Attualità in senologia n°65

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anno XXII

numero 65

quadrimestrale

febbraio - maggio 2013

POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005

attualità in senologia

Documento di Consenso “Breve” sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

Aggiornamento sulla Tomosintesi

Le cellule staminali



SOMMARIO

Attualità in Senologia Rivista della Scuola Italiana di Senologia: direttore Claudio Andreoli Anno XXII - n. 65 Febbraio - Maggio 2013 Organo ufficiale di Forza Operativa Nazionale su Carcinoma Mammario (FONCaM) Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa) Società Italiana di Senologia In collaborazione con Società Italiana di Radiologia Medica Sezione di Senologia (SIRM) Europa Donna Direttori Marco Rosselli Del Turco (Responsabile) Claudio Andreoli Redazione Rassegna della Letteratura ANATOMIA PATOLOGICA: Anna Sapino BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA: Paolo Pronzato CHIRURGIA: Roberta Simoncini CHIRURGIA PLASTICA : Maurizio Nava ECOGRAFIA SENOLOGICA: Angela Maria Guerrieri EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE: Eugenio Paci GENETICA: Maria Luisa Brandi IMMUNOLOGIA: Andrea Balsari LABORATORIO: Massimo Gion MAMMOGRAFIA: Gian Marco Giuseppetti PATOLOGIA BENIGNA: Alfonso Pluchinotta QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI: Gemma Martino RADIOTERAPIA: Laura Lozza Redazione Scientifica Elsa Cossu Viviana Galimberti Massimiliano Gennaro Maria Piera Mano Lorenza Marotti Daniela Terribile Corrado Tinterri

Segreteria di Redazione Elena Biffoli Anna Coffano Tel. 0322905665 (8,30-13)

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Consiglio Scientifico Umberto Veronesi presidente

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Alberto Costa vicepresidente

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Dino Amadori Franco Berrino Luigi Cataliotti Gianpiero Ausili Cefaro Maria Grazia Daidone Andrea Decensi Giuseppe D’Aiuto Mario De Lena Cosimo Di Maggio Alfonso Frigerio Marco Greco Maria Antonietta Nosenzo Nereo Segnan Piero Sismondi Fotografie Foto di copertina Riccardo Faggiana Altre foto © Fotolia e iStock Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara Editore Faggiana Riccardo 28805 Vogogna (VB) info@ossola.it

EDITORIALE Documento di Consenso "Breve" sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

15 OBIETTIVO SU Aggiornamento sulla Tomosintesi

18 RASSEGNA DELLA LETTERATURA 40 QUATTRO CHIACCHERE CON Angelo Paradiso

43 GISMa Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella? Studio SOUND

48 QUI CURANO COSÌ A.O. San Giovanni - Addolorata di Roma

51 SPIEGHIAMO LA MEDICINA Le cellule staminali

Stampa PRESS GRAFICA s.r.l. 28883 Gravellona T. (VB) Registrazione presso il tribunale di Verbania. Rivista “Attualità in Senologia” iscritta al n°2 come da decreto del 04/02/2005

Copyright: le condizioni di utilizzo dei materiali contenuti in questa rivista sono concordate con i detentori. Se ciò non fosse stato possibile, l’editore si dichiara disposto a riconoscere tali diritti.

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EDITORIALE

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Marco Rosselli Del Turco *

Claudio Andreoli *

* Direttori AIS

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ra il 4 maggio 2012 quando in un tragico incidente stradale abbiamo perso Stefano Ciatto, collega straordinario, amico generoso e leale e uomo dal grande fascino. A distanza di un anno dalla sua scomparsa tutti noi di Attualità in Senologia sentiamo l’enorme vuoto che ci hai lasciato e vogliamo quindi qui ancora ricordarlo iniziando da un passo della coverstory a lui dedicata e pubblicata sul numero 56 della nostra rivista. Anna Coffano in quell’articolo scriveva: “Se mi dovessero chiedere, oggi, come vorrei fosse mio figlio da grande non avrei alcuna esitazione nel rispondere che mi piacerebbe assomigliasse a Stefano Ciatto, un uomo libero.” Questa frase riflette la sua personalità: un uomo intelligente e coraggioso tanto da opporsi a qualsiasi forma di abuso di potere e poter combattere facili conformismi. Stefano, nato in Firenze nel 1949, non è stato solo un medico tanto brillante quanto instancabile ma anche ricercatore acuto e geniale e, soprattutto, una persona aperta, generosa e dai mille interessi. Aveva una passione per la musica che da studente coltiva suonando il basso in un complesso amatoriale di amici e, ultimamente, suonando e recitando in un gruppo di volontariato per portare sollievo e un sorriso agli anziani ospiti di case di riposo. La sua carriera inizia 1973 come assistente nell’Istituto di Radioterapia, diretto dal prof. Giulio De Giule, dove consegue la specializzazione in Radiologia e Radioterapia Oncologica e viene nominato professore associato, uno dei più giovani in Italia. Poi il trasferimento al Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (CSPO oggi ISPO), per dedicarsi interamente alle attività di screening dei tumori e di studio e didattica in questo ambito. Oltre 300 pubblicazioni, una serie infinita di partecipazione a congressi con contributi di grande rilevanza come quelli degli anni ’70 sulla inutilità di tecniche diagnostiche come la termografia mammaria per arrivare fino al 2012 con gli studi sulla Tomosintesi mammaria riteneva. E’ quindi con profonda emozione che pubblichiamo su questo numero della rivista l’ultimo contributo scientifico che Stefano ci ha lasciato proprio incentrato su questa tecnica innovativa che riteneva veramente promettente per la diagnosi precoce del carcinoma mammario All’insegnamento dedicava tutto se stesso e non ha mai rifiutato un invito anche se spesso in sedi molto lontane e doveva viaggiare tutta la notte per raggiungerle (solo per la Scuola Italiana di Senologia ha realizzato più di 400 eventi). La maggior parte dei radiologi e degli specialisti in senologia italiani e molti di quelli europei sono stati formati da Stefano in qualche momento del loro percorso professionale. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con te, Stefano, per tanti anni e dobbiamo ringraziarti per quanto ci ha insegnato e per l’aiuto che ci ha sempre dato. Ci piace anche ricordarti per i tuoi talenti meno noti come quello di essere un ottimo disegnatore di caricature, un attore e uno scrittore e soprattutto perché la tua compagnia metteva una grande allegria. Ciao amico e un uomo libero, ci mancherai sempre La Redazione

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Documento di Consenso “Breve” sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

Comitato di Coordinamento: Roberto Orecchia (Milano) – Luigi Cataliotti (Firenze) - Lorenza Marotti (Firenze) Gruppo di lavoro: Cynthia Aristei (Perugia), Filippo Bertoni (Modena), Simonetta Bianchi (Firenze), Gianfranco Brusadin (Aviano), Ines Cafaro (Cremona), Francesco Caruso (Catania), Donato Casella (Firenze), Federica Cattani (Milano), Antonella Ciabattoni (Roma), Privato Fenaroli (Bergamo), Giovanni Frezza (Bellaria), Roberto Giardini (Cremona), Marina Guenzi (Genova), Gabriele Guidi (Modena), Andrea Guido (Milano), Maria Cristina Leonardi (Milano), Lorenzo Livi (Firenze), Alberto Luini (Milano), Livia Marrazzo (Firenze), Anna Morra (Milano), Iacopo Nori (Firenze), Paolo Rovea (Torino), Irene Salvador (Aviano), Francesco Sardanelli (Milano), Giovanna Sartor (Aviano), Luigi Tomio (Trento), Marco Trovò (Aviano), Giuseppe Viale (Milano), Vittorio Zanini (Pavia) Comitato Consultivo: Rita Consorti (Roma), Lucio Fortunato (Roma), Giovanna Gritti (Bergamo), Giovanni Battista Ivaldi (Pavia), Laura Lozza (Milano), Loris Menegotti (Trento), Renzo Moretti (Bergamo), Luigia Nardone (Roma), Federica Pediconi (Roma), Antonella Petrillo (Napoli), Assunta Petrucci (Roma), Marta Scorsetti (Rozzano), Chiara Zuiani (Udine)

La versione integrale del documento, inclusa la bibliografia, è disponibile sul sito della Rivista, www.senologia.it

Introduzione elle pazienti con diagnosi di carcinoma infiltrante della mammella in stadio iniziale trattati con chirurgia conservativa la radioterapia erogata al corpo ghiandolare residuo (WBI, Whole Breast Irradiation) è considerata il trattamento standard. Come documentato dai risultati delle periodiche metanalisi degli studi randomizzati, essa riduce il rischio di recidiva locale di un fattore 3, con un impatto positivo anche sulla sopravvivenza a lungo termine. Accanto agli aspetti positivi sono tuttavia presenti problematiche: la (durata) del trattamento, la necessità in molti casi di integrare la chemioterapia e la non sempre facile accessibilità ai centri di radioterapia. Queste difficoltà possono indurre molte pazienti a sottoporsi ad interventi di mastectomia non necessari, o a non effettuare il trattamento radiante, esponendosi a un maggior rischio di ricaduta locale. Questa premessa pone le basi per comprendere gli sforzi fatti negli

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ultimi dieci anni per studiare soluzioni alternative, che consentano di effettuare il trattamento in tempi più brevi, con analoghi risultati. Queste nuove modalità rispondono anche alla esigenza di adattare la radioterapia al paradigma che regola la moderna oncologia, quello del minimo trattamento efficace. Accanto ai nuovi schemi di ipofrazionamento, che si stanno estesamente studiando nel caso della WBI, è stata valutata anche una possibile riduzione del volume ghiandolare da irradiare. Nasce così il concetto di irradiazione parziale della mammella (PBI, Partial Breast Irradiation). Scopo di questo documento è di esprimere, attraverso il giudizio di un comitato di esperti nazionali, alcune raccomandazioni nell’applicazione clinica di questo concetto, basandosi sui dati attualmente disponibili in letteratura. Definizione e Razionale Si intende per PBI l’irradiazione del letto tumorale con un margine di tessuto mammario circostante, sede a maggior rischio di ricaduta locale. I vantaggi della PBI sono prevalentemente di carattere temporale. Tutte le tecniche prevedono frazionamento fortemente accelerato, riducendo di almeno tre settimane la durata del trattamento (APBI - Accelerated PBI). Tali schemi sono applicabili poiché viene irradiato un volume ridotto di parenchima mammario aumentando la tolleranza del trattamento stesso. La riduzione di volume consente anche di limitare l’irradiazione degli organi e tessuti (polmone e cuore in primo luogo). Quindi si può ipotizzare un vantaggio anche in termini di tollerabilità. Inoltre la riduzione della durata può rendere più agevole l’interazione con la terapia sistemica, consentendo l’irradiazione prima dell’inizio di una eventuale chemioterapia, evitando dilazioni che potrebbero avere negativo impatto sul controllo locale.

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FORUM Indicazioni La scelta dei criteri di selezione delle pazienti rappresenta un punto cardine nella prospettiva di utilizzare la PBI al di fuori di studi controllati. Accanto agli studi randomizzati, molti dei quali ancora in corso o con dati non sufficientemente maturi, esiste in letteratura una serie di pubblicazioni riferite a esperienze di singole istituzioni che, utilizzando tecniche differenti, testimoniano la fattibilità e la tollerabilità a breve e medio termine della PBI, ma che non forniscono dati conclusivi in merito al controllo di malattia a lungo termine. Per quanto attiene gli studi clinici randomizzati sono disponibili ad oggi i dati relativi a 258 pazienti trattati al National Institute of Oncology di Budapest tra il 1998 ed il 2004, e i dati relativi a 2232 pazienti dello studio TARGIT, coordinato da ricercatori inglesi, iniziato nel 2000 e condotto da un gruppo di circa 20 centri in Europa, Stati Uniti ed Australia, ed i cui risultati sono stati pubblicati nel Luglio 2010. Entrambi hanno dato un risultato analogo in termini di equivalenza tra WBI e PBI. L’analisi dei dati disponibili tutt’ora limitati, ha tuttavia portato alla pubblicazione di due importanti documenti di consenso, nel 2009 da parte dell’ASTRO e nel 2010 del GEC-ESTRO. In entrambi i documenti sono stati selezionati i criteri secondo i quali le pazienti, suddivise per categorie di rischio, possono essere candidate ad effettuare un trattamento di PBI. Per alcuni fattori prognostici considerati, quali istologia infiltrante, stato dei margini, grado, invasione linfovascolare (PVI), estesa componente intraduttale (EIC), multicentricità, multifocalità, stato linfonodale, trattamenti neoadiuvanti, l’accordo è completo, per altri, quali età, dimensioni del tumore, stato dei recettori e mutazione BRCA1/2, non esiste piena concordanza. E’ stato individuato un gruppo di pazienti, “suitable” per ASTRO, e “low risk” per GEC-ESTRO, alle quali la PBI potrebbe essere proposta anche al di fuori di studi clinici. Diagnostica per immagini Nella pratica clinica corrente la prima selezione delle pazienti eleggibili è ancora realizzata mediante la diagnostica convenzionale, mammografia digitale ed ecografia bidimensionale con sonde ad alta frequenza, utili per escludere tumori multifocali o multicentrici. Alcuni studi hanno fornito una sostanziale evidenza in favore della RM a contrasto dinamico nell’identificare lesioni multifocali (3-4% dei casi), multicentriche (4-5%) o controlaterali (1.5-2%), nelle pazienti candidate a PBI, con reperti falsi positivi intorno al 12%. E’ tuttavia opportuno segnalare anche i limiti di sensibilità della stessa nella definizione del volume tumorale preoperatorio. Dati di letteratura riferiscono la presenza, dopo

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escissione, di focolai tumorali istologicamente riscontrabili in oltre il 50% dei casi entro 10 mm e nel 25% entro 20 mm dal volume precedentemente definito, tanto da suggerire comunque il mantenimento di un adeguato margine. Su questa base, le raccomandazioni EUSOMA del 2010 ipotizzavano che circa il 5-10% delle pazienti inizialmente considerate candidate alla PBI diventerebbero non eleggibili se sottoposte a RM. Questa ipotesi è stata confermata da un recente studio dell’Università di Bonn, nel quale su 113 candidate a PBI sulla base dell’ imaging convenzionale il 9% in realtà non lo era a causa di lesioni maligne addizionali. Si conferma quindi il ruolo della RM preoperatoria nelle pazienti potenzialmente eleggibili per PBI, in particolare nel caso di studi prospettici o in pazienti a più elevato rischio. Considerata la possibilità di falsi positivi, i reperti addizionali sospetti alla RM dovranno essere sottoposti a work-up di verifica. Un altro interessante aspetto riferibile all’imaging è quello relativo al follow-up. Sono note le modificazioni della mammella irradiata, che, nel caso della PBI, hanno una distribuzione focalizzata, aspetto che complica il quadro mammografico e/o ecografico e può quindi porre problemi di diagnosi differenziale con la recidiva. Al fine di evitare inutili indagini di approfondimento o agobiopsie, è di fondamentale importanza l’informazione offerta al radiologo sul tipo di trattamento radioterapico effettuato. Sono disponibili dati sul riscontro di una più elevata incidenza di seroma al primo follow-up, spesso accompagnato da aumentata densità focale, edema cutaneo, distorsione e calcificazioni. Un fenomeno spesso osservabile nei casi di PBI praticata con brachiterapia o IORT è quello della liponecrosi focalizzata, con incidenza sino al 50% dei casi. Queste alterazioni si realizzano generalmente in una fase più precoce rispetto a quanto avviene con la radioterapia convenzionale, con picchi entro i 24 mesi e stabilizzazione sino a 3-4 anni degli aspetti mammografici, comportando quindi un maggiore ruolo dell’approfondimento ecografico. Anatomia patologica e fattori biomolecolari Il patologo deve offrire una valutazione accurata di quelle che sono le caratteristiche morfologiche e biologiche della neoplasia che concorrono a disegnare l’identikit delle pazienti. In uno scenario ideale, tutte le caratteristiche dovrebbero essere note al momento della indicazione alla PBI, condizione che non si verifica appieno nel caso della IORT, quando alcune delle informazioni non sono disponibili. Nella previsione di IORT diventa pertanto essenziale raccogliere il maggior numero possibile di dati utili in un tempo pre-operatorio mediante agobiopsia. Il prelievo bioptico


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consente di valutare tipo, grado ed assetto recettoriale della neoplasia, mentre la valutazione dello stato linfonodale può essere effettuata mediante biopsia del linfonodo sentinella. L’esame citologico per agoaspirazione non è altrettanto informativo, soprattutto perché non consente di discriminare tra neoplasie infiltranti e non, e non permette una agevole valutazione del tipo istologico, del grado e dell’assetto recettoriale. Per quanto concerne l’istotipo, a causa degli artefatti legati al traumatismo dell’ago, può essere di difficile determinazione sulle agobiopsie mammarie, specialmente in caso di ago di calibro sottile. Laddove questa caratterizzazione fosse essenziale può essere di ausilio ricorrere alla determinazione immunoistochimica della espressione di e-caderina, una proteina espressa dalle neoplasie duttali ma non da quelle lobulari. Anche la valutazione del grado può richiedere per le agobiopsie un approccio diverso da quello comunemente utilizzato. Infatti, nelle biopsie ottenute con ago sottile o quando la componente neoplastica è poco rappresentata, due dei tre parametri classici su cui si basa la determinazione del grado, cioè la percentuale di formazione di tubuli ed il numero di mitosi su 10 HPF alla periferia del tumore, non possono essere accuratamente valutati. In questi casi è opportuno utilizzare il grado nucleare secondo Black o quello citologico secondo Hartveit od una combinazione dei due. Il materiale ottenuto da agobiopsia è invece perfettamente adeguato per la valutazione dell’assetto recettoriale, grazie al fatto che i campioni da agobiopsia vengono fissati più prontamente e per tempi più adeguati che non i campioni operatori, e pertanto i risultati delle reazioni immunoistochimiche sono più affidabili. Ovviamente, l’esame della agobiopsia dà solo occasionalmente la opportunità di valutare la presenza di PVI o di EIC. La multifocalità/multicentricità della neoplasia è uno dei parametri principali per la selezione delle pazienti. Le neoplasie multicentriche (con foci neoplastici in quadranti diversi, o distanti tra loro almeno 5 cm) rappresentano una

controindicazione, mentre la presenza di multifocalità non controindica la PBI se i focolai neoplastici rimangono confinati ad una area di 2 cm. Per quanto attiene la valutazione dei margini le raccomandazioni internazionali consigliano di considerare eleggibili le pazienti la cui neoplasia dista almeno 2 mm dai margini e di valutare con cautela quelle con neoplasia prossima ai margini. Compito del patologo è quindi quello di esaminarne con accuratezza lo stato, e di riportare nel referto la distanza minima tra neoplasia e margine chinato. Non esistono indicazioni assolute su quale sia la modalità più corretta di valutazione, essendo utilizzate due diverse procedure, quella che prevede il campionamento dei margini di resezione mediante prelievi perpendicolari ai margini stessi, e quella che impone lo “shaving” dei margini, con prelievi circonferenziali. La prima metodica è quella che più accuratamente consente di determinare la distanza minima tra neoplasia e margine chinato soprattutto nei casi in cui essa sia in prossimità del margine stesso. In diversi centri è il chirurgo stesso ad effettuare la revisione della cavità operatoria, con l’asportazione di ulteriori frammenti di tessuto là dove la neoplasia era più prossima al margine della prima resezione. In questo caso è necessario che il chirurgo invii questi ulteriori campioni marginali al patologo dopo averli opportunamente orientati. Per quanto riguarda la identificazione della PVI, questa va ricercata nel tessuto circostante, al di fuori della area neoplastica, e la sua effettiva presenza deve essere accertata su base morfologica, eventualmente correlata a marcatori immunoistochimici delle cellule endoteliali. Il semplice sospetto di invasione vascolare, per la presenza di nidi di cellule neoplastiche in spazi che simulano vasi linfatici od ematici, non giustifica la diagnosi di PVI. Anche la identificazione di EIC deve essere basata su criteri istopatologici ben definiti, quali quelli proposti da Rosen: la componente intraduttale deve rappresentare almeno il 25% della intera area neoplastica, ed essere presente anche al di là della estensione della componente infiltrante.

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La corretta valutazione dell’assetto recettoriale richiede la stretta aderenza alle raccomandazioni delle organizzazioni nazionali ed internazionali, e la partecipazione (spontanea) a programmi di valutazione esterna di qualità oggi disponibili (NEQAS, NordiQC). In assenza di tali requisiti, il rischio di una inaccurata valutazione dei recettori ormonali e di HER2 è particolarmente elevato, con risultati falsamente negativi per i recettori ormonali che possono raggiungere il 20% dei casi, e risultati falsamente positivi per HER2 fino al 15%. Le raccomandazioni di ASCO/CAP offrono utili indicazioni sulla standardizzazione delle fasi pre-analitiche ed analitiche dei test immunoistochimici per i recettori ormonali e di HER2, e per l’amplificazione del gene HER2 mediante tecniche di ibridazione in situ. Di particolare importanza è la raccomandazione di considerare positive per i recettori ormonali tutte le neoplasie mammarie che esprimano recettori per estrogeni o progesterone in almeno l’1% delle cellule neoplastiche. La chirurgia conservativa e la PBI: problematiche tecniche e modalità di esecuzione La chirurgia tradizionale (BCS) è in forte evoluzione, sempre più frequentemente si confronta con nuovi approcci di chirurgia oncoplastica (OPS), e l’utilizzo di queste tecniche deve essere attantemente valutato in caso di PBI. Nel caso di irradiazione parziale, l’individuazione del volume bersaglio è il fattore determinante per la buona riuscita del trattamento. Ai fini di una corretta definizione dei volumi di interesse radioterapico (Clinical Target Volume-CTV) si ritiene fondamentale la comunicazione e la collaborazione fra Chirurgo e Oncologo Radioterapista, nonchè fra tutte le figure coinvolte nella pianificazione terapeutica (Radiologo, Anatomo-patologo, Oncologo Medico). Tale cooperazione diventa fondamentale in caso di OPS. Nel primo caso abbiamo spesso la corrispondenza tra sito dell’incisione e letto tumorale, nel secondo tale corrispondenza è occasionale. Il letto tumorale deve essere identificabile mediante clip po-

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sizionate dal chirurgo in numero e sedi precedentemente concordate con l’Oncologo radioterapista. E’ comunque necessario tener conto di eventuali dislocazioni e migrazioni delle stesse. Un aspetto da definire in caso di OPS è come e dove posizionare le clip. Nelle mastoplastiche a peduncolo superiore, in quelle a peduncolo inferiore o nelle integrazioni volumetriche con lembo peduncolato di latissimus dorsi, la quantità di tessuto asportato può essere considerevole, e quindi, se si prevede di posizionare le clip ai quattro punti cardinali dell’exeresi, il volume bersaglio può risultare troppo grande. Per ovviare a questo inconveniente l’operatore, caso per caso, dovrà valutare quale è il margine più vicino alla neoplasia, considerando la mastoplastica. In sintesi, nel caso di BCS sono raccomandate tre/quattro clip. Può essere omessa la clip quando il margine di exeresi raggiunge il bordo ghiandolare. Lo stesso approccio è consigliato nella mastoplastica secondo Benelli e rimodellamenti con lembi dermo ghiandolari scolpiti nel solco sottomammario. Nella mastoplastiche a peduncolo superiore o in quella a peduncolo inferiore è invece sufficiente una clip sul margine macroscopicamente più vicino alla neoplasia, così come in caso di ricostruzione immediata con lembo di gran dorsale. Per quanto riguarda il posizionamento delle clip nel caso di quadrante supero-esterno, occorre tener conto della possibile sovrapposizione con le clip lasciate in ascella a scopo emostatico. Esse devono quindi essere di dimensioni diverse. Se la PBI viene praticata con tecnica IORT le problematiche legate alla integrazione con la OPS variano al variare delle tecniche utilizzate. Nella IORT con ortovoltaggio occorre considerare i possibili danni a livello di cute e sottocute. Tradizionalmente l’exeresi si estende dal sottocute/cute alla fascia del muscolo grande pettorale: questo determina un rischio più elevato per le strutture nobili perché non si preserva una quantità anche minima di parenchima mammario su entrambi i fronti. Questa tecnica potrebbe essere quindi maggiormente indicata per neoplasie localizzate centralmente nella ghiandola mammaria, o in mammelle di di-


FORUM mensioni sufficienti da poter preservare il tessuto ghiandolare prefasciale e sottocutaneo. La IORT con elettroni può essere invece maggiormente indicata in tutti i casi in cui l’incisione cutanea consente il posizionamento del collimatore in posizione ortogonale rispetto alla sede della neoplasia. Una specifica problematica potrebbe essere legata alla sede dell’incisione e alla conseguente difficoltà di attuazione della metodica, soprattutto in caso di mastoplastica secondo Benelli in pazienti con mammelle medio/piccole, o in caso di rimodellamento di quadranti periferici. La IORT potrebbe implicare un incremento dei tempi operatori, ma la buona coordinazione del team consente di mantenerli entro limiti ampiamente accettabili, in particolare nel caso di impegio di acceleratori dedicati, e con un apprendimento veloce. Sono comunque necessari la presenza di spazi e personale dedicato. La PBI mediante brachiterapia convenzionale o con Mammosite potrebbe essere impiegata sia in caso di BCS che di OPS. Le problematiche con la brachiterapia interstiziale riguardano in prima istanza la permanenza dei cateteri per un lungo periodo con un possibile aumentato rischio di infezioni e sanguinamenti, anchje se una adeguata profilassi è in grado di prevenire tali eventi, mentre non si osserva alcun tipo di interferenza con le tecniche di OPS escluse le cicatrici di entrata/uscita dei cateteri che comunque cadono al di fuori delle cicatrici chirurgiche delle varie mastoplastiche. Per quanto attiene la brachiterapia con Mammosite occorre prestare molta attenzione alla distanza tra cavità e cute (anche per i cateteri dell’interstiziale il CTV non deve essere superficiale), per cui la sua indicazione preferenziale è nelle exeresi molto limitate, in mammelle sufficientamente voluminose da consentire il corretto inserimento del dispositivo. PBI: le tecniche 7.1 Brachiterapia interstiziale La brachiterapia interstiziale è stata la prima tecnica utilizzata per effettuare trattamenti di PBI. Esiste, come già sottolineato, un unico studio clinico randomizzato che ha rivelato l’equivalenza di risultati in gruppo selezionato di pazienti. Impianti per la brachiterapia possono essere posizionati intraoperatoriamente, subito dopo l’escissione della neoplasia, o a distanza di 4-12 settimane, in fase postoperatoria. Mentre nel primo caso il radioterapista visualizza “in vivo” il volume da trattare e può confrontarsi con il chirurgo per meglio definire la geometria, nel secondo deve ricorrere a modalità di immagine per localizzare la sede di impianto. La presenza di clip ai bordi della cavità escissionale facilita il posizionamento dei cateteri sia sotto guida fluoroscopia, sia mediante TC. Quest’ultima è attualmente ritenuta la mi-

gliore modalità di immagine per una precisa localizzazione pre-impianto della sede iniziale di malattia. La cavità escissionale lasciata aperta può essere ben visualizzata, anche se è stata descritta una certa variabilità tra osservatori diversi. L’impiego della TC consente inoltre la simulazione virtuale della geometria di impianto. Contornata la cavità escissionale o l’area delimitata dalle clip, questa viene espansa di 1-2 cm per ottenere il CTV che in brachiterapia corrisponde al PTV. L’entità di espansione dipende da diversi fattori, quali le dimensioni della mammella, la sede, la dimensione e la forma della cavità chirurgica, la distanza della neoplasia dai margini di resezione. La geometria virtuale dell’impianto viene definita in base alle dimensioni e alla forma del CTV, secondo differenti tecniche che per lo più dipendono dalle singole esperienze. Nel caso di impianto postoperatorio la procedura può essere effettuata in anestesia generale o locale, a preferenza degli operatori, ma condivisa con la paziente. Indipendentemente da questo, in corrispondenza dei reperi definiti nella fase di simulazione virtuale, vengono inseriti gli aghi vettori. Il loro numero varia da 3 a 25, in media circa 15, e sono posizionati su due o più piani paralleli con una disposizione triangolata per ottimizzare la distribuzione spaziale della dose e irradiare adeguatamente anche volumi bersaglio di forma irregolare. Solitamente lo spazio tra gli aghi viene mantenuto costante attorno ai 15 mm. L’inserimento può avvenire utilizzando template come guida e/o a mano libera. Gli aghi vengono sostituiti da cateteri flessibili che vengono fissati con bottoni alle due estremità e che rimangono in sede per tutta la durata del trattamento per consentire il passaggio della sorgente di 192Ir. L’irradiazione avviene con tecnica afterloading. I trattamenti più frequentemente impiegati sono quelli ad alta intensità di dose, con ipofrazionamento accelerato (2 frazioni giornaliere, con intervallo di almeno 6 ore). Le dosi singole sono comprese tra 3,4 Gy e 4,3 Gy e le totali tra 34 Gy e 30.1 Gy. In una percentuale minore di casi 50 Gy vengono somministrati con modalità pulsata. La dose viene prescritta analogamente a quanto viene fatto con il sistema di Parigi: l’isodose di riferimento è all’85% della dose centrale media (MCD). Le posizioni delle sorgenti attive e i punti di dose sono definiti individualmente su ogni catetere, e l’ottimizzazione dei tempi di stazionamento è effettuata su punti di dose singola e/o in base a considerazioni geometriche. Le posizioni delle sorgenti attive più periferiche sono tenute a una distanza di 10-15 mm dalla cute per limitare la massima dose alla cute a non più del 60% della dose di prescrizione. Il vantaggio principale dell’impiego di brachiterapia ad alta intensità di dose è quello di non richiedere l’ospedalizzazione della paziente. In questa sede si vuole sottolineare che

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realizzare un buon impianto di brachiterapia è premessa indispensabile per garantire una adeguata copertura del PTV, una elevata omogeneità di dose al suo interno e una ripida caduta di dose alla sua periferia. Sulle scansioni TC si ricostruiscono in 3D la posizione dei cateteri e le lunghezze, sia inattive che attive, delle sorgenti e si delineano gli organi a rischio di tossicità. La produzione di istogrammi dosevolume consente di ottenere una valutazione quantitativa e qualitativa del piano di cura. La brachiterapia interstiziale è fortemente operatore-dipendente. Questo aspetto, insieme alla riduzione, nel territorio nazionale, dell’impiego della brachiterapia, ha fatto sì che il suo utilizzo nela PBI sia limitato, nonostante i miglioramenti tecnologici abbiano reso la tecnica più riproducibile. Quando esista la sufficiente esperienza, la brachiterapia può offrire vantaggi quali l’ottima conformazione della distribuzione di dose, anche per volumi bersaglio irregolari, e il risparmio degli organi a rischio di tossicità, con la sola probabile eccezione della cute. 7.2 Brachiterapia endocavitaria : Mammosite® Per ovviare ad alcune problematiche tecniche della brachiterapia classica è stato ideato un dispositivo, il MammoSite®, il cui utilizzo è stato approvato nel 2002 dalla FDA, e che oggi è la più diffusa metodica di PBI negli Stati Uniti. Il dispositivo consente l’irradiazione dei tessuti che costituiscono la parete della cavità chirurgica residua dopo asportazione della neoplasia. Esso è costituito da un catetere in silicone a doppia via, con un palloncino gonfiabile posto all’estremità distale, che consente l’inserimento della sorgente radioattiva. E’ necessaria una attenta valutazione del volume mammario che deve essere sufficientemente ampio da garantire l’inserimento del dispositivo, e della sede e la dimensione del nodulo, che devono essere tali da consentire una irradiazione con adeguato risparmio cutaneo. Quindi il trattamento con MammoSite® non è eseguibile in mammelle piccole o con nodulo superficiale situato alla periferia

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della mammella, in vicinanza del prolungamento ascellare, del solco sottomammario o al limite mediale del seno stesso. La procedura prevede il posizionamento del Mammosite® nella cavità chirurgica. L’inserimento avviene durante l’intervento chirurgico o, con modalità differita, entro le 10 settimane successive sotto guida ecografica, purchè sia presente e raggiungibile una cavità chirurgica non organizzata e non siano state eseguite manovre di oncoplastica ricostruttiva. E’ sempre preferibile una via di inserimento laterale alla cicatrice chirurgica della tumorectomia allargata, e non l’utilizzo della stessa. Il palloncino, mediante una delle due vie, viene riempito con soluzione salina e mezzo di contrasto che ne consente la visualizzazione radiografica. Si crea con il palloncino espanso una compressione dei tessuti circostanti che costituiscono il letto tumorale Devono essere valutati mediante scansioni TC i criteri di appropriatezza dell’impianto sono: la simmetria rispetto all’asse centrale del palloncino (è ammessa una differenza ≤ 4 mm), la conformità, cioè l’assenza di aria o fluidi organici tra palloncino e cavità di resezione (è ammesso un rapporto Vfluido/PTV ≤ 10% ), la distanza dalla cute, che deve essere di 7-10 mm. Sempre sulla base delle immagini TC viene pianificato il trattamento radiante. La dose prescritta è solitamente di 34 Gy in 10 frazioni separate di almeno 6 ore, durante 5 giorni. L’isodose di riferimento è ad 1 cm dalla superficie del palloncino. In realtà, per la compressione tessutale creata dal palloncino, il volume sferico irradiato è maggiore e la dose viene erogata ad uno spessore di parenchima di almeno 1,6 cm. La sorgente radio attiva viene inserita attraverso la via principale del dispositivo fino a raggiungere il centro del palloncino ogni volta che si esegue l’irradiazione (generalmente nella settimana successiva al posizionamento del MammoSite). Al termine della settimana dedicata all’irradiazione il palloncino viene svuotato e rimosso. Malgrado i soddisfacenti risultati sinora ottenuti la metodica presenta limitazioni correlate al classico dispositivo a lume singolo. Per ovviare a queste ne sono stati progettati altri con lumi


FORUM multipli nell’unico palloncino (MammoSite ML e Contura). Si inseriscono in modo analogo al MammoSite attraverso una breccia cutanea adiacente alla sutura chirurgica. Un’ulteriore possibilità terapeutica è offerta dal SAVI: un dispositivo che consiste in un fascio di cateteri inseriti nella cavità chirurgica attraverso una breccia cutanea e successivamente espansi a conseguire una forma ellittica. L’utilizzo di dispositivi dotati di cateteri multipli consente una migliore distribuzione di dose ed un maggior risparmio della cute e degli altri organi a rischio e una maggiore aderenza alla morfologia della cavità chirurgica. 7.3 IORT con elettroni La IORT consente di erogare, durante un intervento chirurgico, una dose terapeutica di radiazioni in una singola frazione direttamente sul bersaglio. Storicamente essa prevede lo spostamento del paziente, immediatamente dopo l’atto chirurgico, nel bunker in Radioterapia, all’interno del quale viene effettuata l’irradiazione mediante un acceleratore lineare convenzionale. Oggi sono disponibili apparecchiature mobili dedicate che possono essere portate direttamente in sala operatoria, evitando così i problemi logistici e di sterilità legati al trasporto del paziente, e che sono in grado di produrre fasci di elettroni sino a 12 MeV. I vantaggi radiobiologici della somministrazione di una unica dose elevata di radioterapia durante l’atto chirurgico sono diversi: i tessuti presentano una ricca vascolarizzazione, con metabolismo aerobio che li rende più sensibili all’irradiazione; inoltre la radioterapia viene erogata prima che si avvii la proliferazione post chirurgica delle eventuali cellule residue nel letto tumorale e ancora l’unicità della somministrazione consente di eliminare il tempo intercorrente fra le diverse frazioni in un trattamento standard, con ulteriori potenziali vantaggi radiobiologici. Ovviamente sono descritte ipotetiche limitazioni: la possibile presenza di cellele radioresistenti e l’impossibilità ad ottenere la sincronizzazione delle cellule in una fase maggiormente radiosensibile (Mitosi o G2). Tra le varie esperienze, da riportare lo studio randomizzato “ELIOT” avviato nel 2000 dopo una fase di “dose escalation” presso l’IEO di Milano, che ha messo a confronto lo schema standard di radioterapia adiuvante sull’intera mammella (50Gy in 25frazioni) con una dose unica di 21 Gy somministrata sul letto tumorale con un fascio di elettroni accelerati. I criteri di selezione includevano pazienti con età > 48 anni, istologia infiltrante e con diametro inferiore a 2,5 cm, unifocalità evidenziata radiologicamente, assenza di comorbidità importanti. Lo studio ha reclutato oltre 1300 pazienti, ma i dati di non sono ad oggi ancora stati pubblicati. Una buona correlazione è invece stata dimostrata tra i

risultati su 1822 pazienti sottoposte a IORT esclusiva “out trial” e le classi di rischio definite dall’ASTRO. In merito agli eventi occorsi le recidive intramammarie a 5 anni sono progressivamente aumentate dal gruppo “suitable” (1,5%) a quello “cautionary” (4.4%) ed “unsuitable (8,8%), fornendo un utile parametro per la corretta selezione delle pazienti. La tecnica chirurgica prevede, dopo l’asportazione del quadrante mammario, lo scollamento della cute per circa 3-4 cm in ogni direzione (360°) e la mobilizzazione della ghiandola anche rispetto al piano muscolare profondo per un’estensione pari all’area che si vuole irradiare. Viene inserito al di sotto della ghiandola un disco metallico, di piombo ed alluminio, di diametro lievemente superiore rispetto al campo di irradiazione, per proteggere i tessuti sani sottostanti (piano costale, polmone, cuore). La ghiandola viene quindi ricostruita con una sutura provvisoria per ripristinare la continuità del tessuto e viene misurato manualmente lo spessore ghiandolare per definire l’energia ottimale degli elettroni da utilizzare. Si posiziona infine il collimatore di dimensioni ed angolazione adeguate rispetto all’area da trattare, ponendo particolare attenzione ad evitare l’erniazione dei tessuti nel collimatore poiché potrebbe creare disomogeneità e sovradosaggi. Infine l’acceleratore lineare viene avvicinato al letto operatorio e connesso al collimatore, mediante una procedura di aggancio definita “docking”. La IORT con elettroni richiede determinazioni dosimetriche particolari e talvolta differenti rispetto a quelle necessarie per l’esecuzione dei trattamenti frazionati con fasci esterni: l’estensione e la profondità del CTV sono determinati in sala operatoria, visualizzando direttamente il letto tumorale e misurando con ago graduato lo spessore del tessuto ghiandolare da trattare. In base a queste valutazioni vengono pertanto scelti sia la forma e le dimensioni dell’applicatore che l’energia e l’isodose di riferimento idonei ad assicurare la prescrizione terapeutica. Nell’impossibilità a realizzare un piano di trattamento utilizzando un sistema di calcolo computerizzato e disponendo di un tempo limitato per effettuare i calcoli dosimetrici, è necessario che tutti i dati fisici e geometrici, per ogni tipo di applicatore ed energia impiegati, siano disponibili in un formato di rapida consultazione e facile utilizzo. In particolare, i dati dosimetrici devono permettere il calcolo delle Unità Monitor (UM) necessarie. La IORT necessita di una dosimetria di fascio specifica. Un sistema ideale di dosimetria dovrebbe avere dimensioni ridotte, perturbazione del fascio trascurabile, risposta possibilmente lineare nell’intervallo 10-25 Gy, assenza di dipendenza dalla direzione di incidenza del fascio, dalla temperatura, dal rateo di dose e dall’energia del fascio, elevata riproducibilità, possibilità di sterilizzazione o di inserimento in un

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FORUM involucro sterile sigillato, ed infine, facilità e immediatezza di lettura dei dati rilevati. Al momento, non esiste nessun sistema che possegga tutti i precedenti requisiti. I rivelatori di cui è riportato in letteratura l’impiego per misure in vivo sono quelli di tipo passivo, come le pellicole radiocromiche, l’alanina e i TLD (termolumiscenti). I sistemi dosimetrici attivi, quali piccole camere a ionizzazione, diodi, diamanti, scintillatori plastici e MOSFET, possono offrire il notevole vantaggio di consentire la determinazione immediata della dose e, quindi, la definizione di opportuni livelli di intervento sullo specifico trattamento IORT in corso (correzione delle UM o controllo/modifica del setup). L’incertezza complessiva nella misura della dose in condizioni di riferimento con i sistemi sopra citati può essere stimata tra il 3% e il 5% per le dosi di interesse. 7.4 IORT con Intrabeam Il sistema Intrabeam è costituito da una sorgente miniaturizzata di fotoni X a bassa energia. Essa è composta da uno stativo mobile a 4 gradi di libertà, da una o più sorgenti di fasci X a bassa energia, da un controller ed una consolle computerizzata che gestisce i dati dosimetrici e di Quality Assurance delle sorgenti ed i dati di trattamento, da uno o più set di applicatori quasi totalmente sferici con diametri da 1,5 cm a 5 cm, a passi di 0,5 cm, ed infine da un set di strumenti per le prove di accettazione, di stato e di costanza. I fasci di raggi X di bassa energia, 30, 40 e 50 kV, 40 μA, sono prodotti da un tubo che utilizza un target a trasmissione in oro, situato alla fine di una sonda lunga 10 cm e di diametro 3 mm. La sorgente irradia quasi isotropicamente nello spazio e produce quindi una distribuzione di dose tendenzialmente sferica. Essa viene unita ad applicatori di diverse misure, scelti in base alle dimensioni della cavità chirurgica, ma mai inferiori a 3 cm, che sono fatti aderire alla cavità stessa mediante la creazione di un particolare tipo di sutura, a borsa di tabacco. La cute viene allontanata. Nel caso di irradiazione della mammella sinistra, viene interposta tra applicatore e muscolo pettorale una gomma impregnata di tungsteno per proteggere il cuore. Prima dell’erogazione viene anche eseguita una copertura della superficie della mammella con la stessa gomma impregnata per ridurre l’irradiazione dell’ambiente. La dose assorbita diminuisce molto rapidamente, passando dal 100% alla superficie dell’applicatore a meno del 50 % a 1 cm. Ciò significa che l’erogazione di una dose pari a 21 Gy alla superficie corrisponde all’erogazione di 5-7 Gy ad 1 cm di distanza dall’applicatore stesso. La distribuzione di dose ottenuta è quindi ad alto gradiente. La sicurezza e la tollerabilità della procedura con Intrabeam

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è stata documentata in studi clinici di fase II, in cui la IORT è stata erogata da sola o come boost sul letto chirurgico, seguita da radioterapia standard a livello della mammella residua. Tali studi hanno posto le basi per l’inizio dello studio Targit-A, in cui donne affette da carcinoma duttale infiltrante con età >45 anni sono state randomizzate a radioterapia convenzionale versus radioterapia intraoperatoria “targeted” (Targit) con Intrabeam. I criteri di inclusione prevedevano età >45 anni, diagnosi di carcinoma duttale infiltrante in stadio clinico T1, T2 <3.5 cm, linfonodi ascellari clinicamente negativi. La diagnosi postoperatoria di fattori predefiniti come la presenza di carcinoma lobulare, di componente duttale in-situ estesa o di invasione linfovascolare estesa, o la necessità di riallargamento per margini di resezione positivi (o <2 mm) condizionava l’aggiunta della radioterapia postoperatoria estesa all’intera mammella, con una percentuale attesa del 15% circa. Sono state arruolate 2232 pazienti, ben bilanciate fra i due gruppi. A 4 anni di follow-up, sono state riportate 6 recidive locali nel gruppo Targit e 5 nel gruppo convenzionale, rispettivamente con un tasso di 1.2% (95% C.I 0.53-2.71) e 0.95% (95% C.I. 0.39-2.31), e con una differenza fra i due di 0.25% (p=0.41). Il 14% delle pazienti nel braccio sperimentale è stato sottoposto anche a radioterapia esterna, in linea con quanto previsto. Gli autori hanno anche riportato una frequenza di complicanze e di tossicità severa uguale nei due gruppi, con la sola eccezione dell’incidenza del seroma, maggiore nel braccio Targit. Ovviamente tali dati sono da considerarsi ancora preliminari, stante la limitatezza del periodo di osservazione. Elementi di forza della tecnica Intrabeam sono la possibilità di completare il trattamento con radioterapia a fasci esterni sull’intera mammella nei casi in cui la diagnosi postoperatoria documenti fattori prognostici sfavorevoli per recidiva locale, la pragmaticità del protocollo che ha permesso a numerosi centri sparsi in tutto il mondo di partecipare e arruolare pazienti, con eccellente livello di riproducibilità, e la possibilità di eseguire la procedura in “post-pathology”. Queste considerazioni valgono per tutte le metodiche di PBI La sorgente di IntraBeam produce fasci di caratteristiche inusuali a confronto con i fasci classici e quindi gli strumenti normalmente usati per la dosimetria, inclusi i fantocci ad acqua, ed i relativi protocolli non sono adatti per l’uso specifico. Le prove di accettazione, di stato e di costanza previste per IntraBeam utilizzano un set di strumenti, fornito con l’apparecchiatura, completo di dosimetro a camera a ionizzazione per fasci X a bassa energia. Il set fornito permette il controllo dell’allineamento della sonda, il controllo dell’isotropia di emissione, ed il controllo del dose-rate della sorgente, effettuato in aria ad una distanza fissa dalla


FORUM sorgente. Le prove di costanza forniscono risultati che sono registrati all’interno del programma di calcolo del tempo di trattamento, sito nella consolle computerizzata dell’apparecchiatura e che hanno una validità di 36 ore a partire dall’effettuazione delle prove stesse. Per quanto riguarda il commissioning, la possibilità di eseguire misure in loco è strettamente legata alla disponibilità di un piccolo fantoccio ad acqua utile per effettuare misure di dose-rate a distanze fisse dalla sonda, ed il rispetto completo delle condizioni di riferimento raccomandate dai protocolli di dosimetria, problema però non facilmente risolvibile. Ogni sorgente ed ogni set di applicatori vengono comunque forniti con il set completo di dati dosimetrici necessari per il calcolo del tempo di trattamento, misurato dal fornitore, che viene aggiornato ad ogni manutenzione ordinaria e straordinaria. 7.5 Radioterapia a fasci esterni: 3 DCRT Il primo studio randomizzato di radioterapia esterna postoperatoria diretta sul solo letto tumorale fu condotto al Christie Hospital di Manchester tra il 1982 e il 1987 ed i risultati furono negativi per la PBI, anche per l’inadeguatezza della tecnica e la scarsa selezione delle pazienti. Più recentemente al WBH di Detroit è stata messa a punto una tecnica di radioterapia conformazionale a fasci multipli non coplanari che prevede la somministrazione di una dose totale di 38.5 Gy in 10 frazioni biquotidiane durante 5 giorni. La dose totale e quella per frazione sono state determinate utilizzando il formalismo lineare quadratico che consente, al modificarsi della dose per frazione, di determinare la dose totale isoequivalente, e cioè quella in grado di determinare un uguale effetto biologico. Il volume bersaglio è stato identificato con il “letto chirurgico”, e cioè quella porzione di tessuti adiacenti all’area di exeresi, indicata dalle clip posizionate dal chirurgo sui margini di resezione, ampliato di 10-15 mm a costituire il CTV. Il PTV è ottenuto espandendo il CTV di altri 10 mm allo scopo di compensare possibili variazioni nella posizione o a inaccuratezze nel set up quotidiano. I risultati estetici e il controllo locale apparivano soddisfacenti, per cui questo studio preliminare ha dato origine ad uno studio di fase II dell’RTOG, i cui risultati, in termini di controllo locale sono risultati eccellenti (quasi il 99% a 4 anni), analogamente per quelli cosmetici. Purtroppo in questi ed altri studi analoghi i criteri di selezione delle pazienti non sono definiti con chiarezza, non è riportata con sufficiente dettaglio la definizione del volume bersaglio, la dose totale e quella per frazione sono spesso diverse. Occorrerrà quindi attendere i risultati dei tre studi in corso di fase III, il RTOG 0413-NSABP B39, l’IRMA-01, e quello canadese RAPID-l. Tutti confrontano la radioterapia

standard con una PBI accelerata ed ipofrazionata eseguita nella maggior parte delle pazienti (in tutte nei trials canadese ed europeo, nella grande maggioranza di esse in quello statunitense) con tecnica 3D-CRT alla dose di 3850 cGy in 10 frazioni biquotidiane somministrate in 5 giorni. I criteri di selezione delle pazienti non sono completamente omogenei per quanto riguarda l’età delle pazienti, le dimensioni del tumore ed il numero linfonodi positivi. L’endpoint principale comune è costituito dall’incidenza di recidive nella mammella omolaterale. Gli studi sono invece molto simili per ciò che riguarda la definizione del CTV ed i costraints di dose per gli organi critici. Stante la ancora mancante definizione di sicuri criteri di selezione, un programma di PBI dovrebbe comunque rispondere a precisi requisiti di appropriatezza del CTV mediante il posizionamento di clip. Le dimensioni del volume da trattare sono ancora oggetto di discussione, anche se un margine di 10-20 mm intorno al letto chirurgico sembra adeguato. Allo stesso modo sembra opportuno mantenere il CTV ad almeno 5 mm dalla superficie cutanea allo scopo di ridurre il più possibile il rischio di effetti secondari. Un altro punto essenziale è la definizione di una relazione definita tra CTV e volume mammario, per escludere le pazienti con mammelle molto piccole. Solitamente viene ritenuto accettabile un rapporto tra CTV e volume della mammella non superiore al 30-33%. I criteri relativi ai constraints di dose per gli organi a rischio, di omogeneità della distribuzione di dose, di definizione di un PTV tale da tenere nella dovuta considerazione le incertezze quotidiane nel posizionamento della mammella, le possibili inaccuratezze del set up edi movimenti respiratori, l’implementazione di un programma di qualità e la verifica dei risultati sono comuni a qualsiasi buona pratica clinica in radioterapia. Le specificità riguardano alcuni aspetti fisici e dosimetrici di elevata complessità con l’introduzione di tecniche 3DCRT non planari, tipicamente utilizzate nel campo dei trattamenti di stereotassi e/o radiochirurgia. Dal punto di vista pratico le sedi di irradiazione risultano essere di dimensioni inferiori, per estensione, rispetto ai trattamenti standard della mammella, con dosi erogate per singola seduta pari a 385 cGy/frazione. A tale scopo alcune verifiche preliminari devono essere intraprese per assicurare la qualità del trattamento, in particolare per l’immobilizzazione e la verifica portale mediante EPID o Cone-Beam. Una particolare attenzione va dedicata alla modellizzazione degli acceleratori nei sistemi di calcolo delle dosi (TPS), in particolare, per i campi di dimensioni inferiori a 5 cm, con o meno la presenza di filtri (fisici o virtuali). La presenza dei filtri potrebbe essere superflua se si utilizzano tecniche Field-

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FORUM In-Field (FIF). La dose per frazione e la bi-quotidianità del trattamento sono un ulteriore fattore di attenzione in materia di calibrazione dosimetrica dell’acceleratore e di corretta modellizzazione della dose trasmessa o diffusa da MLC e Jaws. Un’approssimativa caratterizzazione di tali dati può rivelarsi controproducente nella valutazione delle basse dosi erogate alla mammella controlaterale ed alla tiroide, oltre al calcolo degli “hot-spot”, “cold-spot” o della dose in cute. I sistemi di calcolo moderni prevedono algoritmi Collapsed Cone Convolution o Monte Carlo, che garantiscono la necessaria accuratezza in termini di disomogeneità tissutale alle interfacce. In ogni caso è suggerito di uniformarsi a riconosciuti programma di garanzia della qualità. Per quel che riguarda la pianificazione del trattamento, con la geometria di irradiazione a 4 campi non planari per la mammella destra, e 5 campi per la sinistra, è possibile ottenere variando le geometrie degli angoli dei gantry, lettini e dei collimatori, irradiazioni e distribuzioni di dose adeguate al raggiungimento degli obiettivi clinici prescritti. L’ottimizzazione dei filtri e dei pesi dei singoli campi, consentirà poi di ottenere una maggior omogeneità delle dosi erogate. Non è però escluso il ricorso ad un numero maggiore di campi, o con presenza di segmenti multipli per campi e quindi l’uso di tecniche FIF o di Class Solution. Le maggiori difficoltà risiedono tipicamente nei quadranti interni in prossimità della mammella controlaterale, quando le proiezioni dei campi possono irradiare porzioni di OARs altrimenti non evitabili e dove il vincolo di dose massima risulta essere molto restrittivo. Altro caso critico è la presenza di lesioni esterne e mammella concava, dove le rotazioni del lettino, la non planarità del fascio e la forma anatomica di taluni pazienti, possono ingenerare problemi relativi alle collisioni tra testata e lettino o impedire il rispetto di vincoli quale il polmone, il cuore o la quantità di tessuto omolaterale mammario irradiato. 7.6 Radioterapia a fasci esterni: IMRT L’IMRT, basata su una tecnica di inverse-planning, ha come scopo principale quello di garantire l’omogeneità di dose al volume bersaglio in particolari condizioni anatomiche che renderebbero impossibile il trattamento convenzionale con i due campi tangenziali, ed in letteratura sono disponibili diversi studi che affrontano le problematiche inerenti il suo utilizzo per il trattamento dell’intero corpo mammario. Allo stato attuale esistono anche studi di fase I e II che riguardano la PBI, e, in Italia, un unico studio di fase III, in corso a Firenze. I criteri di inclusione prevedono età ≥ 40 anni, dimensioni del carcinoma infiltrante o in situ ≤25 mm, margini negativi (>5 mm), presenza di clip metalliche nel letto operatorio, stato linfonodale ascellari indifferente, assenza

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di estesa componente intraduttale (è ammessa componente intraduttale). Sono stati inoltre introdotte controindicazioni in caso di presenza di una cardiopatia ischemica o disfunzione sistolica con frazione di eiezione inferiore al 50%, di un deficit ventilatorio con FEV1 < ad 1 litro/minuto, od ancora, di un intervento di mastoplastica. Come si può osservare i criteri adottati in questo studio non trovano sempre una corrispondenza con quelli adottati nelle linee guida ASTRO. Lo schema di trattamento prevede il confronto tra una radioterapia postoperatoria classica ed una radioterapia accelerata sul solo quadrante mammario operato (600 cGy/ frazione x 5 frazioni a giorni alterni, con dose totale di 30 Gy). Impiegando il modello lineare quadratico con un / di 3 Gy, questo regime di frazionamento corrisponde a 54 Gy in 27 frazioni standard da 2 Gy/frazione. Il CTV è stato disegnato con un margine uniforme di 1 cm attorno alle clip. Il CTV deve essere 3 mm all’interno della superficie cutanea e 3 mm dalla parete toracica. Un secondo margine tridimensionale uniforme è stato sommato al CTV per ottenere il PTV. E’ stata permessa un’estensione del PTV < 4 mm all’interno del polmone omolaterale e limitata a 3 mm dalla cute. Non vi sono state limitazioni alle estensioni del CTV e del PTV nella direzione craniocaudale. Lo studio TC per la pianificazione del trattamento dovrebbe essere effettuato con uno spessore di strato non superiore agli 0.3 cm e comprendere completamente le mammelle e i polmoni. Gli organi a rischio di interesse, da disegnare secondo le raccomandazioni dell’ICRU 50/62, sono la mammella ipsilaterale e controlaterale, i polmoni, il cuore e il midollo. La tecnica prevede 4 fasci coplanari di fotoni da 6 MV, scegliendo opportunamente gli ingressi in modo da evitare la mammella controlaterale. Sono stati definiti i vincoli impiegati in fase di ottimizzazione. Essi riguardano la copertura del PTV (100% del PTV riceve il 95% della dose di prescrizione), la dose massima al PTV ≤105%, la dose minima al PTV di 28 Gy, la dose alla mammella “uninvolved” (non più del 50% con dose ≥50% della dose di prescrizione), il polmone omolaterale (non più del 20% con dose ≥10 Gy), il polmone controlaterale (non più del 10% con dose ≥5 Gy), la mammella contro laterale (dose massima ≤ 1 Gy) ed il cuore, dove non più del 10% deve ricevere una dose ≥3 Gy. Allo scopo di uniformare le prescrizioni, la documentazione e la registrazione dei dati relativi al trattamento, è opportuno attenersi alle raccomandazioni dell’ICRU83. Particolare attenzione deve essere posta alla garanzia di qualità dei parametri dosimetrici e geometrici relativi all’erogazione del trattamento. Deve essere stabilito un solido programma di assicurazione di qualità dei sistemi


FORUM di pianificazione del trattamento (seguendo le indicazioni di report internazionali come ad esempio il Technical Report 430 IAEA) e di verifica di costanza e stabilità geometrica (in particolare per quanto riguarda il collimatore multilamellare e l’accuratezza di posizionamento delle lamelle in caso di IMRT statica, posizionamento e movimento in caso di IMRT dinamica) e dosimetrica (report AAPM TG 142). Un altro aspetto che merita attenzione riguarda la verifica del posizionamento del paziente, che deve essere particolarmente accurata trattandosi di un trattamento con frazionamento accelerato. A tale scopo è opportuno l’impiego dei sistemi di immagini portali o Cone Beam CT per tutte le frazioni di trattamento e magari, laddove disponibile, anche sistemi di gating respiratorio e tracking. Di tale studio sono disponibili ad oggi i soli dati di tossicità acuta che sono sovrapponibili nei due gruppi. Il livello di evidenza non è quindi ancora valutabile per cui l’utilizzo di questa metodica di trattamento è riservata a studi clinici. Conclusioni La PBI rappresenta un nuovo approccio destinato ad affermarsi in maniera sempre più solida in futuro. Ad oggi i dati disponibili non sono sufficienti per determinarne con certezza, ed in base alle regole della evidenza, le indicazioni. Appare quindi opportuno che la PBI sia ancora oggetto di studi che rispondano ai quesiti di appropriatezza necessari prima di considerarla un trattamento standard. In attesa che i risultati attesi nei prossimi anni possano contribuire a questa chiarificazione, questo comitato di consenso è in grado di esprimere alcune raccomandazioni, che vengono di seguito riportate in una breve sinossi. Sinossi delle raccomandazioni 1. La PBI è da considerarsi una matodica non completamente consolidata per cui il suo impiego deve avvenire preferibilmente nell’ambito di studi clinici controllati. 2. Linee guida americane ed europee hanno identificato alcuni sottogruppi di pazienti nelle quali la PBI potrebbe essere somministrata al di fuori di studi clinici. Tuttavia tali criteri non sono omogenei e si raccomanda quindi cautela nel proporre tale approccio in attesa di ulteriori dati clinici. 3. Consistenti esperienze nazionali e monoistituzionali hanno allo stesso modo evidenziato alcune caratteristiche di “basso rischio” per gruppi di pazienti, per le quali, sulla base di uno specifico consenso informato, la PBI potrebbe essere considerata. Si raccomanda comunque che i dati derivati da questi trattamenti siano registrati ed oggetto di comunicazione scientifica. 4. L’imaging svolte un ruolo fondamentale nel definire la se-

lezione delle pazienti. Una forte raccomandazione è espressa per l’introduzione, almeno nell’ambito degli studi controllati, della RM preoperatoria. 5. Il quadro radiologico nel follow-up delle pazienti sottoposte a PBI presenta caratteristiche particolari, che richiedono una particolare competenza del diagnosta, il quale, a sua volta, deve essere messo a conoscenza della tecnica utilizzata. 6. Il patologo svolge un ruolo altrettanto fondamentale ed è necessaria uniformità per quanto attiene la valutazione di parametri fondamentali ai fini dell’indicazione, quali il tipo istologico, il grado, l’espressione recettoriale, e, soprattutto, lo stato dei margini. 7. Il chirurgo è una figura fondamentale nel processo della PBI, quindi il suo coinvolgimento iniziale e per tutti gli aggiornamenti successivi è indispensabile. Le tecniche chirurgiche devono essere definite in rapporto alle differenti modalità di esecuzione della PBI e quindi concordate. Particolare attenzione deve essere posta alle recenti problematiche indotte dalla sempre più estesa applicazione della chirurgia oncoplastica. 8. Non esiste nessuna evidenza di superiorità di una tecnica di PBI rispetto ad un’altra. Emergono alcune indicazioni più specifiche per qualcuna di esse in rapporto a fattori morfologici relativi alla mammella o al tumore. La raccomandazione è che per utilizzare qualsiasi tecnica sia necessaria una esperienza qualificata degli operatori, da sviluppare in ambito multidisciplinare. 9. Ogni tecnica necessita di un ben preciso programma di garanzia della qualità per tutti gli aspetti da essa determinati ed in particolare relativamente alla formazione del personale coinvolto 10. Si raccomanda la prosposta e la messa in atto di nuovi studi clinici controllati che tengano conto delle acquisite conoscenze in tema di PBI derivanti da più di 10 anni di esperienze, finalizzati a rispondere ai quesiti ancora aperti in termini di selezione delle pazienti, ruolo dell’imaging, patologia, chirurgia e tecniche.

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OBIETTIVO SU

Aggiornamento sulla Tomosintesi

S. CIATTO, D. MISTRANGELO, D. BERNARDI U.O. Senologia Clinica e Screening Mammografico, Dipartimento di Radiodiagnostica, APSS, Trento.

Da qualche anno la tomosintesi (TS) si sta affacciando sempre più prepotentemente alla ribalta della senologia diagnostica. In realtà non è sorprendente che l'introduzione di una metodologia, che possiamo definire 3D, comporti dei vantaggi rispetto alla tradizionale modalità analoga 2D. Il termine coniato per definire tale nuova metodica, “tomosintesi”, è certamente accattivante. Nonostante ciò il principio tecnico è lo stesso della ormai desueta “stratigrafia” ideata dal Prof. Vallebona; chi ha avuto la sfortuna anagrafica di usare tale tecnica radiologica, ad esempio nella valutazione del mediastino, sa bene quali vantaggi diagnostici essa consentisse rispetto alla radiografia del torace in due proiezioni. Nessuna sorpresa quindi che una valutazione mammografica con tecnica 3D, che può aver ragione dell'effetto mascherante o delle false immagini da sovrapposizione dovuti alle densità fibro-ghiandolari, sia assolutamente vantaggiosa rispetto alla tradizionale 2D. Teorizzato ciò, e dopo averlo condito da dimostrazioni di effetti speciali con casi eclatanti, è necessario dimostrare che i suddetti vantaggi diagnostici siano quantitativamente importanti, ripetibili e, soprattutto, costo-efficienti, dal momento che la metodologia ha intrinsecamente dei costi, sia in termini economici che umani, al momento piuttosto elevati. Impiego in clinica o screening? Dagli studi finora condotti la TS sembra trovare la sua realizzazione migliore nella mammografia di screening, spontaneo od organizzato che sia, nella quale la percezione di piccole neoplasie può risultare particolarmente difficoltosa per la concomitanza di densità mascheranti. In presenza di sintomi o nell'approfondimento di alterazioni sospette alla mammografia 2D la TS non riveste un ruolo determinante,

rappresentando solo uno dei diversi presidi diagnostici che si possono impiegare in questi casi. Un possibile impiego della TS in ambito clinico, dove le casistiche limitate e la disponibilità di tempo consentono spesso o sistematicamente l’esecuzione dell’ecografia in presenza di seno denso, potrebbe essere quello di evitare l’ecografia, se studi comparativi dimostrassero l’equivalenza delle due metodiche. Modalità di esecuzione Al momento l’esame in TS si esegue nelle due proiezioni standard cranio-caudale (CC) ed obliqua medio-laterale (MLO). Analogamente a quanto è successo anni fa con la proiezione MLO, che gli svedesi avevano osannato come possibile unica proiezione (per poi ricredersi platealmente riconoscendo che essa, sia per effetto mascherante che per “fuori campo”, perdeva un 5% di carcinomi), i tentativi di eseguire la TS in un’unica proiezione (per l’appunto la sola MLO) sono stati verificati essere insoddisfacenti. Per validare l’impiego della TS nello screening è necessario confrontare le diverse performance diagnostiche ottenute dall’impiego della sola mammografia 2D e dall’associazione di mammografia 2D+TS. L'uso della sola TS al momento non sembra trovare una collocazione pratica, in primo luogo perché la TS ha generato una nuova semeiotica (formalmente la stessa della mammografia 2D ma in una versione “sfumata”) con la quale il Radiologo Senologo deve necessariamente prendere dimestichezza, in seconda istanza perché i dati preliminari degli studi tuttora in corso parrebbero dimostrare che il massimo vantaggio in accuratezza diagnostica sia ottenuto dalla combinazione 2D + TS e non dalla sola TS. Gli studi, conclusi o in corso che siano, hanno evidenziato numerosi vantaggi offerti dalla metodica ma anche alcuni difetti della stessa. Tra i primi l’aumento in sensibilità nel riconoscimento di lesioni cancerose al quale si associa la riduzione dei richiami per sospetti alla 2D con conseguente aumento in specificità.

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OBIETTIVO SU Esperienze di screening: aumento della detection rate Che la TS consenta di identificare carcinomi occulti alla 2D è ormai comprovato da centinaia di casi aneddotici. Quello che resta da dimostrare è quanto spesso ciò avvenga e quindi quale il costo economico, ma non solo, ad essa legato. Tali informazioni sono difficilmente ricavabili dalla maggior parte delle esperienze pubblicate, che riferiscono di valutazioni di set artificiali di casi letti in simulazione da parte di Radiologi Senologi esperti. I primi risultati delle poche esperienze di uso corrente della TS in pratica di screening (uno studio in corso in UK-TOMMY-, uno in Norvegia, uno in Svezia ed uno studio in Italia nei centri di screening di Trento e Verona) sono molto favorevoli all’impiego della TS; in particolare i dati preliminari dell’unica esperienza italiana di utilizzo della TS nell'ambito dello screening di popolazione, con doppia lettura sequenziale della 2D e della 2D+TS, sono molto incoraggianti, evidenziando un incremento diagnostico di circa il 25% che, analogamente a segnalazioni precedenti, non sembrerebbe realizzarsi solo in presenza di seno denso ma anche in casi di mammelle in involuzione fibro-adiposa. Considerando che la detection rate dello screening (per lo più screening ripetuto) è bassa (intorno al 3-4‰), sarà necessaria una casistica numerosa per poter confermare questi primi risultati. I dati preliminari riportati dagli studi di screening di Oslo e Malmoe all’ultimo ESR di Vienna confermano un aumento consistente (15-35%) del tasso diagnostico di carcinoma grazie alla TS. Esperienze di screening: riduzione dei richiami La riduzione dei richiami per approfondimento (specificità) è indubbiamente l'altro aspetto favorevole della visione 3D, che dovrebbe consentire di risolvere false immagini determinate da incroci vascolo-stromali e da sommazione di densità. In tutti gli studi condotti risulta che la TS consente di risolvere dal 20 al 60% dei casi di dubbio diagnostico alla 2D. Un recente studio condotto a Trento ha evidenziato che l’impiego della TS consente la riduzione dei richiami per dubbi alla 2D in circa il 60% dei casi senza che ciò comporti perdita di carcinomi (falsi negativi). Purtroppo, pur risolvendo molti dubbi della 2D, la TS genera essa stessa dei falsi positivi: ma, almeno dallo studio di screening di Trento-Verona, il bilancio sembra restare vantaggioso alla 3D, con una riduzione dei richiami 2D nell’ordine del 40%, un aumento dei richiami alla sola 3D circa del 20%, e una riduzione complessiva finale circa del 20%. Tale vantaggio sembra verificarsi sia nei seni densi che in quelli a prevalente componente adiposa. Sebbene tale riduzione di richiami non vada certo a ripagare del tutto il costo dello strumento e dell'impegno aggiuntivo

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di lettura (vedi oltre), è comunque un vantaggio di cui tenere conto, sia sul piano economico, sia sul piano della riduzione del carico di lavoro dei tecnici di radiologia (TSRM) e radiologi addetti agli approfondimenti. Tempi di lavoro: TSRM e radiologi Tra i difetti della metodica ad oggi emersi nell’impiego della metodica TS spiccano i tempi di lavoro, sia del personale tecnico che medico, l’aumento della dose somministrata alla paziente e, non ultimo, i costi della metodica. Se per i TSRM l'impegno nella conduzione dell’esame 2D o di quello 3D non è molto diverso (l'esame TS è acquisito contestualmente a quello tradizionale 2D, mediante un'unica compressione), per il Radiologo Senologo invece le cose sono decisamente diverse. Un recente studio, condotto a Trento, dimostra come l'acquisizione di un esame 2D+3D rispetto all'esame 2D richieda al TSRM un tempo di lavoro aggiuntivo “da porta a porta” pari a circa il 10%. Pur considerando che questo studio è stato fatto con un apparecchio (Selenia Dimensions, Hologic) che al momento è quello che impiega il tempo di scansione più breve (4’’ per proiezione), l’impiego di mammografi con tempi di scansione superiori non dovrebbe cambiare eccessivamente questo carico di lavoro. Tale osservazione ha implicazioni rassicuranti rispetto all'uso della TS in screening, dove l'efficienza ed il carico di lavoro sono variabili assolutamente cruciali. Diversamente, la valutazione da parte del Radiologo Senologo dell’esame di TS (che consiste nel seguire un breve filmato nel quale i diversi piani della mammella scorrono in continuo con impossibilità di seguire il filmato in modo panoramico su tutta la mammella che quindi va valutata “a pezzi” in ogni singola proiezione) è inevitabilmente molto più lunga. Un recente studio condotto a Trento dimostra che il rapporto tra tempo di lettura 2D+TS e 2D è circa del doppio. Questo risultato, nell’ottica di un impiego di screening, è un fatto negativo perché il raddoppio dei tempi di lettura implica la necessità di avere anche il doppio dei radiologi addetti.


OBIETTIVO SU

Dose di esposizione Altra variabile che può condizionare l’impego della TS è la dose di esposizione che, in un esame 2D+TS, è quasi doppia rispetto alla 2D. Ciò ha ovviamente implicazioni radioprotezionistiche, specie in un impiego nello screening di popolazione e, sebbene l'età delle donne coinvolte non sembra essere associata ad una particolare suscettibilità alla cancerogenesi radioindotta e nonostante uno studio condotto presso l’IST di Genova dimostri che la dose somministrata nella 2D+TS si sia sempre al di sotto dei limiti di consentiti per legge, il problema esiste. Una possibile soluzione potrebbe essere fornita dalla creazione di una proiezione 2D a partire dalle sole acquisizioni di TS (2D “sintetica”), attualmente in studio con primi risultati molto incoraggianti: se ciò funzionasse, non essendo più necessaria l'acquisizione 2D convenzionale, si otterrebbe la riduzione della dose alla metà di quella attualmente somministrata. Costi Il costo dell’apparecchiatura di TS è certamente ad oggi un ulteriore barriera alla sua diffusione. Nell’ottica di dover convertire tutto il parco macchine mammografico, qualora si dimostri l’efficacia della metodica, è possibile che nel tempo i prezzi si abbassino. E’ necessario tenere presente che nelle realtà di screening le macchine sono ancora in parte analogiche e che il processo di riduzione dei costi nel medicale è piuttosto lento. Un incentivo all’impiego della TS potrebbe essere rappresentato dalla possibilità di ovviare alla doppia lettura che rappresenta, a tutt’oggi, un notevole impegno per i Radiologi Senologi addetti allo screening, con costi e carichi di lavoro molto importanti e talora critici. Un tentativo di surrogare la doppia lettura è stato fatto in passato con CAD, ma la lettura singola+CAD risulta tuttora, negli studi controllati, inferiore alla doppia lettura convenzionale. L'idea che la lettura singola 2D+TS possa equivalere, quanto ad accuratezza diagnostica, alla doppia lettura è certamente allettante. Nello studio italiano di screening i risultati preli-

minari sono molto incoraggianti dal momento che la lettura singola 2D+ TS risulta essere moderatamente più sensibile e decisamente più specifica della doppia lettura convenzionale. Uso in stadiazione Un impiego decisamente secondario della TS, ma con possibili positive ricadute economiche, è quello in stadiazione. Dal momento che la TS sembra vedere di più e meglio della 2D è automatico pensare che essa possa stadiare meglio il carcinoma, sia nel definirne l'estensione, sia identificando eventuali multifocalità occulte. Tale confronto dovrà essere necessariamente fatto anche con la RM, metodica per la quale i benefici diagnostici (upstaging) sembrano peraltro tradursi di fatto in un aumento delle mastectomie. Studi in corso in Italia (Molinette di Torino e Trento) dovrebbero poter fornire i primi risultati sul breve termine. Curva di apprendimento Sempre nell’ottica di un bilancio economico è importante sottolineare che la TS non necessita di un particolare addestramento del Radiologo Senologo. Per un radiologo esperto di mammografia è infatti facile e rapido imparare a manovrare la workstation di TS; la semeiotica, anche se un po' “flou”, è quella convenzionale e la curva di apprendimento non sembra essere molto lunga. In un recente studio condotto a Trento il tempi di lettura acquisiti sul breve termine (3 mesi) non variano dopo un periodo di pratica intensiva di ulteriori 6 mesi Conclusioni Per concludere, la TS indubbiamente è metodica molto promettente. E’ necessario ora vedere se l'evidenza scientifica di studi controllati ne confermi i possibili vantaggi. Per il momento una cosa è certa: dopo la miriade di meteore che ha solcato il cielo della diagnostica senologica senza lasciare alcuna traccia, dalla termografia alla elastosonografia, passando per la xeromammografia, la termografia e l'ecografia con contrasto, questa sembra essere veramente la volta buona.

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Rassegna della letteratura

ANATOMIA PATOLOGICA RECENSIONE A CURA DI I. CASTELLANO E A. SAPINO

Colleoni M, Rotmensz N et al Outcome of special types of luminal breast cancer Annals of Oncology 2011; October 29

Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino

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n studi precedenti (vedi Cheang MC et al. J Natl Cancer Inst. 2009 May 20;101(10):736-50) è stato dimostrato che attraverso la determinazione recettoriale, lo stato di HER2 e l’indice proliferativo, si può ottenere una classificazione dei carcinomi mammari che è in grado di rispecchiare le rispettive categorie molecolari, Luminali A-B, Basali ed HER2+ ed il loro andamento prognostico. Questa traslazione di dati dalla biologia molecolare alla clinica ha acquisito una grande importanza durante l’ultimo consensus meeting di San Gallen, avvenuto lo scorso marzo 2011, in cui è stato stabilito che il trattamento del carcinoma mammario deve basarsi proprio sulle categorie molecolari, ottenute mediante l’assetto immunofenotipico. Questo tipo di approccio può tuttavia causare una mancanza di attenzione nei confronti del referto anatomo-patologico, in particolare può trascurare informazioni importanti riguardanti l’istotipo. Ad esempio l’insieme dei tumori basal-like (recettori ormonali negativi ed HER2 negativi), caratterizzarti da una cattiva prognosi, viene facilmente confuso con quello dei tripli negativi, dove esistono specifici istotipi ad andamento clinico indolente (come ad esempio il carcinoma adenoideo-cistico-ADC). Ugualmente, anche nei tumori Luminali (positivi al recettore estrogenico-ER), curabili in genere con la sola ormonoterapia e caratterizzati da una buona prognosi, sono però compresi carcinomi differenti dal punto di vista morfologico. I due studi di seguito riportati si propongono di indagare il potenziale prognostico di specifici istotipi nell’ambito della categoria dei carcinomi Luminali e dei carcinomi BasalLike.

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In questo studio sono stati esaminati 7372 casi di carcinoma mammario operati tra il 1997 ed il 2005, con un follow up medio di 5.8 anni, classificati dal punto di vista immunoistochimico come Luminali A (ER-positivi HER2 non amplificato e con basso indice proliferativo (Ki67<14%) o Luminali B (ER, HER2 negativo e Ki-67>14% oppure ER-positivo ed HER2 amplificato o overespresso). Il 76% di questi tumori è risultato un carcinoma duttale infiltrante (CDI) nas, l’11.4% un carcinoma lobulare infiltrante (CLI), il 3% un carcinoma cribriforme, il 2% un carcinoma mucinoso e l’1.1% un carcinoma tubulare. Il CDI-nas più frequentemente ha un alto grado istologico rispetto agli altri istotipi, ma il CLI è una neoplasia più estesa e coinvolge più frequentemente i linfonodi ascellari. Al contrario il cribriforme ed il tubulare sono in genere tumori più piccoli e con linfonodi negativi. Per quanto riguarda il follow up, la disease free survival (DFS) è risultata significativamente migliore nel carcinoma cribriforme e nel carcinoma tubulare rispetto al CDI-nas. L’istotipo mucinoso non presenta differenze significative rispetto al CDI-nas, mentre paragonando il CDI con il CLI è emersa una prognosi peggiore di quest’ultimo (5 anni-DFS 86.8% versus 87.4%; HR = 1.27; P = 0.01). In base a questi dati, gli autori concludono che nel gruppo dei carcinomi Luminali dovrebbero essere considerati i singoli istotipi, a causa del loro diverso impatto prognostico, per evitare un over-trattamento di tumori a prognosi indolente come il carcinoma tubulare ed il carcinoma cribriforme o un trattamento insufficiente come nel caso del CLI. Wetterskog D, Lopez-Garcia MA, Lambros MB Adenoid cystic carcinomas constitute a genomically distinct subgroup of triple-negative and basal-like breast cancers J Pathol 2012 Jan ; 226(1): 84-96


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A minali (vedi Molyneux G, et al. BRCA1 basal-like breast cancers originate from luminal epithelial progenitors and not from basal stem cells. Cell Stem Cell 2010; 7: 403–417). Lo studio di seguito riportato si propone di valutare se il carcinoma metaplastico della mammella, un particolare istotipo di tumore appartenente alla categoria dei tumori basal-like, e comprendente sotto il suo nome, un’ampia eterogeneità di neoplasie differenti dal punto di vista istologico, derivi da una de-differenziazione delle cellule neoplastiche che lo compongono nel corso della cancerogenesi o sia il risultato di una trasformazione neoplastica di cellule staminali a fenotipo basale. Il carcinoma ADC della mammella possiede la caratteristica di essere un tumore triplo-negativo-basal like, ma con un comportamento clinico indolente. Recentemente è stato dimostrato che in questo istotipo, presente anche a livello delle ghiandole salivari, è ricorrente una specifica traslocazione cromosomiale, che conduce alla formazione del gene di fusione MYB-NFIB. Questa particolarità genetica potrebbe spiegare il differente comportamento biologico di questa neoplasia rispetto al CDI- nas triplo negativo. Lo scopo di questo lavoro è stato quindi determinare la prevalenza del gene di fusione MYB-NFIB in 14 casi di carcinoma adenoideo-cistico della mammella e valutare se questo istotipo avesse delle caratteristiche genomiche diverse da un CDI triplo negativo di ugual grado istologico. Grazie a metodiche FISH e di RT-PCR e di CGH gli autori hanno constatato che il gene di fusione MYB-NFIB era presente in tutti i casi di tumore ADC tranne uno (97%). Inoltre, ADC presenta alterazioni cromosomiali diverse ed esprime geni come MYC e BRCA1 a livelli significativamente più alti rispetto al CDI-nas. Gli autori concludono quindi sottolineando l’importanza della valutazione dell’istotipo nell’insieme dei tumori basal-like triplo negativo, dimostrando che l’ADC è una lesione distinta rispetto al CDI-nas triplo negativo e che verosimilmente si sviluppa anche attraverso distinti patways genetici. La classificazione molecolare del carcinoma della mammella, ottenuta sulla base di studi di gene expression profiling ha suggerito l’ipotesi che il fenotipo del tumore possa riflettere l’origine della neoplasia; in altri termini un tumore classificato come luminale, esprimendo geni tipici dell’epitelio luminale, origina dalla trasformazione neoplastica di progenitori di cellule luminali ER-positive, mentre il tumore basal-like, esprimendo geni caratteristici dello strato basale/ mioepiteliale del dotto mammario, origina da cellule staminali ER-negative. Tuttavia, in uno studio recente è stato dimostrato che la maggior parte dei tumori basali derivano da progenitori lu-

Van Deurzen CH, Lee AH, Gill MS et al Metaplastic breast carcinoma: tumour histogenesis or dedifferentiation? J Pathol 2011; 224: 434-437 Il lavoro è stato formulato sulla base di uno studio morfologico, al microscopio ottico, di 24 casi di carcinomi invasivi metaplastici puri o con una componente metaplastica, associati o meno ad un carcinoma in situ metaplastico o convenzionale e comprendenti o meno metastasi linfonodali. Gli autori, confrontando il fenotipo delle cellule tumorali presenti nella componente in situ, nella componente invasiva e nelle metastasi linfonodali e sostenendo alcuni studi molecolari già presenti in letteratura, dimostrano come il fenotipo tumorale non rifletta sempre in modo inequivocabile l’istogenesi della lesione. In particolare, dall’osservazione di alcuni carcinomi invasivi senza caratteristiche metaplastiche e che metastatizzano con fenotipo metaplastico, gli autori supportano il concetto che questo istotipo può essere dovuto ad una de-differenziazione nelle tappe più avanzate della carcinogenesi piuttosto che derivare da cellule staminali di tipo basale. Il risvolto clinico di questa teoria potrebbe quindi avere una certa importanza nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche mirate verso le reali cellule progenitrici di questo tumore. Il carcinoma metaplastico è costituito da una commistione di cellule epiteliali e di cellule fusate, squamose, talvolta con differenziazione ossea o cartilaginea. Nello studio di seguito riportato gli autori ipotizzano che questo tumore, nella sua eterogeneità morfologica, da aree meglio differenziate di tipo ghiandolare ad aree più metaplastiche di tipo mesenchimale, possa rappresentare il fenomeno dell’“epithelial to mesenchymal transition ” (EMT) Kleer CG Metaplastic breast carcinomas are enriched in markers of tu-

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A mor-initiating cells and epithelial to mesenchymal transition Mod Pathol 2012 Feb; 25(2): 178-1884 Vengono analizzati 27 carcinomi metaplastici su cui è stata valutata la presenza di markers tipici della EMT come ZEB1 ed E-Caderina e la presenza di marcatori di cellule staminali (di cui è nota la correlazione con EMT), quali aldeide deidrogenasi 1, CD44 e CD24. I risultati ottenuti dimostrano che in questo tumore, le aree meno ghiandolari e con caratteristiche più metaplastiche comprendono cellule che esprimono i marcatori staminali, non esprimono la Caderina-E e in quasi la metà dei casi overesprimono ZEB1. Gli autori concludono che le aree meno differenziate di questa neoplasia possano rappresentare un buon modello di studio per il fenomeno dell’“epithelial to mesenchymal transition” (EMT)

BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA RECENSIONE A CURA DI C. BIGHIN E P. PRONZATO Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova

JM Bliss, LS Kilburn, RE Coleman, et al Disease-Related Outcomes With Long-Term Follow-Up: An Updated Analysis of the Intergroup Exemestane Study Journal of Clinical Oncology 2012; Vol 30 n 7, March 1: 709717 H Jin, D Tu, N Zhao, et al Longer-Term Outcomes of Letrozole Versus Placebo After 5 Years of Tamoxifen in the NCIC CTG MA.17 Trial: Analyses Adjusting for Treatment Crossover Journal of Clinical Oncology 2012; Vol 30 n 7, March 1:718721 NL Henry, F Azzouz, Z Desta, et al Predictors of Aromatase Inhibitor Discontinuation as a Result of Treatment-Emergent Symptoms in Early-Stage Breast Cancer Journal of Clinical Oncology 2012: Vol 30 n 9, March 20 2012

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li inibitori dell’aromatasi (AI) sono i farmaci di prima scelta nel trattamento endocrino delle paziente in post-menopausa con carcinoma della mammella endocrinoresponsivo (ER-positivo e/o PgR-positivo). La modalità di trattamento prevede la monoterapia per 5 anni oppure la

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sequenza per 3-2 anni dopo tamoxifene somministrato per 2-3 anni. Due studi di fase III randomizzati sulla strategia cosiddetta “upfront” hanno confrontato AI per 5 anni (anastrozolo nello studio ATAC e letrozolo nello studio BIG 1-98) verso tamoxifene per 5 anni. Lo studio ATAC ha dimostrato un vantaggio assoluto in sopravvivenza libera da malattia (SLM) ad un follow-up mediano di 100 mesi del 2.4% ma nessun vantaggio significativo in sopravvivenza globale (SG). Lo studio BIG 1-98 ha evidenziato un vantaggio assoluto in SLM ad un follow up mediano di 76 mesi del 2.3% ed un vantaggio significativo in SG ma solo escludendo le pazienti (il 25.2% della casistica) che dopo la prima analisi ad interim hanno avuto la possibilità di cambiare il trattamento da tamoxifene a letrozolo. I dati dello studio ATAC e dello studio BIG 1-98 sono stati raccolti in una metanalisi (9856 pazienti). Complessivamente viene confermato un beneficio assoluto in SLM ad un follow up mediano di 5 e 8 anni del 2.9% e del 3.9% rispettivamente (p<0.00001), senza vantaggio né in SG né in mortalità da carcinoma mammario1. Cinque studi randomizzati hanno confrontato tamoxifene per 5 anni con una strategia sequenziale di tamoxifene per 2-3 anni seguito da AI per 3-2 anni (IES ABCSG-8, ARNO 95, N-SAS BC-03, ITA). Per quanto riguarda i risultati in termini di SLM, il vantaggio assoluto è risultato sempre significativo, ad esclusione dello studio N-SAS BC 03, con valori variabili da 1.9% a 4.4%. Un vantaggio significativo in SG (2.6% assoluto) è stato osservato nello studio ARNO. Un vantaggio è stato osservato anche nello studio IES2 (studio con exemestane sequenziale), nell’ultima analisi pubblicata nel 2007 ad un follow-up di circa 55 mesi. In un recente articolo del Journal of Clinical Oncology è stata pubblicata da Bliss et al un’ulteriore analisi ad un follow-up mediano di circa 91 mesi dello studio IES. In questo artico-


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lo, oltre all’analisi sulla SG, è stata condotta anche un’analisi sulla sopravvivenza libera da eventi correlati al carcinoma mammario (BCFS) nelle pazienti con recettori per gli estrogeni positivi o sconosciuti (4052 donne). In totale si sono verificati 930 BCFS (423 nel gruppo con exemestane e 507 nel gruppo con solo tamoxifene) con un hazard ratio di 0.8 (95% CI, 0.71 to 0.92; P<.001) a favore dell’exemestane. L’aumento nella sopravvivenza globale è stato confermato anche in quest’analisi con 352 morti nel gruppo con exemestane verso le 405 morti nel gruppo con solo tamoxifene (HR, 0.86; 95% CI, 0.75 to 0.99; P <.04). Questa ulteriore analisi conferma i risultati della metanalisi1 di tutti gli studi (ad esclusione dello studio NSAS BC-03) con strategia sequenziale che aveva dimostrato un vantaggio in SLM a 5 e 8 anni statisticamente significativo del 1.1% e del 2.2% rispettivamente. Tre studi hanno valutato il prolungamento della terapia ormonale con AI dopo 5 anni di trattamento con tamoxifene (MA-17, ABCSG 6a, NSABP-B33). Nello studio MA-17 la somministrazione di letrozolo per 5 anni dopo 4.5-6 anni di terapia adiuvante con tamoxifene rispetto al placebo ad un follow-up di 30 mesi ha determinato un vantaggio assoluto in SLM del 4.6% a favore del letrozolo. Letrozolo ha determinato anche una riduzione nel rischio di morte ma solo nel gruppo di pazienti con linfonodi ascellari positivi3. Alle pazienti randomizzate nel braccio con placebo è stata offerta la possibilità di assumere letrozolo. Il trattamento è stato scelto dai due terzi delle pazienti con un intervallo mediano dal termine della terapia con tamoxifene di 2.8 anni. Ad un follow-up mediano di 5.3 anni le pazienti trattate con letrozolo hanno ottenuto un miglioramento significativo della SLM4. Su un numero recente del Journal of Clinical Oncology è stata pubblicata da Jin et al una ulteriore analisi dello studio MA-17 con un maggiore follow-up e con l’utilizzo di

due approcci statistici per aggiustare l’effetto potenziale del crossover del trattamento. Ad un follow-up mediano di 64 mesi, il letrozolo rispetto al placebo, con entrambi i metodi statistici (2 diversi modelli di Cox), è risultato essere significativamente superiore in sopravvivenza libera da malattia, in sopravvivenza libera da metastasi ed in sopravvivenza globale. Quindi, gli AI risultano essere fondamentali per le pazienti in post-menopausa con carcinoma mammario ormono-responsivo sia nel migliorare la sopravvivenza libera da malattia sia, per alcuni di essi, nel migliorare la sopravvivenza globale. Sebbene gli studi registrativi non avessero evidenziato una tossicità tale da portare a sospensioni anticipate del trattamento con tali farmaci, negli studi successivi e nell’esperienza clinica una buona parte delle pazienti interrompe la terapia con AI per effetti collaterali quali soprattutto i sintomi muscolo-scheletrici5. Un recente articolo pubblicato da Henry et al sull’ultimo Journal of Clinical Oncology mostra l’entità di queste sospensioni e gli eventuali suggerimenti per evitarle all’interno di uno studio randomizzato che confronta letrozolo verso exemestane in terapia adiuvante. In questo studio , su 503 donne arruolate, il 32.4% delle pazienti ha sospeso il trattamento iniziale con AI entro i 2 anni a causa degli effetti collaterali; il 24.3% in particolare lo ha sospeso per i sintomi muscolo-scheletrici. Il tempo mediano alla sospensione è stato di 6.1 mesi (range 0.1 - 21.2 mesi) ed è stato significativamente più corto nelle pazienti che assumevano exemestane (HR 1.5, p<0.02). La più giovane età e la chemioterapia precedente contenente taxani sono risultati essere due fattori associati ad una maggiore tendenza alla sospensione. Nelle 83 pazienti che hanno scelto di passare all’altro AI, il 38.6% lo ha continuato per una mediana di circa 14 mesi. Quindi, la sospensione anticipata degli AI è un significativo problema e si devono trovare soluzioni efficaci per evitare che le pazienti arrivino a sospendere una terapia fondamentale. Una delle possibili soluzioni suggerite da questo studio è quella di cambiare il farmaco responsabile alla comparsa della tossicità e di sostituirlo con un AI diverso. Selezione Bibliografica Dowsett M, Cuzick J, Ingle J, et al. Meta-analysis of breast cancer outcomes in adjuvant trials of aromatase inhibitors versus tamoxifen. J Clin Oncol 2010; 28: 509-518. 2 Coombes RC, Kilburn LS, Snowdon CF, et al: Survival and safety of exemestane versus tamoxifen after 2-3 years’ tamoxifen treatment (Intergroup Exemestane Study): A ran-

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A domised controlled trial. Lancet 369:559-570, 2007 3 Goss PE, Ingle JN, Martino S, et al: Randomized trial of letrozole following tamoxifen as extended adjuvant therapy in receptor-positive breast cancer: Updated findings from NCIC CTG MA.17. J Natl Cancer Inst 97:1262-1271, 2005 4 Goss PE, Ingle JN, Pater JL, et al: Late extended adjuvant treatment with letrozole improves outcome in women with early-stage breast cancer who complete 5 years of tamoxifen. J Clin Oncol 26:1948-1955, 2008 5 Henry NL, Giles JT, Stearns V: Aromatase inhibitor-associated musculoskeletal symptoms: Etiology and strategies for management. Oncology (Williston Park) 22:14011408, 2008

CHIRURGIA RECENSIONE A CURA DI D. CASELLA , R. SIMONCINI, V. CRISCENTI, F. BELLUCCI Breast Unit AOU Careggi-Firenze

Cordeiro PG, Snell L, Heerdt A, McCarthy C Immediate Tissue Expander/Implant Breast Reconstruction after Salvage Mastectomy for Cancer Recurrence following Lumpectomy/Irradiation Plast Reconstr Surg; 2012 Feb;129(2): 341-350

I

l carcinoma mammario è una neoplasia che richiede, nel suo iter clinico, l’intervento di più competenze specialistiche, al fine di consentire un risultato terapeutico ottimale, sia in termini di sopravvivenza che in termini di qualità di vita. Il trattamento radioterapico costituisce, dopo quello chirurgico e farmacologico, il terzo componente della terapia multimodale delle neoplasie della mammella. Numerosi studi randomizzati hanno dimostrato che la chirurgia conservativa del tumore della mammella è associata al 30-35% di recidive neoplastiche qualora non si associ la radioterapia sulla mammella residua; l’incidenza di recidive locali si riduce invece al 4-7% se l’intervento chirurgico conservativo è seguito dal trattamento radiante. Durante il trattamento radiante o nelle settimane immediatamente successive si possono manifestare alcuni effetti collaterali, in genere di scarsa entità se la radioterapia è stata eseguita correttamente. In fase acuta è frequente la comparsa di eritema cutaneo e l’edema del tessuto mammario residuo, più evidente se la mammella è voluminosa. Tali complicanze minori sono in

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genere transitorie e destinate a risolversi nell’arco di poche settimane. Tra le complicanze tardive, la possibile comparsa di danni miocardici post-irradiazione è sicuramente, seppur rara, una delle più temibili. Il trattamento radioterapico del carcinoma mammario comporta comunemente l’insorgenza di una fibrosi tissutale più o meno marcata a carico dei tessuti compresi nel volume di irradiazione. A maggior rischio, secondo alcuni studi, sono le pazienti precedentemente trattate con chemioterapia adiuvante Se la radioterapia è stata eseguita tecnicamente in modo corretto il grado di fibrosi è comunque in genere modesto. La fibrosi del sottocute e della porzione di ghiandola mammaria residuata all’intervento conservativo è ben visibile ai controlli mammografici, che evidenziano ispessimento del rivestimento cutaneo, retrazioni cicatriziali e distorsioni del parenchima mammario. Tali modificazioni sono clinicamente importanti soprattutto perché possono ostacolare la diagnosi clinico-mammografica di recidive neoplastiche locali o di seconde neoplasie. Sarebbe quindi importante una precisa definizione (con mammografia eseguita a distanza di sei mesi dal termine del trattamento) dei cambiamenti tissutali indotti dalla radioterapia sulla mammella interessata, al fine di poter valutare nel follow-up eventuali ulteriori modificazioni che possano far sospettare recidive neoplastiche. In considerazione di tutto ciò non esiste attualmente uniformità di orientamento in letteratura sull’opportunità, in rapporto alla terapia radiante, di un intervento chirurgico ricostruttivo immediato con espansore/protesi in casi di mastectomia eseguita per recidiva post QUART. Gil Autori analizzano in questo studio le complicanze precoci e tardive delle pazienti sottoposte a mastectomia di salvataggio e ricostruzione immediata con espansore/protesi per recidiva loco-regionale dopo terapia conservativa (lumpectomy/irradiation).


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Storicamente la ricostruzione immediata con presidi protesici in caso di mastectomia post QUART è sempre stata considerata una procedura controversa per l’alto tasso di complicanze (circa 70%) e per gli scadenti risultati estetici. Tuttavia queste considerazioni sono maturate valutando piccoli studi (range pazienti arruolati: 3-35). In questo lavoro sono analizzate 2 coorti di pazienti sottoposte a mastectomia tra il 1997 ed il 2008; la prima costituita da donne sottoposte a mastectomia di salvataggio per recidiva dopo chirurgia conservativa (121) la seconda a mastectomia senza storia clinica di precedenti trattamenti radianti (1578). Per ogni coorte sono analizzate le complicanze precoci e tardive. Per complicanze sono intese: necrosi del flap cutaneo, ematoma, infezione, sieroma, mancata cicatrizzazione, fallimento dell’epansione tissutale. Sono considerate precoci quelle insorte entro il primo anno dall’intervento. A 12 mesi dal primo step ricostruttivo (posizionamento dell’espansore) sono valutate inoltre: contrattura capsulare, eventuali procedure chirurgiche di revisione, risultato estetico e soddisfazione delle pazienti. Tutti i dati sono stati registrati in un data base. Tutte le pazienti sottoposte a ricostruzione hanno ricevuto una mastectomia skin-sparing. L’espansione postoperatoria e’ stata eseguita in accordo con la qualita’ dei tessuti irradiati e in base alla loro tolleranza allo stress meccanico. In assenza di complicanze l’espansione totale veniva raggiunta entro la 14 giornata postoperatoria (l’espansione finale era pari al 20% in più del valore consigliato). Al secondo intervento veniva effettuata rimozione dell’espansore, capsulectomia totale, ricostruzione del solco sottomammario e posizionamento della protesi definitiva. Nel gruppo delle pazienti irradiate è risultato più alto (p _ 0.001; chi-square test) il tasso delle complicanze (29.8% Vs 15.5%). La necrosi del flap cutaneo è risultata essere la complicanza piu’ frequente in entrambe le coorti; nel gruppo delle pazienti irradiate era pari al 18% nelle non irradiate 7.7% (p_ 0.001). Le altre complicanze analizzate non mo-

stravano una incidenza significativamente diversa nei due gruppi. Il Follow-up medio era di circa 45 mesi. Nell’outcome complessivo del risultato estetico il primo parametro analizzato è stato la contrattura capsulare. Il gruppo delle pazienti con recidiva mostrava nel complesso un tasso maggiore di contratture capsulari, ma analizzando quelle di grado III/IV (scala di Baker) che sono le sole clinicamente rilevanti e le sole che incidono sulla qualià di vita e sul risultato estetico, emerge che il tasso nelle pazienti con pregressa terapia conservativa è solo lievemente più alto ma comunque in maniera non statisticamente significativa (6.3%; p _ 0.2, Fisher’s exact test). Anche la valutazione del risultato estetico mostra come non esistano tra i due gruppi differenze significative relativamente alla percentuale dei risultati definiti come buoni o eccellenti anche se nel gruppo delle non irradiate la proporzione dei risultati eccellenti era superiore in maniera significativa (p _ 0.039, Mann-Whitney U test). Nell’analisi statistica non esistono differenze relative alla percentuali di interventi di salvataggio con latissimus dorsi flap o rectus abdominis musculocutaneous flap e addirittura risulta lievemente piu’ alto il tasso dei reinterventi nel gruppo delle non irradiate per ottimizzare il risultato estetico dopo impianto di protesi definitiva. Nel complesso l’84% delle pazienti irradiate ed il 90% delle non irradiate sono rimaste soddisfatte del risultato estetico ed il 92% ed il 95% di esse, rispettivamente, si sottoporrebbe ancora allo stesso tipo di iter chirurgico ricostruttivo. Considerando i risultati di queste due serie di pazienti l’Autore conclude che in pazienti ben selezionati l’opzione ricostruttiva con espansore/protesi puo’ essere proposta anche in caso di pregressi trattamenti radianti avendo cura di valutare nel preoperatorio la qualità dei tessuti irradiati, il tempo intercorso dal trattamento radioterapico, l’estensione delle cicatrici e fattori di rischio generici come fumo, diabete e vasculopatie. Cordeiro sottolinea come debba essere prospettato a questa pazienti precedentemente sottoposte a lumpectomy un risultato estetico lievemente peggiore rispetto alla coorte delle non irradiate. Queste conclusioni sono in netto contrasto con quanto riportato fino ad oggi in letteratura, ma come precedentemente accennato dobbiamo considerare che gli studi precedenti avevano un numero molto modesto di pazienti arruolati, non risultavano omogenei per criteri di selezione (cicatrici, fumo, diabete, qualità dei tessuti, dosaggi radioterapici), avevano un follow-up più breve ed erano relativi a casi irradiati con tecnologie diverse da quelle disponibili a partire dalla metà degli anni novanta. Alcune considerazioni sono certamente stimolate dall’espe-

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A rienza del Dr Cordeiro e Colleghi. La prima è che sarebbe stato molto interessante confrontare i 121 casi delle pazienti irradiate con una coorte di pazienti con la stessa problematica oncologica ma sottoposte a ricostruzione con tessuti autologhi peduncolati (LDF, TRAM). Ad oggi, infatti, tale approccio ricostruttivo sembra essere il più adatto a garantire un buon risultato nelle donne candidate a mastectomia post QUART. Da una casistica così consistente avremmo desiderato anche una valutazione riguardo al ruolo dell’innesto del tessuto adiposo in sede periprotesica ad esempio confrontando i gruppi delle due coorti con contrattura capsulare di tipo III/ IV sottoposti o no a tale procedura. L’ultima considerazione riguarda la non chiara metodologia di valutazione della soddisfazione delle pazienti ed in particolare vari lavori presenti in letteratura hanno mostrato come il giudizio delle pazienti interrogate riguardo all’outcome ricostruttivo in presenza del chirurgo sono portate ad esprimere giudizi molto migliori rispetto al giudizio espresso in assenza dell’operatore. Per quello che riguarda le prospettive future sarà importante valutare nuove metodiche ricostruttive che a nostro avviso avranno un ruolo nel migliorare ulteriormente la soddisfazione delle pazienti mastectomizzate dopo RT e ricostruite con protesi e ci riferiamo all’uso delle mesh biologiche, sintetiche e le matrici dermiche acellulari. Selezione Bibliografica - Endress R, Choi MS, Lee GK. Use of fetal bovine acellular dermal xenograft with tissue expansion for staged breast reconstruction. Ann Plast Surg. 2012 Apr;68(4):338-41. - Romics L Jr, Chew BK, Weiler-Mithoff E, Doughty JC, Brown IM, Stallard S, Wilson CR, Mallon EA, George WD. Ten-year follow-up of skin-sparing mastectomy followed by immediate breast reconstruction. Br J Surg. 2012 Feb 24. doi: 10.1002/bjs.8704. - Zurrida S, Bassi F, Arnone P, Martella S, Del Castillo A, Ribeiro Martini R, Semenkiw ME, Caldarella P. The Changing Face of Mastectomy (from Mutilation to Aid to Breast Reconstruction). Int J Surg Oncol. 2011;2011:980158. - Carlson GW. Technical advances in skin sparing mastectomy. Int J Surg Oncol. 2011;2011:396901. Epub 2011 Apr 28.

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CHIRURGIA PLASTICA RECENSIONE A CURA DI M.B. NAVA E J. OTTOLENGHI Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Singh K A, Losken A Additional Benefits of Reduction Mammaplasty: A Systematic Review of the Literature Plastic & Reconstructive Surgery March 2012; 129(3): 562570

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a mastoplastica riduttiva è un intervento molto diffuso (sono stati circa 80.000 gli interventi effettuati negli USA durante il 2009). Gli autori hanno compiuto una revisione sistematica della letteratura sugli articoli pubblicati tra il 1977 ed il 2010 che valutassero il miglioramento dei sintomi fisici e psicologici ed il miglioramento della qualità della vita, attraverso l’uso di questionari validati. Per quanto riguarda i sintomi fisici le pazienti sottoposte a mastoplastica riduttiva hanno presentato: - importante riduzione del dolore lombare, cervicale e alle spalle; miglioramento della funzione dei muscoli romboide e trapezio; miglioramento della mobilità di testa e collo; - riduzione dei sintomi di cefalea cronica ed emicrania, miglioramento della nevralgia occipitale presente quasi nel 90% delle pazienti affette da macromastia; miglioramento della funzione polmonare, del picco di flusso espiratorio ed inspiratorio; miglioramento dei disturbi del sonno con ampi benefici per la salute delle pazienti; - miglioramento della sorveglianza oncologica; dopo gli interventi le pazienti hanno ritenuto più facile eseguire l’autopalpazione; la mastoplastica riduttiva riducendo la massa di tessuto potrebbe comportare una riduzione del rischio di malattia o addirittura la asportazione dei lesioni pre-maligne o maligne occulte, come è stato rivelato in alcuni casi dall’esame istologico compiuto sui tessuti asportati.


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Per quanto riguarda gli effetti sul peso, sull’esercizio fisico e sul comportamento alimentare si è osservato che la mastoplastica riduttiva: - ha rappresentato uno stimolo per la perdita di peso; - ha reso più facile e conseguentemente più regolare la pratica di esercizio fisico; - ha contribuito a ridurre ed in molti casi ad eliminare i disordini alimentari conseguenti o legati alla presenza di macromastia (alcune pazienti si sovraalimentano nel tentativo di mascherare un seno troppo grande o riducono la loro alimentazione nel tentativo di ridurre le dimensioni del loro seno). Numerosi sono stati anche i benefici psicologici osservati: - miglioramento dei sintomi spesso presenti di ansia e di depressione; - notevole aumento dell’autostima (osservabile già nei primi mesi post intervento); - miglioramento generale della qualità di vita; in molti casi il miglioramento dei dolori e del disagio legati alla macromastia, dopo l’intervento, hanno portato effetti positivi sulla pratica di esercizio fisico, sulla salute e sulla sensazione di benessere, sulla fiducia in se stessi, con un miglioramento della qualità di vita in generale ed in particolare della femminilità, con una maggiore facilità di relazioni interpersonali e minori occasioni di disagio in situazioni sociali o intime; - miglioramento della funzione sessuale. Si può concludere che la mastoplastica riduttiva non comporti solo un miglioramento estetico, ma anche numerosi benefici di diversa natura.

zione unica ai vari problemi derivanti da una insufficienza di tessuto di copertura o di sostegno. Il concetto di un reggiseno interno naturale è una idea molto interessante sia per i chirurghi che per le pazienti. Problemi quali il rippling, la dislocazione protesica e la contrattura capsulare hanno trovato una soluzione potenziale nell’ ADM. Estendendo queste possibilità alla chirurgia ricostruttiva l’ADM può permettere ricostruzioni immediate in un solo tempo con aspetto naturale anche in situazioni in cui precedentemente si doveva ricorrere alla ricostruzione in due tempi. Come per tutte le novità alcuni aspetti sono ancora controversi, mancano indicazioni definite rigorosamente per ogni potenziale indicazione nonostante l’utilità dimostrata da una ampia esperienza clinica; mentre i dati degli studi clinici, quando presenti, mancano di una precisa definizione dei criteri di inclusione ed esclusione e di una follow-up sul lungo termine. Questa monografia si propone di illustrare lo stato dell’arte dell’uso di ADM in chirurgia della mammella e potrebbe rappresentare una guida per i futuri sviluppi clinico scientifici a tale riguardo. Paraskevas A & Sabri E A simple and easy technique to correct inverted nipple deformities Eur J Plast Surg Online First™, 28 February 2012

A cellular Dermal Matrices in Breast Surgery Clinics in Plastic Surgery April 2012; Vol 39, No. 2: 103-220

Il capezzolo introflesso è una condizione abbastanza frequente dovuta principalmente alla presenza di dotti galattofori troppo corti associati talvolta a fibrosi periduttale e deficit di tessuti molli al di sotto della base del capezzolo. Numerose sono le tecniche descritte per correggere questa situazione. L’ultima, in ordine cronologico, è stata pubblicata online il 28 febbraio 2012 dallo European Journal of Plastic Surgery. In anestesia locale, il capezzolo viene sollevato con un uncino, quindi attraverso sei piccole incisioni distribuite sulla circonferenza alla base del capezzolo, con delle piccole forbici si libera il tessuto fibroso al di sotto del capezzolo; una sutura a borsa di tabacco in PDS condotta attraverso le piccole incisioni ha la funzione di chiudere lo spazio morto al di sotto del capezzolo e mantenere la ritrovata proiezione. Gli autori ritengono fondamentale la medicazione effettuata con l’uso della guarnizione in gomma, bucata al centro, di una siringa da 60 cc. che permette di mantenere il capezzolo estroflesso con un punto in seta 2-0, da non rimuovere per almeno due settimane.

L’ultimo numero di Clinics in Plastic Surgery è interamente dedicato all’uso delle matrici di derma acellulare (ADM) in chirurgia della mammella, che risulta essere sempre più diffuso. In presenza di protesi, può rappresentare una solu-

Selezione Bibliografica Nava MB, Pennati AE, Lozza L et al Outcome of Different Timings of Radiotherapy in ImplantBased Breast Reconstructions

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Plastic & Reconstructive Surgery. 128(2):353-359, August 2011. Spear SL, Willey SC, Feldman Ed et al Nipple-Sparing Mastectomy for Prophylactic and Therapeutic Indications Plastic & Reconstructive Surgery November 2011; 128(5): 1005-1014

ECOGRAFIA SENOLOGICA RECENSIONE A CURA DI A.M GUERRIERI*, F. MUSCARNERI** *Servizio Autonomo di Radiologia ad Indirizzo Senologico - SARIS Centro di Riferimento Regione Puglia - A.O.U. Policlinico di Bari **Istituto di Radiologia Univ - A.O.U. Policlinico di Palermo

Crouzet C, Gangloff D, Chaput B, Grolleau JL, Garrido I Bilan à 18 mois du retrait du marchè des prostheses Poly Implant Prothèse. Expérience d’un centre anticancéreux Ann Chir Plast Esthet 2012 Feb; 57 (1): 9-15 Carillon MA, Giard S, Emmanuelli V, Houpeau JL, Ceugnart L, Chauvet MP Alerte sanitaire et implants mammaires PIP: experience du centre regional de lutte contre le cancer de Lille Bull Cancer 2012; 99:147-53

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’impianto chirurgico di protesi composte da materiale non conforme agli standard internazionali, è argomento controverso e di grande interesse da parte della comunità scientifica internazionale e delle istituzioni sanitarie preposte al controllo. All'inizio del 2010 l'Agenzia francese di sicurezza sanitaria dei prodotti sanitari (AFSSAP) allertava con una pubblicazione e decideva di sospendere la distribuzione e l'utilizzazione di impianti protesici mammari al gel di silicone fabbricato dalla società Poly Implant Prothese (PIP); ciò dopo aver verificato un aumento percentuale di rottura di parete dell'impianto più frequente rispetto ad altre aziende produttrici. Non sono stati riscontrati effetti citotossici sui tessuti e prove di maggior rischio di cancerogenicità, ma viene descritto rispetto ad altri impianti un potere irritante del gel PIP con conseguenti reazioni infiammatorie. In seguito a tali contestazioni in Francia è stato raccomandato il richiamo e lo studio di tutte le pazienti con protesi PIP

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e da aprile 2011, dopo un anno dal ritiro dal commercio del prodotto, si invitano le pazienti che non si sottopongono alla sostituzione dell'impianto ad effettuare un esame clinico ed ecografico semestrale. In Italia il Ministero della Salute già nell’aprile del 2010 disponeva il ritiro delle PIP ed il Consiglio Superiore di Sanità nel dicembre 2011 esprimeva parere sui relativi rischi per la salute raccomandando ai centri dove sono stati eseguiti gli impianti di essere parte attiva nel richiamare le pazienti e specificava che il SSN si farà carico degli interventi medico/ chirurgici in casi con indicazione clinica specifica. Ciò premesso segnaliamo due studi retrospettivi, condotti in Francia su donne con protesi PIP, la cui lettura è occasione utile a cogliere alcuni interessanti spunti di riflessione sugli aspetti clinici, le problematiche diagnostiche, il trattamento chirurgico ed il management di queste pazienti. Particolarmente attenta l'analisi condotta presso il Dipartimento di Senologia del Centre Oscar-Lambert di Lille, pur su una serie limitata di casi: 33 protesi PIP (4% del totale) impiantate in 31 pazienti tra il Maggio 2006 e il Marzo 2010. Su 29 donne rispondenti al richiamo, dopo il consulto il 66% ha optato per una sorveglianza e 34% per la sostituzione. Di 8 protesi espiantate, 3 (37,5%) mostravano la rottura. Ispessimento periprotesico e il riscontro di falda liquida periprotesica, sono i segni ecografici descritti da considerarsi non specifici in caso di rottura dell'impianto (1-3) e relativi ad una maggiore permeabilità del gel attraverso la parete per le pazienti in sorveglianza (2/18) sottoposte anche ad RM per conferma della integrità di parete. Gli Autori riportano un utile confronto dei valori di accuratezza delle diverse metodiche diagnostiche: ecografia, mammografia, RM, in particolare è interessante osservare che la sensibiltà dell'ecografia (metodica di prima scelta nello studio della complicanza) è relativa al tipo di rottura dell'impianto: extra o intracapsulare e ciò condiziona i differenti risultati ottenuti da diversi Autori negli studi citati e ad oggi


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Jorgensen KJ, Zahl PH, Gotzsche PC Breast cancer mortality in organized mammography screening in Denmark: comparative study BMJ 2010 Mar 23; 340: c1241 Autier P, Boniol M, Gavin A, Vatten LJ Breast cancer mortality in neighbouring European countries with different levels of screening but similar access to treatment: trend analysis of WHO mortality database. BMJ 2011 Jul 28; 343: d4411

pubblicati. Il fenomeno della trasudazione di silicone attraverso la parete di una protesi PIP intatta, riferita dai differenti centri francesi e osservata solo dopo l'espianto, sarebbe la plausibile giustificazione di un fenomeno considerato precoce (entro 3 anni dall'impianto) e pertanto di difficile diagnosi clinico-strumentale. Per questo motivo nel 2011 l'AFSSAPS raccomandava dei prelievi istologici e immunoistochimici sul guscio protesico nei casi di evidente infiammazione del tessuto periprotesico durante l'espianto di PIP. In considerazione delle esperienze francesi riportate in letteratura, da cui emergono comunque degli interrogativi sul protocollo di sorveglianza e sulla raccomandazione all’espianto delle protesi PIP, riteniamo sia certamente auspicabile un sollecito confronto tra differenti studi i cui risultati consentano di personalizzare le raccomandazioni alla pazienti con PIP in base alle differenti esigenze cliniche evitando così di suggerire, solo a scopo precauzionale, trattamenti invasivi e di ricorrere ad una medicina esclusivamente difensiva. Selezione bibliografica Cho JJ, Lee JH, Kang BJ et al Clinical and imaging characteristics of Polymplant Prosthesis hydrogel breast implants J Comput Assist Tomogr 2010 May- June; 34 (3) 449-55

EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE RECENSIONE A CURA DI D. PULITI, M. ZAPPA SC Epidemiologia Clinica e Descrittiva, ISPO, Firenze

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’efficacia dei programmi di screening mammografico, nel ridurre la mortalità per tumore della mammella, è stata recentemente messa in discussione in seguito alla pubblicazione di alcuni studi osservazionali che analizzano l’andamento dei trend di mortalità per tumore della mammella. Nel primo studio (Jorgensen, 2010), viene analizzato l’andamento dei tassi di mortalità per tumore della mammella in Danimarca, confrontando la variazione percentuale annua osservata nelle aree dove è attivo un programma di screening mammografico (Copenhagen and Funen) con quella osservata nelle aree senza un programma di screening (il resto della Danimarca). Gli autori osservano una simile riduzione temporale della mortalità per tumore della mammella nelle aree con e senza screening e concludono che la riduzione di mortalità osservata è da attribuire più probabilmente al cambiamento dei fattori di rischio e/o ad un miglioramento del trattamento piuttosto che allo screening mammografico. Autier e colleghi (2011) hanno confrontato i trend di mortalità per tumore della mammella in tre coppie di paesi limitrofi (Svezia e Norvegia; Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese; Belgio e Paesi Bassi); ciascun confronto include un paese che ha introdotto lo screening mammografico alcuni anni prima dell’altro paese. Analizzando i tassi di mortalità tra il 1989 e il 2006, gli autori osservano un simile trend di riduzione della mortalità per tumore della mammella in ciascuna coppia di paesi e concludono che l’andamento dei tassi di mortalità è più probabilmente influenzato dai miglioramenti terapeutici che dallo screening mammografico. Entrambi questi studi sono di tipo osservazionale che analizzano la correlazione temporale tra due aggregati statistici. Questo è un tipo di approccio debole per mettere in evidenza un’eventuale relazione causale tra il programma di screening e l’andamento dei tassi di mortalità. Inoltre essi confrontano aree molto grandi e molto eterogenee. E’ importante notare che un effetto sulla mortalità è stato osservato quando si confrontano piccole aree omogenee tra loro. Per esempio, confrontando l’andamento dei tassi di

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A mortalità in due aree della provincia di Firenze, dove il programma di screening è stato implementato in tempi diversi (in un’area all’inizio degli anni Settanta e nell’altra all’inizio degli anni Novanta), è stato dimostrato che la riduzione di mortalità attribuibile all’attivazione del programma di screening è di circa il 30%1. Le analisi dei trend di tumore della mammella effettuate su aree molto ampie non sono “convincenti” a causa di una lunga serie di carenze metodologiche che discuteremo di seguito. Primo, gli autori non distinguono le morti per tumore della mammella attribuibili ad una diagnosi precedente l’introduzione dello screening dalle morti attribuibili ad una diagnosi successiva allo screening. E’ ovvio che lo screening non può avere un effetto di riduzione della mortalità sulle donne che avevano già una diagnosi di tumore al momento dell’introduzione del programma. Il modo corretto di effettuare l’analisi è utilizzare il metodo della “incidence-based mortality”, che considera solo le morti per tumore della mammella in donne con una diagnosi successiva alla data del primo invito del programma di screening. Secondo, essi non tengono in considerazione il fatto che solo una parte delle donne residenti nell’area di screening sono realmente “screenate”. Infatti, non tutte le donne della popolazione target sono realmente invitate (per esempio durante la fase di implementazione del programma di screening) e solo una proporzione di donne invitate effettua un test di screening (in accordo alla compliance). Per ottenere una stima attendibile dell’effetto sulla mortalità, è necessario conoscere la storia individuale di screening di ciascuna donna in modo da poter classificare correttamente l’esposizione. Inoltre, anche se il confronto tra il gruppo “screenato” e “non screenato” è fatto correttamente, l’interpretazione dei trend di mortalità rimane una questione molto complessa. Com’è noto, infatti, i tassi di mortalità dipendono sia dall’incidenza che dalla sopravvivenza. Qualsiasi cambiamento nel tempo dei tassi di incidenza di carcinoma mammario influenzerà la mortalità causa-specifica dei successivi anni. Il secondo determinante della mortalità, la sopravvivenza per carcinoma mammario, può essere a sua volta modificata in due diversi modi: l’anticipazione della diagnosi attraverso un test di screening ed il miglioramento della terapia. Tutti questi fattori (variazioni dell’incidenza, dello stadio alla diagnosi e del regime terapeutico) interagiscono tra di loro e modificano i tassi di mortalità degli anni successivi. La sfida è riuscire a stimare il contributo relativo di ciascuno di questi fattori nella riduzione della mortalità per carcinoma mammario. Dati tutti questi limiti metodologici degli studi di correlazione temporale, l’interpretazione dei trend dei tassi di mor-

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talità per carcinoma mammario come predizione dell’impatto dello screening mammografico sulla mortalità deve essere fatta con grande cautela. Conclusione In conclusione, nonostante i tassi di incidenza per tumore della mammella siano in aumento, stiamo osservando un declino della mortalità causa-specifica. Quando appropriati approcci metodologici sono stati utliizzati (studi casocontrollo2 o studi di coorte “incidence-based mortality”3-4, è risultato evidente che la diagnosi precoce ed i programmi di screening organizzati hanno contribuito sostanzialmente a questa riduzione. L’analisi dei trend di mortalità è un buon metodo statistico per descrivere quello che sta succedendo ma non può essere usata per studiare relazioni di tipo causale. Infatti, date tutte le carenze metodologiche discusse, risulta evidente che l’analisi dei trend non è in grado di mettere in evidenza l’effetto indotto da un programma di screening sulla mortalità e pertanto non può essere usata per dimostrare l’assenza di efficacia. Bibliografia 1 Gorini G, Zappa M, Miccinesi G, Paci E, Costantini AS. Breast cancer mortality trends in two areas of the province of Florence, Italy, where screening programmes started in the 1970s and 1990s. Br J Cancer 2004; 90(9):1780-3. 2 Paap E, Verbeek AL, Puliti D, Paci E, Broeders MJ. Breast cancer screening case-control study design: impact on breast cancer mortality. Ann Oncol 2011, 22: 863-9. 3 Paci E, Duffy SW, Giorgi D, Zappa M, Crocetti E, Vezzosi V, Bianchi S, del Turco MR. Quantification of the effect of mammographic screening on fatal breast cancers: The Florence Programme 1990-96. Br J Cancer 2002, 87: 65-9. 4 Olsen AH, Njor SH, Lynge E. Estimating the benefits of mammography screening: the impact of study design. Epidemiology 2007, 18: 487-92.


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A

GENETICA RECENSIONE A CURA DI M.L. BRANDI Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Firenze

Heyn H, Engelmann M, Schreek S, et al MicroRNA miR-335 is crucial for the BRCA1 regulatory cascade in breast cancer development Int J Cancer 2011 Dec 15;129(12): 2797-806

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microRNA (miRNA) sono RNA non codificanti che regolano negativamente, a livello post-trascrizionale, l’espressione di numerosi geni. I miRNA regolano numerosi ed importanti processi biologici, quali il ciclo cellulare e la differenziazione. Una deregolazione della normale espressione dei miRNA nella cellula è stata associata allo sviluppo di tumori in numerosi tessuti, nei quali i miRNA possono agire sia come onco-soppressosi che come oncogeni, modificando la funzionalità di numerose vie molecolari. Il tumore mammario origina dalla deregolazione di una cellula epiteliale duttale tramite un processo multistep in cui lo stimolo deregolativo iniziale e le varie fasi di sviluppo del tumore sono entrambi ancora poco conosciuti. Il tumore mammario si presenta in due forme distinte: una forma ereditaria (caratterizzata da mutazioni germinali dei geni BRCA1 e BRCA2) ed una forma sporadica, molto più comune, raramente associata a mutazioni del gene BRCA1 ma nella quale è stata comunque spesso riscontrata una riduzione dell’espressione di BRCA1 stesso. Una delle ipotesi avanzate dagli scienziati e che i miRNA possano essere responsabili della regolazione dell’espressione di BRCA1 e/o di altri fattori importanti nelle vie regolatorie, controllate da BRCA1. In conseguenza di

ciò, questi piccoli RNA non codificanti potrebbero essere fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi cellulare nel tessuto mammario, ed una loro deregolazione risulterebbe associata allo sviluppo ed alla progressione tumorale. In partcolare, questo studio ha analizzato il ruolo del miR-335 nello sviluppo di tumore mammario sporadico ed il suo possibile coinvolgimento nella regolazione delle vie molecolari regolate dall’onco-soppressore BRCA1. L’importanza del miR-335 nello sviluppo del tumore mammario sporadico è stata, in primis, confermata dal fatto che in campioni di tumori primari sporadici mammari l’espressione del miR-335 sia risultata notevolmente ridotta rispetto ai corrispettivi controlli sani. E’ interessante notare che i livelli di espressione di miR335 correlano positivamente con i livelli di BRCA1, e quindi miR-355 agisce da onco-soppressore andando a bloccare diversi fattori coinvolti nella cascata regolativa di BRCA1. Questo studio ha dimostrato, mediante trasfezione in specifici modelli cellulari di tumore mammario, che una over-espressione di miR-355 porta ad una ridotta crescita cellulare ed ad un incremento dell’apoptosi, riducendo il rischio tumorale e suggerendo un’azione onco-protettiva di questo fattore. I risultati di questo studio confermano il ruolo cruciale svolto dai miRNA nei processi tumorali, indicandoli come possibili fattori prognostici della patologia e del suo grado di sviluppo, ma anche come potenziali bersagli molecolari per mirate terapie geniche e farmacologiche. Selezione bibliografica Elsarraj HS, Stecklein SR, Valdez K, Behbod F. Emerging Functions of microRNA-146a/b in Development and Breast Cancer : MicroRNA-146a/b in Development and Breast Cancer. J Mammary Gland Biol Neoplasia. 2012 Feb 19. Piao HL, Ma L. Non-Coding RNAs as Regulators of Mammary Development and Breast Cancer. J Mammary Gland Biol Neoplasia. 2012 Feb 17. [Epub ahead of print] Zhang S, Kim K, Jin UH, Pfent C, Cao H, Amendt B, Liu X, Wilson-Robles H, Safe S. Aryl hydrocarbon receptor agonists induce microRNA-335 expression and inhibit lung metastasis of estrogen receptor negative breast cancer cells. Mol Cancer Ther. 2012 Jan;11(1):108-18.

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IMMUNOLOGIA RECENSIONE A CURA DI A. BALSARI SC Biologia Molecolare, Dip. Di Oncologia Sperimentale, Fondazione IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Martin-Padura I, Gregato G, Marighetti P et al The white adipose tissues used in lipotransfer procedures is a rich reservoir of CD34+ progenitors able to promote cancer progression Cancer Res 2012; Jan 1; 72(1): 325-334

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n questo lavoro si evidenzia la presenza di cellule staminali endoteliali anche nel tessuto adiposo bianco (WAT), anzi in questo tessuto rispetto al tessuto midollare, queste cellule sono molto più numerose ed esprimono livelli più elevati di geni implicati nell’angiogenesi e del gene FAPalfa, implicato nella soppressione della risposta immunitaria antitumorale. In topi immunodeficienti l’inoculo di queste cellule staminali endoteliali ottenute dal tessuto adiposo insieme a cellule tumorali determina un incremento della vascolarizzazione, della crescita e della metastatizzazione tumorale. Questi dati, pur con il limite di essere stati ottenuti in un modello sperimentale immunodeficiente, indicano la necessità di studi approfondi sul ruolo delle diverse cellule presenti nel WAT, per definire quali possano essere utilizzate senza rischi per la ricostruzione del seno nei pazienti con carcinoma mammario. Faget J, Biota C, Bachelot T et al Early detection of tumor cells by innate immune cells leads to Treg recruitment through CCL22 production by tumor cells Cancer Research 2011; Oct 1. 71(19): 6143-6152 Le cellule tumorali sfuggono all’attacco del sistema immunitario attivando meccanismi diversi che determinano uno spegnimento della risposta immune anti-tumore. In questo studio, condotto in linee di carcinoma mammario e in campioni di tessuto tumorale mammario umano, viene evidenziato come le cellule tumorali producendo la chemochina CCL22 in risposta a segnali infiammatori, inducano un reclutamento di linfociti T regolatori ad attività soppressiva. Lo studio descrive come siano le cellule immunitarie attivate per contrastare la crescita tumorale negli stadi iniziali di tumorigenesi ad indurre la produzione di CCL22. Infatti, le cellule NK riconoscendo le cellule epiteliali mammarie rilasciano IFN-gamma, che a sua volta porta al rilascio di IL-1beta e TNF-alfa da parte dei monociti e macrofagi re-

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sidenti. Queste citochine infiammatorie inducono la produzione di CCL22 da parte del tumore, che porta ad un reclutamento dal sangue di linfociti T regolatori. L’ambiente tollerogenico così ottenuto consente l’evasione del tumore dall’ iniziale risposta immunitaria protettiva. Hubert P, Heitzmann A, Viel S et al Antibody-dependent cell cytotoxicity synapses form in mice during tumor-specific antibodyimmunotherapy Cancer Research 2011; 71(15): 5134-5143 L’ADCC si attua quando un anticorpo riconosce un antigene sulla membrana di una cellula e reagisce con essa, lasciando libera la sua frazione Fc. Le cellule con capacità citotossica e recettori per Fc, come le cellule NK ed i macrofagi, si uniscono al Fc del anticorpo e producono fattori citotossici per la cellula bersaglio. Nel presente lavoro si fa luce proprio su questo processo studiando l’effetto biologico di un anticorpo monoclonale diretto contro un glicopeptide denominato “Tn” espresso da numerosi tumori. Gli autori dimostrano che l’efficacia di questo anticorpo risiede unicamente nella sua capacità di mediare ADCC. Attraverso esperimenti di microscopia vengono descritte le interazioni che intercorrono tra la cellula neoplastica e le cellule del microambiente tumorale. L’interazione tra le cellule infiltranti e il tumore determina la formazione di particolari strutture denominate “ADCC synapses” che ricordano le sinapsi immunologiche descritte per i linfociti, in questo modo il sistema immunitario prende diretto contatto con la cellula tumorale e può esercitare la sua funzione citotossica. Ciò che maggiormente sorprende è che in questo modello il contributo sostanziale all’effetto terapeutico viene apportato non dalle cellule NK, ma dai macrofagi, i granulociti e i linfociti B. Infine viene osservato che, benchè questo anticorpo non sia particolarmente efficace come singolo agente in vivo, quando è combinato con la ciclofosfamide determina una incremento. La spiegazione di ciò potrebbe risiedere nel


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Breast cancer research and treatment 2011; 127(3) Ademuyiwa FO, Miller A, O'Connor T, et al The effects of oncotype DX recurrence scores on chemotherapy utilization in a multi-institutional breast cancer cohort Breast Cancer Research & Treatment 2011; 126(3)

fatto che la ciclofosfamide è in grado di esercitare importanti effetti a livello del sistema immunitario come il rilascio di citochine da parte del midollo osseo che potrebbero attivare i macrofagi e i granulociti. Questo lavoro aggiunge quindi nuove informazioni sui meccanismi molecolari che governano il cross-talk tra sistema immunitario e tumore.

LABORATORIO RECENSIONE A CURA DI M. GION*, M.G. DAIDONE**, M. DE BORTOLI***, A. PARADISO**** * Centro Regionale Specializzato Biomarcatori/Consorzio Istituto Oncologico Veneto IRCCS - Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda ULSS 12 - Venezia ** Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano *** Centro Interdipartimentale Sistemi Complessi in Biologia e Medicina Molecolare SysBioM - Università degli Studi di Torino **** Direzione Scientifica e Unità Operativa Laboratorio di Oncologia Sperimentale Clinica - Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” IRCCS - Bari

GENE EXPRESSION PROFILING Hall PS, McCabe C, Stein RC, Cameron D Economic evaluation of genomic test-directed chemotherapy for early-stage lymph node-positive breast cancer. J Natl Cancer Inst 2012 Jan 4;104(1): 56-66 Epub 2011 Dec 2 Kondo M, Hoshi SL, Yamanaka T, Ishiguro H, Toi M Economic evaluation of the 21-gene signature (Oncotype DX) in lymph node-negative/positive, hormone receptor-positive early-stage breast cancer based on Japanese validation study (JBCRG-TR03) 150

La rassegna di questo numero vuole portare l’attenzione su numerosa letteratura apparsa in questi ultimi mesi finalizzata a fare il punto sul gene expression profiling del tumore della mammella in un’ottica particolarmente attenta al rapporto costo/efficacia nell’introduzione routinaria di questo tipo di test diagnostici. Alcune delle evidenze riportate nella selezione bibliografica testimoniano senz’altro l’efficacia della caratterizzazione genica ai fini più accurata selezione terapeutica su base individuale. Ademuyiwa et al, riportano che la determinazione del Oncotype Dx (ODX) comporta una variazione del piano terapeutico nel 38% delle donne. Oratz et al, in un censimento della pratica clinica rilevano che l’uso del test ha comportano un cambiamento nelle decisioni terapeutiche nel 51% dei casi; in particolare nel 33% delle donne l’intensità del trattamento è stata ridotta da chemioterapia più ormonoterapia a sola ormonoterapia. Abbiamo tuttavia in particolare selezionato tre articoli che hanno analizzato il problema del costo-efficacia secondo diverse prospettive nazionali. Lo studio di Hall et al. riporta l’esperienza del Regno Unito. Gli autori, partendo dal presupposto che l’uso del test Oncotype DX 21-geni può ridurre la somministrazione di chemioterapia non necessaria, analizzano il costo della chemioterapia guidata dal test genetico nei confronti del costo della chemioterapia somministrata a tutti i casi elegibili di carcinoma mammario iniziale con linfonodi negativi e recettori per estrogeni positivi. L’esito primario dello studio, rappresentato del rapporto costo-efficacia incrementale, espresso come costo per anno di vita pesato per qualità di vita (QALY), è risultato di US$ 8852, con una probabilità che il trattamento guidato dal test sia costo-efficace di 0.60 data una disponibilità ad accettare una soglia di US$ 48 000 per QALY. Gli autori concludono che c’è una sostanziale incertezza sul costo-efficacia della selezione delle pazienti da sottoporre a chemioterapia sulla base di questo test. Lo studio di Kondo et al riporta invece l’analisi costo-efficacia secondo la prospettiva del sistema sanitario giapponese, con lo scopo di verificare la possibile rimborsabilità del test. Anche lo studio giapponese considera come endpoint il rapporto costo-efficacia incrementale, espresso come costo per QALY. Lo studio include i casi con carcinoma mammario

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A iniziale con recettori per estrogeni positivi, ma linfonodi sia negativi che positivi. Lo studio dimostra un costo-efficacia incrementale complessivo di US$ 5685 per QALY e di US$ 3848 per QALY nelle donne con linfonodi negativi. Secondo lo studio giapponese in entrambi i casi il vantaggio è evidente data una disponibilità in Giappone ad accettare una soglia di US$ 50000/QALY nella scelta di introdurre un intervento medico innovativo. Differentemente dallo studio condotto nel Regno Unito, lo studio giapponese conclude quindi che la inclusione del test è vantaggiosa nel sistema assicurativo giapponese sia nelle donne con linfonodi negativi che in quelle con linfonodi positivi. Il terzo studio selezionato (Vanderlaan et al) analizza il rapporto costo-efficacia nello scenario sanitario degli USA. Lo studio prende in considerazione le donne con tumore mammario iniziale (fino a 3 linfonodi positivi, ER positivi e HER2 negativi) e dimostra che le pazienti sottoposte al test avrebbero un guadagno di 0.127 QALY con un risparmio di US$ 4359 per anno dovuto a minor somministrazione di chemioterapia, riduzione di eventi avversi, minor necessità di terapie di supporto e riduzione di neoplasie secondarie. Anche lo studio statunitense conclude che l’uso del test nella tipologia di pazienti valutate, migliora gli esiti sulla salute senza indurre costi addizionali. Dagli studi riportati sembra di poter concludere che una decisione circa l’opportunità di introdurre il test nella pratica clinica non possa prescindere da una analisi condotta all’interno della cornice di riferimento nazionale, nella quale si tenga conto di bisogni, criteri di valutazione di efficacia e risorse, definendo in modo preciso la o le sottocategorie di pazienti nelle quali il beneficio del test sia certo. Inoltre, sempre in una prospettiva di applicazione clinica, è necessario considerare i vantaggi addizionali realmente forniti dal nuovo test quando confrontatolo con i test già disponibili (vedere il lavoro di Cuzick et al, 2011 riportato in selezione) e valutarne accuratamente le performance analitiche e l’accuratezza diagnostica in relazione ai test standard di riferimento per singolo analita (vedere al proposito il vedere il lavoro di Dabbs et al, 2011 riportato in selezione). In sintesi, i test di espressione multigenica dovrebbero essere sottoposti ad un percorso di Health Thecnology Assesment prima di essere raccomandati per la pratica clinica. Selezione Bibliografica

positive breast cancers? Am Surg 2011 Oct; 77(10): 1364-1367 Oratz R, Kim B, Chao C, Skrzypczak S, Ory C, Bugarini R et al Physician survey of the effect of the 21-gene recurrence score assay results on treatment recommendations for patients with lymph node-positive, estrogen receptor-positive breast cancer Journal of oncology practice/American Society of Clinical Oncology 2011; 7(2) Tang G, Shak S, Paik S et al Comparison of the prognostic and predictive utilities of the 21gene Recurrence Score assay and Adjuvant! for women with node-negative, ER-positive breast cancer: results from NSABP B-14 and NSABP B-20 Breast Cancer Research & Treatment 2011; 127(1) Cuzick J, Dowsett M, Pineda S et al Prognostic value of a combined estrogen receptor, progesterone receptor, Ki-67, and human epidermal growth factor receptor 2 immunohistochemical score and comparison with the Genomic Health recurrence score in early breast cancer Journal of Clinical Oncology 2011 Nov 10; 9(32): 42734288 Dabbs DJ, Klein ME, Mohsin SK, Tubbs RR, Shuai Y, Bhargava R High false-negative rate of HER2 quantitative reverse transcription polymerase chain reaction of the Oncotype DX test: an independent quality assurance study Journal of Clinical Oncology 2011 Nov 10; 29(32):42794285

GENE EXPRESSION PROFILIG Lee JJ, Shen J Is the Oncotype DX assay necessary in strongly estrogen receptor-

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Reis-Filho JS, Pusztai L Gene expression profiling in breast cancer: classification, prognostication, and prediction. [Review]


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A tic review and meta-analysis. International Journal of Biological Markers 2011 Oct; 26(4): 209-215 BIOMARCATORI DI RISCHIO Becker MA, Hou X, Harrington SC, et al IGFBP Ratio Confers Resistance to IGF Targeting and Correlates with Increased Invasion and Poor Outcome in Breast Tumors Clin Cancer Res 2012 Mar 15; 18(6):1808-1817. Epub 2012 Jan 27 Lancet 2011 Nov 19; 378(9805): 1812-1823 BIOMARCATORI DI MECCANISMO Eljuga D, Razumovic JJ, Bulic K, Petrovecki M, Draca N, Bulic SO Prognostic importance of PAI-1 in node negative breast cancer patients-results after 10 years of follow up Pathology, Research & Practice 2011; 207(5) Kantelhardt EJ, Vetter M, Schmidt M, et al Prospective evaluation of prognostic factors uPA/PAI-1 in node-negative breast cancer: phase III NNBC3-Europe trial (AGO, GBG, EORTC-PBG) comparing 6xFEC versus 3xFEC/3xDocetaxel. BMC Cancer 2011; 11 Schmitt M, Harbeck N, Brunner N, et al Cancer therapy trials employing level-of-evidence-1 disease forecast cancer biomarkers uPA and its inhibitor PAI-1. Expert Review of Molecular Diagnostics 2011; 11(6) Pectasides D, Papaxoinis G, Kotoula V, et al Expression of angiogenic markers in the peripheral blood of docetaxel-treated advanced breast cancer patients: a Hellenic Cooperative Oncology Group (HeCOG) study. Oncol Rep 2012 Jan; 27(1): 216-224. doi: 10.3892/ or.2011.1504. Epub 2011 Oct 13 Dave H, Shah M, Trivedi S, Shukla S Prognostic utility of circulating transforming growth factor beta 1 in breast cancer patients. Int J Biol Markers. 2012 Jan;27(1):53-9. doi: 10.5301/ JBM.2011.8736. Han Y, Mao F, Wu Y, Fu, et al Prognostic role of C-reactive protein in breast cancer: a systema-

Secreto G, Meneghini E, Venturelli, et al Circulating sex hormones and tumor characteristics in postmenopausal breast cancer patients. A cross-sectional study. Int J Biol Markers 2011 Oct-Dec; 26(4): 241-246. doi: 10.5301/JBM.2011.8883 BIOMARCATORI DI ESTENSIONE Evangelista L, Cervino AR, Ghiotto C, Al-Nahhas A, Rubello D, Muzzio PC Tumor Marker-Guided PET in Breast Cancer Patients-A Recipe for a Perfect Wedding: A Systematic Literature Review and Meta-Analysis Clin Nucl Med 2012 May; 37(5):467-474 Hewala TI, Abd El-Monaim NA, Anwar M, Ebied SA The Clinical Significance of Serum Soluble Fas and p53 Protein in Breast Cancer Patients: Comparison with Serum CA 15-3 Pathol Oncol Res 2012 Mar 17; CELLULE TUMORALI CIRCOLANTI Bidard FC, Hajage D, Bachelot T, et al Assessment of circulating tumor cells and serum markers for progression-free survival prediction in metastatic breast cancer: a prospective observational study Breast Cancer Res 2012 Feb 13; 14(1):R29. Kasimir-Bauer S, Hoffmann O, Wallwiener D, Kimmig R, Fehm T Expression of stem cell and epithelial-mesenchymal transition markers in primary breast cancer patients with circulating tumor cells Breast Cancer Res. 2012 Jan 20;14(1):R15.

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Mayer JA, Pham T, Wong KL, et al FISH-based determination of HER2 status in circulating tumor cells isolated with the microfluidic EE™ platform Cancer Genet 2011 Nov; 204(11): 589-595 Consoli F, Grisanti S, Amoroso V, et al Circulating tumor cells as predictors of prognosis in metastatic breast cancer: clinical application outside a clinical trial Tumori 2011 Nov-Dec; 97(6): 737-742. doi: 10.1700/1018.11090. Ali AM, Ueno T, Tanaka S et al Determining circulating endothelial cells using CellSearch system during preoperative systemic chemotherapy in breast cancer patients European Journal of Cancer 2011 Oct ; 47(15): 2265-2272

MAMMOGRAFIA RECENSIONE A CURA DI G.M. GIUSEPPETTI*, C. LANZA** UO di Radiologia Clinica, A.O.U, Ospedali Riuniti Umberto Primo - Ancona

Juanpere S, Perez E, Huc O et al Imaging of breast implants-a pictorial review Insights imaging 2011; 2: 653-670

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l numero delle donne portatrici di protesi al seno, a scopo estetico o ricostruttivo dopo mastectomia, è in crescente aumento. La rottura dell’impianto è la causa maggiore di rimozione delle protesi. La maggior parte delle rotture delle protesi avviene dai 10 ai 15 anni dopo l’impianto e nella maggior parte dei casi è spontanea e non traumatica. Data la scarsità della clinica la diagnosi in genere è posta dal radiologo sulla base dell’imaging. È pertanto importante per conoscere non solo l’imaging delle protesi ma anche i diversi tipi di impianti. Attualmente la maggior parte delle protesi sono retro pettorali o retro ghiandolari; in genere sono a camera singola ma possono essere anche a doppia camera. La Risonanza Magnetica (MRI) è una metodica estremamente sensibile (80-90%) e specifica (90-97%) nella identificazione delle rotture protesiche in quanto è in grado di sopprimere o enfatizzare il segnale dell’acqua, del grasso e del silicone. A meno che non si vogliano studiare recidive tumorali o lesioni sospette, l’uso del contrasto paramagnetico è sconsigliato per lo studio dell’integrità della protesi. Uno

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studio ottimale prevede l’utilizzo di un magnete di almeno 1.5 T e l’uso della bobina dedicata per il seno. La rottura della protesi può essere intracapsulare o extracapsulare. La rottura intracapsulare è definita come una rottura del margine dell’impianto senza stravaso del silicone oltre la capsula fibrosa che si crea naturalmente in tutte le donne intorno alla protesi. In questo tipo di rottura alla MRI si osservano multiple immagini curvilinee a bassa intensità di segnale all’interno di un’area di iperintensità dovuta al silicone (“linguine sign”). Le immagini curvilinee sono dovute ai margini dell’impianto collassato che fluttuano nel silicone. Tale segno non è presente se l’impianto non collassa. Nella rottura senza collasso la MRI mostra silicone libero fuori dal margine dell’impianto ma ancora all’interno della capsula fibrosa (“teardrop sign”). Per rottura extracapsulare si intende la doppia rottura sia della capsula protesica che di quella fibrosa, con silicone al di fuori della capsula fibrosa, nei tessuti molli adiacenti alla protesi. Non bisogna però scambiare le pieghe radiali che ci sono normalmente nelle protesi con un segno di rottura, così come il versamento peri-protesico che è una risposta infiammatoria e non un segno di rottura. La mammografia non ha un gran valore per lo studio dell’integrità dell’impianto, ma è utile per lo studio del tessuto mammario circostante. Alcuni segni mammografici di rottura, anche se non specifici, sono: bande dense periprotesiche, calcificazioni periprotesiche, asimmetria di posizionamento o del profilo della protesi. Un segno specifico di rottura è l’evidenza di stravaso di silicone fuori dalla capsula protesica (rottura extracapsulare). Per lo studio della mammella con protesi è utile la tecnica di Eklund. L’ecografia è una metodica utile per lo studio delle protesi, priva di radiazioni ionizzanti, ma operatore dipendente. Un esame ecografico completamente negativo depone fortemente per l’integrità dell’impianto, limitando l’indicazione alla MRI. Un limite dell’ecografia è la difficile valutazione del margine profondo della protesi e


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del tessuto posteriore ad esso per l’attenuazione del fascio ultrasonografico da parte del silicone. Le bande radiali presenti nelle protesi integre che si estendono dalla periferia verso l’interno della protesi non sono da confondere con un segno di rottura. Nella rottura extracapsulare all’ecografia avremo piccole aree iperecogene di silicone all’interno del tessuto mammario (“snowstorm”) mentre nella rottura intracapsulare avremo una serie di linee dritte o curvilinee orizzontali, in genere parallele che attraversano trasversalmente l’impianto (“stepladder sign”). Non bisogna dimenticare che le donne con impianti protesici hanno la stessa probabilità di ammalare di tumore che il resto della popolazione, pertanto oltre all’integrità dell’impianto è fondamentale escludere la presenza di lesioni neoformative. Poiché la sensitività della mammografia e dell’ecografia nella detection tumorale potrebbe ridursi nelle donne con protesi è utile, nel dubbio, ricorrere alla MRI. Wojcinski S , Farrokh A, Hille U et al The Automated Breast Volume Scanner (ABVS): initial experiences in lesion detection compared with conventional B-mode ultrasound: a pilot study of 50 cases Iternational Journal of Women’s Health 2011; 3: 337-346 Nonostante la comprovata utilità dell’ecografia nelle lesioni mammarie radiologicamente o clinicamente sospette, attualmente l’esame ecografico non ha un ruolo nei programmi di screening anche se ha dimostrato un vantaggio diagnostico nello screening nelle donne asintomatiche. L’esame ecografico manuale (HHUS) è un esame operatore dipendente che impegna il medico in prima persona per tutta la durata dell’esecuzione. L’ecografia mammaria automatica (ABVS) può essere effettuata da un tecnico o da un assistente e acquisisce una serie di immagini consecutive B-mode dell’intero volume della mammella e le ricostruisce

in 3D in una separata workstation dove vengono analizzate indipendentemente dallo specialista. L’intero volume mammario può quindi essere studiato sia nelle scansioni assiali che in quelle coronali e sagittali permettendo uno studio ottimale dell’anatomia mammaria, in particolare del sistema duttale. In questo lavoro si valuta la capacità dell’ABVS di identificare e classificare correttamente lesioni mammarie precedentemente identificate all’ecografia convenzionale. 50 pazienti con lesioni mammarie classificate come BIRADS 1,2 e 5 (sono state escluse le lesioni dubbie e quindi quelle BI-RADS 3 e 4) all’ecografia convenzionale sono state sottoposte ad ABVS da un esaminatore indipendente, in cieco rispetto ai risultati dell’ ecografia convenzionale. Al termine sono stati confrontati i risultati dell’ABVS (metodo sperimentale) con l’HHUS (gold standard). Il primo esaminatore ha effettuato l’esame clinicoanamnestico e l’ecografia manuale classificando le lesioni con il metodo BI-RADS. Il secondo esaminatore ha analizzato le immagini 3D in cieco rispetto alla storia clinica e ai risultati dell’eco-mammografia e ha classificato le lesioni in BI-RADS 1, 2 e 5 sapendo che nello studio erano state eliminate lesioni dubbie (3 e 4). Il secondo esaminatore poteva richiedere un second-look ecografico: se la lesione risultava poi essere benigna il risultato dell’ ABVS veniva classificato come non concordante e quindi falso positivo; se invece risultava maligna veniva classificato come vero positivo. I risultati dello studio hanno mostrato una elevata sensitività dell’ABVS nella detection delle lesioni maligne (range variabile da 73.2 a 100%). Tutti i 14 tumori sono stati correttamente diagnosticati dall’ABVS. L’accuratezza della metodica è stata del 66.0 % (CI 95%). La specificità è risultata piuttosto bassa (52.8%) infatti c’è stato un elevato numero di richieste di secondlook (62%) ecografici risultati poi essere falsi positivi. Limite dello studio è l’esiguo numero di pazienti esaminati, non rappresentativo dell’intera popolazione.

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PATOLOGIA BENIGNA RECENSIONE A CURA DI A. PLUCHINOTTA E B. GNOCATO UF Senologia Chirurgica - Chirurgia Mammaria Radioguidata Policlinico Abano Terme (PD)

Genc V, Genc A, Ustuner E et al Is there an association between mastalgia and fibromyalgia? Comparing prevalence and symptom severity Breast 2011 Aug; 20(4): 314-318

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elle pazienti che accusano dolori alla mammella, i sintomi locali vengono talora sopravvalutati senza porre la necessaria attenzione al fatto che coesistenti dolori diffusi potrebbero piuttosto essere riconducibili a una fibromialgia. Al tempo stesso potrebbero essere trascurate negli ambulatori chirurgici talora affollati (neglected in a busy surgery clinic) donne con dolori alla mammella associati a sintomi cronici, che trarrebbero vantaggio da una consulenza reumatologica. Il lavoro è quindi interessante perché si presta a diverse considerazioni cliniche sulla possibile coesistenza di patologie di recente identificazione e che colpiscono soprattutto la donna giovane, come la fibromialgia, Gli Aa. si prefiggono di indagare la coesistenza, e di confrontare i modelli di dolore, in caso di mastalgia o di fibromialgia (FM ), considerate singolarmente o in combinazione tra loro. In quest’ultimo caso, cercano di stabilire la percentuale di prevalenza della mastalgia nelle donne con FM e viceversa. Cinquanta pazienti consecutive con mastalgia e 50 con FM sono state valutate ed esaminate sia per l'esistenza che per la gravità della mastalgia e della FM. Un'alta percentuale di pazienti con mastalgia (36%) soddisfacevano i criteri per la FM, mentre nel gruppo della FM la mastalgia era presente nel 42% dei casi. Le pazienti con mastalgia o FM debbono quindi essere accurata-

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mente interrogate e, per quanto si tratti di patologie coesistenti in oltre un terzo dei casi, debbono essere tenute distinte per dare una spiegazione a sintomi altrimenti indefinibili, ma soprattutto per stabilire quelle terapie combinate che potrebbero implementare i risultati terapeutici. Dua SM, Gray RJ, Keshtgar M Strategies for localisation of impalpable breast lesions Breast. 2011 Jun; 20(3): 246-253 Aydogan F, Ozben V, Yilmaz MH et al Simultaneous excision of ipsilateral nonpalpable multiple breast lesions using radioguided occult lesion localization Breast. 2011 Jun; 20(3): 241-245 Arentz C, Baxter K, Boneti C et al Ten-year experience with hematoma-directed ultrasound-guided (HUG) breast lumpectomy Ann Surg Oncol. 2010 Oct; 17 Suppl 3: 378-383 Il lavoro di Dua et al. è una buona sintesi delle tecniche di localizzazione, con una prevalente attenzione (e predilezione) per le localizzazioni con uncino metallico, ma senza addentrarsi nelle tecniche più complesse, come ad esempio quelle che prevedono l’impiego simultaneo di più reperi. Il lavoro di Aydogan et al., al contrario, è invece incentrato sulla fattibilità e sui vantaggi della localizzazione radioguidata soprattutto per quanto riguarda situazioni di molteplicità e necessaria accuratezza dello stato dei margini. Con l’occasione abbiamo voluto riportare anche un lavoro meno recente in cui Arentz e coll. esordiscono elencando (a loro dire) i numerosi inconvenienti della localizzazione con uncino metallico soprattutto per quanto riguarda i disagi della paziente (dolore, intolleranza, sintomi vaso-vagali). In considerazione di tali inconvenienti sostengono che nei casi che avevano avuto una recente agobiopsia mirata sotto guida ecografica


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A o radiostereotassica e che sarebbero stati sottoposti a biopsia chirurgica mirata, il centramento preoperatorio poteva essere efficacemente effettuato utilizzando l’immagine ecografica conseguente all’ematoma provocato dal precedente prelievo. Utilizzando tale metodica (hematoma-directed ultrasound-guided, HUG) il centramento era risultato efficace e ben tollerato nel 100% della loro decennale casistica di 329 pazienti. Gouveri E, Papanas N, Maltezos E The female breast and diabetes Breast 2011 Jun; 20(3): 205-211 Pantanowitz L, Sen S, Crisi GM, Makari-Judson G, Garb J, Skiest D Spectrum of breast disease encountered in HIV-positive patients at a community teaching hospital. Breast 2011 Aug; 20(4):303-338 Richter-Ehrenstein C, Tombokan F, Fallenberg EM, Schneider A, Denkert C Intraductal papillomas of the breast: Diagnosis and management of 151 patients Breast 2011 Dec; 20(6):501-504 NiMhurchadha S, Hughes J, Nduka C, Harcourt D Men’s experiences of gynaecomastia and corrective surgery: A qualitative report Breast 2012 Feb; 21(1):108 Una letter to the editor sulle motivazioni estetiche e psicologiche per cui gli uomini ricorrono alla chirurgia della ginecomastia molto più frequentemente che nel passato, salvo poi essere restare insoddisfatti dei risultati dell’intervento. Occorre quindi effettuare una maggiore selezione dei casi chirurgici, soprattutto di quelli che usufruiscono del SSN, e ricorrere più spesso al sostegno psicologico nei casi con forti motivazioni identitarie senza consistenti motivazioni chirurgiche.

QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI

RECENSIONE A CURA DI A. COLA E G. MARTINO

Nature Reviews Clinical Oncology 2011; 8(12): 742-747

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A nipple-sparing mastectomy (NSM) viene utilizzata per ottenere un risultato estetico più naturale e un impatto psicologico meno invalidante. D’altra parte vi sono dubbi che questa tecnica possa essere legata a maggiori recidive locali. Per ridurre questo rischio sono state proposte la restrizione dei criteri di inclusione e una radioterapia localizzata. Attualmente la percentuale di recidive locali a 5 anni dopo MSN si assesta tra il 3 e il 6%, valore assolutamente simile a quello che si osserva dopo mastectomia tradizionale. Commento: Ipse dixit ! Horgan O, Holcombe C, Salmon P Experiencing positive change after a diagnosis of breast cancer: a grounded theory analysis Psycho-Oncology 2011 Oct; 20(10): 1116-1125 Lo studio valuta se la diagnosi di cancro al seno può produrre positivi cambiamenti nella vita delle donne. La maggior parte delle donne mette in evidenza che dopo l’esperienza di cancro sono modificate le loro priorità nella vita e è aumentata la loro empatia verso gli altri. Hanno anche evidenziato un aumento dell’autostima in relazione a come hanno affrontato l’esperienza del cancro al seno. Commento: come la convinzione dei ricercatori e il modo di porre la domanda condizioni la risposta. Joly F, Rigal O, Noal S, Giffard B Cognitive dysfunction and cancer: which consequences in terms of disease management? Psycho-Oncology 2011 Dec; 20(12): 1251-1258

METIS Centro Studi in Oncologia, Formazione e Terapia - Milano

Petit JY, Veronesi U, Lohsiriwat V et al Nipple-sparing mastectomy-is it worth the risk?

Revisione degli articoli pubblicati dal 2000 in poi sui disturbi cognitivi conseguenti al cancro. La chemioterapia è correlata con deficit di memoria, concentrazione e velocità

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A di elaborazione delle informazioni. Tratti depressivi sono fattori di rischio accertati.

tional intervention Psycho-Social Medicine 2011; 8: Doc05

Den Heijer M, Seynaeve C, Vanheusden K et al Psychological distress in women at risk for hereditary breast cancer: the role of family communication and perceived social support Psycho-Oncology 2011 Dec; 20(12):1317-1323

Questo studio evidenzia che un approccio di assistenza psicologica attraverso il web (internet e email) può raggiungere persone che hanno necessità non soddisfatte di trattamento ma sottolinea anche che questo tipo di approccio presenta dei limiti. Forse questo strumento può essere utile per incoraggiare e indirizzare i pazienti verso servizi di assistenza classici.

Questo studio vuole valutare - all’interno di un gruppo di 222 donne a rischio di tumore al seno ereditario - la relazione tra lo stress correlato con il rischio e la comunicazione all’interno della famiglia. I risultati evidenziano che nelle famiglie in cui si parla apertamente del rischio di cancro ereditario il livello specifico di stress è più basso. Anche una più alta percezione di supporto da familiari e amici abbassa il livello di stress. Frost MH, Hoskin TL, Hartmann LC, Degnim AC, Johnson JL, Boughey JC Contralateral prophylactic mastectomy: long-term consistency of satisfaction and adverse effects and the significance of informed decision-making, quality of life, and personality traits Annals of Surgical Oncology 2011 Oct; 18(11):3110-3116 Valutazione a lungo termine della soddisfazione dopo intervento di mastectomia controlaterale profilattica (CPM). Dopo circa 10 anni dalla CPM circa il 90% delle donne risulta essere soddisfatta dell’intervento. Gli aspetti negativi più frequenti sono l’aspetto corporeo (31%), la diminuzione della femminilità (24%) e i disturbi sessuali (23%). Il 93% delle donne dichiara di essere stata correttamente informata sull’intervento. Wasteson E, Sandelin K, Brandberg Y, Wickman M, Arver B High satisfaction rate ten years after bilateral prophylactic mastectomy - a longitudinal study European Journal of Cancer Care 2011 Jul; 20(4): 508-513 Al Karolinska University Hospital dal 1990 le donne con alto rischio familiare di cancro al seno vengono sottoposte a mastectomia bilaterale profilattica (BPM). Nello studio vengono valutati gli esiti fisici e psicologici a dieci anni di distanza dalla BPM. In generale le donne sono risultate soddisfatte della scelta fatta e avevano una percezione di avere un rischio minimo di ammalarsi di cancro al seno. Poche donne hanno evidenziato un peggioramento della relazione con il partner. Il risultato estetico è risultato quasi sempre positivo. David N, Schlenker P, Prudlo U, Larbig W Online counseling via e-mail for breast cancer patients on the German internet: preliminary results of a psychoeduca-

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Bergouignan L, Lefranc JP, Chupin M, Morel N, Spano JP, Fossati P Breast cancer affects both the hippocampus volume and the episodic autobiographical memory retrieval PLoS ONE [Electronic Resource]. 6(10):e25349, 2011 16 donne operate e trattate per cancro al seno in remissione da 18 mesi e che non presentavano disordini da stress post traumatico sono state sottoposte a risonanza magnetica e confrontate con un campione di 21 donne sane. Le donne operate al seno hanno dimostrato di avere un’atrofia del lobo posteriore dell’ippocampo con un conseguente deficit della memoria episodica autobiografica. La parte posteriore dell’ippocampo è intimamente correlata con la capacità di ricordare eventi autobiografici negativi.

RADIOTERAPIA RECENSIONI A CURA DI L. LOZZA SC RT1 Radioterapia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano Shah C, Antonucci JV, Wilkinson JB et al Twelve-year clinical outcomes and patterns of failure with accelerated partial breast irradiation versus whole –breast irradiation: results of a matched-pair analysis Radiotherapy and Oncology 2011; 100; 210-214

L

a irradiazione parziale della mammella (PBI) nei tumori a basso rischio di ricaduta locale ha recentemente trovato sempre maggiore consenso, grazie alla pubblicazione dei risultati a 5-10 anni dei diversi studi condotti nel mondo. La fattibilità dei trattamenti con tecniche differenti (intraoperatoria, brachiterapia interstiziale o con Mammosite, fasci esterni conformati) è stata ampiamente confermata e i dati di controllo locale e di esito cosmetico sono soddisfacenti. E’ ancora in corso lo studio di fase III del National Surgical


R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A

Adjuvant Breast and Bowel Project (NSABP) B-39/ Radiation Therapy Oncology Group (RTOG) che confronterà i risultati della radioterapia convenzionale sulla mammella in toto (WBI) versus PBI in pazienti operate conservativamente per neoplasie mammarie in situ o infiltranti (stadio I-II). Ad oggi sono però disponibili i dati a 12 anni di un’analisi preliminare condotta su 199 coppie pazienti (WBI vs PBI), le cui caratteristiche di età, dimensioni della neoplasia, stato linfonodale e recettoriale fossero simili. A 12 anni di follow up non sono state rilevate differenze significative di incidenza di recidive locali (3.8% per WBI e 5% per PBI) e loco regionali (0% vs 1.1%), così come per la sopravvivenza globale (78% vs 71%) e la sopravvivenza libera da malattia (87% vs 91%). In entrambe i gruppi, la recidiva locale è significativamente correlata alla giovane età. Questi risultati dimostrano l’equivalenza dell’efficacia della PBI quando confrontata con WBI in situazioni cliniche sovrapponibili e non sono evidenziati pattern differenti di ricaduta nei due gruppi, supportando così l’applicazione dell’irradiazione parziale per le pazienti i cui requisiti clinici/patologici rispondano ai ben codificati criteri di selezione pubblicati nei documenti di consenso delle società americana ed europea di radioterapia oncologica (ASTRO e GECESTRO). Kauer-Dorner D, Potter R, Resch A et al Partial breast irradiation for locally recurrent breast cancer within a second breast conserving treatment: alternative to mastectomy? Results from a prospective trial Radiotherapy and Oncology 2012; 102; 96-101

Questo approccio è sempre più discusso, soprattutto quando la ricaduta è di piccole dimensioni, potenzialmente suscettibile di chirurgia limitata che preservi un risultato cosmetico ancora soddisfacente. Non è indicato un secondo trattamento di radioterapia sull’intera mammella per le prevedibili e importanti tossicità attese e i dati in letteratura riferiti alla sola chirurgia conservativa dimostrano l’esposizione delle pazienti nel 7-50% dei casi ad una successiva recidiva locale. Il crescente interesse per l’irradiazione parziale della mammella, l’affinamento delle tecniche e il supporto dei dati riguardanti la sua efficacia hanno permesso di considerarne l’applicazione anche nell’ambito delle recidive intramammarie dopo primo intervento conservativo seguito da radioterapia convenzionale. Gli Autori hanno trattato con brachiterapia interstiziale sul letto tumorale 39 pazienti sottoposte a chirurgia limitata di recidive locali (anni 1999-2006). Nel 93% delle pazienti si è ottenuto controllo locale ad un follow up mediano di 57 mesi. La sopravvivenza globale e libera da malattia a 5 anni sono risultate dell’87 e 77%, rispettivamente. Gli effetti collaterali sono stati limitati (consistente reazione fibrotica nel 4% dei casi e mastodinia nel 13%), con risultato cosmetico valutato come buono-eccellente nel 76% dei casi. Saranno necessarie ulteriori esperienze che esplorino la PBI dopo chirurgia conservativa quale alternativa alla mastectomia per il trattamento di recidive locali selezionate per poterne validare il ruolo.

Selezione bibliografica Le recidive locali dopo trattamento conservativo delle neoplasie mammarie in stadio iniziale sono stimate in circa 1% /anno e, in assenza di localizzazioni a distanza, sono spesso trattate con mastectomia ottenendo tassi di successivo controllo loco regionale del 90%.

Hennequin C, Azria D The future of breast cancer radiotherapy: from one size fits all to taylor-made treatment Cancer Radiotherapie 15; 455-459, 2011

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Q UAT T R O C H I AC C H E R E C O N

Angelo Paradiso

A CURA DI A. COFFANO

Angelo Paradiso si laurea a Bari in medicina nel 1980 e si specializza in Oncologia nel 1985 ed in Farmacologia nel 1989. Subito dopo la laurea inizia a frequentare l’allora Ospedale Oncologico di Bari per il quale, proprio in quei tempi, era stato elaborato un piano strategico di medio-lungo respiro che doveva condurlo al riconoscimento di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. E’ stato quindi lì, nella vecchia struttura dell’Ospedale Oncologico che, neolaureato, ha appreso prima di tutto a fare l’oncologo medico costantemente vicino all’uomo che di quel processo di sviluppo clinico-scientifico della struttura si era fatto garante, il Dr. Mario De Lena. La sua storia professionale e culturale si intreccia così fortemente con il percorso del dr. De Lena a Bari; diviene il primo direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale Oncologico di Bari nel 1985; attiva il primo laboratorio sperimentale “Laboratorio di Cinetica Cellulare e Recettori Ormonali” appena dopo; indirizza la sua formazione, questa volta laboratoristica, presso i laboratori milanesi della Prof Silvestrini. Poi per il dott. Paradiso: dieci anni in oncologia medica, dieci anni nei laboratori sperimentali, 5 anni di vice-direzione scientifica, 5 di direzione scientifica. Tutti, fatti salvo la formazione all’estero, nell’oggi diventato Istituto Tumori IRCCS G. Paolo II di Bari; tutti, eccettuato gli ultimi, a contatto quotidiano con il dr De Lena; tutti per una struttura,finalmente oggi, dopo un pellegrinaggio di un ventennio in sedi provvisorie, nella propria sede definitiva fornita di tutte le più nuove tecnologie, (Sale Operatorie Ibride, Laboratori GMP, Biobanca Regionale, Laboratori Sperimentali, etc). Lei è noto per essere un medico particolarmente attento alla ricerca di laboratorio, convinto che solo da questa si possono fare passi avanti nella cura dei tumori, in particolare per il carcinoma mammario. In questi 30 anni di carriera ritieni che le aspettative siano state soddisfatte o

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che i progressi ottenuti dalle nuove acquisizioni scientifiche tardino a dare immediati risultati clinici per le pazienti? Negli ultimi trenta anni, i progressi sono stati enormi da vari punti di vista. Dal punto di vista socio-sanitario con lo sviluppo soprattutto di informazioni epidemiologiche e programmi di screening; dal punto di vista tecnologico con l’utilizzo di macchine più performanti sia in fase di diagnosi che di terapia. Ma il vero salto culturale è stato compiuto nella ricerca laboratoristica, con la definizione ed interpretazione dei più fini meccanismi fisio-patologici cellulari responsabili della genesi e progressione del tumore. Sono queste ultime le vere conoscenze che permettono oggi di parlare di prevenzione a livello molecolare, di bio-imaging, di farmaci molecular-targeting. Come ricercatore, sono quindi assolutamente entusiasta dei risultati ottenuti in quest’ultimo trentennio; per molti versi, ormai il cancro è un processo biologicamente interpretabile e l’esempio del carcinoma della mammella è eloquente. Sin dalla suscettibilità genetica verso questa malattia fino al suo trattamento palliativo, lo scenario è mutato nel suo complesso ed il miglioramento dell’andamento delle curve di mortalità lo dimostrano chiaramente. La “guarigione” è ormai a portata di mano per la grande maggioranza delle donne affette da questo tumore. Ma questo chiaramente non ci basta e soprattutto non può


Q UAT T R O C H I AC C H E R E C O N spettive che è lecito attendersi dalla ricerca che forse ora mi sono proprie, possono essere quotidianamente di grande ausilio per i pazienti che mi si rivolgono con aspettativa. Ora sicuramente mi costa non poter dedicare più tempo a loro, ai pazienti, più tempo per un rapporto diretto con i loro bisogni più immediati, più tempo per seguirli nel loro percorso. Sullo sfondo, comunque, sempre l’Istituto di cui vedo continuamente aspetti migliorabili.

bastare alle pazienti che nutrono ulteriori grandi aspettative verso quelle che vengono presentate da un certo giornalismo come pietre d’angolo nel processo di controllo della malattia: chip, array, profili, etc. Purtroppo, la verifica clinica di questi complessi approcci laboratoristici risultano particolarmente impegnativi dal punto di vista finanziario ma anche gestionale. L’esempio dello studio europeo MINDACT è sotto gli occhi di tutti: un budget di decine di milioni di euro per la validazione prospettica di Mammaprint. Forse, questi grandi e dispendiosi studi stanno in qualche modo ostacolando lo sviluppo di studi Fase II randomizzati ed adeguati nelle dimensioni del campione, che ormai vengono ritenuti l’approccio più logico per la validazione clinica preliminare dei Biomarkers in oncologia. Dedicarsi alla ricerca e meno alla attività clinica, Le è costato anche qualche sacrificio? Da giovane medico, vivevo gli insuccessi della mia pratica oncologica medica come veri insuccessi personali con un carico emotivo anche importante e quindi direi che è stato automatico sin dall’inizio pensare di capirne un po’ di più di questa malattia trasferendo le domande alla ricerca di laboratorio. A questo aspetto, si aggiungeva sin dall’inizio il vivo interesse che ho sempre avuto e che continuo ad avere, per tutto quello che è da organizzare, costruire ex novo; ed il settore della ricerca laboratoristica oncologica negli anni 80’ in un Istituto in cui era tutto da realizzare era per una persona come me una occasione bellissima. Quindi, no! All’inizio non mi è costato, anzi! Naturalmente, esulano da questi miei commenti i risvolti economici –penalizzanticonseguenti al mio dedicarmi prevalentemente agli aspetti laboratoristici che all’epoca qualche perplessità mi hanno comunque creato. Ora, la mia posizione è profondamente cambiata Mi accorgo che la visione d’insieme della malattia, della organizzazione che per il suo trattamento è necessario, delle pro-

Quali le opportunità e le difficoltà che Le ha offerto l’Istituto Scientifico per l’oncologia di Bari da te diretto? Come si intende da tutto quello già detto, L’Istituto di Bari ha rappresentato per un medico con la mia visione una grande opportunità. Mi ha permesso di capire e seguire nel tempo il processo di sviluppo di una struttura sanitaria deputata alla ricerca, di spaziare dalla clinica alla laboratoristica alla programmazione clinico-scientifica con estrema naturalezza e secondo un processo logico continuo. Partendo da un microsistema come un laboratorio ad un sistema complesso come un Istituto di Ricerca, scopri come la dialettica e le relazioni tra persone siano gli elementi cruciali per la buona ricerca, la buona assistenza, la qualità della vita sul posto di lavoro. Inoltre, il confronto quotidiano con professionalità diverse (chirurghi, radioterapista, fisici, amministrativi) senz’altro mi arricchisce e grandemente. Far ragionare secondo logiche comuni e di sistema un Team, credetemi non è cosa facile. Difficoltà? Tante! Prima di tutto di costi personali in termini spiccioli di orari giornalieri e di intensità di impegno richiesto. Come è facile intendere, un Istituto di ricerca ha mille potenzialità e mille problemi davanti: comunicazione con l’esterno, qualità-innovazione delle prestazioni, progettualità interna, regionale, nazionale, internazionale. E se sei in una posizione che tutto questo ti permette di vedere, ti ritrovi solo a decidere e dosare l’impegno quotidiano. Lasciare l’Istituto ogni sera implica un piccolo quotidiano atto di violenza verso la mia stessa persona che sa comunque di lasciare cose incompiute e che invece “andrebbero assolutamente fatte”. “Domani, farò di più”, mi dico. Ma la principale difficoltà (ahimè!) è ancora una volta avere a che fare spesso con operatori e strutture che proprio il rapporto tra innovazione e qualità del sistema non lo colgono. La ricerca, è sempre un lusso, prima viene il prelievo, il bisturi, la flebo, il CUP, l’intra-moenia, l’art 104, il CCSSNN. Si è vero ma in un IRCCS non dovrebbe essere un po’ diverso? Per fortuna che c’è un direttore scientifico, mi dico (si coglie l’autoironia???!!!!). E raddoppio l’impegno!

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GISMa

News dai convegni del GISMa (Gruppo Italiano Screening Mammografico)

A CURA DI DANIELA GIORGI E LIVIA GIORDANO

I

l seminario nazionale “Gestire la complessità per guadagnare in salute” svoltosi a Perugia è stato dedicato a due temi di grande interesse per lo screening mammografico, i cancri di intervallo e i richiami precoci.

Cancri di intervallo (CI) I CI sono dei tumori che insorgono dopo un passaggio di screening negativo e prima dell’invito di screening successivo (o entro 2 anni se la donna esce dallo screening). Sono un indice della sensibilità del programma

e forniscono informazioni sull’impatto che questo ha nella popolazione a cui è rivolto. In accordo con le linee guida europee, la dizione di CI spetta sia alle forme tumorali invasive che a quelle in situ. Delle misure utilizzate per la valutazione dei CI (tasso dei CI, rapporto fra casi screen detected (SD) e (SD+CI), incidenza proporzionale), l’incidenza proporzionale è indicata come la misura più convincente, anche se con dei limiti legati alla necessità di calcolare l’incidenza attesa nelle varie aree. I risultati disponibili in Italia (pubblicati su riviste recensite o presentati in convegni) sono soddisfacenti. L’incidenza proporzionale rispetta nella maggior parte dei casi gli standard definiti dalle linee guida europee (< 30% al primo anno, <50% al secondo anno, figura 1) ed anche i casi attribuibili ad “errori di screening” dalla revisione radiologica delle mammografie rispetta i valori raccomandati ( ≤ 20%).

Figura 1 - Incidenza proporzionale (%) dei CI al 1° e 2° anno - dati pubblicati

Note:

= pubblicazioni su riviste scientifiche; = pubblicati su Tumori 2011, derivano da poster o comunicazioni orali; = poster GISMa 2010-11

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GISMa

Da un’indagine nazionale, promossa nel 2011 dal GISMa, risulta che oltre il 60% della popolazione del centro-nord Italia invitata nel 2009 ad effettuare una mammografia di screening è stata poi sottoposta ad un follow up per la ricerca dei CI. La valutazione dell’incidenza proporzionale in questi programmi è complessivamente soddisfacente ed in linea con i dati pubblicati.

medicina difensiva e le sue implicazioni in relazione al fenomeno dei CI suggerendo alcuni rimedi, tra cui un maggior sviluppo del governo clinico del rischio e un ripristino delle dimensioni virtuose dell’alleanza con la persona malata. L’anatomo-patologo ha messo in luce invece quanto sia estremamente dibattuta l’aggressività biologica dei CI rispetto ai cancri screen-detected. Sembra comunque che

Figura 2 – Incidenza proporzionale (%) dei CI al 1° e 2° anno – survey 2012 GISMa

Tra le modalità di revisione radiologica quella cieca è quella considerata più accreditata e garantista anche in caso di questioni medico-legali. Gli interventi finali di un medico legale e di un anatomopatologo hanno permesso di approfondire ulteriormente l’argomento. Il primo ha esaminato i vari aspetti della

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i CI siano più aggressivi rispetto a quelli screen-detected, ma meno aggressivi rispetto ai cancri diagnosticati in donne non sottoposte ad indagini di screening. I CI correlano con la densità ghiandolare e questa correla con tumori di dimensioni più estese e a fenotipo più aggressivo. Vista l’importanza del monitoraggio dei CI sia come aspet-


GISMa to qualificante dei programmi di screening organizzato, sia come opportunità per il controllo di qualità e la formazione, è stata proposta la raccolta periodica dei dati sui CI all’interno della survey GISMa. Considerando comunque l’impegno oneroso che richiede la raccolta dei CI, è emersa da più parti la proposta di valutare anche un altro indicatore - la quota di cancri T2+ ai passaggi successivi di screening più facilmente calcolabile da parte dei programmi. Richiami precoci (early recall-early rescreen) Richiamare le donne secondo un protocollo diverso dalla norma dovrebbe costituire una procedura da utilizzare in un numero molto limitato di situazioni in quanto può mascherare inadeguatezza o insufficiente training degli operatori. La conoscenza del numero dei richiami precoci è fondamentale per la valutazione del processo clinico-diagnostico dello screening. Le Linee guida europee indicano che non è considerata buona pratica effettuare un richiamo intermedio dopo il I livello (early rescreen), mentre può essere considerato standard accettabile (ma non desiderabile) un valore <1% di richiami intermedi per effettuare una seduta di approfondimento (early recall). Uno dei principali obiettivi del richiamo anticipato è quello di ridurre il numero di biopsie chirurgiche benigne senza ridurre la capacità di individuare precocemente il tumore ma per contro numerosi studi hanno dimostrato come l’effettuazione di esami non necessari possa tradursi in un aumento dei test falsi positivi, ansia per le donne e un costo aggiuntivo per il programma. Il workshop di Perugia si è aperto con un’introduzione te-

orica all’argomento alla quale è seguita la presentazione dei risultati di un’indagine effettuata per conoscere l’andamento di questo fenomeno all’interno delle realtà italiane. Al questionario, inviato ad inizio 2012, hanno risposto 57 programmi attivi nel nord-centro Italia. Dai dati raccolti, riferiti al 2007-2008, è emerso che la metà di questi programmi raccomanda delle mammografie intermedie solo dopo il II livello mentre l’altra metà lo fa sia dopo il test di I che di II livello. Gli eventuali tumori evidenziati vengono considerati come screen-detected dal 90% dei programmi mentre per il 5% dei programmi sono dei cancri di intervallo. I principali motivi di richiamo riguardano l’incertezza diagnostica o la presenza di un seno denso. Esistono poi delle condizioni, come la familiarità o un precedente tumore mammario, in cui i programmi adottano dei formali protocolli di richiamo/re-invito anticipato. Il tasso di richiami intermedi è del 2% dopo il I livello e dell’1.3% dopo il II livello. In entrambi gli scenari la variabilità tra programmi è molto ampia, soprattutto dopo il I livello (standard raccomandato=0%) mentre dopo il II livello (standard raccomandato <1%) la situazione migliora. Considerando le mammografie intermedie nel loro complesso, la maggior parte dei programmi richiama ad un intervallo tra 6 e 12-15 mesi dal precedente contatto di screening e solo l’8% richiama prima dei 6 mesi. Se si confrontano questi tassi con quelli di richiamo ad effettuare un approfondimento, si ha un quadro fortemente eterogeneo con realtà in cui, ad un basso tasso di richiami per approfondimento, corrisponde un alto tasso di mam-

Figura 3- Mammografie intermedie dopo I e II livello (attività 2007-2008) per programmi rispondenti e livello medio italiano

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Figura 4- Periodismo delle mammografie intermedie totali (attività 2007-2008 - primi esami ed esami successivi )-

Figura 5-Tasso di mammografie intermedie totali I e di II livello e tasso di richiami per approfondimenti (attività 20072008 - primi esami ed esami successivi)

mografie intermedie ed altre in cui entrambi gli indicatori sono sopra i livelli standard. Ambedue questi estremi possono essere lo specchio di situazioni critiche che necessitano di approfondimenti. Sono poi seguite le presentazioni di due esperienze più strutturate delle regioni Emilia Romagna e Veneto. Un’analisi secondaria dei dati raccolti per lo studio sull’incidenza dei cancri d’intervallo nel programma di screening mammografico della Regione Emilia-Romagna ha permesso di approfondire la conoscenza sui richiami anticipati (RES) sia in termini di cause inducenti (in maggioranza radiologiche) che di prevalenza dei richiami (1,33% nei centri dove è prevista la possibilità di richiami anticipati) di aumentata associazione con il tasso di richiami nello screening successivo, il detection rate e l’incidenza proporzionale di cancri intervallo. Quest’indagine ha proposto una visione dei RES come una possibile soluzione per gestire mammografie anormali o problematiche.

Lo studio veneto ha messo in evidenza invece come un monitoraggio costante delle mammografie intermedie ed un piano formativo possano portare ad un netto miglioramento dei tassi che passano dal 13% nel 2007 (media regionale, prima dell’intervento) a 1,8% (media regionale nel 2010 dopo l’intervento). L’ultima parte della sessione è stata dedicata all’approfondimento delle criticità legate agli early recall. Sono intervenuti alcuni radiologi e uno psicologo che hanno riflettuto sul fenomeno sottolineandone alcuni aspetti come la difficoltà nella reportistica del dato, talvolta anche a causa dell’inadeguatezza del software gestionale, la problematicità degli aspetti comunicativi e le implicazioni psicologiche che determinano sia nell’operatore che nella donna. Il convegno si è concluso con una tavola rotonda per la discussione e valutazione della gestione e dell'analisi epidemiologica degli early recall e la proposta di inserimento della raccolta routinaria dell'indicatore nella survey GISMa.


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QUI CURANO COSÌ

Azienda Ospedaliera San Giovanni - Addolorata Roma

D

a ormai 12 anni l’Azienda Ospedaliera San GiovanniAddolorata di Roma ha accolto il valore dell’irreversibile innovazione che tutti stiamo vivendo in campo senologico, sviluppando spazi e professionalità in tutti i settori ad esso connessi. L’AO è un’Istituzione di rilevanza nazionale e di alta specializzazione localizzata al centro della città, pertanto con un’importante accessibilità in una città grande e dispersiva come Roma, e con un bacino di utenza di circa 800.000 persone; è dislocata su diversi presidi e permette quindi spazi importanti per l’utenza; si è recentemente dotata di una nuova Radioterapia con l’acquisto di una Tomoterapia e sta aspettando il prossimo arrivo di due nuovi acceleratori lineari. Il Gruppo Senologico, iniziato come Unità Dipartimentale chirurgica nel 2000, si avvale oggi non solo di 5 chirurghi dedicati che effettuano oltre 340 interventi su patologia neoplastica all’anno, ma anche di 5 radiologi dedicati ed organizzati in una Unità dipartimentale di radiologia senologica, due patologi, due oncologi, due radioterapisti, due chirurghi plastici, oltre a personale dedicato infermieristico (con due caposale), per la riabilitazione e per la consulenza psicologica. Il momento centrale che ha compattato il Gruppo è stato rappresentato dall’istituzione della Conferenza Multidisciplinare da noi denominata “Interbreast”, inizialmente organizzata con cadenza bisettimanale e con discussione di casi selezionati. Questo momento è progressivamente diventato il fulcro centrale della discussione, della condivisione, del confronto, della programmazione tra i vari elementi del Gruppo, promossi sul campo da membri a protagonisti. Le pazienti non solo gradiscono questo atteggiamento di condivisione, ma apprezzano il fatto che il proprio caso sia analizzato collegialmente, e che raccomandazioni ufficiali vengano emanate dalla Conferenza. Quest’anno, inizieremo l’ufficializzazione dei crediti formativi della Conferenza con l’inserimento di un Guest Speaker ogni due settimane, per allargare l’orizzonte dell’approfondimento.

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L’iniziativa ha recentemente ricevuto 31 crediti ECM per l’anno in corso a partire dal 14 Maggio 2012. Noi siamo convinti che una Breast Unit moderna debba essere organizzata come un “Open Space”: poco ospedale, molto accesso, molto supporto, poca burocrazia, molta organizzazione, sobrietà. Le nostre pazienti ricevono, per quanto possibile, un trattamento informale, sono accompagnate da un professionista all’altro in maniera diretta, ricevono una Brochure illustrativa sulle opzioni di trattamento, le prospettive di guarigione, la riabilitazione, i diritti delle pazienti con tumore. Da questo punto di vista la collaborazione con le Associazioni riveste sempre di più un’importanza strategica, e da anni collaboriamo con l’Associazione Domina e con la Fondazione Prometeus, ONLUS, supportando molte iniziative a favore delle utenti. Una tra queste è denominata “l’Altra faccia della Medaglia”, ha cadenza mensile, e tocca argomenti non convenzionali che difficilmente vengono trattati in ambiente ospedaliero, quali la dieta, la riabilitazione, il sostegno psicologico, la fisioterapia, l’omeopatia, l’agopuntura. Inoltre, da oltre due anni le pazienti che devono effettuare chemioterapia neoadiuvante o adiuvante hanno la possibilità di partecipare a corsi di make-up gratuiti organizzati in collaborazione con l’Associazione “La Forza ed il Sorriso” presso la sede della Fondazione Prometeus. Oltre 150 pazienti hanno finora partecipato a questa iniziativa sotto la direzione di un’estetista e di uno psicologo. Non vogliamo tralasciare l’importante collaborazione con lo Screening della ASL Roma G (Primario Dr.ssa Tufi) che è ormai attivo da oltre sei anni, perché la simbiosi tra centri di screening e gruppi specializzati e di qualità di senologia sono una necessità incontrovertibile. L’offerta integrata di professionisti dei vari settori è il valore aggiunto della senologia moderna. Per questo stiamo lavorando per raggiungere la Certificazione di qualità. Pensiamo che intraprendere con senso di responsabilità questo


QUI CURANO COSÌ processo porterà ai singoli professionisti una motivazione, ed un obiettivo da raggiungere, all’Azienda, già oggi 3 Bollini Rosa, un valore di eccellenza riconosciuto e qualificante, ed alle nostre pazienti un servizio sempre migliore.

SERVIZI Ospedale Azienda ospedaliera SanGiovanni-Addolorata Via dell’Amba Radam 9, 00184 Roma

DIAGNOSTICA RADIOLOGICA Primario: dott.ssa Elena Santini Telefono: 06.77055113 E-mail: elenasantini@hsangiovanni.roma.it

Ore/settimana dedicate

130

Attività di screening

NO

Mammografie eseguite nello scorso anno

8.000

Giorni attesa (in media)

240

Apparecchiatura in dotazione Selenia Hologic e Amulet Fuji Toshiba Xario e Toshiba Aplio

Controlli di qualità periodici

Radiografie del pezzo operatorio in tutti i reperimenti preoperatori

SI, secondo linee guida europee di qualità EUREF NO

ANATOMIA PATOLOGICA Primario: dott. Marco Giordano Riferimento: dott. Leopoldo Castarelli Telefono: 06.77055431 E-mail: lcostarelli@hsangiovanni.roma.it ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA Ore dedicate (settimana)

90

La classificazione istologica codificata

SI

In tutti i casi vengono valutati - grading

SI

- recettori ormonali

SI

- indici di proliferazione

SI

I pezzi operatori sono orientati

SI

Viene effettuata la marcatura dei limiti di sezione chirurgica ? Disponibilità della radiografia di controllo del pezzo operatorio al momento dell’esame?

SI SI

L’esame estemporaneo viene effettuato - sulle microcalcificazioni - sui tumori inferiori ad 1 cm - sui margini di sezione chirurgica in caso di intervento conservativo

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

- mammografi - ecotomografi

-microistologici

40

Esami refertati nello scorso anno 530

-citologici

400

NO

CHIRURGIA Direttore: dott. Renato Andrich Responsabile U.O. Senologia: dott. Lucio Fortunato Telefono: 06.770556832 Fax 06.770555114 E-mail: randrich@hsangiovanni.roma.it lfortunato@hsangiovanni.roma.it ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA Numero totale di nuovi casi/anno 2007 - Benigni - In situ - Carcinomi invasivi

99 41 305

Attesa (gg) media per lesione maligna dalla indicazione all’intervento

25

Giorni di degenza media

3

Disponibilità di sessioni di sala operatoria alla patologia mammaria?

SI

Letti di degenza dedicati

SI, 6

Disponibilità di ricostruzione immediata e/o collaborazione di un chirurgo plastico

SI

Si utilizza la tecnica del linfonodo sentinella

SI

Se occorre terapia adiuvante

-istologici

NO SI

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la paziente viene inviata alle oncologie

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QUI CURANO COSÌ RADIOTERAPIA

MEDICINA NUCLEARE

Primario: prof. Ugo de Paula Telefono: 06.770554295 E-mail: Hudepaula@hsangiovanni.roma.it

Primario: dott.ssa Gabriella Giuliano Riferimento: dott. Giovanni D’Errico ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA Ore dedicate (settimana)

20

Ore dedicate (settimana)

10

Numero totale di nuovi casi / anno

300

N° annuo di linfonodi sentinella eseguiti

200

Da quanti anni viene eseguito

Procedure standardizzate di controllo di qualità in atto

SI

di routine la tecnica del linfonodo sentinella?

Tempo di attesa medio (n. giorni)

35

N° annuo di scintigrafie ossee eseguite

ONCOLOGIA

8

per patologia mammaria

2000

E’ disponibile PET o TAC/PET

NO

Si eseguono trattamenti radiometabolici Primario: dott.ssa Maria Mauri Riferimento: dott.ssa Paola Scavina Telefono: 06.770554443 Fax 06.770554274 E-mail: mmauri@hsangiovanni.roma.it

loco-regionali o sistemici

NO

FOLLOW - UP Primario: dott.ssa Gabriella Giuliano Riferimento: dott. Giovanni D’Errico

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA Ore dedicate (settimana)

30 ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Numero totale di nuovi casi/anno

225

Tipologia dei trattamenti eseguiti ultimo anno - chemioterapia neoadiuvante: - chemioterapia adiuvante:

17 116

- chemioterapia per riprese di malattia

20

Vengono effettuati incontri multidisciplinari (con presenza almeno del radiologo, patologo e chirurgo) per la discussione dei casi clinici?

Presso quale ambulatorio si svolge Se più servizi sono coinvolti nel FU, la paziente si rivolge ad uno solo di questi per le visite e questo le gestisce in collegamento tra i Servizi interessati (cioè il follow up dei pazienti è svolto in modo coordinato tra i Servizi) Il follow -up è modulato in base a:

Si, con frequenza bisettimanale

Negli ultimi tre anni avete inserito pazienti di carcinoma mammario in studi clinici?

ATTUALITÀ IN SENOLOGIA

2013 - N. 65

SI tempo intercorso dal trattamento, esame clinico e tutti gli esami di routine

Esiste un servizio per la riabilitazione SI

funzionale di riferimento per le pazienti SI, servizio di Fisiatria (dott.ssa Adriana Antonacci). Disponibilità di: - trattamenti per linfedema - consulenza psicologica

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chirurgia, radioterapia e oncologia

SI SI


SPIEGHIAMO LA MEDICINA

Le cellule staminali

DOTT.SSA GIUSEPPINA BONIZZI IEO Biobank and Biomolecular Resource Infrastructure (IBBRI) Coordinator; Molecular Medicine Program for cure Department of Experimental Oncology; IEO Milano

L

’omeostasi tissutale si deve ad una piccola frazione di cellule, le cellule staminali, che garantiscono il continuo rinnovamento tissutale e costituiscono sia l’origine della complessa varietà che caratterizza ogni organismo a partire dallo sviluppo embrionale, sia un inestinguibile serbatoio per la rigenerazione dei tessuti negli individui adulti , provvedendo in alcuni casi a ripararli e sostituirli se danneggiati. Data la loro singolare capacità rigenerativa, le cellule staminali offrono enormi possibilità per il trattamento di malattie tuttora incurabili, dal diabete al morbo di Parkinson. Le cellule staminali sono cellule primitive, non specializzate, capaci di dare origine, a partire dall’embrione e per tutta la durata della vita di ogni individuo, ai numerosi diversi tipi cellulari che formano l’organismo. Nella maggior parte dei tessuti, le cellule staminali rappresentano una frazione esigua della popolazione cellulare (1-2%), con le altre cellule destinate al differenziamento e alla senescenza. Negli ultimi 15 anni, varie evidenze sperimentali hanno portato all’ipotesi che, anche i tumori abbiano una gerarchia cellulare con le cellule staminali tumorali che danno origine alle cellule più differenziate che formano la massa tumorale. In effetti, cellule con proprietà staminali sono state trovate in molti tumori, a partire dalle leucemia mieloide acuta (1997), seguite dal tumore alla mammella (2003) e dai tumori cerebrali (2003). Queste ultime scoperte hanno aperto la strada all’identificazione di cellule staminali anche in altri tumori solidi come quelli dell’intestino, del pancreas, della testa/collo, della prostata, del polmone, della tiroide, dello stomaco, del rene, dell’ovaio e della vescica. Le cellule staminali di un tessuto normale, si dividono asimmetricamente (vedi figura 1), autorinnovandosi e dando origine a progenitori cellulari che, dopo un numero limitato di di-

visioni, producono le cellule differenziate tessuto-specifiche, non più in grado di dividersi. Recentemente, due gruppi di ricerca dell’Istituto Europeo d’Oncologia di Milano, diretti dal Prof. PG. Pelicci e Prof. PP. Di Fiore, hanno scoperto che la divisione delle staminali del cancro della mammella, seguono un percorso diverso denominato “divisione simmetrica” generando due cellule figlie entrambe staminali che invece di maturare e iniziare a svolgere un ruolo utile nel tessuto, continuano a replicarsi alimentando il tumore (vedi figura 1). Uno dei geni responsabili della divisione simmetrica è il gene p53, noto anche come "il guardiano del genoma" per il suo ruolo di preservazione della stabilità genomica attraverso la prevenzione delle mutazioni. La mutazione del gene p53 è una delle più frequenti modificazioni genetiche evidenziate nelle cellule cancerogene. In aggiunta alle mutazioni che via via emergono durante la crescita e lo sviluppo dell'individuo (mutazioni sporadiche), ci sono anche forme di cancro asso-

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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA

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SPIEGHIAMO LA MEDICINA

ciate a versioni mutate del gene p53 di derivazione ereditaria. Basti citare per esempio, la sindrome familiare del tumore di Li- Fraumeni che è associata ad una vasta varietà di tumori. Inoltre, tantissimi virus hanno sviluppato la capacità di inattivare la proteina p53. A causa del ruolo centrale che gioca tale proteina nella regolazione della divisione cellulare, molti ricercatori sono impegnati nello studio di possibili metodi per restituire al gene p53 la propria funzione. Recentemente sempre gli stessi gruppi di ricerca dello IEO, tramite l’utilizzo del composto chimico Nutlin-3, che determina un accumulo di p53 inibendone la sua degradazione, sono stati in grado di far cessare la divisione simmetrica e riportare le staminali sulla strada della divisione asimmetrica, ripristinando il fenotipo normale di queste cellule mammarie. Questa scoperta scientifica potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza nella cura del tumore mammario, in quanto supporta l’ipotesi che revertendo il modo di crescita delle staminali tumorali da simmetrico ad asimmetrico sia possible fermare la crescita del tumore senza bisogno di bersagliare l’intero organismo. Distruggere le cellule staminali tumorali è una delle sfide piu’ grandi per gli scienziati che fanno ricerca sul cancro. Una sfida che da un lato permetterebbe di curare in modo piu’ efficace I tumori, dall’altro deve ancora superare molti ostacoli. L’ostacolo principale è rappresentato dalla somiglianza fra le cellule staminali tumorali e le cellule staminali normali.

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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA

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Questa somiglianza è stata scoperta grazie alla possibilità di coltivare in vitro, come sferoidi (mammosfere), le cellule staminali mammarie provenienti da pazienti sani o con tumore mammario operati presso il nostro Istituto. Avvalendoci della capacità delle staminali di rimanere quiscenti dopo la divisione asimmetrica, le cellule epitheliali sono state colorate con un colorante lipofilico che s’inserisce nella membrana cellulare e e viene diluito durante le varie divisioni cellulari: in questo modo le cellule che all’interno della mammosfera replicano poco (cellule quiescenti) trattengono il colorante, mentre la maggior parte delle cellule hanno perso la colorazione con i vari cicli di divisione cellulare. Grazie a questa metodica, i ricercatori hanno mostrato che, la regolazione dell’autorinnovamento cellulare, operativo nelle cellule staminali normali, è del tutto alterata nelle cellule staminali tumorali e l’identificazione delle alterazioni molecolari che lo sostengono viene ad essere cruciale per l’identificazione di bersagli molecolari per efficaci interventi terapeutici. Se le cellule staminali tumorali sono molto simili alle cellule staminali normali, è molto probabile che una nuova terapia anticancro diretta contro le staminali tumorali finisca per distruggere anche le staminali normali portando alla morte del paziente, quindi una terapia che comporta questo rischio non sarebbe accettabile. Per risolvere questo problema è necessario imparare a distinguere con sicurezza, le cellule staminali tumorali dalle staminali normali. Un modo per poterlo fare è agire sulla differenza nel tipo di divisione della staminale stessa, in modo da sviluppare terapie che colpiscano selettivamente le staminali tumorali. Tuttavia, considerato che le staminali normali sono poco numerose e per lo più ancora sconosciute (con l’eccezione delle staminali del sangue, cervello e della mammella), la strada che porta in questa direzione è ancora tutta da percorrere. Un’altra caratteristica delle cellule staminali tumorali e’ legata al fatto di essere particolarmente resistenti alla chemioterapia e alla radioterapia. La riduzione della massa tumorale, attualmente considerata indicatore di risposta clinica ovvero di sopravvivenza del paziente, può lasciare inalterata la frazione di cellule staminali tumorali, in grado quindi di proliferare e rigenerare la neoplasia con la sua ricomparsa a livello locale, o con nuove manifestazioni a distanza. Per l’eradicazione del tumore è quindi necessario bersagliare direttamente la cellula staminale tumorale/progenitore tumorigenico. La ricerca sulle cellule staminali resta comunque una delle aree più affascinanti della biologia contemporanea e, pur sollevando numerose questioni etiche, rappresenta una delle più promettenti sfide per il genere umano.



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