OSSOLA.it n5 luoghi

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... le emozioni ritrovate

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Crodo

Briga Varzo

Passo del Sempione

Locarno

Gomba

Coimo

Re

Druogno

DOMODOSSOLA

Cheggio

Trontano

Montescheno

Calasca

Candoglia

Ornavasso

Mergozzo

Verbania

Baveno

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Lago Maggiore

Stresa


Sommario Sede Sed de e redazione red daziione Viaa Madonna di Loreto, Loreto Lor eto,, 7 28805 Vogogna (VB) Tel. 329 2259589 Fax 0324 88665 info@ossola.it Direttore Responsabile Massimo Parma Direttore Editoriale Riccardo Faggiana Capo Redattore Claudio Zella Geddo Redattori Rosella Favino, Adriano Migliorati, Michela Zucca, Marilena Panziera, Massimo Parma Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara eleonora@ossola.com Collaboratori Alice Matli, Fabio Pizzicoli, Giorgio Rava, Carlo Solfrini, Paolo Pirocchi, Marco Valsesia, Mariano Scotto, Ester Bucchi De Giuli Hanno collaborato in questo numero Ass. Operatori Turismo - Commercio Formazza, Pro Loco Bognanco, Comune di Vogogna, Parco Naturale Veglia-Devero, Paolo Crosa Lenz, Tonino Galmarini, Stefano De Luca Fotografia Archivio © Riccardo Faggiana Adriano Migliorati, Paolo Pirocchi, Diego Micheli Traduzioni Chiara Cane, Anna Maria Bacher Editore Faggiana Riccardo Vogogna (VB) - Tel. 329 2259589 Stampa PRESS GRAFICA S.r.l. - Gravellona Toce (VB) Ossola.it è un periodico registrato presso il Tribunale di Verbania in data 10/04/08 con il n. 3/08.

A PROPOSITO DI... LUOGHI

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VOGOGNA L’INCANTO DELLA STORIA TRA CELTI E MEDIOEVO

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STOCKALPERWEG

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ALPE VEGLIA GIRO DELLA CONCA DI VEGLIA

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IL GIARDINO INANIMATO

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PAGINE FRAGILI

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I LUOGHI DELL’ANIMA: ALPI E MONTAGNE

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LE CALDAIE DEL DIAVOLO

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ALPE DEVERO PASSI OLTRE IL CONSUETO

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CROVEO STORIA E TRADIZIONE

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CANYONING IN OSSOLA

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VALLE FORMAZZA

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BOGNANCO DALLA NATURA UNA NUOVA RICCHEZZA?

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ESCURSIONI IN VALLE ANTRONA

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ORNAVASSO: BODEN

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© 2009: É vietata la riproduzione anche parziale di foto, testi e cartine senza il consenso dell’editore. Tutti i diritti sono riservati.

Anno Ann A nno III IIII - N. N. 5 - 2010 201 01 10

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A proposito di luoghi... di Marilena Panziera

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Q

uando ve ne andate a spasso andate in un posto o in un luogo? Generalmente si va in un posto, magari in un bel posto, a volte in un brutto posto, a volte al posto di qualcuno oppure al posto giusto. La parola luogo viene generalmente utilizzata quando alla frase si vuol dare un significato più denso, ad esempio il romanzo di Richard Bach There’s no such place as far away, è stato tradotto in italiano come Nessuno luogo è lontano, e non nessun posto è lontano… Luogo vuol dire letteralmente: porzione di spazio/parte dello spazio che è occupato o si può occupare materialmente o idealmente, quindi assume un significato anche astratto ed immateriale ad esempio quando parliamo di luoghi comuni o luoghi dell’anima, ci riferiamo proprio a questo aspetto del vocabolo. Anche nell’accezione materiale comunque luogo è infinitamente più pregnante dei suoi sinonimi, perché il luogo della memoria è generalmente uno spazio fisico, conservato allo stato in cui si trovava quando è successo qualcosa e per rivivere la gioia, o più spesso per non ripetere gli errori ad esso associati, viene circoscritto, materialmente o idealmente e conservato. Anche nella letteratura si parla spesso di luoghi: Il luogo del delitto è una classica citazione dei romanzi gialli, oppure i Luoghi Oscuri di James Ellroy, o un Luogo chiamato libertà per Ken Follet. Spesso tramite la letteratura abbiamo modo di immaginare, attraverso le descrizioni degli autori luoghi in cui non siamo mai stati e come spesso accade, quando ne abbiamo l’opportunità li visitiamo, perché ormai appartengono oltre che alla nostra immaginazione, anche al nostro “vissuto”. Anche negli scritti degli autori locali si fa riferimento ai luoghi, come ambientazioni delle storie raccontate, con descrizioni che sono pretesto a volte, per far conoscere a chi vive in altri luoghi la bellezza e la naturalità del territorio Ossolano. Proprio in Ossola poi, oltre a luoghi bellis-

simi e molto conosciuti, ve ne sono altri dove si può cogliere l’aspetto pregnante che li caratterizza, sono spesso vicini alle località più note, ma ignorati dai più. Uno di questi è il Muro del Diavolo di Arvenolo, che si raggiunge sia da Premia nei pressi degli Orridi, che da Crodo, sulla strada sterrata per l’Alpe Aleccio, è una costruzione megalitica risalente con ogni probabilità all’età del bronzo, al centro del lato principale del muro vi è un architrave di pietra che delimita una cavità profonda due metri dove presumibilmente si officiavano cerimonie religiose. Le leggende legate a questo luogo sono numerose, si dice che fosse il basamento per un ponte che il diavolo avrebbe voluto realizzare a cavallo della valle, fra Arvenolo e Cravegna, per gettare la sommità della montagna sugli abitanti del paese di Crevola considerati dei nemici per la loro fervente devozione religiosa, oppure semplicemente per rapire le ragazze di Cravegna. Una terza versione, meno leggendaria, ma decisamente affascinante, lo vorrebbe come una specie di attracco per natanti durante la fine della glaciazione, in parole povere un porto! A Crodo!

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Altri luoghi suggestivi poco conosciuti sono le belle frazioni di Domodossola, malgrado l’estrema vicinanza con il centro cittadino, vistandole si può ricavare l’impressione di vivere in epoche passate, specie percorrendo le strette vie che dai piccoli centri abitati corrono verso le antiche terrazze, dove le vigne fanno ancora bella mostra di sè, specie nella stagione autunnale. Suggestioni legate alle epoche passate le offre anche la borgata Cugine, frazione di Baceno in stile Walser, sulle rive impetuose del torrente Devero. Malgrado sia stata abbandonata da decenni le case di legno e pietra sono tutte in buone condizioni, il bosco non ha ancora soffocato completamente il prato e l’impressione che ne deriva è di abbandono, ma un abbandono recente e malinconico, pare che gli abitanti siano appena scappati e invece sono passati cinquant’anni. Luogo più conosciuto, ma dalle origini misteriose è la Rocca di Vogogna, romanica? longobarda? di certo costruita molto prima dell’anno 1000, intorno ad essa gli stretti poggi che degradano verso il ben più famoso castello visconteo, conservano

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ancora tracce della vegetazione arbustiva messa a dimora per allietare le passeggiate delle belle dame medievali, che nelle mattinate estive potevano respirare a pieni polmoni l’aria addolcita dai dal profumo dei bossi, che occhieggiano ancora tra le erbe autoctone. Insomma luoghi belli, bellissimi e anche misteriosi, come misteriosi sono a volte certi miti ad essi legati, basti pensare al basilisco di Malesco in Valle Vigezzo, mostruosa lucertola dagli inquietanti poteri ipnotici, che pare spaventi gli ignari escursionisti anche in altre località delle Alpi. Però, mi sento di rassicurare tutti: visitate con tranquillità le belle montagne vigezzine, perché negli ultimi secoli non ci sono stati avvistamenti, l’unico luogo in cui potrete ammirare il Basilisco nel suo terrificante splendore è la piazza della Chiesa di Malesco, dove troneggia nel mezzo di una fontana in sasso. Quando si ha del tempo a disposizione, si dovrebbero sempre visitare luoghi nuovi, anche vicino a casa nostra, ma nei quali non siamo mai stati, perché tutti i luoghi suscitano sensazioni, ricordi e sentimenti; pensate cosa avrebbe perduto l’umani-


tà se Giacomo Leopardi quel giorno non fosse salito sul monte Tabor nei pressi di Recanati, non avrebbe scritto l’Infinito, che è una delle poesie più belle dedicate alle sensazioni che i luoghi possono suscitare nell’animo delle persone. E quando tornate a casa se ne siete capaci, o meglio se ne avete il coraggio, scrivete l’effetto che vi hanno fatto, non vergognatevi, ma esprimetevi chissà magari qualcuno di Voi potrebbe anche arrivare a tanto.

L’infinito S

empre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare» Giacomo Leopardi 1819

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Vogogna LĂŠincanto della storia tra celti e medioevo

di Claudio Zella Geddo

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I

ntorno all’anno Mille, il tempo delle cronache di Rodolfo il Glabro, Vogogna si affaccia alla storia scritta grazie ad un documento notarile, redatto nell’isola di San Giulio, che definisce la permuta di un terreno. Abitata comunque ben prima da popolazioni lepontiche conserva, nella sala del Palazzo Pretorio una delle vestigia più suggestive della civilizzazione celtica ovvero il celebre Mascherone (II sec. a.C) in pietra ollare. Sublime proposizione di una weltanschauung che poneva -come ben si evince dal cesariano De Bello Gallico- al centro della spiritualità l’intenso rapporto tra uomo e natura. Il reperto per secoli è stato utilizzato accanto alla chiesa di San Pietro ( la più antica del territorio, pregevole per gli affreschi del XV ° sec.) a mo’ di fontana. Di forma ovoidale porta i caratteristici baffi tra linee geometriche tondeggianti che definiscono una fisionomia fissa con un esito, tra naso e sopracciglia che rimanda ad uno degli elementi forti del pantheon celtico, l’albero. Altro elemento che attesta l’antica storia di Vogogna è certamente la Lapide romana del 196 d.C. Si tratta di un manufatto in pietra, ai margini della strada per il Sempione, sormontato dall’aquila napoleonica e da una lapide dedicata a Geo Chavez, che attesta la costruzione di una strada necessaria a commerci e spostamenti dell’impero ai tempi di Settimio Severo. Tratto di strada ancora vedibile al di sopra del ponte della Masone utilizzato da pellegrini e armati probabilmente come via Francigena durante l’alto medievo Dunque Vogogna ben prima del suo apogeo medievale ebbe importanza per le popolazioni che abitavano la grande ansa della Toce ben disposta tra alture e corsi d’acqua in affaccio ad una sorta di strettoia in cui passavano i tracciati viari. Tutto ciò a differenza delle prospicienti Pieve Vergonte e Pietrasanta che furono distrutte dalla furia delle acque di Marmazza e Anza.

Il Borgo, costruito intorno alla metà del XIV ° secolo per volontà di Giovanni Maria Visconti, prima vescovo di Novara e poi Signore di Milano, ebbe giurisdizione sulle quattro terre (Masera, Trontano, Beura Cardezza fino alle propaggini della Valle Vigezzo). Mantenne per lungo tempo una grande valenza strategica per bloccare le scorribande svizzere e contrastare le frequenti ribellioni dei valligiani delle sette valli dell'Ossola. Di rilievo i ripetuti saccheggi, le stragi, i tradimenti che la popolazione vogognese dovette subire sia a causa della rivalità con Domodossola sia per impedire l’espansione del vescovo di Sion. Di questa stagione è testimone l’emblema del borgo una grossa incudine in campo argentato con a sinistra una tenaglia e a destra un martello con il cartiglio Tundendo vis frangitur omnis, stemma che ben rappresenta il dominio del borgo sull’Ossola Inferiore per quasi cinquecento anni. Il gomitolo degli eventi si dipana altero a Vogogna tra epidemie di peste, carestie, guerre ed hispanidad e soprattutto brigantaggio almeno sino all’avvento -dopo il trattato di Utrecht- del buon governo austriaco. Altri eventi nel secolo dei Lumi videro Vogogna protagonista con l’annessione a Casa Savoia (trattato di Worms) e poi la tragica epopea della stagione rivoluzionaria, periodo che vide il Grolli artefice e martire. L’avventura napoleonica -così importante per l’Ossola si pensi alla strada per il Sempione- fu l’ultimo momento di splendore e azione, poi il borgo si adagiò nella Restaurazione senza avere più un ruolo di preminenza passato al capoluogo Domodssola. Oggi conserva l’antica e nobile impronta di una piccola capitale del passato ricca di chiese ed oratori. Venendo da Domodossola s’incontra il ponte della Masone, sede di una mansio tenuta dall’Ordine del Tempio di Gerusalemme per proteggere pellegrini in transito sui cammini devozionali

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(Santiago di Compostela); del complesso che racchiudeva anche una chiesa. Ora non rimane nulla se non il ricordo di quei validi difensori della fede ora confluiti nell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo il cavalcavia della ferrovia osservare le svelte forme della chiesetta mariana dell’oratorio di Loreto posta a guisa di segno sulla Toce. Avvicinandosi al centro storico riconoscibile l’impianto urbanistico medievale, con gli edifici ricchi di portali in pietra lavorati, le ringhiere in ferro battuto dei balconi, i portici ad arcate, il tutto dominato, nella centrale e suggestiva via Roma, dal Palazzo Pretorio (1346), in perfetto stile dei broletti lombardi. Edificio sostenuto da archi a sesto acuto poggianti su tozze colonne ove nel piano superiore aveva sede l’amministrazione della giustizia mentre al piano terra, si svolgeva il mercato del venerdì; privilegio concesso dai Visconti prima e confermato poi dagli Sforza e dai Borromei. Portico arricchito da una serie di lapidi che contengono notizie storiche e massime morali, mentre l'antica loggia lignea esterna è caduta sotto la furia rivoluzionaria francese. Sede municipale sino al 1979, restaurato nel 1998 è sede museale e sala consigliare. Il Paese è dominato dal Castello Visconteo, costruito nel 1348 per volere di Giovanni Maria Visconti, dopo l'invasione del Marchese

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del Monferrato (1358), i Visconti ritennero di incrementarne ancora la valenza difensiva, completando la costruzione del Castello (così come lo vediamo oggi) e cintando il Borgo con possenti mura. Presenta una pianta irregolare dovuta in parte alla necessità di adattarsi al terreno scosceso, dall’altra alle diverse fasi di costruzione. Nel 1798, dopo oltre tre secoli di dominio dei Borromeo, il Castello divenne proprietà del Comune che lo adibì a prigione per delinquenti comuni e


detenuti politici. Soggetto ad un progressivo degrado, nel 1990 iniziò una prima fase di restauro strutturale, ultimata con l’inaugurazione delle corti esterne e del giardino avvenuta nel 1998. Attualmente il Castello ospita il Centro Multimediale e la Mediateca Territoriale nonché ospita convegni, manifestazioni e matrimoni. L’altro baluardo difensivo del Paese è certamente la Rocca, fortezza posta sulla sommità di uno sperone roccioso del Monte Orsetto (mt 350 s.l.m.) dominante la Valle della Toce. Non si hanno notizie certe sulla

costruzione di tale edificio: alcuni studiosi ne fanno risalire le origini addirittura al sec. V°, altri la vogliono di origine romanica. L'ipotesi più recente la considera una torre di avvistamento: dotata di torre quadrata e muraglione di cinta poligonale con contrafforti tondeggianti, facente parte del sistema di segnalazione messo in atto dai Longobardi per comunicare con le altre postazioni costruite lungo le catene montuose della Val d’Ossola. Andò parzialmente distrutta nel 1514, durante il saccheggio di Vogogna da parte degli Svizzeri, assumendo l’aspetto attuale. Penetrando all’interno attraverso gli stretti cunicoli, ci si trova incantati su uno dei balconi naturali più panoramici di tutta l’Ossola. A pochi passi, arroccata, la silenziosa frazione agricola

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di Genestredo, ingentilita dall’oratorio di San Martino e preceduta dall’oratorio settecentesco S. Maria delle Grazie, ad una sola navata, e dall’isolato oratorio di S. Zenone di matrice cinquecentesca. Ritornando all’interno del Borgo si trova la Chiesa di Santa Marta (XV secolo), la quale custodisce la statua ad altezza naturale in legno di tiglio della Madonna Addolorata (opera del 1514 di Ambrogio De Donati). A fianco della chiesa, comunicante con essa attraverso un elegante passaggio arcuato, si affaccia Villa

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Biraghi Vietti Violi Lossetti: costruita nel 1650. Nel corso degli anni si è ampliata grazie all’aggiunta di nuovi locali improntati a diversi stili architettonici che sono andati a creare un unicum prezioso. Appena all’esterno della ormai distrutta “porta superiore” si scorge la Chiesa Parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù. Edificata nel 1904 in stile neogotico su progetto dell’architetto vogognese d'adozione Paolo Vietti Violi, ha sostituito la vecchia chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo (1564) edificio in stile lombardo rinascimentale, andata distrutta nel 1975 con il crollo del campanile a causa degli eventi atmosferici. Strutturata su tre navate imponenti, presenta pregevoli affreschi del De Giorgis di Ceppo Morelli e conserva diversi arredi sacri traslati dalla Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo. Nella nuova torre campanaria sono stati inseriti le colonne, l’architrave e il portone


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originario della vecchia chiesa: la loro bellezza è tale da farci intuire quale capolavoro architettonico potesse essere la vecchia chiesa. Vogogna, inoltre, è sede del Parco Nazionale della Valgrande, la zona selvaggia più estesa d’Italia a due passi dalla dolce regione dei laghi. Sono possibili escursioni in scenari suggestivi, quali la mulattiera che dal Castello porta alla frazione montana di Genestredo e alla Rocca e i sentieri che collegano la piana dell’Ossola attraverso gli alpeggi abbandonati, alle aree interne più selvagge del parco.

i nfo

Orari di visita: Aprile-Ottobre venerdì - sabato - domenica: 15.00/19.00 Per informazioni Tel. 0324 878845 - 0324 87200 per comitive e visite guidata è richiesta la prenotazione Ingresso: € 2.50

(variazioni per eventi artistico-culturali)

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e

Vogogna, the fascination of History Vogogna, an enchanting small village and the former capital of the Southern Ossola Valley, was already settled in the ancient times. Traces of Celts are still found in the Mascherone Celtico, a reminder of the Celtic God Cernunnos. Its fame grew up in the centuries thanks to the medieval pilgrims’ route towards the European markets. The glories of Vogogna prove its strategical and political value in the 14th century. Strolling the old town centre you can admire Palazzo Pretorio, the remarkable old town hall, Castello Visconteo, built in 1348, and Villa Biraghi, a fine and precious example of noble hall and now the head office of Parco Nazionale della Valgrande. Comune di Vogogna Via Nazionale, 150 - 28805 (VB) Tel. +39 0324 87200 www.comune.vogogna.vb.it turismo@comune.vogogna.vb.it


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Prossime nuove costruzioni in Druogno e S. Maria Maggiore (centro) di elevato standard qualitativo


Stockalperweg di Adriano Migliorati

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I

l Passo del Sempione (Summo Plano in latino) trasformato dai Walser in Simplon, è il valico alpino situato a 2005m in territorio svizzero (canton Vallese) che mette in comunicazione la Svizzera con l'Italia. Importante la sua posizione in quanto segna il confine fra le Alpi Pennine e Alpi Lepontine. Sul colle esistono due opere degne di nota: L'ospizio napoleonico terminato nel 1831 di proprietà dei Canonici del Gran San Bernardo e l'aquila alta nove metri circa costruita in blocchi di granito dall'esercito svizzero durante la seconda guerra mondiale, come simbolo della fierezza e dell'indipendenza elvetica. Ora il passo è solcato da una comoda arteria stradale datata inizi '900, venne ampliata negli anni '70 e '80 con numerose gallerie e ponti, tra questi merita attenzione quello di Ganter situato a 10 Km da Briga, un'opera spettacolare alto 100 metri. In precedenza tra il 1801 e 1805 venne costruita la strada napoleonica chiamata Kaiserstrasse, un capolavoro d'ingegneria che doveva permettere la percorrenza del valico all'artiglieria dell'esercito di Napoleone, il quale riconobbe il Sempione come via di collegamento piÚ breve tra Parigi e Milano. Purtroppo causa problemi tecnici incontrati nelle gole di Gondo, si allungarono i tempi di ultimazione che causarono cosi' il ripiegamento dell'idea sul valico del Moncenisio. Venne utilizzata successivamente come servizio di diligenze da Domodossola a Briga; il tempo di percorrenza del tragitto era di 11 ore circa, e in Inverno i mezzi di trasporto diventavano le slitte. Andando a ritroso nel tempo, esattamente nel 1630 ci fu il miglioramento e messa in sicurezza della vecchia mulattiera costruita dall'imperatore romano Settimio Severo nel 196 a.c., il merito fu del barone Kaspar Jodok von Stockalper detto anche il re del Sempione. Natio di Briga divenne ricchissimo grazie al commercio del sale,

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trasportato tramite animali da soma, attraverso il passo proveniente dall'Italia, e alle miniere di sua proprietà nel Vallese. La sua opera prese il nome di Stockalperweg, lungo il percorso egli fece costruire diversi edifici di grande importanza storica: Il castello Stockalper a Briga in stile barocco che fu la sua dimora, la ricostruzione del vecchio Ospizio (Alter Spittel) sulle rovine di un’opera risalente al 1235 da parte dei Gerosolimitani adibito a punto di sosta e residenza estiva della sua famiglia, e la torre Stockalper a Gondo con funzione di magazzino.

La posizione agiata del barone procurò nel Vallese l'invidia dei nobili che riuscirono a farlo passare come traditore, condannandolo ad una multa salatissima e alla confisca di tutti i suoi averi, egli fu così costretto ad andarsene da Briga alla volta di Domodossola in esilio volontario. Questo spiega la variante del sentiero Stockalper in località Gabi, in quanto si trattava del percorso che utilizzò per raggiungere il Sacro Monte Calvario attraverso il Passo del Monscera. Andiamo ora ad esaminare la Stockalperweg originale....

Paolo Pirocchi, naturalista info@ossolanatura.it

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escursioni...

1° GIORNO Briga/P.so del Sempione 13 Km Dislivello positivo totale 1580m. Tempo di percorrenza 5 ore circa, pause escluse.

L'escursione ha inizio a Briga che abbiamo raggiunto in treno da Domodossola, attraverso la linea del Sempione. Uscendo dalla stazione ci incamminiamo lungo il viale principale, poi mantenendo la sinistra costeggiamo il castello Stockalper, qui iniziano una lunga serie di cartelli escursionistici con la scritta STOCKALPERWEG che ci accompagneranno fedelmente fino a Gondo. Iniziamo a salire dolcemente nei prati, poi attraversiamo l'abitato di Brei e proseguiamo su di una bella mulattiera nel bosco rado. Il tratto successivo pianeggiante e' di forte effetto sul fianco friabile della montagna, in questo punto il sentiero e' messo in sicurezza attraverso ponti e barriere, nella valle sottostante a 350 m da noi scorre il torrente Saltina. Saliamo ancora attraverso dei tornanti fino a sfiorare per un breve tratto la strada statale che scende dal Sempione, e iniziamo cosi' la discesa nella valle di Gantertal, sempre su ottimo sentiero. Ad una fontanella riforniamo le borracce e poco lontano attraversiamo un ponticello, iniziamo cosi' la lunga ma dolce salita lungo la valle Taferna che ci portera'

direttamente al passo del Sempione. Purtroppo la percorrenza di questa parte d’escursione risulta piuttosto monotona, essendo anche in ombra, si rivitalizza nella ne parte alta con una sequenza di ponti po celli in legno di ottima fattura da attraversare piu volte. Sbuchiamo co fuori dal bosco all'alpe Taferna cosi' ( (1600 m) dove il sole ritorna amico, in questo punto e' consigliata in u pausa, prima di affrontare gli una u mi 400 metri che separano dal ulti p passo. Molto emozionante e’ lo s scollinamento dove in lontananza ci appare l'aquila in pietra, che ci indica la direzione del sentiero. Nel prato sottostante, imbuchiamo il tunnel che ci conduce all'ospizio che ci offrira' vitto e alloggio, previa prenotazione telefonica (041/279791322).

2° GIORNO P.so del Sempione/Gondo 20 Km Dislivello negativo 1145m Tempo di percorrenza 5 ore circa pause escluse. Dopo aver consumato la colazione ritorniamo sui nostri passi fino al sottopasso, riprendendo il sentierio lasciato il giorno prima, cambiando pero' direzione, ora si scende a sinistra verso l'Italia. Anche oggi il tempo e' stupendo nemmeno una nuvola, la catena Fletschhorn Boshorn e' gia baciata dal sole mentre noi siamo ancora per poco

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in ombra. Arriviamo in pochi minuti al vecchio ospizio (Alter Spittel) invaso dalle truppe elvetiche che si apprestano ad iniziare le esercitazioni militari. La dolce discesa prosegue nelle praterie di Engiloch disseminate di mucche al pascolo, il suono dei loro campanacci e' musica per le nostre orecchie, che coprono il rumore dei veicoli in lontananza, fortunatamente mai invadenti. Ad Egga cogliamo l'occasione per scattare delle foto tra lee case caratteristiche, un vero angolo di paradiso. Procediamo ancora, Simplon Dorf (1460 m) ci appare in lontananza, completamente diversa da come l'abbiamo sempre vista sfrecciando in auto, da questa prospettiva appare molto graziosa, ordinata, e con delle villette in tipico stile italiano. Seguendo la tabella di marcia sostiamo per rifocillarci. Sono quasi le 14:00 la strada da percorrere e' ancora lunga, quindi ripartiamo alla volta di Gabi che raggiungiamo in poco tempo, in discesa, attraverso un sentiero nei prati, passando sotto il viadotto della statale. A questo punto la Stockalper cambia radicalmente aspetto, si passa dagli ameni pascoli assolati, alle severe gole di Gondo, sempre in assoluta sicurezza attraverso ponti metallici e gallerie illuminate che percorrono il fortino militare,completamente incassato nella montagna. Inizialmente il tracciato si snoda a destra del torrente Doveria, lo percorriamo fino alla localita' Alte Kaserne dov’e' ubicato il bel museo che illustra la storia del Sempione; poi proseguiamo il successivo ed interessantissimo tratto passando da una sponda all'altra fino a raggiungere Gondo dove il pullman postale ci riporterà a Domodossola. Periodo consigliato da Luglio a Settembre.

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Il Residence Orso Bianco è situato in posizione panoramica e in un suggestivo scenario naturale, nel pieno centro di San Domenico a pochi passi dagli impianti di risalita per il Ciamporino e per la piana dell' Alpe Veglia e gode di un'immensa quiete nel verde dei boschi di larici e dei pascoli alpini. I 5 appartamenti indipendenti con vista panoramica e balcone sono completamente arredati e corredati con cucina e bagno con doccia, termoautonomi e con servizio di biancheria, TV, Internet WII FII e box. La struttura inoltre è dotata di sauna, piscina coperta e riscaldata e pub, dove poter trascorrere momenti divertendovi con sfide a biliardo e a calcetto oppure degustando le ottime birre o i taglieri tipici con formaggi d'alpe che potrete poi trovare in vendita nel nostro rifornito market. Facilmente raggiungibile e a soli 100 km da Milano, San Domenico e l'Orso Bianco sono i posti perfetti per trascorrere una sana vacanza e godersi tanto relax. Vi aspettiamo.

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è anche su

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Alpe Veglia: Sentiero natura

Giro della conca di Veglia

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l Parco tutela i grandi alpeggi di Veglia e Devero nelle Alpi Lepontine occidentali. Un ambiente alpino dolce e austero: dolce nelle praterie ondulate d'alta quota e austero nella severità delle grandi montagne e nelle immense giogaie battute dal vento. Un ambiente modellato dall'uomo, risultato del lavoro di infinite generazioni di montanari. Veglia, l'alpe della luce per la dimensione solare dei suoi pascoli, e Devero, l'alpe del sorriso per lo splendore delle fioriture estive, sono oggi un ambiente naturale tra i più preziosi delle Alpi. Natura e cultura. Queste montagne raccontano di come l'uomo ha colonizzato le montagne: un'avventura epica da leggere ad ogni curva di sentiero. Ma dimostrano anche come l’amore e il rispetto per la natura siano un bene antico da tramandare alle generazioni future. In anni difficili e cruciali per le valli alpine, il Parco opera per vincere la difficile scommessa di coniugare la conservazione della natura con lo sviluppo sostenibile per le popolazioni di montagna.

E’ un itinerario a carattere generale che segue la comoda pista che effettua il giro completo della conca attraversando tutti gli antichi nuclei che nel complesso formano l’Alpe Veglia. Due brevi deviazioni su sentiero conducono alle marmitte dei giganti, formatesi lungo il Rio Cianciavero per l’abrasione esercitata da sabbia e ciottoli trasportati dalle acque correnti, e alla sorgente minerale del Rio Mottiscia scoperta nel 1875 da due soldati e analizzata per la prima volta a Torino nel 1879 dove nel 1884, fu premiata per le sue proprietà tonico ricostituenti. Altra tappa della gita è quella che si può effettuare presso la fornace della calce, oggi ancora visibile, che serviva per la produzione artigianale della calce utilizzata in edilizia per ottenere la malta. Durante l’escursione potranno essere approfonditi altri temi quali: l’evoluzione geologica dell’Alpe, le testimonianze degli antichi cacciatori preistorici a Veglia, l’importante ruolo ecologico ricoperto dalla formica rufa, le peculiarità del larice, gli adattamenti antropici e la pratica del pascolamento e molti altri interessanti aspetti naturalistici e geologici.

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Sede Amministrativa del Parco Naturale Alpe Veglia e Alpe Devero, Viale Pieri 27 a Varzo Tel. 0324.72572 Pro Loco S. Domenico, Tel. 0324.780809 (apertura stagionale). Il tempo di percorrenza del sentiero è di circa 1,30 h senza difficoltà e con un dislivello in salita di 25 metri; il periodo consigliato va da giugno a settembre e l’abbigliamento e l’attrezzatura consigliati sono quelli da montagna con scarpe da trekking.

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Il giardino inanimato

di Claudio Zella Geddo

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U

n cammino tra le frazioni di Montecrestese, luogo che è sempre considerato un giardino di pietra per il suo cospicuo patrimonio archeologico e architettonico. Come non ricordare a questo proposito i ritrovamenti megalitici di Castelluccio, il tempietto lepontico di Roldo o la recente scoperta e tutela di affreschi di scuola lombarda del XV° secolo di Alteno e Burella. Partiamo dunque da Pontetto e subito troviamo una bella casa padronale a doppia entrata e doppio camino ad arco trigemino del XVI° secolo, impreziosito da un affresco raffigurante una Madonna in Maestà con bambino benedicente ed un cartiglio di dedicazione; non mancano poi, su taluni ruderi, croci rinforzate. Il complesso è

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compiuta rappresentazione - che poi troveremo anche altrove - di una cellula di difesa indipendente. Si attraversa la carrozzabile e passando oltre un oratorio seguendo la vecchia mulattiera ci si troverà di fronte ad una leziosa cappella, dei primi del cinquecento, affrescata da Giovanni da Gagnola con una Madonna delle Grazie (Auxilium Pestilentiae) munita di cordone da clarissa ed incisioni scaliformi. Lasciato Roldo ed il suo celebre tempio circondato da affilatoi a destra ci dirigiamo verso Burella. Agglomerato tra i più carichi di suggestione e atmosfera del nostro cammino. E’ un sito posto a levante della dominante Montecrestese, in cui la presenza di architetture medievali di


tipo “casaforte” è evidente come le funzioni difensivo-residenziali atte a respingere le incursioni più o meno leggendarie dei “Picchi” briganti o signori delle vaste aree limitrofe. Tra i molteplici lasciti di una cultura tardo gotica significhiamo, all’entrata a sinistra, una costruzione che riassume in sé sedimentazioni architettoniche con finestrone a losanghe centinato in somma che dà luce a due piani di costruzione. Nel nucleo abitativo oltre a trilitici medievali, feritoie da balestra, croci potenziate, affreschi votivi con cardi mariani, nella domus padronale - ruinata - invitiamo i viandanti ad osservare il passo di un personaggio profano camminante tra i fiori accanto alla raffigurazione allegorica di una

conversazione, forse galante, tra un uomo e una donna. Superato quindi Giosio ed il torchio usato fino agli anni ’50 posto prima di un passaggio coperto con doppia volta a botte e stemma nobiliare, ci affacciamo a Cardone, luogo natio dell’omonimo pintore Giacomo. La casa natale ci accoglie con uno stupefacente graffito di una città fantastica ove tra l’altro viene rappresentata la favola di Esopo del lupo e del cigno. Non manca inoltre una leggiadra raffigurazione di una fanciulla (la Musa) che suona il violino. Passiamo oltre Oro, patria dei “spargirei” (i disperati) con la sua svettante casaforte con astico, per arrivare ad Alteno posta di diffusa notorietà sia per la emblematica rappresentazione

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della ruota dei De Rodis sia per i celebri affreschi a dimensione naturale tra cui il terebrante lanzichenecco. Proseguiamo lungo la mulattiera tra le vigne verso Naviledo, facendosi largo tra la copiosa vegetazione infestante troviamo un gigantesco torchio collocato in una apposita costruzione. Ragguardevole nonché di limpida atmosfera risulta essere poi una casa padronale del XVII° secolo (Domus Presbiter) dalla quale si gode una rasserenante vista sull’intero specchio della valle. A Naviledo Sopra un pozzo e un forno comunitario con affreschi votivi ingentiliscono il paesaggio. Al ritorno scendiamo lungo l’antica traccia che da Oro ci conduce tra

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ameni campi e boschetti a Vignamaggiore. Notiamo allora come tutte le frazioni siano state poste a fianco di tale tracciato, il cui proseguimento porta poi ad Alloggio e quindi nella valle dell’Isorno. Consideriamo, osservando questo mondo di pietra che ci sta lasciando nell’indifferenza, che laddove il lanzichenecco non ha menato rovina, ben ci ha pensato l’uomo nuovo che rifiutando il proprio passato si scopre ancor più misero. Tempo: 3h.30 minuti Difficoltà: T Cartina: C.N.S. 1.50.000 "Valle Antigorio" n.275


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I ciliegi della stazione

PAGINE FRAGILI

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di Rosella Favino avin av ino in o

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ualche domese ancora oggi ha memoria dell’immagine di un treno simbolo di un’epoca, quella Belle Époque in cui il Simplon-Orient Ex-press era l’ospite d’onore sul primo binario della Stazione Internazionale. Era quando i ciliegi fiorivano a pochi passi dalla Stazione, nei prati vicino ai campi di bocce dell’Albergo Vigezzino… Le pagine fragili di questo racconto sono cartoline d’epoca, dai forti contrasti di bianco e nero, sono legate ai ricordi di un passato tanto recente quanto inimmaginabile per chi visita la città oggi per la prima volta. Se facessimo un salto indietro nel tempo, al momento in cui, fatta l’Italia, era ora di fare gli Italiani, troveremmo un’Osso-

la operosa e non certo ricca ma piena di composta dignità. Una fitta rete di mulattiere collegava le frazioni e gli alpeggi, le sorgenti in montagna erano tenute in ordine dal lavoro silenzioso di una moltitudine di alpigiani, così come le piccole grandi muraglie, che garanti vano terra da coltivare su quei versanti ripidi ma bene esposti al sole della bella stagione. Era una Domodossola ancora collegata a Briga, in Svizzera, con una leggendaria mulattiera fatta costruire nel XVII° se-


colo da Kaspar J. Stockalper: risalendo la val Bognanco, portava al Passo del Monscera, e da lì nella Zwischbergental, e poi a Gondo e al Passo del Sempione. Era la Domodossola capolinea della linea di diligenze che percorrevano la strada napoleonica, passando attraverso le spaventose Gole di Gondo e valicando le Alpi ai 2000 metri del Passo del Sempione. Ma soprattutto era una Domodossola che distava quasi un giorno di viaggio da Milano e da Novara, ancora in carrozza. Non arrivava ancora alcuna linea ferroviaria nel capoluogo ossolano nel 1860! La prima via ferrata venne completata nel 1888: costeggiando la riva destra del Toce e scendendo a valle dal Lago d’Orta, univa Domodossola a Novara. Il traforo del Sempione e la linea ferroviaria Domodossola - Milano poco più di un secolo fa avvicinarono ulteriormente questa città al resto

del mondo. Poco più di un secolo ha compiuto anche l’attuale Stazione Internazionale, piccolo gioiello d’altri tempi che ha inglobato la precedente, più piccola. Essa accoglie oggi i viaggiatori con uno stile fatto di razionale semplicità: pensiline funzionali, un atrio luminoso, ancora ampio spazio per la biglietteria. L’edificio attuale fu progettato alla fine del XIX° secolo dall’architetto milanese Luigi Boffi, al quale dobbiamo tutte le stazioni della linea del Sempione, da Arona fino a Iselle, l’ultima prima del confine. L’inaugurazione della linea ferroviaria internazionale avvenne nella primavera del 1906, in concomitanza con l’Esposizione Internazionale del Sempione a Milano, dedicata ai trasporti e al dinamismo, e catapultò definitivamente Domodossola nella modernità. Ripercorriamo insieme i passi di questa avventura dell’ingegno e della tecnica d’altri tempi…

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Abbassamento della strada comunale per la soppressione del passaggio a livello.

Sera del 30 Maggio 1906 arrivo dell’ultima diligenza del Sempione. Pag. 32: Prova della piattaforma girevole da 18 metri. Pag. 33: La biglietteria.

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1805: si inaugura la strada napoleonica al Sempione 1825: nasce la prima ferrovia pubblica, in Inghilterra 1826: il primo piroscafo naviga sul Lago Maggiore: si chiama Verbano 1839: si inaugura la prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici 1855: diventa operativa la ferrovia Alessandria-Novara-Arona (con raccordo con la navigazione sul lago Maggiore) 1864: si inaugura la ferrovia NovaraGozzano, con proseguimento privato fino ad Alzo di Pella a servizio delle cave di granito 1868: si inaugura la tratta MilanoArona 1882: viene completato il tunnel del San Gottardo 1884: entra in servizio il tratto Gozzano-Orta 1887: si completano i lavori per la linea ferroviaria tra Orta e Gravellona Toce 1888: la ferrovia Novara-Domodossola è completa 1906: si inaugura il primo tunnel del Sempione 1911: apre al pubblico il servizio di cremagliera tra Stresa e la vetta del Mottarone (con raccordo con la navigazione sul Lago Maggiore) 1910-1913: viene realizzata la tramvia Pallanza-Fondotoce-Omegna 1912-1923: viene costruita l’ardita linea ferroviaria Vigezzina (Centovallina, per gli Svizzeri) 1926: viene attivata la tramvia IntraPremeno 1946: una linea di autobus sostituisce la tramvia Verbania-Omegna 1960: la Intra-Premeno cessa di funzionare; sul suo tracciato viene realizzata una strada 1963: la cremagliera Stresa-Mottarone viene smantellata; verrà sostituita nel 1970 da una funivia. 1995: dopo oltre 20 anni di lavori, viene inaugurata l’autostrada A26

L’Orient Express è un ricordo da cartolina in bianco e nero, la diligenza non viaggia più dal 1919 ma uno di quei convogli è conservato al Civico Museo Sempioniano in via Canuto, a Domodossola. C’è ancora un ciliegio in un cortile vicino alla stazione e fiorisce ancora e ancora diventa rosso in maggio e si riempie di uccellini golosi. Non è uno dei ciliegi che hanno visto passare l’Orient Express, non ci sono più le bande di ragazzi che giocano sui prati: oggi giardini ben curati e gestiti da giardinieri professionisti si nascondono tra i condomini... Oggi le ruote cigolano pesanti sul metallo scuro del primo binario: un’autostrada viaggiante formata da una carrozza passeggeri con quaranta camion al seguito si sposta lentamente verso i centri intermodali di tutta Europa. Oggi parliamo di mobilità sostenibile ma viaggiare nel VCO sui mezzi pubblici a basso impatto ambientale è molto più difficile oggi di cinquant’anni fa. Noi abbiamo la pazienza di raccogliere i ricordi e leggere i segni nel territorio e soprattutto sappiamo viaggiare nel modo più eco-compatibile che c’è: con la fantasia. Sappiamo che “risolvere il problema delle comunicazioni è dare nuova vita a un’intera regione, aprire nuovi orizzonti nei rapporti sociali” [1]. E un ciliegio fiorisce ancora, vicino alla Stazione Internazionale di Domodossola… [1] Alfredo Pariani, ingegnere progettista della tramvia Intra-Premeno, 1911 L’album fotografico è stato gentilmente concesso da Lolli Collezioni “Domodossola”

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I luoghi dell’anima: alpi e montagne di Michela Zucca

"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione" (Piero Calamandrei, giurista, 1955). Queste le parole sulla chiesetta di Goglio, vicino a quella funivia dove, nell’ottobre 1944, quattro partigiani furono trucidati dai nazisti che facevano il tiro a segno con la cabina della funivia del Devero dove stavano uomini affamati ed esausti che cercano scampo, "Nella cabina siamo in ventiquattro, con cinque mitragliatori, due mortai da 45 senza munizioni, una cassa di carne e due

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fiaschi di vino. Un carico senza dubbio eccessivo. Rimango bloccato nella cabina con addosso il Pep Faccioli morto. Quando i tedeschi entrano nella cabina mi prendono a calci, mi buttano fuori e mi fanno stendere a terra, poi ancora a calci, ammazzano il Pratini, già ferito, a due passi da me. Un colpo di lato alla testa…"1 La vecchia cappella adesso è diventata un piccolo museo della Resistenza: uno dei tanti “luoghi dell’anima” racchiusi all’interno di quell’enorme contenitore di memoria che sono le nostre Alpi.

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Il massacro rivive nel ricordo del partigiano Ubaldo Marta residente a Vogogna nella sua testimonianza resa al comandante Ercole Vittorio Ferrario della divisione "Valdossola" inserita nel volume "Goglio 17/10/44, il dramma della funivia”.


Spazi chiusi, orizzonti aperti Per i cittadini, la “casa” inizia dietro la porta: non include neanche il quartiere in cui si trova. Poveretti, sono abituati a stare in galera, il loro orizzonte è limitato, il loro spazio, chiuso. Ma per chi è nato sulle Alpi, “casa” è quanto meno la valle intera: racchiude i profili delle cime che racchiudono un universo circolare, aperto ai passi di valico che portano dall’altra parte, prati boschi sentieri ghiacciai torrenti ponti, estate e inverno, panorama infinitamente vario e variabile nel tempo, odori sapori colori, paesaggio dell’anima... Natura Madre che ti protegge, ti fa sentire al sicuro, anche d’inverno quando fa freddo e c’è la neve. Perché una montagna, senza la gente che ci vive sopra e che trae il suo nutrimento dai suoi versanti, sarebbe un ammasso di pietra e sassi, descrivibile geograficamente per la sua posizione sulla crosta terrestre, e geologicamente: se volessimo andare più a fondo, si potrebbe anche caratterizzarla per la sua flora e la sua fauna. Stop. Per chi ci abita, invece, vuol dire i secoli che gli antenati ci hanno messo per terrazzarne i versanti, e renderla coltivabile; vuol dire i sentieri che sono stati tracciati nel corso degli anni; vuol dire casa, paesaggio familiare: per i montanari, il concetto di “dimora” non è limitato all’abitazione, include i monti intorno. E ingloba anche la cappella che è stata costruita in cima, sottoterra ancora l’arcaico luogo di culto preistorico dedicato alla montagna-madre, di cui non si è persa la memoria perché al posto della dea matriarcale ci sta la madonna che viene comunque adorata attraversando i passi ed incontrando chi abita dall’altra parte, con un pellegrinaggio che dura da migliaia di anni. Chi ci è nato, là, parla delle “mie montagne”, investendole di profondi significati simbolici ed affettivi, incomprensibili ad

altri: per esempio allo sportivo, che viene per scalare una parete in arrampicata e libera, e ci vede solo una superficie verticale da affrontare con virtuosismo e tecnica. Lo racconta bene Nuto Revelli nel “Mondo dei vinti”. Lui, ufficiale alpino che, ragazzo, si era spinto in montagna per brevi scampagnate con gli amici, aveva avuto soltanto sporadici, turistici contatti col “popolo dei monti”, si ritrova in Russia con gente straordinaria. Un’umanità dolente che forse aveva già incontrato nei romanzi di Tolstoj (nessuno in Italia si è impegnato a descriverla come avrebbe meritato), che gli affida messaggi da portare, appunto, a casa. Ma quando, finita la guerra, comincia il suo viaggio appena al di là della sua porta, si accorge che “…le baite di Paralup erano più povere delle isbe, quattro mura a secco, la porta così bassa che obbligava all’inchino, una crosta di ghiaccio per tetto. Il vento, passando, lasciava nella baite l’odore della neve. Meno fredde le baite di San Giacomo, Torre, Palanfrè. Ma sempre grotte. Era questo l’ambiente dal quale avevano strappato i miei alpini di Russia, queste le baite che gli alpini cercavano nei lunghi giorni della disperazione”.

La botanica del sogno In questi ultimi decenni, la progressiva desertificazione di vaste aree del pianeta induce ad una riflessione: la fragilità di boschi e foreste, in parte causata dall'inquinamento e dalle piogge acide, si può anche collegare ad una certa "desertificazione" delle coscienze, che spesso sono diventate incapaci di percepire e di elaborare reti di solidarietà con la natura. L’umanità occidentale sembra essersi scordata che il regno vegetale e quello umano, come quello animale, sono lega-

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ti, da tempi immemorabili che affondano le loro radici nella memoria archetipa e nei sentimenti, da invisibili fili di comune appartenenza al creato. Si tratta di legami che oggi, in gran parte dell'Europa industrializzata, sono stati spezzati, e noi non siamo più capaci di percepire e di riannodare. Il quest’ambito, il lavoro dell’antropologo può assumere non solo una connotazione di ricerca, ma anche di grande impegno culturale, civile, umano: perché è sul rapporto con la natura che si stanno giocando i destini e le possibilità di sopravvivenza del pianeta, e di molto dei gruppi umani che l’antropologia studia. L’incapacità di sentire l’ambiente come entità anche spirituale è dovuta all'evoluzione, in senso razionalistico e cartesiano, della concezione occidentale di scienza. Dalla Rivoluzione scientifica in poi, la natura si è staccata dagli esseri umani; il suo funzionamento è stato interpretato in senso meccanicistico e razionale; le sue componenti mitiche, irrazionali, magiche; la comunione che gli esseri umani avevano celebrato per millenni con Gaia, la Terra Madre, sono state scaraventate a forza fuori dal bagaglio culturale obbligato di qualsiasi operatore che avesse a che fare con la gestione delle risorse ambientali (e con lo studio dei suoi "meccanismi"), bollandole come superstizioni medioevali o folklore. La natura non è più un immenso organismo vivente con cui dialogare, da nutrire, rigenerare, rispettare, adorare, curare e, se possibile, anche coccolare, in cambio della sopravvivenza, e dei frutti che con generosità ci dona; è diventata un patrimonio da gestire, massimizzando i profitti, in un'ottica di sfruttamento illimitato delle "risorse". Purtroppo però, malgrado la creazione di complicati e sofisticatissimi modelli matematici che cercano di riprodurre (col calcolatore!) la vita di ecosistemi complessi, la classificazione scientifica, con i suoi valori, mantiene l'"oggetto", il

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"fenomeno", l'albero, la bestia, il paesaggio distante dalla persona, senza più suscitare, come in passato, identificazione, amore, simpatia. La scienza, da sola, non crea negli esseri umani quel rispetto empatico (che dura la vita intera) con cui i contadini che parlavano con gli spiriti degli alberi hanno salvaguardato Gaia per millenni: il risultato di qualche decennio di "istruzione scientifica generalizzata" è sotto gli occhi di tutti.

I paesaggi dell’anima Il rapporto fra l'uomo e il paesaggio è sempre stato un rapporto stretto, specie in arco alpino, e si è basato, per millenni, su una conoscenza esperienziale del territorio tanto precisa che, all’atto pratico, era più efficace di una conoscenza scientifica. La cultura può anche intendersi come sistema di adattamento all’ambiente, anche se il suo ambito esula dall’organizzazione dello sfruttamento della natura per la sopravvivenza: tanto che di fronte a sfide ambientali simili, cultura diverse hanno elaborato modalità, tecnologie e valutazioni differenti. Non esiste una “civiltà della montagna”: questa “comunanza culturale” è solo il frutto di semplicistiche ricostruzioni giornalistiche prive di serie basi di indagine e lavoro antropologico sul campo. In realtà, i popoli che vivono in quota sanno trasformare in casa propria il paesaggio circostante, modificandolo a seconda dei propri bisogni materiali ma, anche e soprattutto, spirituali. Necessità che cambiavano continuamente nel tempo e nello spazio: basta guardare i modelli di abitazione alpina, così diversi dalla Liguria alla Slovenia, e paragonarli ai palazzi di città, così simili l’uno all’altro, anche in epoche diverse. Il contadino sapeva perfettamente dove e perché doveva e poteva costruire: quanto


e come doveva concimare un certo pascolo, quanti capi di bestiame poteva sopportare prima di essere distrutto o rovinato dal forte calpestio, come un temporale può cominciare ad erodere la cotica, in quanto tempo si può arrivare alla roccia perdendo il terreno (che magari è stato trasportato in quota a spalla), l'erba, perde la fertilità. Sapeva ancora meglio che se non concimava l'anno dopo invece di fare cinque o dieci quintali di fieno ad ettaro ne facevano quattro o tre, e se non tenevano indietro la foresta nel giro di dieci, venti, trent’anni il bosco avrebbe chiuso lo spazio aperto che serviva per far mangiare le bestie. Il rapporto fra l'uomo e la natura è sempre stato stretto, anche se non ci sono state leggi scritte, anche se non c'era la forestale che imponeva vincoli. Era una relazione di sopravvivenza, si dovevano mantenere la foresta o il pascolo perché erano la fonte di nutrimento: se si rovinavano i prati, o se si tagliava troppo il bosco non ci sarebbe stata più possibilità di dare il fieno alle bestie, oppure di bruciare legna durante l'inverno per riscaldarsi.

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IL LIBRO

Michela Zucca

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l femminismo è l’unica vera rivoluzione del XX secolo? Oppure le rivoluzioni non esistono? I cambiamenti di mentalità sono lentissimi, attraversano i tempi lunghi dell’Antropologia, sono quasi impercettibili e, soprattutto, non lineari. Sono esistiti periodi storici in cui il potere di autodeterminazione delle donne, ovvero la possibilità di scelta personale, è stato molto più ampio di quanto si è creduto per secoli. Una cosa è certa: percorrendo la strada delle vite quotidiane al femminile ci si accorge che i ruoli tradizionali in cui l’altra metà del cielo è stata confinata non sono né naturali, né antichi; per decine di migliaia di anni signore e signorine hanno combattuto in guerra, esercitato la leadership politica, gestito economie anche complesse, contribuito, in maniera determinante, al progresso scientifico e tecnologico dell’umanità. Poi - non sempre nello stesso modo e con gli stessi tempi - hanno perso potere, e hanno dovuto elaborare strategie di sopravvivenza e di difesa. Questo testo vuole tentare di delineare una storia di quelle che non erano né aristocratiche, né borghesi, né intellettuali, né cittadine (almeno fino a periodi recenti): quelle che hanno sempre lavorato, in casa e fuori, che hanno fatto figli, cucinato pasti, amministrato case, assicurando la sopravvivenza di intere generazioni. E vuole ricordare sentimenti e azioni anche di quelle donne che hanno lottato, da sole o al fianco dei propri uomini, contro l’ingiustizia e per un mondo in cui chiunque potesse avere pane a sufficienza per vivere.

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Foto: Arc hivio Pess in

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Storia delle Donne “da Eva a domani”

Michela Zucca, antropologa, ha svolto il suo lavoro di campo fra gli sciamani sudamericani amazzonici. Si è specializzata in antropologia alpina, storia della stregoneria, studio dell’immaginario nelle espressioni artistiche popolari. Ha lavorato per quindici anni al Centro di ecologia alpina di Trento. Si occupa di sviluppo sostenibile di aree rurali marginali, di valorizzazione del territorio, di formazione, di progetti europei. Ha fondato la rete di donne delle Alpi. Ha insegnato all’Università di Torino e di Aosta, e all’Alta scuola pedagogica di Locarno. Ha curato progetti sulla scuola di montagna per il Ministero della Pubblica Istruzione. In copertina: Gerolamo Induno, Donne romane, scena contemporanea (1864)


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Le Caldaie del Diavolo di Michela Zucca

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ei tempi antichi - quando ancora i santi operavano prodigi e il diavolo andava pel mondo a giocar tiri birboni alla povera umanità - sorgeva nel letto del Devero, sotto Cròveo, un molino che, distrutto e riedificato più volte, si vede tuttora sulla destra riva del fiume, presso le caldaie. Erane proprietario un vecchio ubriacone e accattabrighe, il quale di buono non aveva che una figlia, Lucia, bella e savia ed altrettanto amata da tutti, quanto il padre era cattivo e detestato …. Così comincia la leggenda raccolta da Ottorino Leoni sull’origine di uno dei luoghi più belli e suggestivi della Valle Antigorio: gli orridi di Croveo. Tecnicamente gli orridi sono il risultato dell’azione di erosione del ghiacciaio: le spinte dinamiche del lento ma inesorabile movimento verso il fondo valle e lo scorrere vorticoso dei torrenti subglaciali, che trascinavano nelle loro acque di scioglimento sabbie, detriti e rocce, furono tanto potenti da spaccare e modellare la roccia in questo tratto di valle creando paesaggi straordinari: forre profondissime, stretti passaggi quasi labirintici, strapiom-

bi di decine di metri, conche e piscine naturali, cascate improvvise e giochi d’acqua inaspettati. L’escursione agli orridi è l’occasione per fare non solo una bella passeggiata, ma un vero e proprio viaggio in un’altra era geologica, un salto di oltre 14.000 anni (millennio più o meno), quando, durante l’ultima glaciazione, un’immensa coltre di ghiaccio copriva gran parte della valle. E’ stata proprio l’alternanza di ere glaciali e interglaciali, raffreddamento / riscaldamento, a modellare nel corso dei millenni le forme del paesaggio così come si vedono oggi. Si reputa che durante l’ultima glaciazione, (si parla “solo” di 10.000 anni fa!) la valle Antigorio fosse interamente coperta dal ghiacciaio del Toce, e che lo strato di ghiaccio si estendesse per almeno un chilometro, lasciando spuntare solo i rilievi più alti. Tenendo conto che un metro cubo di ghiaccio pesa 917 kg, una colonna di 1000 metri cubi dovrebbe pesare (la forza della matematica... ) un po’ meno di un migliaio di tonnellate: si pensi alla forza inconcepibile di uno sconfinato fiume di

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ghiaccio, che trascina con sé rocce, detriti e massi erratici, si muove continuamente - come la coda di enorme serpente - e nel frattempo scava, erode, incide, buca...: questa l’origine degli orridi della Valle Antigorio. Ma la teoria delle glaciazioni è una acquisizione di conoscenza molto recente, e i primi studiosi che a metà ‘800 cominciarono ad affermarla venivano considerati dei mezzi pazzi. L’antico sapere popolare, basato sull’esperienza e sull’osservazione, non poteva basarsi su esami scientifici e ritrovamenti archeologici, e parlava per metafore, immagini, miti: non sapendo nulla di ghiacciai grandi centomila volte quelli che incombevano sulla valle, elaborò comunque la teoria di una forza inconcepibile per gli esseri umani, maligna, sotterranea: quella del Diavolo. Rischiarato da fiamme infernali, il diavolo era apparso sulla vetta, in tutta la sua orridezza. Dopo avere contratto il viso ad un sogghigno di gioia dette un gran pugno sulla roccia che si spezzò come fragile vetro: prese uno di quei frammenti, grande come una casa, lo sollevò quale fuscello e lo fece rotolare in basso, chinandosi poi sull’abisso a guardare. Il masso rimbalzando di roccia in roccia con fragore di tuono che fece tremare la terra, precipitò giù, minacciando di ruina il molino di Michele: ma quando gli fu quasi addosso e stava per schiacciarlo, insieme coi suoi abitatori, si arrestò d’improvviso e giacque immobile a pochi passi. Il demonio allora afferrò un altro sasso più grande, lo lanciò con tutta la sua forza nello spazio: questa volta il macigno d’un sol balzo giunse a valle, ma quando fu presso il mulino lo sorvolò, lasciandolo incolume, e andò a inficcarsi profondamente nel suolo, poco lungi. Allora il diavolo, digrignando i denti per rabbia, e profferendo orribili bestemmie, gettò un altro masso, e poi altri e altri ancora, ma tutti rispettarono miracolosamente la casetta dei due amanti che, pallidi ed ester-

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refatti, correvano da un canto all’altro, dando pazze grida, senza osar di uscire, per non rimanere stritolati. Gli sforzi di Lucifero sono rivolti alla casa di due amanti che vivono nel peccato perché il padre di lei, il vecchio mugnaio della valle, si sente professionalmente eliminato dal giovane collega che fa il pane più buono e fa anche la corte alla figlia... così lui vende l’anima al diavolo perché elimini i due traditori ma il buon senso popolare, malgrado lo stato di peccato in cui vivono i due (che convivono more uxorio nel mulino del ragazzo) fa intervenire un buon eremita che li difende e alla fine mete a posto ogni cosa... Sono i romantici che rivalutano i paesaggi di natura selvaggia, e che cominciano a calarsi in orridi e caverne riconoscendo la loro oscura bellezza. E’ nell’’800 che un turismo appena sviluppato impone la costruzione di scale e vie di accesso per quei budelli che conducono nelle viscere della terra, che non sono più frequentati per paura di oscuri influssi e presenze malevole. C’è una sensazione di stacco brusco quando ci si addentra in quella che sembra la porta misteriosa al cuore stesso della montagna: quasi all’improvviso passiamo da un paesaggio dolce, soleggiato e verdeggiante a uno spazio di penombra dove rari raggi di sole stentano a penetrare sfiorando le pareti come lame di luce, passiamo dal caldo al fresco-umido dove solo muschi e licheni riescono prosperare e a svilupparsi. Si cammina agevolmente su un fondo pianeggiante e asciutto, creato dai depositi dei torrenti (che ora seguono un diverso corso), grandi cavità irregolarmente arrotondate si alternano a passaggi angusti e sopra le nostre teste vertiginose pareti sembrano a tratti quasi congiungersi lasciando solo strette aperture verso il cielo per ricordarci che non siamo in una caverna. Certo, è facile immaginare cavità come queste percorse da suggestive processio-

ni di druidi e druidesse vestiti di bianco, il falcetto d’oro alla cintura, che compiono strani riti ai suoni delle arpe sacre…. Oppure le streghe che si radunano in luoghi a cui che la gente pia non si sognerebbe mai di avvicinarsi, per poter compiere in santa pace le evocazione del signore degli inferi (che può stare soltanto lì, gli è rimasto soltanto il sottosuolo perché se esce lo crocifiggono subito e lo bruciano in piazza…). Oppure gli amanti clandestini che cercano un po’ di pace e di privacy... Ma anche i diavoli sanno aspettare il momento buono per prendersi la rivincita che i cristiani gli devono. Finché visse il vecchio eremita tutto andò bene, e più nessun pauroso avvenimento conturbò la quiete del paese: ma appena, carico d’anni e in odore di santità, egli venne a morire, il diavolo decise di prendere la rivincita dello scacco avuto. La notte stessa del dì in che fu sepolto il vegliardo, più non temendo l’effetto delle sue preci, volle mettere ad esecuzione il suo disegno, semplice, ma di esito sicuro. Si trattava di accumulare i macigni, da lui sì infruttuosamente precipitati al piano, nel letto stesso del Devero, per ostruirne il corso, in modo che l’acqua, elevandosi in poco tempo, invadesse i punti circostanti e ne annegasse gli abitanti dei due mulini, che sorpresi dal sonno non avrebbero potuto fuggire in tempo. Prese dunque due massi enormi, li trascinò alla riva del fiume e li sollevò in alto per precipitarveli in mezzo; ma per lo sforzo e nella fretta scivolò sull’umido terreno e cadde nell’acqua con sì mala sorte, che i due massi, cozzando l’un contro l’altro, ne afferrarono in mezzo la coda. Per ira e dolore il demonio mandò acutissime grida, che rintronarono per valli e per monti, come ululato di mille lupi presi al laccio. Cercò più volte invano di svincolarsi dalla terribile stretta; finalmente, in un parossismo di spasimo e di furore, diede tale uno strappo, che un pezzo di coda rimase fra le roccie e lui andò a gambe levate, bat-

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tendo del capo sopra uno dei massi, dove produsse una lunga spaccatura. Per la seconda volta dovette darsi per vinto dinanzi a quella potenza occulta, più forte di lui, e tutto sanguinoso e cosparso di fango, si sprofondò nelle viscere della terra. I due massi, bizzarramente accostati pel vertice l’un contro l’altro, giacciono fin d’allora in quella posizione e formano un ciclopico arco, sotto cui il torrente Devero, bianco di schiuma, si precipita in romoreggiante cascata nel profondo vortice, che il volgo battezzò col nome di “caldaie del diavolo”. E non bastava ancora la vendetta. Poco tempo dopo lo strano avvenimento, scoppiò quella terribile pestilenza che distrusse quasi per intero Domodossola e spopolò tanti paesi della vallata, e fu a portare la desolazione e la morte in tutta la Lombardia e in altre regioni d’Italia. Gli storici attribuirono la tremenda epidemia all’invasione delle soldatesche spagnole e dei lanzechinecchi, che sparsero dovunque sul loro passaggio i germi del contagio. Nulla di più falso che tale asserto! La vera, l’unica causa ne fu la coda del diavolo rimasta impigliata fra i due massi. Quando quello schifoso brano di carne cominciò a putrefarsi, né più né meno che se fosse stato d’una bestiaccia qualunque, un fetore insopportabile, ammorbò l’atmosfera e ne rimase infetta l’acqua del Devero, che andò a portare il pestifero veleno lungo tutto il territorio bagnato da detto fiume, dal Toce, dal Ticino e dal Po, dove quelli si riversano. Per molto tempo il mortale flagello continuò a mietere migliaia di vittime e solo ebbe termine dopo che, cessando di stillare nel fiume l’ultima goccia di putredine infernale, le acque non riacquistarono la primitiva purezza e trasparenza. Il diavolo potè essere pienamente soddisfatto e darsi per risarcito a esuberanza per la perdita di quel pezzettino di coda, se fu dessa causa di tanta strage e tanto lutto

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per l’umana specie, da lui sì mortalmente odiata. Era proprio quello il caso di dire che “il diavolo ci avea messo la coda”. NOTA Le Caldaie del Diavolo è una leggenda pubblicata in due puntate su L’Ossola, nell’ultimo numero del 1898 e sul primo dell’anno successivo. Ne è autore Ottorino Leoni, cugino del più noto Giovanni Leoni, ul Torototela, del quale cura la pubblicazione postuma delle Rime Ossolane insieme con il fratello Leonello. Ottorino è nato a Ferrara il 27 febbraio 1862 da Camillo e Giacomina Burla; chimico farmacista, è stato nel sud America (a Montevideo, si turnava in alcuni periodi di tempo con Leonello alla “Farmacia del Aguila”, all’Arroyo Seco; nel Paraguay, per avventure di caccia grossa ed a scopo scientifico), ma prima della fine del secolo è già tornato definitivamente in Italia, a Ferrara, dove risulta residente (e dove riordina la pinacoteca del Palazzo dei Diamanti), con frequenti presenze in Ossola, a Mozzio, il paese del padre. Buon fotografo (ha vinto molti premi), fonda con altri il Progresso fotografico, rivista tecnica del settore. Celibe, muore a Mozzio il 21 marzo 1944. Sempre nel 1899, su L’Ossola Ottorino Leoni pubblica, a puntate, anche due racconti storici: La bella Crodese (dal 18 febbraio all’8 aprile) e La battaglia dì Crevola (dal 17 giugno al 26 agosto). La bella crodese è Bettina, che, innamorata di Andrea da Baceno, è insidiata da Giovanni Marini detto l’Alferone, il quale alla fine paga il fio delle sue malefatte. La battaglia di Crevola è quella del 1487: Giovanna, figlia di Jacopo, custode della torre d’Aveglio, salva un vallesano gravemente ferito, Anz Mtiller, e se ne innamora. Circuita prima e poi tradita dal Mtiller, Giovanna impazzisce cercando la vendetta.


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Passi

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oltre il consueto Alpe Devero

di Tonino Galmarini

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C

onsiderando la maggiore frequenza di escursionisti all’Alpe Devero vuoi per la facilità di accesso con l’arrivo della strada fino alle porte dell’alpe, vuoi per la notorietà acquisita con la creazione del Parco Naturale, finalmente l’area è conosciuta anche per la vasta possibilità di camminare per sentieri che portano a paesaggi, vallette e alpeggi di rara bellezza. C’è solo l’imbarazzo della scelta. A proposito desidero accompagnarvi lungo un itinerario poco conosciuto: portarvi fuori da mete belle ma troppo usuali per un immersione ancor più silenziosa nella natura. Contrariamente all’abitudine di andare in gita numerosi, ciarlieri e bivaccanti, è bello essere in pochi ma buoni. La montagna è di tutti è vero, anche “dei merenderos” ma dopo aver lasciato le meraviglie delle metropoli perché non lasciare parlare quello che ci circonda?

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l lago di Brumei, la costa di Brumei, la corte Cerino e tutta la conca sottostante la bastionata del Corno e del monte Cistella sono luoghi quasi sconosciuti e poco frequentati. Dall’inizio degli anni ottanta le due corti non sono più inalpate, mancando gli insediamenti stagionali

devano forze e fiato. Avanti ancora per alcuni tornanti e a destra nella boscaglia su di un sentiero che porta a Novianco, un gruppetto di baite appena sotto le baite della Chiovenda (mt 1391). Ora ci si alza di poco su tracce di uno scavo per il passaggio del nuovo acquedotto, troviamo la mulattiera che sale da Goglio per l’alpe Bondolero. Ecco più sopra, sulla sinistra, la stupenda cascata di rio Freddo. Lama d’acqua bianca che fende per parecchi metri a strapiombo il verde del bosco. Arrivando poi ai piani di rio Secco un guado attraversa il torrente Bondolero, poco più sopra a qualche centinaio di metri la-

di pascoli, il sottobosco e il bosco stesso, si sono ripresi gli aspetti selvaggi, cancellando calpestii di uomini e bestie. Da Devero scendiamo sulla bella mulattiera e oltrepassando la Forcola (mt. 1608) dopo alcuni tornanti, tralasciando alla destra il sentiero iniziale della Vea i Squettar in cattive condizioni, arriviamo alla Prea Sciupada (Pietra scoppiata) inconfondibile enorme masso spaccato antico luogo di sosta per gli alpigiani che salivano carichi pari ai muli e qui ripren-

sciamo la mulattiera imboccando un bel sentiero a sinistra ( attenzione attraversato il guado non seguire le tracce a sinistra che portano alla casera di cima Piaggio). Il sentiero si alza ora per una comoda gradinata che termina nelle vicinanze di una scura roccia che sulla parete rugosa porta incisa una sacra immagine. Siamo sulla vea di Squettar (via degli scoiattoli) che si inoltra in una vera e propria galleria verde nella foresta. La vea passa poi alta sopra gli agglomerati di Esigo e scaval-

Escursione al lago di Brumei

mt. 1967 Luogo di partenza: Alpe Devero 1640 Dislivello quota massima raggiunta: mt 486 Tempo di gita/camminata: h 6,30-7 Difficoltà: EE

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cando il rio Brumei prosegue comoda in un lungo traverso. Prima di arrivare al rio della Ghendola lasciamo la mulattiera e prendiamo a destra un sentierino (segnavia evidente per Compolo) che con ripidi tornanti porta a Compolo e più sopra ai prati dell’alpe Deccia (mt. 1615). Dal centro dell’alpe, arrivati a un dosso erboso (cartelli indicatori), il percorso volge a destra e entra pianeggiante nella valle. Attraversato un profondo canale si rimonta a sinistra una pietraia e a poco a poco ci si sposta a destra su pendii erbosi che portano al passo di Brumei (mt. 2126). La quota del valico è la prima depressione che scende dal monte Cistella e si alza poi verso la Pizzetta di Brumei. Dal passo prendiamo le terrazze che in piano vanno a sinistra per scendere poi zigzzagando nella morena. Giunti qui in leggera discesa con un largo giro si raggiungono rocce montonate dalle quali si vedono i larici che sorgono in prossimità del laghetto (mt 1967) che si raggiunge con un ben distinto percorso. Il piccolo bacino alimentato soltanto dai sovrastanti nevai, può alle volte essere quasi completamente asciutto: le estati sempre più siccitose facilitano maggiormente il fenomeno.Il silenzio è grandioso, grandioso lo spazio, grandioso la selvaticità della natura. Very very wilderness. Lasciato il lago un lungo traverso in leggera discesa ci porta alla vista delle dentellate creste del pizzo Cerino e camminando al limitare di un bosco di larici scendiamo verso destra per raggiungere corte Brumei (mt 1854). A destra della corte un sentiero esce in piano quindi la discesa si fa più decisa entrando nel fitto bosco. Volgiamo a sinistra, accostando placche rocciose e attraversando un terreno con grossi massi, ora si entra in una stretta che sbuca nei pascoli di Agarù (mt 1368). Dalle baite dell’alpe scendiamo fino ad incrociare una strada sterrata costruita alcuni anni fa per la quasi inutile opera dei canali di gronda Veglia-Devero.

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Volgiamo più sotto a destra e ritroviamo la vea di squetar nei pressi del ponte sul rio Brumei attraversato ore prima. Dal ponte un bel sentiero segue il torrente che scende a Pontigei (mt 1340), il primo insediamento di Esigo (1175). Il suo piccolo oratorio al centro di bellissimi prati, belle baite: alcune ristrutturate con cura, un agriturismo ospitale e accogliente, Esigo un balcone sulla Valle. Alla sinistra della chiesetta una trattorabile scende fino al ponte in cemento di Goglio. E qui troviamo la fermata del Pronto Bus che ci riporta in Devero. Dopo una lunga camminata fra boschi, cascatelle, rocce, laghetti, fatta anche con fatica ma senz’altro ripagata dall’avventura, siamo accompagnati dai silenziosi passi nell’ignoto.


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Hiking to Brumei Lake Starting Point Devero Alp Rise 486 metres Time 6.30 h. Difficulty EE Brumei Lake, Cerino Alp and the valley at the foot of Cistella Mount are unexplored and delightful places. Starting from Devero Alp you can go beyond the wonderful falls of Rio Freddo. After arriving at la Vea dei Squatter (The Squirrels’ route) the hiker can climb to Deccia Alp and then to Brumei Lake at an altitude of 1,967 metres.

The fascination of Croveo Even nowadays Croveo is an enchanting small village with stone buildings and fruit trees (apple and pear trees). The lovely village is famous for stories about witches and sabbath. The church and its

precious XI century bell tower, built on rock, are renowned as well. Walking around the streets you can admire the remarkable winepress, a remnant of peasant world and built in 1776. You can visit le caldaie near Croveo, too. They are rocks, carved by water and ice in the centuries, where Devero stream runs between arcs and passes.

The FlowersĂŠ path from San Domenico to Alpe Veglia Starting Point San Domenico Rise 620 metres Time 1.30 metres Difficulty T It is a beautiful and scenic path to Parco del Veglia-Devero-Antrona. The hiker can enjoy the marvellous scenary from Leone Mount and the gorgeous flowering of alpine flora along the way. The ancient beating heart of the mountains can be heard in the rocks, in the alps, in the streams and in the animals of Alpe Veglia.

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STORIA E TRADIZIONE A

CROVEO di Claudio Zella Geddo

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In un piccolo borgo tutto il fascino della Valle Antigorio


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a anno ormai l’alpe Devero ha conquistato, grazie all’intraprendenza dei propri abitanti ed alla straordinaria bellezza naturale, la fama di una delle più incantevoli zone delle Alpi. Prima però d’arrivare in questo vasto altipiano bisogna risalire, da Baceno, la vallata alla volta di Croveo. Lungo il percorso il colpo d’occhio offre a sinistra le severe pareti del Cistella che signoreggiano sopra scure macchie d’abeti, mentre in fronte si staglia l’imponente vetta del Cervandone con a sinistra la cresta del Pizzo Cornera. In basso mugge e s’apre la via il torrente Devero tra oscure profondità e limpide pozze d’acqua tumultuosa. I versanti della valle, i cosiddetti boschi neri, per secoli rimasero a disposizione delle popolazioni di Baceno e Croveo come focaggio (legna da ardere) e fabrica (d’opera per utensili e case). Solo nel XIX° secolo iniziarono dei disboscamenti intensivi soprattutto ad Esigo, Brumei, Bondolero e Agaro e venne quindi meno la funzione meramente protettiva di tali manti boschivi in occasione di frane e valanghe. Croveo (818 m.), paese dei serpari, è ancor oggi un piccolo villaggio dalle case in pietra, calato tra terrazzamenti, massi erratici lascito dell’ultima glaciazione e cortine di alberi da frutto. Un ameno contorno vegetale di meli e peri, che da sempre caratterizza l’insediamento. La parrocchiale ha belle porte con incisi simboli sacri, di rilievo inoltre il campanile (forse dell’XI° secolo) ritto su di uno scoglio di pietra, con finestre del XV° secolo, e la sommità in barocco spagnolo. Sul sagrato un monumento ricorda il curato del paese, Don Amedeo Ruscetta, abile nel catturare le vipere e motivo della nomea del paese. Scoprendo via a via il borgo, tra antiche costruzioni in sasso a doppia entrata, non passa certo inosservato il pregevole torchio del 1776, recentemente restaurato, addossato ad un trovante, vero e proprio

testimone di un’epoca. Usato, a turni dalle famiglie, per la spremitura di noci e sopratutto delle pere a novembre - da cui si ricavava una sorta di sidro dolce o la grappa -, all’interno conserva una macina e attrezzi del mondo contadino. Molte sono anche le costruzioni con loggiati in legno di pregevole fattura, si notano anche una canonica dal bel l’arco d’ingresso, architravi con croci potenziate del XVI° secolo, affreschi devozionali con Madonne del Latte, Tau e figure con pastorale e mille segni dell’antica civiltà alpina come la martluria, pietra posta sull’uscio di casa ed utilizzata per affilare la ranza o gli spacchi creati dal frassino bagnato tra le grosse pietre cantonali delle case. Croveo è stato anche teatro dell’epopea dei contrabbandieri che fino agli anni ’70 faticavano tra La Rossa e Valle di Binn portando in Svizzera riso ed in Italia caffè e tabacco tra faticose salite, fughe dai finanzieri e pericolosi passaggi alpinistici. A pochi passi da Croveo non si tralasci

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d’andare a visitare le celebri Caldaie, rocce e marmitte sagomate nei millenni da acqua e ghiaccio. Qui massi giganteschi formano archi, strettoie, quinte in cui scorre il torrente Devero fino ad una voragine scavalcata da un ardito ponte in pietra che conduce sull’odierno sentiero che da Graglia porta, oltre Osso, a Goglio. Proprio qui s’osserva un cappella, sorta in quello che i documenti episcopali dei processi contro le streghe antigoriane (1609 - 1611), riportano essere il crocevia delle malefiche che volavano verso il sabba sul ghiacciaio del Cervandone (3200 m.) e tra Stua e La Roscia (odierne alpe Stufa e La Roccia). Si tratta di rimanenze di culti pre-cristiani in cui la donna aveva funzione e ruolo di guaritrice nonché di tramite con un mondo altro di chiara derivazione nordicoceltica. Prima di arrivare ad Osso notare, sulla balconata rocciosa, un vero libro aperto per gli studiosi delle ere geologiche, la bella cascata del Rio d’Agaro. Nel borgo di rilievo affreschi e date incise su diverse case nonché sulla stalla che veniva utilizzata, nei secoli passati, per il traffico commerciale attraverso il passo dell’Arbola Altro gioiello del territorio è sicuramente Pian d’Ecchio, una vasta distesa, già prediletta dai pittori per lo splendido panorama sul Cervandone, una volta coltivata a segale e patate ed ancora ingentilita da secolari peri. Il luogo più adatto per catturare tutta la bellezza di quest’angolo di Valle Antigorio.

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Il B&B La Beula dispone di 3 camere con TV satellitare, ampio parcheggio privato, vasca idromassaggio e solarium.

B&B

La Beula

Fraz. Beola, n.2 Baceno (VB) Tel. 347.3474453/349.8760577 www.labeula.it - labeula@hotmail.it

Bed & Breakfast - Case Vacanza - Residence Baceno

Casa Vacanze La Rossa

Loc. Devero

 +39 335 458769

Baceno

La Beula

Croveo

 +39 347 3474453

Crevoladossola

La Toce

Fraz. Pontemaglio,15

 +39 338 2245767

Domodossola

Le Camelie

B.ta S. Quirico, 20

 +39 0324 220926

Domodossola

Residence Fiordaliso

Reg. Nosere

 +39 349 3206783

Domodossola

La Stella

Vagna

 +39 0324 248470

Formazza

Zumsteg

Loc. Ponte

 +39 0324 63080

Formazza

Eichorä

Loc. Riale

 +39 339 5331578

Formazza

Schtêbli

Loc. Riale

 +39 328 3391368

Masera

Casa Tomà

Via Menogno

 +39 0324 232084

Masera

Divin Porcello

Fraz. Cresta

 +39 0324 35035

Premosello

Cà dal Preu

Loc. Colloro

 +39 0324 88745

Vogogna

Del Viandante

Via Nazionale, 270

 +39 340 2775692

Vogogna

Palazzo del Gabelliere

Via Roma, 17/19

 +39 338 1749100

Premia

Casa Vacanze La Meridiana

Fraz. Cadarese, 13

 +39 0324 240858

Premia

Premia Vacanze

Via Domodossola, 154  +39 392 3331484

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Canyoning in Ossola 58

di Stefano De Luca Immagini: Scuola di ALPINISMO La Compagnia Delle Guide e www.cicarudeclan.com


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orrenti, forre, canyon… comunque li si voglia chiamare una grande ricchezza per l’Ossola, prima ancora che economica naturalistica e sportiva. D’inverno li si può risalire con piccozze e ramponi e d’estate scendere con muta, corda e ferraglia varia... Il cosiddetto “canyoning” può essere considerato pratica recente per gli “ossolani” che solo da qualche anno si sono interessati e appassionati chi per lavoro e chi per diletto a questa ludica attività sportiva. Contrariamente, da parecchio tempo i canyon ossolani erano apprezzati, attrezzati e percorsi da turisti e esploratori principalmente d’oltralpe che sicuramente ammiravano, tra gli stretti solchi d’acqua e nelle aspre gole intagliate nello gneiss, la solitudine e gli spazi (in senso lato) che ancora questa bella terra, non troppo contaminata, sa dare ai suoi “amatori”. Difficile riassumere in poche righe relazioni, difficoltà e raccomandazioni di vario genere. Premettendo che non esi-

ste una guida specifica del canyoning in Ossola ci limitiamo in questa sede a dare una breve descrizione di tre torrenti fra i tanti percorribili e in gran parte attrezzati presenti nelle valli ossolane, rimandando alle guide reperibili via internet, che tra gli altri comprendono anche alcuni itinerari locali, per descrizioni più complete dell’“Ossola torrentistica”. Ovviamente anche per questa attività come per le altre cosiddette “estreme” (che poi tanto estreme non sono) occorre informarsi sia sul materiale necessario, sia sulla tecnica per affrontare tale sport. In Ossola vi sono gruppi guide (che si citano di seguito) che svolgono corsi di canyoning, insegnano le moderne tecniche di progressione ed effettuano accompagnamento in forra, eventualmente anche con noleggio materiale, e a cui ci si può rivolgere per informazioni e riferimenti. Occhio al meteo! Se siete in difficoltà (…e il telefono prende!) chiamare il 118. Lasciate detto dove andate!

Buon divertimento a

tutti!

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Val Segnara

Ogliana di Quarata

DIFFICOLTA’: v3, a3, II. AVVICINAMENTO: Dal paese di Castiglione (VB) in Valle Anzasca, direzione Macugnaga, proseguire sino a “Molini”; alla fine dell’abitato imboccare a sinistra il ponte che attraversa l’Anza e conduce alla Val Segnara (indicazione). Qui si può lasciare un auto per il rientro. Dal Ponte sull’Anza proseguire per circa 1 km. Sino ad un secondo ponte che attraversa il torrente Segnara. Lasciare l’auto e scendere sul letto del torrente subito dopo il ponte sulla destra. Il canyon termina all’incrocio con un canale in cemento sospeso da percorrere. Possibile anche scendere oltre il canale in cemento sino a raggiungere il letto dell’Anza.

DIFFICOLTA’: v5, a4, IV. AVVICINAMENTO: dall’abitato di Beura (VB) lasciare l’auto sulla strada principale, circa 300 metri dopo il torrente Quarata (direzione Domodossola), in prossimità di un osteria abbandonata. Da qui si imbocca via San Lorenzo che porta ad una strada sterrata e successivamente si prosegue su mulattiera fino alla fraz. San Lorenzo. Proseguendo sulla mulattiera, si raggiunge e si supera, tenendosi a destra, un primo alpeggio e poi un secondo. Attraversato questo secondo alpeggio (con casa restaurata), oltre le baite sulla destra, in prossimità di una cappelletta si riprende la mulattiera che, dopo un tratto in salita, seguendo una deviazione indicata da freccia rossa a destra e percorrendo un tratto pianeggiante e una breve salita conduce al terzo alpeggio denominato “Mura”. Da qui imboccare il sentiero situato a sinistra delle baite diroccate che scende verso il fondo della valle sino al ponte in sasso che costituisce l’ingresso al canyon. Tempo di avvicinamento: h. 1,30; il sentiero non è sempre evidente, munirsi di cartina!

TEMPO DI PERCORRENZA: 2 h. LUNGHEZZA: 700 m. circa. CALATA PIU’ LUNGA: 30 m. ANCORAGGI: buoni (2009). RIENTRO: percorrere il canale in cemento verso sinistra sino ad una chiesa da qui si raggiunge facilmente l’auto lasciata sul ponte che attraversa l’anza. Se si è proseguita la discesa sino al letto del fiume Anza risalirlo per circa 100 metri e in prossimità di cartello di piena sulla sinistra salire nel bosco fino a raggiungere il canale in cemento. PERIODO MIGLIORE: da giugno a settembre. NOTE: bel torrente, solare, con facili calate, alcune enormi vasche e soprattutto bellissimi tuffi!.. nell’ultima pozza fino a 15 metri (sempre facoltativi!).

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TEMPO DI PERCORRENZA: 5 -6h. LUNGHEZZA: 2 km circa. CALATA PIU’ LUNGA: 35 m. ANCORAGGI: presenti, alcuni da verificare. RIENTRO: dall’ultima breve calata in 5 minuti si raggiunge l’auto. PERIODO MIGLIORE: da luglio a settembre. NOTE: bella forra, varia e tecnica con diverse pozze e alcuni tratti molto stretti.


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Rio Variola

(parte inferiore) DIFFICOLTA’: v4, a3, III. AVVICINAMENTO: da Domodossola (VB) raggiungere l’abitato di Monteossolano. Da qui lasciare l’auto e imboccare il sentiero pianeggiante per “Cà Monsignore”, Bognanco. Dopo circa 30 minuti si raggiunge una cappella, la si supera con sentiero in discesa che raggiunge il Rio Variola. La prima calata si trova su sponda idrografica destra, poco a valle del ponte. TEMPO DI PERCORRENZA: 3 h. LUNGHEZZA: 800 m. circa. CALATA PIU’ LUNGA: 35 m. ANCORAGGI: buoni (2009). RIENTRO: con l’ultima calata si raggiunge il letto del fiume Bogna, da qui risalire attraverso una strada invasa da fitta vegetazione (destra idrografica) sulla strada provinciale, in prossimità del ponte sul rio Variola (5-10 min). Utile aver lasciato qui una seconda auto, in alternativa informarsi sul servizio di autotrasporto dall’abitato di Bognanco, situato circa 2 Km a monte. PERIODO MIGLIORE: da giugno a settembre. NOTE: breve forra, con alcune belle pozze, pochi tuffi ma una avvincente strettoia centrale!

i nfo

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“Mountain Cube” Via Bancaore 14, Malesco (VB) phone +39.349.6917403 (www.mountaincube.com) “Compagnia delle guide” Via Marconi 33, Baceno (VB) phone +39.340.5551203 (www.montagnazzurra.com) “Guide Alpine di Macugnaga” Piazza Staffa Macugnaga (VB) phone +39.347.0900129 (www.guidealpinemacugnaga.it)


VALLE FORMAZZA

di Marco Valsesia

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C

ultura Walser, impianti idroelettrici, alpeggi, formaggi e tanta, veramente tanta montagna, in tutte le sue espressioni. Prati ancora ben curati intorno ai caratteristici paesini, fitti ed estesi boschi di conifere, ampi e rinomati pascoli estivi, numerosi laghi naturali ed artificiali, cascate e, ancora più su, ghiacciai con numerose cime sin oltre i tremila metri. Ecco in poche parole una descrizione e un'immaginaria fotografia della Val Formazza per chi ancora non la conoscesse. La popolazione di origine Walser continua a protrarre nel tempo la testimonianza delle origini di questa valle con il mantenimento e l'edificazione delle caratteristiche e belle abitazioni in legno e pietra, con la manutenzione e il rispetto del territorio e con la continuazione di antiche consuetudini, in primis la lingua, e numerose ricorrenze civili e religiose. Una cultura rimasta pressoché immutata per molti secoli fino a quando, negli anni '20 del secolo scorso, comparvero in valle le prime società idroelettriche, che influenzarono e modificarono radicalmente la vita dei valligiani. Si arrestò l'emigrazione e la forza lavoro venne impiegata quasi in toto nella realizzazione di impianti idroelettrici e relative infrastrutture. Fu così che altre attività, nonché l'iniziativa privata, divennero marginali o complementari a quello che risultava essere a tutti gli effetti un ottimo impiego. Di conseguenza, mentre numerose località montane dagli anni '60 ebbero un notevole quanto a volte incontrollato sviluppo turistico, la Formazza non seguì in modo marcato questa tendenza. E proprio questa connotazione sembra essere stata la fortuna e la ricchezza insperata di questa vallata ossolana. In un ambiente in cui

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prevale ancora l'originario stile architettonico delle abitazioni si stanno infatti inserendo armoniosamente nuove strutture ricettive e turistiche, progettate nel rispetto dell'esistente, che valorizzano ancor più ciò che, con sacrificio e competenza, è stato realizzato e mantenuto nei secoli passati. E l'ospitalità Sicuramente di qualità! Alberghi e meublé, di piccole e medie dimensioni, tutti a gestione famigliare e modernamente attrezzati come i bed & breakfast sorti negli ultimi anni in tipiche abitazioni Walser, nonché i campeggi. E poi ancora numerosi rifugi in quota, strutture di notevole fattura in ambienti spettacolari; i ristoranti, dove è sempre più un piacere gustare prodotti tipici e genuini come il famoso formaggio Bettelmatt (ma non solo),


rielaborati e valorizzati da sapienti a appassionati cuochi! Ecco ciò che è possibile trovare in Formazza: un piccolo mondo in cui la fanno fortunatamente da padrone le cose semplici e importanti della vita, a partire da un rapporto umano, naturale e sincero (quante volte il consiglio di chi vive sul posto ci fa scoprire qualcosa che mai avremmo immaginato!). Pur arrivando in auto fino ai 1800 metri di quota del lago di Morasco, incastonato in un ameno paesaggio naturale, si può dire di aver avuto una conoscenza solo parziale della valle. La maggior parte di questo meraviglioso territorio, la cui peculiarità è quella di avere un'orografia d'alta montagna ma essere al contempo accessibile al medio escursionista, la possiamo infatti gustare e

scoprire solamente con calma e un po' di sano movimento. Con un buon paio di scarponi, un minimo di vestiario adeguato e un pizzico di sana voglia di muoversi, si possono scoprire luoghi di incomparabile bellezza e di notevole valore storico, posando lo sguardo su una fauna sempre più abituata alla presenza dell'uomo e lasciandosi rapire dal fascino discreto delle vaste estensioni floreali montane di molteplici varietà di cui la Formazza è ricca. Escursioni e passeggiate adatte alle famiglie che su percorsi non troppo impegnativi, ma ricchi di stimoli, condividono l'amore per la natura e la montagna. Gite "ad hoc" anche per i gruppi di alpinismo giovanile del Cai e le scuole, il cui scopo è portare anche i più giovani a conoscere ed apprezzare, senza rischi, un ambiente per molti altrimenti difficile da vivere. E in ogni caso, percorsi gratificanti e davvero alla portata di tutti coloro che fanno della montagna non una sfida, ma un genuino piacere da assaporare con calma, passo dopo passo. La Val Formazza, punta estrema, a nord, della regione Piemonte, è un territorio della Provincia del Verbano - Cusio - Ossola, delimitato dalla Valle Antigorio a sud e dai contrafforti montuosi che confinano con la Svizzera Tedesca a ovest e nord (Canton Vallese) e la Svizzera Italiana a nord e est (Canton Ticino). Proprio dall'altopiano di Goms, nel Vallese, giunsero nel 1200 i primi coloni Walser di stirpe alemanna, che diedero inizio alla comunità di Formazza (Pomatt), ancor oggi orgogliosa dei tratti caratteristici di questa sua origine. Lo si percepisce immediatamente dai toponimi bilingue dei paesi e degli edifici pubblici, dalla parlata tedesca ancora in uso, da parte di una discreta percentuale della popolazione e nei nomi dei luoghi,

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quasi sempre in tedesco. Sono undici le frazioni (Foppiano, Fondovalle, Chiesa, San Michele, Valdo, Ponte, Brendo, Grovella, Canza, Cascata, Riale) che compongono il Comune di Formazza, tutte poste lungo l'asse principale della valle e impreziosite dalle tipiche abitazioni in legno e pietra che ancora colpiscono per la loro solidità e il piacevole aspetto estetico. Una menzione particolare per un'attrattiva naturale unica: la Cascata del Toce, il "salto d'acqua piÚ bello d'Europa" che si può ammirare ad orari prestabiliti tutti i giorni da giugno a settembre. Benvenuti in Val Formazza!

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In auto da Milano (A8) da Genova (A26) da Torino (A4 + A26) autostrada fino a Gravellona Toce. Da qui superstrada (S.S. 33) fino all’uscita di Crodo (Valli Antigono e Formazza) quindi statale 659 direzione Formazza-Cascata del Toce. Dalla Svizzera: passo del Sempione fino al confine di Stato, poi statale 33 fino all’uscita di Crevoladossola e innesto sulla statale 659 direzione Formazza-Cascata Toce. Da Locarno: via Centovalli-Val Vigezzo fino a Crevoladossola, poi statale 659 come sopra. Mezzi pubblici in treno da Milano o da Torino (via Novara) fino alla stazione di Domodossola. Da qui bus di linea fino a Ponte Formazza (o Riale solo in alcuni periodi estivi). Dalla Svizzera: da Berna e Ginevra per il tunnel del Sempione o da Locamo con la Ferrovia Vigezzina fino alla stazione di Domodossola, quindi con il bus di linea come sopra.

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Ponte - Formazza ACCESSO: ampio parcheggio auto a Valdo (dal quale si raggiunge l'inizio del percorso in 10 minuti passando sulla circonvallazione a ovest di Ponte) e altri parcheggi tra Valdo e Ponte. Fermata bus sia a Ponte che a Valdo tutto l'anno. DISLIVELLO: in salita 450 m. TEMPO DI SALITA: ore 3. DIFFICOLTÀ: T PUNTI DI APPOGGIO: alla partenza numerose strutture ricettive e di ristorazione tra Ponte, Valdo e San Michele: all'arrivo troviamo a altrettante possibilità tra Riale e la Cascata del Toce. Informazioni all'ufficio turistico www.valformazza.it Tel. 0324.63059. Questo tratto dello storico tragitto che un tempo favoriva i commercii tra Berna e Milano è stato ripristinato nell'estate 2009 dalle squadre forestali della Regione Piemonte. Un percorso adatto a tutti che, attraverso quattro ipotetici gradini intervallati da tratti pianeggianti, permette di salire e apprezzare con calma quella parte di valle solitamente percorsa in pochi minuti in auto. La Cascata del Toce già di per sé giustifica la fatica ma altrettanto belli sono i paesi: la minuscola Brendo; Grovella sul versante opposto, in posizione panoramica, con un microclima invidiabile grazie alla protezione dello sperone roccioso sotto cui è adagiata; Canza con le sue case ben tenute; cascata immersa in un ampia prateria e all'arrivo, quel piccolo inconfondibile gioiello che è Riale, sovrastato dalla caratteristica chiesetta edificata in ricordo del paesino di Morasco, sommerso dalle acque dell'omonimo lago artificiale, che scorgiamo imponente in fondo alla lunga piana. Il salto d'acqua della cascata è

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aperto secondo orari stabiliti nel periodo giugno-settembre. Grazie a recenti accordi con Enel, che cura il rilascio dell'acqua, i periodi sono stati ampliati, così, anche in settimana, quando l'orario è limitato a due ore, dalle 11 alle 13, possiamo programmare l'escursione al fine di ammirare appieno questo grandioso spettacolo.

PERCORSO: A nord del paese, superato il ponte in località Zumsteg e attraversato sulla destra un piccolo nucleo abitato, ci si immette sui prati antistanti la centrale idroelettrica dell'Enel. La si costeggia a monte e su ampio sentiero si continua in piano. Superata l'appartata frazioncina di Brendo che tra gli alberi si scorge poco più in basso, appare sul versante opposto, in lontananza, il paese di Grovella. Ci attende ora il primo "gradino"; si sale lungo un rado bosco, oltrepassando due baite, fino al Krê, promontorio alla sommità di questa salita da cui con una breve pausa si gode uno splendido panorama sulla parte centrale della valle (ore 0,45). Ora, nuovamente in piano, si attraversa Canza, nel suo nucleo occidentale e, superati i prati e pascoli a nord del paese, si percorre un altro, più modesto, dislivello al culmine del quale si prospetta


il maestoso scenario della Cascata del Toce. Si prosegue nuovamente in piano, scorgendo sulla destra gli edifici di Sottofrua, fino a giungere al ponticello in legno ai piedi della cascata stessa. Qui inizia il gradino più impegnativo ma sicuramente più interessante poiché la salita è tutta a fianco del "Salto d'acqua più bello d'Europa". Giunti alla sommità (ore 2,15) è d'obbligo la sosta sul piccolo ponte panoramico a godere dell'impressionante salto ai nostri piedi. Superato lo storico albergo si giunge in pochi minuti all'ultima breve salita, sulla destra, superata la quale ci si immette negli ampi pendii erbosi di Riale che scorgiamo adagiato in fondo alla maestosa conca alpina che lo circonda. Circa 20 minuti e si arriva al paesino, meta finale di questa nostra un po' sudata ma molto appagante passeggiata lungo la valle. Il rientro può avvenire in bus nel periodo in cui arriva a Riale (20/07-20/08 circa, info 0324.63059), altrimenti in auto (o per lo stesso percorso a ritroso).

Z Pumatt, der schpétz gägä nord fam Piemont, éscht lan wa der Prowintschu fam Verbano-CusioOssola khert; gägä süd grentzt äs méttum Antigoriutal, gägä owest un nord mét där Titsch Schwitz (Kanton Wallis) un gägä nord un est méttum Tessin. Äbägrat fam Goms naar, im Wallis, sén di erschtu Walser im 1200 anner chu z Pumatt kulunidzérä, noch hittigschtagsch éscht Pumatterkmeinschaft schtoltz for ŝchinä wértzu. Di alemannischu wértzä kseetmu ufderschtel for di zweischprachigu namända fa dä derfru un fa dä kmachänu

fa der kmeinschaft; mu kschpértŝchu in di titsch schprach wa noch än göti pertschentual fa dä littu brücht, un öw t erter hen fascht féri än titschä namä.T Kmein fa Pumatt het endläf derfer (Undrumschtaldä, Schtafuwald, In der Mattu, Tuffald, Wald, Zum Schtäg, In dä Brendu, Gurfälu, Früduwald, Uf ä Früt, Chärbäch), mu fénntŝchi älli ksaati uf t lengi fa der schtraas, un di tipischu hiŝcher mét holtz un schtei üfpuwni schinän hépschi un schtarchi. Appus schpetschalischä éscht der wasserfall, är éscht der hépschtu in Europa: fam brachut danna bés in setember chamunä all tag än par schtun pschöwu. Sit göt acho ins Pumatt!

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OPERATORI TURISTICI Albergo Ristorante Bar “Aalts Dorf” Fraz. Riale - Tel. 0324.634355 Cell. 329.1257417 www.aaltsdorf.it Albergo Ristorante Bar “Cascata Toce” Fraz. Cascata Toce - Tel. 0324.63013 Locanda Ristorante Bar “Walser Schtuba” Fraz. Riale - Tel. 0324.634351 Cell. 339.3663330 www.locandawalser.it Albergo Ristorante Bar “Rotenthal” ** Fraz. Ponte - Tel. 0324.63060 www.rotenthal.it Bar “Barulussa” Fraz. Riale - Cell. 339.2139064 Bar Pasticceria “Il Camino” Fraz. Ponte - Cell. 347.0837641 Bar Paninoteca “Alpenrose” Fraz. Fondovalle - Cell. 347.0136704 Bar Ristorante Pizzeria “La Genzianella” Fraz. Valdo - Tel./Fax 0324.63068 www.genzianelladiformazza.it Bar Ristorante Pizzeria “La Baita” Fraz. Ponte - Tel. 0324.63048 Bar Ristorante “Igli” Fraz. Ponte, Loc. Seggiovia Cell. 338.1930898 www.igli.it Bar Ristorante “Delle Alpi” Fraz. Cascata Toce Cell. 339.1495026 - Cell. 338.3448489 Bar “Frua” di Rondoni Vanna Via Violana Fraz. Cascata Toce Tel. 0324.63228 - Cell. 339.7969869

B&B “Eichorä” Fraz. Riale - Cell. 339.5331578 B&B “Schtebli” Fraz. Riale Cell. 328.3391368 www.ossola.com B&B “Pernice Bianca” Fraz. Cascata del Toce - Tel. 0324.63200 www.pernicebianca.it B&B “Zumsteg” Fraz. Ponte - Tel. 0324.63080

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Campeggio “Hohsand” Fraz. Brendo - Tel. 0324.63258 www.campinghohsand.it Rifugio “Claudio e Bruno” - 2710 m. Località Strahlgrat - Tel. 0365.654008 Rifugio “3A” - 2960 m. Località Ghiacciaio del Siedel Cell. 347.9058659 Rifugio “Città di Busto” - 2482 m. Località Piano dei Camosci Tel. 0324.63092 www.rifugiocittadibusto.it Rifugio “Maria Luisa” - 2157 m. Località Diga del Lago Toggia Tel. 348.4444316 www.rifugiomarialuisa.it Rifugio “Bimsè” - 1800 m. Località Diga del Lago di Morasco Tel. 339.5953393 Alimentari “Ferrera” Fraz. Ponte - Tel. 0324.63028 Abbigliamento sportivo e altro “Clo” Fraz. Valdo - Tel. 0324.63263 Formazza Agricola Fraz. Valdo - Tel. 0324.634325 www.formazzaagricola.it Tabaccheria “Zarini” Fraz. Ponte - Tel. 0324.63043 Macelleria “Crosetti” Fraz. Valdo - Tel. 0324.63035 Bottega dell’artigiano Wibali, Wabili, Wup Fraz. Ponte - Tel. 0324.63044 Souvenir, Articoli in legno “Cascata Toce” Fraz. Cascata Toce - Cell. 328.4157109 Panetteria “Bacheri” Fraz. Ponte Scuola Sci di Fondo Formazza Fraz. San Michele - Cell. 347.0837641 Scuola Sci discesa Fraz. Valdo - Tel. 0324.63027 www.scuolasciformazza.it Centro del Fondo “San Michele” Fraz. San Michele - Tel. 0324.63223


Museo Casa Forte “Schtei Hüs” di Formazza di Ester Bucchi De Giuli

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a val Formazza, incuneata in territorio svizzero, è terra di confine: un confine che mai venne inteso, storicamente, come limite invalicabile, chiusura difensiva rispetto ad un mondo altro, estraneo, ostile, ma confine nel suo significato di soglia, di limite attraversabile che, in una soluzione di continuità spaziale, consente una condizione di rapporto, incontro, scambio, comunicazione. Tutta la sua storia è segnata dall’esperienza del passaggio, a partire dal momento in cui, tra l’ultimo scorcio del XII° e l’inizio del XIII° secolo, vi giunsero, superando lo spartiacque alpino attraverso il valico del Gries, i primi coloni Walser. Confine come passaggio per gruppi di coloni di Formazza che, dalla metà del XIII secolo, lasciarono progressivamente la valle per fondare le colonie di Bosco Gurin in Val Maggia (Ticino) e del Rheinwald nei Grigioni (Vallese). E ancora confine come passaggio per le carovane di mercanti e conduttori di some che attraverso i valichi alpini alimentarono, fino a tutto il XIX° secolo, fitti rapporti commerciali tra le terre di Milano e del novarese e i mercati del Vallese e dell’Oberland Bernese. Proprio ad opera della più eminente famiglia di impresari di trasporti formazzini, gli Zur Schmitten, venne eretta lungo la strada maestra percorsa dai someggiatori, poco oltre l’abitato di Zum-

schtäg (Ponte), la Casa Forte: un edificio fortificato fatto costruire nella seconda metà del XVI° secolo (la data di costruzione - 1569 - è incisa sull’architrave della porta di ingresso) secondo il modello dell’edificio commerciale a più funzioni abitazione e deposito delle merci - diffuso tra XVI° e XVII° secolo lungo le principali arterie commerciali dell’arco alpino. Una sorta di “guardiano del cancello”, in cui conviveva una doppia natura - apparentemente in contrasto - di chiusura difensiva da una parte, e di apertura al passaggio dall’altra. Una duplice vocazione che anima ancora oggi la Casa Forte, sede del museo di cultura walser: raccoglie, difende e custodisce con l’obiettivo superiore di raccontare e trasmettere; un punto di partenza per la ricerca e la scoperta; primo nucleo di un “laboratorio territoriale” di cui il museo può fornire le chiavi di lettura, invitando il visitatore a sperimentare poi gli aspetti della cultura attraverso un’interazione dinamica con il territorio. Non una conservazione passiva e acritica di oggetti dunque, ma selezione, elaborazione, creazione di significati. Il museo, nato negli anni ’90 del secolo scorso su iniziativa dell’Associazione Walser di Formazza, è stato riallestito nel 2008 nell’ambito del programma europeo Leader Plus. Il nuovo allestimento è frutto di un profondo ripensamento

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della filosofia espositiva che ha portato ad accostare alla già presente sezione etnografica una preziosa sezione di scultura lignea di proprietà parrocchiale. Il percorso espositivo - che si sviluppa attraverso sei sale disposte su tre piani - guida il visitatore a conoscere gli aspetti più significativi della vita e della cultura walser, la cui chiave di lettura è rappresentata dal rapporto emblematico uomo-montagna e uomo-Dio. Un filo conduttore che sottende l’intera esposizione, sia attraverso gli oggetti della sezione etnografica - che rivelano come l’attenzione al divino ispirasse ogni gesto della vita quotidiana -, sia nella sezione dedicata alla scultura lignea, testimone per eccellenza di quella devozione popolare che rappresenta uno degli aspetti significativi della cultura walser. Mentre in quattro ambienti si dipana il percorso dedicato alla cultura materiale, la raccolta di statue lignee, di scuola tedesca, si articola su due sale. La prima presenta, con un allestimento scenografico, dieci sculture lignee policrome databili tra i primi decenni del XV e l’inizio del XVI secolo: partendo da una condizione di buio iniziale, dove l’unico stimolo sensoriale è offerto dalla musica sacra in sottofondo, la collezione viene svelata, un pezzo alla volta, da suggestivi giochi di luce che inducono il visitatore ad un approccio graduale ed emozionale con ciascuna opera. Il secondo ambiente è allestito allo scopo di ricreare nel visitatore la suggestione di un oratorio e istintivamente vi si accede assumendo lo stesso atteggiamento reverenziale del fedele che entra in chiesa; tre file di banchi lignei e una balaustra settecentesca, dietro la quale si può ammirare la ricomposizione dell’altare cinquecentesco che anticamente ornava l’oratorio di Canza: uno scrigno ligneo a battenti che ospita la statua della Madonna con Bambino e una pregevole predella con l’Adorazione dei Magi, affiancato, nella parete laterale, dalle sculture dei SS. Giorgio e

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Nicola e del Cristo della Passione. Il primo approccio con le opere avviene, insomma, attraverso i sensi, lasciando alla sala “multimediale” la possibilità di un approfondimento scientifico attraverso brevi filmati esplicativi. Un museo piccolo ma ben progettato e curato, che certamente vale la pena visitare. Gestito dalla Walserverein Pomatt Associazione Walser di Formazza, dal 2006 il museo fa parte della rete museale Associazione Musei d’Ossola (www.amossola.it). Apertura: 15 giugno - 11 settembre martedì e sabato h. 15.30 - 17.00 su prenotazione: Tel. 0324-634346 walserverein-pomatt@libero.it


Form

Per degustare i nostri prodotti, come il Bettelmatt, la Toma Piemontese o il prosciutto Vigezzino vi consigliamo il Ristorante Bar Villa Giulia di Pallanza.

ie agg Sal

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La ditta Lovino Michele, come gli antichi commercianti di una volta, raccoglie i migliori prodotti tipici dell’Ossola e delle valli piemontesi. Grazie a questa tradizione, ancora oggi, queste specialità si possono degustare a Verbania e dintorni nei migliori ristoranti e nei migliori negozi alimentari specializzati.

rbania

Salumi e formaggi tipici Ingrosso e dettaglio

Sede Legale Via delle Rose, 6 28922 Verbania Tel. / Fax +39 0323 507019 Sede Operativa Via Renco, 53 28921 Verbania Tel. +39 0323 552283 Cell. +39 333 3166158 lovinomichelesas@libero.it

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Bognanco,

dalla natura una nuova ricchezza? di Paolo Pirocchi

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a Valle Bognanco è da tempo nota “turisticamente” per le sue acque: la ricca presenza di torrenti e piccoli laghetti di montagna ben motivano il riconoscimento del titolo di “Valle dalle cento cascate”. E proprio pregiate acque minerali e la nascita delle terme hanno portato la valle a vivere una stagione di notorietà turistica che oggi costituisce quasi un ricordo. Ne sono testimonianza a Bognanco Fonti grandi alberghi abbandonati che attraggono l’attenzione del turista che sale lungo la rete di mulattiere ben conservate che collegano tutte le antiche frazioni della valle, o in auto verso i centri più alti della valle, San Lorenzo, Graniga, Pizzanco, San Bernardo. E forse anche gli scheletri abbandonati di strutture alberghiere un tempo gremite di turisti ed oggi insoliti sostegni per edere ed erbe selvatiche, vanno guardati con curiosità, cogliendo il fascino della storia di questi luoghi. Ma quali ricchezze naturali e culturali cela questa valle e meritano di essere riscoperte e valorizzate! Una natura selvaggia ed in parte resa docile e generosa nel corso dei secoli dalle forti mani dell’uomo alla ricerca di legna, prati, pascoli. Questo binomio tra uomo e natura ben si rivela nell’affresco sulla facciata della piccola chiesa di Pizzanco, che raffigura San Luguzzone (San Lucio), patrono dei casari, rappresentato nell’atto di tagliare e distribuire ai poveri una forma di formaggio. Una valle da lupi!?... Tra il 2002 e il 2003 una serie di avvistamenti portò ad accertare la presenza di una giovane lupa in dispersione, che si

vide assegnare il poco fantasioso nome di “F31” dai ricercatori impegnati nel suo monitoraggio, aveva scelto una vasta area incontaminata tra le valli Bognanco e Antrona come territorio stabile di permanenza. I ricercatori riuscirono ad identificarla come proveniente dall’Alta Valle di Pesio, in cui era nata nel 2001. L’ultimo avvistamento risale al 2007. Da allora non se ne seppe più nulla. Nell’Ossola del passato il lupo non era una novità. Fu certamente ben rappresentato fino al periodo intorno al 1850-1860. Negli anni successivi, in seguito alla caccia spietata a cui fu sottoposto, la sua consistenza numerica decrebbe rapidamente per estinguersi in Val d’Ossola. L’ultimo esemplare era stato abbattuto nel febbraio del 1927 sulle montagne di Pieve Vergonte da Giovanni Borghini, un cacciatore locale: un episodio che ebbe la “copertina” della «Domenica del Corriere». Le alpi sono oggi lentamente ricolonizzate dalla popolazione appenninica a seguito dell’abbandono delle montagne che ha comportato un significativo ritorno “alla naturalità”, tanto che la presenza di questo predatore in Piemonte è una realtà da oltre un decennio. Specie protetta a livello internazionale (Direttiva Habitat dell’Unione Europea, Convenzione di Berna, Convenzione di Bonn, Convenzione di Washington) la sua presenza è oggi attentamente monitorata attraverso la formazione di commissioni di esperti a livello regionale e provinciale. Una piccola meraviglia esclusiva: l’Erebia dei ghiacciai, fafalla tra le più rare in Europa. Questo piccolo insetto poco appariscente rispetto ad altre farfalle più note e vistose, è caratterizzata da un areale di distribuzione limitato a una decina di chilometri quadrati tra Sempione, Valle Antrona, Valle Bognanco, Valle del Devero e Agaro. La prima popolazione su cui sono stati eseguiti studi approfonditi è quella Svizze-

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ra della Laggintal una valle confinante con la Valle Bognanco. La scoperta risale al 1882 e dopo la distruzione di due importanti biotopi nel 1982 e 1983, che minacciava la conservazione della specie, per la sua tutela il Canton Vallese è intervenuto vietandone la cattura e costituendo un’area protetta, la Riserva della Laggintal. A partire dal 1993 venivano individuati esemplari nell’alta Valle Boganco. Oggi la specie, che sembrerebbe legato ai pendii erbosi esposti al sole ricchi di festuche, è oggetto di studi per meglio comprendere aspetti ancora poco noti della sua biologia. Un’area naturale d’importanza a livello europeo Nell’Unione Europea il patrimonio naturale rappresenta una ricchezza inestimabile di biodiversità genetica, faunistica, floristica e di habitat e la sua tutela e protezione è divenuta, a partire dagli anni ’70, sempre più il cardine della politica ambientale, attraverso “direttive” che fissano le linee guida per salvaguardare sia specie

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rare e minacciate, sia habitat naturali e seminaturali di particolare significato. La “Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici” del 1979, conosciuta come “Direttiva Uccelli” prevede azioni per la conservazione di specie selvatiche di uccelli e l’individuazione di aree destinate alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS). Tali siti non devono essere protetti in senso stretto. L’importante è infatti mirare all’interno di tali zone ad una gestione adeguata del territorio e dell’uso del suolo. In una logica di sviluppo sostenibile, la Direttiva Habitat mira infine alla costituzione di una rete ecologica di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell’Unione stessa, denominata Rete Natura 2000 ed è composta attualmente proprio dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS) e dai Siti di Importanza Comunitaria (SIC). In tale importante rete comunitaria è di fatto inserito anche il territorio della ZPS “Alte valli Anzasca, Antrona e Bognanco” che comprende tutta l’alta valle, a monte


di San Bernardo e Pizzanco. Circa sessanta specie inserite in liste di protezione o di attenzione a livello internazionale sono segnalate nell’alta valle. Tra questi appare molto significativa la presenza dei principali rapaci, quali Astore, Sparviere, Gheppio, Poiana, Aquila reale. Tra i rapaci notturni il Gufo comune e le rare Civetta nana e Civetta capogrosso. La valle dimostra una elevata vocazionalità anche per i tetraonidi: il Francolino di monte, la Pernice bianca, la Coturnice e il Gallo Forcello. Molto interessante anche la presenza del Picchio nero, facilmente individuabile dai caratteristici grandi fori scavati nelle resinose o dalla potente “risata”. Ma vagabondare tra i sentieri della valle permette un contatto anche con un colorato e ricco mondo di piante. Grande è infatti la ricchezza floristica di quest’area, che trova motivo nella diversità litologica rocce silicee, rocce calcaree e qualche affioramento ultrabasico e di habitat. Significative tra queste piante la presenza di Sempervivum grandiflorum, specie endemica con areale molto ristretto localizzato in parte delle Alpi Occidentali, con limite orientale in prossimità dei rilievi del Sempione e di Senecio halleri, specie endemica delle Alpi Occidentali, con areale collocato tra il Moncenisio e i rilievi del Sempione. La presenza superficiale di calcaree permette in alcuni habitat caratterizzati da suoli umidi la presenza di Aquilegia alpina, specie segnalato come di importanza comunitaria nella direttiva “Habitat” dell’Unione Europea. Al calcare sono legate anche alcune specie che a livello provinciale sono da considerarsi rare, come il Cardo nano (Cardus acaulis) o la Primula di Haller (Primula halleri). Per la ricchezza della sua flora l’alta Valle Bognanco è stata proposta recentemente come “Important Plant Area“, ovvero “area di importanza botanica”, segnalata nell’ambito di un omonimo progetto internazionale coordinato dall’associazione

Planta Europa e, in Italia, dall’Università la Sapienza di Roma, a cui ha collaborato anche la Regione Piemonte. Senecio halleri

Sempervivum grandiflorum

Gli alti pascoli: un tuffo tra natura vita d’alpeggio Una visita alla Valle da parte di chi ama i sentieri e la natura, deve prevedere due mete “d’obbligo” con partenza da San Bernardo: la salita all’Alpe Vallaro, e quindi ai pascoli e ai laghi dell’Alpe Campo, oppure le vaste praterie dell’Alpe Monscera. L’uomo nel corso della storia ha “creato” pascoli distribuiti a quote diverse, che permettono la pratica della “estivazione”, cioè dello sfruttamento con le mandrie

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della graduale maturazione della vegetazione secondo l’altitudine. A differenza delle praterie alpine naturali di alta quota, si tratta di praterie “secondarie”, ricavate da ambienti arbustivi o forestali a fini zootecnici. La composizione floristica di questi ambienti è caratteristica, ed è condizionata dalle azioni di brucatura e di calpestamento da parte del bestiame: vi ritroviamo specie ben conosciute all’escursionista

(Lotus corniculatus), Millefoglio (Achillea millefolium), Cariofillata montana (Geum montanum), Denti di Leone (Leontodon), Cinquefoglia fior d’oro (Potentilla aurea), Crepide dorata (Crepis aurea), profumatissima Nigritella (Nigritella nigra) o ancora Alchemilla, dalle foglie imperlate da goccioline d’acqua. Oltre il limite dei boschi ritroviamo formazioni vegetali in cui prevalgono specie erbacee o piccoli arbusti striscianti: le pra-

di montagna. Molte sono le graminacee, come la Fienarola delle Alpi (Poa alpina), la Codolina alpina (Phleum alpinum), o la Festuca rossa (Festuca rubra). Accanto a queste piccole piante poco vistose ma di grande valore pabulare, compaiono specie più appariscenti, come Trifoglio alpino (Trifolium alpinum), Raperonzolo (Phyteuma), Arnica (Arnica montana), Genziana acaule (Gentiana acaulis), Genziana porporina (Gentiana purpurea), Ginestrino

terie alpine, vastissime tra questi monti ricchi di altipiani dolcemente modellati dagli antichi ghiacciai. La loro ricchezza floristica rende particolarmente pregiata la produzione casearia: queste sono i pascoli e le altitudini adatti alla produzione di ottimi e ricercati formaggi d’Alpeggio. All’Alpe Monscera la tradizione sopravvive tuttora e la presenza delle mandrie prosegue questa importante vocazionalità della valle. I ricchi alpeggi di Campo sono invece

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da anni abbandonati dal pascolo bovino, sostituito oggi da greggi di pecore nelle loro avventurose transumanze tra pianure e monti. Le differenti condizioni “microclimatiche”, date dalle caratteristiche dei suoli, dall’inclinazione dei versanti o dall’esposizione, portano ad associazioni vegetali molto diversificate. La più caratteristica, molto ben rappresentata sui vasti altipiani ed in particolare sui rilievi più arrotondati, è quella del “curvuleto”, che prende il nome dalla Carice ricurva (Carex curvula), le cui foglie ricurve ingialliscono precocemente a causa di un fungo parassita. Vi troviamo inoltre il piccolo Senecio bianco (Senecio incanus), il Trifoglio alpino (Trifolium alpinum), la Genziana acaule (Gentiana acaulis). Spesso lascia spazio, sulle creste più ventilate, alle lande ad Azalea alpina (Loiseleuria alpina). In corrispondenza delle depressioni la neve tende ad accumularsi e a perdurare a lungo. Sono le condizioni delle “vallette nivali”, in cui il prolungato innevamento ed il terreno mantenuto umido e fertile, creano le condizioni per lo sviluppo di specie in grado di svilupparsi e riprodursi in un periodo molto breve. Vi crescono il Salice erbaceo (Salix herbacea), piccolo arbusto di cui affiorano solo le foglioline, mentre il fusticino legnoso si mantiene al di sotto della superficie del terreno. E ancora il salice reticolato (Salix reticulata), la Ventaglina a cinque foglie (Alchemilla pentaphyllea), la Sibbaldia (Sibbaldia procumbens). È in questi ambienti che trova le migliori condizioni per svilupparsi una specie molto importante per le produzioni casearie. Si tratta dell’Erba mutellina (Ligusticum mutellina), piccola ombrellifera molto profumata e gradita ai bovini, il cui latte si impreziosisce dal punto di vista aromatico, permettendo produzioni casearie di qualità. La ricca presenza di questa specie è inoltre indice di pascoli che non soffrono di aridità, che è una condizione di stress per i bovini, permettendo quindi

buone produzioni di latte sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Le praterie più interessanti si sviluppano sui suoli calcarei, dove prendono vita popolamenti vegetali caratterizzati da una flora ricchissima, come quella dei “seslerieti”, in cui cresce tipicamente la Sesleria (Sesleria varia), piccola graminacea con una piccola infiorecenza ovale. Il bel sentiero a mezzacosta che dall’Alpe Vallaro porta all’Alpe Campo attraversa alcuni esempi davvero rappresentativi di queste ricche praterie. È qui che ritroviamo l’Astragalo alpino (Astragalus alpinus), l’Astragalo di Lapponia (Oxytropis lapponica), l’Astragalo campestre (Oxytropis campestre), la Saussurrea cordata (Saussurea discolor), la Viola con sperone (Viola calcarata), l’Eliantemo a grandi fiori (Helianthemum nummularium subsp. grandiflorum), la Genziana primaticcia (Gentiana verna), la Genziana nivale (G. nivalis). Dove la roccia calcarea è più superficiale compaiono il Camedrio alpino (Dryas octopetala), l’Astro alpino (Aster alpinus) dall’intenso colore azzurro, e la Stella alpina (Leontopodium alpinum). I laghi delle aree remote: i laghetti alpini I laghi alpini hanno assunto, soprattutto in tempi recenti, una posizione di grande interesse da parte della ricerca scientifica, e quelli della Valle Ossola (con quelli della Valsesia) sono tra i più estesamente studiati in Italia. I laghi dell’alta Val Bognanco sono monitorati e oggetto di ricerca scientifica sin dagli anni ‘40 ad opera dell’Istituto Idrobiologico Italiano (ora Istituto per lo Studio degli Ecositemi). Oltre all’alto valore biologico evidenziato dagli studi, l’interesse scientifico negli ultimi decenni si è concentrato in particolare sugli aspetti chimici, dopo la constatazione che anche ambienti remoti come i laghi alpini sono suscettibili al fenomeno dell’acidificazione. Grazie all’intervento del sostegno economico del C.N.R. e della Comunità Europea, dall’inizio degli anni

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‘90 la indagini limnologiche (chimiche e biologiche) svolte in questi laghi si sono estese dai laghi alpini ai laghi di altre aree remote europee, come le Alpi Scandinave, i Pirenei, i Monti Tatra, le Highlands scozzesi e, in tempi recenti, all’Antartide e alle vallate Himalayane. In questo complesso programma di ricerche sulle acque delle aree remote, caratterizzate dall’essere collocati in aree relativamente non disturbate e di ricevere sostanze derivanti dall’attività umana solo attraverso le deposizioni atmosferiche, tra le aree campione individuate sul versante italiano delle Alpi assumono una importanza notevole i laghi di Paione, raggiungibili con agevole itinerario da San Bernardo. Tra terra ed acqua: le torbiere di San Bernardo Le torbiere rappresentano ecosistemi molto complessi, oggetto di studio e di significativi interventi di conservazione. A San Bernardo, immediatamente a lato destro della strada gippabile che risale la valle, è possibile visitarne una tra le più rappresentative della nostra provincia. Alcune altre si trovano più a monte. La loro importanza è data dall’isolamento. Altre significative si trovano solo a notevoli distanze, in Valle Antrona (Val Troncone) o nella Valle del Devero. In Svizzera, al Passo del Sempione, una vasta area di torbiere relitte di origine glaciali rappresentano un sito naturale protetto a livello nazionale, la “Simplonpass Hopschusee”, istituito nel 1985 come riserva di protezione comunale e inserito nell’inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale svizzera. Le torbiere sono generalmente antichi bacini lacustri soggetti ad un progressivo interramento per accumulo di materiale vegetale, processo che nelle estreme condizioni climatiche alpine può essere anche molto lento. Lo strato erbaceo si affonda in un denso strato di muschi, umidi al tatto, di spessore consistente. Questi

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muschi sono gli sfagni, vere “spugne” del regno vegetale, in grado di assorbire acqua in quantità fino a venti volte superiore al loro peso allo stato asciutto. La torba è l’humus scuro, quasi nero, che affiora qua e là, povero di elementi nutritivi in quanto formatosi in ambiente molto acido e povero di ossigeno, con forte rallentamento dei processi di decomposizione dei resti vegetali. Normalmente le torbiere si formano nelle regioni fredde e umide della Terra: ne sono ricche ad esempio Scandinavia e Canada. In Italia questi ambienti, caratterizzati da una flora ed una vegetazione molto specializzate, sono particolarmente rari e si trovano soprattutto nelle valli alpine chiuse. Una attenta osservazione dai margini (è necessario porre molta attenzione a non calpestare questi ambienti delicati) permeterà di ritrovare molte specie caratteristiche, come la Carice rigonfia (Carex rostrata), la bella Cinquefoglia di palude (Potentilla palustris) dal colore scuro, quasi nero. Successivamente Pennacchi, Carici, Giunchi ed Equiseti, e tra questi, Parnassia (Parnassia palustris), Primula farinosa (Primula farinosa), Cinquefoglia tormentilla (Potentilla erecta), Tajola comune (Tofieldia calyculata) o Genziana bavarese (Gentiana bavarica). E ancora una rara pianta insettivora, la delicata Rosolida a foglie rotonde (Drosera rotundifolia). Le foglioline sono tondeggianti, lungamente peduncolate e disposte a formare una rosetta radicale. Le pagine fogliari superiori sono ricoperte da sottili peli, detti “tentacoli”, terminanti con una estremità arrotondata secernente una gocciolina di liquido denso, appiccicoso e trasparente, che permettono alla pianta di catturare piccoli organismi animali, e di ricavarne direttamente gli elementi nutritivi di cui necessita (soprattutto azoto e fosforo, scarsamente presenti in questi ambienti).


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Le mappe di Giorgio Rava

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Escursioni in Valle Antrona

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LE VIE STORICHE CO Strada Antronesca (da Villadossola al Passo di Saas o Antronapass) Primo tratto: da Villadossola ad Antronapiana; Difficoltà E, tempo 5 ore 10 min. Secondo tratto: da Antronapiana al Bivacco del Cingino - Difficoltà EE, tempo 4 ore 55 min. Terzo tratto: dal bivacco del Cingino a Saas Almagell - Difficoltà EE, tempo 4 ore 45 min. I GRANDI ITINERARI SFT Simplon Fletschhorn Trekking - Un itinerario di 7 giorni intorno al trittico Weissmies, Lagginhorn, Fletschhorn (con punto di partenza ed arrivo al Sempione): tratto da Antronapiana al Rifugio Andolla (con tappa intermedia al Rifugio Città di Novara a Cheggio) - Difficoltà E, tempo 3 ore 30 min; Dal Rifugio Andolla al Bivacco Marigonda (alpe Vallaro, Val Bognanco) attraverso i passi di Andolla, Busin e Preia - Difficoltà EE, tempo 5 ore 15 min. SI Sentiero Italia - Il grande itinerario Italiano con partenza dalla Sardegna ed arrivo a Trieste attraverso tutte le Regioni italiane: Tratto da Antronapiana a Cheggio - Difficoltà E, tempo 1 ora 30 min; da Cheggio al Bivacco Marigonda attraverso il Passo della Preia - Difficoltà E, tempo 4 ore 35 min. GTA Grande Traversata delle Alpi Un itinerario a livello regionale piemontese: Tratto dal bivacco di Camposecco al Rifugio Andolla attraverso le Cornette - Difficoltà EE, tempo 3 ore 10 min; tratto dal Rifugio Andolla al bivacco Marigonda (Val Bognanco) attraverso la via "Alpe Monte Moro", passo della Preia - Difficoltà EE, 4 ore 25 min.

termedia a Cheggio) - Difficoltà E, tempo 3 ore 30 min; tratto dal Rifugio Andolla al Rifugio del Laghetto (Val Bognanco) attraverso il Passo Andolla ed il Passo di Pontimia - Difficoltà E, tempo 4 ore.

I SENTIERI C22 Cheggio - Alpe Rodina - Passo del Fornetto: difficoltà E, tempo 2 ore 35 min (possibilità di scendere per tracce in Val Brevettola). C24 Cheggio - Passo del Fornalino: difficoltà E, tempo 2 ore 30 min (possibilità di scendere in Val Bognanco al bivacco Fornalino: tempo 50 min). C25 Cheggio - Campolamano - Laghi del Pozzoli: difficoltà EE, tempo 3 ore 30 min (possibilità di proseguire per gli altri laghi e scendere all'Alpe Camasco difficoltà EE, tempo 50 min). C26 Cheggio - Bocchetta dei Pianei - Passo "Preia fura" - Passo della Preia: difficoltà EE, tempo 3 ore 15 min. C27 Cheggio - Alpe Campolamana - Alpe Camasco - Coronette: difficoltà EE, tempo 4 ore 35 min. C30 Rifugio Andolla - Alpe Corone: difficoltà E, tempo I ora 25 min. C32 Antronapiana - Passo della Forcola Cheggio: difficoltà E, tempo 2 ore 55 min. C34 Antrona lago - Campliccioli - Camposecco - Coronette: difficoltà EE, tempo 4 ore 30 min.

Via Alpina - Una serie di grandi itinerari Europei che uniscono 8 stati. L'itinerario Blu è formato da 61 tappe ed attraversa Italia, Svizzera e Francia; tratto da Antronapiana al Rifugio Andolla (con tappa in-

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Nota: La scheda dei sentieri numerati può essere scaricata dal sito www.estmonterosa.it

mento con i rifugi di Andolla, dalla parte Italiana, e quello di Almagellerhutte

LA "FERRATA DEL LAGO" Per via ferrata si identifica un percorso preparato su una via di roccia e che è stato completamente attrezzata con corde, pioli e qualche scala in acciaio per consentire agli escursionisti molto esperti di cimentarsi con una parete verticale. La via "Ferrata del lago" è stata creata per poter agevolare il collega-

nella parte Svizzera, permettendo così di poter percorrere iriteramente il giro del Pizzo Andolla.

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Il giro del pizzo Andolla e la "Ferrata del Lago" I° giorno Da Cheggio si segue il sentiero C25 che


fino al bivio di Campolamana è in comune con il sentiero che porta al Rifugio

Andolla. A Campolamana si attraversa il "Ponte tibetano" (si deve utilizzare il cordino di sicurezza), si sale all'Alpe Curtitt (2 ore 30 min), si prosegue per il primo lago ( I ora), si segue l'indicazione per Camasco (50 min) facendo una breve deviazione al 2° laghetto. Dall'Alpe Camasco si segue l'indicazione per il Rifugio Andolla (40 min). II° giorno Dal Rifugio Andolla si segue l'indicazione per la "ferrata del lago" raggiungendo il Bivacco Varese (2 ore) e l'attacco della ferrata in 30 min. Si supera la ferrata adoperando l'adeguata attrezzatu-

ra, raggiungendo il Colle del Bottarello o Sonningpass (lora 30 min). Si scende nel versante Svizzero lungo un piccolo ghiacciaio, poi su morene con segnavia blu fino a raggiungere il Rifugio di Almageller Hutte (I ora 25 min). III° giorno Dal Rifugio Almageller Hutte si seguono le indicazioni per il Passo di Zwischbergen (1 ora). Dal passo si scende su morene con segnavie e ometti, lungo la valle fino all'Alpe Cheller (2 ore 30 min), si attraversa il torrente e si percorre la sponda destra orografica in salita fino al Passo Andolla (2 ore). Dal Passo si scende al Rifugio Andolla (35 min); dal Rifugio in I ora e 30 min si ritorna a Cheggio. Nota: Se si ha a disposizione una giornata, conviene sostare al Rifugio e ripartire il giorno dopo attraverso la via dei "5 passi" (SFT - Passo Andolla, Passo Busin, Passo della Preia - 3 ore), (C26 - Passo della Preia, Preia Fura, Bocc. dei Pianei, Cheggio - 2 ore 5 min).

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rnavasso la frontiera sud della cultura walser e anche il primo paese che s’incontra entrando nella valle dell’Ossola. Attraversato dal Rio San Carlo risulta composto da due frazioni che ben ne attestano l’origine alemanna: il Dorf ed il Roll. Il borgo è sovrastato dal Santuario della Madonna del Boden a 475 m. raggiungibile lungo l’antica Via Crucis e seminascosto dalla folta e rigogliosa vegetazione. Da pochissimo tempo la Madonna del Boden è stata dichiarata patrona dei ciclisti del Verbano, Cusio ed Ossola e l’ascesa lungo la strada è inclusa nella manifestazione Le Salite del VCO. Prima dell’odierno santuario esisteva, taluni scrivono fina dal VI° secolo, una piccola cappella dedicata alla Madonna della Seggiola a cui si arrivava percorrendo una strada lastricata. La tradizione racconta del miracolo del 7 settembre 1528 quando la pastorella Maria della Torre che custodiva del bestiame presso la cappelletta , persa la strada e gli armenti, sorpresa dal calare della sera, prima di precipitare ancor più nel dirupo fu guidata in salvo da una luce sovrannaturale che proveniva dalla cappella della S.S. Vergine ove stava riunito tutto il bestiame. In breve si gridò al miracolo. Fin da subito (1530) venne eretto un Santuario dedicato alla Natività di Maria Santissima, si trattava della terza Chiesa fondata nel territorio di Ornavasso di 14 metri di lunghezza ed 8 di larghezza, vi si giungeva grazie ad una strada lastricata. Tra il 1530 ed il 1550 fu concessa l’autorizzazione di celebrare al Boden la Santa Messa, da allora la Madonna fu festeggiata l’otto settembre. Nel 1761, dato il continuo e crescente afflusso di pellegrini e devoti restauri ed ampliamenti portarono all’aggiunta di un coro e due altari accanto all’altare maggiore che poi venne sostituito con uno in marmo. Nel 1825 vennero poi costruite le navate a cui seguirono una vasta congerie di amplia-

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menti e rifacimenti, tra cui la fontana a quattro bocche in mezzo al piazzale, fino all’attuale configurazione. Di pregio all’interno l’effige della Vergine col bambino che solleva il mondo sormontato dalla Croce; le corone d’oro della Madonna e del Bambino spesso furono oggetto di furti. Da sempre il Boden è stato un luogo di culto, uno dei tre santuari mariani dell’Ossola, metà di pellegrinaggi come attestato dai moltissimi ex voto che si trovano all’interno della struttura religiosa. Le tavolette votive risultano censite ed assommano a 1147, la più antica del 1707. Molti i visitatori illustri del Santuario tra i quali il Beato Contardo Ferrini e la Regina Margherita di Savoia che ha lasciato in dono una raffinata tovaglia ricamata in ora per gli uffici liturgici. Posto in un incantevole scenario il complesso mariano è preceduto da una Via Crucis, iniziata nel 1672, regala a chi la percorre, immersa nel bosco di castagni, frescura e tranquillità.


Antica Trattoria del Boden In un’ambiente riservato e famigliare, immerso nella natura, vi aspetta l’Antica Trattoria del Boden. Luisa e Davide, alla continua ricerca di ricette tradizionali e utilizzando prodotti offerti dal territorio, saranno lieti di farvi gustare le loro specialità: “pfifulti” e “tafulti”, le paste della tradizione, le carni selezionate, la selvaggina, i formaggi d’alpe, il tutto annaffiato dall’ottimo vino ossolano.

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z’Makanà Stubu

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La Peschiera

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Ca’ del vino

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www.centrocalzaturiero.it

CENTRO CALZATURIERO

...a 100 mt uscita Piedimulera Tel. 0324.83438

da martedì a sabato orario continuato 09.00 / 19.30 lunedì 15.00 / 19.30 - domenica 10.00 / 12.30 - 15.00 / 19.30




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