle tradizioni dei suoi tempi, ne cita nuovamente le proprietà un secolo più tardi dicendo che gli asparagi sono grati allo stomaco, fanno orinare e sanano il dolore di denti. Il medico arabo Abû Alî al-Husayn Ibn Abd Allah Ibn Sînâ, chiamato dai latini Avicenna, verso la fine del primo millennio dell'era cristiana, dice degli asparagi che fanno buon odore in tutto il corpo, ma fanno puzzare l’orina; proprietà nota a tutti ed attribuita dalla chimica moderna alla presenza di un metilmercaptano, che è appunto eliminato attraverso l'orina. Analoga osservazione ed altre sulle proprietà diuretiche dell'asparago, riporta, intorno all'anno 1000, Simeone Seth nel trattato Syntagma de cibarium facultate. In Italia la coltura dell’asparago come pianta alimentare è nota già in epoca tardo romana. Marziale, nel primo secolo dell'era cristiana, per lodare gli asparagi selvatici li definisce non meno buoni delle delicate punte provenienti dalla marittima Ravenna. Anche Plinio cita sia gli asparagi di bosco che quelli coltivati, dicendo che Ravenna ne produce di tali che tre raggiungono il peso di una libbra (2). Una più ampia diffusione dell'asparago come specie orticola e non solo essenzialmente officinale, risale al XV secolo ed ha inizio nelle regioni settentrionali: Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige per la produzione di turioni bianchi; Piemonte, Emilia Romagna e Toscana per turioni verdi, Liguria per turioni viola (3). La datazione sembra trovare conferma nel fatto che gli asparagi non compaiono nella raccolta di ricette del celebre cuoco Maestro Martino, Libro de arte coquinaria, della seconda metà del Quattrocento, mentre sono più volte citati nella Opera di Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di papa Pio V, edita un secolo più tardi, nel 1570. Dodici piatti di "sparagi in insalata" compaiono tra i 778 piatti preparati per il "Pranzo fatto in Trastevere dall'Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale Lorenzo Campeggio Bolognese alla Cesarea Maestà di Carlo V Imperatore, quando sua Cesarea Maestà entrò in Roma nel mese d'Aprile 1536 in giorno quadragesimale" (4). Sempre nel sedicesimo secolo, il medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli, in un trattato di commento ai libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, testimonia già che "Sono gli Asparagi notissimi in tutta Italia, come che se ne ritrovano de i

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

domestichi coltivati ne gli horti, & de i salvatichi che nascono per lor medesimi nella campagna". Curiosamente il Mattioli osserva che "Ungendosi l'huomo con succo d'Asparagi dicono, che non puo essere trafitto dalle api" ed anche che "Dissero alcuni, che pestandosi, & sotterrandosi le corna de montoni, vi nascono sopra gli sparagi, come che non paia questo à noi da creddere" (5) Agli asparagi sono sempre stati riconosciuti particolari pregi organolettici degni di raffinati intenditori, come testimonia nell'ottocento Pellegrino Artusi, celeberrimo autore del Manuale pratico per le famiglie intitolato L'arte di mangiar bene, che, dell'asparago, dice "… erbaggio prezioso non solo per le sue qualità diuretiche e digestive, ma anche per l'alto prezzo a cui si vende …"

La massima diffusione della coltura dell’asparago violetto in Albenga risale alla fine del XIX secolo, con l’affermarsi di quella orticoltura specializzata ed elitaria, di pieno campo e protetta, che ha reso celebre ovunque il nome di Albenga associato alle "primizie". Nel decimo volume, dedicato alla Liguria, della inchiesta Agraria Jacini, realizzata nella seconda metà dell’Ottocento si legge: "Anche degli asparagi primaticci si fa nei circondari di Savona, Genova, Chiavari esteso commercio di esportazione. Gli arenili (terreni sabbiosi) sono tutti adatti alla loro coltivazione, che è una delle più ricche della Liguria. Gli asparagi, venduti a lire 6 il chilogrammo, pagano annualmente il prezzo dei terreni" (6).

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

La coltura dell'asparago nel Savonese è inoltre attestata fin dai primi anni del XIX secolo da Gilbert Chabrol de Volvic, il prefetto inviato da Napoleone a Savona nel 1806 per organizzare il dipartimento di Montenotte, una delle tre circoscrizioni dell'ex repubblica di Genova, annessa alla Francia nel 1805. Nella compilazione della sua ponderosa "Statistica del dipartimento di Montenotte", lo Chabrol, afferma che "I paesi costieri dei due circondari meridionali, e soprattutto i cantoni di Savona, Varazze, Finale, Pietra, Alassio … hanno una gran quantità di orti … sempre coperti di ortaggi e legumi … Ogni stagione ha i suoi prodotti; per la primavera si piantano varie qualità di insalate, piselli, fave, fagioli, carciofi, asparagi, cavoli cappucci, cipolle, aglio." (7). Il fascicolo provinciale di Savona del catasto agrario, che riporta superfici e produzioni medie rilevate negli anni 1923-29, citando anche il prof. Allegri, allora titolare della locale Cattedra ambulante di agricoltura, recita: "Nella piana albenganese si producono a profusione le più squisite primizie orticole e gli ortaggi di grande coltura che alimentano i principali mercati dell'Italia settentrionale. La produzione delle primizie incomincia ai primi di dicembre e termina a primavera inoltrata. Per ottenere le primizie si forzano le coltivazioni in apposite serre a vetri, le quali vengono localmente distinte in serre fredde e serre calde a seconda che il calore, nell'interno di esse, proviene dalla fermentazione del cascame di cotone, oppure dall'acqua calda che circola in apposite tubature metalliche opportunamente disposte all'interno delle serre. Le prime, cioè le serre fredde, sono mobili e coprono a periodi di 3-4 anni superfici di terreno coltivate generalmente ad asparagi … Nelle serre fredde l'asparago costituisce la coltivazione principale … Le altre coltivazioni ortensi, in piena terra, si estendono su un'area di circa 2.800 ettari. I principali ortaggi ottenuti in pien'aria sono il carciofo e l'asparago; seguono per importanza il cavolfiore, il cavolo, le insalate, il pisello, la patata; tutti in grande parte inviati ai mercati dell'Italia settentrionale". Lo stesso catasto indica per la provincia di Savona 122,6 ettari di asparago in coltura integrante e 441,7 in coltura ripetuta, con una produzione media di oltre 11 tonnellate ad ettaro per la coltura integrante ed oltre 14 per la ripetuta. Complessivamente la produzione provinciale di asparagi somma mediamente in quegli anni oltre 7.720 tonnellate (8). Nel 1964 la coltura dell'asparago occupa in provincia di Savona, solo più 208 ettari, con una resa media di 12 tonnellate per ettaro, per una produzione totale limitata a circa 2.520 tonnellate (9). Negli anni Sessanta la produzione regionale ligure di asparagi passa da 4.160 tonnellate (1961) a poco meno di 2.000 tonnellate (1971), mentre nella provincia di Savona viene rilevata, oltre a quella di pieno campo, una produzione di 6,4 tonnellate su 0,22 ettari di coltura in serra (10). Agli inizi degli anni Sessanta tuttavia Albenga è ancora citata come uno dei maggiori centri di coltivazione dell'asparago in Italia (11). Anche la forzatura dell'asparago in serra è una pratica agronomica già applicata e

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

nota nell'Albenganese fin dalla prima metà del ventesimo secolo, sviluppata nel contesto delle tecniche agronomiche innovative dovute, in parte, agli orticoltori genovesi che, alla fine dell'Ottocento, si erano trasferiti nel circondario di Albenga dalla Val Polcevera, scacciati dall'espandersi degli insediamenti urbani ed industriali. (12). Da una relazione della Società Anonima Cooperativa l'Ortofrutticola di Albenga, datata 6 marzo 1944, si apprende che gli asparagi di Albenga sono, in allora, distinti in: precocissimi di serra (a tutto il 15 aprile); precoci (dal 15 aprile a tutto maggio) e normali (dal primo giugno al 15 ottobre) (sic). Il prezzo medio all'ingrosso dei primi è indicato in 30 lire al kilogrammo (le patate costano 1,3 lire al kg), il prezzo dei secondi in lire 10 e dei terzi in lire 5. Nella stessa relazione si dice che "La coltura degli asparagi precocissimi è fatta esclusivamente in serra con procedimento lungo e costoso perché i terreni debbono anche essere ricoperti con uno stato di sabbia e forte quantità di stallatico, oggi assai raro e costoso (la relazione è del 1944, in tempo di guerra). La lunghezza degli asparagi precocissimi non può essere inferiore ai 30 cm poiché dato lo strato di sabbia e di stallatico che coprono il terreno dentro le serre, non appena che l'asparagio (sic) affiora la sua lunghezza è già superiore ai 30 centimetri. Inoltre data la particolare coltura l'asparagio precocissimo della ns/ plaga e Provincia è tenerissimo e quindi quasi tutto consumabile." La stessa relazione continua dicendo che "… a causa della contrazione dei prezzi ufficiali la coltura degli asparagi è molto diminuita nella ns/ provincia con grave danno della economia agricola, nonché con grave danno per il futuro probabile lavoro di esportazione sui mercati francesi quando le condizioni saranno ritornate normali." (13). Pochi anni più tardi, nel 1952, la stessa Società cooperativa stima in 20 / 25 ettari la superficie di asparagiaie di nuovo impianto nella piana di Albenga. Il dato è riferito ad una richiesta fatta al Genio Civile di Savona per ottenere autorizzazione al prelievo dall'alveo del fiume Centa e dei suoi affluenti, della sabbia fine usata, secondo la pratica agronomica tradizione locale, per ricoprire il terreno coltivato ad asparago (14). Attualmente la massima parte della produzione di asparago violetto di Albenga, stimata in circa 160 t/anno, è concentrata in non più di quaranta aziende in tutta la provincia di Savona, per la massima parte nell'Albenganese, su una superficie di circa otto ettari. Si evidenziano però sintomi di ripresa e rinnovato interesse per la coltura, anche in relazione alle iniziative di valorizzazione in corso di svolgimento.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Riferimenti bibliografici 1. Catone il Censore. L'Agricoltura, CLXIX Asparagus quo modo seratur. Traduzione di Canali L. e Lelli E., Mondadori, 2000. 2. Plinio G. S. Storia naturale, Traduzioni diverse, Giulio Einaudi Editore, 1984. 3. Falavigna A. e Palumbo A.D., 2001. La coltura dell'asparago, Calderini Edagricole Editore, Bologna. 4. Bartolomeo Scappi, 1570. Opera. Dell'arte del cucinare. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1981. 5. Pier Andrea Mattioli, 1557. I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1984. 6. Atti della Giunta per l'inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, 1883. Volume X. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1978. 7. Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l'ancien département de Montenotte par le compte de Chabrol de Volvic, conseiller d'Etat, préfet de la Seine, 1824. Traduzione di Assereto G., Comune di Savona, 1994. 8. Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia. Catasto agrario 1929. Compartimento della Liguria, Provincia di Savona, fascicolo 10, 1936. 9. Compendio statistico provinciale 1964 – 1965. Ufficio provinciale di statistica, CCIAA di Savona. 10. Dizionario statistico ligure, 1972. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova. 11. Dizionario enciclopedico agricolo-forestale e delle industrie del legno, 1962. Giordano e Passet Gros, Ceschina Editore. 12. Amadori M. G., Cultura ed economia agraria nella Liguria di ponente «sec. XIX - XX»: l'esperienza di un protagonista nell'area Albenganese, Università di Genova, Facoltà di lettere, tesi di laurea, anno accademico 1979 / 1980. 13. Società anonima cooperativa l'Ortofrutticola. Relazione inviata all'Unione provinciale degli agricoltori di Savona in data 6 marzo 1944, avente per oggetto: prezzi alla produzione per i prodotti ortoflorofrutticoli della campagna agraria 1943 – 1944. 14. Società anonima cooperativa l'Ortofrutticola. Verbale del Consiglio di amministrazione in data 25 aprile 1952.

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CARCIOFO SPINOSO d’ALBENGA Silvana Nicola, Emanuela Fontana, Jeanet Hoeberechts, Giuseppe Piovano, Daniela Saglietti, Gian Enrico Bassetti

Introduzione Origine, diffusione ed importanza economica Caratteri botanici e biologici Piccolo glossario Esigenze ed adattamento ambientale La coltivazione Avvicendamento e lavori preparatori Propagazione Impianto Concimazione Controllo delle infestanti Irrigazione Interventi sulla pianta AvversitĂ Raccolta e produzione Il post-raccolta Fisiologia post-raccolta e conservazione Caratteristiche qualitative e nutrizionali Commercializzazione del prodotto Bibliografia consultata

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FOTO S. NICOLA


INTRODUZIONE

INTRODUZIONE Origine, diffusione e importanza economica Il carciofo è una specie originaria del bacino del Mediterraneo, dal quale si è diffusa nel resto del mondo con i flussi degli emigranti. Attualmente la superficie coltivata a carciofo nel mondo è stimata in circa 122mila ha con una produzione di circa 1,33 milioni di t, di cui la maggior parte distribuita in Europa (ca 85mila ha), seguita da Africa, America ed Asia con circa 12mila ha ciascuna. Il Paese maggior produttore di carciofo al mondo è l’Italia, con 49mila ha, che precede Spagna (ca 18mila ha) e Francia (ca 12mila ha). In Italia la produzione si concentra soprattutto nel sud e nelle isole (ca 45mila ha), mentre al centro ed al nord la coltura è presente per circa 2500 ha e 300 ha rispettivamente.

Caratteri botanici e biologici Il carciofo (Cynara scolymus L.), dopo il pomodoro e la patata, è la coltura più diffusa in Italia; può essere annuale o poliennale in coltura specializzata. Richiede clima mite e può essere coltivato anche in bassa collina pur risentendo di un certo ritardo nella produzione dei capolini. È una pianta a rizoma sotterraneo; può raggiungere l’altezza di 1,20-1,30 m. Il fusto è eretto e termina in un capolino, di peso variabile da 150 ad oltre 400 g, costituito da un ricettacolo carnoso (parte edule) e da molte brattee di colore verde o violetto che possono anche terminare con una spina nelle cultivar spinose (fig. 1, 2).

● Fig. 1. Capolino di carciofo spinoso di Albenga (foto Nicola). ● Fig. 2. Infiorescenza di carciofo (foto Galbussera).

Dopo la formazione del capolino principale, il fusto si ramifica in maniera dicotomica e produce, in sequenza, 6-7 capolini di 2° e 3° ordine che costituiscono il prodotto commerciabile per il mercato fresco (fig. 3). I capolini di più modeste dimensioni vengono destinati all’industria conserviera. Alla base del fusto, ogni

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INTRODUZIONE

anno si formano nuovi getti chiamati carducci o polloni che devono essere asportati in modo da lasciarne 1-2 per pianta (fig. 4). Oltre ad essere commestibili, i carducci possono essere utilizzati per la riproduzione di nuove carciofaie, per l’alimentazione animale oppure per la conservazione della fertilità del terreno, lasciati in campo come materiale organico.

● Fig. 3. Pianta di carciofo: sono evidenti il capolino principale e due capolini di secondo ordine (foto Nicola). ● Fig. 4. Carducci pronti per l’impianto (foto Zunino).

Piccolo glossario Brattea o squama involucrale: il ricettacolo carnoso e le brattee interne sono la parte commestibile del carciofo. Capolino o calatide: è l’infiorescenza del carciofo, nel cui ricettacolo sono inseriti i fiori. Carducci o polloni: sono i germogli, capaci di radicare e dare origine a piante, che si formano dalle gemme presenti sulla parte sotterranea della ceppaia, in numero diverso a seconda della varietà e dell’età della pianta; vengono staccati con una porzione di radice. Ceppaia: è il fusto rizomatoso su cui si differenziano le gemme che daranno origine a germogli, detti carducci, ed ai capolini. Eterofillia: caratteristica del carciofo di avere sulla stessa pianta foglie di forma diversa. Ovoli: sono rami quiescenti che si formano sulla base del fusto interrato, muniti di gemma apicale e gemme laterali. Si staccano dalla pianta madre durante la fase di riposo estivo. Scarducciatura: eliminazione manuale dei carducci superflui.

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INTRODUZIONE

Esigenze e adattamento ambientale Il carciofo spinoso d’Albenga preferisce i terreni freschi, di medio impasto, ben drenati, profondi, ben dotati di sostanza organica, ma si adatta anche a terreni di diversa composizione granulometrica, con pH compreso tra 6,4 e 7,0. I terreni argillosi ritardano la maturazione dei capolini, mentre quelli sabbiosi e calcarei provocano invece una riduzione delle loro dimensioni. Le temperature ideali per questa coltura nel periodo invernale non devono essere eccessivamente basse e non devono verificarsi gelate e precipitazioni nevose. Le temperature ottimali per la pianta sembrano essere 12-14°C durante la notte e 20-22°C durante il giorno, con umidità relativa abbastanza elevata. Nel clima mediterraneo, a causa dell’alta temperatura e dell’assenza di pioggia, a maggio-giugno la parte aerea dissecca e le gemme situate sul rizoma vanno in riposo. Il limite biologico di vegetazione si aggira intorno a 8°C; la pianta resiste bene fino a 0°C, anche se i capolini riportano danni alla cuticola delle brattee; tra –4 e –8°C anche le foglie vengono danneggiate e oltre –10°C anche le gemme ipogee più superficiali subiscono danni (fig. 5). Temperature superiori a 25°C sono dannose a colture precoci in fase riproduttiva, dando origine ad una fisiopatia chiamata "atrofia del capolino", che provoca una necrosi delle cellule del calice a cui segue la cessazione dell’accrescimento delle brattee interne. Tale fisiopatia colpisce soprattutto i capolini principali rendendoli non commerciabili, con perdite talvolta superiori al 40% dell'intera produzione. Mediante una gestione razionale della coltura è possibile evitare il manifestarsi di questo problema, evitando di anticipare eccessivamente il risveglio della carciofaia e regolando le irrigazioni per non forzare, oltre certi limiti, i naturali cicli biologici della specie.

● Fig. 5. L’inverno del 2001 è stato particolarmente rigido: ecco come si presentavano le carciofaie gelate (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

LA COLTIVAZIONE Avvicendamento e lavori preparatori Il carciofo è una pianta poliennale, per cui può rimanere nello stesso appezzamento per diversi anni, fino ad un massimo di 3-4 anni, anche se la durata economica più conveniente è di 2-3 anni. Nell’Albenganese la carciofaia viene rinnovata annualmente nella maggior parte dei casi, ma può anche rimanere in sito, generalmente per non più di 2 anni. Il carciofo è una pianta che non sfrutta eccessivamente il terreno ed anzi lo lascia ben strutturato, in quanto è dotato di un apparato radicale molto sviluppato in lunghezza. Per questo motivo, nell’ambito della rotazione delle colture nell’azienda agricola, è utilizzabile per migliorare terreni troppo compattati o mal strutturati, che possono essersi originati per errori commessi nella gestione agronomica, oppure per contenere infestanti troppo invasive. È assolutamente sconsigliato fare seguire al carciofo specie appartenenti alla stessa famiglia botanica, quali cardo, lattuga e cicoria, mentre può precedere la coltivazione di ortive che sfruttano molto il terreno in quanto produce, nel corso degli anni di impianto, notevoli quantità di residui organici, utilizzabili per il compostaggio direttamente sul terreno e lasciando quindi una notevole fertilità residua. Nell’areale ingauno è uso lasciare il terreno scoperto tra la fine di un ciclo, in aprile-maggio, e l’inizio del successivo, in luglio, oppure impiantare un ciclo colturale di melanzana, pomodoro o zucchino per sfruttare il terreno nel periodo estivo.

Propagazione La propagazione del carciofo spinoso può avvenire secondo diverse modalità, partendo da materiale sano proveniente da selezioni varietali locali, sia preparato in azienda sia in strutture vivaistiche specializzate. L’impianto viene effettuato tra l’inizio di luglio e la fine di agosto, a seconda che l’obiettivo del produttore sia di ottenere una produzione precoce, e quindi più remunerativa, ma a rischio di gelate, oppure una produzione tardiva, sicura ma meno redditizia. • Propagazione per carducci: all'epoca delle scarducciature si prelevano i carducci in soprannumero dalle piante madri e si trapiantano in pieno campo. I carducci scelti per il trapianto dovrebbero essere dotati di un sufficiente numero di radici e di 4-5 foglie, meglio se a lamina intera in quanto producono più precocemente di quelli che presentano foglie più o meno settate. Se la porzione di radice non è presente in quantità adeguata, l’attecchimento delle piantine non è regolare ed esse possono essere più facilmente attaccate da patogeni tellurici (Fusarium, Verticillium, Rhizoctonia, Sclerotinia) con conseguente moria. La scelta del materiale di propagazione è molto importante per le strategie aziendali, in quanto i carducci di piante precoci mantengono tale caratteristica, una volta trapiantati, per almeno 2-3 anni.

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LA COLTIVAZIONE

Con questo sistema di propagazione la coltura spesso non è uniforme a causa delle molte fallanze che, anche se rimpiazzate da altri successivi trapianti, provocano tuttavia una produzione scalare dei capolini a causa della diversa età delle piantine. • Propagazione per ovoli: occorre scegliere gli ovoli posti verso la base del rizoma in quanto si sono differenziati prima, per cui sono di maggiori dimensioni e danno origine a piante precoci e più produttive.

Impianto Il carciofo ha radici profonde, per cui all'impianto si effettua un’aratura principale di 40-50 cm di profondità che, nello stesso tempo, provvede all’interramento del letame o di altri fertilizzanti organici (fig. 6). All’impianto si eseguono lavorazioni di affinamento del terreno con erpici rotativi o a maglie, che sono necessarie per una buona preparazione del terreno (fig. 7). La densità di impianto è mediamente di 1200 piante per 1000 m2. Il sesto di impianto è di circa 1,20 m tra le file e 0,7 m sulla fila. In genere, però, la distanza tra le file è funzione dei mezzi disponibili per le operazioni colturali.

● Fig. 6. Preparazione del terreno: posizionamento delle file (foto Zunino). ● Fig. 7. Rinnovo della carciofaia: impianto di carducci (foto Zunino).

Concimazione Per la coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga si è stabilito un apporto complessivo di azoto, tra concimi minerali e sostanza organica di base, non superiore a 150 kg/ha, anche se è sempre opportuno effettuare analisi chimiche per verificare le potenzialità del terreno in termini di disponibilità di nutrienti. Altri fattori da tenere in considerazione per una corretta gestione della fertilizzazione sono il posto che il carciofo occupa nella rotazione, la cultivar prescelta e la sua produttività in relazione al tipo di terreno, alle tecniche di allevamento ed alla fertilità residua della coltura precedente.

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LA COLTIVAZIONE

Il carciofo ha un lungo ciclo colturale, e, oltre alla produzione dei capolini che può essere stimata mediamente intorno a 10-12 t/ha, produce una notevole quantità di massa verde (80-100 t/ha), in parte utilizzata per una migliore presentazione del prodotto sul mercato. La commercializzazione dei capolini con stelo lungo anche 30-40 cm e con 2-3 foglie causa l’asporto annuo da una carciofaia di almeno 15-20 t/ha di foglie e di steli che, invece, potrebbero reintegrare la quantità di materiale organico nel terreno. Con riferimento ai soli capolini e per produzioni dell'ordine di 12 t/ha, la coltura asporterebbe almeno 90 kg/ha di azoto (N), 30 kg/ha di fosforo (P2O5) e 120 di potassio (K2O).

Controllo delle infestanti La carciofaia, a causa del lungo ciclo colturale, necessita di una attenta gestione della flora spontanea, anche se il naturale sviluppo delle piante di carciofo riesce a contrastare abbastanza bene la crescita delle infestanti. Per la coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga sono ammesse le tecniche di controllo delle infestanti a ridotto impatto ambientale, basate soprattutto sull’applicazione di corrette tecniche agronomiche, preferendo l’impiego di sistemi di lotta integrata e biologica. Gli interventi di controllo meccanico consistono nell’effettuare delle fresature se la distanza tra le file lo permette (fig. 8), mentre sulla fila si interviene in genere manualmente (scerbatura) o con l'aiuto di zappe, anche se, quando lo sviluppo delle piante raggiunge 50-60 cm circa di altezza e le foglie tendono a chiudere l'interfila, non è più possibile intervenire con mezzi meccanici.

● Fig. 8. Fresatura lungo le file della carciofaia per contenere l’invasione delle piante infestanti (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

Le infestanti più comuni nella coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga sono riportate nella tabella seguente:

Monocotiledoni

Estate

Autunno - Primavera

Echinochloa crus-galli, giavone

Avena fatua, avena selvatica

Digitaria sanguinalis, sanguinella

Cynodon dactylon, gramigna

Setaria viridis, panico verde Dicotiledoni

Portulaca oleracea, erba porcellana

Fumaria officinalis, fumaria comune

Amaranthus spp., amaranto

Veronica persica, veronica

Chenopodium spp., farinaccio

Stellaria media, centocchio

Le specie più difficili da combattere sono quelle che si propagano attraverso rizomi e bulbilli. Per questo motivo sono opportuni un’adeguata lavorazione del terreno al fine di portare in superficie gli organi riproduttivi ed un trattamento con pirodiserbo effettuati prima dell’impianto della carciofaia, che consentirebbero di ridurre notevolmente la loro presenza. Nel caso di infestazione notevole della coltura si può ricorrere all’impiego di diserbanti, in primo luogo quelli a ridotto impatto ambientale.

Irrigazione Per stabilire volumi e turni irrigui occorre considerare alcuni parametri: le caratteristiche del terreno (tessitura, profondità, capacità di ritenzione o permeabilità, giacitura), la profondità dell'apparato radicale, l'andamento climatico dei periodi colturali e la stima dell'evapotraspirazione giornaliera. Un'adeguata preparazione del terreno prima dell'impianto e opportune lavorazioni durante il ciclo colturale consentono di utilizzare al meglio le risorse idriche naturali, quali l'acqua nel terreno e quella apportata dagli eventi meteorologici. La tecnica irrigua più in uso nell’areale ingauno è l’irrigazione per scorrimento, adottata nelle prime fasi della coltivazione, a cui segue l’irrigazione per aspersione, che prevede l'impiego di microerogatori a pioggia. Questa tecnica consente un risparmio ed una migliore distribuzione dell'acqua, una minore lisciviazione di nutrienti ed un minore sviluppo della flora spontanea. La distribuzione mirata dell’acqua consente di ridurre notevolmente le infezioni da patogeni fungini ed in particolare dall’oidio il quale si manifesta spesso, nel periodo estivo-autunnale, soprattutto in carciofaie a risveglio anticipato. Il fabbisogno idrico per il carciofo varia in relazione all'epoca d'impianto o di risveglio della carciofaia ed all'andamento della piovosità dell'annata. Il periodo estivo-autunnale e talvolta quello primaverile risultano ovviamente i più critici: le carenze idriche provocano produzione ritardata dei capolini e limitano alquanto la loro pezzatura e qualità.

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LA COLTIVAZIONE

Interventi sulla pianta Le normali operazioni colturali si limitano a sarchiature, rincalzature ed irrigazioni a seconda delle necessità della coltura. La scarducciatura delle piante permette di stimolare la massima precocità di produzione; essa, in genere, avviene in due diversi periodi. L'operazione consiste nell'eliminare manualmente, a strappo, i polloni superflui delle piante, lasciandone in allevamento uno o due, raramente tre, a seconda della fertilità del terreno. Un primo intervento di scarducciatura viene effettuato a settembre-ottobre ed un secondo in febbraio. I carducci asportati possono essere in parte utilizzati per l'impianto di nuove carciofaie o trapiantati in piantonaio, ma generalmente rimangono sul terreno a costituire sostanza organica o materiale pacciamante, in quanto tali operazioni implicano notevoli costi per la manodopera. La dicioccatura consiste nell'eliminare i residui delle piante a fine raccolta. Tale operazione, alcuni anni or sono, veniva effettuata con la zappa, recidendo, con un colpo secco, il fusto delle piante a livello del terreno o poco sotto. Il materiale può venire accumulato in mucchi e compostato. Attualmente si fa ricorso a mezzi meccanici che sfibrano e riducono in piccoli frammenti le piante secche, rendendole particolarmente adatte alla loro decomposizione. Tale tecnica deve però essere evitata a causa del rischio di diffusione di agenti di gravi malattie fungine come Fusarium, Verticillium, Sclerotinia e Rhizoctonia se questi erano presenti nella precedente coltivazione. Alla bruciatura dei residui, che causa la perdita di azoto, elemento indispensabile per l’accrescimento delle piante, è preferibile l’interramento, che viene effettuato con un’aratura interfila profonda 20-25 cm dopo l’irrigazione, quando sono evidenti le file della nuova vegetazione.

Avversità Il carciofo è una pianta attaccata da diversi parassiti di origine animale e vegetale. Tipologia Crittogame

Batteriosi Virus

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Malattia oidio tracheomicosi o avvizzimento delle foglie marciumi del colletto rizottoniosi marciume dei capolini peronospora marciume radicale virus dell'avvizzimento della fava virus dell'avvizzimento maculato del pomodoro

Agente Leveillula taurica f. sp. cynarae Verticillium dahliae Sclerotinia sclerotiorum Rhizoctonia solani Botrytis cinerea, Ascochyta spp. Bremia lactucae Erwinia carotovora var. carotovora BBWV TSWV


LA COLTIVAZIONE

Tipologia del danno Vettori di virus; sviluppo di fumaggini Asportazione di tessuti vegetali Lesioni a capolini e foglie Lesioni alle radici Fisiopatie Temperature <-8°C Temperature >25°C

Parassiti animali afide nero della fava, afide verde-nerastro del carciofo, afidone della patata, afide verde del pesco, tripidi lepidotteri (nottue, depressaria del carciofo) molluschi roditori Tipologia del danno danni da freddo atrofia dei capolini

L'asportazione e la distruzione (fuori dal campo) di piante infette con successiva disinfezione localizzata del terreno ed eventuali rotazioni delle colture sono i deterrenti più efficaci per evitare la trasmissione di alcuni patogeni, quali Fusarium, Verticillium, Sclerotinia e Rhizoctonia. La lotta contro topi e arvicole può essere efficacemente condotta impiegando piccole attrezzature funzionanti a pila, disposte nelle carciofaie a livello del terreno, le quali emettono alternativamente piccoli rumori o vibrazioni che tengono lontano i topi ed altri roditori (fig. 9).

● Fig. 9. Malformazione provocata da una puntura di insetto durante le fasi iniziali dello sviluppo del capolino (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

Raccolta e produzione La raccolta del carciofo spinoso d’Albenga viene effettuata a partire dall’inizio di novembre, rigorosamente a mano e di preferenza nelle ore più fresche della giornata, e si protrae in modo scalare fino alla fine di maggio per gli impianti tardivi (fig. 10). Il trasporto al bordo del campo avviene, in genere, con l’impiego di cesti che l'operaio porta in spalla.

● Fig. 10. Dopo la raccolta, occorre preparare le cassette per la vendita (foto Nicola).

A differenza delle altre zone di produzione del carciofo, dove la raccolta viene quantificata in peso di capolini, nel ponente ligure la produzione del carciofo spinoso d’Albenga è tradizionalmente indicata dal numero di capolini prodotti. La produzione media è di circa 7 capolini per pianta, corrispondenti a 8400-9800 capolini per 1000 m2 a seconda del sesto di impianto. A seguito di un andamento stagionale favorevole alla coltura o di una sua particolare vigoria è possibile ottenere produzioni più elevate, che non influiscono negativamente sulla qualità del prodotto, ma che devono comunque rimanere entro i 10000 capolini per 1000 m2 di coltura.

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LA COLTIVAZIONE · IL POST-RACCOLTA

In base al Reg. CEE 963/98 relativo alle norme di commercializzazione di cavolfiore e carciofo un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, intero, sano, pulito, privo di odore o sapore estranei. Sono previste tre categorie di capolini: categoria Extra: capolini di qualità superiore, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Devono essere esenti da ogni difetto, ma sono ammesse lievissime lesioni superficiali dell’epidermide delle brattee. I fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione. 1ª categoria: capolini di buona qualità, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Sono ammessi leggeri difetti (lieve deformità, lievi alterazioni dovute al gelo, lievissime ammaccature); i fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione. 2ª categoria: capolini di qualità mercantile che non possono essere classificati nelle categorie superiori, con brattee un po’ aperte; si ammettono leggeri difetti (deformità, alterazioni dovute al gelo, lievi ammaccature, lievi macchie sulle brattee esterne, inizio di lignificazione dei vasi della parte inferiore). La calibrazione determinata dal diametro della sezione massima perpendicolare all'asse del capolino è obbligatoria per i capolini Extra e di 1ª categoria. La normativa fornisce anche indicazioni circa l’imballaggio e la presentazione del prodotto; in particolare ogni imballaggio deve contenere capolini della stessa varietà, qualità e calibrazione, con il peduncolo tagliato di netto e di lunghezza anche superiore a 10 cm (la disposizione per cui il peduncolo deve essere non superiore a 10 cm non si applica ai carciofi della varietà "Spinoso").

IL POST-RACCOLTA Fisiologia post-raccolta e conservazione Il prodotto raccolto deve essere avviato alla commercializzazione tal quale, non appena concluse le operazioni di cernita e di confezionamento. I carciofi spinosi in attesa di lavorazione devono essere bagnati con acqua fredda; non è ammesso l’impiego di sostanze di sintesi per la conservazione del prodotto o altri tipi di trattamento. A causa dell’intensa attività respiratoria è necessario sottoporre i capolini alla refrigerazione subito dopo la raccolta, per poter mantenere un’elevata qualità del prodotto durante la conservazione. La conservazione in cella frigorifera va effettuata a temperature di 2-4 °C ed umidità relativa del 90% per il prodotto appena raccolto in attesa di lavorazione e per il prodotto già lavorato per il tempo necessario alla spedizione.

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IL POST-RACCOLTA

Caratteristiche qualitative e nutrizionali del prodotto Un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, senza segni di appassimento; il capolino deve essere intero, diritto, con squame involucrali ben serrate, privo di ammaccature e altre lesioni. Il carciofo deve essere sano, pulito, privo di marciumi incipienti, di impurità e di odore o sapore estranei. Il gambo deve essere turgido ma non lignificato, lungo almeno 20 cm, con un taglio netto alla base, portante una o più foglie non appassite. Il carciofo è un ortaggio dal buon valore alimentare che si presta a numerose preparazioni culinarie. La composizione media di 100 g di parte edule allo stato fresco è riportato nella seguente tabella (dati Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, 2000). Composizione chimica e valore energetico per 100 g di parte edibile Parte edibile (%): Acqua (g): Proteine (g): Lipidi(g): Carboidrati disponibili (g): Amido (g): Zuccheri solubili (g): Fibra totale (g): Energia (kcal): Energia (kJ): Sodio (mg): Potassio (mg): Ferro (mg): Calcio (mg): Fosforo (mg): Magnesio (mg): Zinco (mg): Rame (mg): Tiamina (mg): Riboflavina (mg): Niacina (mg): Vitamina A retinolo eq. (µg): Vitamina C (mg):

34,00 91,30 2,70 0,20 2,50 0,50 1,90 5,50 22,00 92,00 133,00 376,00 1,00 86,00 67,00 45,00 0,95 0,24 0,06 0,10 0,50 18,00 12,00

(Fonte: INRAN)

Il capolino è ricco di inulina, per cui è un alimento consigliabile per i diabetici. Il buon contenuto di fibre nelle brattee eduli è utile per favorire la peristalsi intestinale.

Commercializzazione del prodotto Per il consumo fresco e sui mercati il carciofo spinoso viene di norma conferito in confezioni di 15-20 pezzi con gambo che talvolta supera i 30-40 cm e con almeno 1-3 foglie, sia perché anche il gambo può essere consumato essendo particolarmente tenero, sia perché la presenza di foglie e gambo evidenziano la freschezza del

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IL POST-RACCOLTA

● Fig. 11. Cassetta di carciofi pronti per la commercializzazione (foto Nicola).

prodotto (fig. 11). Tale sistema di raccolta, però, porta ad una perdita di materiale organico che dovrebbe invece reintegrare in parte la fertilità del terreno. I residui di foglie e steli, infatti, raggiungono in media 10 t/ha: essi vengono generalmente trinciati ed interrati per costituire sostanza organica. Il carciofo spinoso viene confezionato in imballaggi nuovi, che possono essere sacchetti o contenitori in plastica, legno, cartone o altri materiali idonei per il condizionamento di prodotti alimentari, contenenti un numero variabile di capolini. Il prodotto preparato nei contenitori deve essere omogeneo per dimensioni, lunghezza del gambo e calibro. Il carciofo spinoso d’Albenga è attualmente commercializzato a livello interno, soprattutto sui mercati di Genova, Milano e Torino. Quantità modeste di prodotto vengono esportate in alcuni Paesi del Nord-Europa, dove è molto apprezzato.

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

Bibliografia consultata • Baldoni, R. e Giardini, L., 2001. Coltivazioni erbacee – Piante oleifere, da zucchero, da fibra, orticole e aromatiche. Patron Editore, Bologna. • Bianco, V.V., 1990. Carciofo. In: Bianco, V.V. e Pimpini, F. Orticoltura. Patron Editore, Bologna. • Consorzio COOPINTESA, C.C.I.A.A. Savona e Comitato promotore DOP IGP Albenga, 2002. Domanda di registrazione della Indicazione Geografica Protetta “Carciofo spinoso d’Albenga”. • www.fao.org • www.sinab.it/ortive/web871.htm • www.inran.it/documentazione/documentazione.htm

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CARCIOFO SPINOSO d’ALBENGA NOTE STORICHE E STATISTICHE

FOTO M. GAROFALO

Riccardo Galbussera

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

L

a coltura del carciofo è già nota, secondo la testimonianza di più autori, in tempi molto antichi: gli Egizi lo conoscono e ne fanno uso alimentare, gli Arabi coltivano già nel IV secolo a.C. la pianta detta karshuf (altri scrivono kharshaf), dal cui nome deriva l'attuale termine carciofo. Teofrasto, nel IV secolo a. C., ne testimonia la coltivazione; in epoca romana Lucio Giunio Moderato Columella, nel decimo libro della sua opera De Re Rustica, dedicato alla coltivazione degli orti, invita a piantare il carciofo, "dolce a Bacco che beve, ma ingrato a Febo che canta". Secondo lo stesso autore il carciofo trova giovamento dall'esser concimato con abbondante cenere: dal latino cinis, genitivo cineris, stando ad alcuni autori, deriva appunto il nome cynara della specie. Plinio ed altri scrittori latini indicano la pianta col nome di Cardus; secondo Targioni-Tozzetti gli antichi conoscevano solo il carciofo selvatico e lo stesso autore avanza l'ipotesi che il carciofo comune (Cynara scolymus) derivi dal selvatico (Cynara cardunculus) per variazioni ottenute in seguito ad accurate ed appropriate pratiche colturali (1). Da altre fonti storiche si apprende che il carciofo si diffonde in Italia e gode di particolare prestigio in epoca rinascimentale, come prelibatezza destinata alle mense dei ricchi raffinati intenditori, tra questi Caterina de' Medici, che pare li tenga in particolare considerazione. Filippo Strozzi ne introduce la coltivazione in Toscana nel 1466, importandone i semi dal Regno di Napoli, che a sua volta li aveva avuti dai Mori (2). Altri autori sono restii a riconoscere per il carciofo un debito della cucina europea verso gli Arabi, ritenendo si tratti di nuove varietà di piante già conosciute (3). Già nella seconda metà del Cinquecento Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V, nel suo libro intitolato Opera. Dell'arte del cucinare, cita spesso piatti di "Carciofani", crudi e cotti, sia nei servizi di cucina (piatti caldi), sia nei servizi di credenza (piatti freddi) (4). Il 22 aprile 1697 il principe Borghese offre, nella sua tenuta di Corraceto sulla via di Nettuno, un grandioso ricevimento a Papa Innocenzo XII. Con ottantadue botti di vino, dodici buoi, quaranta vitelle, cinquecento agnelli, duemila capponi, altrettanti lepri e quantità incredibili di altre derrate consumate nell'occasione, sono diligentemente annotati anche tremilaquattrocento carciofi (5). Al diffondersi della coltura contribuisce anche la considerazione che il carciofo riscuote all’epoca come pianta officinale, ad azione terapeutica epato-biliare. Ancora oggi il carciofo è classificato nella farmacopea ufficiale (estratto idroalcolico secco) come pianta officinale con proprietà amaricanti, aperitive, colagoghe, coleretiche, diuretiche, ipocolesterolemizzanti, ipolipimizzanti, blandamente lassative, dovute ai composti polifenolici ed ai flavonidi che contengono (soprattutto nelle foglie). Il medico e botanico senese Pier Andrea Mattioli, commentando, nella seconda metà del Cinquecento, i libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, scrive: "Sono nelle spetie de Cardi domestichi anchora i Carcioffi, chiamati Archiciocchi in Lombardia … Veggonsi oltre a ciò à tempi nostri i Carcioffi in Italia di diverse sorti. imperoche di spinosi, serrati, & aperti, & di non spinosi, ritondi, lunghi, aperti, & chiusi se ne ritrovano …" (6).

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

Della coltura del carciofo in Liguria, nella provincia di Savona e nell'Albenganese, si hanno testimonianze storiche importanti. Il Prefetto conte Gilbert Chabrol de Volvic, inviato da Napoleone a Savona per organizzare il dipartimento di Montenotte, una delle tre circoscrizioni dell'ex repubblica di Genova, annessa alla Francia nel 1805, nelle sue ponderose "Statistiche", scrive che "I paesi costieri dei due circondari meridionali, e soprattutto i cantoni di Savona, Varazze, Finale, Pietra, Alassio … hanno una gran quantità di orti … sempre coperti di ortaggi e legumi … Ogni stagione ha i suoi prodotti; per la primavera si piantano varie qualità di insalate, piselli, fave, fagioli, carciofi, asparagi, cavoli cappucci, cipolle, aglio" (7). Nell'ultimo quarto del XIX secolo l'inchiesta agraria Jacini, elencando tra le piante alimentari coltivate, quelle specie delle quali si mangia la giovane inflorazione (sic), annota: "i carciofi ed i cavoli-fiore primaticci sono oggetto di esportazione, ma in quantità non considerevole. Fra i preferiti sono i carciofi di San Remo, Ripa Ligure, Albenga, Savona, Varazze, Pietra Ligure, del Chiavarese, di Spotorno, Arenzano, Prà, di dove se ne esportano vagoni interi" (8). Nella stessa relazione, poche pagine prima, è già stata evidenziata l'importanza economica che localmente, in allora, riveste la coltura del carciofo: "Borgio, presso Finale, comune di men che 400 anime, ha fatto a proprie spese la stazione ferroviaria, esclusivamente col prodotto delle pesche e dei carciofi". Più oltre, l'inchiesta Jacini, curata per la Liguria dal Commissario Agostino Bertani, Deputato al Parlamento, cita nuovamente la coltura del carciofo con una osservazione che merita di essere riportata integralmente: "La coltura speciale degli aranceti, agrumeti e delle ortaglie in genere, e soprattutto dei carciofi e dei pomodori non è stata senza alcuna influenza anche morale sulla classe dei coltivatori della terra in questa regione marittima, oltre all'avere contribuito di gran lunga a migliorarne le condizioni economiche. Difatti, il contatto quasi quotidiano con mercanti e speculatori venuti dal di fuori per acquisto dei generi prodotti da siffatte colture, la necessità di un più frequente muoversi ed allontanarsi dal natio paese per andare sui mercati anche vicini, dove pure vedono necessariamente e parlano con più persone in un giorno, che non a casa loro in un mese; il bisogno, per sostenere la concorrenza, di conoscere ed imparare l'arte; i modi efficaci per ottenere dal terreno il desiderato prodotto, nella quantità e qualità e colla sollecitudine voluta, hanno determinato in queste popolazioni rurali uno sviluppo notevole della loro coltura intellettuale, di tutte le manifestazioni del vivere sociale, anche in quella parte che non sarebbe forse desiderabile, talché sono infinitamente meno rozze e meno ignare delle forme del vivere civile che non in qualche altra parte d'Italia" (8). In tempi più recenti sono molte le citazioni relative alla coltura del carciofo in Liguria ed in particolare nella Riviera di ponente, particolarmente significative le seguenti. Gli atti del 1° Congresso internazionale di studi sul carciofo, curati dall'Università di Bari nel 1967, riportano, per la Liguria: "In questa regione nell'ultimo quinquennio il carciofo ha occupato, in media, una superficie di 814 ha con una produzione di

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

90.906 quintali, mostrando una sensibile tendenza a ridursi. Le zone tipiche di coltura si concentrano lungo i centri rivieraschi della provincia di Imperia e di Savona, … La varietà più coltivata è il «Violetto spinoso della Liguria» noto sotto nomi diversi (zuccherino di Genova, spinoso violetto grosso di Albenga) … ", elencando tra le principali zone di coltivazione del carciofo in Italia Albenga, Andora e Ceriale in provincia di Savona (9). Negli stessi atti sono citate prove di confronto tra 36 varietà di carciofo effettuate nel triennio 1964/1966 a Palese di Bari, dove il "carciofo spinoso di Albenga", portato in prova dall'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura di Savona, si colloca circa a metà della classifica per il peso medio dei capolini. Un altro testo riporta: "Il carciofo spinoso di Liguria è coltivato nella Riviera Ligure ed in particolare nel tratto fra Albenga e Imperia. Ha foglie lunghe, color verde scuro; capolino allungato, conico, verde, con sfumature violette, brattee spinose, …" (10). Nel 1965 Carlo Carocci Buzi, direttore dell'Istituto sperimentale per l'olivicoltura e l'oleificio di Imperia, pubblica un resoconto sulla coltura del carciofo, dove scrive: "In questa nota ci riferiamo, dunque, al carciofo spinoso, varietà «violetto», tenero, delicato, gustosissimo, di estesa coltivazione nella Riviera Ligure di Ponente e di largo consumo … fu nostra cura procurarci «gemme» bene sviluppate … della pregiata varietà di «carciofo spinoso violetto» estesamente coltivato nella pianura dell'Albenganese (Savona)" (11). Un altro autore ancora riporta: "Le cultivar (di carciofo) più note ed apprezzate sono: … Spinoso di Liguria, …" (12). In merito alla diffusione della coltura del carciofo nell'Albenganese notizie interessanti sono dovute al p.a. Carlo Rapa, memoria storica dell'agricoltura Ingauna, recentemente scomparso in tarda età, che, intervistato nel 1980, ha detto: […] un fenomeno di ridimensionamento colturale e di cambiamento nell'agricoltura di Albenga, si è verificato nel periodo della grande guerra. Fino a quel momento, la piana di Albenga comprendeva colture orticole di alto pregio, che richiedevano una presenza costante e prevalente della manodopera maschile … Con la guerra l'uomo viene a mancare … rimangono le donne, i vecchi ed i bambini e di conseguenza si trasforma abbastanza sensibilmente l'agricoltura. Si sceglie, fra tutte le colture orticole, quella che richiede un minor impiego di manodopera maschile: il carciofo. … In questo periodo il carciofo è arrivato a coprire anche il 50% del terreno di una azienda; …" (13). Il fascicolo provinciale di Savona del catasto agrario, che riporta superfici e produzioni medie rilevate negli anni 1923-29, citando anche il prof. Allegri, allora titolare della locale Cattedra ambulante di agricoltura, riporta: "Nella piana albenganese si producono a profusione le più squisite primizie orticole e gli ortaggi di grande coltura che alimentano i principali mercati dell'Italia settentrionale. … I principali ortaggi ottenuti in pien'aria sono il carciofo e l'asparago; seguono per importanza il cavolfiore, il cavolo, le insalate, il pisello, la patata; tutti in grande parte inviati ai mercati dell'Italia settentrionale" (14).

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

Lo stesso catasto agrario indica per la provincia di Savona 158 ettari di carciofo in coltura integrante e 351,5 ettari in coltura ripetuta e, rispettivamente, 84,3 ed 81,3 quintali per ettaro la produzione unitaria (media 1923-1928). Complessivamente la produzione provinciale di carciofi somma mediamente, in quegli anni, 4.190 tonnellate. Nel solo comune di Albenga il catasto rileva 54 ettari in coltura integrante e 111,6 in coltura ripetuta, con una produzione complessiva di 1.325 tonnellate, indicativamente corrispondenti a circa sei milioni di carciofi, considerando un peso medio comprendente un lungo pezzo di gambo, secondo il sistema di raccolta tradizionale locale.

Da una relazione che la Società Anonima Cooperativa l'Ortofrutticola di Albenga invia, il 6 marzo 1944, all'Unione Provinciale degli Agricoltori di Savona, si apprende che i carciofi sono considerati come coltura precoce, autunno-invernale, fino al 31 marzo, e come coltura normale, da aprile in poi. La coltura precoce, che rappresenta, in quegli anni, circa il 10 - 15 % del totale, è ritenuta di alto pregio, ma ad alto rischio perché "viene venduta in media una volta ogni tre anni a causa del gelo". La relazione ha lo scopo di contestare i prezzi ufficiali alla produzione imposti nel periodo di guerra, ritenuti inadeguati alle particolari realtà della piana di Albenga (15). Negli anni 1964 - 1965 la coltura del carciofo occupa in provincia di Savona solo più 299 ettari, con una resa media di 12,37 tonnellate per ettaro ed una produzione totale di 3.700 tonnellate (16). Tra il 1962 ed il 1967 il carciofo occupa in media, in Liguria, una superficie di 814 ettari, concentrati nelle zone tipiche della coltura lungo i centri rivieraschi della province di Savona ed Imperia, con una produzione di 9.090 tonnellate (9). Negli anni Sessanta la produzione regionale ligure di carciofi decresce costantemente, passando da 10.820 tonnellate nel 1961 a 6.400 tonnellate nel 1971 (17). Il Carciofo spinoso di Albenga, talvolta indicato come "violetto di Albenga" od anche "violetto spinoso di Albenga", è caratteristico per la consistenza delle foglie (brattee) interne, che sono eccezionalmente tenere, croccanti e dolci, adattissime ad essere apprezzate crude, intinte in olio extra vergine di oliva (18).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Riferimenti bibliografici 1. Mazzeranghi A., 1981. La coltivazione del carciofo, Universale Edagricole. 2. Cattabiani A., 1998. Florario, Arnoldo Mondadori Editore. 3. Rosenberger B., 1999. La cucina araba e il suo apporto alla cucina europea, in Storia dell'alimentazione, Laterza Editore. 4. Bartolomeo Scappi, 1570. Opera. Dell'arte del cucinare. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1981. 5. Di Schino J. e Luccichenti F., 2001. Viaggio di Papa Innocentio XII da Roma a Nettuno l'anno 1697, Viviani Editore. 6. Pier Andrea Mattioli, 1557. I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1984. 7. Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l'ancien département de Montenotte par le compte de Chabrol de Volvic, conseiller d'Etat, préfet de la Seine, 1824. Traduzione di Assereto G., Comune di Savona, 1994. 8. Atti della Giunta per l'inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, 1883. Volume X. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1978. 9. Atti del 1° congresso internazionale di studi sul carciofo, 1967, Università di Bari. 10. Per una moderna agricoltura. Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, 1965, REDA. 11. Carocci Buzi C., 1965. Il carciofo coltivato in pien'aria, Istituto sperimentale per l'Olivicoltura e l'Oleificio di Sanremo. 12. Liuzzo A., 1970. L'Agricoltura per tutti, Sansoni. 13. Amadori M. G., Cultura ed economia agraria nella Liguria di ponente «sec. XIX - XX»: l'esperienza di un protagonista nell'area Albenganese, Università di Genova, Facoltà di lettere, tesi di laurea, anno accademico 1979 / 1980. 14. Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia. Catasto agrario 1929. Compartimento della Liguria, Provincia di Savona, fascicolo 10, 1936. 15. Società anonima cooperativa l'Ortofrutticola. Relazione inviata all'Unione provinciale degli agricoltori di Savona in data 6 marzo 1944, avente per oggetto: Prezzi alla produzione per i prodotti ortoflorofrutticoli della campagna agraria 1943 – 1944. 16. Compendio statistico provinciale 1964 – 1965. Ufficio provinciale di statistica, CCIAA di Savona. 17. Dizionario statistico ligure, 1972. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova. 18. Regione Liguria, Assessorato all'Agricoltura e Turismo, 2001. Prodotti di Liguria, Atlante regionale dei prodotti tradizionali.

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POMODORO CUOR DI BUE d’ALBENGA Silvana Nicola, Emanuela Fontana, Jeanet Hoeberechts, Giuseppe Piovano, Daniela Saglietti, Gian Enrico Bassetti

Introduzione Descrizione Importanza e diffusione della coltura Caratteri botanici e biologici Esigenze ed adattamento ambientale La coltivazione Avvicendamento Lavorazioni del terreno Concimazione Epoca e sesti di impianto Interventi colturali Irrigazione AvversitĂ Raccolta e produzione Il post-raccolta Caratteristiche del prodotto avviato al consumo Commercializzazione del prodotto Caratteristiche qualitative e nutrizionali Bibliografia consultata

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FOTO F. GIOBERTI


INTRODUZIONE

INTRODUZIONE Descrizione Il pomodoro introdotto in Europa agli inizi del XVI sec. era caratterizzato da frutti piccoli e di diversa colorazione. Solo dopo aver scoperto la commestibilità delle bacche gli agricoltori iniziarono una sorta di selezione mediante incroci naturali e mutazioni finalizzati ad ottenere bacche più grandi ed appetibili. Da queste antiche selezioni si sono ottenuti diversi ecotipi con nomi diversi ma con caratteristiche morfologiche simili: fra queste rientra il Cuor di Bue, detto anche Pomodoro di Albenga o Pera ligure. La cultivar ha accrescimento indeterminato, è vigorosa, produce frutti del peso di 300 g, a forma di cuore, di colore rosso chiaro. Esistono, a tal proposito, selezioni con frutti a colorazione più chiara, o tendente all'arancione. La raccolta viene effettuata dopo 100 giorni dal trapianto. Le bacche, di grosse dimensioni e marcate da tipiche costolature, sono molto dolci, povere di semi, risultano poco acquose essendo carenti di succhi placentari (fig. 1).

Importanza e diffusione della coltura Molte cultivar antiche di pomodoro sono oggi ormai scomparse oppure sostituite da ibridi F1, caratterizzati da resistenza a patogeni, uniformità di prodotto, regolarità di allegagione, consistenza e serbevolezza della bacca e adattamento a diverse condizioni pedo-climatiche. La crescente importanza del pomodoro Cuor di Bue si deve alle pregiate caratteristiche organolettiche delle bacche che sono consumate allo stato fresco. È una cultivar da mensa, definita tipo insalataro, molto apprezzata per il suo sapore e la sua forma antica. La coltura del pomodoro è praticata in tutto il mondo, occupando una superficie stimata intorno a 8 milioni di ha con una produzione di 217 milioni di tonnellate. L’Italia, collocata nei primi posti nella situazione mondiale, è il più importante produttore di pomodoro nella Comunità Europea. In Italia nel 2002 la coltivazione del pomodoro da mensa ha interessato una superficie di poco superiore ai 31.000 ha, di cui ca 7.600 in coltura protetta, con una produzione di ca 550.000 t ed una produzione unitaria di ca 71 t/ha. L’importanza nazionale della produzione del pomodoro da mensa diventa difficile da stimare in considerazione della possibilità del duplice utilizzo del pomodoro, anche a livello familiare, e della frequente destinazione della produzione da pieno campo al mercato ortofrutticolo per l’utilizzo culinario. Considerando la produzione in ambiente protetto la quantità di pomodoro inviato annualmente ai mercati ortofrutticoli si aggira intorno ai 2,5 milioni di t.

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INTRODUZIONE

● Fig. 1. Bacche a diversi stadi di maturazione con evidenti costolature (foto Nicola).

Caratteri botanici e biologici La maggiore o minore regolarità dei frutti è dovuta al numero di carpelli che va da 7 fino a 14; i fiori possono presentare un numero di sepali, petali e stami superiore a cinque (fig. 2). I frutti possono presentare anomalie di colorazione a maturazione dovute alla presenza di un’area prima verde (clorofilla) e poi giallastra intorno alla zona peripedicellare. Rispetto al pomodoro da industria gli organi vegetativi sono più grossi, il fusto ha un accrescimento in altezza che implica l’utilizzo di sostegni; la fruttificazione e la maturazione sono più scalari ed il ciclo colturale è più lungo.

Esigenze ed adattamento ambientale Il pomodoro originario dei tropici si adatta a condizioni di clima temperato-caldo. Il passaggio da climi caldi a temperati ha favorito la trasformazione da pianta perennante a pianta annuale. Il freddo è il fattore limitante la coltivazione del pomodoro. La coltura è prevalentemente diffusa nelle aree a clima mite, ad eccezione della coltura forzata presente in diverse zone. I limiti termici per la coltura sono riportati

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INTRODUZIONE

in tabella 1; si ricorda però che la temperatura superiore ai 30°C può influire negativamente sulla formazione del licopene e sulla colorazione delle bacche. L’induzione alla fioritura è legata ad un termostadio di 10-15°C per 2 settimane dopo la formazione dei cotiledoni; la temperatura minima per la fioritura è 21°C, mentre quella di maturazione delle bacche è 23°C. Temperature sopra i 32 °C causano scarsa allegagione, decolorazioni ed ustioni alle bacche. Tabella 1 - Limiti termici del pomodoro Temperatura (°C) 0-2 8-10 13-16 22-26

Minima letale Minima biologica Ottimale notturna Ottimale diurna

L’intensità e la qualità della luce possono influenzare la fioritura e l’allegagione: in periodi con bassa luminosità e freddi l’allegagione dei frutti del pomodoro in serra è così scarsa che si ritiene necessario intervenire con l’impollinazione artificiale. Il pomodoro predilige un terreno di medio impasto, profondo e fresco, con un pH oscillante fra 5,5 e 7,9; è sensibile alla salinità ma non risente di alcun effetto negativo fino a EC=2,5 µS/cm.

● Fig. 2. Palco fiorale (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

LA COLTIVAZIONE Avvicendamento La rotazione si rende necessaria per controllare lo sviluppo di patogeni e di infestanti, di cui la più diffusa e la più dannosa per il pomodoro è la Solanum nigrum. Il pomodoro è una pianta da rinnovo, che apre la rotazione in pieno campo, mentre in coltura protetta si sussegue indefinitivamente; il terreno però viene sottoposto a trattamenti di disinfezione particolari. La specie richiede lavorazioni del terreno particolarmente accurate per cui si avvantaggia molto delle letamazioni ed è una coltura che si può sarchiare. Pertanto, alle colture in successione, lascia il terreno ben strutturato, anche negli strati più profondi, con una buona dotazione di fertilità. In pieno campo è sconsigliabile ripetere la coltivazione sullo stesso terreno a brevi intervalli di tempo; il pomodoro provoca, nei confronti della stessa specie, effetti negativi di avvicendamento per la diffusione di patogeni in particolare del genere Fusarium, Verticillium e Pyrenochaeta. Il pomodoro dovrebbe essere inserito in una rotazione biennale o triennale, pertanto interessante potrebbe essere un avvicendamento con altra specie da rinnovo (carciofo spinoso violetto, ortaggi da foglia, leguminose da sovescio,…). Sono da evitare a breve distanza temporale specie appartenenti alla famiglia delle solanacee (patata, peperone).

Lavorazioni del terreno La lavorazione principale deve favorire lo sviluppo dell’apparato radicale della pianta nel suolo senza alterare la struttura del terreno e le sue condizioni chimico-fisiche. Il terreno per l’impianto deve essere preparato prima con aratura a doppio strato. A queste operazioni seguono una fresatura superficiale di 20 cm; eventuale disinfezione con impiego di fumiganti consentiti, con vapore surriscaldato oppure con solarizzazione in apprestamento. La scarificatura permette di ottenere buoni risultati strutturali solo se si interviene su terreno sufficientemente asciutto, su cui si siano avvicendate precedentemente colture con diversa capacità di approfondimento e differente conformazione degli apparati radicali. La scarificatura dovrebbe essere eseguita in autunno mentre le altre pratiche più superficiali di sminuzzamento delle zolle in primavera. Le operazioni di impianto avvengono in relazione alle condizioni climatiche, tra la fine di novembre e la metà di aprile per la coltura primaverile, tra la metà di luglio e la fine di agosto per la coltura autunnale in apprestamento; tra l’inizio di aprile e la fine di giugno per la coltura in pieno campo.

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LA COLTIVAZIONE

Concimazione La concimazione all’impianto prevede l’impiego di ammendanti organici e concimi minerali, con un apporto di N non superiore a 150 kg/ha, secondo le pratiche tradizionali e le indicazioni agronomiche emergenti dalle analisi chimico fisiche del terreno, che devono essere effettuate almeno ogni 2-3 anni. Per quanto riguarda le esigenze nutritive, in ordine di importanza riguardano potassio, azoto, fosforo e calcio. Il potassio influenza la qualità delle bacche, in particolare per il contenuto in zuccheri, residuo secco e colore; l’azoto esalta il vigore vegetativo, a scapito della produzione di bacche; il fosforo, assorbito in piccole quantità, favorisce la consistenza delle bacche; la carenza di calcio aumenta la suscettibilità al marciume apicale. Di questi elementi l’eccesso di azoto determina un ritardo nella maturazione, bacche acquose più sensibili alle malattie, scarsa consistenza della polpa, riduzione degli zuccheri ed aumento dell’acidità totale con conseguente peggioramento delle caratteristiche qualitative delle bacche. Molto importante è anche la somministrazione di microelementi, la cui carenza può causare danni alle piante che si manifestano con ingiallimenti internervali (fig. 3).

● Fig. 3. Decolorazione fogliare dovuta a carenza di ferro e magnesio (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

Epoca e sesti di impianto La scelta dell’epoca d'impianto avviene considerando le esigenze termiche della coltura e i parametri climatici del periodo nel quale il pomodoro svolgerà il suo ciclo (pieno campo: giugno - settembre; in apprestamento: marzo – dicembre). Per il trapianto devono essere impiegate piantine (4° o 5° foglia vera) della selezione Cuore di Bue locale, che possono essere preparate in azienda od acquistate da aziende ortovivaistiche specializzate ed autorizzate. Per ridurre l’impiego di fumiganti per l’impianto sono ammesse anche piantine innestate. Per preservare le risorse presenti nel terreno (acqua, elementi nutritivi), è opportuno non impiantare la coltura con una densità elevata. Questo permette anche di creare condizioni di maggiore aerazione tra le piante e quindi un microclima sfavorevole allo sviluppo di patogeni. La densità massima consigliata di impianto è di 25.000 piantine per ettaro, secondo i sesti di impianto tradizionali: file singole con intervalli di 80 cm tra le file e 50 cm sulla fila e file binate con intervalli di 70 cm tra le file. La coltura del Cuor di Bue in piena aria comporta l’installazione di strutture di sopporto generalmente realizzate con pali di castagno, di cemento, di ferro zincato o bastoni di canna. In coltura protetta i sostegni possono essere direttamente collegati alle strutture portanti dell’apprestamento (fig. 4, 5).

● Fig. 4. Tutoraggio delle piante di pomodoro Cuor di Bue mediante bastoni di canne (foto Nicola)

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LA COLTIVAZIONE

● Fig. 5. Tutoraggio piante di pomodoro mediante impiego di fili di nylon (foto Nicola).

Interventi colturali La coltivazione del pomodoro da mensa, eccetto nei casi di coltura diserbata, richiede due o più scerbature ed una rincalzatura per contrastare lo sviluppo di malerbe e per evitare problemi da ristagno idrico. La corretta gestione della coltivazione prevede alcune pratiche specifiche per il pomodoro quali: applicazione di sostegni, legatura delle piante, somministrazione di fitoregolatori. La potatura verde viene eseguita per favorire sia l’accrescimento della pianta e lo sviluppo dei frutti sia l’aerazione della massa ostacolando la diffusione di patogeni. Questa pratica consiste nell’eliminazione di diverse porzioni vegetali (germogli laterali; foglie basali, asportate a fine coltura per dare luce ai frutti; apici vegetativi, asportati per favorire i palchi allegati). Si asportano le foglie basali in quanto senescenti ed ombreggiate e quindi con scarsa efficienza fotosintetica; i germogli laterali (scacchiatura) per favorire la fruttificazione solo sull’asse principale; l’apice vegetativo (cimatura) per controllare la durata del periodo di fruttificazione. Tutte le operazioni di potatura devono essere eseguite praticando tagli decisi senza lacerazioni che rappresentano vie di ingresso ai patogeni; l’intensità degli interventi deve essere bilanciata per evitare squilibri ormonali fra organi vegetativi e riproduttivi. L’applicazione di sostegni è un’operazione indispensabile nel pomodoro Cuor di Bue: la legatura delle piante ai sostegni deve essere realizzata con materiali e tecniche che non devono ostacolare l’accrescimento della pianta.

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LA COLTIVAZIONE

La somministrazione di fitoregolatori viene eseguita per ottenere una regolare allegagione per la coltivazione invernale del pomodoro in ambiente protetto (a T <13°C non si forma il polline).

Irrigazione

● Fig. 6. Irrigazione localizzata con manichetta (foto Nicola).

Un’adeguata gestione delle risorse idriche è fondamentale per la coltivazione del pomodoro. Un eccesso di acqua può provocare danni di asfissia radicale alla coltura e favorire lo sviluppo incontrollato di patogeni; uno stress idrico causa uno squilibrio idrico dei tessuti, con gravi conseguenze sull’intera fisiologia della pianta quali blocco della fotosintesi, aumento eccessivo della temperatura, squilibrio nutrizionale. Inoltre un regime idrico del terreno irregolare può provocare danni ingenti alle bacche: marciumi apicali durante la fase d'ingrossamento causati da carenza idrica e spaccature durante la fase di maturazione causate da eccesso idrico. Per assicurare alla coltura del pomodoro un rifornimento adeguato al suo fabbisogno idrico occorre utilizzare tecniche agronomiche che consentano di limitare le perdite di acqua dal terreno (aratura a doppio strato, controllo delle infestanti, densità di impianto,…) e di ottimizzare le tecniche irrigue. In inverno l’acqua non deve essere somministrata negli stadi subito successivi al trapianto poiché raffredda il terreno, rallentando l’accrescimento, impedendo

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LA COLTIVAZIONE

all’apparato radicale di approfondirsi e favorendo le infezioni fungine alle radici. L’irrigazione viene eseguita secondo le necessità stagionali, in particolare in coincidenza con il periodo che va dall’allegagione all’ingrossamento delle bacche. I sistemi irrigui adottati possono essere a scorrimento nei primi stadi vegetativi e localizzata a microportata durante fioritura e maturazione (fig. 6); quest’ultimo consente di ottenere la massima efficienza di distribuzione di acqua. Il sistema di irrigazione localizzato impiegato soprattutto in apprestamento riduce la zona di terreno umettata, da cui l’acqua evapora, rallentando lo sviluppo delle erbe infestanti nelle interfila. Inoltre, tale sistema irriguo evita di bagnare la vegetazione permettendo di mantenere un livello igrometrico in prossimità delle piante più basso rispetto agli altri metodi irrigui e sfavorendo lo sviluppo di patogeni.

Avversità La difesa fitosanitaria ed il controllo delle infestanti sono realizzati con sistemi a basso impatto ambientale, basati sull’applicazione del codice di buona pratica agricola impiegando tecniche di lotta sia integrata sia biologica. Tra le maggiori avversità del pomodoro sono da ricordare quelle di origine sia abiotica (squilibri idrici e di temperatura, grandine) sia biotica (erbe infestanti, patogeni, virosi e insetti).

● Fig. 7. Particolare del punto di innesto: è ancora visibile la pinzetta che tiene unite le due parti (foto Nicola).

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LA COLTIVAZIONE

Le principali fitopatie di natura non parassitaria ma dovute a squilibri idrici provocano la perdita ed il deprezzamento delle bacche. La presenza di piante infestanti può provocare danni di tipo sia diretto sia indiretto, dovuti nel primo caso alla competizione per l’acqua e gli elementi nutritivi fra piante infestanti e la coltura del pomodoro, nel secondo caso alla possibilità che le piante infestanti ospitino agenti patogeni per le piante di pomodoro. Le piante infestanti rappresentano un problema per la coltivazione del pomodoro soprattutto nei primi stadi vegetativi, quando le piante, ancora molto piccole, rischiano di essere sopraffatte dalle malerbe (tabella 2). Il contenimento della flora infestante può essere eseguito seguendo tecniche di controllo sia preventive (falsa semina seguita da erpicatura, irrigazione localizzata) sia dirette (sarchiatura nell’interfila). Le avversità dovute a parassiti si distinguono in base all’agente biotico. Le crittogame (malattie fungine) più gravi sono quelle che provocano marciumi alle piantine in semenzaio oppure alle radici ed al colletto delle piante adulte (tabella 3). Per contrastare i marciumi radicali è possibile ricorrere all’innesto delle piante di pomodoro Cuor di Bue su portainnesti resistenti a questi patogeni (fig. 7). Il pomodoro è molto suscettibile alle virosi, i cui sintomi si manifestano con maculature dei lembi fogliari, malformazioni fogliari e stentata crescita della pianta. I parassiti animali provocano danni sia diretti, nutrendosi di tessuti vegetali (larve, coleotteri) o di linfa (afidi) sia indiretti in quanto vettori di virus (tabella 4).

Tabella 2 Piante infestanti amaranto comune erba porcellana panico verde erba morella

Amaranthus retroflexus Portulaca oleracea Setaria viridis Solanum nigrum

Tabella 3 Tipologia Crittogame

Batteriosi

Virosi

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Malattia tracheomicosi cladosporiosi muffa grigia oidio peronospora marciume zonato suberosità radicale cancro picchiettatura maculatura mosaico del pomodoro avvizzimento maculato del pomodoro

Agente Fusarium oxysporum, Verticillium dahliae Cladosporium fulvum Botrytis cinerea Leveillula taurica Phytophthora infestans Phytophthora nicotianae Pyrenochaeta lycopersici Corynebacterium michiganense Pseudomonas syringae pv tomato Xanthomonas campestris pv vesicatoria ToMV TSWV


LA COLTIVAZIONE

Tabella 4 Tipologia del danno Vettori di virus; sviluppo di fumaggini

Asportazione di tessuti vegetali

Parassiti animali afide verde del pesco (Myzus persicae), afide nero della fava (Aphis gossipy), afidone della patata (Macrosiphum euphorbiae), tripidi (Franklinella occidentalis), aleurodidi (Trialeurodes vaporariorum) piralide (Ostrinia nubilalis), nottue (Heliotis armigera)

Lesioni alle radici

elateridi (Agriotes spp.), nematodi galligeni

Lesioni alle foglie

minatrice americana (Liriomyza trifolii), minatrice sudamericana (Liriomyza huidobrensis)

Lesioni ai frutti Disseccamento delle foglie Rugginosità delle foglie

cimici (Nezara viridula) ragnetto rosso (Tetranychus urticae) eriofidi (Aculops lycopersici)

Tra le fisiopatie è temibile soprattutto il blotchy ripening, che causa una maturazione a chiazze a seguito di scompensi idrici.

Raccolta e produzione La raccolta in apprestamento protetto si svolge da marzo a luglio per la coltura primaverile, da settembre a dicembre per la coltura autunnale; mentre per il pieno campo la raccolta è limitata a giugno-settembre. Il momento della raccolta coincide con il 1° - 2° stadio; nel 1° stadio i frutti hanno una maggiore serbevolezza e possono essere destinati alla conservazione o ad un procedimento di distribuzione commerciale più lungo. La raccolta scalare del prodotto deve essere realizzata esclusivamente a mano recidendo il peduncolo, che resta attaccato alla bacca. Le raccolte devono essere eseguite ad intervalli da 1 a 4 giorni, al fine di ottenere una produzione il più possibile uniforme per il grado di maturazione. Quest’ultimo è associato alla colorazione esterna della bacca: il viraggio di colore si osserva dopo 40-60 giorni dall’allegagione. Si possono individuare cinque stadi di maturazione, definiti in base all’intensità ed alla superficie della bacca caratterizzata da una colorazione rosa-rosso. Stadio di maturazione 1 2 3 4 5

Descrizione Comparsa di un alone rosa attorno al residuo stilare Colorazione rosa per il 30% della superficie Colorazione rosa dal 30 al 60% della superficie Colorazione rosa-rosso dal 60 al 90% della superficie Colorazione rossa oltre il 90% della superficie

Il numero di raccolte costituisce in genere un indice delle produzioni, le quali possono variare da 80-100 t/ha in pien’aria, ad oltre 150 t/ha in serra riscaldata.

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IL POST-RACCOLTA

IL POST-RACCOLTA Il pomodoro deve essere raccolto prima della definitiva colorazione in quanto il processo di maturazione prosegue anche dopo la raccolta: dallo stadio verde pallido a quello di completa maturazione intercorrono circa 10 giorni. Con l’avanzare del processo di maturazione si ha la progressiva diminuzione di clorofilla ed un aumento di licopene e β-carotene, un aumento dell’attività respiratoria, un’intensificazione della produzione di etilene ed un aumento dell’acidità, fattori che gradualmente peggiorano la consistenza della bacca. Il prodotto raccolto deve essere commercializzato tal quale, non appena sono state perfezionate le operazioni di cernita, pulizia e confezionamento. Prima delle operazioni di mondatura e dopo il confezionamento il prodotto viene conservato in cella frigorifera in attesa della commercializzazione. Durante la breve fase di stoccaggio delle bacche destinate al consumo non è ammesso l’impiego di sostanze di sintesi per prolungarne la conservazione. Terminate le operazioni di raccolta e cernita, occorre assicurare una corretta movimentazione e trasporto del prodotto, al fine di contenere al massimo i possibili danneggiamenti da manipolazione.

Caratteristiche del prodotto avviato al consumo Al momento della commercializzazione le bacche devono presentare: • aspetto sano, turgido e fresco; • assenza di marciumi, attacchi di parassiti; • assenza di odori e sapori anomali; • assenza di ammaccature, spellature, tagli e difetti evidenti, salvo piccole lesioni non cicatrizzate dovute ad urti accidentali contro le pareti del contenitore di trasporto; • assenza di parassiti, terra ed altre impurità; • assenza di umidità esterna anormale; • piccole spaccature cicatrizzate, un piccolo ombelico con lievi formazioni legnose e cicatrici di forma ombelicale in corrispondenza del punto stelare sono tipiche della varietà, pertanto non ne pregiudicano la qualità.

Commercializzazione del prodotto Il Pomodoro Cuor di Bue d’Albenga è commercializzato in contenitori di plastica od altri materiali consentiti dalle norme vigenti per il confezionamento dei prodotti alimentari, contenenti da 1 a 6 bacche; oppure in contenitori di legno contenenti fino a 6,5 kg di bacche, disposte su un solo strato con il peduncolo rivolto verso l’alto. Le confezioni devono contenere bacche di categoria, pezzatura, grado di matura-

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IL POST-RACCOLTA

zione il più possibile omogenea. Le confezioni devono garantire una protezione adeguata alle bacche durante il trasporto e la commercializzazione. Il prodotto viene destinato ai mercati del nord-ovest di Genova, Milano, Torino e Cuneo; piccole quantità vengono esportate nel nord Europa (Svezia). La commercializzazione sia nazionale sia estera è gestita sia da commercianti locali sia da una cooperativa ortofrutticola di Albenga, mentre una buona parte della produzione viene direttamente commercializzata dai produttori in situ ai negozi locali oppure direttamente in azienda come vendita al dettaglio.

Caratteristiche qualitative e nutrizionali Il pomodoro Cuor di Bue di Albenga è essenzialmente consumato fresco oppure cotto per svariate ricette gastronomiche tipiche della cucina mediterranea. Il pomodoro è un alimento ricco di calcio, fosforo e acido ascorbico. La varietà è molto apprezzata per la consistenza della polpa, la quasi assenza di semi ed il gusto dolce del succo (fig. 8).

● Fig. 8. Tipiche bacche di pomodoro Cuor di Bue: in sezione è visibile la scarsità di semi nelle logge (foto Nicola).

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

Bibliografia consultata • http://www.sinab.it/ortive/web821.htm • http://www.unaproa.it/prodotti/pomodoro@main.htm • Baldoni, G. e Giardini, L., 2001. Coltivazioni erbacee. Piante oleifere, da zucchero, da fibra, orticole p.c., aromatiche e altre. Patron Editore. Bologna. pp. 291-321. • Bianco, V.V. e Pimpini, F., 1990. Orticoltura. Patron Editore. Bologna. pp 895-921.

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POMODORO CUOR DI BUE d’ALBENGA NOTE STORICHE E STATISTICHE

FOTO F. GIOBERTI

Riccardo Galbussera

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

I

l pomodoro è una pianta originaria delle regioni tropicali e sub tropicali del continente americano (Perù, Messico), importata dagli spagnoli in Europa nel corso del XVI secolo. Ritenuto pianta tossica, il pomodoro è dapprima coltivato come specie ornamentale e solo nel XIX secolo si diffonde in Europa come coltura alimentare. In Italia la coltivazione si estende prima in Sicilia e Campania e poi, verso nord, in Emilia ed in Liguria. Una rara citazione del pomodoro si trova in un trattato, risalente alla metà del 1500, del medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli, che, dissertando di "… quei pomi, che si chiamano in Lombardia Melanzane, e in Toscana Petranciani …", a proposito delle pressoché sconosciute bacche importate dal nuovo mondo, assimilandole in qualche modo alle melanzane, scrive: "Portasene à i tempi nostri un'altra spetie in Italia, le quali si chiamano POMI d'oro. Sono queste schiacciate come mele rose, e fatte a spichi, di color prima verdi, e come sono mature in alcune piante rosse come sangue, e in altre di color d'oro. Si mangiano pur anch'esse nel medesimo modo" (1). La preziosa citazione del Mattioli sembra testimoniare che già nel XVI secolo si sperimentavano impieghi culinari del Pomodoro, cucinandolo come le Melanzane, che, dice lo stesso Mattioli, "Mangiansi volgarmente fritte nell'olio con sale, e pepe, come i fonghi". L'utilizzo alimentare del Pomodoro dove però essere a quel tempo cosa molto rara. Nella sua Opera, comprendente più di mille ricette, data alle stampe pochi anni più tardi, nel 1570, il famoso cuoco di Papa Pio V, Bartolomeo Scappi, non ne fa cenno alcuno (2). La prima ricetta per cuocere i pomodori sembra sia nel Panunto toscano, del 1705, ad opera di Francesco Gaudentio, coadiutore laico di una mensa per gesuiti a Roma (3). Il dott. Agostino Bertani, deputato al Parlamento, incaricato per la Liguria della relazione sulle condizioni della classe agricola, nell'inchiesta agraria Jacini, nella seconda metà dell'Ottocento, scrive: "Il pomodoro … ha … capitale importanza, e forma da qualche anno un cespite di discreta entrata per gli agricoltori del litorale. … I pomodori primaticci si hanno in Liguria, specialmente nell'Albenganese … mercé la coltivazione forzata, si ottengono fin nel mese di maggio. Vengono poi esportati sui maggiori mercati d'Italia e dell'estero, con forte guadagno dei produttori. I più tardivi, oltre a servire all'ingente consumo locale di tutta la regione, vengono confezionati in conserva. La conserva di pomodoro è una proficua industria agricola … Nel circondario di Savona … si preparano un anno per l'altro … da 800 a 1.000 barili da 60 chilogrammi di conserva di pomodoro. La maggior parte di questi vengono esportati in America con utile diretto di circa 300,000 lire. … confrontando il reddito che può dare una determinata misura di terreno piantata a pomodori con uguale misura piantato ad altri prodotti, non si dubita affermare che il prodotto del pomodoro lo sorpassa e di gran lunga" (4). Più oltre la relazione dell'inchiesta Jacini dedicata alla Liguria, cita nuovamente, con altre, la coltura del pomodoro, con una osservazione che merita di essere riportata

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

integralmente: "La coltura speciale degli aranceti, agrumeti e delle ortaglie in genere, e soprattutto dei carciofi e dei pomodori non è stata senza alcuna influenza anche morale sulla classe dei coltivatori della terra in questa regione marittima, oltre all'avere contribuito di gran lunga a migliorarne le condizioni economiche. Difatti, il contatto quasi quotidiano con mercanti e speculatori venuti dal di fuori per acquisto dei generi prodotti da siffatte colture, la necessità di un più frequente muoversi ed allontanarsi dal natio paese per andare sui mercati anche vicini, dove pure vedono necessariamente e parlano con più persone in un giorno, che non a casa loro in un mese; il bisogno, per sostenere la concorrenza, di conoscere ed imparare l'arte; i modi efficaci per ottenere dal terreno il desiderato prodotto, nella quantità e qualità e colla sollecitudine voluta, hanno determinato in queste popolazioni rurali uno sviluppo notevole della loro coltura intellettuale, di tutte le manifestazioni del vivere sociale, anche in quella parte che non sarebbe forse desiderabile, talché sono infinitamente meno rozze e meno ignare delle forme del vivere civile che non in qualche altra parte d'Italia". La coltura del pomodoro nel Savonese è inoltre attestata fin dai primi anni del XIX secolo da Gilbert Chabrol de Volvic, il prefetto inviato da Napoleone a Savona nel 1806 per organizzare il dipartimento di Montenotte, una delle tre circoscrizioni dell'ex repubblica di Genova, annessa alla Francia nel 1805. Nella compilazione della sua ponderosa "Statistica del dipartimento di Montenotte", lo Chabrol, afferma che "I paesi costieri dei due circondari meridionali, e soprattutto i cantoni di Savona, Varazze, Finale, Pietra, Alassio … hanno una gran quantità di orti … sempre coperti di ortaggi e legumi … Ogni stagione ha i suoi prodotti … D'estate si raccolgono i cavoli cappucci, le melanzane, i papaveri (coltivati per i semi usati in pasticceria, in farmacia o per estrarne olio), i pomodori, i cavoli rapa, i rafani, i meloni, i cocomeri, i cetrioli, i fagioli; … " (5). Il fascicolo provinciale di Savona del catasto agrario, che riporta superfici e produzioni medie rilevate negli anni 1923-29, citando anche il prof. Allegri, allora titolare della locale Cattedra ambulante di agricoltura, annota che: "Nelle serre fredde (nella piana albenganese) l'asparago costituisce la coltivazione principale; lo zucchino, il pomodoro ed il cetriolo coltivazioni secondarie. Nelle serre calde si coltiva principalmente il basilico, e collateralmente il fagiolino, il pomodoro, il cetriolo, il peperone e la fragola. Le serre in funzione superano il numero di 1.500 ed occupano un'area di circa 75 ettari" (6). Lo stesso catasto indica per la provincia di Savona 117 ettari di pomodoro in coltura integrante e 774,5 in coltura ripetuta, con una produzione media di 48,3 tonnellate ad ettaro per la coltura integrante e 53 per la ripetuta. Complessivamente la produzione provinciale di pomodori somma mediamente, in quegli anni, quasi 46.700 tonnellate. Nel solo comune di Albenga sono in coltura ripetuta 165,6 ettari di pomodoro, con una produzione media di 55 tonnellate ad ettaro ed una produzione complessiva di oltre 9.100 tonnellate per anno. Nel 1964 la coltura del pomodoro occupa, in provincia di Savona, solo più 589 ettari,

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FOTO F. GIOBERTI


NOTE STORICHE E STATISTICHE

con una resa media di 35,5 tonnellate per ettaro, per una produzione totale limitata a circa 20.900 tonnellate (7). Negli anni Sessanta la produzione regionale ligure di pomodoro passa da 59.320 tonnellate (1961) a 63.820 tonnellate (1971), con una punta massima di 76.675 tonnellate nel 1969. Negli stessi anni (1968/1969) nella provincia di Savona è rilevata una produzione di 38 tonnellate in 0,4 ettari di coltura in serra per il pomodoro tondo liscio e 10.091 tonnellate in 124 ettari di serre per il pomodoro costoluto, pari rispettivamente a 1,57% e 7,86% della produzione nazionale (8). Circa dieci anni dopo (medie 1973/1977) la provincia di Savona fornisce ancora il 51% della produzione regionale di pomodoro, con 782 ettari investiti, in serra e piena aria, pari al 20% delle superfici a colture orticole in provincia, registrando rese unitarie medie di oltre 49 tonnellate ad ettaro in pieno campo (con punte massime di 75 tonnellate) e 78 tonnellate in serra (massime 170 t/ha). Nello stesso periodo la produzione regionale di pomodoro in pieno campo è di 74.537 tonnellate e 14.165 tonnellate in serra, pari, rispettivamente, al 2,3% ed al 6,8% della produzione nazionale (9). Fino agli anni Settanta le maggiori produzioni di pomodoro nel Savonese riguardano però altre varietà, affatto diverse dal cuor di bue: il tondo liscio e soprattutto il costoluto detto “francese”, cioè la varietà Marmande. Solo tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta si evidenzia un certo interesse per il pomodoro cuor di bue, che i commercianti dapprima non gradiscono per il suo aspetto, caratteristico ma ritenuto brutto e sgradevole agli occhi del consumatore. Dagli anni Ottanta però aumenta progressivamente la richiesta della varietà cuor di bue, del quale i consumatori hanno iniziato ad apprezzare le caratteristiche fisiche ed organolettiche: polpa asciutta e consistente, pochi semi, quasi nulla presenza di succo e sapore dolce non acidulo. Lo stesso aspetto del cuor di bue, considerato brutto, ma molto caratteristico, costituisce un valido mezzo di promozione della varietà, poiché la rende facilmente identificabile da parte del consumatore. La richiesta e la produzione di cuor di bue aumentano da allora progressivamente, a scapito delle altre varietà tradizionali locali, tondo liscio e costoluto Marmande, fino ad interessare i mercati nazionali del nord ovest, soprattutto nel triangolo Genova, Milano, Torino. La produzione attuale di pomodoro cuor di bue d’Albenga è stimata in circa 2.000 tonnellate.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Riferimenti bibliografici 1. Pier Andrea Mattioli, 1557. I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1984. 2. Bartolomeo Scappi, 1570. Opera. Dell'arte del cucinare. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1981. 3. Torre S., Colombo, un nuovo mondo a tavola, citato da A. Cattabiani in Florario, 1998. Mondadori Editore. 4. Atti della Giunta per l'inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, 1883. Volume X. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1978. 5. Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l'ancien département de Montenotte par le compte de Chabrol de Volvic, conseiller d'Etat, préfet de la Seine, 1824. Traduzione di Assereto G., Comune di Savona, 1994. 6. Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia. Catasto agrario 1929. Compartimento della Liguria, Provincia di Savona, fascicolo 10, 1936. 7. Compendio statistico provinciale 1964 – 1965. Ufficio provinciale di statistica, CCIAA di Savona. 8. Dizionario statistico ligure, 1972. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova. 9. Indagine sulla ortofrutticoltura ligure, s. d. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova.

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ZUCCA TROMBETTA d’ALBENGA Silvana Nicola, Emanuela Fontana, Jeanet Hoeberechts, Giuseppe Piovano, Daniela Saglietti, Gian Enrico Bassetti

Introduzione Origine e diffusione Caratteri botanici e biologici Avvicendamento e lavori preparatori Esigenze ed adattamento ambientale La coltivazione Impianto Propagazione Concimazione Lotta alle malerbe AvversitĂ Irrigazione Raccolta e produzione Il post-raccolta Caratteristiche qualitative e nutrizionali del prodotto Commercializzazione del prodotto Bibliografia consultata

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FOTO G. ASCOLI


INTRODUZIONE

INTRODUZIONE Origine e diffusione La famiglia delle Cucurbitaceae è originaria dell’America centro-settentrionale, da dove si è diffusa in tutti i continenti. Secondo la FAO (2002), la superficie coltivata a zucca e zucchini nel mondo è pari a 1,29 milioni di ha, di cui circa la metà in India e Cina, per una produzione totale di 16,57 milioni di t. In Europa la coltura è presente su ca 87mila ha, di cui 15mila in Italia.

Caratteri botanici e biologici La zucca trombetta (Cucurbita moschata Duch.) è una specie erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae; deve il nome alla forma allungata del frutto, che si ingrossa leggermente ad una estremità (fig. 1). Si tratta di una selezione locale, tradizionalmente riprodotta in azienda dagli stessi coltivatori e da pochi vivaisti specializzati.

● Fig. 1. Zucca trombetta d’Albenga (foto Nicola). ● Fig. 2. Portamento strisciante della pianta di zucca trombetta (foto Galbussera).

Il suo portamento è strisciante (fig. 2). Le radici possono approfondirsi fino ad un metro, ma la maggior parte dell’apparato radicale si sviluppa piuttosto in superficie, soprattutto su terreni fertili che presentano durante il ciclo un’umidità sempre costante. Il frutto è un peponide che si consuma immaturo. Ha forma allungata, leggermente

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INTRODUZIONE

clavata ad un’estremità. È una pianta monoica che presenta fiori unisessuati molto appariscenti, di colore giallo intenso che, aprendosi di mattina, vengono visitati da molti insetti (fig. 3). L’impollinazione avviene ad opera di questi ultimi e soprattutto da parte di api e bombi. Le foglie sono portate da lunghi piccioli vuoti all’interno; in particolare, sulla pagina inferiore e sul picciolo, esse presentano numerosi peli rigidi.

● Fig. 3. Fiore di zucca trombetta (foto Nicola).

Avvicendamento e lavori preparatori La zucca trombetta è una pianta da rinnovo che, accrescendosi e sviluppandosi molto velocemente, occupa il terreno per poco tempo. La coltura si rinnova per tradizione sullo stesso terreno per più anni, senza necessità di limitazioni. Le colture che non devono precedere la zucca trombetta sono le specie appartenenti alla stessa famiglia (melone, cetriolo, carosello, cocomero); le colture che invece possono precedere la zucca trombetta sono cavolo, pisello, fava, porro, lattuga, fagiolo, cereali, mentre quelle che possono seguirlo sono carota, sedano, lattuga e porro.

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INTRODUZIONE

È sconsigliato allevare la zucca trombetta in coltura consociata, in quanto tale pianta, accrescendosi velocemente, eserciterebbe una competizione troppo elevata nei confronti delle altre specie coltivate; inoltre, poiché la coltura si sviluppa in verticale sul pergolato (“topia”), potrebbero crearsi problemi di ombreggiamento per le specie consociate (fig. 4). ● Fig. 4. Consociazione in coltura protetta: zucca trombetta, fava e bietola da coste (foto Nicola).

Esigenze ed adattamento ambientale La zucca trombetta è una pianta ad elevate esigenze termiche con periodo ottimale di coltivazione in pien'aria che va da maggio a settembre. La temperatura ottimale per la crescita è di 15-18 °C durante la notte e di 24-30 °C durante il giorno; al di sotto dei 10-12 °C la pianta non si accresce. La coltivazione può essere effettuata nei terreni più diversi data la buona adattabilità di questa pianta ai vari tipi di suolo. Quelli più idonei sono comunque i suoli di medio impasto, soffici, freschi, ben dotati di umidità ma ben drenanti. Il pH del terreno più idoneo varia da 5,5 a 7,0. Questo ortaggio, inoltre, risulta mediamente tollerante la salinità del terreno.

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LA COLTIVAZIONE

LA COLTIVAZIONE Impianto Nell’areale ingauno la zucca trombetta è coltivata per tradizione sia in pieno campo (fig. 5) sia in apprestamenti protetti (serre e tunnel) (fig. 6) per differenziare i tempi di raccolta del prodotto. Le piantine vengono prodotte direttamente in azienda, impiegando semi di piante selezionate per la loro particolare vigoria (fig. 7). I vivai specializzati spesso forniscono le piantine in cubetto prodotte con lo stesso sistema (fig. 8). La lavorazione principale viene effettuata tradizionalmente con una vangatura o fresatura da effettuare ad una profondità massima di 20 cm. In presenza di un terreno particolarmente compatto, al fine di favorire l'approfondimento radicale e aumentare la massa di terreno esplorata dalle radici e quindi la quantità di acqua e di elementi nutritivi potenzialmente sfruttabili dalla coltura, si possono effettuare delle scarificature più profonde (40-50 cm) che, salvaguardando la struttura del terreno, consentono l’approfondimento maggiore delle radici.

● Fig. 5. Coltura di zucca trombetta in pieno campo: impianto con pergolato in legno (foto Galbussera).

Quest’ultima operazione diventa importante anche per evitare ristagni di acqua in eccesso che risultano sempre dannosi per le condizioni fitosanitarie della coltura. Poco prima della semina o del trapianto si effettua un’erpicatura tenendo presente che non occorre affinare molto il terreno.

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LA COLTIVAZIONE

Infatti, nella generalità dei casi la coltura deve essere trapiantata e, anche se venisse effettuata la semina, le dimensioni dei semi sono tali da non richiedere un eccessivo affinamento del terreno.

● Fig. 6. Coltura protetta: supporto mediante fili di nylon (foto Nicola). ● Fig. 7. Frutto stramaturo di zucca trombetta non raccolto per la produzione di seme (foto Galbussera).

● Fig. 8. Piantine di zucca trombetta in vivaio (foto Nicola).

La densità di impianto per la coltura in pien’aria è generalmente di circa 850 piante per 1000 m2, con una distanza di circa 1,7-2 m tra le file e 0,6-0,7 m sulla fila. In apprestamenti protetti la densità è di 1000 piante per 1000 m2 con un sesto d’impianto di circa 1,3 m tra le file e 0,8 sulla fila. In alcuni casi, soprattutto per le colture in

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LA COLTIVAZIONE

pien’aria, si utilizzano sesti più allargati, diminuendo la densità d’impianto fino a 500 piante per 1000 m2, in quanto si ritiene che la produttività aumenti aumentando lo spazio a disposizione delle piante. L’epoca di impianto va solitamente da marzo a maggio; è necessario, tuttavia, cercare di anticipare il più possibile l’impianto per sfruttare al meglio i periodi più freschi, di più probabile piovosità e di minor richiesta evapotraspirativa. Ciò non è sempre possibile date le elevate esigenze termiche della coltura sia nella fase di germinazione dei semi sia in quelle successive. La coltura della zucca trombetta comporta l’installazione di strutture di supporto, generalmente realizzate con pali di castagno, di cemento o canne, e fili di ferro zincato o di nylon. In coltura protetta le orditure di supporto sono talvolta collegate direttamente alle strutture portanti della serra o del tunnel tramite catenelle o altri sostegni (fig. 9). Durante la coltivazione e finché la pianta non è sul pergolato devono essere effettuate ripetute operazioni di sfemminellatura.

● Fig. 9. Orditure di supporto collegate alle strutture portanti della serra (foto Nicola).

Propagazione La zucca trombetta è seminata a spaglio in cassette per essere poi ripicchettata in cubetti o alveolati; le piantine si trapiantano in campo allo stadio di 3-4 foglie. Per la produzione di piantine con il pane di terra si possono utilizzare vasetti (7-9 cm di diametro) o contenitori alveolati con terriccio abbastanza leggero. Nel periodo in cui si tengono in vivaio, è opportuno razionalizzare le irrigazioni allo strettissimo necessario per cercare di “indurire” le piantine che, in pieno campo, sopporteranno meglio situazioni di disponibilità idrica limitata.

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LA COLTIVAZIONE

Concimazione Al momento dell’impianto si effettuano concimazioni mediante ammendanti organici e concimi minerali con un contenuto di azoto non superiore a 150 unità (pari a 15 kg per 1000 m2). Per una corretta gestione della fertilità è sempre necessario effettuare periodiche analisi chimico-fisiche del terreno.

Lotta alle malerbe Le infestanti più diffuse nella coltura della zucca trombetta sono quelle a ciclo primaverile-estivo quali: Veronica persica, Stellaria sp., Portulaca oleracea, Amaranthus retroflexus, Setaria viridis, Solanum nigrum, Convolvolus arvensis, Chenopodium album. Un altro inconveniente non trascurabile è la possibilità che hanno specie quali Amaranthus retroflexus, Portulaca oleracea e Convolvolus arvensis di ospitare il virus del mosaico del cetriolo, patogeno che può colpire la zucca trombetta. La gestione della flora infestante deve essere condotta mettendo in atto tutte le tecniche preventive, soprattutto falsa semina e utilizzo dell'impianto d'irrigazione a microportata di erogazione, allo scopo di evitare che la flora avventizia si sviluppi in modo eccessivo nella coltura. La falsa semina è una tecnica molto efficace in quanto, essendo una coltura primaverile-estiva, il letto di impianto viene preparato quando le temperature sono ormai elevate e i semi delle infestanti germinano abbastanza velocemente. Essa consiste in una preparazione anticipata del letto di impianto della coltura, seguita anche, in assenza di precipitazioni naturali, da un’irrigazione per aspersione su tutto il campo. Così facendo, si romperà anticipatamente la dormienza di molti semi di infestanti che germineranno prima che la coltura venga impiantata. Le piante infestanti potranno quindi essere agevolmente eliminate tramite un’erpicatura. Tra le pratiche agronomiche per il contenimento diretto della carica dell'infestazione vi sono la sarchiatura e la pacciamatura. Quest’ultima pratica non è comunemente adottata nella coltivazione della zucca trombetta, ma permette di ottenere risultati molto soddisfacenti. In particolare consente di: • evitare la crescita delle infestanti sulla fila, risultato che, se unito ai vantaggi dell’irrigazione localizzata e della sarchiatura, risolve quasi completamente il problema della gestione della flora avventizia; • limitare l’evaporazione dell’acqua dal terreno; • avere una precocità di maturazione e quindi accorciare il ciclo vegetativo. Benché si usi anche pacciamare l’intera superficie del terreno, la soluzione più indicata è quella di ricoprire solo la fila della coltura, stendendo al di sotto le manichette dell’impianto irriguo.

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LA COLTIVAZIONE

Avversità La difesa fitosanitaria avviene tramite sistemi che riducano il più possibile l’impatto ambientale, basandosi di preferenza sull’impiego di tecniche di lotta integrata e biologica, monitorando le infestazioni. Le piante colpite vanno asportate dalla coltura e distrutte per limitare il contagio. Attualmente è in aumento il numero di aziende che coltivano la zucca trombetta secondo le tecniche dell’agricoltura integrata ed anche biologica. Le avversità di origine parassitaria della zucca trombetta sono in pratica le stesse della zucca e delle altre specie appartenenti alla famiglia delle cucurbitacee. Tra le avversità di natura non parassitaria rientra la strozzatura del colletto. Le avversità di natura parassitaria comprendono: Tipologia Crittogame

Malattia mal bianco o oidio fusariosi sclerotinia

Batteriosi Virus

Tipologia del danno Vettori di virus sviluppo di fumaggini Asportazione di tessuti vegetali Disseccamento delle foglie Danni all’apparato radicale

marciume molle virus del mosaico del cetriolo virus del mosaico giallo dello zucchino picchiettatura gialla dello zucchino

Agente Erysiphe cichoracearum, Sphaeroteca fuliginea Fusarium solani Sclerotinia sclerotiorum, Sclerotinia minor Erwinia carotovora var. carotovora CMV ZYMV ZYFV

Parassiti animali afidi (Aphis gossypii), aleurodidi (mosca bianca) coleotteri (coccinella del melone), cimici acari (ragnetto rosso comune) nematodi, elateridi

Se necessario, si può ricorrere alla disinfezione del terreno utilizzando fumiganti consentiti o vapore ad alta temperatura, oppure, negli apprestamenti protetti, mediante la solarizzazione.

Irrigazione La zucca trombetta presenta elevate esigenze idriche a causa dell’alta intensità traspirativa, per cui la coltura deve essere effettuata in terreni irrigui. In situazione di carenza idrica le piante vanno incontro ad un arresto di vegetazione e di produzione ancora prima di mostrare evidenti sintomi di appassimento. L’irrigazione viene effettuata secondo le necessità della pianta con sistemi a pioggia, a scorrimento ed a goccia. L’impianto di irrigazione può essere utilizzato anche per effettuare la fertirrigazione. Il metodo irriguo localizzato, a microportata di erogazione, è quello che possiede le caratteristiche migliori in quanto permette

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LA COLTIVAZIONE

un notevole risparmio di acqua sia per la migliore efficienza distributiva sia per le ridotte perdite per evaporazione dal terreno (fig. 10). Inoltre, non umettando tutta la superficie del terreno è presumibile che l’interfila si mantenga sgombra dalle infestanti. Grande importanza va data, inoltre, alla sarchiatura ed alla pacciamatura (pratica quest’ultima non ancora molto diffusa), le quali, oltre a permettere di controllare le infestanti presenti sulla fila e tra le file, riducono significativamente l’evaporazione di acqua dal terreno.

● Fig. 10. Manichetta per l’irrigazione delle piante di zucca trombetta (foto Nicola).

Raccolta e produzione La raccolta del prodotto in pieno campo prende avvio nel mese di maggio e si conclude alla fine di settembre per avere la possibilità di impiantare per tempo una seconda coltura di avvicendamento autunno-vernina. In coltura protetta il periodo di raccolta va da febbraio a giugno per la coltura primaverile e dalla metà di agosto alla fine di dicembre per la coltura autunnale (fig. 11).

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LA COLTIVAZIONE

La raccolta va effettuata preferibilmente nelle prime ore della mattina. Il distacco del frutto in antesi o post-antesi deve avvenire a mezzo di un taglio netto da eseguirsi con un coltello molto affilato, un paio di centimetri al di sotto della base. Questo consentirà una rapida cicatrizzazione sia del tessuto della pianta dal quale si è distaccato il frutto, sia dei tessuti del frutto stesso. All’inizio la raccolta si effettua ogni 2-3 giorni, mentre in piena produzione ha cadenza giornaliera. A causa della sua delicatezza, dopo la raccolta la zucca trombetta deve essere subito avviata alla commercializzazione, non appena concluse le operazioni di cernita e di imballaggio. La conservazione in cella frigorifera a 7-10 °C ed umidità relativa del 90-95% può avvenire per il tempo strettamente necessario per la conclusione delle operazioni di confezionamento.

● Fig. 11. Frutti di zucca trombetta a tre diversi stadi di maturazione (foto Galbussera).

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IL POST-RACCOLTA

IL POST-RACCOLTA Caratteristiche qualitative e nutrizionali del prodotto I frutti sono apprezzati per il basso valore calorico (il contenuto in acqua è superiore al 90%), l’elevata digeribilità ed il contenuto in potassio e fosforo. Tabella 1 - Composizione chimica e valore nutrizionale Parte edibile (%): Acqua (g): Proteine (g): Lipidi (g): Colesterolo (mg): Carboidrati disponibili (g): Amido (g): Zuccheri solubili (g): Fibra totale (g): Alcool (g):

88 93,6 1,3 0,1 0 1,4 0,1 1,3 1,2 0

Energia (kcal): Energia (kJ):

11 47

Sodio (mg): Potassio (mg): Ferro (mg): Calcio (mg): Fosforo (mg):

22 264 0,5 21 65

Tiamina (mg): Riboflavina (mg): Niacina (mg): Vitamina A retinolo eq. (µg): Vitamina C (mg):

0,08 0,12 0,70 6 11

(Fonte: INRAN)

Commercializzazione del prodotto La produzione di zucca trombetta è attualmente limitata, per cui il prodotto viene commercializzato non oltre i mercati di Genova, Torino, Cuneo e Milano. Una modesta parte di prodotto raggiunge anche la Costa Azzurra in Francia, dove è molto apprezzata. Il prodotto viene confezionato in cassette di legno di peso variabile da 4 a 8 kg, anche se attualmente l’imballaggio tende ad essere più protettivo e più curato dal punto di vista estetico per andare incontro alle esigenze del consumatore ed anche del dettagliante, data la particolare delicatezza della zucca trombetta nelle fasi di trasporto ed esposizione.

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

Bibliografia consultata • Consorzio COOPINTESA, C.C.I.A.A. Savona e Comitato promotore DOP IGP Albenga. 2002. Domanda di registrazione della Indicazione Geografica Protetta “Zucca Trombetta d’Albenga” • Tesi, R. 1990. Zucca da zucchini. In: Bianco, V.V. e Pimpini, F. Orticoltura. Patron Editore, Bologna, pagg. 622-630. • Turchi, A., Turchi, F., 1997. Orticoltura pratica. Ed agricole – Edizioni Agricole, Bologna, pagg. 420-436. • www.fao.org • www.sinab.it/ortive/web871.htm • www.inran.it/documentazione/documentazione.htm

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ZUCCA TROMBETTA d’ALBENGA NOTE STORICHE E STATISTICHE

FOTO G. ASCOLI

Riccardo Galbussera

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

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on il nome di zucca sono coltivate fondamentalmente due specie botaniche appartenenti alla Cucurbitacee, cioè la Cucurbita maxima e la Cucurbita moschata. Queste specie hanno poi diverse varietà botaniche (1). La specie Cucurbita pepo, peraltro altrettanto diffusa, è invece coltivata per la produzione di zucchini. Sono usualmente chiamate zucche anche varietà non appartenenti al genere Cucurbitacee: le Lagenarie (Lagenaria siceraria), le cosiddette zucchette messicane (Sechium edule) e le spugne vegetali (Luffa cylindrica). Molti autori ritengono che la famiglia delle Cucurbitacee sia originaria dell'America centro settentrionale, infatti, in Texas e Florida, ma anche in Messico, le zucche crescono allo stato spontaneo; inoltre, durante scavi archeologici in queste località, sono stati trovati frammenti di frutti molto simili alle zucche attualmente coltivate. Altri ritengono, invece, che il luogo d'origine della famiglia sia l'Asia. Le prime notizie certe relative alla famiglia sono reperibili in alcuni trattati di agricoltura del 1500 (2). Proprio intorno alla metà del XVI secolo il medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli, in una dotta dissertazione sui libri di Dioscoride, cita molte proprietà terapeutiche della zucca che "… buona da mangiare, trita cruda e impiastrata lenisce i tumori e le posteme (pustole, ascessi) Le mondature applicate in su la parte dinanzi della testa, giovano ne fanciulli alle infiammagioni de i pannicoli del cervello … Giova medesimamente ungendosene ne gli ardori delle calidissime febbri alle cotture della pelle …". Lo stesso Autore afferma che "Queste (le zucche) di nuovo (secondo che dicono) ci sono state portate dall'Indie: quantunque quelle, che si chiamano marine, sieno più lungo tempo state in Italia". Citando inoltre affermazioni di Columella, Plinio e Galeno, il Mattioli conferma la coltura di alcune varietà di zucca nel bacino del Mediterraneo da prima dell'era cristiana (3). Nelle incisioni che il Mattioli stesso inserisce nei suoi testi, da valentissimo fitografo quale egli è, e da altre fonti iconografiche coeve e precedenti, accanto a zucche che potrebbero essere in effetti lagenarie, dette anche zucche da vino (Lagenaria siceraria), si notano altre forme che sembrano essere esemplari di Cucurbita moschata. Plinio il Vecchio, nella sua monumentale opera in trentasette volumi Naturalis historia, nel primo secolo dell'era cristiana disserta ampiamente sulle zucche, riferendosi in realtà a diverse varietà di Lagenaria vulgaris, sostenendo che per l'uso alimentare le zucche sono tanto più pregiate quanto più sono lunghe e sottili, e per questo motivo sono più sane quelle cresciute sospese. Una autorevole testimonianza di duemila anni fa perfettamente applicabile oggi alla Zucca trombetta d'Albenga (2). Tra le diverse Cucurbite coltivate per uso alimentare la Zucca trombetta d'Albenga appartiene alla specie C. moschata (Duchesne) ed è commercialmente classificata come zucca rampicante. I nomi di zucca trombetta, zucca a tromba, tromboncino di Albenga, che sono o sono stati in passato comunemente attribuiti a questo particolare tipo di zucca, fanno chiaramente riferimento alla sua caratteristica forma: allungata, lievemente ricurva e un po' ingrossata ad una delle estremità.

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NOTE STORICHE E STATISTICHE

Un’azienda sementiera indica questa zucca semplicemente come "di Albenga" (Catalogo SAIS, Cesena), in altri testi è indicata come "rampicante di Albenga" (1). Trattandosi di una specie proveniente da regioni lontane, analogamente a varietà di fruttiferi, viti ed altre piante, è storicamente credibile che la Cucurbita moschata sia introdotta in Liguria, in tempi remoti, ad opera dei marinai liguri che portano a casa ciò che di nuovo e diverso trovano nel corso dei loro lunghi viaggi. Varietà diverse di Cucurbita moschata sono peraltro comunemente coltivate nell'Italia centrale e meridionale, per utilizzarne il frutto a completa maturazione nel periodo invernale. L'utilizzo del peponide immaturo della C. moschata è però una tipicità ligure, come riferisce un noto autore: "Se ne ricavano (dalla C. moschata) pure zucchine precocissime, dette anche trombette … per quest'ultimo uso è coltivata specialmente in Liguria; hanno forma cilindrico-clavata, sono lunghe e generalmente incurvate e sono esternamente di color verde tenero." (4). La zucca trombetta di Albenga, anche in relazione a non trascurabili difficoltà di trasporto per la forma particolare, la fragilità del frutto e la delicatezza del suo epicarpo, non ha, in passato, avuto molta notorietà al di fuori del Ponente ligure. Da alcuni anni però una maggiore curiosità ed attenzione dei consumatori verso prodotti agricoli diversi e non comuni, ha fatto scoprire, e molto apprezzare, questo particolare prodotto (5). La zucca di Albenga, meglio conosciuta come "a trombetta d'Albenga" è sicuramente una delle tipologie più interessanti e intriganti tra le innumerevoli varietà e selezioni locali che fortunatamente ancora si mantengono nel nostro variegato Paese. … Grazie alla sua origine genetica la zucca d'Albenga possiede qualità organolettiche ottime e indiscutibili (6). Anche una associazione che ha come obiettivi informare i consumatori e salvaguardare i prodotti agro alimentari di particolari caratteristiche e limitata produzione, attualmente esprime interesse per le zucche a trombetta dell'Albenganese, indice evidente di possibili valorizzazioni commerciali di un prodotto che associa una spiccata tipicità a caratteristiche organolettiche e nutrizionali di grande valore. A livello statistico sono generalmente distinte le produzioni di zucca e di zucchini, le prime però comprendono indistintamente le zucche così dette da inverno e le zucche trombette raccolte allo stato immaturo. A titolo meramente indicativo si può ricordare che la produzione regionale della Liguria è, agli inizi degli anni Sessanta, di 3.420 tonnellate di zucche e 17.710 tonnellate di zucchini, mentre dieci anni dopo è di 1.970 t per le zucche e 16.920 t per gli zucchini (7). A metà degli anni Sessanta la provincia di Savona conta una produzione 8.653 tonnellate su 273 ettari, ma il dato comprende zucche e zucchini (8). La produzione attuale di zucche trombette d’Albenga, è stimata in 500/600 tonnellate anno.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Riferimenti bibliografici 1. Schiavo G., 1999. Zucca e zucchino nell'orto, Edizioni l'Informatore Agrario. 2. Siviero P. e Motton M. S., 1999. La carta di identità dello zucchino, l'Informatore Agrario 18/99. 3. Pier Andrea Mattioli, 1557. I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1984. 4. Tosco U., 1962. Gli ortaggi, Paravia. 5. Petrini C., 2001. Trombette di Albenga e aglio rosso di Vessalico, La Stampa, Tutto libri tempo libero, sabato 21 luglio. 6. Barbieri G., 2002. C'è anche lo "zucchino a tromba" e piace ai consumatori - Lettere al Direttore, Terra e Vita, 9/02. 7. Dizionario statistico ligure, 1972. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova. 8. Compendio statistico provinciale 1964 – 1965. Ufficio provinciale di statistica, CCIAA di Savona.

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COOPINTESA

CARTOGRAFIA Riccardo Galbussera, Fabrizio Gioberti, Daniele Griggio

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INQUADRAMENTO DELLA ZONA DI PRODUZIONE

ITALIA

REGIONE LIGURIA

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DELIMITAZIONE DELLA ZONA DI PRODUZIONE

PROVINCIA DI SAVONA

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118 FOTO G. ASCOLI

FOTO G. ASCOLI

FOTO F. GIOBERTI

FOTO G. ASCOLI


COOPINTESA

RICETTE Paolo Alberelli, Ivana Alessandri Guido, Fausto Carrara, Marcello Mastroianni, Silvio Torre

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FOTO F. GIOBERTI


RICETTE CON GLI ASPARAGI VIOLETTI d'ALBENGA Sfogliata con Asparagi violetti d’Albenga e Gamberoni nostrani Dose per una persona: Un mazzetto di Asparagi violetti d'Albenga cotti al vapore; quattro Gamberoni rossi nostrani cotti al vapore; una noce di burro; un tuorlo d'uovo; tre cucchiai di panna fresca; sale e pepe. Preparazione: Con della pasta sfoglia fare un quadrato (centimetri 10 x 10) e una volta cotto dividerlo a metà orizzontalmente. In una padella fare saltare solo le punte degli asparagi con del burro, unire le code di due Gamberoni tagliate a tocchetti, la panna fresca e un tuorlo d'uovo. Amalgamare il tutto, aggiustare di sale e pepe e disporlo su una metà della sfoglia, coprire con il rimanente pezzo di sfoglia e guarnire con una dadolata di Pomodori cuor di bue d'Albenga, punte di Asparagi violetti d'Albenga ed un Gamberone intero. Vino consigliato: Vermentino DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta segnalata dal Ristoratore Fausto Carrara di Albenga.

Asparagi violetti d'Albenga "Mimosa" Dose per una persona: Un mazzetto di Asparagi violetti d'Albenga; due uova sode; formaggio parmigiano grattugiato, un pizzico di mollica di pane grattugiata; burro fuso leggermente dorato. Preparazione: Tagliare gli Asparagi violetti d'Albenga a quindici centimetri dalla punta, cuocerli al vapore e disporli su di un piatto ben caldo. Ricoprire le punte con le uova passate al setaccio grosso, il parmigiano ed il pan grattato. Per ultimo versare il burro fuso. Vino consigliato: Vermentino DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta segnalata dal Ristoratore Fausto Carrara di Albenga.

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FOTO F. POLLERI


RICETTE CON I CARCIOFI SPINOSI d'ALBENGA Torta verde con i Carciofi spinosi d'Albenga Ingredienti per sei persone: Sei Carciofi spinosi d'Albenga; un mazzo di bietoline; sei uova; tre cipolle; un mazzetto di prezzemolo; tre manciate di riso; due sfoglie. Parmigiano Reggiano o Grana Padano a piacere. Olio extra vergine di oliva (possibilmente DOP "Riviera ligure"), sale e pepe. Preparazione: Pulire i Carciofi spinosi d'Albenga e tagliarli a fettine, lavare le bietoline e sminuzzarle finemente, poi unire le cipolle tagliate fini e far rosolare il tutto in una padella larga, aggiungere il riso e lasciarlo cuocere brevemente. Aspettare che il composto si raffreddi, quindi unire il formaggio, le uova, sale e pepe, cercando di amalgamare bene il tutto. Disporre il composto sulla sfoglia piuttosto sottile, ricoprire con un'altra arrotolando i lembi, spennellare la stessa con il rosso d'uovo allungato con una goccia d'acqua e bucherellare con una forchetta. Infornare per 45 minuti a 200 gradi. Vino consigliato: Rossese DOC "Riviera ligure di ponente". â—? Ricetta dello Chef Ivana Alessandri Guido di Albenga.

Capesante gratinate con i Carciofi spinosi d'Albenga Ingredienti per quattro persone: Quattro Carciofi spinosi d'Albenga; venti Capesante; uno spicchio d'aglio; uno scalogno; quattro noci di burro; una foglia di alloro; un pizzico di semi di papavero; mezzo litro di besciamella. Olio extra vergine di oliva (possibilmente DOP "Riviera ligure"), sale e pepe. Preparazione: Rosolare le Capesante in una padella antiaderente con il burro fumante e l'alloro, salare e pepare, togliere dal fuoco, nel mentre tagliare finemente i Carciofi spinosi d'Albenga e farli saltare in padella con olio extra vergine di oliva, scalogno ed aglio per pochi minuti, poi salare e pepare. Preparare a parte la besciamella aggiungendo i semi di papavero ed il sugo delle Capesante ristretto, quindi disporre le Capesante nelle loro valve. Dividere i Carciofi spinosi d'Albenga e sistemarli sulle noci di Capesante; ricoprire con la besciamella e per ultimo spolverare generosamente con pane grattugiato amalgamando con olio extra vergine di oliva, sale, pepe e limone. Infornare e gratinare per 8 / 10 minuti a 180 gradi. Vino consigliato: Pigato DOC "Riviera ligure di ponente". â—? Ricetta dello Chef Ivana Alessandri Guido di Albenga.

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FOTO F. GIOBERTI


RICETTE CON I POMODORI CUOR DI BUE d'ALBENGA Piramide di Pomodori cuor di bue d'Albenga ed acciughe fresche Ingredienti per 4 persone: Due grossi Pomodori cuor di bue d’Albenga; 300 grammi di acciughe nostrane; olio extra vergine di oliva; 20 grammi di capperi sotto sale; 30 grammi di olive taggiasche; finocchietto selvatico; peperoncino; vino bianco; 4 fette di pane tostato; 1 spicchio d’aglio. Preparazione: Preparare un trito con le olive, i capperi salati, il finocchietto selvatico ed il peperoncino. Soffriggere il trito con l’olio, unire le acciughe, bagnare con il vino e cuocere per due minuti. A questo punto tagliare i Pomodori cuor di bue d’Albenga, privi di buccia, in dodici fette regolari e preparare le piramidi in sei strati, intercalando la fetta di pomodoro ed il sugo di acciughe. Scaldare in forno per qualche istante e servire la piramide adagiandola sulla fetta di pane tostato e strofinato con l’aglio e condire con un filo di olio extra vergine di oliva. Vino consigliato: Rossese DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta dello Chef Paolo Alberelli di Borgio Verezzi, segnalata da Silvio Torre.

Gallinella di Capo Mele con Pomodoro cuor di bue d'Albenga e timo selvatico Ingredienti: Una Gallinella freschissima di circa 400 grammi; un Pomodoro cuor di bue d'Albenga maturo, di circa 150 grammi; uno spicchio di aglio affettato; olio extra vergine di oliva q. b. (meglio se DOP "Riviera ligure"); alcuni rametti di timo selvatico fresco; prezzemolo tritato. Preparazione: Pulire la Gallinella eviscerandola, asciugarla con cura e metterla da parte, tagliare il Pomodoro cuor di bue d’Albenga. Mettere la padella al fuoco con un poco di olio extra vergine e lo spicchio di aglio affettato, rosolare a fuoco basso e toglierlo appena colorisce, deporre la Gallinella al centro della padella e contornare con la dadolata di Pomodoro cuor di bue d'Albenga, il timo ed un poco di sale. Incoperchiare e cuocere a fuoco moderato per 15 / 20 minuti. A cottura deporre la Gallinella, con cautela, nel piatto, coprirla e contornarla con il sughetto che si sarà formato, decorare con prezzemolo a pioggia. Vino consigliato: Pigato DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta dello Chef Marcello Mastroianni di Laigueglia, segnalata da Silvio Torre.

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FOTO G. ASCOLI


RICETTE CON LA ZUCCA TROMBETTA d'ALBENGA Terrina di Zucche trombette d’Albenga e Pescatrice con uvetta, pinoli e caramello balsamico Ingredienti per otto persone: Per la terrina: 400 grammi di Zucche trombette d’Albenga; succo di limone; 4 fogli di gelatina (colla di pesce); 300 grammi di Pescatrice, spinata e tagliata a listerelle; olio extra vergine di oliva; 1 cipollotto; vino bianco; sale; pepe. Per la salsa: olio extra vergine d’oliva; 30 grammi di pinoli; 30 grammi di uvetta sultanina; 1 cucchiaino di aceto balsamico tradizionale di Modena; 1/2 bicchierino di sciroppo di zucchero. Preparazione: Cuocere al vapore le Zucche trombetta d’Albenga aggiungendo solo sale, qualche goccia di limone e frullare nel mixer unendo la gelatina sciolta in poco brodo vegetale. Soffriggete leggermente con l’olio il cipollotto tagliato finemente, aggiungere la Pescatrice, salare, pepare e, alzando la fiamma, bagnare con il vino. Cuocere per 5 minuti e lasciare raffreddare. A questo punto preparare la terrina facendo 4 strati, alternando la crema di Zucca trombetta d’Albenga e la Pescatrice e lasciarla in frigorifero per almeno 4 ore. Scaldare l’olio con i pinoli e l’uvetta, cuocere in un pentolino lo sciroppo di zucchero e l’aceto balsamico, fino al punto di caramellarsi. Impiattare infine la terrina, nappare con la salsa di uvetta e pinoli ed aggiungere il balsamico caramellato a gocce. Vino consigliato: Pigato DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta dello Chef Paolo Alberelli di Borgio Verezzi, segnalata da Silvio Torre.

Gamberoni nostrani e Zucche trombette d'Albenga al vapore Ingredienti: Una Zucca trombetta d'Albenga; cinque Gamberoni nostrani. Court-buillon fatto con una cipolla, chiodi di garofano, alcune foglie di sedano, una piccola carota, sale grosso. Preparazione: Lavare velocemente i Gamberoni in acqua fredda e sgusciare le code, tagliare la Zucca trombetta d'Albenga per il lungo e formare delle sottili lamelle. Mettere le Zucca trombetta così tagliata ed i Gamberoni in uno scolapasta che entri completamente nella pentola nella quale avete preparato il court-buillon, badando che il liquido rimanga due centimetri al di sotto dello scolapasta. Accendere la fiamma, coprire con un coperchio e lasciare cuocere a piccolo bollore sino a cottura della Zucca trombetta. Porre attenzione che le Zucche trombette restino, per così dire, croccanti. Disporre con fantasia al centro di un grosso piatto e condire con una emulsione di limone ed olio extra vergine di oliva DOP "Riviera ligure". Colorare con fine dadolata di Pomodoro cuor di bue d'Albenga molto asciutto. Vino consigliato: Vermentino DOC "Riviera ligure di ponente". ● Ricetta dello Chef Marcello Mastroianni di Laigueglia, segnalata da Silvio Torre.

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Finito di stampare Dicembre 2015 Tipolitografia Ciuni • Albenga




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