Ossola it n 13 inverno 2012

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anno V - numero 13 - autunno/inverno 2012

La rivista turistico/culturale delle valli dell’Ossola

INVERNO il monte Cistella il ritorno del lupo i sentieri della fede ossola pianeta neve

SCIALPINISMO P.zzo Bandiera Helgenhorn

Enogastronomia le carni piemontesi ricette rustiche

ARTE Verdiano Quigliati Locarno Film Festival

ESCURSIONI Antillone-Salecchio

English abstract

Arte e Cultura · Natura e Ambiente · Cucina e Spiritualità


I

l locale, ricco di atmosfera ed improntato sulla ricerca della cucina tradizionale, offre all'attento gourmet una competente selezione di vini Italiani, abbinabili alle caratteristiche delle specialitĂ della nostra cucina: salumi nostrani, formaggi d'alpe, paste della tradizione ossolana, carni selezionate e selvaggina. Frazione Pontetto, 102 - MONTECRESTESE (VB) Valle Ossola - Tel/Fax. 0324.232870 Chiuso il lunedĂŹ

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Riale 1740 mt.

Sottofrua

Valle Formazza

Formazza 1300 mt.

Fondovalle Chioso

1720 mt. Passo

Alpe Devero 1630 mt.

Goglio

Parco Nat. Veglia Devero

Esigo Osso

Alpe Veglia 1750 mt.

Cadarese Ausone Croveo

Premia 750 mt.

Baceno

San Domenico Foppiano

Crego

700 mt.

1420 mt.

Verampio

Cravegna Viceno Mozzio

Trasquera 1100 mt.

Briga

Crodo

Iselle

Oira

Varzo

Passo del Sempione

800 mt.

550 mt.

San Bernardo 1600 mt.

Locarno

Montecrestese Altoggio

Crevoladossola

Gomba

830 mt. Masera

Coimo 880 mt.

Fonti

600 mt.

Domodossola

Alpe Lusentino 1060 mt.

Malesco

Cannobina

Trontano Cosasca

Calvario

1500 mt.

Craveggia Ville調e Re 750 mt.

Druogno Santa Maria M.

Monteossolano

Bognanco

Toceno

Tappia

Cheggio

Beura

Villadossola

Montescheno

Antrona 920 mt.

Seppiana

Cardezza

Viganella

Cuzzego

Pallanzeno Prata

Parco Nat. Valle Antrona

Cimamulera

Castiglione Calasca

San Carlo Vanzone Pecetto Macugnaga 1300 mt. Staffa

Borca

Pestarena

Borgone

Ceppo Morelli 800 mt.

Pontegrande

Bannio

Anzino

Piedimulera Fomarco Vogogna Colloro Pieve Premosello Vergonte Cuzzago 250 mt.

Anzola

Candoglia

Migiandone

Ornavasso

Mergozzo

Boden

Verbania

Baveno

Lago Maggiore

Stresa

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Anno V - N. 13 - AUTUNNO/INVERNO 2012 Editore &aggiana Ziccardo Sede e redazione sia Madonna di >oreto, 7 28805 sogogna (sB) Tel. 329 2259589 &ax 0324 88665 info@ossola.it DireƩore Responsabile Massimo Parma

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DireƩore Editoriale Ziccardo &aggiana

RedaƩori aniela Bonanno onƟ, lisabeƩa olusso, Paolo rosa >enz, Marco e mbrosis, Zosella &avino, 'iulio &rangioni, hberto 'andolĮ, ecilia Marone, driano MiglioraƟ, Paolo Pirocchi, 'iuseppe Possa, &abio Pizzicoli, Michela ucca. Coordinamento graĮco e impaginazione leonora &iumara - eleonora@ossola.com Collaboratori urora sideo, >uca hessa, ^tefano e >uca, Tonino 'almarini, &elice Jerich, Marina Morandin, nna Proleƫ, iovuole Proleƫ, Paola Zovelli, Massimo ^artoreƫ, Maria ntonia ^ironi iemberger, arlo ^olfrini, Marco salsesia saleria Tantardini. Hanno collaborato a questo numero ccompagnatur “ rika olombo”, ssociazione sillarte FotograĮa rchivio © Ziccardo &aggiana, Marco Mazzarini, driano MiglioraƟ, Marina Morandin, &ranco Midali, Zoberto &acciola Video EdiƟng urora sideo Traduzioni hiara ane, risƟan seldman, Eicole Zose Stampa Z ''I EI ^.p. . - 'avirate (s ) Kssola.it è un periodico registrato presso il Tribunale di serbania in data 10/04/08 con il n. 3/08.

IL F SC®NO DEL MONãE ®SãELLA INVERNO AL MONãE ®SãELLA E D®NãORN® P®ANEãA NEVE ®N KSSOLA LLE OR®G®N® DELLO SC®ALÖ®N®SÃO PASSEGG®AãA Nã®LLONE - ^ALECCH®O 'ASãROF®LOSOF®A: LA CARNE &OOD: ÖANE ®N ÖADELLA E ãROãA ^ÖORãELL® WALSER, UNA R®SORSA CULãURALE s®AGG®O ãRA GL® ANã®CH® SAÖOR® OSSOLAN® 65° FESã®VAL ®NãERNAZ®ONALE D® >OCARNO I SENã®ER® DELLA FEDE IL R®ãORNO DEL LUÖO >A VERA SãOR®A DEL &®L DA &ER s®GANELLA: CASA sANN® >A FESãA DELLA ANDELORA '®UL®O 'UAL®O sERD®ANO QU®GL®Aã® IL V®NO OSSOLANO ãRA ÖASSAãO E FUãURO

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In coperƟna: Monte istella dal Monte azzola - foto Z. &aggiana

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© 2012 É vietata la riproduzione anche parziale di foto, tesƟ e carƟne senza il consenso dell’editore. Tuƫ i diriƫ sono riservaƟ.

Capo RedaƩore laudio ella 'eddo


testo di driano MiglioraĆ&#x; foto di driano MiglioraĆ&#x; e Ziccardo &aggiana


il Cistella dalla CosteĆŠa


redo che ogni escursionista abbia una montagna preferita, nel mio caso, tra le tante sveƩa il Monte Cistella. I moƟvi sono almeno tre: innanzitutto mi aƩrae per la sua caraƩerisƟca forma, assomigliante ad una gigantesca fortezza inespugnabile, visto dalla superstrada del ^empione sembra impossibile accedervi a causa dei suoi ripidi Įanchi, mi aīascina la sua par-

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Ɵcolare e unica morfologia, creata dai due grandi altopiani. hiunque sia salito sarà sicuramente rimasto colpito vedendo il paesaggio lunare, un ambiente maestoso e severo che non acceƩa intrusi nel momento in cui calano le nebbie; un luogo che ha ispirato molte leggende arcane e misteriose, legate a personaggi di fantasia come streghe, fate e folleƫ. ^e mai vi capitasse di senƟre un sibilo mentre camminate in


questo luogo avvolƟ nelle nuvole, non è deƩo che si traƫ del passaggio di un aquila, potrebbe traƩarsi della scia di una strega di garo, salita in volo per incontrare il diavolo. InĮne, mi piacciono parƟcolarmente le vie d’accesso, tuƩe di un certo impegno a causa del loro forte sviluppo planimetrico e l’elevato dislivello. Insomma una gran bella cima con il traƩo Įnale che bisogna guadagnar-

selo con l’aiuto delle mani; capace di meƩere in secondo piano il fratello maggiore iei, posizionato in linea d’aria a 1400 metri la veƩa presenta un solo difeƩo che è quello di non raggiungere i 3000 metri, ma d’altra parte nessuno è perfeƩo… Il gruppo istella- iei è composto dal Monte Cistella (2880 m.) il Pizzo Diei (2906 m.) e il Corno del Cistella (2688 m.), sorge isolato dal resto delle mon-

Vista del Diei dalla cima del Cistella 9 - ossola.it


tagne circostanƟ, un’autenƟca senƟnella che vigila sull’Kssola, grazie alla sua posizione strategica è visibile dalle montagne vigezzine, dalle cime della &ormazza, dalla salle ivedro, da evero... lo si scorge un po’ da ovunque. Quando la calura esƟva viene meno e le giornate autunnali si fanno fresche e limpide, diventa sicuramente la mete più ambita dagli escursionisƟ ossolani, grazie al suo incredibile e vasƟssimo

panorama a 360°, in giornate parƟcolarmente terse lo sguardo si estende dal Monviso all’ damello. Ben visibile il Monte Zosa, le montagne svizzere che raggiungono i 4000 metri dal sallese all’Kberland bernese, in primo piano il Monte >eone, non lontane le veƩe del evero capitanate dall’,elsenhorn e dal ervandone, mentre in direzione nord appaiono la Punta d’ rbola e il Basodino.

Il bivacco visto dalla cima ossola.it - 10


Quello che rende unico il istella, sono i due piaĆŤ tavolaĆ&#x; di calcescisto, il primo quello “altoâ€? che lo collega al P.zo iei lungo 650 m. e largo 450 m., il secondo quello “bassoâ€? interroĆŠo da gradoni e profondi solchi, che va dal orno del istella al sallone di ^olcio lungo 1Km e largo 500 m. poca distanza dalla cima a quota 2803 m. sorge il rifugio >eoni. senne costruito nel 1901 dalla sezione ossolana del I e dedicato al poeta dialeĆŠale 'iovanni >eoni di Mozzio deĆŠo il Torototela, uno dei pochi emigranĆ&#x; anĆ&#x;goriani che fece fortuna, commerciando tra la Patagonia e la Terra del &uoco. diÄŽcato in pietra, può ospitare ÄŽno a 10 persone, incustodito ma sempre aperto e ben conservato, risulta essere un valido appoggio in caso di maltempo, oppure per trascorrervi una noĆŠe potendo cosĂŹ ammirare le luci che brillano nel fondovalle e per assistere al sorgere del sole. I percorsi di salita sono molteplici: dal versante nord esistono almeno due vie d’ascesa che partono dall’ lpe Brumei, iĆ&#x;nerari non a torto piuĆŠosto trascuraĆ&#x; a causa dell’ambiente selvaggio e og-

geĆŤvamente pericoloso, dal versante ovest esiste l’iĆ&#x;nerario ben frequentato che sale da ^an omenico/ iamporino, tocca il olle di iamporino, arriva al Pizzo iei e oÄŤre la possibilitĂ di toccare il Monte istella, mentre il versante che prenderemo in considerazione è quello rivolto a sud, dove con le “vie normaliâ€? provenienĆ&#x; da &oppiano e sarzo. Scarponi ben allacciaĆ&#x; e spallacci ben Ć&#x;raĆ&#x;, si parte‌ The Enchanting Cistella ‹•–‡ŽŽƒ ‹• Â?› ˆƒ˜‘—”‹–‡ Â?‘—Â?–ƒ‹Â?Ǥ

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Il Cistella visto da Croveo 11 - ossola.it


Monte istella dalla località &oppiano di rodo do

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Pian Cistella alto

Quota partenza (m): 1217 Quota veƩa (m): 2880 Dislivello complessivo GPS (m): 1700 Diĸcoltà: / Esposizione prevalente: ^ud- st Località partenza: &oppiano ( rodo, sB) PunƟ appoggio: Bivacco >eoni CartograĮa: .E.^.salle nƟgorio 1:50.000 n°275 Note: Può valere la pena concatenare la salita al P.zzo iei, in questo caso tenere conto dell’aumento di dislivello pari a 160 m. ossola.it - 12

Ʃenzione a non farsi sorprendere dalla nebbia nei due tavolaƟ, in parƟcolar modo in quello basso, potrebbe risultare molto problemaƟco il ritrovamento del senƟero di ritorno. Periodo consigliato seƩembre/oƩobre. ^viluppo planimetrico 'P^ a/r 14,5 Km (solo istella). Descrizione: al paese di siceno si sale a &oppiano e si parcheggia nell’area pic-nic sopra il ristorante Pizzo del &rate, oppure nel piazzale


a sx dello stesso. Inoltrarsi sulla dx lungo la strada asfaltata, Įno ad un tornante recante l’indicazione “ istella via 'arina”, quindi si aƩraversa il torrente lfenza perdendo leggermente quota e s’inizia la salita nei praƟ toccando gli alpeggi lpe soma ( .E.^. Prepiana). nche in questa zona come abbiamo visto in precedenza nell’escursione della olmine di revola, noƟamo grosse incongruenze tra carta topograĮca e indicazioni in loco, e successivamente Prepiana sopra ( .E.^. siscardi) dove

per concludere con una conversione a sinistra che raggiunge il colleƩo della BoccheƩa di Balmafredda (2430 m.). Kra si aīronta il traƩo più suggesƟvo cosƟtuito dalla percorrenza del senƟerino che manƟene la cresta con il traƩo Įnale aƩraverso il caraƩerisƟco passaggio aereo della osteƩa, che da l’accesso al Pian istella basso (2535 m.) traƩo aƩrezzato da corrimano metallico. ^i prosegue su terreno pianeggiante seguendo fedelmente i numerosi omeƫ, mantenendo la direzione della cima ben visibile, si su-

Il Cistella della CosteƩa

ha inizio la salita nel bosco di conifere. ll’uscita dalla pineta si sĮora l’alpe 'aiola (1820 m.) (aƩenzione: ulƟma acqua sul percorso) e si percorre il lungo traverso verso sud/ovest nel bosco ceduo, a quota 1900 m soƩo le pendici orientali della roce dei Meri la traccia cambia direzione verso nord/ovest, la pendenza aumenta notevolmente. Kra la via si snoda nei ripidi praƟ senza vegetazione

pera sul lato dx una basƟonata rocciosa aƩraverso un canalino, poi si manƟene sempre la stessa direzione (nord/ovest) Įno ad intersecare il senƟero proveniente dal sallone di ^olcio. questo punto si supera una balza rocciosa e si ha l’accesso al Piano alto del istella arrivando così al rifugio >eoni, da cui in pochi minuƟ si guadagna la cima (le ulƟme rocceƩe sono facilitate da alcune catene). 13 - ossola.it


Inverno al Monte testo e foto di Marina Morandin

Alpe Solcio ossola.it - 14


Cistella e dintorni I

l Monte istella d’estate è una meta profondamente amata dagli escursionisƟ per gli splendidi iƟnerari oīerƟ e per i suoi panorami idilliaci. urante l’inverno però la bianca coltre ferma il tempo, l’ambita cima diventa un mondo a parte, inaccessibile ai turisƟ. ^olo a inizio primavera, quando il manto nevoso si sarà assestato, darà il consenso agli scialpinisƟ di solcare i suoi versanƟ. Eei mesi invernali si farà ammirare da lontano. sari percorsi per ciaspolatori portano nelle vicinanze delle sue pendici dando la possibilità di immergersi in ambienƟ capaci di donare grandi emozioni.

MAULONE - ALPE SOLCIO Località di partenza: sarzo località Maulone (937m.). Accesso: a sarzo seguiamo le indicazioni per ^an omenico. Percorriamo circa 4 km e, dopo aver oltrepassato, sulla sinistra della provinciale, la hiesa di ^an arlo giungiamo in località Maulone. >asciamo l’auto nel piazzale adibito a parcheggio sulla destra, subito oltre la cappella voƟva. Diĸcoltà: Dislivello: 810 m. Tempo di percorrenza: 3h00 Note: si consiglia di contaƩare sempre il rifugio prima della partenza per avere indicazioni precise sul percorso e l’innevamento. Descrizione: ’inverno il percorso è solitamente sempre innevato e baƩuto. i si avvia subito in un ripido traƩo in mez-

Alpe Prà del Bosco

zo ad un bosco di conifere che spianerà al primo tornante. opo poco si arriva a Maulone ^opra. ^i superano una serie di splendidi alpeggi Įno a raggiungere l’ lpe ^alera, belvedere sulla sal ivedro e sul triƫco dei 4000 della ^vizzera: Weissmies, >agginhorn e &letschorn. a qui si sale Įno all’ lpe alanƟgine, ampia e panoramica spianata, e successivamente all’ lpe ^olcio e al rifugio rosta in un ambiente aperto, solare e che infonde pace e serenità. Il rifugio è raggiungibile anche da ^an omenico aƩraverso l’ lpe orcia e l’ lpe Balzo, ma l’iƟnerario presenta traƫ a rischio valanga (chiedere sempre al rifugio informazioni riguardo a innevamento e pericoli: Tel. 0324 634183, www.rifugiocrosta.it) 15 - ossola.it


Albergo g Ristorante Bar GIRO AD ANELLO DI PRÀ DEL BOSCO Località di partenza e arrivo: Trasquera, località &raccia (1300 m.) Accesso: a sarzo si seguono le indicazioni per ^an omenico per poi girare a sinistra al bivio per Trasquera. ^i prosegue poi Įno al bivio dove a destra troviamo le indicazioni per la località >a ^oƩa/ &raccia. >a strada viene ripulita da mezzi comunali, è bene comunque avere le catene al seguito. Diĸcoltà: T Dislivello: m 150 Tempo di percorrenza: 2h00 Note: Kltre alla possibilità di arrivare in auto alle località >a ^oƩa/&raccia vi si può accedere anche da Trasquera, lungo un percorso ciaspolabile segnalato, con partenza dalla chiesa e dal omune. Descrizione: Tranquillo percorso adaƩo a tuƩa la famiglia. >asciato l’agriturismo >a &raccia ci si incammina nella traccia che, inoltrandosi in un meraviglioso bosco di larici e abeƟ, in leggera salita ci conduce a Prà del Bosco (1413m.). opo la bella veduta che si apre dalle baite dell’alpeggio, si prosegue in discesa, con divertenƟ tornanƟ in mezzo al bosco, per giungere all’ lpe ioina (1143m.). qui lo sguardo può spaziare dalla sottostante sal airasca alle veƩe dei MonƟ iei e istella. Il rientro si sviluppa lungo un semplice percorso pianeggiante. >ungo il tragiƩo dei cartelli in legno segnalano la via.

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di laudio ella 'eddo foto di Ziccardo &aggiana

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a sal d’Kssola oīre durante tuƩo l’anno, parƟcolarmente nella la stagione fredda, il suo proĮlo migliore ai tanƟ appassionaƟ di natura e sport, insomma un piacere unico per tuƩa la famiglia. Zacchiusa tra il massiccio del Monte Zosa i 4000 del sallese svizzero, il parco nazionale della sal 'rande, il colle del ^empione e l’alƟpiano che aƩraverso le centovalli Ɵcinesi conduce al >ago Maggiore, la valle si stende lungo gli oltre oƩanta chilometri de >a Tös (il Įume Toce secondo la tradizionale nomenclatura celƟca) Įn oltre il >ago di Mergozzo. Tra pareƟ scoscese, cime scinƟllanƟ, sontuosi boschi, campanili millenari e accoglienƟ borghi turriƟ durante l’inverno potrete scoprire innumerevoli piste da fondo e da sci, praƟcare indimenƟcabili escursioni con le raccheƩe da neve, fare scialpinismo, provare lo snowbike, seguire senƟeri per passeggiate Įno ai tanƟ e accoglienƟ rifugi, diverƟrvi con le tavole negli snowpark oppure scendere con la sliƩa i soleggianƟ versanƟ delle seƩe valli ossolane magari soƩo un cielo color cobalto impreziosito dalle traieƩorie di mulƟcolori parapendio. >a valle dell’Kssola è ancor più bella di noƩe e allora non perdetevi le occasioni di calpestare la neve soƩo la luna prima di assaporare in accoglienƟ locande le tante prelibatezze del territorio. Eaturalmente non mancano le scuole di sci e snowboard, i punƟ di noleggio per ogni aƩrezzatura, le piste di paƫnaggio e gli impianƟ di risalita tra funivie, seggiovie, sciovie che vi porteranno lungo le creste delle Terre lte ad ammirare un panorama unico al mondo: la catena delle lpi >eponƟne e Pennine! I molƟ collegamenƟ stradali e ferroviari vi consenƟranno di raggiungere questa valle incantata agevolmente, senza sforzo pronƟ per lanciarvi in una straordinaria avventura sporƟva.

mbienƟ diversi, ricchi di storia e tradizione, vi faranno amare la montagna e ve la faranno vivere nei migliori dei modi divertendovi contemplando lo speƩacolo di una natura inviolata e unica. In parƟcolare lo sci da discesa lo si può praƟcare a Macugnaga, omobianca, ^an omenico- iamporino, salle sigezzo, lpe evero, salle &ormazza mentre iƟnerari per lo sci da fondo si trovano in &ormazza, ^anta Maria Maggiore, Trasquera, Macugnaga, ntronapiana, lpe evero, omobianca. i piedi del Monte Zosa, nel cuore dell’anƟca civiltà alpina Walser, Macugnaga propone, grazie ad un quasi conƟnuo innevamento, la possibilità di praƟcare tuƫ gli sport da neve, Inoltre i più ardiƟ, potranno cimentarsi con roccia e ghiaccio assisƟƟ da rinomate guide alpine. Il centro della valle, omodossola, è aĸancato da una stazione sciisƟca rinomata e comoda da raggiungere e scorgere: omobianca; località che si stende dal >usenƟno al Moncucco. 'ià campo di prova e gara della &ederazione Eazionale ^ci, omobianca regala agli sporƟvi un orizzonte alpino a 360° gradi tra cime aguzze e macchie di conifere. Quando si dice seglia evero si indicano due gioielli assoluƟ delle lpi occidentali - inclusi nell’omonimo parco naturale - paesaggi che non mancheranno d’entusiasmare e di incantare, forse per sempre, chi avrà la possibilità di ammirarli magari partendo da ^an omenico o Baceno. ^ovrasta ^an omenico in sal airasca in fronte al Monte >eone, l’ lpe iamporino, pascolo esƟvo lungo la strada del seglia e d’inverno punto di partenza, grazie a modernissimi e rinnovaƟ impianƟ, per gradevoli escursioni con gli sci o la tavola Įn oltre i 2500 metri del osso. ^empre in zona non si dimenƟchi poi la pista per il fondo di Trasquera a pochi chilometri dal conĮne elveƟco delle gole di 'ondo. 19 - ossola.it


Monte Moro

ltreƩanto celebre risulta la piana dell’ lpe evero con tuƩo il suo disegno di boschi, cascate, laghi e piccoli borghi di montagna come a rampiolo. >ungo la conca non c’è che l’imbarazzo della scelta tra piste di discesa dal Monte azzola, iƟnerari scialpinisƟci, anelli di fondo di diversa estensione e percorsi adaƫ alle raccheƩe da neve. Molto conosciuta è anche la salle sigezzo, un alƟpiano morenico intarsiato di ossola.it - 20

ridenƟ paesi come Malesco, all’imbocco della sal 'rande, Ze, celebre per la Madonna del laƩe, e sopraƩuƩo ^anta Maria Maggiore vero cuore pulsante del comprensorio. Qui tracciaƟ per lo sci da fondo si srotolano lungo serraƟ boschi di abeƟ da ruogno a Malesco mentre più a est la stazione sciisƟca >a Piana permeƩe agli amanƟ della neve magniĮche discese sullo sfondo dei magniĮci teƫ e tesori di raveggia.


Domobianca

PomaƩal, in anƟco dialeƩo walser Formazza per tuƫ, un angolo di Ossola che vi proieƩa in centro Europa quasi ai conĮni del Passo del San GoƩardo. Valle ritenuta la patria del fondo italiano e aƩualmente apprezzata sopraƩuƩo per la sue prelibatezze casearie: Montagna in cui l’atmosfera anƟca di un mondo di ieri vi accompagnerà lungo piste, anelli da fondo e tracce che con sci o racchet-

te ai piedi potrete seguire magari Įno al Passo San Giacomo, fronƟera ma non ostacolo fra Piemonte e Canton Ticino. Valico della medievale e ancor uƟlizzata Sbrinzroute. Ancora gli intenditori di montagna non potranno tralasciare, magari con le raccheƩe da neve ai piedi, i celebri percorsi che segnano - tra laghi e passi - l’alta Valle Bognanco o ammirare la bellezza celata della Valle Antrona, piccolo tesoro che si concede solo a chi la sa scoprire, anche d’inverno. Scrivendo di neve non si poteva tralasciare il complesso del MoƩarone, monte che fa da sparƟacque tra i laghi Maggiore e Orta: Luogo ove sarà possibile sciare, scendere, camminare aƩraƫ e caƩuraƟ dall’immagine unica di ben seƩe laghi dell’Italia seƩentrionale tra Lombardia e Piemonte, fra pianura e montagna.

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testo e foto di Adriano MiglioraƟ

Alle origini

dello scialpinismo a Valle Formazza, autenƟL co paradiso delle escursione esƟve di cui abbiamo già parlato, è sicuramente uno dei luoghi ideali per la praƟca invernale dello scialpinismo. Infaƫ oltre ad avere innumerevoli percorsi di alta qualità, può vantare anche il privilegio di essere una delle località alpine che hanno tenuto a baƩesimo la nascita di questa disciplina grazie a Marcel Kurz, cartografo e oƫmo alpinista svizzero, che si rivelò come uno dei precursori che diedero origine a questa nuova aƫvità invernale agli inizi del 1900. Nacque a Neuchatel nel 1887, da giovanissimo si appassionò alla montagna grazie al padre Louis e nel 1907 iniziò sul Grand Combin una serie di campagne invernali, che lo consacrarono come il vero esperto di questo nuovo modo di percorrere le Alpi. Divenne famoso per la sua grande quanƟtà di prime ascensioni eīeƩuate con gli sci e fu anche l’ideatore della più classica delle traversate, Chamot av tr averrsa s ttee, ll’Haute Hautee R Route Chamo

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nix-ZermaƩ nix-Zerm maƩ. Nel 1913 aƩ Ʃraversò le Alpi LeponƟne Occidentali, dal Passo del Sempione al Passo del GoƩardo, dove ebbe la fortuna di conoscere questo meraviglioso lembo estremo di terra ossolana. Colonizzato dalle popolazioni Walser provenienƟ dal Canton Vallese. Nel suo “girovagare per la Formazza” compì diverse ascensioni, alcune furono addiriƩura prime assolute, mentre altre invece non si rivelarono tali, come la Punta d’Arbola, dove si accorse di essere stato preceduto di ben due anni dal parroco di Premia Don Rocco Beltrami salito con undici suoi compaesani nel 1911. In questa uscita invernale proponiamo due gite scialpinisƟche, la prima riguarda per l’appunto la Val Formazza. Avendo l’imbarazzo della scelta, ho deciso di relazionare l’ulƟma da me eīeƩuata in ordine cronologico, risalente alla Įne del mese di marzo dell’anno scorso, corredata da alcune foto. Il primo iƟnerario proposto non è quello classico ma una valida alternaƟva, mentre il secondo di pari valore, vallore, si trova in zona zo ona limitrofa e riguardaa la Valle AnƟgorio. gori r o.


PIZZO BANDIERA (2817 m.) Località di partenza: Alpe Devero (1630 m.) Dislivello: 1200 m. Sviluppo planimetrico: 12 Km a/r Diĸcoltà: bravi sciatori Esposizione: sud/nord-est Carta topograĮca: C.N.S. Helsenhorn n° 1290 (1:25.000) Percorrere la S.S. 659 Valle AnƟgorio/ Formazza Įno all’abitato di Baceno, dove si seguono le indicazioni Croveo Alpe Devero, proseguire su strada interamente asfaltata Įno a raggiungere il parcheggio a pagamento (costo € 5,00). SALITA: Guadare il torrente sul ponƟcello in legno e aƩraversare la piana di Devero in direzione nord, appena superato il rifugio CasƟglioni inizia la dolce salita, alzando lo sguardo si può notare la sagoma inconfondibile a pinna di squalo della Punta della Rossa. Mantenendo la stessa direzione, si superano le baite dell’Alpe Campello e si aīronta il ripido canale che scende dal Pian della Rossa, solitamente piuƩosto ghiacciato a causa della sua esposizione a mezzogiorno, pendenza max 30°. Raggiunto il colle, contraddisƟnto da una zona costellata da massi enormi, deviare decisamente a sinistra in direzione ovest, risalire l’evidente canale morenico del Ghiacciaio della Rossa Įno a quota 2600 circa, dove si possono ammirare sulla destra la Punta Gerla (3087 m.) mentre di fronte il famigerato Canalino Ferrari, porƟcina d’accesso al re del Devero il Pizzo Cervandone (3210 m.). Con spostamento verso sinistra si punta direƩamente alla selleƩa del Pizzo Bandiera e mantenendo la cresta sci ai piedi o eventualmente a piedi si guadagna la cima. 23 - ossola.it


P.TA D’ELGIO o HELGENHORN Έ2837 MΉ Quota partenza (m): 1728 Quota veƩa (m): 2837 Dislivello complessivo GPS (m): 1140 Sviluppo planimetrico GPS (Km): 16,6 a/r Diĸcoltà: BS Esposizione prevalente: sud Località partenza: Riale di Formazza (VB) PunƟ appoggio: Rifugio Maria Luisa Tel. 0324/63086 CartograĮa: C.N.S. Basodino n°1271 (1:25.000) Note: La catena Gries/Valrossa separa l’Italia (Val Formazza) dalla Svizzera (Val Corno). La cima dominante è il Corno Gries con i suoi 2969 m. che supera di un solo metro la Punta di Valrossa. Scendendo verso il passo San Giacomo troviamo la cima più’ orientale del gruppo che si traƩa della Punta d’Elgio 2837 m. E’ possibile dividere la gita in due giorni, pernoƩando al rifugio Maria Luisa.

P.ta d’Elgio

Come arrivarci: Percorrere la superstrada del Sempione ed uscire allo svincolo Valle AnƟgorio/Formazza. Procedere su S.S. n° 659 per 40 Km Įno alla frazione di Riale, oƫma possibilità di parcheggio. SALITA: Dall’abitato di Riale ci si sposta in direzione nord/est e si aƩraversa la pista dello sci di fondo per poi immettersi brevemente nella strada che sale al rifugio Maria Luisa (solitamente battuta dal gaƩo delle nevi), la si abbandona quasi subito salendo sulla linea di massima pendenza su percorso libero, intersecando più volte l’arteria Įno allo scollinamento (prestare aƩenzione all’eventuale caduta di valanghe nella parte alta che possono arrivare sulla sede stradale). Proseguire su terreno pianeggiante in ossola.it - 24

Bacino del Toggia


direzione della diga del Lago Toggia, poi svoltare a sinistra Įno al rifugio. A destra dell’ediĮcio riparte la traccia che si alza in direzione nord, Įno a sĮorare una baita con una fontana, poco più avanƟ si supera una presa d’acqua e, su terreno più ripido si accede alla Valrossa aƩraverso il restringimento della valleƩa. Mantenendo il centro della valle si prosegue per 600 metri in piano, poi si inizia a guadagnare quota virando a destra su dolce pendio, dove si raggiunge la lunga dorsale che scende dalla P.ta d’Elgio Įno alla quota 2480 m. A questo punto in base alle condizioni si possono scegliere due soluzioni: aggirare l’altura quotata 2628 m. salendo su ripido pendio puntando direƩamente alla cima, poi mantenendo la destra ci si immeƩa sull’iƟnerario di salita dal versante svizzero proveniente dal P.so San Giacomo che conduce in veƩa, oppure eīeƩuare un lungo diagonale verso destra rimanendo più bassi di quota rispeƩo alla prima soluzione, Įno ad immeƩersi nello stesso iƟnerario. La salita sci alpinisƟca termina alla base delle rocceƩe Įnali, gli ulƟmi metri si salgono a piedi. DISCESA: Anche per quanto riguarda la discesa esistono due soluzioni: la prima è quella di percorrere a ritroso l’iƟnerario di salita scendendo nella Valrossa facendo attenzione di non abbassarsi troppo in alcuni traƫ. La seconda molto interessante è di scendere direƩamente sul Lago Toggia ancora gelato sfruƩando il bel pendio molto sciabile. Quindi si rimeƩono le pelli e si aƩraversa il lago, risalendo nei dintorni della casa dei guardiani della diga. Se questo non fosse più possibile, causa disgelo, si aƩraversi l’invaso in direzione sud/est (riferimento Alpe Regina) e con breve risalita si giunge al Lago Castel da cui si scende a Riale. 25 - ossola.it


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Anni di ricerca sul campo, di analisi comparata di costruzioni, distribuite geograficamente sull’intero arco delle Alpi e temporalmente lungo numerosi secoli, fanno emergere, in questo ricco testo, sorprendenti insegnamenti. Nelle sue 278 pagine il libro esamina le tecniche costruttive alpine: la casa di pietra, la casa di legno, la struttura del tetto, la copertura di pietre sottili, la copertura di beola, la copertura di legno, la copertura di paglia, il tetto freddo, la pendenza dei tetti, l’intonaco, le decorazioni a collarino, graffito e pittura. Con il corredo di centinaia di foto a colori, alcune decine di stampe e foto storiche in bianco e nero e centinaia di disegni (assonometrie, piante, prospetti e dettagli), il testo rappresenta emblematicamente alcune dimore alpine storiche in tutte le Alpi. Il volume propone il recupero di risorse per la vita delle comunità montane attraverso un profondo ripensamento dell’architettura e del suo rapporto con l’ambiente, il paesaggio e le vecchie e nuove attività umane. Costruire sulle Alpi ha ricevuto la segnalazione della Giuria del 35° Premio Itas del libro di montagna.

Dopo oltre mezzo secolo di devastazioni incontrollate, soprattutto in Italia, dobbiamo trovare il modo di restituire agli spazi della nostra vita l’antica perduta bellezza. Il progetto costruttivo deve recuperare il suo obbiettivo reale, che non è la fama del progettista, ma la qualità della vita delle persone. “In Italia il 95% delle architetture attuali sono pessime”, dice Salvatore Settis. In attesa che le università prendano coscienza dell’esito disastroso di una didattica che ha lavorato come se tutti dovessero diventare “Grandi Artisti” o “Geni dell’Architettura”, questo libro si propone di esaminare le conseguenze che il fatto stesso di costruire e le tecniche utilizzate hanno sulla nostra vita. Dopo decenni di insegnamento alla Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, l’autore non puo` prescindere da un obbiettivo didattico, non solo nel senso di dare indicazioni utili agli studenti di architettura e di ingegneria, ma anche per contribuire a diffondere, tra gli utenti della casa e della città, sensibilità e attenzione alle problematiche ambientali poste dal costruire.

Giovanni Simonis “Costruire sulle Alpi”, Tararà edizioni 2008, € 39,00

Giovanni Simonis “Costruire con la pietra”, Tararà edizioni 2012, € 32,00

storia e attualità delle tecniche costruttive alpine

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tesĆ&#x;: Erika Colombo foto: Riccardo Faggiana

Passeggiata Antillone-Salecchio

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L

’escursione che presenƟamo è una classica tra le proposte legate ai villaggi Walser in Ossola, un iƟnerario che parte dalla frazione di AnƟllone in Val Formazza per scendere, in un conƟnum di traƫ discendenƟ, pianeggianƟ e ascendenƟ sino a Salecchio Inferiore, passando per i nuclei abitaƟ che componevano l’originaria struƩura di questo “dorf” dalla Ɵpica forma decentrata. Si traƩa di un’escursione di ampio respiro paesaggisƟco, aƩraversa boschi di larice e d’abete e raggiunge l’alpe di Vova, cinta da alte veƩe come il Giove e il pizzo Martello, per poi condurre ai i nuclei abitaƟ dalle Ɵpiche costruzioni in legno. Ma è sopraƩuƩo un’escursione nel mondo della coltura e della cultura di un popolo: i walser. AnƟllone, piccolo nucleo di poche case adagiate tra l’omonimo lagheƩo e un canale spesso soggeƩo a valanghe, cela tra le mura del piccolo oratorio una tra le piu’ importanƟ tesƟmonianze del legame esistente tra tuƩo il popolo walser sparso tra le alpi. Un aīresco all’interno dell’ediĮcio religioso raĸgura il grande pellegrinaggio che le genƟ di Salecchio, Agaro, Devero e Formazza compivano ogni anno sino al GoƩardo, dove si riunivano con il resto delle genƟ walser, provenienƟ da tuƩo l’arco alpino. AnƟllone dunque ci consente di penetrare nella dimensione religiosa del fenomeno walser, faƩa di preceƫ rigidamente osservaƟ, di rituali agresƟ perpetuaƟ e tramandaƟ di generazione in generazione, di devozione pura e semplice, di leggende a sfondo religioso. A quest’ulƟma categoria apparƟene la bella leggenda delle ninfee che Ňoride galleggiavano sul lagheƩo di AnƟllone. Una giovine di nome ElisabeƩa si recò un giorno da Fondovalle ad AnƟllone per prestar visita ad una zia ammalata. Nelle vicinanze del lago vide al di sopra delle acque una signora bian-

covesƟta dal volto radioso che le faceva segno di seguirla. ElisabeƩa non poteva camminare sopra il lago, ma la Madonna distese un nastro rosa sino alla riva così che ElisabeƩa potesse raggiungerla. Timorosamente la giovane raggiunse Maria lungo il senƟero di seta galleggiante e giunta al tronco di larice dove giaceva la Madonna questa le disse:” Dì ai tuoi paesani che pianƟno una croce sul ceppo di larice dove ci troviamo ora e erigano una chiesa dedicata alla Visitazione sulle sponde del lago.” E sparì. ElisabeƩa si avviò verso la casa della zia ma incontrò l’ammalata miracolosamente guarita. Neanche a dirlo le due donne si precipitarono in paese a riferire del prodigio e del monito ricevuto dalla Madonna. Fu così che AnƟllone ebbe croce e oratorio, benedeƩo il quale spuntarono, come d’incanto, a cento a cento, splendide ninfee dai Įori bianchi. Dalle genƟ di Formazza questa ninfee furono sempre considerate benedeƩe, raccolte e custodite in casa, aĸnché tenessero lontano fulmini e tempeste. Procedendo nella nostra escursione ci avviamo all’alpe Vova aƩraverso un bel bosco di abeƟ, ĮƩo e ombreggiato, di certo luogo predileƩo per narrare qualche altra leggenda walser. Lungo questo senƟero che parte da Salecchio Inferiore, per raggiungere Salecchio Superiore, Case Francoli, Vova e AnƟllone si snodava una insolita processione, non di vivi ma di morƟ. Si traƩava, anime in pena che solevano fare dispeƫ o provocare disgrazie, e per questo non si poteva nè dimenƟcare un aƩrezzo da lavoro, giacchè sarebbe sparito o danneggiato, nè riposare, poiché se ci si addormentava ci si risvegliava zoppi. Raggiunto il grande alpe di Vova ci si avvia a case Francoli, primo nucleo abitato dai Salecchiesi lungo il nostro cammino. Qui viveva la levatrice, oggi diremmo 29 - ossola.it


sulla sinistra possiamo ammirare ciò che rimane di una segheria ad acqua, essa doveva servire per tagliare i magniĮci abeƟ dai quali si ricavavano travi squadraƟ che avrebbero cosƟtuito il cassero assemblato ad incastro, deƩo a block- bau, Ɵpico degli ediĮci walser. Oggi noi possiamo ancora ammirare nel suo splendore l’architeƩura delle struƩure walser in Salecchio. Granai poggianƟ sui funghi in pietra per impedire ai roditori di raggiungere le messi da conservare, Įenili e stalle, Case Francoli abitazioni con parƟ in pietra dedicata alle canƟne o alle zone ostreƟca. A lei il privilegio e l’onere di che dovevano essere ignifughe, le cucifar nascere i bambini e di accudire le ne e la parte abitaƟ va in legno di larice. partorienƟ. Il villaggio viveva di una ecoQuello che non subito si nota, distraƫ nomia di sussistenza chiusa quasi comdall’occhio ammirato e ammaliato da pletamente al mondo esterno. Questo balconate Į orite anche al tepore dei comportava che tuƩo ciò che si poteva mesi autunnali, è il rapporto esistente produrre in termini di beni o di servizi, tra le costruzioni: circa 25 sono le case come l’ostetrica appunto, doveva provenire dal villaggio stesso. I pochi scambi culturali, commerciali o di necessità, come il medico o il farmacista, avvenivano comunque con altre colonie walser. Molto di rado e il più delle volte solo se obbligaƟ dai signori locali o dal clero, i Salecchiesi scendevano in valle AnƟgorio ad esempio per seppellire i morƟ, sino a che non si dotarono di chiesa cosƟtuita in parrocchia e cimitero. Appena superata Case Francoli, nei pressi del lavatoio si trova il forno della calce. Anche in questo essi seppero sfruƩare al meglio quel che la montagna gli oīriva, rimanendo il più possibile indipendenƟ dalle genƟ di valle. Raggiunto Salecchio Superiore ossola.it - 30


e poco più del doppio i Įenili. Questo ci fa comprendere ciò che ormai non possiamo più vedere, cioè la distribuzione del terreno intorno al villaggio, il pascolo, il prato da sfalcio, gli orƟ, il seminaƟvo a segale, orzo, spelta e quello lasciato a patate. Il bosco che oggi avanza e il terreno lasciato incolto nascondono, se non a occhi molto esperƟ o ai ricordi di chi visse qui un tempo, come doveva essere il paesaggio limitrofo all’hofe. Certo è che il prato da sfalcio doveva essere molto, data la proporzione case, le bovine passavano in cascina circa 9 mesi su 12 e quindi era necessaria una quanƟtà enorme di scorte in Įeno. Si tagliavano praƟ anche nei posƟ più impensabili, qui di tagli se ne facevano al massimo due, il più delle volte uno solo. I bambini venivano mandaƟ a tagliare erbe anche sulle rocce, con la falce messorio e non con

la ranza. Del resto i walser hanno colonizzato, boniĮcato e abitato le terre alte, quelle prima rappresentavano soltanto zona di pascolo esƟvo, ne hanno eleƩo dimora prevalente e per pascolare non gli è restato che spingersi sino ai conĮne con il cielo. L’allevamento e i prodoƫ da esso derivaƟ rappresentavano il principale sostentamento dell’economia e i principali prodoƫ di consumo alimentare. Così il prato-pascolo risulta essere l’anello di congiunzione tra agricoltura e allevamento. I walser giungono ad occupare gli alƟpiani e le terre alte, Salecchio compreso in un periodo che coincide con l’epoca dei progressi nelle tecniche agricole, aratro a ruota, falce con lama piegata, erpice, la stufa con canna fumaria. Essi operarono una colonizzazione economica di queste terre introducendo tecniche e colture in aree geograĮche dove in preIn cammino sul senƟero per l’alpe Vova cedenza si pascolava soltanto. 31 - ossola.it


Nessuno a Vova colƟvava segale o orzo, vi pascolavano le mucche delle genƟ di Premia o di Baceno e così rimase anche in seguito, mentre con l’arrivo dei walser a Case Francoli, adiacente all’alpeggio dei valligiani, si colƟvava e si viveva tuƩo l’anno. Ma cosa si colƟvava e cosa si mangiava qui... Si colƟvavano segale, quella invernale, seminata in luglio germogliava soƩo la neve e si mieteva in seƩembre. Per aiutarla a maturare la si adagiava nelle logge o su un’impalcatura in legno dal teƩuccio a scandole, veniva lasciata ad asciugare per essere conservata nei granai, Stadel, dove veniva trebbiata. Il fabbisogno di un adulto era di circa 80/100 kg di pane nero all’anno che veniva coƩo una sola volta, nel periodo invernale. Durante la paniĮcazione gruppi di giovani mascheraƟ con movenza camuīate si presentavano al forno, dove giovani e anziane lavoravano all’unisono. Ai manigoldi riconosciuƟ veniva offerto una piccola pagnoƩa, confezionata appunto per le maschere. Ai bambini si facevano pagnoƩelle arabescate da

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oīrire in dono. Si colƟvava panico e orzo, anƟcamente la spelta. Il pane veniva consumato raīermo e accompagnava dalla casa all’alpe il pastore e la sua famiglia. Durante i mesi esƟvi ci si spostava in conƟnuazione con le besƟe. Così da un diario del 1877 si desume che la famiglia passasse per sei diīerenƟ luoghi in 8 diverse occasioni: 55 giorni di pascolo Im Spalze, im slughe 173 gg, CorƟgio 22 gg, Kammeralpu 57 gg, uf ruvinu 32 gg, solecchio di sopra 26gg. In tuƩo 136 giorni di pascolo per il besƟane e 229 in stalla. Si mangiavano mascarpa- ricoƩa, e formaggio di capra e un poco di fonƟna, poiche’ una bella feƩa della produzione era desƟnata al baraƩo. Tra il ‘700 e ‘800 l’alimentazione delle genƟ alpine subisce una rivoluzione, grazie all’introduzione della coltura delle patate. La prima citazione leƩeraria inerente a questo tubero è della prima metàdel 500, le papas provenienƟ dal Perù vengono importante dagli spagnoli in Galizia e da qui nell’Italia SeƩentrionale,


qui e a lato: Salacchio superiore

Paesi Bassi, Franca Contea e Borgogna. Gli italiani le chiamano tartufale, da cui deriva Tartoŋen e Kartuŋen. Le prime tesƟmonianze di colƟvazione sulle alpi si hanno a parƟre del XVIII° secolo: questo ritardo fu dovuto all’innata diĸdenza dei montanari o alla proverbiale credenza che tuƩo ciò che cresce in giù sia fruƩo demoniaco o piuƩosto alle varietàinizialmente importate. Quando nel ‘700 venne introdoƩa la qualità di patata andina, adaƩa ai climi montani, anche sulle alpi iniziò ad essere praƟcata questa coltura. E’ probabile che si sia diīusa nei paesi Walser dalla pianura lombarda, dominio spagnolo, come furono gli insediamenƟ walser piemontesi. Complici le caresƟe dei secoli ‘700 e ‘800, che obbligarono i montanari a cibarsene, la patata si diīuse in tuƩo l’arco alpino. Il più anƟco documento riguardante la sua colƟvazione sulle alpi è del 1741 nella valle di Hasli,

walser appunto, dove a seguito di una disputa con il governatore di Interlaken, che pretendeva di inserirla nella decima sulla segale, venne inizialmente esclusa. Ma la troviamo compresa nelle decime già nel 1759, a tesƟmonianza di come in pochi anni avesse preso piede. Forse i Formazzini e i Salecchiesi, avvezzi a frequentare la valle di Hasli per recarsi a Meiringen alla Įera, aƩraverso il passo del Gries importarono la patata. O forse la importarono dalla vicina Lombardia, aƩraverso la strada che da Milano raggiungeva l’Ossola inferiore e da qui prendeva per la valle AnƟgorio, Formazza e scendeva in Svizzera aƩraverso lo stesso passo del Gries. Certo è che un documento del 1807 ci dice che a Formazza si colƟvavano pomi di terra. A Salecchio le patate erano parƟcolarmente reddiƟzie, come in nessun altro paese walser, la resa era pari a 1 su 9. Per questo moƟvo talvolta venivano uƟ33 - ossola.it


lizzate come mezzo di scambio. Mulini, Įenili, stadel e forni di quesƟ nuclei abitaƟ ci hanno introdoƩo in un mondo aīascinante, faƩo di leggende, ma anche di quoƟdianità, di alimentazione, di faƟche e di fede. Prima della discesa al passo di Premia un ulƟmo sguardo alla chiesa dove ogni anno si festeggia la ricorrenza della Candelora, festa dalle origini pagane: i lupercali romani nel mese di febbraio, il ritorno della luce. CrisƟanizzata la festa celebra la luce in Gesù luce delle genƟ che viene presentato al tempio e al contempo il rito ebraico di puriĮcazione della Madonna, trascorsi i 40 giorni dal parto. Lasciata la chiesa, anch’essa simbolo di conquistata indipendenza con il suo piccolo cimitero che non obbligava piu’

i salecchiesi a scendere coi propri morƟ sino a Baceno, ecco la scuola ultmissimo tentaƟvo di far sopravvivere in autonomia la lingua e la cultura di un popolo.

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la CARNE

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I

l tema della carni è senz’altro troppo ampio da traƩare in un unico capitolo della nostra rivista. Esso richiederebbe un libro speciĮco per ogni varietà di carne conosciuta e uƟlizzata ai Įni gastronomici dall’essere umano. TuƩavia, da una prima classiĮcazione generale, a seconda del colore della carne dopo la macellazione si disƟnguono: Carni Bianche: polli, conigli, tacchini; Carni Rosse: manzi, ovini, caprini, equini; Carni nere: in generale tuƩa la selvaggina sia di pelo che di piuma. Per introdurre l’argomento ci soīermeremo su conceƫ di gastroĮlosoĮa delle carni bovine, che risultano comunque applicabili, con le opportune considerazioni, anche alle altre Ɵpologie.

Principi generali di qualità Ogni volta che ci appresƟamo ad acquistare un taglio di carne ci domandiamo se sarà buono… E, nonostante la nostra esperienza, non sempre, lo stesso taglio di carne (acquistato anche la volta scorsa) risulta costantemente delizioso, nonostante la tecnica di coƩura sia la medesima... Perché??? Se sono andato dallo stesso macellaio, ho comprato lo stesso scamone di manzo, l’ho coƩo esaƩamente come l’ulƟma volta, perchè il risultato, nel piaƩo, non è lo stesso? La risposta è più ovvia di quanto possa sembrare: non si traƩava dello stesso animale. Questo complica molto il nostro compito di selezionatori di carni buone. In praƟca, la qualità della carne, dipende prima di tuƩo dalla qualità dell’animale da cui viene ricavata. Gusto e tenerezza, ma anche consistenza e resa, variano da animale ad animale. Per questo moƟvo è fondamentale comprendere che la qualità di un taglio di

carne, viene decisa addiriƩura prima che l’animale nasca e venga allevato. Ma come è possibile? Prendiamo il caso dei bovini. Esistono due grandi categorie di bovini: quelli da laƩe e quelli da carne. Non sempre una mucca che ha “lavorato” diversi anni nella produzione di oƫmo laƩe, di alta qualità, allevata solo a Įeno e pascoli, garanƟsce tagli di carne di qualità superiore… E’ più facile il contrario... Allo stesso modo, per oƩenere carni di buona qualità, con una buona resa alla macellazione, sono staƟ nel corso dei secoli selezionaƟ animali (razze di animali) che presentano caraƩerisƟche idonee a garanƟre un alto livello qualitaƟvo alla macellazione. Lo so... Qui casca un mito: la mucca allevata nei pascoli di montagna, solo con Įeno fresco e mangimi naturali deve per forza donare carni oƫme, tenerissime e saporite!!!... NON è COSI!!! L’allevamento naturale, da solo, non è in grado di garanƟre gusto e tenerezza di alƟssima qualità… La tenerezza dei muscoli, per esempio, dipende molto anche dal “lavoro Įsico” che l’animale ha svolto mentre era in vita. Alcuni muscoli lavorano più di altri anche se l’animale è a riposo. Questo spiega anche perché alcuni muscoli sono più teneri di altri (lo scamone è un muscolo interno della coscia, e lavora meno della soƩofesa, per questo risulta generalmente più tenero). Altri elemenƟ fondamentali ai Įni valutaƟvi sono senza dubbio l’ETA’ ed il SESSO dell’animale. Le besƟe più anziane presentano carni più coriacee, cosi come le femmine di solito sono più tenere dei maschi. Allora, riepilogando quanto Įno ad ora espresso: - la razza dell’animale - deve essere una 37 - ossola.it


razza da carne; - il sesso - le femmine sono più tenere - i maschi più saporiƟ; - l’età - più l’animale è giovane più la carne è tenera ma meno saporita. Ecco che si inizia a spiegare come mai il Bue di razza Piemontese è cosi apprezzato nel mondo... Maschio castrato di razza piemontese: saporito, tenero, grande resa alla macellazione.

La frollatura delle carni Altro elemento fondamentale per la qualità della carne è rappresentato dal processo di frollatura. Tecnicamente si traƩa di una maturazione che l’animale appena macellato deve subire, prima di essere sezionato e venduto. La frollatura è in grado di intenerire sensibilmente le carni dell’animale, grazie principalmente all’azione di alcuni enzimi, che digeriscono parte del tessuto conneƫvo della muscolatura dell’animale. Oltre ad agire sulla tenerezza, la frollatura tende ad accentuare il gusto delle carni. Ovviamente il tuƩo deve avvenire a temperatura controllata, con l’animale ancora da sezionare, in modo tale che il grasso cutaneo, serva da protezione contro l’ossidazione della muscolatura. Nella praƟca questo processo trova difĮcile applicazione per vari moƟvi:

- le normaƟve sanitarie: impongono che le carni vengano sezionate e confezionate entro poche ore dalla macellazione, per ridurre la proliferazione baƩerica; - il costo del tempo e dello spazio: nei moderni macelli, non ci sarebbe spazio e tempo a suĸcienza per garanƟre la frollatura “lunga” degli animali macellaƟ. Inoltre le moderne celle di refrigerazione non garanƟscono il microclima ideale al processo di frollatura, la permanenza delle carni nelle celle di oggi, tende a favorire lo sviluppo di baƩeri dannosi tanto alla carne quanto all’essere umano. Una volta le celle erano in muratura, e come nelle canƟne il livello di umidità era idoneo alla conservazione prolungata di carni macellate. Il tempo di frollatura varia da animale ad animale. Nel caso dei bovini si arriva ad oltre 30 giorni. Oggi la frollatura media di un bovino varia dai 2 ai 5/7 giorni. MolƟ sostengono che la frollatura conƟnui anche dopo il confezionamento dei muscoli in soƩovuoto, o dopo il processo di congelamento, ma non è la stessa cosa.

Chi seziona la carne??? Al termine del processo di frollatura l’animale deve essere sezionato. Qui entra in gioco un altro faƩore determinante la qualità gastronomica della carne: la sezionatura. Gastronomicamente parlando, è impor-


tante comprendere che ogni singolo taglio oƩenuto dalla sezionatura degli animali, si presta meglio di altri a speciĮca preparazione. Tagli del quarto anteriore (più ricchi di grasso e tessuto conneƫvo) sono indicaƟ per coƩure più prolungate quali umidi (spezzaƟni e brasaƟ) e stufaƟ, ma anche lessi e bolliƟ. Tagli del quarto posteriore (più magri) coƩure rapide in padella, griglia, e arrosƟ. Risulta davvero sconveniente (quasi sprecato) cuocere come brasato un taglio del quarto posteriore solo perché risulta più magro. Eppure molƟ lo fanno... Per moƟvi diversi tra loro: di sicuro perché non c’è più il macellaio di Įducia a “consigliare” il giusto pezzo di carne. Una volta infaƫ si andava dal macellaio e si chiedeva un taglio da bistecca, piuttosto che di brasato o bollito. Si chiedeva un taglio magro anche per fare un umido... Ed il macellaio, che conosceva ogni cenƟmetro dell’animale che aveva sezionato riusciva ad accontentare tuƫ. Oggi, chi vuole mangiare una bistecca tenera, chiede ĮleƩo. TUTTI chiedono ĮleƩo... DimenƟcandosi che un bovino “produce” mediamente 9 kg. di ĮleƩo su oltre 300 kg di carne.

Il macellaio: garante della qualità Il macellaio di Įducia è l’unico in grado di lavorare la carne, frollatura compresa, accontentando le richieste del consumatore, anche quando il ĮleƩo è Įnito. La carne buona, è tenera e gustosa anche se non è di ĮleƩo, ed inoltre costa meno... TuƩo sta nel trovare il macellaio che traƩa gli animali giusƟ (razza, età, sesso), li lascia frollare nella propria cella, li seziona con cura e passione, per offrire il taglio giusto al cliente giusto. Ecco che la carne è più buona!!! Al supermercato tuƩe le carni sembrano

uguali. Come disƟnguere quelle buone da quelle meno buone??? E’ pressoché impossibile senza il consiglio di chi ha acquistato l’animale, l’ha frollato e l’ha sezionato!!! TuƩo si basa sulla Įducia.

L’oro rosso: la razza Piemontese Ecco allora alcune curiosità gastronomiche che hanno reso famosa ed apprezzata in tuƩo il mondo la carne dei bovini piemontesi. TraƩo dal sito coalvi.it - consorzio tutela della razza piemontese L’Oro Rosso, la carne di Razza piemontese, è considerata oggi tra le più pregiate al mondo grazie alle oƫme caraƩerisƟche nutrizionali e dieteƟche, essendo una carne magra, tenera e saporita. Numerose ricerche scienƟĮche hanno dimostrato che la carne bovina di Razza piemontese, dal sapore inconfondibile, è parƟcolarmente povera di grasso: lo 0,5-1% contro il 3% delle altre razze bovine. Si può deĮnire un alimento oƫmamente bilanciato dal punto di vista sia dell’apporto totale di grasso (quanƟtà), sia dal punto di vista della distribuzione degli acidi grassi (qualità del grasso). Ha infaƫ una concentrazione di grassi saturi piuƩosto ridoƩa (37%) ed elevate percentuali di insaturi (63%), daƟ che hanno inŇuenzato favorevolmente poi gli indici aterogenico e trombogenico, ponendo questo prodoƩo sugli stessi livelli del pesce. Si contraddisƟngue inoltre per una scarsa presenza di tessuto conneƫvo tra le Įbre muscolari, che la rende parƟcolarmente tenera alla masƟcazione. La resa alla macellazione dei bovini di Razza piemontese è in media del 68% per i maschi e del 65% per le femmine. La resa alla macellazione è il rapporto, espresso in percentuale, tra il peso morto e il peso vivo del bovino. 39 - ossola.it


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Pane in padella

FooD

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di Patricia Roaldi

Facile, divertente; se avete dei bambini si stupiranno vedendo gonĮare il pane soƩo i loro occhi, inoltre... niente forno da accendere, e se è eleƩrico è un bel risparmio e potrete magari mandare contemporaneamente la lavatrice. È un modo anƟco di fare il pane, una volta probabilmente veniva coƩo su teglie di coccio appoggiate sul braciere, oggi basta un banale fornello del gas e una padella. Esistono anche delle padelle già fornite di “buchi”, per cuocere soprattuƩo le focaccine, il cui impasto è piuƩosto liquido. Si può usare anche un coppapasta, ma per rendere il tuƩo più semplice, basterà tagliare il fondo a una di quelle vascheƫne in alluminio che si usano per fare il budino, e creare così un anello alto un paio di cenƟmetri, appoggiarlo sulla padella, versarvi dentro l’impasto, e non appena si sarà un po’ rappreso (pochi secondi), sollevate l’anello, spostatelo in un altro punto della padella e ripetere l’operazione: vi assicuro che è più facile da fare che da spiegare. La farina Manitoba si trova praƟcamente in tuƫ i supermercaƟ, è solo una farina che ha una maggiore quanƟtà di gluƟne quindi lievita meglio, se non la trovate usate tranquillamente la 00 o la 0. Provate anche la variante con la farina di ceci, squisita!


PagnoƩelle in padella

FocacceƩe in padella

100 g farina 00 100 g farina Manitoba 8 g lievito di birra (1/3 del paneƩo) 180-190 g laƩe 2 g zucchero (1/2 cucchiaino da caīè) 5 g sale (1 cucchiaino non troppo pieno) 8 g burro (2 riccioli) q.b. semolino (per spolverizzare)

1° impasto 125 g farina 00 100 g farina Manitoba 8 g lievito di birra 150 g laƩe 15 g olio (2 cucchiai da tavola) 8 g zucchero (2 cucchiaini) 150 g acqua 5 g sale (1 cucchiaino da caīè)

Mescolare in una ciotola le due farine, fare la fontana, sbriciolarvi dentro il lievito, aggiungere lo zucchero, scioglierlo con un po’ di laƩe. Quando si è ben sciolto unire gli altri ingredienƟ, il sale per ulƟmo, non deve toccare il lievito. Lavorare l’impasto con un mestolo per circa 5 minuƟ, deve essere morbido ma compaƩo. Coprire la ciotola con la pellicola o con un panno umido e meƩere a lievitare per 1 ora in un luogo Ɵepido (perfeƩo il forno spento con la lucina accesa). Una volta che l’impasto è quasi raddoppiato, stendere l’impasto su una superĮcie infarinata, deve essere spesso circa 1 cm. Con uno stampino (un bicchiere, un coppapasta, una tazzina) ritagliare dei tondi di circa 7 cm, spolverizzarli con poco semolino e lasciarli lievitare coperƟ con un panno infarinato per altri 20-30 minuƟ. Scaldare una padella, o una piastra liscia, leggermente unta, appoggiarvi delicatamente le pagnoƩelle (per non farle sgonĮare) e cuocere a fuoco medio 6 minuƟ per parte. Togliere e lasciar raīreddare su una griglia. Un modo fantasƟco per servirli è tagliarli a metà, grigliarli e spalmarli di burro e marmellata, o burro e qualcosa di salato.

2° impasto 60 g acqua Ɵepida ¼ cucchiaino bicarbonato di sodio Mescolare in una ciotola le due farine, fare la fontana, sbriciolarvi dentro il lievito, unire lo zucchero. Mescolare il laƩe con l’acqua, sciogliere il lievito con qualche cucchiaiata di questo liquido, quando è ben sciolto unire il resto del liquido e l’olio. Mescolare con una frusta per circa 5 minuƟ, unire il sale quando è tuƩo ben amalgamato, il sale non deve entrare in contaƩo direƩo con il lievito. L’impasto è molto molto morbido, praƟcamente ha la consistenza di una pastella. Coprire la ciotola con della pellicola o con un panno umido, meƩerla a lievitare per 1 ora e mezza in un luogo Ɵepido (perfeƩo è il forno spento con solo la lucina accesa). Passato questo tempo, sciogliete il bicarbonato in 60 g di acqua Ɵepida e unire il tuƩo all’impasto, mescolare bene e lasciare riposare , coperto, per altri 30 minuƟ. Ungere pochissimo la padella e usando un coppapasta o l’anello di alluminio versate l’impasto: cuocetelo circa 7 minuƟ da una parte e 4 dall’altra. Togliete le focacceƩe e meƩetele a raīreddare su una griglia. Se non le servite subito, le potete riscaldare in padella o tostarle su una griglia.

*Variante con farina di ceci SosƟtuire i 100 g di farina 00 con 120 di farina di ceci e procedere come per la riceƩa base. 43 - ossola.it


FooD Trota né cotta né cruda E sì, la trota non viene coƩa, non si usa la Įamma, ma non è neppure proprio cruda... Viene marinata in un miscuglio di sale e zucchero e a seconda del tempo che la si lascia marinare sarà più o meno “coƩa”. Questo Ɵpo di preparazione è molto diīuso nei paesi nordici, e viene usato sopraƩuƩo per il salmone, ma qui, fra le meravigliose montagne dell’Ossola, nei torrenƟ freddi e puliƟ che percorrono le valli è con le trote, meglio se salmonate, belle rosa, che ci si può cimentare. Il procedimento è talmente semplice! È importante che la trota abbia la pelle se no si spreca la parte che rimane a contatto con il miscuglio perché diventa troppo secca. Controllate accuratamente che non sia rimasta alcuna spina, passate la mano sul pesce e se trovate delle spine togliete usando una pinzeƩa, Ɵpo quella delle sopracciglia (la usano anche i pescivendoli) che poi potrete tenere sempre a portata di mano in cucina.

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IngredienƟ 2 Įleƫ con la pelle di una trota di circa 2 chili, se è più piccola diminuite il tempo di marinatura. 1 kg sale grosso ½ kg zucchero semolato q.b. Ɵmo di montagna (o altre erbe aromaƟche a piacere) In una ciotola mescolate molto bene il sale con lo zucchero e il Ɵmo, o le erbe che avrete scelto. Spargete metà di questo miscuglio sul fondo di una teglia, in acciaio, in vetro o in terracoƩa, abbastanza grande per contenere i Įleƫ che disporrete ben distesi, copriteli accuratamente con l’altra metà del miscuglio. Coprite la teglia con della pellicola e meƩetela in frigorifero. Lasciatela marinare circa 12 ore; il tempo di marinatura dipende anche dai gusƟ, provate a tenerla di meno o di più e scoprite qual è la consistenza che preferite. Togliete il pesce dalla marinatura, lavatelo soƩo l’acqua corrente, asciugatelo bene con della carta da cucina. A questo punto la trota è pronta per essere aīeƩata (come si fa per il salmone aīumicato): è forse questa la parte più diĸcile, si fa per dire naturalmente. Potrete proporre vari condimenƟ: il più classico, olio e limone o arancio; panna acida con erba cipollina; una salsa oƩenuta aggiungendo a della normale maionese abbondante senape, limone e sale. Servitela con delle patate lesse, che ognuno potrà gustare accompagnate da una delle salsine.


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di Cecilia Marone

SPORTELLI WALSER, UNA GRANDE RISORSA CULTURALE DELL’OSSOLA. S

ono aƫvi da alcuni anni, grazie ai ĮnanziamenƟ erogaƟ dalla regione Piemonte e al profondo impegno di EnƟ, Amministrazioni locali, Associazioni, studiosi e privaƟ ciƩadini, gli Sportelli Walser presenƟ in Ossola. I loro scopi sono tutelare, tramandare, supportare e diīondere la conoscenza storico-linguisƟca del Įero popolo di montagna che oltre 700 anni fa colonizzò le testate delle Valli Ossolane: i Walser. L’epopea dei Walser è la singolare ed

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aīascinante storia di un popolo dalle anƟche origini Alemanne che, con un lento e progressivo Ňusso migratorio verso la parte Meridionale dell’odierna Europa, si stabilì aƩorno alla catena del massiccio delle Alpi, stanziandosi in cinque diversi StaƟ, conservando intaƩe dal Medioevo ad oggi peculiarità uniche al mondo: lingua, architeƩura, usi, costumi, etnogastromia, religione. Oggi i Walser sono ancora presenƟ a Macugnaga, Formazza, Ornavasso, Baceno e Premia e da alcuni decen-


ni, consci del pericolo che la loro immensa e preziosa cultura conoscesse l’oblio si tutelarono, aggregandosi in Associazioni riconosciute a livello internazionale facenƟ capo alla InternaƟonale Vereinigung für Walsertum (www.walser.ch) con sede a Briga. Ogni tre anni il popolo Walser si riunisce in una delle colonie presenƟ in Italia, Svizzera, Austria, Francia e Liechtenstein in un grande raduno (Walsertreīen) per consolidare rapporƟ e amicizie. Gli Sportelli Walser operaƟvi all’interno delle colonie Ossolane, supportaƟ dalle Associazioni, hanno uĸci e punƟ di contaƩo aperƟ al pubblico (studenƟ, esperƟ, storici, studiosi ed appassionaƟ) fornendo nozioni e competenze agli utenƟ: biblioteca specializzata, supporto per ricercatori, traduzioni dalla lingua madre, una preziosa guida culturale, consulenze, insegnamento agli alunni delle scuole primarie e agli adulƟ, collaborazioni con le Università e interazioni con le struƩure culturali presenƟ sul territorio. Tuƫ gli Sportelli ossolani sono coordinaƟ da un supporto informaƟco che gesƟsce anche gli Sportelli presenƟ nella nostra provincia (Valstrona) e nella provincia di Vercelli (Alagna, Carcoforo, Rima, Rimella e Riva Valdobbia).

All’interno del sito www.walser.it si possono ricercare i contaƫ degli uĸci, gli appuntamenƟ a caraƩere temaƟco, visionare la galleria fotograĮca e l’aggiornata lista di pubblicazioni. La novità dell’anno è che nel sito sono state inserite molte schede che stanno componendo un prezioso Atlante LinguisƟco dei Walser Meridionali “di nuova generazione, che sfruƩa le potenzialità dell’analisi tramite banche daƟ e della cartografazione temaƟca assisƟta dal calcolatore. È poi la prima presentazione sinoƫca di tuƩe le parlate alemanniche a sud delle Alpi, che permeƩe comparazioni immediate e l’individuazione di aree linguisƟche e culturali, e allo stesso tempo oīre proposte di spiegazione e eƟmologiche a cura dei migliori specialisƟ di questo campo di studi”. Se vi abbiamo incuriosito potete consultare il sito www.walser.it ed anche il prezioso e arƟcolaƟssimo sito www.walser-cultura.it che raccoglie i daƟ del lavoro dell’Interreg Walser Alps 3B. Ancora meglio potete recarvi in Ossola, visitare i comuni ospitanƟ le Colonie Walser e conoscere questo grandioso e inesƟmabile patrimonio dell’umanità. 47 - ossola.it


di Daniela Bonanno ConƟ foto R. Faggiana

UN VIAGGIO TRA GLI

ANTICHI SAPORI OSSOLANI

L

a seƫmana è quasi Įnita. AccidenƟ quanto sono stanca ma riesco ancora a sognare ed immaginare le aspre cime delle montagne... i verdi boschi incantaƟ... le cristalline acque che scorrono giù delle Alpi! Questo week end andrò in Val d'Ossola, è vicina un’ora e mezzo di auto e Įnalmente potrò rilassarmi con i silenzi incontaminaƟ delle montagne che amo. Lì tra quelle valli, al conĮne con la Svizzera, non ci vado solo per camminare, per scappare dal gran caldo d’estate o calpestare la neve d’inverno no... ci vado sopraƩuƩo, devo proprio confessarlo, per assaporare i prodoƫ che quel territorio mi oīre, diversi ad ogni stagione! Tra ristoranƟ, osterie, rifugi ne trovo veramente per tuƫ i gusƟ e per tuƩe le tasche: l’importante è dedicare il giusto tempo ai piaceri della tavola. Ormai per me è una tradizione iniziare con gli anƟpasƟ classici di montagna... e allora via con: la bresaola della Val d'Ossola, la mortadella ossolana, il prosciutto della Val Vigezzo ed il lardo! ossola.it - 48

Tuƫ prodoƫ veramente eccellenƟ e rinomaƟ che vanno assolutamente accompagnaƟ dal Ɵpico pane nero di Coimo. È un'estasi! Ti lasci trasportare da questo piacere del palato, impossibile resistere per chi adora i salumi! ConƟnuiamo ora con i primi. Per curiosità mi faccio consigliare, tuƩavia spesso trovo i gnocchi all'Ossolana realizzaƟ con farina di castagne o anche la squisita polenta e funghi... Il secondo non può essere che una carrellata di vari Ɵpi di carne, tra cui posso gustare anche la selvaggina, una prelibatezza che solitamente non consumo a casa. A volte invece, mi faccio servire la Lausciera ovvero una portata di vari tagli di carne suina, in piccole feƫne, che cuoci tu direƩamente su di una “maƩonella” di pietra ollare, il tuƩo accompagnato da patate al forno e sĮziose salsine. Come non concludere il pasto con i famosi e Ɵpici formaggi? Impossibile farne a meno! Ecco allora nel piaƩo il BeƩelmaƩ, prodoƩo unicamente in set-


te alpeggi tra i 1.500 e 2.500 metri nei comuni di Baceno, Premia e Formazza, o il Caprino ossolano e lo Spress. E visto che quando mi muovo per queste uscite enogastronomiche sono disposta a tutto, mi concedo il dessert. Anche qui le proposte sono sempre degne di tuƩa la mia considerazione... Naturalmente il mio pranzo è sempre accompagnato da oƫmo vino ossolano come il Prunent di Ɵpica produzione locale, la cui presenza in Ossola è accertata dal XIV° secolo. Altre volte invece bevo Cà d'Matè, Ossolanum, Tarlap, Balòss, Cà d'Susana, un ventaglio di sapori, colori e profumi che invitano a non abbandonare il bicchiere. Insomma sedersi ad un tavolo in compagnia di buoni amici con tuƩe queste prelibatezze nel piaƩo è un'esperienza che compensa una lunga seƫmana chiusi in uĸcio!

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di Claudio Zella Geddo foto di Massimo Pedrazzini

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2012 del fesƟval del cinema Ldel’edizione di Locarno, che si è svolta sulle rive Lago Maggiore dal 1° all’11 agosto, ha oīerto molƟ moƟvi di riŇessione sulle prospeƫve, sul futuro di quella che è la seƫma arte per eccellenza. Anche a Locarno i venƟ della crisi economica europea hanno spirato e certamente è diminuita sia la quanƟtà di pellicole presentate che la copertura dei mass media internazionali. Quello che è sempre più, anno dopo anno, il quarto fesƟval per importanza al mondo ha in ogni caso consegnato ai tanƟ appassionaƟ, a regisƟ e produƩori che peremeƩe di ritrovare le tracce di un percorso, grazie a produzioni a basso costo, la vera essenza del fare cinema. Nel Concorso Internazionale ha infaƫ trionfato il Įlm transalpino La Fille de Nulle Part dell’abile regista Jean Claude Brisseau, seguito dallo statunitense Somebody Up There Likes Me di Bob Byngton mentre il Įlm coreano Wo Hai You Hua Yao Shuo ha faƩo man bassa di riconoscimenƟ con il pardo per la miglior regia, di Ying Liang, e quello per la migliore interpretazione femminile assegnato all’aƩrice An Nai. Il più ecumenico premio di Piazza Grande, luogo unico al mondo capace d’accogliere ben oƩomila speƩatori con uno schermo di sedici metri quadraƟ, ha invece premiato Lore di Cate Shortland. La sera del 3 agosto ha inoltre visto la massima partecipazione di pubblico con la proiezione di Magic Mike di Steven

Soderbergh. Qualche cenno o sulle su le pellicole su sull pelllic pell pe icol o e premiate ol prrem emia iate tee meƩe in luce quella che è sempre stata una vocazione di Locarno: la scoperta di nuovi conƟnenƟ cinematograĮci e parƟcolarmente l’Oriente nella sua più ampia accezione. Fa eccezione il Pardo d’Oro La Fille de Nulle Part, un classico Įlm francese, ambientato in un appartamento, ricamato di preziosa verbosità tra ĮlosoĮa e amore, comunque sorreƩo dalle otƟme interpretazioni dello stesso regista Jean Claude Brisseau e di un’indimenƟcabile Virginie Legeay. Facile immaginare che non verrà distribuito in Italia, il tema del rapporto tra una senzateƩo e un vecchio professore non può certo interessare il nostro pubblico asservito alle pellicole tuƩe azione, muscoli e sesso made in Usa. A proposito del cinema nazionale nessun premio è arrivato ai nostro regisƟ, aƩori e produƩori. Per dovere di cronaca ciƟamo l’unico Įlm in concorso, l’ambizioso Padroni di Casa di Edoardo Gabriellini. Nonostante la presenza di Elio Germano, Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi e Gianni Morandi (ebbene si un Morandi sempre più giovane e fatalmente cinico) il Įlm ha scambiato l’Appennino emiliano per il Texas e il risultato cinematograĮco è pari ad una farsa da scanƟnato. Evidentemente avere ben due fesƟval cinematograĮci, Venezia e Roma, non giova aīaƩo alla creaƟvità del nostro esausto cinema. 53 - ossola.it


di Marco De Ambrosis foto di Riccardo Faggiana

I Sentieri

della fede Vista su Finero e la parrocchiale ossola.it - 54


S

antuari e chiese parrocchiali quali luoghi di fede. Ma anche preziosi scrigni della devozione secolare di un territorio e custodi della sua storia, della sua arte e della sua cultura. EdiĮci di culto che creano sovente un unicum con le strade della fede, quelle vie dei pellegrini che sono sì cammini spirituali, pensiamo ad esempio alle Vie Crucis, ma che rappresentano altresì, permeaƟ come sono di suggesƟone, un indissolubile punto di convergenza fra “l’andar per monƟ” dei pellegrini e quello degli escursionisƟ. Sono svariaƟ i percorsi della fede del Verbano e dell’Ossola, molƟ dei quali

sono staƟ raccolƟ nella pubblicazione, “Ossola e Verbano. Luoghi sacri tra fede e natura. 22 facili escursioni” a Įrma del giornalista vigezzino Marco De Ambrosis. Il libro (Danilo Zaneƫ Editore, Montebelluna, 6 euro) è arricchito da 63 fotograĮe a colori ed è il numero 36 della riuscita collana Centopiedi e descrive 22 facili escursioni proprio partendo dalla storia dei santuari e delle basiliche di questo ameno territorio montano. Una descrizione che è da leggersi non solo nella genesi di quesƟ monumenƟ che raccontano secoli di salda religiosità e devozione ma anche aƩraverso il collegamento naturale degli stessi ediĮci di culto con iƟnerari pedestri ad essi riconducibili; una valorizzazione, insomma, di un “escursionismo religioso”, evocaƟvo della fede ma che sia altresì volto alla (ri)scoperta dei segni della religiosità di queste terre dell’arco alpino aƩraverso il recupero di quel rapporto con il territorio e la sua cultura idenƟtaria. Una catalogazione completa era ovviamente al di sopra delle pretese di questa guida, formato tascabile, che vuole essere innanzituƩo praƟca. La selezione degli iƟnerari ha quindi portato ad una scelta che è ricaduta innanzituƩo sui due Sacri MonƟ presenƟ sul territorio provinciale, ovvero il Calvario di Domodossola e quello della SS. Trinità di Ghiīa (entrambi dal 2003 Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco) passando aƩraverso il Santuario di Re e la Chiesa monumentale di Baceno, ma contemplando anche chiese ed oratori forse meno noƟ ma di indubbio interesse, per un totale di 21 ediĮci di culto collegaƟ ad altreƩanƟ iƟnerari pedestri, che ne fanno importanƟ luoghi di fede. Non poteva poi mancare una traƩazione, seppur sinteƟca, della rinomata Strada Borromea, quel senƟero anƟchissimo che aƩraversa la Valle Cannobina, 55 - ossola.it


collegando la Valle Vigezzo a Traĸume di Cannobio e che prende il suo nome da San Carlo Borromeo che la percorse nel giugno del 1574, durante una visita pastorale. Il tuƩo per una pubblicazione che vuole essere una sorta di “libro camminato”.

Madonna del Sasso ossola.it - 56

inero e Orasso, due paesi che si “guardano” geograĮcamente ma che appartengono amministraƟvamente a due valli e due comuni disƟnƟ. Frazione della vigezzina Malesco il primo, Orasso fa parte invece del comune cannobino di Cursolo Orasso dal 1928. I due paesi, Finero e Orasso appunto, sono accomunaƟ dal nome delle loro caraƩerisƟche chieseƩe: l’oratorio della Madonna del Sasso di Finero e quello del Sasso di Orasso. La piccola chiesa della Madonna del Sasso di Finero (947m.) si erge su uno sperone roccioso in posizione dominante sul paese. La sua origine viene faƩa risalire al XVI° secolo. L’ediĮcio di culto è raggiungibile in meno di 10 minuƟ a piedi partendo dalla chiesa parrocchiale di San GoƩardo (si può lasciare l’auto nel parcheggio soƩostante) e seguendo la strada provinciale in direzione di Malesco per pochi metri Įno ad arrivare, appena superata una curva, al Cippo ai CaduƟ. Accanto all’area monumentale si snoda la comoda mulaƫera che sale in breve all’oratorio che fu oggeƩo di alcuni intervenƟ di ampliamento nel 1700 per poi essere ulƟmato nel 1842. Fino al 1700 appartenne alla famiglia patrizia dei Pironi, in seguito passò di proprietà ad altri privaƟ ed inĮne alla parrocchia. Nel 1910 fu ricostruito in muratura il vecchio porƟcato in legno grazie ad una donazione di Don G. Pereƫ mentre nel 1995 furono restauraƟ i muri esterni e la pavimentazione. Altri intervenƟ, messi in campo grazie ad oblazioni di Įneresi e villeggianƟ, hanno riguardato di recente la sistemazione del caraƩerisƟco teƩo


grigio in piode, nonché la posa dei canali e delle Įnestre. Anche la campana è molto anƟca e risale esaƩamente al 1743. L’Oratorio del Sasso di Orasso (750m.), appoggiato su un dirupo in posizione dominante sulla Valle Cannobina, è situato lungo l’anƟca via pedestre che collega Orasso a Cursolo che è un traƩo della strada Borromea (nel 1574 venne percorsa da San Carlo in occasione di una sua memorabile visita pastorale) . Per raggiungere la chieseƩa dal centro storico di Orasso, dopo aver parcheggiato, si prende ai piedi la via interna che passa accanto al bar ristorante e seguendo alcune caraƩerisƟche viuzze ci si porta in alto alle ulƟme case del paese dove si trovano dei cartelli indicatori (è presente sia la segnaleƟca del Club Alpi-

no Italiano per Cursolo che un cartello speciĮco per l’Oratorio del Sasso). Si segue a questo punto l’evidente stradina accioƩolata che in salita conduce in circa 5 minuƟ alla chieseƩa. La gìasa vègia (in dialeƩo, la chiesa vecchia, com’è conosciuta localmente) risale al XIV° secolo ed è l’oratorio più anƟco della Valle Cannobina. Precedentemente v’era una cappella ereƩa a protezione dei viandanƟ che allora transitavano numerosi lungo quella che era l’unica strada del tempo (una semplice mulaƫera) che collegava Cannobio alla Val Vigezzo. Nel 1574 la via venne percorsa anche da San Carlo Borromeo, come si ricordava in precedenza, e in seguito alla sua visita pastorale la chieseƩa fu ampliata. Tra il XVI° e il XVII° secolo vennero ediĮcate la sacresƟa e la navata mentre la vecchia

Oratorio del Sasso

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cappella divenne il presbiterio dell’oratorio e così gli anƟchi aīreschi del muro esterno della cappelleƩa si trovarono a questo punto all’interno del nuovo ediĮco di culto. Dal 1665 l’oratorio è dedicato alla Madonna della Cintura (proteƩrice dei viandanƟ) raĸgurata nel dipinto del 1733 visibile sopra il portale d’ingresso. Il pavimento interno dell’oratorio è in lastre di pietra mentre il soĸƩo è in legno a casseƩone romano. Pregevoli sono gli aīreschi dietro all’altare: la Visitazione, San Rocco, la Madonna con Bambino, San SebasƟano e il BaƩesimo di Gesù. Nelle vicinanze del grazioso ediĮcio di culto si nota una colonna in sasso con croce che indicava la meta delle rogazioni, processioni rurali propiziatorie aƩraverso le quali gli abitanƟ di Orasso si rivolgevano a Dio per ricevere aiuto e assistenza durante la dura vita sui monƟ e per chiedere protezione dalle calamità naturali e dalle epidemie. Come raggiungere Finero (m 899): Uscita “Masera - Valle Vigezzo” Supestrada SS 33 del Sempione. Poi prendere la SS 337 della Valle Vigezzo Įno a Malesco, quindi la SP 75 della Valle Cannobina Įno a Finero. Come raggiungere Orasso (m 703): Uscita “Masera - Valle Vigezzo” Supestrada SS 33 del Sempione. Poi prendere la SS 337 della Valle Vigezzo Įno a Malesco, quindi la SP 75 della Valle Cannobina Įno a Finero e al successivo bivio per Orasso. In alternaƟva: uscita “Verbania” Autostrada A26 direzione Sempione. Poi SS 34 del Lago Maggiore Įno a Cannobio e SP 75 della Valle Cannobina Įno al bivio per Orasso. ossola.it - 58

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di Michela Zucca

Il ritorno del lupo

L

a prima mostra sul ritorno dei grandi mammiferi sulle Alpi fu organizzata nel 1994 dal Centro di ecologia alpina di Trento e dal WWF: già da allora, si sapeva bene che i lupi avrebbero ripopolato le montagne. Dove l’uomo non abita più le piccole frazioni, negli alpeggi non monƟcaƟ da decenni su cui ricresce il bosco, sui senƟeri non frequentaƟ che spariscono fra le sterpaglie, ricompaiono i predatori. Non solo i lupi: ci sono anche gli sciacalli doraƟ, arrivaƟ dall’Africa viaggiando (probabilmente) nelle sƟve delle grandi navi da carico, sbarcaƟ nel Sud hanno risalito gli Appennini adaƩandosi al clima. Ma loro mangiano cadaveri. I lupi invece, sono predatori naƟ, che occupano gli spazi lasciaƟ vuoƟ dal più grande dei cacciatori: l’essere umano. I lupi sono arrivaƟ dall’Abruzzo, si sono insediaƟ nel parco del Mercantour, in Francia, e poi piano piano hanno risalito le montagne. In Ossola sono staƟ idenƟĮcaƟ con certezza nel marzo 2003: questo lo scarno comunicato con cui si annuncia al mondo la sua esistenza: “Le analisi geneƟche condoƩe sue due campioni di escremenƟ raccolƟ nelle seƫmane scorse, nell’ambito dell’aƫvità di monitoraggio eīeƩuato dal personale dell’Ente Parco Veglia Devero e dal personale del Corpo di Polizia Provinciale del Vco, hanno fornito la conferma della presenza di un lupo sul territorio provinciale. Entrambi i campioni, analizzaƟ presso l’IsƟtuto Nazionale per la Fauna SelvaƟca di Bologna, sono riferibili allo stesso animale, un individuo di sesso femminile”. Il suo nome in codice, F31. Da allora, malgrado le proteste di pastori e allevatori, che gli hanno dato la caccia e hanno tentato di mandarla via in ogni modo (ad un certo punto non ha più lasciato tracce e si è pensato che l’avessero ammazzata), è riuscita a riprodursi e i suoi discendenƟ abitano


in pianta stabile le valli ossolane. Ed è bene abituarsi all’idea, perché non si faranno sterminare tanto facilmente. Il lupo è l’animale che da sempre è stato più vicino all’uomo Il lupo è la besƟa selvaƟca che più ha segnato la nostra civiltà. E’ stato il primo animale addomesƟcato dall’uomo. ResƟ di lupo domesƟco (trasformato in cane) sono staƟ rinvenuƟ in Belgio e in Cina, e risalgono al 30.000 a.C. Poi se ne perdono le tracce organiche Įno al 14.000 a.C., ma evidentemente soltanto perché non sono state ritrovate, e attendono ancora di essere scoperte. Era allevato primariamente per compagnia e, forse, per aiutare nella caccia. Furono le donne che riuscirono ad addomesƟcare i cuccioli. Si sono ritrovate tombe di lupi domesƟci assieme alle sepolture umane. Fino a quando l’uomo rimase a vivere nomade sul territorio, cacciatore, raccoglitore, occasionalmente agricoltore, il lupo non rappresentò un concorrente: entrambe le specie si sparƟscono ciò che la foresta dona. Gli esseri umani non mangiano i lupi, i lupi preferiscono altre prede, più facili da cacciare, che non vivono in accampamenƟ. Quando i nostri avi diventarono allevatori e pastori stanziali, il lupo si trasformò nel nemico più pericoloso dei villaggi: ma divenne mangiatore di uomini soltanto nel Medio Evo. Fu in quel periodo che nacquero leggende spaventose, e i licantropi cominciarono a nutrirsi di carne umana. Ci mise comunque millenni a diventare cannibale... Il rapporto fra umani e selvaƟci può essere molto diverso a seconda del contesto Per gli ebrei, popolo del deserto, la natura è un’enƟtà quanto meno estranea, se non pericolosa, da domare e domi-

nare. Le besƟe sono inferiori e nei loro confronƟ tuƩo è concesso. Il contaƩo con gli animali è considerato disgustoso. Questa visione del mondo viene ereditata dal crisƟanesimo ortodosso. Per le popolazioni che vivono in contesƟ naturali molto ricchi di Ňora e di fauna, come le civiltà a matrice germanicocelƟca, ma anche i naƟvi americani, e le culture contadine europee che ne sono eredi direƩe, invece, i selvaƟci sono più intelligenƟ degli umani, possiedono un’anima, una propria lingua e possono dare saggi consigli. Spesso diventano totem della tribù o del clan. Gli sciamani si trasformano in animale. La divinità più potente di tuƩe è la Gran Madre delle foreste e degli animali. La Potnia Teron, la Grande Madre diīusa in tuƩo il bacino mediterraneo, è ripresa con animali selvaggi e predatori di vario Ɵpo. Sua erede direƩa e civilizzata, Diana, è seguita da uno stuolo di «cani» che assomigliano molto a lupi. Roma fu fondata su una groƩa dedicata ai lupi Evandro giunge dalla greca Arcadia e sbarca dove oggi è Santa Anastasia al Circo Massimo nel 1253 a.C. e lo ospita Fauno Luperco, re divino dei LaƟni, discendente da Marte, con natura umana, lupina e caprina. Il Lupercale è la groƩa in cui si dice fosse stato ospitato, trasformata in tempio. Cinque secoli dopo Amulio re di Alba ordina ai servi di esporre alla piena del Tevere i gemelli della nipote Rea Silvia, che li aveva avuƟ da Marte, temendo che i piccoli potranno un giorno spodestarlo dal trono. Ma la cesta si incaglia al Lupercale e i gemelli vengono nutriƟ da una lupa, cioè da Fauna, l´aspeƩo femminile di Fauno. Il Lupercale era una groƩa con una fonte circondata da un bosco sacro, che, con 61 - ossola.it


i miƟ di metamorfosi, rimanda ad una cultura precedente, in cui la religiosità era legata alla natura, molto simile a quella di matrice celƟco germanica, antecedente a quella che poi sarebbe diventata la civiltà romana. C’era non lontano un sacro luogo, coperto da un folto bosco, e una roccia cava dalla quale sgorgava una sorgente; si diceva che il bosco fosse consacrato a Pan, e ci fosse un altare dedicato al dio. In questo luogo, quindi, giunse la lupa e si nascose. Dionigi di Alicarnasso Il 26 gennaio 2007 l‘archeologa italiana Irene Iacopi annunciò che aveva probabilmente trovato la leggendaria groƩa soƩo le rovine del palazzo di Augusto sul PalaƟno. Gli archeologi hanno rinvenuto q questa cavità ad una profondità di p

15 del 15 metri t i durante d t i llavorii di di restauro t d l palazzo. Ma i simboli cambiano, e da posƟvi, possono diventare negaƟvi in freƩa: una cultura, come quella romana, che in breve tempo da rurale diventa non solo urbana, ma metropolitana, assegna una valenza fortemente osƟle e riprovevole verso le povere besƟe, caricandoli di signiĮcaƟ abieƫ sopraƩuƩo se femmine. I Luperci nell’anƟca Roma erano i sacerossola.it - 62

doƟ - lupo, che appartenevano ai ceƟ più alƟ della società romana e che prendevano la scusa del rituale per abbandonarsi ad eccessi di ogni genere a spese delle donne (plebee) che potevano trovare in strada... Il termine etrusco e poi romano lupanare, o bordello, proviene appunto dalle lupae, le prosƟtute. A questo proposito Tito Livio sembra dar credito all’ipotesi che la leggenda dei gemelli derivi dal fatto che la moglie di Faustolo, Acca LaurenƟa, era una prosƟtuta, e quindi deƩa lupa. Fra le popolazioni a matrice celƟcogermanica i lupi sono animali magici…. Fra gli SciƟ, popolazione di matrice celƟca che abita le steppe dall’Ucraina in poi, Erodoto riferisce che i Neuri, specie di sacerdoƟ-sciamani, si trasformino, una volta all’anno, per pochi giorni, in lupi. Era E associato al cane e a qualità posiƟve. Le L saghe nordiche parlano degli Uomini Lupo, gli Ulfedhnar. Un addestramento L nelle tecniche sciamaniche permeƩeva n loro lo o di raggiungere staƟ di coscienza alteraƟ . Durante il furor che tanto tera rrorizzava i romani, i guerrieri divenivano ssimili alle besƟe che li rappresentavano, e li imitavano in guerra, combaƩendo in gruppo. Ringhiavano, ululavano, andavag no n in baƩaglia incuranƟ del freddo, della ffame, della faƟca, delle ferite, sprezzanƟ d della morte che anzi sĮdavano e cercavano come lasciapassare sicuro verso il Walhalla, il paradiso degli eroi. In preda alla furia uccidevano chiunque si trovassero davanƟ. Si dice che potessero combaƩere mentre il corpo era addormentato nella tenda e che potessero morire a causa della furia ribollente che innalzava oltre misura la loro temperatura corporea e li consumava dall’interno se non veniva placata. Lo stato di furia si manifestava prima 62 - ossola.it


con una sensazione di freddo e tremori. La temperatura si innalzava tanƟssimo e il guerriero uccideva e distruggeva indiscriminatamente (si dice mordessero gli scudi). Poi, per alcuni giorni, cadeva in uno stato di torpore e depressione, tanto da avvalorare l’ipotesi che per aiutare la furia si usassero alcolici e piante psicotrope. Il rituale che portava alla furia era chiamato hamrammar (mutamento di forma) le cui modalità sembrano essere bevute rituali (bragafull) di una birra molto forte, l’uso di un preparato a base di amanita muscaria ed erbe come la Digitale (che aumenta il baƫto cardiaco e l’adrenalina) e dei rituali di gruppo in cui si ricorreva a danze e canƟ Įno allo sĮnimento per raggiungere l’estasi. I gruppi di Ulfedhnar vennero bandiƟ nel 1015 e i gruppi organizzaƟ scomparvero nel 1100. Erano incompaƟbili con il crisƟanesimo, che disƟngue ferocemente fra gli uomini e gli animali, consideraƟ - se va bene - come esseri da sfruƩare, nel peggiore dei casi, come enƟtà immonde o, addiriƩura, demoniache. I licantropi nascono nel Medio Evo e sono crisƟani I lupi cominciano ad essere associaƟ agli ereƟci nel XIV° secolo. Chi non aderisce all’ortodossia è una besƟa, furba come una volpe e feroce come un lupo. Gli specialisƟ nella caccia agli ereƟci sono i domenicani, che spesso sono rappresentaƟ come arbitri e giudici in loƩe fra cani (obbedienƟ servi dell’ortodossia caƩolica) e lupi miscredenƟ. Nel Medio Evo gli animali erano consideraƟ a tuƫ gli eīeƫ responsabili quasi come gli umani, e spesso, in caso di omicidio, si tengono veri e propri processi contro di loro. Per quanto riguarda le donne, viene ripresa l’anƟca simbologia romana che individua nella lupa la pro-

sƟtuta, ed è proprio un lupo che rappresenta il sesso insaziabile della femmina e, di riŇesso, la strega. Le streghe cavalcavano lupi per raggiungere il luogo del sabba; le streghe si trasformavano in lupi; le streghe intraƩenevano perverse relazioni sessuali con i lupi; le streghe mutavano le persone in lupi, dando vita ai lupi mannari. Dietro la storia della licantropia possono nascondersi diversi Ɵpi di fenomeni. Sicuramente, dal Concilio di Trento in poi, quei riƟ iniziaƟci di origine sciamanica che prevedevano la trasformazione dell’uomo in lupo, e che erano diīusi in gran parte dell’Europa medioevale, non furono più tolleraƟ e divennero espressione di possessione demoniaca, e quindi condannaƟ. I lupi mannari cominciarono, in massa, a cibarsi di carne umana, e ad aƩaccare sopraƩuƩo i più deboli: donne e bambini. In alcuni casi, invece, i licantropi vengono confusi con lupi reali diventaƟ antropofagi, come quando nel Gevaudan, alla Įne del ‘700 nel sud della Francia, una serie di misteriose «besƟe» fece un gran numero di viƫme fra la popolazione. Il re mandò allora i suoi migliori cacciatori e i guardiacaccia addestraƟ appositamente per abbaƩere i lupi, i quali, dopo anni di sforzi, riuscirono Įnalmente ad abbaƩere le creature assassine. Non fu mai accertata la vera natura della «besƟa»: senza dubbio, si traƩava di un canide, ma il re ordinò la secretazione della vicenda e il suo cadavere fu distruƩo. Probabilmente, era di un branco di lupi di grossa taglia che avevano imparato a cacciare in branco. Nel 1589 a Bedburg, presso Colonia, veniva giusƟziato per stregoneria e licantropia un tale Peeter Stubbe, ritenuto responsabile della morte di numerosi esseri umani fra i quali donne e bambini. La sua aƫvità sanguinaria era durata 63 - ossola.it


per ben 25 anni e aveva seminato il terrore nella Renania, grazie a una cintura magica datagli dal Diavolo in persone, col quale aveva streƩo un paƩo scellerato, che gli permeƩeva di trasformarsi in lupo. Le viƫme accertate nel corso del processo non erano state meno di sedici. Anche la Įglia e l'amante di Peeter Stubbe erano state complici dei suoi crimini, per cui vennero condannate a morte insieme a lui. Ancora una volta, come lupi mannari venivano catalogaƟ serial killer, ipertricoƟci o povereƫ aīeƫ dalla sindrome di Amblas, lunaƟci e folli di ogni genere. La teoria dell’evoluzione di Darwin diede inĮne il colpo di grazia ai licantropi, deĮnendoli fruƫ di fantasie deviate dalle supersƟzioni. AcceƩare il lupo che c’è in noi Non è soltanto Francesco d’Assisi che si assume il compito di liberare le campagne dai lupi. Sant’Alessandro, marƟre del IV° secolo, secondo la narrazione degli Aƫ, era signifero della legione tebea di stanza a Milano. ConverƟtosi al crisƟanesimo si riĮutò di sacriĮcare agli idoli, e per questo fu decapitato nei pressi di Bergamo. Prima di essere marƟrizzato, trovò il tempo di eliminare le belve dalla Val Brembana. San Biagio visse in Anatolia tra il III° e il IV° sec. Convinse un lupo che aveva rubato un maiale ad una vecchieƩa a resƟtuirle la besƟa, oltre a dei semi che le aveva soƩraƩo (questo lupo sembra molto... umano), tanto che lei si converte all’istante e lui la incarica di perpetuare la sua memoria. Ma il mito del licantropo non può morire, perché non può essere eliminata la componente animale che esiste in ogni essere umano, e che dalle culture animiste, legate alla natura, è riconosciuta, ossola.it - 64

IL LUPO DI GUBBIO ǡ ǡ ϐ ǡ Ǧ ǡ ̵ Ǧ Ǣ ̵ Ǧ Ǣ ǡ ̵° Ǥ ǡ ǡ ǡ ° îǡ Ǧ ǡ ° ° Ǧ îǤ

Ö ǤǤǤ acceƩata, valorizzata e, spesso, anche divinizzata. La civiltà metropolitana, crisƟana e totalmente snaturalizzata preferisce far Įnta che non esista, e quando emerge non sa come gesƟrla se non criminalizzandola. Solo quando la natura animale sia stata faƩa amica, riconosciuta come importante, e messa in accordo con l’ego e il super ego, svilupperà il suo potere a tuƩa la personalità. Dopo aver raggiunto una personalità integrata, allora potremo compiere cose che somigliano miracoli. Bruno BeƩlheim,, Il mondo incantato


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I

l Mojto, apprezzato alla Bodeguita del medio da Ernest Hemingway, il MarƟni "agitato, non mescolato" di James Bond. Sono molƟssimi i cocktails resi celebri da illustri personaggi, mentre altri devono la loro fama alle atmosfere, ai sapori Ɵpici che rievocano sia nel sapore quanto nel nome. Ebbene una specialità che è riuscita progressivamente a farsi conoscere ed apprezzare su tuƩo l'arco alpino è il "Fil da fer", praƟcamente l'unico cocktail ossolano, che già nel nome porta con sé tuƩa la forza del suo contenuto, e l'ironia di chi lo ha inventato, per caso, in una fredda giornata invernale, a 3.000 metri di quota, ovvero l'imprenditore ossolano Gianni RipamonƟ, insieme ad alcuni amici ed a Renato Baldini, uno chef che negli anni '60 gesƟva il rifugio del Monte Moro. Fu durante una bufera di neve e di vento,

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Ɵrava il "gagliardo", il vento freddo del Moro, quando gli amici si ritrovarono bloccaƟ al passo, a quota 3.000 metri. La funivia era entrata in funzione da pochi giorni, ed all'arrivo era stato costruito uno "sgabbioƩo" angusto che serviva da posto di ristoro. Era un bugigaƩolo ricavato da una vecchia baracca uƟlizzata dagli operai che avevano costruito l'impianto a fune. A tenerne la conduzione era un ristoratore con i Įocchi, Renato Badini, un ossolano che amava proporre piaƫ Ɵpici nostrani. Per scaldarsi in attesa che cessasse la tormenta i presenƟ iniziarono a bere bevande tradizionali, poi decisero di provare a inventare una bevanda calda, corroborante e gradevole. Pare che gli esperimenƟ furono parecchi, Įntanto che si decise di prendere come base il Vov, il liquore faƩo con l'uovo: " Non mi ricordo chi fossero i


presenƟ- spiega RipamonƟ- ma mi ricordo bene i faƫ. Erano i tempi del MilleĮori Cucchi, dello Strega, del Vov e di altri liquori simili. Io chiesi a Renato Badini di prepararmi un Vov caldo, ma siccome mi sembrava troppo stucchevole gli chiesi di aggiungere del rum, dopo vari tentaƟvi stabilii che 50%di Vov e 50% di rum poteva andarmi bene. Questo fu il primo Įl da fer. Il nome venne scelto tra una serie di proposte, fra le quali "ruggine", causa il colore scuro del rum che mescolato al Vov dava quella tonalità. Si pensò inĮne a "Įl da fer" ispiraƟ dal tubicino che usciva dalla vecchia macchina a gas che serviva a bollire le bevande, il beccheƩo era talmente aƩorcigliato che sembrava un Įl di ferro, e anche il suo colore ricordava quello della bevanda. Ritengo quindi di essere l'ideatore della bevanda, come del resto sono sempre stato riconosciuto anche da alcuni

produƩori. Il grande merito di Renato Badini è stato quello di aver conƟnuato proporlo, ed a mio avviso di averlo notevolmente migliorato con l'aggiunta di liquore di arancia che dà quel caratterisƟco colore, l'aƩuale FdF prodoƩo segue questa riceƩa con alcune varianƟ, ed è largamente diīuso su tuƩo l'arco alpino anche con altri nomi, come incredibile". Oggi il cocktail ossolano, che va bevuto caldo, è infaƫ richiesto nei rifugi di montagna di tuƩo l'arco alpino, ed è un vero "scaldabudella" per i rinfreddoliƟ sciatori. Da qualche anno una diƩa ossolana lo produce distribuendolo in boƫglie di varia capienza, raccogliendo aƩestaƟ per la partecipazione a manifestazioni internazionali specializzate in cocktails, come la TasƟngs InternaƟonal review of spirits. Foto a lato: Monte Rosa - Punta Gnifetti 4559 mt. Rifugio Capanna Regina Margherita

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di ElisabeĆŠa Colusso foto di Franco Midali

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iganella punta su Casa Vanni per rilanciare il proprio nome e la propria notorietà. Perla rara dal punto di vista storico ed architeƩonico l’ediĮcio dona a visitatori uno speƩacolo degno di nota. La bellezza architeƩonica di Casa Vanni è infaƫ accentuata dalla sua posizione strategica, immersa nelle piccole stradine dal paese, che formano una cornice unica per questa struƩura riceƫva che aƩrae visitatori, non solo da tuƩa Italia, ma da tuƩo il mondo. Costruita nel 1494 ed inizialmente di proprietà di una famiglia nobile è stata ampliata nel ‘600 con la costruzione del colonnato ad opera di alcuni monaci. Nel periodo della controriforma, infatƟ, la chiesa mise in aƩo un’importante campagna per la preservazione dei beni ecclesiasƟci, e Casa Vanni fu una delle struƩure che rientrò in questa campagna. Nei primi anni del ‘700 diventò la dimora della famiglia di Giovan Pietro Vanni, famoso piƩore e scultore di Viganella. Alcuni anni fa l’ediĮcio è diventato di proprietà comunale e con i fondi della Comunità Europea si è provveduto alla sua ristruƩurazione. TuƩa la parte inferiore è stata mantenuta intaƩa per volere della Soprintendenza ai Beni Culturali. ParƟcolare il museo della canƟna mantenuto e aƩrezzato con boƫ, torchi, paioli, imbuƟ di legno donaƟ dagli abitanƟ. Museo che vuole essere un tributo alla storia della cultura della vite e del vino. Armando Virgilio, storico maestro di Viganella, ha deĮnito Casa Vanni (nel suo libro “La mia Valle”) come l’ediĮcio più vecchio e più bello del paese. L’ediĮcio, dispone di un certo numero di locali, tra i quali cinque stanze adibite a camere da leƩo. La struƩura rimasta chiusa per parecchi mesi è stata recentemente inaugurata. L’evento svoltosi in concomitanza con la festa patronale di

Santa Maria, ha visto una cospicua presenza della popolazione, incuriosita dalla “nuova versione della struƩura”. La popolazione ha apprezzato e soƩolineato il valore aggiunto del fabbricato, il quale grazie ad invesƟmenƟ aggiunƟvi e ad opere realizzate in questo ulƟmo periodo, ha oƩenuto delle migliorie. Il Sindaco di Viganella a nome dell’Amministrazione ha evidenziato il pregio che la struƩura ha acquisto con i nuovi invesƟmenƟ struƩurali ed ha soƩolineato come “Casa Vani”, rappresenƟ un patrimonio di tuƩa la valle e non solo di Viganella. La manifestazione si è conclusa con la visita guidata a cura del nuovo gestore la Sig.ra Pasquinelli Ornella. I partecipanƟ hanno potuto apprezzare le migliorie faƩe, le quali riguardano in parƟcolare gli arredi. Inoltre è stato creato un sito internet con traduzione in inglese e tedesco e sono staƟ organizzaƟ, dal mese di oƩobre, dei corsi di lingua italiana rivolƟ ai molƟ turisƟ stranieri che frequentano la valle ed una master class di canto corale.

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di ElisabeƩa Colusso foto di Franco Midali

Famoso per lo specchio solare il piccolo paese di Viganella ha aƫrato per molto tempo l’aƩenzione internazionale. Televisioni da tuƩo il mondo sono venute a scoprire il paese di mezza valle, che tanto ha faƩo parlare di sé. In eīeƫ, specchio a parte, Viganella e la sua comunità hanno molto da dire.

T

ra culto e tradizioni centenarie il paese è meta preferita di ricercatori e scriƩori locali che hanno pubblicato parecchi tesƟ di storia, cultura, fede, tradizioni e arte. Simbolo di cultura e fede di Viganella è senza dubbio la festa patronale di Santa Maria, che si Ɵene ogni anno l’8 seƩembre.

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Alla naƟvità della Beata Vergine Maria, venne inƟtolata anche la prima chiesa parrocchiale di Viganella, come spiega il Tullio Bertamini nel suo libro “Viganella: storia, fede, arte”. L’anƟca chiesa sorgeva dove si trova quella aƩuale, ma era di piccole dimensioni. L’aƩuale gruppo organizzatore lavora, unito e con tenacia, da più di 20 anni per l’evento, ormai sinonimo di valorizzazione del paese. Tra i momenƟ più simbolici e partecipaƟ della festa l’anƟca processione che partendo dalla Chiesa parrocchiale termina nelle ulƟme case ad est del paese, occasione in cui viene trasportata la statua della Madonna. La patronale, già in passato, era la festa più senƟta perché coincideva con il ritorno a Viganella di coloro che erano agli alpeggi per la stagione. I tradizionali “Cavegn”, simbolo di oīerta e devozione, venivano infaƫ portaƟ a seƩembre come ringraziamento per la stagione, e durante la Madonna Candelora come ringraziamento per l’inverno e auspicio per la stagione futura. “La Candelora”, altra festa importanƟssima della comunità, può essere deĮnita una crisƟanizzazione della festa pagana del “Ritorno del Sole”, come l’ha deĮnita Pier Franco Midali in un’intervista. Celebrata il 2 febbraio (giorno in cui il sole torna a splendere sulla piazza del paese) la festa è andata a coincidere con le solennità della Madonna delle Candele e la Presentazione di Gesù al Tempio. Le due celebrazione crisƟane hanno sosƟtuito e nello stesso tempo ripreso la festa pagana. DocumenƟ ritrovaƟ nell’archivio parrocchiale, da alcuni ricercatori, dimostrano che la festa veniva già celebrata in tempi anƟchi. Sembra infaƫ che tali documenƟ siano addiriƩura antecedenƟ al più anƟco aƩo legato alla storia del ferro ( che concerne l’aĸƩo da parte del Vescovo di Novara di un forno in Val Magliasca ad un maestro

fonditore), risalente al 1217 e collocabile proprio nel comune di Viganella. In occasione della festa una “Pescia” (abete sempreverde, simbolo della vita) viene addobbata con prodoƫ gastronomici Ɵpici e di arƟgianato locale. Oggi la “Pescia” è una sola, ma prima della seconda guerra mondiale erano tre. Le frazioni di Bordo e Cheggio infaƫ adornavano le loro “Pescie”, le quali venivano portate in Chiesa, a Ɵtolo di ringraziamento, insieme a quella degli abitanƟ di Viganella e successivamente “incantate”. Ancora oggi il ricavato va in beneĮcenza o invesƟto nel restauro dei beni architeƩonici. Oltre all’oīerta dei “Cavagn”, molto interessante è la processione con le candele bianche, simbolo della luce. Anche per quanto riguarda la patronale i provenƟ vengono devoluƟ in parte in beneĮcenza, la quota restante viene usata per sistemare ciò che di valore è presente nel paese. Negli anni scorsi, ad esempio, sono staƟ sistemaƟ l’affresco seƩecentesco della CrociĮssione, che si trova nella piazza principale di Bordo, ed un altro aīresco del 1600, il più anƟco della valle, che ritrae “L’immacolata Concezione”. Questo dipinto ha un’importanza storica notevole, il dogma dell’Immacolata Concezione infaƫ è stato imposto da Pio IX nel 1854, a Viganella già 250 anni prima un aīresco lo ritraeva.

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di Francesca Tonossi foto di Roberto Facciola

Un maestro del legno:

Giulio Gualio

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icorrono quest’anno i trecento anni della morte di Giulio Gualio (16321712), maestro di scultura e di piƩura di Antronapiana, un piacevole paese della valle Antrona circondato da una natura intensa. Ma chi era quest’uomo che l’Ossola sta riscoprendo e per il quale l’associazione ossola.itt - 72

Villarte sta organizzando una mostra? Un personaggio dalla sfacceƩata personalità: abile scultore del legno, esperto cesellatore e doratore, valido piƩore, fu, allo stesso tempo, anche capace imprenditore. Gualio è un arƟsta di profonda cultura che per molto tempo è stato dimenƟcato. La sua opera è stata


a lungo aƩribuita ad altri maestri, infatƟ, il suo capolavoro presso la chiesa di San Lorenzo di Antronapiana è stato per decenni considerato impresa di scultori d’oltralpe, provenienƟ dalla vicina valle di Saas in Svizzera. L’aver svelato la paternità di questo grande altare maggiore piramidale ha permesso di riscoprire l’opera di questo eccellente maestro, nato ad Antronapiana il 9 Novembre del 1632 e messo a boƩega all’età di 14 anni presso lo scultore vigezzino Giorgio de’ Bernardis. Qui ha avuto la possibilità di imparare quanto di meglio l’arte del disegno e della scultura potessero oīrire in Ossola e, in un tempo relaƟvamente breve, a subentrare al suo maestro nella direzione del laboratorio, sito in via Briona a Domodossola e ad aīermarsi come valente arƟsta. Abile nella progeƩazione di portentosi altari, accurato nella deĮnizione dei traƫ delle sue sculture, meƟcoloso nel lavoro di cesello e doratura, Gualio è riuscito a conquistare la considerazione di numerosi commiƩenƟ. Infaƫ molƟssime chiese in Ossola, ma anche nella vicina Valsesia e nel Canton Vallese in Svizzera, sono decorate con opere della sua boƩega. Il capolavoro del maestro Gualio è l’altare maggiore di Antronapiana, concepito per la chiesa di San Lorenzo, ricostruita dopo la disastrosa frana del monte Pozzoli. Qui Gualio realizzò un altare completamente dorato, alto oltre sei metri, arƟcolato su tre diversi ordini decrescenƟ, decorato con numerose sculture lignee e colonnine torƟli. Questa Ɵpologia d’altari, deƩa ciborio, deve la sua nascita ad alcune disposizioni volute da San Carlo Borromeo. Infaƫ, per cercare di arginare la riforma protestante che dilagava al di là delle Alpi, San Carlo aveva pensato di dare speciale importanza al tabernacolo, fulcro spirituale della chiesa, facendo co-

struire altari che ne riproducessero ed ingrandissero le forme. Ed ecco nascere in Antronapiana un altare meƟcolosamente studiato per rappresentare il Paradiso e per evidenziare la devozione a Cristo ed alla Vergine Maria. Un aspeƩo inconsueto del ciborio sta nel faƩo che risulta essere l’unico altare ligneo datato (1686) e Įrmato dal maestro Gualio in un carƟglio poco visibile, pertanto a lungo ignorato. Il lavoro di Gualio è molto interessante anche quando si osservano le sue sculture di sanƟ ed i busƟ reliquiari poichè il volto di ciascuno di quesƟ personaggi è il ritraƩo delle persone che il maestro incontrava e frequentava: nei paīuƟ volƟ degli angioleƫ si colgono i traƫ dei visini arrossaƟ dei bimbi, nell’aggroƩarsi di una fronte o nell’arricciarsi di una barba si individuano gli aspeƫ peculiari di una Įsionomia o di un parƟcolare aƩeggiamento, così come nelle pieghe svolazzanƟ dei vesƟƟ si riconosce il gusto allora in voga. Soīermarsi su quesƟ volƟ è come fare un tuīo nel passato, nello spirito di un’epoca. Negli ulƟmi anni della sua aƫvità, ad aĸancare il maestro Gualio, oltre ai numerosi allievi, ci fu il Įglio Paolo Lorenzo (1671-1725) che subentrò nella direzione della boƩega di famiglia alla morte del padre avvenuta il 12 Dicembre 1712, alla considerevole età di 80, nella sua casa di Antronapiana, dopo una vita intensamente spesa per l’arte e per il lavoro. Di lui ci restano da ammirare e, soprattuƩo da riscoprire, numerose opere non solo lignee, ma anche piƩoriche. Chi volesse vedere le creazioni del maestro Gualio non ha che da andare ad Antronapiana, nella bella chiesa di San Lorenzo che si aīaccia sulla piazza principale del paese, od esplorare qualche altra chiesa ed angolo della valle Antrona dove scoprirà tanƟ preziosi tesori d’arte. 73 - ossola.it


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di Giuseppe Possa foto di Riccardo Faggiana

VERDIANO QUIGLIATI Pittore vigezzino d’adozione Nato a Novara nel 1915, lavorò venticinque anni a Parigi, trascorrendo le sue vacanze in Val Vigezzo, dove stabilì la residenza a Prestinone di Craveggia. Mutò il suo modo di dipingere nel 1941, dopo l’incontro col maestro Carlo Fornara. Si sposò nel 1944 con DelÀna e due anni dopo nacque la Àglia Miria. Espose in collettive con artisti del calibro di Picasso e Dalì. Era uno spirito libero che seppe far rivivere la grande poesia dei divisionisti e degli impressionisti italiani e francesi. Morì a Domodossola nel 2009. Un’importante retrospettiva gli è stata allestita quest’anno dal Comune di S. Maria Maggiore.

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ochi mesi prima che il piƩore Verdiano QuigliaƟ morisse, ero andato per l’ennesima volta a trovarlo in Valle Vigezzo, nel suo studio a PresƟnone di Craveggia: un ampio locale a veranda, dentro cui i raggi caldi dell’incipiente estate parevano riŇeƩere ombre anƟche. In una naturale confusione, vi erano quadri di formaƟ diversi, libri accatastaƟ, cornici, tubeƫ di colori, bozzeƫ, fogli sparsi, oggeƫ e ricordi d’ogni genere: tuƫ lì a tesƟmoniare quasi oƩant’anni di assidua professione. Non bisognava aver freƩa, quando si andava a fargli visita: il tempo per lui pareva non esistesse e ci teneva a parlare con entusiasmo e passione delle sue opere. In ogni angolo della casa erano appesi quadri divisionisƟ dei suoi periodi migliori, con quelle cromie calde e pastose, ben disposte e accostate sulla tela, a piccole pennellate, con una tecnica che possiede una forza personale, rispeƩo a quella mediata dai suoi maestri. AutenƟci capolavori d’armonia apparivano cerƟ soƩoboschi autunnali, con colori arancio-fuoco, il cui turbinio di fogliame, se isolato, dà quasi l’impressione di un astraƩo. 75 - ossola.it


Qua e là erano appese anche le opere impressioniste, autenƟche e senƟte: tele che aveva conservato gelosamente per sé, con paesaggi vigezzini, milanesi, veneziani o della Francia, molte delle quali riproducono magari solo atmosfere piacevoli o parƟcolari di scorci e vedute. Lo vidi ancora nella sua casa di Domodossola, ma quella fu l’ulƟma volta che aprì il libro dei suoi ricordi. Nonostante l’età, Įno a poco prima aveva conƟnuato a dipingere meravigliosi paesaggi tra impressionismo e divisionismo, con la stessa passione degli anni giovanili. Egli aveva sempre lavorato con entusiasmo, sia come graĮco e tecnico del colore per le riproduzioni arƟsƟche (26 anni all’IsƟtuto GeograĮco De AgosƟni di Novara e poi quasi 25 anni alla Imprimerie Cino del Duca di Parigi), sia come piƩore che all’arte dedicò tuƩo il proprio tempo libero, diventando assai noto in Italia e in Francia. L’avevo conosciuto a Milano nel dicembre del 1973, quando il Sindaco Aniasi, durante l’inaugurazione della mostra che il Comune gli aveva dedicato all’Arengario, gli consegnò l’Ambrogino d’oro, il più presƟgioso riconoscimento del capoluogo lombardo. Ciò che mi aveva subito colpito e aīascinato, anco-

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ra prima della sua piƩura, era quel modo armonioso e tuƩo proprio di gesƟcolare, mentre parlava. Accompagnava i suoi discorsi con gesƟ improvvisi, quasi perentori, ma tracciaƟ nell’aria con sinuosa morbidezza, come se volesse aggiungere un tocco di colore alle parole. Solo nel 1995, però - quando per il seƫmanale “Eco Risveglio di Domodossola” andai a intervistarlo in occasione del suo oƩantesimo compleanno - riuscii a visitare il suo studio di PresƟnone. In Valle Vigezzo arrivò nel 1941 per conoscere Carlo Fornara e per imparare da lui, perchè da qualche anno il giovane QuigliaƟ si stava dedicando al divisionismo. Durante quel nostro colloquio, mi disse: “Andai a trovarlo a casa sua e mi accolse genƟlmente. Gli manifestai la mia ammirazione per la sua piƩura e gli conĮdai che da qualche anno avevo scelto la stessa tecnica. Fornara m’incoraggiò e da allora le mie visite si fecero più frequenƟ. Diventammo amici. Le nostre conversazioni erano sempre improntate sull’arte, sulle tendenze del momento. Mi parlava del suo maestro Enrico Cavalli, dei suoi amici SeganƟni, Pelizza da Volpedo, Grubicy e rievocava gli anni della “belle époque”. Era un uomo eccezionale che ammiravo e sƟmavo molto”.


Di Fornara egli conservava alcuni quadri, una ĮƩa corrispondenza, la tavolozza che gli aveva regalato e una dedica speciale su una bella foto del maestro: “Al mio caro amico Verdiano, travolgente temperamento d’arƟsta, con aīeƩo. Carlo Fornara”. Lassù tra le montagne e in mezzo a una natura unica per paesaggi e colori, QuigliaƟ creò, a piccole macchie morbide, opere sublimi di una sinfonia divisionista, con prevalenza di grigioazzurri, rossi, arancioni e brunodoraƟ. Ma prima di trasferirsi deĮniƟvamente nella Valle dei PiƩori ed eleggere l’Ossola a sua terra d’adozione, QuigliaƟ doveva trascorrere ancora molƟ anni nella capitale francese. La sua vita arƟsƟca fu allora che prese una nuova svolta. Conobbe molƟ personaggi, espose in colleƫve con arƟsƟ del calibro di Picasso e Dalì, ma soprattuƩo dipinse altre luci e altre atmosfere. Espose in numerose ciƩà europee e l’ulƟma personale fu quella che il Comune di Novara gli dedicò al BroleƩo nel 2005, per i suoi novant’anni. Quest’anno il Comune di S. Maria Maggiore gli ha allesƟto una retrospeƫva e pubblicato un bel catalogo, curato dalla Įglia Miria. Il seƫmanale “Eco Risveglio” l’aveva intervistato e inserito in un volume dedicato ai personaggi che hanno faƩo

grande la provincia del Verbano Cusio Ossola. QuigliaƟ non si è ispirato solo a Parigi e alla Val Vigezzo, due luoghi pur aīascinanƟ e a lui tanto cari, poiché altri temi e altre località hanno occupato i suoi quadri, con ambienƟ dalle Ɵnte forƟ, dai contorni deĮniƟ, dai volumi corposi, pieni di luce “solarizzata” e senza la presenza deturpante della tecnologica moderna. Ha scriƩo Enzo Biagi, in uno dei cataloghi del maestro, che Verdiano QuigliaƟ è andato in giro per il mondo “con negli occhi i colori della sua terra”. Credo che egli abbia sempre dipinto per soddisfare quella gioia che nel piƩore si rinnova ogni volta che il colore comincia a incantare, di poeƟche immagini, la tela. Un piacere che si accende quando l’arƟsta entra in contaƩo con la superĮcie del quadro. Proprio per questo, i suoi dipinƟ sprigionano gioia di vivere ed energia, come riconosceva lo stesso Carlo Fornara che, il 21 aprile 1966, scriveva a Verdiano QuigliaƟ: “Nei miei momenƟ d’indicibile tristezza, ogni tanto un raggio di luce passa sull’ombra ed è quando penso alla tua forza operante: guardando i tuoi quadri mi pare che un po’ di quella forza creaƟva venga a me. Grazie, caro amico, di questo conforto!”.

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di DoƩ. Michele VIGASIO Agronomo VIGNAIOLI PIEMONTESI

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n valle si avvicina il Natale, accompagnato dal profumo dei primi travasi dei vini della terza vendemmia dop. Un’altra buona vendemmia che si aggiunge alla serie delle ulƟme posiƟve, seppur con alcune diĸcoltà legate a qualche bizza climaƟca. Forte della sua tradizione viƟcola, cerƟĮcata dal 1300, ma, allo stesso tempo, alla ricerca delle sua nuova “dimensione” l’Ossola oggi guarda al futuro senza dimenƟcarsi, come lo sguardo al passato impone, che all’inizio del secolo scorso gli eƩari di vigna erano 1000, ora sono solo 50. Altri tempi, altro… mondo della vite e del vino di allora, di cui comunque è giusto tenere analisi e memoria storica per capire in che direzione si debba andare oggi, in uno scenario di mercato molto diĸcile. Per la risposta, occorre parƟre da un’analisi che abbracci l’intero “sistema viƟcolo” ossolano faƩo di vigneƟ, di un suolo, di clima e uomini-viƟcoltori unici. Tuƫ “faƩori”, e loro interazioni, da conoscere e valorizzare al massimo aĸnché possano ritrovarsi come descriƩori irripeƟbili del vino di cui sono all’origine. ParƟamo allora dai vigneƟ presenƟ su entrambi i versanƟ di ovest ed est della valle prealpina, situaƟ tra i 250 e gli 800 m. Ne consegue, una variazione dell’epoca di maturazione, a parità di viƟgno, molto diversa. Figuriamoci tra viƟgni diversi. Questo implica la necessità di accurate valutazioni in fase vendemmiale. La composizione vaossola.it - 78

rietale dei vigneƟ è un altro punto chiave. AƩualmente il Nebbiolo sta contendendo spazio al Prunent. La diīerenza tra i due “viƟgni”, minima a livello geneƟco, essendo, di faƩo, il Prunent, il bioƟpo ossolano del Nebbiolo (come avviene per la Chiavennasca in Valtellina e lo Spanna delle colline novaresi), non lo è aīaƩo a livello conceƩuale, ma di questo si dirà deƩagliatamente in seguito. A Įanco del “re” Nebbiolo ci sono altri viƟgni Ɵpici piemontesi tra i quali Barbera, CroaƟna, Freisa e Vespolina e gli internazionali precoci come il Pinot nero e sopraƩuƩo il Merlot. Resistono piccolissimi impianƟ di viƟgni legaƟ all’intera fascia subalpina piemontese, tra i quali la Rachina, la Rosolèta e la Cagambraga, la Montanera, tuƫ interessanƟssimi da recuperare. Gli impianƟ sono sospesi tra il passato della topia (sistema espanso), ed il “presente” della spalliera (sistema a sviluppo ridoƩo) che, in termini agronomici, sembra andargli streƩa: la giusta dimensione del futuro, legata alle caraƩerisƟche peculiari del sito, sembra collocarsi proprio nella via di mezzo tra i due sistemi (leggasi spalliere non troppo ĮƩe e/o topie ridimensionate nella carica produƫva). Il suolo (in sintesi sciolto, a pH acido, con oƫma dotazione organica) unitamente al regime pluviometrico importante Ɵpicamente pedemontano (più di 1000 mm di precipitazione media/annuale) sostengo il vigore degli impianƟ, con conseguenze negaƟve, a volte, sulla sanità e maturazione delle uve. Non


si deve dimenƟcare inoltre che, in faƩo di maturazione, il Nebbiolo/Prunent, è pur sempre uno dei viƟgni con le maggiori esigenze termiche, ne consegue il rischio, in certe annate non proprio favorevoli, di ritrovare nei vini, delle spigolosità riconducibili a maturazioni incomplete delle uve. Questo problema apre la quesƟone sul faƩo che il vino ossolano debba, o meno, puntare esclusivamente sul Prunent in purezza, ovvero, nei limiƟ di quanto previsto dal disciplinare di produzione DOP di cui si fregia, possa avvalersi di apporƟ miglioraƟvi di altri viƟgni a maturazione più facile ed in cerƟ sensi “arrotondanƟ”. Come il Merlot, per esempio, senza scandalizzarsi troppo. Ma torniamo al bioƟpo Prunent ed alla sua importanza strategica. Esso è, verosimilmente, il viƟgno più adaƩo all’ambiente di colƟvazione peculiare ossolano. Vi ha infaƫ vissuto per secoli, cercando di performare al meglio e aiutato dalla mano del viƟcoltore ossolano che ha agito nel tempo selezionando le piante qualitaƟvamente più interessanƟ. Pertanto porta con sé, probabilmente, adaƩamenƟ morfo-Įsiologici che lo hanno reso ‘diverso’ degli altri nebbioli (ed è questo, in parole semplici, il signiĮcato di bioƟpo). E’ dunque assolutamente sensata e deve proseguire la strada della selezione clonale intrapresa dall’Associazione ProduƩori Agricoli Ossolani, con il supporto sempre entusiasta delle Comunità Montane locali che l’hanno sostenuta.

E’ stato un lavoro lungo e complesso iniziato più di 20 anni fa che, con fasi altalenanƟ, ha già permesso di individuare oggi i 2-3 presunƟ cloni miglioraƟvi del futuro, che potrebbero venire omologaƟ nell’arco di 5 anni, a fronte di un ulteriore impegno economico. E’ chiaro che per il Nebbiolo locale si traƩerebbe di un grande traguardo che raīorzerebbe, nel vino clonale, il legame con il suo territorio di origine. I segnali di apprezzamento che arrivano dal mercato oggi come non mai sono forƟ e chiari verso le micro-produzioni territoriali. Questo aggiunge altra benzina sul fuoco dell’entusiasmo e della tenacia che i produƩori dell’Ossola stanno meƩendo nel relaƟvo progeƩo di recupero, senza però trascurare (a parte il faƩo che tecnicamente, colƟvare solo uno o pochi cloni è “pericoloso” e sconsigliabile) di portare avanƟ nei vigneƟ locali anche tuƩa la serie degli ulƟmi cloni cerƟĮcaƟ, secondo rigorosi criteri agronomici ed enologici, dagli enƟ preposƟ piemontesi e non. SopraƩuƩo quelli oƩenuƟ dal bioƟpo valdostano Picotener che potrebbero, riservare oƫme performance anche nel simil ambiente ossolano. Come si potrà intuire la strada per emergere nel panorama enologico piemontese a Įanco delle altre doc a base di Nebbiolo per il vino ossolano è tuƩa in salita. Se uscire o meno dai conĮni della valle (con conseguente preliminare pianiĮcazione delle quanƟtà e dei prezzi) e dove andare è un’altra scelta chiave. Il mercato estero sembra dare oƫmi segnali di interessamento al “neonato” prodoƩo cerƟĮcato, in barba alla crisi. Quale che sia l’orizzonte da navigare, occorre traguardare, nella trasparenza del vino il suo valore aggiunto. Quello che può fare la diīerenza, agli occhi di un consumatore reso sensibile sul tema, in un prodoƩo che viene da un’aƫvità che conserva, protegge e valorizza l’ambiente di cui è Įglio. Questo è un altro conceƩo da colƟvare e diīondere in Ossola: quello della concezione territoriale di viƟcoltura da sviluppare per il futuro, che punta su un paesaggio viƟcolo architeƩonicamente caraƩerisƟco, legato anch’esso inƟmamente al territorio, faƩo dunque di topie che rimangono tali, almeno a rappresentare cos’era il passato, o si adaƩano ad esigenze tecniche mantenendo elemenƟ struƩurali caraƩerisƟci quali le colonne di pietra. 79 9 - ossola.it


E un bosco di castagno, di conĮne al vigneto (biodiversità), anziché un altro idenƟco vigneto, potrebbe rivelarsi moƟvo di apprezzamento per un eno-turista locale, e renderlo più disposto a “sostenere” l’opera ambientale pagando un pò di più per una boƫglia di vino, evitando superĮciali confronƟ di prezzo con altri vini? Occorre a tal Įne far maturare anche la consapevolezza, che qui, come in altre realtà di viƟcoltura eroiche, le ore in vigna non si contano... Un consumatore che va al vino, non un vino da portare al consumatore? Forse è questa la sĮda più grande per l’Ossola e in questo senso la zona ha grandi carte di attraƫvità eno-turisƟca da giocare, rappresentate da tuƫ gli scorci incantevoli di ognuna delle sue valli che si diramano come dita di una mano dalla piana alluvionale del Toce. Naturalmente non si può prescindere da un miglioramento tecnico importante a livello di tecnica viƟcola ed enologica che presuppone una certa professionalità degli operatori. Grazie alla propulsione dell’Associazione Produttori Agricoli che ha messo a disposizione dei viƟcoltori da tempo un servizio tecnico in vigneto ed in canƟna qualiĮcato, si sono faƫ grandi passi

negli ulƟmi anni, anche se rimangono ampi margini di miglioramento. Le implementazioni tecnologiche che i vignaioli devono recepire sono tante ed è indispensabile che vengano accompagnaƟ nella loro acquisizione se il futuro vuole “e deve” percorrere la strada della sostenibilità ambientale. InĮne rimane anche il problema generazionale, visto che il ricambio, in questa valle come altrove, è tuƩ’altro che scontato. Segnali da più fronƟ ci annunciano la probabile Įne del tunnel della crisi e concordano sul faƩo che il seƩore di ripartenza fondamentale possa proprio essere quello primario dell’Agricoltura. Figuriamoci in montagna, con tuƩe le risorse disponibili che ci sono, se si è capaci di vederle. Allora non è eslcuso che si possa assistere al ritorno in vigneto dei giovani, senƟto il richiamo della terra abbandonata cent’anni fa per la fabbrica. E da loro possa provenire la forza e l’innovazione per riportare il seƩore viƟcolo ad un ruolo di maggior rilievo nell’economia della valle. E’ quello che tuƫ auspichiamo, alzando un calice di Valli Ossolane Prunent Doc, assieme all’ Augurio di Buone Feste per i leƩori.

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Il peso morto è peso della carcassa dalla quale viene eliminata la testa, le parƟ distali degli arƟ, il contenuto gastro-intesƟnale, la corata, la pelle e altre fraƩaglie quali il fegato e la milza. Dalla carcassa, nel corso della lavorazione dei singoli tagli, vengono eliminate poi le ossa, il grasso di copertura, i tendini. Quindi da un bovino vivo di peso di 600 kg, dunque, dopo l’eliminazione degli scarƟ, vengono prodoƫ circa 300 kg di carne vendibile. In virtù dello loro spiccata conformazione da carne i bovini di Razza piemontese presentano rese alla macellazione e allo spolpo superiori a quelle di altre razze da carne. Ciò giusƟĮca il prezzo più elevato che viene riconosciuto agli allevatori al momento della vendita dei bovini vivi di Razza piemontese.

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