anno XXI
numero 64
quadrimestrale
febbraio - maggio 2012
077/2005 05 POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005
attualità in senologia
Trattamento adiuvante nei tumori Inferiori al 1 cm
Le novità da San Gallen
Terapia con US ad alta intensità nei tumori iniziali
SOMMARIO
Attualità in Senologia Rivista della Scuola Italiana di Senologia: direttore Claudio Andreoli Anno XXI - n. 64 Febbraio - Maggio 2012 Organo ufficiale di Forza Operativa Nazionale su Carcinoma Mammario (FONCaM) Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa) Società Italiana di Senologia In collaborazione con Società Italiana di Radiologia Medica Sezione di Senologia (SIRM) Europa Donna Direttori Marco Rosselli Del Turco (Responsabile) Claudio Andreoli Redazione Rassegna della Letteratura ANATOMIA PATOLOGICA: Anna Sapino BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA: Paolo Pronzato CHIRURGIA: Roberta Simoncini CHIRURGIA PLASTICA : Maurizio Nava ECOGRAFIA SENOLOGICA: Angela Maria Guerrieri EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE: Eugenio Paci GENETICA: Maria Luisa Brandi IMMUNOLOGIA: Andrea Balsari LABORATORIO: Massimo Gion MAMMOGRAFIA: Gian Marco Giuseppetti PATOLOGIA BENIGNA: Alfonso Pluchinotta QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI: Gemma Martino RADIOTERAPIA: Laura Lozza Redazione Scientifica Elsa Cossu Viviana Galimberti Massimiliano Gennaro Maria Piera Mano Lorenza Marotti Daniela Terribile Corrado Tinterri
Segreteria di Redazione Elena Biffoli Anna Coffano Tel. 0322905665 (8,30-13) Consiglio Scientifico Umberto Veronesi presidente
attualità in senologia 2
3 FORUM Il trattamento adiuvante nei tumori inferiori ad 1 cm
Alberto Costa vicepresidente Dino Amadori Franco Berrino Luigi Cataliotti Gianpiero Ausili Cefaro Maria Grazia Daidone Andrea Decensi Giuseppe D’Aiuto Mario De Lena Cosimo Di Maggio Alfonso Frigerio Marco Greco Maria Antonietta Nosenzo Nereo Segnan Piero Sismondi
EDITORIALE
11 FORUM il parere di Antonella Palazzo-Emanuela Risi-Enrico Cortesi, Maria Piera Mano, Marco ZappaAdele Caldarella
15 OBIETTIVO SU Quali sono le novità di San Gallen
19 OBIETTIVO SU Metodiche emergenti mini-invasive nel trattamento termo-ablativo del carcinoma mammario in fase iniziale ed esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia con gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità ecoguidati (HIFU-USg)
Fotografie Foto di copertina Riccardo Faggiana Altre foto © Fotolia e iStock
26 RASSEGNA DELLA LETTERATURA Coordinamento grafico e impaginazione Eleonora Fiumara Editore Faggiana Riccardo 28805 Vogogna (VB) info@ossola.it Stampa PRESS GRAFICA s.r.l. 28883 Gravellona T. (VB)
46 QUATTRO CHIACCHERE CON Alfonso Frigerio
49 NUOVI STUDI Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella? Studio SOUND (Sentinel node vs Observation after axillary Ultra-souND)
53 SPIEGHIAMO LA MEDICINA Che cos’è la chirurgia oncoplastica
Registrazione presso il tribunale di Verbania. Rivista “Attualità in Senologia” iscritta al n°2 come da decreto del 04/02/2005
56 QUI CURANO COSÌ A.O. Istituti Ospitalieri di Cremona
60 GISMa News dal Convegno 2011
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L’esame del linfonodo sentinella: dall’analisi morfologica a quella molecolare.
Copyright: le condizioni di utilizzo dei materiali contenuti in questa rivista sono concordate con i detentori. Se ciò non fosse stato possibile, l’editore si dichiara disposto a riconoscere tali diritti.
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EDITORIALE
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Marco Rosselli Del Turco *
Claudio Andreoli *
* Direttori AIS
2
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orse siamo proprio sulla buona strada. Dopo l’approvazione da parte del Senato della mozione presentata dalla Senatrice Bianconi sui tumori al seno nello scorso Aprile, con l’adesione di tutti i gruppi parlamentari, la stessa Senatrice Bianconi al congresso di Attualità in Senologia, tenutosi a Firenze nel Novembre scorso, ha confermato l’impegno a portare avanti i contenuti della mozione e ha annunciato l’istituzione di un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero alla Salute del quale fanno parte anche componenti del nostro comitato di Redazione. Questo gruppo tecnico ha quasi completato il proprio lavoro che sarà la base per un documento programmatico sulla senologia, sul quale il Ministero chiederà un impegno alle Regioni. Vi ricordo che i contenuti principali della mozione sono, da una parte, un impegno a estendere i programmi di screening e diagnosi precoce in modo uniforme sul territorio nazionale, migliorandone ulteriormente la qualità e estendendo le fasce di età coinvolte e, dall’altra, a osservare la disposizione del Parlamento Europeo che impegna gli stati membri a istituire unità multidisciplinari per la cura del tumore al seno, ove siano trattati almeno 150 nuovi casi all’anno, conformemente a quanto suggerito da EUSOMA, una per almeno 1-2 milioni di abitanti. Si afferma inoltre che è necessario verificare ed eventualmente disporre una revisione dei relativi DRG, nell’ottica di un DRG di percorso E’ ora importante che tutti gli specialisti senologi italiani, mettendo da parte interessi talvolta di settore, si impegnino in tutte le sedi a difendere il principio fondamentale che deve sottendere questo rinnovamento della senologia: la multidisciplinarietà, intesa come collaborazione collegiale tra professionisti qualificati e dedicati, che esclude una prevaricazione di uno specialista sull’altro e si traduce in un reale beneficio di diagnosi e cura per la donna. La direzione clinica dei programmi di screening, così come delle unità multidisciplinari per la cura del tumore al seno, dovrà essere affidata al professionista più competente e autorevole, a prescindere dalla sua specialità in origine. E’ quindi l’occasione da non perdere per riunificare le competenze cliniche in ambito di screening e diagnosi clinica, riavviare una collaborazione tra le varie specialità per la cura del tumore al seno, rilanciare il ruolo delle infermiere di senologia, dei tecnici di radiologia e di altri operatori non medici e sviluppare attenzione ai servizi di supporto per le donne che ammalano di tumore al seno.
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Il trattamento adiuvante nei tumori inferiori ad 1 cm ERICA MORETTI, MARTA PESTRIN, ANGELO DI LEO, E LAURA BIGANZOLI UO Oncologia Medica “Sandro Pitigliani”, Ospedale di Prato, Prato
I
n seguito all’utilizzo routinario dello screening mammografico e all’introduzione della risonanza magnetica sempre piu’ frequentemente giungono alla nostra attenzione, per valutazioni di terapia adiuvante, pazienti con tumori di dimensioni inferiori al centimetro e linfonodi ascellari negativi (N0). Considerati inizialmente tumori a buona prognosi con dati di sopravvivenza libera da malattia a 10 anni superiore al 90% con il solo trattamento loco regionale, analisi successive hanno evidenziato come in presenza di specifiche caratteristiche biologiche, la prognosi di questi tumori potesse risultare meno favorevole. Fattori riconosciuti associati ad una peggiore prognosi sono rappresentati da un’istologia duttulo-lobulare(1), la positività per HER2(2), un alto grado tumorale (grado 3)(3), un’età inferiore ai 50 anni alla diagnosi, la presenza di invasione linfovascolarei(4), un elevato indice di proliferazione (Ki67 ≥ 20%)(5). In questo articolo rivedremo dati della letteratura relativi alla prognosi e al ruolo del trattamento adiuvante in tumori pT1a-b N0 divisi in base alle loro caratteristiche biologiche in ormonosensibili, HER2-positivi e triplo negativi.
1. La malattia ormono-sensibile Noti sono i benefici derivanti da una terapia contenete tamoxifene e/o un inibitore dell’aromatasi. Dati recentemente pubblicati della metanalisi di Oxford hanno confermato a 15 anni un beneficio assoluto da parte di 5 anni di tamoxifene del 13.2% e 9.2% rispettivamente in termini di recidiva e mortalità tumore specifica(6). Questo lavoro ha confermato come in una popolazione ER positiva (ER+), il beneficio assoluto correlato all’uso di tamoxifene è dipendente dal rischio di recidiva e di mortalità della malattia stessa ie., sta-
di più avanzati di malattia derivano un maggior beneficio assoluto dal trattamento. Esistono comunque evidenze di beneficio da parte di un trattamento con tamoxifene anche in pazienti con tumori ER+ pT1a-bN0(7). Recentemente il Danish Breast Cancer Cooperative Group ha pubblicato uno studio di popolazione atto a valutare il tasso di mortalità di 3197 pazienti affette da neoplasia mammaria non trattata con terapia sistemica con lo scopo di identificare quei sottogruppi che avrebbero potuto beneficiare o meno dall’aggiunta di un trattamento sistemico(8). Le pazienti avevano un carcinoma mammario N0 ER+ e /o PgR positivo (PgR+) + ed erano ulteriormente caratterizzate in base ai seguenti fattori di rischio: età al momento della chirurgia (da 34 a 74 anni raggruppate per categorie con intervallo di 5 anni), dimensioni della neoplasia (≤ 20 mm), istologia e grading (carcinoma duttale di grado 1, carcinoma lobulare di grado 1 e 2, altre istologie). Un gruppo di validazione di 2710 pazienti é stato inserito nello studio. Ad un follow-up mediano di 14,8 anni si sono osservati tassi di mortalità più elevati nelle pazienti con una neoplasia superiore al centimetro e con un’età inferiore a 60 anni. Tuttavia lo studio ha permesso di identificare un piccolo gruppo di pazienti di età ≥ 60 anni e con neoplasia <1cm e ben differenziata che non aveva un rischio aumentato di mortalità rispetto alle donne della stessa fascia di età nella popolazione generale (Figura1). Dati di biologia molecolare indicano come nel gruppo di pazienti ER+ si possano identificare due popolazioni biologicamente distinte caratterizzate da una diversa prognosi: il sottogruppo luminale A e luminale B(9). Nella pratica clinica quotidiana l’analisi immunoistochimica di HER2, ER, PgR e Ki67 permette di identificare con una buona approssimazione la sottopopolazione luminale B (caratterizzata dalla positività per ER, da un alto indice proliferativo e a volte dalla positività per HER2)(10,11). Lo studio danese risulta quindi in parte limitato dalla mancanza di dati relativi alle caratteristiche immunofenotipiche N. 64 - 2012
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Figura 1: associazione tra il rischio relativo di morte ed età e dimensioni tumorali alla diagnosi: modello ottenuto all’analisi multivariata. La linea orizzontale rappresenta il tasso di mortalità valutato sulla popolazione generale di donne appaiate per età (mod. da JNCI 2011)
o al profilo genetico delle neoplasie prese in esame. Informazioni relative allo stato di HER2 e di ki67 avrebbero infatti potuto fornire una definizione ancora più precisa del gruppo di pazienti effettivamente a basso rischio di mortalità.
2. La malattia HER2 positiva HER2 è amplificato e/o “overespresso” in circa il 20% dei tumori mammari. HER2 è un fattore prognostico negativo associato ad elevati tassi di recidiva di malattia e di mortalità in assenza di terapia sistemica(12), HER2 emerge come fattore prognostico sfavorevole anche nei tumori mammari in stadio I, nei quali l’espressione del marcatore è inferiore al 10%. Tale dato deriva da numerosi studi (Tabella 1) condotti retrospettivamente ed eterogenei per il tipo di trattamento adiuvante impiegato e per la durata del followup(2,13,14,15,16,17,18,19). Particolarmente interessante é lo studio condotto all’MD Anderson Cancer Center in quanto le 965 pazienti con diagnosi di carcinoma mammario in stadio pT1a, bN0M0 analizzate non avevano ricevuto né trastuzumab né chemioterapia adiuvanti(14). L’intervallo libero da ricaduta è risultato complessivamente del 92%. La sottopopolazione HER2 positiva si è caratterizzata per un peggior outcome rispetto a quella HER2 negativa (77% vs 94%, p<0.001). Ad un’ana4
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lisi multivariata la positività di HER2 è risultata essere associata ad un maggior rischio di recidiva locale e a distanza rispetto allo status HER2-negativo. L’analisi più numerosa di casi HER2 positivi in stadio pT1a, bN0M0 è stata effettuata presso l’Istituto Europeo di Oncologia ed ha incluso 150 pazienti HER2 positive(15). Questa popolazione è stata confrontata con una coorte di pazienti con malattia HER2 negativa, bilanciata per status ormonale, età e anno della chirurgia. Circa il 50% della popolazione ER negativa inclusa in studio aveva ricevuto una chemioterapia adiuvante. Ad un follow-up mediano di 4,6 anni la positività di HER2 si è associata ad un più elevato rischio di recidiva (hazard ratio 2,4; 95% CI, 0,9-6,5). Gli autori hanno correlato l’espressione di HER2 con quella dei recettori ormonali (RO). Nel sottogruppo RO positivi è stata osservata una sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 5 anni del 99% nei casi HER2 negativi a fronte del 92% nelle pazienti con neoplasia HER2 positiva. Nei casi RO negativi il tasso di sopravvivenza libera da malattia è risultato analogo nei due sottogruppi: del 92% e del 91% nelle pazienti HER2 negative e HER2 positive rispettivamente(15). Tali dati seppur provocativi, dato il numero limitato di pazienti analizzati e la possibile interferenza del trattamento chemioterapico adiuvante, non sono riproducibili nella pratica clinica. Nel loro complesso tutti questi studi evidenziano come il tumore mammario HER2 positivo in stadio I, anche in caso di dimensioni inferiori al centimetro, sia caratterizzato da un significativo rischio di recidiva. Anche le analisi che hanno incluso pazienti trattate con chemioterapia adiuvante hanno dimostrato il valore prognostico negativo di HER2; questo dato suggerisce che, nonostante la generale chemiosensibilità della malattia HER2 positiva, la chemioterapia da sola non migliora significativamente l’outcome(15,18,19). Per tale motivo estremamente attuale è la discussione sul ruolo di un trattamento adiuvante contenente trastuzumab in questo sottogruppo. Globalmente cinque studi clinici hanno dimostrato un vantaggio in termini di intervallo libero da malattia e sopravvivenza globale dall’aggiunta del trastuzumab al trattamento chemioterapico: HERA trial(20), BCIRG 006(21), NSABP B-31 e NCCTG N 9831(22) e FinHER(23). Complessivamente questi trial hanno coinvolto più di 13.000 pazienti e hanno reso l’impiego del trastuzumab uno standard terapeutico nel programma adiuvante del tumore mammario HER2 positivo. La maggioranza di pazienti arruolati negli studi clinici adiuvanti presentava interessamento linfonodale e pT≥ 20mm. Ad oggi non sono disponibili dati derivanti da studi clinici randomizzati che definiscano il ruolo del trastuzumab nel
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trattamento adiuvante di tumori HER2 positivi di dimensioni inferiori al centimetro e senza interessamento linfonodale. Esistono tuttavia evidenze indirette dell’impatto positivo del trattamento con trastuzumab in questo sottogruppo di pazienti. Analisi retrospettive hanno evidenziato come il beneficio proporzionale derivante dal trattamento adiuvante con trastuzumab fosse indipendente dallo stadio di malattia. Nel trial BCIRG 006 è emerso un vantaggio del braccio adriamicina-ciclofosfamide (AC) seguito da taxano-trastuzumab (TH), quest’ultimo somministrato per 1 anno, rispetto allo stesso trattamento senza trastuzumab indipendentemente dall’interessamento linfonodale e dalle dimensioni tumorali(21). Nel contesto del trial HERA si è evidenziato un beneficio dall’aggiunta del trastuzumab nei casi con tumore primitivo tra 1 e 2 cm (HR 0.59, 95% CI 0.39-0.8) e nei tumori senza interessamento linfonodale (HR 0.51 95% CI 0.30-0.87)(20). Questi risultati sono in linea con quanto emerso dalla metanalisi di Oxford: il beneficio proporzionale di un trattamento sistemico adiuvante è indipendente da stato linfonodale e dimensioni tumorali(24). Dati derivanti da un’analisi retrospettiva condotta presso l’Istituto Curie hanno rilevato una riduzione del tasso di recidive in pazienti con tumori HER2 positivi di dimensione <1 cm in seguito all’introduzione del trattamento adiuvante con trastuzumab(25). Tale dato risulta limitato dall’esiguità del campione (75 casi, 33 trattati con chemioterapia di cui 31 in associazione al trastuzumab) e dalla contemporanea introduzione della chemioterapia e del trastuzumab. Il trastuzumab viene generalmente ben tollerato sebbene si associ ad un potenziale rischio di cardiotossicità. La cardiotossicità può essere influenzata sia dalla modalità di somministrazione rispetto alla chemioterapia (ad es. sequenziale vs concomitante) che dal tipo di chemioterapia utilizzata. In studi clinici di terapia adiuvante gli eventi di scompenso cardiaco congestizio di classe III e IV e i decessi per cause cardiache varia da 0% a 4,1%(20-23). Un confronto diretto tra i diversi studi clinici è difficile in rapporto alla diversa de-
finizione di evento cardiaco e il diverso follow-up. Sembrerebbe comunque che il trastuzumab possa essere maggiormente cardiotossico quando somministrato in associazione con antracicline. I potenziali effetti tossici di schemi a base di antracicline, taxani e trastuzumab per un anno, valutati nell’ambito dei principali studi clinici e ritenuti di riferimento nella terapia adiuvante del tumore HER2 positivo, hanno indotto i ricercatori a testare regimi meno tossici e/o di più breve durata su una popolazione target comprensiva dello stadio I. I principali studi attualmente in corso volti a valutare in setting adiuvante schedule di chemioterapia caratterizzate da una minor tossicità attesa e/o dalla somministrazione di trastuzumab per una durata inferiore a 12 mesi sono riportati in Tabella 2. In una review pubblicata da Banerjee e Smith nel 2010 gli autori suggeriscono alcuni possibili approcci che, parallelamente agli studi prospettici randomizzati, potrebbero contribuire alla definizione del trattamento più appropriato per questo sottogruppo di pazienti. In particolare ipotizzano la creazione di database che raccolgano prospetticamente i dati relativi alla gestione dei tumori < 1 cm per una successiva analisi retrospettiva dell’outcome associato ad ogni trattamento. Viene inoltre enfatizzata l’importanza di studi volti ad una più accurata stratificazione del rischio di recidiva nell’ambito di questo sottogruppo di pazienti(26). Ad oggi, sulla base delle evidenze attualmente disponibili e in attesa di ulteriori dati derivanti dagli studi in corso, l’accurata valutazione del rischio cardiologico nel singolo paziente e la scelta di regimi chemioterapici che riducano le probabilità di tossicità cardiaca sono fondamentali nella definizione del programma terapeutico, a maggior ragione nel caso di tumori piccoli e N0, per i quali è mandatoria l’attenta considerazione di rischi e benefici attesi.
3. La malattia triplo-negativa Il tumore mammario triplo negativo (TNBC) è definito dalla mancanza di espressione con metodica immunoistoN. 64 - 2012
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chimica sia dei recettori ormonali che di HER2 e rappresenta il 15% di tutti i tumori della mammella. Recenti evidenze indicano che il TNBC è una patologia eterogenea con caratteristiche cliniche, patologiche, genetiche e conseguentemente prognostiche molto diversificate(27). Nell’ambito dei tumori triplo negativi è possibile distinguere specifici sottotipi istologici caratterizzati da un buon outcome, come ad esempio tumore midollare, carcinoma apocrino a basso grado, carcinoma adenoideo-cistico, carcinoma metaplastico a basso grado, carcinoma secretorio(28). Questi sottotipi vengono normalmente esclusi quando si parla del ruolo della terapia adiuvante nei tumori di dimensione <1 cm. L’istotipo più comune tra i TNBC è rappresentato dal carcinoma duttale infiltrante che si caratterizza generalmente per una cattiva prognosi. La chemioterapia rappresenta la sola opzione di terapia adiuvante sistemica nei tumori triplo negativi che sono globalmente considerati altamente chemio sensibili. Studi di terapia neoadiuvante hanno mostrato che l’ottenimento di una risposta patologica completa (pCR) in pazienti con tumori TNBC era associato ad una prognosi favorevole sovrapponibile a quella dei tumori non triplo negativi. In contrasto, i pazienti con malattia triplo negativa che non ottenevano una pCR presentavo una prognosi molto più sfavorevole rispetto alla controparte non triplo negativa(29). Nonostante la possibilità di eseguire indagini molecolari sofisticate, come ad esempio la determinazione del genomic grade index (29), ad oggi nella pratica clinica non disponiamo di elementi che ci possano aiutare ad identificare il sottogruppo di TNBC “altamente chemio-responsivo”. Infatti esiste una quota di pazienti con malattia triplo negativa scarsamente sensibile alla chemioterapia pur in presenza di un elevato genomic grade index. (29). Non esistono in letteratura studi che hanno direttamente valutato la prognosi di tumori triplo negativi in stadio pT1a-bN0. Nell’analisi condotta all’MD Anderson per valutare l’outco6
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me di pazienti HER2 positive con pT <1 cm, si ricava che nel sottogruppo triplo negativo (n= 125) la sopravvivenza a 5 anni libera da recidiva a distanza è del 95.6%, mentre nella popolazione HER2 positiva e RO positiva era rispettivamente del 86.4 e 97.5% (14). Un rischio di recidiva a distanza a 5 anni del 4.5% nella popolazione triplo negativa potrebbe essere sottostimato forse da un effetto “diluente” di istologie favorevoli (solo il 76% della popolazione studiata era rappresentato da carcinomi duttali infiltranti)(14). Esiste una differenza tra pT1a e pT1b? Kaplan e colleghi (SABCS 2007) hanno valutato l’outcome di 91 pazienti affetti da carcinoma mammario triplo negativo dei quali 70% pretrattati con chemioterapia. Ad un follow-up mediano di 4.6 anni i tassi di recidiva erano rispettivamente 0% nei pT1a (n=5), 15.4% nei pT1b (n=13) e 9.6% in tumori pT1c (n=73)(30).
Linee guida e conclusioni In Tabella 3 sono sintetizzate le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (2011) e dell’associazione Nazionale di Oncologia Medica (2009) nonchè le raccomandazioni di St Gallen (2009) per la gestione della paziente affetta da un tumore mammario in stadio pT1a-bN0M0. Da queste linee guida emerge che un trattamento ormonale adiuvante viene considerato in tutte le pazienti affette da neoplasia mammaria ER+ anche se l’astensione dal trattamento viene considerata un’opzione per i tumori di dimensione ≤ 5mm. Tale opzione risulta a nostro avviso particolarmente applicabile a pazienti che presentano una limitata aspettativa di vita o che non desiderano gli effetti collaterali correlabili al trattamento. Per quanto riguarda le neoplasie HER2 positive un trattamento con chemioterapia più trastuzumab viene considerato nelle neoplasie di diametro >5mm. Nell’ultima Consensus Conference di St Gallen del 2011 è stato dedicato ampio spazio alle problematiche ancora dibattute in merito al trattamento adiuvante della malattia HER2 positiva. Nel-
FORUM Autore/ Popolazione analizzata
zumab pazienti operate per lesione stadio pT1aN0. Dal momento che le uniche evidenOverall DDFS 88% ze che supportino l’imDDFS -HER2 pos 72% (95%CI 60-85) piego di trastuzumab in -HER2 neg 88% (95% CI 85-92) associazione all’ormo-p<0.0001 noterapia derivano dal Analisi multivariata per DDFS setting metastatico, il HER2 pos HR 2.56 (95%CI 1.05-6.23, panel si è un dimostrato p=0.04) sfavorevole alla sommiOverall DRFS 96% nistrazione di trastuzuDDFS a 9 anni -HER2 pos 86% (95% CI 77-92) mab adiuvante senza -HER2 neg 97% (95% CI 95-98) chemioterapia, fatta (p<0,0001) eccezione per le circoAnalisi multivariata per DDFS stanze in cui quest’ulHER2+HR 5.3 (95% CI 2,3-12,62) tima risulti controindi(p<0,001) cata(28). DFS a 5 anni OR pos -HER2 pos 92% (95%CI 86-99) Per quanto riguarda la -HER2 neg 99% (95% CI 96-100) malattia triplo negatiDFS a 5 anni OR neg va una chemioterapia -HER2 pos 91% (95% CI 84-99) -HER2 neg 92% (95% CI 84-100) adiuvante viene considerata un opzione nei DFRS a 10 anni HER2 pos 78% tumori pT1bN0. SotHER2 neg 86% tolineiamo ancora una p=0.095 volta, come anche speER pos cificato nel Consensus HER2 pos 87% di St Gallen, che tumori HER2 neg 87% ER neg triplo negativi ad istoloHER2 pos 73% (95% CI 61-82) gia favorevole non deHER2 neg 84% (95% CI 78-88) vono essere considerati Recidiva HER2 pos in questa valutazione. HR 8.99 (95% CI 3-27, p=0.000) La decisione in merito ad un trattamento DFS a 5 anni adiuvante nei tumori T1a-b 90.5%,T1c 89.5% HER2 positivi e triplo negativi inferiori al centimetro richiede l’ DRFS accurata valutazione di sottogruppo HER2 pos (definito come HER2 rischi associati alla tepos e OR neg) rapia e benefici attesi, HR 5.7 (95%CI 1.04-31.5, p=0.045) la personalizzazione del DRFS a 5 anni programma terapeutico sottogruppo HER2 pos (definito come HER2 a favore delle opzioni pos OR pos/neg) HR 4.66 (95% CI 2.47-8.8, p<0.0001 meno tossiche (tossicità a lungo termine) e il coinvolgimento del paziente nel processo decisionale. Tabella1. Studi che hanno valutato l’impatto dello status di HER2 sulla sopravvivenza di pazienti con diagnosi di tumore mammario
T1N0M0 HER2+/N
T1abN0M0 HER2+ N(%)
Revisione Centralizzata HER2/Metodo
Follow-up Risultati mediano (anni)
T1a-c 852
65 (8%)
Si IHC CISH
9.5
Gonzalez-Angulo T1a, b MD Anderson 965 Cancer Center
98 (10%)
Si IHC FISH
6.2
Curigliano European Institute of Oncology
T1a, b 2130
150 (7%)
Si IHC FISH
4.5
T1a-c Chia Canadian cancer 1248 Registry
117 (9%)
Si IHC FISH
12.4
Tovey Glasgow Royal Infirmary
16 (7%)
Si IHC FISH
6.5
T1a-c Black MA Gen Hosp & 134 Dana Farber Cancer Institute
134
No
5
Park Korean Breast Cancer registry
T1a,b 370
31 (8%)
Si IHC FISH
5
Rakkhit MD Anderson Cancer Center
T1a, b 1369
31 (8%)
Si IHC FISH
6.2
Joensuu Finish cancer Registry
T1a-c 230
lo specifico dei tumori <1 cm la maggioranza degli esperti si è espressa favore di un trattamento con trastuzumab in caso di lesione primitiva compresa tra 6 e 10 mm. Al contrario il 60% di essi ha escluso l’indicazione a trattare con trastu-
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FORUM
trastuzumab per una durata <12 mesi. TXL: taxolo; D: docetaxel; CEF: ciclofosfamide, 5fluorouracile, epirubicina; G: grado; OR: recettori ormonali; sett: settimane; T: tumore primario; N: status linfonodale.
stadio pT1N0M0 (Modificato da Oakman C et al 31) Tabella 2. Studi clinici condotti in setting adiuvante anche nella sottopopolazione di pazienti in stadio I con la finalità di testare schemi chemioterapici meno tossici e/o sommistrazioni di Titolo ufficiale
8
A Phase II Trial of Adjuvant Paclitaxel and Trastuzumab for Node-Negative HER2-Positive Breast Cancer32
The Synergism Or Long Duration (SOLD) Study A randomised Phase III Study comparing trastuzumab plus docetaxel followed by 5-FU, Epirubicin, and cyclophosphamide to the same regimen followed by singleagent trastuzumab as adjuvant Treatment for Early Breast Cancer33
SHORT-HER: multicentric randomised phase III trial of 2 different adjuvant chemotherapy regimens plus 3 vs 12 months of trastuzumab in HER2 positive breast cancer patients34
Protocol of Herceptin Adjuvant With Reduced exposure, a Randomised Comparison of 6 months vs 12 Months in Al Women Receiving Adjuvant Herceptin (PHARE)35
PERSEPHONE: Duration of Trastuzumab With chemotherapy in women with Early Stage Breast cancer: Six months Versus twelve36
Fase
2
3
3
3
3
Trattamento
TXL+trastuzumab
D q21 x 3 cicli + trastuzumab (9 sett) → CEF x 3 cicli vs D q21 x 3 cicli+ trastuzumab (9 sett.)+ → CEF x 3 cicli → trastuzumab q21 x 14 cicli
Braccio A AC/EC x 4 cicli → TXL/D + trastuzumab x 4 cicli q21 → trastuzumab x 14 cicli q21 vs Braccio B Dq21 x 3 cicli+ trastuzumab q7 x 9 cicli → FEC x 3 cicli
≥ 4 cicli di chemioterapia adiuvante
Chemioterapia secondo lo schema adottato nel singolo centro
Durata del Trastuzumab 52 sett
51 sett Vs 9 sett
12 mesi Vs 3 mesi
12 mesi Vs 6 mesi
12 mesi Vs 6 mesi
Eligibilità
T<3 cm N0
T>5 mm e G>1 o N+
N+ o N- e ≥ 1 di: T>2 cm G3 Invasione linfovascolare Età ≤ 35 OR <10%
≥ 10 mm
Pazienti candidate ad un trattamento neoadiuvante e adiuvante T e N: qualsiasi
Stato
Completato
Reclutamento in corso
Reclutamento in corso
Completato
Reclutamento in corso
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FORUM Tabella 3. Linee guida a confronto NCCN 2011
ER+
ER-
AIOM 2009
pT1a
pT1b
HER2-
Considerare HT
HT±CT
NT=opzione+
Considerare HT
HER2+
Considerare HT
HT±CT+T
Decisione caso per caso°
Decisone caso per caso**
HER2-
NT=opzione
Considerare CT
NT=opzione
Considerare CT
HER2+
NT=opzione
Considerare CT+T
NT=opzione
Considerare CT±T
NT: no terapia adiuvante; CT, chemioterapia; T: trastuzumab; HT: ormonoterapia + : in assenza di altri fattori di rischio ° : in base ad altri fattori di rischio ** ST Gallen 2011: la maggioranza del Panel era disponibile a considerare chemioterapia adiuvante + trastuzumab nei casi pT1bN0
Bibliografia 1 Rosen PP, Groshen S, Kinne DW, Norton L. J Factors influencing prognosis in node-negative breast carcinoma: analysis of 767 T1N0M0/T2N0M0 patients with longterm follow-up. J Clin Oncol. 1993; 11: 2090-100. 2 Joensuu H, Isola J, Lundin M et al Amplification of erbB2 and erbB2 expression are superior to estrogen receptor status as risk factors for distant recurrence in pT1N0M0 breast cancer: a nationwide population-based study. J Clin Cancer Res. 2003; 9: 923-30. 3 Chia SK, Speers CH, Bryce CJ et al Ten-year outcomes in a population-based cohort of node-negative, lymphatic, and vascular invasion-negative early breast cancers without adjuvant systemic therapies. J Clin Oncol. 2004; 22: 1630-7. 4 Leitner SP, Swern AS, Weinberger D et al Predictors of recurrence for patients with small (one centimeter or less) localized breast cancer (T1a,b N0 M0). Cancer. 1995; 76: 2266-74. 5 Colleoni M, Rotmensz N, Peruzzotti G et al. Minimal and small size invasive breast cancer with no axillary lymph node involvement: the need for tailored adjuvant therapies. Ann Oncol. 2004; 15: 1633-9. 6 Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EBCTCG), Davies C, Godwin J, Gray R, Clarke M, Cutter D, Darby S, McGale P, Pan HC, Taylor C, Wang YC,
pT1a
St Gallen 2009 pT1b
pT1a
NT=opzione
pT1b
Considerare CT
Decisone caso per caso**
Dowsett M, Ingle J, Peto R. Relevance of breast cancer hormone receptors and other factors to the efficacy of adjuvant tamoxifen: patient-level meta-analysis of randomised trials. Lancet. 2011; 378: 771-84. 7 Fisher B, Bryant J, Dignam JJ et al Tamoxifen, radiation therapy, or both for prevention of ipsilateral breast tumor recurrence after lumpectomy in women with invasive breast cancers of one centimeter or less. J Clin Oncol. 2002; 20: 4141-9. 8 Christiansen P, Bjerre K, Ejlertsen B et al; on behalf of the Danish Breast Cancer Cooperative Group. Mortality Rates Among Early-Stage Hormone Receptor-Positive Breast Cancer Patients: A Population-Based Cohort Study in Denmark. J Natl Cancer Inst. 2011; 103: 13631372. 9 Sørlie T, Perou CM, Tibshirani R et al Gene expression patterns of breast carcinomas distinguish tumor subclasses with clinical implications. Proc Natl Acad Sci U S A. 2001; 98: 10869-74. 10 Schnitt SJ Classification and prognosis of invasive breast cancer: from morphology to molecular taxonomy. Mod Pathol. 2010; 23 Suppl 2:S60-4. 11 Cheang MC, Chia SK, Voduc D et al Ki67 index, HER2 status, and prognosis of patients with luminal B breast cancer. J Natl Cancer Inst. 2009; 101: 736-50 12 Slamon DJ, Clark GM, Wong SG et al. Human breast cancer: correlation of relapse and survival with amplification of the HER-2/neu oncogene. Science. 1987; 235: 177-82. 13 Rakkhit R, Broglio K, Pentinger F et al Significant increased recurrence rates among beast cancer patients with HER2-positive, T1a, bB0M0 tumours. Cancer Res, 2009; 69: abstract 701. 14 Gonzalez-Angulo AM, Litton JK, Broglio KR et al High risk of recurrence for patients with breast cancer N. 64 - 2012
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FORUM
who have human epidermal growth factor receptor 2-positive, node-negative tumors 1 cm or smaller. J Clin Oncol. 2009; 27:5700-6. 15 Curigliano G, Viale G, Bagnardi V et al Clinical relevance of HER2 overexpression/amplification in patients with small tumor size and node-negative breast cancer. J Clin Oncol. 2009; 27: 5693-9. 16 Chia S, Norris B, Speers C et al Human epidermal growth factor receptor 2 overexpression as a prognostic factor in a large tissue microarray series of node-negative breast cancers. J Clin Oncol. 2008 ; 26: 5697-704. 17 Tovey SM, Brown S, Doughty JC et al Poor survival outcomes in HER2-positive breast cancer patients with low-grade, node-negative tumours. Br J Cancer. 2009; 100: 680-3. 18 Black D, Younger J Martei Y et al Recurrence risk in T1a-b, node negative, HER2 positive breast cancer Breast Cancer Res Treat 2006; 100: abstract 2037. 19 Park YH, Kim ST, Cho EY et al A risk stratification by hormonal receptors (ER, PgR) and HER-2 status in small (< or = 1 cm) invasive breast cancer: who might be possible candidates for adjuvant treatment? Breast Cancer Res Treat. 2010 ; 119: 653-61. 20 Piccart-Gebhart MJ, Procter M, Leyland-Jones B et al Trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-positive breast cancer. N Engl J Med. 2005 20; 353: 165972. 21 Slamon D, Eiermann W, Robert N et al Adjuvant trastuzumab in HER2-positive breast cancer. N Engl J Med. 2011; 365: 1273-83 22 Romond EH, Perez EA, Bryant J et al Trastuzumab plus adjuvant chemotherapy for operable HER2-positive breast cancer. N Engl J Med. 2005; 353: 1673-84. 23 Joensuu H, Bono P, Kataja V et al Fluorouracil, epirubicin, and cyclophosphamide with either docetaxel or vinorelbine, with or without trastuzumab, as adjuvant treatments of breast cancer: final results of the FinHer 10
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Trial. J Clin Oncol; 27: 5685-92. Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EBCTCG). Effects of chemotherapy and hormonal therapy for early breast cancer on recurrence and 15-year survival: an overview of the randomised trials. Lancet, 2005; 365: 1687-717. 25 Rodrigues MJ, Wasseemann J, Albiges-Sauvin L, et al Treatment of node-negative infra-centimetric HER2+ invasive breast carcinomas: A joint AERIO/REMAGUS study. J Clin Oncol 27: 10s, 2009 (abstr 517). 26 Banerjee S, Smith IE. Management of small HER2positive breast cancers. Lancet Oncol. 2010 Dec;11: 1193-9. 27 Lehmann BD, Bauer JA, Chen X et al Identification of human triple-negative breast cancer subtypes and preclinical models for selection oftargeted therapies. J clin investigation, 2011; 121: 2750-67 28 Yerushalmi R, Hayes MM, Gelmon KA Breast carcinoma-rare types: review of the literature. Ann Oncol. 2009; 20:1763-70 29 Liedtke C, Mazouni C, Hess KR et al. Response to neoadjuvant theraphy and long-term survival in patients with triple negative breast cancer. J Clin Oncol, 2008; 26: 1275-81 30 Kaplan HG, Malmgren JA, Atwood MK: T1N0 triple negative breast cancer: adjuvant chemotherapy treatment and risk of recurrence. Breast Cancer Res Treat, 2007; 106: S149 31 Oakman C, Sapino A, Marchiò C et al Chemotherapy with or without trastuzumab. Ann Oncol, 2010; 21 Suppl 7: vii112-9 32 ClinicalTrials.gov identifier: NCT00542451 33 ClinicalTrials.gov identifier: NCT00593697 34 ClinicalTrials.gov identifier: NCT00629278 35 ClinicalTrials.gov identifier: NCT00381901 36 ClinicalTrials.gov identifier: NCT0071214 24
Forum Il parere di Enrico Cortesi, Antonella Palazzo, Emanuela Risi Unità di Oncologia Medica - Dipartimento di Scienze Radiologiche Oncologiche ed Anatomo-Patologiche - Policlinico Umberto I - Sapienza Università di Roma
Quale è la opinione del vostro team in merito al trattamento con chemioterapia +/- trastuzumab nei casi inferiori a 1 cm HER2 positivi o tripli negativi? egli ultimi dieci anni è stato dimostrato come il tumore mammario sia una malattia dal comportamento eterogeneo che riflette i vari profili biologici intriseci al tumore stesso. Mediante studi di “gene profile” sono stati individuati almeno quattro sottotipi molecolari ai quali grossolanamente, corrispondono caratteristiche identificabili all’esame istologico, attraverso l’analisi dei recettori estro-progestinici (ER e PgR), della proteina oncogenica HER2 (human epidermal growth factor receptor 2) e dell’indice proliferativo cellulare (Ki67). Ad oggi, per un corretto approccio diagnostico e terapeutico del tumore al seno, è pertanto necessario conoscere, non solo tutte le informazioni clinico patologiche classiche, quali età, grading istologico (G), dimensioni tumorali e coinvolgimento linfonodale, ma soprattutto la sua biologia. Un tumore mammario positivo per ER e/o PgR ha generalmente una prognosi migliore rispetto a quello negativo, grazie alla possibilità di controllare la malattia mediante la deprivazione ormonale. Per contro in assenza di target, come nel caso dei tumori triplo negativi (ER e PgR e HER2 negativi), si osserva una maggior sensibilità alla chemioterapia, pur rappresentando una delle situazioni a più alto rischio di recidiva. Anche i tumori HER2 positivi sono a prognosi peggiore. Questo oncogene è, difatti, coinvolto nei segnali di proliferazione, motilità e invasività cellulare ed è iperespresso in circa il 25% dei tumori mam-
N
mari ed in meno del 10% di quelli di piccole dimensioni. Il trastuzumab, un anticorpo monoclonale anti-HER2, ha, tuttavia, drammaticamente migliorato la storia naturale di questa malattia, sia nel trattamento metastatico che in quello precauzionale o adiuvante. Secondo le più recenti linee guida internazionali il vantaggio ottenuto con l’aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia adiuvante è tale da indicarla nei casi di tumori mammari con dimensioni superiori al centimetro. Ad oggi, infatti, non esistono studi clinici disegnati per i tumori HER2 positivi o triplo negativi di piccole dimensioni (< 1 cm), anche se è stato ampiamente dimostrato il loro maggior rischio di recidiva. Le attuali conoscenze sulla biologia del tumore mammario rappresentano la base dei successi ottenuti con le più moderne strategie terapeutiche e pertanto, anche se ancora nell’ ambito di forte controversia, crediamo che di fronte a caratteristiche di aggressività biologica, quali triplo negatività o iperespressione di HER2, la scelta di una chemioterapia +/- trastuzumab non debba tener conto delle sole dimensioni tumorali. L’età premenopausale, la presenza di familiarità per patologia tumorale mammaria, ovarica o endometriale, così come la storia della malattia, un alto G o Ki67, sono informazioni aggiuntive che ci aiutano nella proposta di una chemioterapia precauzionale per tumori “aggressivi” anche se di piccole dimensioni. Ulteriore dibattito vi è sul tipo e durata della chemioterapia da proporre in questi casi. Molti, infatti, considerano opzionale una più breve durata del trattamento. In assenza di evidenze scientifiche, al momento, non riteniamo che la piccola dimensione debba condurre alla conclusione di poter abbreviare la durata di una chemioterapia e pertanto, la nostra tendenza è quella di una terapia di durata standard preferibilmente con una combinazione di farmaci sequenziali che deve essere sempre scelta sulla base delle condizioni generali e delle comorbidità della paziente.
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FORUM Il parere di
Maria Piera Mano Dipartimento Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino - S.C.Epidemiologia dei Tumori 2 CPO Piemonte, Azienda Ospedaliero Universitaria San Giovanni Battista di Torino.
Nei casi di tumore inferiore a 1 cm, alla luce anche della revisione della letteratura effettuata nel forum della dott. Moretti et al., si può adottare un protocollo standard di trattamento sistemico o la insufficiente documentazione disponibile in letteratura suggerisce una discussione caso per caso, limitando il trattamento a casi molto selezionati?
A
mio parere, oggi adottare un protocollo standard è molto difficile poiché i fattori che possono modulare il tipo di terapia sono molti ed in continuo aumento: è dunque importante che le pazienti vengano trattate in centri qualificati e da specialisti con adeguato livello di formazione. La categoria trattata nel Forum (tumori piccoli con linfonodi negativi), in particolare, non si può considerare oggetto di trattamento sistemico come protocollo standard con i dati oggi disponibili. Oggi grazie ai programmi di screening lesioni di queste dimensioni sono frequenti e il rischio di sovratrattare è dunque molto elevato: globalmente questa categoria ha un rischio di ripresa di malattia molto basso (8% a 10 anni) ed è sovrapponibile a quello della popolazione generale in alcuni sottogruppi (es: nei casi unifocali con recettori positivi ed età superiore a 60 anni). Per contro, come citato nel Forum, la letteratura riporta percentuali di mortalità sui possibili danni iatrogeni da trattamento sistemico con trastuzumab (che è preceduto inevitabilmente da chemioterapia), che rischiano di eguagliare o superare in termini di mortalità i benefici; la stessa ormonoterapia spesso considerata poco tossica rispetto alla chemioterapia, ha in realtà un impatto importante sulla qualità di vita a causa degli effetti sulla sessualità, sui danni metabolici e sull’osteoporosi, etc. Il rischio oggi è quello di trattare una lesione in base alla capacità che ha di rispondere piuttosto che sulla base del rischio
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di ricaduta: ad esempio un tumore che esprime Herb 2 rischia di essere trattato con trastuzumab e quindi con chemioterapia anche se unifocale, senza in situ associato, e di dimensioni inferiori ai 5 mm. A questo proposito le linee guida fanno una distinzione tra pT1a e pT1b: nessuna linea guida, nazionale o internazionale, propone un trattamento in lesioni di dimensioni inferiori a 5 mm (mantenendo una riserva su altri fattori di rischio), mentre nei tumori di dimensioni superiore ai 5 mm pur non raccomandando il trattamento adiuvante in modo imperativo sembrano essere a favore di un trattamento adiuvante, almeno, nelle lesioni HER2+ per il rischio prognostico negativo maggiore. In realtà le dimensioni sono relativamente importanti quando si parla di tumori a linfonodi negativi sotto il cm.; ciò che bisogna prendere in considerazione è la estesa componente di in situ di alto grado associata che sottintende a lesioni ben più estese e pericolose. Attualmente, come citano gli autori del forum, non esistono trial randomizzati che ne confermino l’efficacia, ma solo evidenze indirette, retrospettive e su numeri limitati. Non dimentichiamo che ci sono anche problemi relativi all’accuratezza e riproducibilità nella determinazione della espressione dell’HER2. Se sono HER 2 - e Rec negativi, anche se non esistono studi che abbiano valutato il rischio prognostico dei triplo negativi di piccole dimensioni, non viene esclusa la possibilità di trattamento con CT. In conclusione, credo che prima di introdurre il trattamento sistemico in questo gruppo di pazienti, occorra condurre trial randomizzati; anche se, in ultima analisi, è la discussione del singolo caso condotta in modo multidisciplinare e con il parere della paziente a determinare le decisione finale. Bisogna anche informare la paziente che, quando c’è globalmente una buona prognosi, è alto il rischio di essere trattata inutilmente: infatti nel 90% dei casi non ricadrà anche senza trattamento adiuvante sistemico, e nel 2% dei casi potrà comunque ricadere.
FORUM Il parere di all’esame successivo. In altre parole possiamo pensare che i casi sovra diagnosticati siano più frequenti fra i tumori piccoli identificati al primo round in donne relativamente anziane. Il dato del Danish Breast Cancer Cooperative Group (1) in cui non si osserva un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale in donne di età >= 60 anni e con neoplasia < 1 cm ben differenziata potrebbe trovare una parte di spiegazione nella sovra-diagnosi. Comunque il problema della sovra-diagnosi fa risaltare ancora di più la necessità di evitare sovra-trattamento.
Marco Zappa, Adele Caldarella SC Epidemiologia Clinica e Descrittiva, ISPO, Firenze
Le evidenze disponibili sulla sovra-diagnosi suggeriscono che questo fenomeno è legato in particolare alle neoplasie diagnosticate sotto a 1 cm, o può essere ugualmente presente anche per forme più estese?
P
er rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto separare il concetto di sovra-diagnosi da quello di sovratrattamento. Per sovra-diagnosi si intende la identificazione tramite screening o esame spontaneo di prevenzione (cioè effettuato in una donna asintomatica) di un carcinoma che, senza l’effettuazione di quell’esame, non sarebbe mai comparso clinicamente nella vita di quella donna. E’ evidente che ogni trattamento effettuato su una lesione sovra-diagnosticata è un sovra-trattamento. Per altro un sovra-trattamento può avvenire anche per lesioni non sovra-diagnosticate. La sovra-diagnosi deriva da due elementi: a) l’aspettativa di vita di quella persona: un esame di anticipazione diagnostica fa comparire un tumore un certo numero di anni prima della sua comparsa clinica. Se il numero di anni è superiore a quanto sarebbe vissuta quella stessa persona è evidente che il caso è sovra-diagnosticato. Da ciò deriva che la sovra-diagnosi è più probabile che avvenga in persone più anziane. b) l’esistenza di forme tumorali a lentissima crescita (qualcuno ipotizza addirittura l’esistenza di forme tumorali regredibili). La sovra-diagnosi è stimabile a livello di popolazione, ma non è, al momento attuale, individuabile a livello del singolo individuo. In altre parole sappiamo che fra 1 o 2 tumori ogni 10 individuati in fase asintomatica sono sovra-diagnosticati. Non sappiamo dire quali siano. Possiamo però ipotizzare che i tumori sovra-diagnosticati abbiano le caratteristiche che rendono meno probabile il manifestarsi del tumore stesso sotto forma sintomatica: ovverosia la posizione ma soprattutto le dimensioni e la velocità di crescita. Un tumore che cresce velocemente con molta probabilità sarebbe comparso clinicamente. La velocità di crescita non è stimabile al primo esame a cui si sottopone la donna ma può esserlo
Quali considerazioni derivano dalla lettura della revisione elaborata dalla dr.ssa Moretti et al., alla luce del rischio di sovra-trattamento? Per valutare l’utilità o meno di un trattamento occorre in primo luogo identificare se esista un eccesso di mortalità nella popolazione non trattata rispetto alla popolazione generale. Nello studio citato(1) le donne con età superiore a 60 anni e piccoli tumori ormonoresponsivi non presentano, in assenza di trattamento adiuvante, un aumento del rischio di mortalità; l’analisi esamina la mortalità per ogni causa, così da considerare non solo quella causa specifica ma anche la mortalità per cause competitive. Questo dato è importante per considerare anche eventuali effetti terapeutici indesiderati, soprattutto quando si valuti l’efficacia terapeutica di nuovi trattamenti in patologie ad alta sopravvivenza. In tumori a buona prognosi è da considerare l’efficacia terapeutica in termini di costi/benefici: riscontrare infatti che in un tumore con sopravvivenza a 10 anni pari al 95% un nuovo trattamento comporta un miglioramento pari al 20%, significa in realtà che in una paziente la prognosi migliora, in 4 non si assiste ad aumento della sopravvivenza e 95, trattate pur avendo già un’alta sopravvivenza, subiscono presumibilmente effetti terapeutici indesiderati. Studi prospettici su ampie casistiche, data la bassa mortalità delle piccole neoplasie della mammella, sono necessari per validare l’utilizzo di terapie adiuvanti in questi tumori. L’individuazione di fattori potenzialmente utili nell’identificare i pazienti con tumore piccolo ma prognosi sfavorevole potrebbe contribuire alla selezione dei casi in cui il vantaggio in termini di sopravvivenza generale risulti superiore alla tossicità terapeutica, ma al momento attuale rimane comunque non trascurabile, e da valutare al momento della decisione terapeutica, il rischio di sovratrattamento. 1) Christiansen P, Bjerre K, Ejlertsen B et al “Mortality rates among early-stage hormone receptor-positive breast cancer patients: a population-based cohort study in Denmark” JNCI 103, 1363-1372, 2011
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misura
per la prevenzione, la diagnosi, la terapia e la riabilitazione in Senologia
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OBIETTIVO SU
Quali sono le novità di San Gallen?
M.DONADIO, M.MISTRANGELO, AM. VANDONE, G. RITORTO SSCVD Oncologia Medica Senologica- Breast Unit - Ospedale S. Giovanni Battista, Torino
L
a 12a Breast Cancer Conference di San Gallen, ha riunito nel Marzo 2011 circa 4300 partecipanti provenienti da 96 paesi diversi, con faculties di tutto il mondo, a rappresentare le discipline rilevanti nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario. Dopo la presentazione dei risultati delle ricerche cliniche nell’ambito della cura del carcinoma mammario, un Panel di 51 esperti ha valutato una serie di domande per definire delle nuove raccomandazioni di trattamento alla luce delle più recenti evidenze scientifiche. Come nelle precedenti conferenze di San Gallen(1), il Panel di esperti ha garantito la valutazione delle prove scientifiche dando un parere anche in caso di evidenze ambigue o supportate da dati ancora insufficienti per poter esprimere un giudizio. Per la prima volta, è stata data un’esplicita definizione dei possibili conflitti di interesse riguardanti gli esperti del Panel. La discussione plenaria ha preso in considerazione tutti gli aspetti del trattamento del tumore mammario in fase iniziale, dalle indicazioni chirurgiche e radioterapiche, alla discussione delle indicazioni terapeutiche mediche in base ai diversi sottotipi tumorali, la cui definizione è stata l’elemento centrale della Consensus Conference 2011.
Terapie loco regionali: chirurgia e radioterapia In ambito di trattamento chirurgico loco-regionale, è stato dato ampio spazio di dibattito a due specifici argomenti: l’exeresi del solo linfonodo sentinella e le indicazioni alla dissezione ascellare. La presenza di cellule tumorali isolate o di metastasi fino a 2 mm (micrometastasi) in un singolo linfonodo sentinella, non sono stati considerati un’indicazione per procedere alla linfoadenectomia, indipendentemente dal tipo di interven-
to chirurgico mammario effettuato(2). Sulla base dei dati dello studio ACOSOGZ0011, è stata indicata la possibilità di omettere nella pratica clinica la dissezione ascellare anche in presenza di macrometastasi, ma solo in pazienti sottoposte a intervento conservativo seguito da radioterapia whole-breast e in pazienti con linfonodi clinicamente negativi oppure con 1-2 linfonodi sentinella positivi. La linfoadenectomia, in assenza di mirate sperimentazione cliniche, non dovrebbe essere omessa in pazienti sottoposte a mastectomia, in coloro che non riceveranno radioterapia, in pazienti con il coinvolgimento di più di due linfonodi sentinella ed in caso di pregressa terapia neoadiuvante(3). Dalla Consensus Conference 2011 è stata indicata la possibilità di diversificare il trattamento radioterapico adiuvante in esiti di chirurgia conservativa, in base alle caratteristiche di malattia e delle pazienti. Questa indicazione trova conferma nei dati relativi alla radioterapia intra-operatoria, che ha dimostrato risultati sovrapponibili a quelli della radioterapia whole-breast convenzionale(4). Inoltre, programmi di radioterapia accelerata (15/16 frazioni versus le 25 convenzionali), si sono dimostrati altrettanto adeguati in termini di controllo loco-regionale di malattia, sopravvivenza e tollerabilità, rispetto al trattamento convenzionale(5,6). Tecniche di Partial Breast Irradiation (PBI), sono considerate un’opzione accettabile, sia per efficacia che per tollerabilità, in casi selezionati quali le pazienti di età superiore ai 70 anni. Il loro uso ha invece ancora un ruolo controverso in presenza di estesa invasione vascolare e nelle pazienti precedentemente sottoposte a irradiazione a mantellina per pregresso linfoma, per le quali i rischi di un secondo tumore al di fuori del quadrante mammario trattato, sono notevoli. La radioterapia adiuvante dopo mastectomia, è fortemente indicata in pazienti con quattro o più linfonodi ascellari positivi ma è da segnalare che una parte non maggioritaria del N. 63 - 2011
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OBIETTIVO SU Panel di esperti la considera adeguata anche in pazienti di età inferiore ai 45 anni con 1-3 linfonodi positivi ed in pazienti con estesa invasione vascolare e 1-3 linfonodi positivi indipendentemente dall’età. La maggior parte degli esperti, ritiene infine che la radioterapia adiuvante completi il trattamento chirurgico conservativo dopo exeresi di un carcinoma duttale in situ (DCIS), ma considera accettabile la sua omissione in pazienti selezionate ovvero anziane, o con CDIS di basso grado e a basso rischio di recidiva.
Tabella 1. Definizioni surrogate degli intrinsic subtypes di carcinoma mammario St Gallen 2011. Intrinsic Subtype Definizione clinico-patologica Luminale A
ER e/o PgR positivo HER2 negativo Ki67 basso (< 14%)
Il cut-off per il ki67 è stato definito attraverso la comparazione di dati clinico patologici con la definizione di intrinsic subtype da PAM50. E’importante controllo locale di qualità della determinazione Ki67
Luminale B
Luminale B (HER2 negativo) ER e/o PgR positivo HER2 negativo Ki67 alto
In diversi panel genici, I geni indicativi di elevata proliferazione sono fattori indicativi di scarsa prognosi. Se non è disponibile la valutazione del Ki67, un’indicazione alternativa di proliferazione tumorale si può avere dal grado che può essere utilizzato per distinguere neoplasie “Luminali A’ e ‘Luminali B (HER2 negative)’
Luminale B (HER2 positivo) ER e/o PgR positivo HER2 overespresso o amplificato Ki67 indifferente
Possono essere indicate sia terapia ormonale che terapia anti-HER2
I sottotipi biologici Nella Consensus 2011 è stata confermata la necessità di considerare il carcinoma della mammella, non più come una singola patologia. Dallo studio degli specifici pattern di espressione genica sono stati identificati differenti sottotipi tumorali e nella pratica clinica, la loro individuazione è resa possibile dalla valutazione immunoistochimica dello stato recettoriale, dell’indice di proliferazione (Ki 67) e dello stato di HER2. I sottotipi definiti attraverso i criteri clinico-patologici sono simili, ma non identici ai sottotipi molecolari e ne rappresentano una conveniente approssimazione per la pratica clinica. (Tabella 1). La definizione dei sottotipi di malattia si basa quindi sull’esistenza di un elevato standard qualitativo anatomo-patologico, in accordo con le linee guida disponibili(2-3). Identificare i diversi sottotipi di tumore mammario, è fondamentale per il diverso rischio epidemiologico(7-8) e la differente prognosi(9-11), storia naturale e predittività di risposta ai trattamenti sistemici(12-16). Nella classificazione proposta, il Ki-67 è fondamentale nel discriminare tra i sottotipi ‘Luminali A’ e ‘Luminali B’ (HER2 negativi). Se il Ki-67 non è disponibile, il grading tumorale può essere utilizzato per distinguere le due patologie. I diversi sottotipi tumorali così individuati, guidano nelle scelte terapeutiche perché predittivi di risposta ai diversi trattamenti sistemici di cui oggi possiamo avvalerci(17-20). Il Panel di esperti sostiene che i marcatori clinico-patologici che hanno guidato le scelte terapeutiche fino ad oggi, possano continuare a svolgere un ruolo determinante nella decisione circa il miglior trattamento adiuvante, in assenza di metodiche di valutazione genica nella pratica clinica.
Terapie sistemiche Ormonoterapia in donne in pre-menopausa In questo setting di pazienti, il Panel 2011 ha confermato l’indicazione a Tamoxifene, da solo o in associazione con soppressione ovarica come standard terapeutico. In partico16
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Note
HERBB2
HER2 positivo (non luminale) HER2 over-espresso o amplificato ER e PgR negativi
Basal Like
Triplo negativo (duttale) ER e/o PgR negativi HER2 negativo
Esiste una sovrapposizione in circa l’80% dei casi tra sottotipo basale e triplo negative ma in quest’ultima categoria sono inclusi alcuni istotipi speciali come il carcinoma midollare tipico e l’adenoide cistico con un basso rischio di ricaduta a distanza. La valutazione di citocheratine basali sebbene abbia dimostrato di aiutare nella selezione delle neoplasie basal-like, è considerata attualmente non adeguatamente riproducibile per l’uso nella pratica clinica
OBIETTIVO SU lare la maggior parte degli esperti ha espresso la preferenza per l’utilizzo del solo Tamoxifene. Nelle pazienti con controindicazione a Tamoxifene, la sola soppressione ovarica è stata accettata come possibile trattamento così come la combinazione della soppressione ovarica con un inibitore dell’aromatasi(21).
Ormonoterapia in donne in post-menopausa Dopo revisione dei dati ad oggi disponibili, per il trattamento ormonale adiuvante della donna in post-menopausa, il Panel di esperti ha confermato l’indicazione all’uso degli inibitori dell’aromatasi (se non controindicati) ed in particolare in caso di linfonodi ascellari coinvolti. Circa il 50% degli esperti, ritiene inoltre, che pazienti selezionate potrebbero essere trattate con Tamoxifene da solo, e che in caso di intolleranza agli inibitori dell’aromatasi può essere indicato lo switch a Tamoxifene. E’ fondamentale per una corretta scelta terapeutica, la definizione di stato menopausale, basato sia su criteri clinici che biochimici. Ad oggi, la durata del trattamento ormonale adiuvante non dovrebbe superare i 5 anni con inibitore dell’aromatasi upfront, indipendentemente dallo stadio iniziale di malattia e dell’età della paziente alla diagnosi. Nei casi di tumore della mammella maschile, l’indicazione alla terapia ormonale adiuvante prevede l’utilizzo di Tamoxifene, considerando gli inibitori dell’aromatasi un trattamento opzionale nei pazienti in cui vi siano controindicazioni al Tamoxifene e la durata del trattamento endocrino è di 5 anni.
Chemioterapia adiuvante La scelta di eseguire un trattamento chemioterapico adiuvante deve essere effettuata considerando potenziali rischi e benefici per la singola paziente ed in virtù dei fattori predittivi di risposta per lo specifico caso clinico. Il Panel di esperti concorda che i fattori clinico-patologici a supporto dell’indicazione ad eseguire una chemioterapia adiuvante siano: l’alto grado istologico, l’elevata proliferazione cellulare (Ki 67), la ridotta espressione di recettori ormonali, la positività HER2, avere un fenotipo ‘triplo negativo’. In termini di estensione della malattia, la positività del linfonodo non è stata considerata di per sé una indicazione all’uso della chemioterapia, anche se una maggioranza forte l’avrebbe usata in caso più di tre linfonodi coinvolti. La maggioranza di esperti ha convenuto che Oncotype DX®(22) possa essere utilizzato ove disponibile, per predire il beneficio della chemioterapia nel gruppo di donne endocri-
no responsive. Incertezza rimane circa l’uso di altri panel genici e la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che i dati sul MammaPrint®(23) non siano ad oggi sufficientemente solidi per consigliarne l’utilizzo nella pratica clinica. La maggior parte degli esperti considera l’invasione linfovascolare come un fattore non sufficiente per consigliare l’aggiunta della chemioterapia(24). Circa il ruolo della chemioterapia adiuvante nei diversi sottotipi di carcinoma mammario (Tabella 2), vi è stato unanime consenso circa il minore beneficio del trattamento per i tumori ‘Luminal A’ indipendentemente dallo schema scelto. Ne deriva che in questo setting di pazienti si possa evitare il trattamento chemioterapico in assenza di evidenti fattori di rischio. Per la malattia ‘Luminal B’, il Panel di esperti ha ritenuto che tanto le antracicline quanto i taxani dovrebbero essere inclusi nel regime chemioterapico e che tale scelta dovrebbe essere preferita anche nella malattia ‘HER2 positiva’. Per la malattia ‘Triplo negativa’ con istotipo duttale, si conferma la scelta di un trattamento contenente antracicline e taxani e un agente alchilante (tipicamente ciclofosfamide) mentre i dati di letteratura ad oggi non supportano l’uso di cisplatino o carboplatino. Un’esigua maggioranza di esperti ha supportato l’uso di una chemioterapia dose-dense(25) in questo sottogruppo di pazienti mentre è stata prevalente l’indicazione a non utilizzare terapie anti-angiogeniche data l’assenza di dati solidi e sottolineando la necessità di ulteriori studi in questo particolare ambito. Trastuzumab Nel sottogruppo di pazienti HER2 positive lo standard terapeutico prevede l’aggiunta al trattamento chemioterapico adiuvante, della terapia con trastuzumab per un anno. La maggior parte degli esperti ha ritenuto indicata l’estensione di tale indicazione anche ai pazienti con malattia inferiore al centimetro (pT1b), ma non in caso di malattia pT1a pN0. Trastuzumab somministrato per un tempo inferiore all’anno(26) è stato considerato ad oggi un trattamento subottimale, essendo ancora in attesa dei risultati degli studi con schedula “SHORT” ma è un’opzione altrimenti accettabile in realtà socio-economiche in cui le risorse ne limitino il suo utilizzo per la durata considerata adeguata. In attesa dei dati dello studio HERA, il Panel non ha supportato l’indicazione a continuare la terapia adiuvante con trastuzumab oltre l’anno. Pur preferendo l’uso concomitante del trastuzumab alla chemioterapia, il suo utilizzo sequenziale è stato accettato in casi clinici selezionati, per lo più quelli a minor rischio di N. 64 - 2012
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OBIETTIVO SU ricaduta e come scelta in base alle condizioni della paziente. E’ stato a lungo discusso l’uso di trastuzumab senza chemioterapia o in associazione con la sola ormonoterapia, ma ad oggi, tale indicazione non è ritenuta accettabile in considerazione della mancanza di dati solidi. Può essere tuttavia presa in considerazione come opzione nei rari casi in cui non sia possibile effettuare la chemioterapia per rifiuto della paziente.
Setting neoadiuvante Il trattamento chemioterapico nel setting neoadiuvante è fondamentale nel facilitare una chirurgia conservativa(27) ed, il raggiungimento di una risposta patologica completa ha un impatto favorevole con beneficio in Overall Survival. La scelta della chemioterapia neoadiuvante deve quindi essere fatta sulla base dei fattori prognostici definiti all’immunoistochimica e comunemente valutati per definire i trattamenti adiuvanti: è sconsigliato l’uso in tumori con basso indice proliferativo o alta endocrino responsività per la scarsa probabilità di risposta. In questo sottogruppo di pazienti, il Pannel di esperti è risultato quasi unanime nel sostenere l’uso della terapia endocrina neoadiuvante in post-menopausa con un trattamento che dovrebbe essere continuato fino alla massima risposta ottenuta o per un minimo di 4-8 mesi.
Bifosfonati Il Panel di esperti non ha supportato l’uso dei Bifosfonati nel setting adiuvante, sia in premenopausa(21) che in postmenopausa(28).
Conclusioni La 12a Breast Consensus Conference di San Gallen ha confermato che non sia più possibile considerare il tumore della mammella come una singola malattia. I sottotipi possono essere definiti mediante test genetici(29-31) o utilizzando la classificazione immunoistochimica(32-35) e definiscono patologie intrinsecamente diverse per fattori di rischio epidemiologici(7,8), diversa storia naturale(9-11), e differente risposta alle terapie sistemiche e locali(12-16). Queste differenze implicano che i medici che gestiscono le pazienti affette da carcinoma mammario debbano sempre più valutare il singolo caso clinico per le specifiche caratteristiche biologiche e soppesare correttamente le evidenze scientifiche disponibili al fine di arrivare a consigli terapeutici appropriati ed individualizzati.
La bibliografia è consultabile sul sito di Attualità in Senologia www.senologia.it”.
Tabella 2. Raccomandazioni di trattamento sistemico per sottotipo secondo San Gallen 2011
Intrinsic Subtype
Terapia
Luminale A
Sola terapia endocrina
Note
Pochi casi richiedono chemioterapia (per esempio elevato numero di linfonodi o altri indicatori di richio) Uso e tipo di chemioterapia dipendono dal livello di endocrino sensibilità, rischio percepito e preferenze della paziente
Luminale B (HER2 negativo)
Terapia endocrina + chemioterapia
Luminale B (Her2 positivo)
Chemioterapia + Terapia anti HER2 + ormonoterapia
Non ci sono dati a supporto dell’omissione della chemioterapia in questo gruppo
HER2 positivo (non luminale)
Chemioterapia + terapia anti HER2
I pazienti a rischio molto basso pT1a N0 dovrebbero essere posti in sola osservazione senza trattamento adiuvante
Triple negative duttale
Chemioterapia
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OBIETTIVO SU
Metodiche emergenti mini-invasive nel trattamento termo-ablativo del carcinoma mammario in fase iniziale ed esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia con gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità ecoguidati (HIFU-USg)
PAOLO ARNONE(1), STEFANO ZURRIDA(1)(2) (1)
Divisione di Senologia,Istituto Europeo di Oncologia - Milano
(2)
Unità di Diagnostica e Terapia Chirurgica in Senologia - Facoltà di medicina Università degli Studi di Milano
N
el corso degli ultimi quattro decenni grazie allo sviluppo della diagnostica ed alla diffusione dei programmi di screening, che hanno permesso l’individuazione di tumori di piccole dimensioni, spesso non palpabili, si è assistito ad una continua e progressiva riduzione dell’aggressività chirurgica locale, chiaramente nel rispetto della radicalità oncologica, ma con un occhio di riguardo sempre maggiore nei confronti dell’integrità fisica della paziente ed in linea generale nei confronti di una migliore qualità della vita perioperatoria ed a distanza oltre che ai costi sociali di trattamenti e ricoveri lunghi ed onerosi. Sullo stimolo di tali obiettivi, affiancato parallelamente dall’evoluzione tecnologica di presidi medico-chirurgici sempre più miniaturizzati ed in genere meno invasivi, alcuni autori hanno iniziato esperienze cliniche speculative nell’utilizzo di tecnologie termo-ablative minimamente invasive o non invasive per il trattamento del carcinoma mammario, mutuandole da altre discipline oncologiche dove il controllo locale della malattia è stato dimostrato in diversi tipi di tumore. Tutte le tecniche di termo-ablazione si basano sull’erogazione di energia termica, calore o freddo, su un bersaglio ben definito (tessuto tumorale) causandone la necrosi. Tra le tecniche mininvasive di termo-ablazione percutanea mediante calore, troviamo l’ablazione con radiofrequenze (RFA), la termoablazione laser (LA) detta anche fotocoagulazione laser o laser terapia interstiziale (LITT) e l’ablazione con microonde (FMWA), mentre basata sull’utilizzo di sorgente criogenica è la criochirurgia. Discorso a parte va fatto nei confronti di una non recentissima metodica di termo-ablazione, basata anch’essa sull’utilizzo del calore, ma che per la sua assoluta non-invasività ed
alla possibilità di effettuare trattamenti conformazionali, e grazie all’avvento di strumenti di imaging sempre più sofisticati, ha portato ad un rinnovato interesse nei suoi confronti: gli ultrasuoni ad alta intensità focalizzati (HIFU). Tutte sono state e sono argomento di studio nel trattamento del carcinoma mammario in fase iniziale dimostrandosi procedure fattibili e sicure, rimanendo però al momento ad uno stadio di pura ricerca scientifica.
METODICHE MINI-INVASIVE Termoablazione mediante Radiofrequenza (RFA) Tra le metodiche di termoablazione quella mediante radiofrequenza è certamente la più studiata ed utilizzata in ambito clinico. La RFA si ottiene posizionando percutaneamente, sotto guida TAC, RMN, o ecografica, una sonda isolata, delle dimensioni di 14-17 gauge, dalla cui estremità fuoriescono fino a 10 piccoli elettrodi, che vengono infissi all’interno della lesione tumorale da trattare. Tali elettrodi, essendo parte di un circuito elettrico chiuso attraversato da una corrente alternata ad alta frequenza (460 - 480 kHz) e con potenze variabili da 200 a 250W, mettono in movimento gli ioni presenti nel tessuto interposto, i quali, nel tentativo di seguire i cicli di corrente che si alternano ad alta frequenza, cambiano continuamente direzione, causando il riscaldamento del tessuto circostante per attrito. Questo processo provoca la distruzione del tessuto attraverso la coagulazione termica e la denaturazione proteica cellulare in pochi minuti. Il danno termico si inizia ad ottenere a partire da circa 40°C e superati i 42.5°C il tempo di esposizione necessario per la morte delle cellule si riduce esponenzialmente. Le temperature generate dagli elettrodi devono essere superiori ai 50°C per garantire la necrosi cellulare potendo raggiungere anche i 100°C. Il trattamento può definirsi completato una volta che il tessuto tumorale abbia raggiunto una temperatura specifica, N. 64 - 2012
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OBIETTIVO SU monitorata in tempo reale da minuscoli termometri, dettetermocoppie, incorporate nelle punte degli elettrodi o quando l’impedenza dei tessuti, a causa dell’escara prodotta, ha raggiunto un livello tale in cui il riscaldamento, legato alla deposizione di energia elettrica, non è più incrementabile. Numerose sono state le esperienze cliniche con tale metodica a partire dalla fine gli anni 90 e per tutto il decennio appena trascorso. I primi studi, basati su casistiche disomogenee per criteri di arruolamento, presentavano un intervallo tra trattamento RFA e chirurgica eccessivamente ridotto tale da non consentire un giudizio definitivo circa la completezza della necrosi cellulare ottenuta, probabilmente ascrivibile a processi apoptosici che si sarebbero conclamati nelle giornate successive al trattamento stesso e per l’impossibilità di dare un giudizio sul risultato estetico ottenuto. Manenti e colleghi, nel 2009, diedero una prima risposta a tali quesiti pubblicando la loro esperienza nel trattamento di carcinomi mammari accertati istologicamente in fase pre-trattamento, con dimensioni ≤2cm, sottoponendo i 34 pazienti ad intervento chirurgico dopo un mese dal trattamento con RFA allo scopo di verificarne gli effetti. Il controllo RMN ad una settimana dal trattamento confermava nel 91% l’assenza di enhancement residuo, ed il risultato istologico post-chirurgico confermava, alla colorazione con ematossilina-eosina, un risultato di completezza nel trattamento nel 94% dei pazienti e del 97% all’analisi immunoistochimica con NADH-diaphorase. Valori decisamente interessanti venivano riportati anche per il risultato cosmetico ove risultava eccellente nel 82% dei pazienti nonostante in un caso fosse stata presente una ustione cutanea con iperpigmentazione della cute. Un passo successivo nella valutazione dell’efficacia della metodica si è avuto con Oura, nel 2007, in cui i pazienti trattati con RFA e seguiti, senza rimozione della lesione termoablata, con follow-up medio di 15 mesi, non hanno mostrato ripresa locale di malattia.
Termoablazione laser (LA) detta anche fotocoagulazione laser o laser terapia interstiziale (LITT) La termoterapia interstiziale laser (LITT) o percutanea (PLA), ideata a metà dello scorso secolo, si è giovata delle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni ed in particolare dall’introduzione di diodi generatori di luce laser più efficaci e miniaturizzati a partire dagli anni 90’. La LITT viene generalmente eseguita utilizzando radiazioni luminose con lunghezza d’onda del vicino infrarosso (da circa 700 - 2000 nm). In particolare quelli al neodimio ossia YAG-laser (ittrio-alluminio-Garnite, 1064 nm) sono considerati quelli con prestazioni migliori, in quanto con 20
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lunghezza d’onda più prossima a quella in cui l’acqua (intorno ai 1000nm) ha il suo massimo grado di assorbimento e quindi l’ottenimento di temperature estremamente elevate in pochi secondi. Da un punto di vista fisico i fotoni prodotti e direzionati verso l’obiettivo possono essere da esso assorbiti, dispersi o attraversarlo senza subire alterazioni e quindi effetti. Il fenomeno sul quale si basa la LITT è l’assorbimento dell’energia luminosa da parte dei tessuti che viene convertita in calore. Infatti, quando viene assorbita, l’energia luminosa fotonica è convertita in energia termica con conseguente innalzamento della temperatura all’interno del tessuto. Gli effetti sono simili alle altre metodiche di ablazione termica basate sugli effetti ingravescenti del calore. Il danno cellulare inizia al di sopra dei 45°C, con la denaturazione termica delle proteine cellulari e tra queste quella degli enzimi per poi diventare sempre più severo oltre i 60°C fino a quando, a temperature prossime ai 100°C o più, la vaporizzazione dell’acqua intracellulare causa la rottura della cellula, per frattura o esplosione, sino a giungere alla carbonizzazione dei tessuti. Il calore generato tende a propagarsi dalla sorgente ai tessuti circostanti per contatto ed irraggiamento, dipendendo anche dalla perfusione del tessuto. L’ulteriore riscaldamento di un mezzo già coagulato determina la formazione di tessuto carbonizzato con conseguente diminuzione della penetrazione della luce. Per questa ragione le dimensioni delle lesioni indotte presentano un plateau. L’energia laser, attraverso l’utilizzo di fibre ottiche di piccole dimensioni (21-22 Gauge) e flessibili, può essere erogata, in modo puntiforme o sferica, direttamente nel bersaglio sotto guida ecografica, TC o RMN. La durata del trattamento è tipicamente di 15-30 minuti Diverse sono le tecniche di trattamento allo scopo di ottenere risultati più validi. La tecnica denominata di pullback consente di trattare lesioni spostando la fibra laser in modo da coprire interamente la lesione oppure utilizzando diverse sorgenti contemporaneamente, in modo che il campo d’azione di ogni singola fibra si sovrapponga a quella adiacente in modo da trattare lesioni anche di dimensioni non esigue. La metodica è stata oggetto di numerosi studi circa la fattibilità e sicurezza che hanno evidenziato, sebbene su casistiche non ampie e disomogenee per criteri di arruolamento, una completa ablazione del tumore tra il 13% ed il 91% con complicanze rappresentate da ustioni (4-8%) e pneumotoraci (7%). Dowlatshahi nel 2002 su 54 pazienti affetti da carcinoma mammario con dimensioni comprese tra 0,5 e 2,2 cm ri-
OBIETTIVO SU portava una ablazione completa nel 70%, che saliva al 96% negli ultimi 28 pazienti trattati, ad indicare come in queste metodiche innovative la “learning curve” sia fondamentale.
Ablazione con Microonde Focalizzate (FMWA - Focused microwave ablation) La termoablazione con microonde focalizzate è una metodica mini-invasiva basata sull’utilizzo di onde elettromagnetiche, con frequenze di 900 MHz o superiori, in grado di sviluppare calore in una zona molto ristretta ed in particolar modo in tessuti ricchi di acqua, per l’attrito dovuto alla rapida agitazione ionica dei componenti cellulari. Non risentendo dell’impedenza dei tessuti, la metodica non è influenzata dalla costituzione del parenchima e soprattutto dall’esito terapeutico stesso, limitazione molto evidente nelle termoablazioni con radiofrequenze (RF) a causa dell’escara prodotta nella zona di necrosi. Il trattamento si ottiene mediante l’inserzione percutanea, sotto guida ecografica all’interno del tessuto da trattare, di una duplice sonda, una costituita da un’antenna in grado di creare un campo elettromagnetico tale da modulare l’estensione della focalizzazione del fascio di microonde generate all’esterno dell’organo, oltre a controllarne la temperatura prodotta, temperatura che può essere controllata anche mediante sensori cutanei. Per quanto riguarda il trattamento, esso consta di brevi sessioni della durata di due o tre minuti di impulsi di microonde focalizzate nella zona target, con temperature di 37-49°C, seguite da un periodo di raffreddamento. In letteratura viene suggerita la compressione della mammella allo scopo di evitare movimenti involontari della lesione durante il trattamento oltre a ridurne lo spessore ed il flusso ematico aumentandone così l’efficacia. Gardener nel 2002 ha pubblicato il primo studio per valutare la fattibilità e la sicurezza di tale trattamento valutando 10 pazienti affetti da carcinoma mammario con dimensioni comprese tra 1 e 8cm. Il trattamento FMWA, la cui temperatura media di picco intratumorale è risultata essere di 44,9°C, è stato seguito dopo 5 - 27 giorni dall’asportazione chirurgica del tumore. Sebbene il controllo ecografico posttermoablativo dimostrava una riduzione delle dimensioni del tumore in 6 pazienti, l’esame istologico evidenziava in 7 pazienti cellule tumorali necrotiche ma in nessuno dei 10 pazienti necrosi tumorale completa. Uno studio prospettico, multicentrico, di fase 2 per determinare la dose termica minima sicura ed efficace nel produrre una necrosi completa, pubblicato da Vargas e coll nel 2010 su 25 pazienti affetti da tumore mammario con dimensioni comprese tra 0,7 e 2,8 cm, ha evidenziato necrosi completa
in soli 2 pazienti ed una percentuale di necrosi variabile in 17 pazienti, dimostrando che la completa distruzione del tumore necessita di una dose termica di 210 minuti cumulativi/equivalente, ed una temperatura massima di 49,7°C . Tra le complicanze segnalate si riportano ustioni cutanee, algie ed eritema cutaneo in sede di trattamento.
Crioterapia (CT) La crioablazione è un processo basato sull’utilizzo di strumenti in grado di generare, in un punto preciso, temperature estremamente basse tali da congelare il tessuto bersaglio causandone un danno termico irreversibile e pertanto con modalità di ablazione opposta a quelle finora analizzate basate sul danno da calore. In realtà si tratta dell’evoluzione di trattamenti, ben noti e diffusi, specialmente in dermatologia, basati sull’utilizzo per contatto dell’azoto liquido, in cui la difficoltà nel calibrare la terapia e la necessità di dover aspettare che la regione trattata scongelasse spontaneamente, li rendevano discretamente incerti e rischiosi. L’attuale tecnologia alla base della crioablazione si fonda sull’effetto Joule-Thomson o effetto Joule-Kelvin, nel quale l’espansione di un gas compresso, e quindi liquido come per esempio l’argon o l’azoto liquido, permette l’ottenimento di temperature estremamente basse (comprese tra i -190°C ed i -160°C) nella zona centrale da termoablare allo scopo di causare ai tessuti interessati danni irreversibili e quindi la necrosi cellulare. Essa si ottiene posizionando, prevalentemente per via percutanea e sotto guida ecografica all’interno o in adiacenza al tessuto patologico, una sonda isolata da 17 gauge composta da una serie di aghi cavi (fino a 20), detti criosonde, dotati di sensori termici multi-point. All’interno di tali aghi scorrono gas allo stato liquido, generalmente Argon, che espandendosi ne raffreddano unicamente le estremità causando il congelamento del bersaglio da trattare in una sorta di massa di ghiaccio, detta “ice ball” o “palla di ghiaccio”. Successivamente, sempre attraverso gli stessi aghi, viene fatto scorrere un’altro gas (Elio) che ne determina un rapido scongelamento ed il trattamento si completa dopo alcuni cicli di congelamento-scongelamento computer-assisted. I meccanismi d’azione che portano al danno cellulare sono fondamentalmente due. Le basse temperature causano la formazione di cristalli di ghiaccio sia intra che extracellulari. La formazione di cristalli di ghiaccio intracellulari danneggia la membrana cellulare e le strutture intracellulari, comportando un danno irreversibile alla cellula, mentre i cristalli di ghiaccio extracellulare producono un gradiente osmotico N. 64 - 2012
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OBIETTIVO SU transmembrana in grado di provocare uno spostamento dei fluidi intracellulari verso lo spazio extracellulare che, in ultima analisi, porta alla disidratazione cellulare ed alla necrosi. Poiché il congelamento con crioablazione è un processo puramente termico e non dipende dall’applicazione di corrente elettrica, può avere alcuni vantaggi così come nei tessuti ad elevata impedenza. Diversi studi, sempre su casistiche ridotte e disomogenee per criteri di arruolamento e metodica di localizzazione (ecografica e RMN), ne hanno ormai dimostrato la fattibilità e l’efficacia, con percentuali di necrosi molto alte, raggiungendo il 100% dei tumori mammari di dimensioni inferiori ad 1 cm come riportato da Sabel e coll. nel 2004. Inoltre non si sono riscontrate complicanze gravi, se non lievi ecchimosi ed edema nella zona trattata. I dati conclusivi di questi studi hanno evidenziato la necessità di una selezione dei pazienti estremamente accurata con obiettivo di trattare carcinomi unifocali e ben identificabili agli accertamenti strumentali.
METODICHE NON-INVASIVE HIFU High Intensity Focused Ultrasound La metodica con ultrasuoni ad alta intensità focalizzati
(HIFU) è una procedura medica ad elevata precisione che, a differenza delle precedenti metodiche descritte, è completamente non invasiva. Essa si basa sull’uso di energia meccanica (ultrasuoni) proveniente da una sorgente acustica esterna in grado di indirizzarla in un punto ben definito e di piccole dimensioni all’interno del corpo umano (FIG.1). In tale maniera è possibile bruciare distruggendolo un bersaglio tumorale in maniera selettiva e senza danneggiare le strutture circostanti o i tessuti attraversati dal fascio HIFU, cute compresa. Questo effetto è raggiunto grazie alla focalizzazione, ottenuta mediante un trasduttore specifico, di un fascio di onde ultrasoniche in una regione teorica ben definita, detta Acoustic Focal Region (AFR). L’AFR può essere indirizzata su un target specifico con guida RMN o ecografica, realizzando, specialmente in quest’ultimo caso, un vero trattamento conformazionale in real-time (FIG. 2). L’energia sviluppata nella AFR è legata alla energia degli HIFU, espressa in Watts ed alla loro durata, ed è un concetto teorico. Quando l’energia meccanica acustica viene focalizzata all’interno di un tessuto biologico, essa subisce delle alterazioni legati alla costituzione dei tessuti attraversati ed ai fenomeni fisico-chimici generati in sede di trattamento. Tali variabili comportano delle modificazioni nella forma geometrica del teorico danno biologico causato dell’AFR che pertanto viene a prendere il nome di Biological Focal Region (BFR). L’energia rilasciata nel BFR determina un danno biologico permanente a causa di tre meccanismi differenti ma tutti concorrenti allo stesso scopo: la necrosi cellulare. Il primo meccanismo è l’ipertermia. L’energia acustica degli
FIGURA 1 FIG. 1: Trasduttore HIFU con sonda per guida ecografica: il cuore del sistema - FIG.2: trattamento conformazionale di lesioni a margini non regolari
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HIFU viene trasformata in energia termica ottenendo un innalzamento della temperatura locale fino a raggiungere i 65°C -100°C quasi istantaneamente (FIG.3). La seconda modalità di danno cellulare è dovuta ad un fenomeno fisico definito “cavitazione”. L’energia meccanica degli HIFU provoca, mediante fenomeni di espansione e contrazione la creazione di bolle gassose all’interno delle strutture intracellulari, che con i loro movimenti oscillatori di espansione e collasso causano uno stress meccanico con conseguente aumento della temperatura intracellulare oltre che un danno meccanico diretto con esplosione della cellula. (FIG.4). Ultima, ma non meno importante modalità di azione degli HIFU, è la coagulazione dei vasi sanguigni neoplastici con conseguente danno ischemico secondario del tessuto neoplastico. La durata dell’impulso acustico durante il trattamento HIFU, detta sonicazione, associata alla potenza degli HIFU espressa in watt, è uno dei parametri essenziali per raggiungere un adeguato BFR e quindi la conseguente termoablazione
del bersaglio. Tuttavia un incremento della durata o della potenza di sonicazione da un lato comporta un maggiore effetto biologico, grazie all’aumento del volume di danno tessutale in corrispondenza della BFR, ma d’altro canto, aumenta la probabilità che la cute compresa nel percorso degli HIFU, venga danneggiata. I danni provocati appaiono come una reazione infiammatoria della pelle di varia natura che varia dalla iperemia fino ad ustioni di secondo grado. Al fine di limitare la percentuale di questi effetti indesiderati è necessario modulare i parametri di trattamento, riducendo la durata e la potenza di sonicazione e aumentando l’intervallo di tempo tra ogni sonicazione. La dimensione del BFR varia quindi non solo in relazione alla potenza acustica ed alla durata ed alla modalità di erogazione dell’energia sonica, ma anche in base alle caratteristiche specifiche del tessuto biologico da trattare. Infatti l’onda acustica può essere influenzata dalle interferenze dovute alle brusche variazioni di impedenza tra i diversi tessuti presenti a partire dalla cute fino ad arrivare al bersaglio. Questo fenomeno può comportare il rilascio di energia, con conseguente riscaldamento dei tessuti interposti (come la cute ed il tessuto adiposo), provocando in caso di trattamenti di lunga durata effetti collaterali indesiderati, quali danni cutanei in corrispondenza del punto di ingresso degli ultrasuoni. Tale fenomeno è raramente osservato nel trattamento termoablativo del carcinoma mammario in fase iniziale. Diversi studi, sebbene su casistiche ridotte e disomogenee per criteri di arruolamento e metodica di guida, ne hanno ormai dimostrato la fattibilità e l’efficacia. Una recente revisione della letteratura su 5 studi su non più di 28 pazienti, relativamente all’utilizzo di HIFU sia con guida RMN che ecografica, ha evidenziato un risultato termoablativo completo in tutti i 23 pazienti trattati solo nell’esperienza di Wu (2003), mentre i rimanenti studi hanno presentato un risultato di necrosi tumorale completa variabile dal 20% al 79% dei pazienti trattati, quest’ultimo valore ottenuto però dopo due sessioni di trattamento, e tutti accompagnati da una percentuale di danno cutaneo variabile dal 3% al 10%.
ESPERIENZA IEO Sulla base di queste esperienze internazionali, presso l’Istituto Europeo di Oncologia è stata avviata una preliminare valutazione della metodica. I pazienti, previa accurata valutazione clinico-strumentale, sono stati arruolati secondo criteri fortemente restrittivi: carcinoma mammario di dimensioni ≤1.5cm, confermato istologicamente con core-biopsy, visibile ecograficamente, distante dalla cute o dalla gabbia toracica almeno 5 mm e 20 mm dal complesso areola-capezzolo, senza microcalcificazioni patologiche al di fuori della
FIG. 3: L’energia acustica si trasforma nel punto di fuoco in energia termica - FIG. 4: Meccanismo della cavitazione N. 64 - 2012
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neoplasia. Verificati i criteri di arruolamento i pazienti sono stati sottoposti, nelle prime fasi dello studio in anestesia generale ed attualmente in anestesia locale +MAC, a singolo trattamento termoablativo HIFU eco guidato utilizzando il JC Focused Ultrasound Tumour Therapeutic System [Chongqing Haifu (HIFU) Technology Co., Ltd., P.R. China] (FIGG.5, 6a, 6b). Successivamente, a distanza di alcune settimane, le pazienti sono state sottoposte a trattamento chirurgico conservativo con lo scopo di constatare istologicamente gli effetti e trattare le pazienti secondo gli attuali standard clinico-terapeutici. I risultati ottenuti si sono dimostrati estremamente interessanti, sia sotto il profilo della sicurezza (nessun complicanza immediata o a distanza) che dell’efficacia: grazie ai continui miglioramenti tecnologici ed alla ovvia curva di apprendimento degli operatori nell’utilizzo dello strumento, si sono ottenuti risultati incoraggianti ed in linea con quanto presente in letteratura. Infatti, escludendo i primi 4 pazienti trattati prima di importanti upgrade tecnici, si è ottenuto dopo analisi con colorazione vitale mediante TTC(2,3,5triphenyltetrazoliumchlorid) una necrosi del 100% in tutti i pazienti, mentre l’analisi istologica mediante colorazione con ematossilina-eosina ha evidenziato una necrosi ≥75% in circa il 79% dei pazienti trattati, una necrosi≥95% in circa il 64% dei pazienti, di cui completa nel 50% dei pazienti (FIG. 7) Come unico effetto collaterale del trattamento, presente in tutti i pazienti, si è osservata la presenza di edema da trauma meccanico delle onde ultrasonore con aumento della consistenza parenchimale in corrispondenza dell’area termoablata, che non ha necessitato di alcun trattamento, risolvendosi spontaneamente nell’arco di alcuni giorni (FIG. 8). Inoltre nei pazienti affetti da lesione tumorale dei quadranti inferiori della mammella si è osservata nella sede del trattamento una temporanea retrazione cutanea, sempre legata all’edema del parenchima.
FIGURA 5
FIGURA 6A
FIGURA 6B
Conclusioni Nonostante gli incoraggianti risultati ottenuti siamo di fronte a tecniche che necessitano di essere indagate con maggiore ampiezza. Il continuo sviluppo tecnologico e la miniaturizzazione sempre più spinta degli apparati, accompagnati
FIG. 5: JC Focused Ultrasound Tumour Therapeutic System [Chongqing Haifu (HIFU) Technology Co., Ltd., P.R. China] - FIG. 6a: Fase del trattamento - FIG. 6b: Fase del trattamento
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FIGURA 8
dal perfezionamento dei sistemi di controllo e d’imaging, schiuderà un futuro quanto mai roseo ed interessante per tali metodiche. Numerosi sono i vantaggi delle metodiche termoablative miniinvasive già ad oggi apprezzabili. Risultati estetici estremamente validi, dovuti all’assenza di perdita di sostanza dell’organo trattato, ritorno alle normali attività occupazio-
nali in tempi rapidissimi, con evidenti risvolti positivi non solo per il paziente stesso ma per la comunità in toto e, non ultimo, come riportato dagli studi di Wu nel 2007 e Xu nel 2009, l’evidenza di una possibile stimolazione della risposta immunitaria tumore-specifica dovuta all’incremento dell’attività dei linfociti Natural Killer, per la persistenza in sede di frammenti antigenici tumorali residui al trattamento. Evidentemente, come esiste sempre un rovescio della medaglia, anche per queste metodiche ci sono delle zone di ombra che possono minarne la credibilità. Gli stessi lavori scientifici pubblicati, ad esclusione di quelli basati sulla RF, sono costituiti da casistiche numericamente ridotte e disomogenee per metodica di guida, di analisi strumentale posttrattamento e, non ultimo, per quanto riguarda le eccessive differenze dimensionali delle lesioni tumorali trattate. Altre perplessità insorgono dalla difficoltà nell’eseguire un’esaustiva analisi istologica del tumore sia prima del trattamento termoablativo (per esempio la valutazione dell’invasione vascolare), che successivamente nella corretta valutazione dei risultati ottenuti, per le difficoltà a differenziare cellule vitali da quelle destinate a morte per apoptosi. Inoltre, trattandosi di trattamenti locali, tutta la valutazione dello stato linfonodale ascellare, rimane ad oggi di esclusiva pertinenza chirurgica. La possibilità di lasciare anche termoablato “il tumore” in sede, senza la possibilità di valutazione istologica dei margini, è considerata una eresia chirurgica, sebbene per molti radiologi interventisti questo sia un argomento superato, se si considerano i routinari trattamenti con RF sulle lesioni tumorali epatiche o polmonari. In passato troppo spesso i chirurghi hanno voltato le spalle a metodiche emergenti, considerandole inopportune e non meritevoli di attenzioni, abbandonando spesso, immature, geniali intuizioni tecnologiche, offrendole così ad altre discipline.
FIG. 7: valutazione macroscopica. E’ ben visibile la lesione tumorale trattata, circondata da un orletto emorragico che ne delimita l’area - FIG. 8: risultato estetico a 20 gg di distanza dal trattatmento HIFU N. 64 - 2012
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Rassegna della letteratura
ANATOMIA PATOLOGICA RECENSIONE A CURA DI I. CASTELLANO E A. SAPINO Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino
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ella formulazione della diagnosi istologica del carcinoma della mammella il patologo descrive con estrema accuratezza e precisione le caratteristiche morfologiche (istotipo, grading, indice mitotico, etc), e l’assetto immunofenotipico (espressione dei recettori ormonali, stato di HER2, indice proliferativo) della neoplasia. Tutto questi parametri vengono presi in considerazione dell’oncologo per la scelta del trattamento più idoneo. Eppure, nonostante numerosi progressi siano stati fatti in ambito terapeutico, esiste una certa percentuale di pazienti la cui prognosi non viene definita in modo accurato dagli attuali parametri, richiedendo quindi lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici. In questo senso le caratteristiche dello stroma ed il grado di desmoplasia, solo raramente vengono presi in considerazione dell’anatomo-patologo. Lo studio di seguito riportato suggerisce come dallo stroma, ed in particolare dalla disposizione delle fibre collagene intorno ai dotti neoplastici, sia possibile ottenere informazioni sulla prognosi del carcinoma mammario. Conklin MW, Eickhoff JC, Riching KM et al Aligned collagen is a prognostic signature for survival in human breast carcinoma Am J Pathol 2011 Mar; 178(3):1221-1232
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n questo lavoro viene valutata l’associazione di una determinata disposizione delle fibre collagene rispetto alla neoplasia ed il follow up delle pazienti con carcinoma mammario. In particolare gli autori usando modelli murini dimostrano, attraverso sistemi diagnostici sofisticati (second harmonic generetion imaging -SHG- che prevedono l’utiliz-
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zo di un particolare software che evidenzia le fibre collagene in un tessuto fissato in formalina ed incluso in paraffina, senza necessità di colorazioni), identificano tre patterns di interazioni architetturali tra stroma e neoplasia o TACS (Tumor Associated Collagen Signature). La TACS 1 si definisce nelle tappe precoci della tumorigenesi ed è dovuta alla deposizione localizzata di fibre collagene vicino alla neoplasia; la TACS 2 si realizza quando il tumore inizia a crescere, le fibre collagene divengono evidenti e si dispongono in senso parallelo alla lesione, infine la TACS 3 si verifica quando al confine tumore-stroma le bande si dispongono affastellate e perpendicolari alla neoplasia. Analizzando 196 casi di carcinoma infiltrante della mammella su TMA in pazienti con follow up medio di 6 anni, gli autori hanno dimostrato che la TACS 3 correla con una disease free survival ed un’overall survival più breve, ed è un fattore prognostico indipendente rispetto al grado istologico, all’istotipo, alla dimensione del tumore, al suo assetto ormonale, allo stato di HER2 ed alla presenza di metastasi linfonodali. Infine da questo studio risulta che TACS3 correla positivamente con l’espressione stromale di Syndecan-1 (recettore di numerose proteine della matrice extracellulare e del citoscheletro tra cui il collagene). Gli autori concludono quindi che l’allineamento del collagene può essere considerato un importante marcatore prognostico e che terapie mirate dirette all’interazione epitelio-stroma potrebbero rivelarsi uno strumento importante nella cura del cancro alla mammella. Questo lavoro è stato oggetto del seguente Commentary sul medesimo numero della rivista. Locker J, Segall JE Breast cancer: the matrix is the message Am J Pathol 2011 Mar; 178(3): 966-968
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li autori sottolineano come l’importanza del lavoro sopracitato di Conklin et al. sia quella di aver ribadito come la “signature” stromale sia un processo biologicamente
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rilevante nella storia della neoplasia, essendo implicata nella progressione tumorale, indipendentemente dagli altri fattori conosciuti. D’altro canto però viene criticata la difficoltà di traslare il dato ottenuto con la SHG nella routine diagnostica, e la necessità di trovare metodiche di più facile utilizzo. Inoltre viene ribadita la necessità di verificare l’esatto rapporto con l’anticorpo Syndecan 1. Una delle differenze principali tra cellule epiteliali e stroma è la presenza nelle prime di polarizzazione con giunzioni intercellulari. Il fenomeno descritto come “epithelial-mesenchymal transition” (EMT) prevede che cellule epiteliali polarizzate si trasformino in cellule mesenchimali in cui non sono presenti contatti intercellulari stabili. EMT, processo fisiologico nell’embriogenesi, avviene durante le fasi della formazione e progressione tumorale ed è di primaria importanza soprattutto nella metastatizzazione e nel fronte di invasione del tumore. Recentemente è stato dimostrato come EMT sia controllato da complessi pathways regolati da svariate molecole extracellulari ed a sua volta sia responsabile dell’attivazione di specifici segnali che coinvolgono la riorganizzazione del citoscheletro, la dislocazione della caderina E dalla membrana plasmatica con conseguente perdita di coesione intercellulare e l’aumento della motilità cellulare. Nello studio di seguito riportato gli autori si propongono di valutare se la Tenascina C -TNC- (glicoproteina della matrice extracellulare presente all’interfaccia tumore-stroma e la cui overespressione correla con una prognosi peggiore) sia responsabile di EMT nel carcinoma mammario. Nagaharu K, Zhang X, Yoshida T et al Tenascin C Induces Epithelial-Mesenchymal Transition-Like Change Accompanied by SRC Activation and Focal Adhesion Kinase Phosphorylation in Human Breast Cancer Cells Am J Pathol 2011 Feb; 178(2): 754-763
o studio ha esaminato la positività immunoistochimica (IHC) alla TNC in 35 casi di carcinoma mammario evidenziando la sua espressione principalmente nello stroma infiltrato da singole cellule di carcinoma isolate l’una dall’altra o disposte in esili cordoni, mentre TNC è risultata negativa nelle aree periferiche di tumori a crescita solida. Inoltre la TNC aggiunta al terreno di coltura di linee cellulari di carcinoma mammario (MCF-7) sembra essere causa di delocalizzazione della CAD E e della -catenina causando cambiamenti conformazionali e di contatto intercellulare. Gli autori concludono quindi che TNC è responsabile della progressione ed invasività del carcinoma mammario.Un altro marcatore di progressione tumorale è l’invasione dei vasi linfatici ed ematici da parte delle cellule di cancro. Tale fenomeno riveste particolare importanza nei carcinomi infiltranti, di alto grado istologico, privi di metastasi linfonodali, in quanto viene preso in considerazione dagli oncologi nella scelta della somministrazione della chemioterapia. L’invasione vascolare viene valutata dal patologo in Ematossilina Eosina, ma la sua diagnosi è poco soggettiva e riproducibile. L’anticorpo anti D2-40, marcatore di endotelio linfatico, viene talvolta utilizzato nei casi dubbi. Recentemente è stato però osservato che D2-40 è espressa anche dalle cellule mioepiteliali, rendendo difficile la diagnosi differenziale tra cluster di cellule tumorali intravascolari e cluster di cellule di carcinoma in situ circondate da mioepitelio (Rabban JT et al, D2-40 expression by breast myoepithelium: potential pitfalls in distinguishing intralymphatic carcinoma from in situ carcinoma. Hum Pathol. 2008 Feb;39(2):175-83). Un tipo di cellule poco considerate dal patologo nella valutazione istologica del carcinoma mammario sono i macrofagi intratumorali, anche se rappresentano una componente cellulare sovente presente. Nel carcinoma della mammella i macrofagi intrautmorali sono stati correlati con aumento della angiogenesi e un peggioramento della prognosi, senza che vi sia tuttavia una relazione diretta. Nel lavoro di seguito riportato viene dimostrato che il numero di macrofagi intratumorali non ha un significato prognostico indipendente. Mahmoud SM, Lee AH, Paish EC, Macmillan RD, Ellis IO, Green AR Tumour-infiltrating macrophages and clinical outcome in breast cancer. J Clin Pathol 2011; Nov 2
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u una casitica di 1322 carcinomi mammari sono state valutate la densità e la localizzazione di macrofagi CD68 positivi, mettendoli in relazione con la prognosi. Si N. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A dimostra che i macrofagi possono avere diversi pattern di infiltrazione della neoplasia, ma che in genere sono diffusamente presenti. Inoltre un’alto numero di macrofagi correla con un alto grado tumorale e negatività per i recettori ormonali, HER2 positività e fenotipo basale (p<0.001). All’analisi univariata un alto numero di macrofagi CD68+ correla in modo significativo con una ridotta sopravvivenza e ridotto tempo libero da malattia. Tuttavia all’analisi multivariata i macrofagi CD68 non sono un fattore prognostico indipendente
BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA RECENSIONE A CURA DI C. BIGHIN E P. PRONZATO Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova
EA Perez, VJ Suman, NE Davidson, et al Sequential Versus Concurrent Trastuzumab in Adjuvant Chemotherapy for Breast Cancer Journal of Clinical Oncology Published Ahead of Print on October 31, 2011 D Slamon, W Eiermann, N Robert, et al Adjuvant Trastuzumab in HER2-Positive Breast Cancer New England Journal of Medicine 2011vol 365; n 14: 1273-1283
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l Trastuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che ha come target l’oncogene HER2 ed è approvato sia come parte del trattamento adiuvante che del trattamento della fase metastatica delle pazienti HER2 positive1. Nel setting adiuvante rimane ancora dibattuta quale sia la modalità migliore di inserire il Trastuzumab se sequenziale alla chemioterapia o se concomitante ad essa. In Italia può essere somministrato in entrambi i modi mentre in altri paesi l’utilizzo concomitante non è ancora autorizzato. In un articolo recentemente pubblicato come “early release” sul Journal of Clinical Oncology vengono riportati i risultati della seconda interim analysis dello studio N9831 che è l’unico studio randomizzato con il Trastuzumab adiuvante che ha confrontato l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale concomitante o sequenziale alla chemioterapia. Un altro importante punto di discussione sull’utilizzo del Trastuzumab adiuvante è l’insorgenza di cardiotossicità soprattutto se utilizzato in associazione a chemioterapia contenente antracicline. Infatti, quando il Trastuzumab viene
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sommninistrato in associazione alle antracicline determina un aumento da 4 a 5 volte nella percentuale di scompenso cardio-congestizio mentre una riduzione sub-clinica della frazione di eiezione ventricolare è stata osservata in una proporzione anche più elevata di pazienti2,3,4,5. Recentemente, Slamon et al hanno pubblicato sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio randomizzato BCIRG-006 che ha confrontato una chemioterapia adiuvante con antracicline e Trastuzumab verso una chemioterapia non contenente antracicline e Trastuzumab con l’obiettivo di valutare l’efficacia di uno schema con una potenziale minore cardiotossicità. Quindi, entrambi gli studi che analizzeremo in questo numero ci forniscono importanti risposte a quesiti ancora aperti sul migliore utilizzo del Trastuzumab nel trattamento adiuvante. Lo studio N9831 è uno studio che ha randomizzato quasi 2500 pazienti operate per un carcinoma mammario HER2 positivo ad una chemioterapia contenente Doxorubicina 60 mg/mq e Ciclofosfamide 600 mg/mq per 4 cicli ogni 21 giorni seguiti da Taxolo 80 mg/mq ogni settimana per 12 settimane (Braccio A), Taxolo settimanale in associazione a Trastuzumab iniziato sequenziale al Taxolo (Braccio B) oppure concomitante ad esso (Braccio C) per 1 anno totale. L’obiettivo principale dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (DFS). Ad un follow-up mediano di 6 anni, la DFS a 5 anni è risultata essere di 71.8% nel braccio A e di 80.1% nel braccio B. La DFS è risultata significativamente aumentata dal Trastuzumab somministrato in modo sequenziale al Taxolo (log-rank P< .001; arm B/arm A hazard ratio [HR], 0.69; 95% CI, 0.57 to 0.85). Il confronto tra il Braccio B e il braccio C ha mostrato un DFS di 80.1% e 84.4% rispettivamente. E’ stato dimostrato un aumento della DFS dall’utilizzo concomitante del Trastuzumab al Taxolo rispetto all’uso sequenziale anche se la significatività statistica non è stata raggiunta. Quindi, questo studio ribadisce ancora una volta
R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Bibliografia 1 Herceptin European Summary of Product Characteristics. www.emea.europa.eu/humandocs/Humans/EPAR/herceptin/herceptin.htm 2
Piccart-Gebhart MJ, Procter M, Leyland-Jones B, et al. Trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-positive breast cancer. N Engl J Med 2005;353:1659-72.
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Romond EH, Perez EA, Bryant J, et al. Trastuzumab plus adjuvant chemotherapy for operable HER2-positive breast cancer. N Engl J Med 2005;353:1673-84.
l’importanza dell’aggiunta del Trastuzumb alla chemioterapia adiuvante nelle pazienti HER2 positive e suggerisce che l’utilizzo concomitante alla chemioterapia potrebbe aumentarne il beneficio. Lo studio BCIRG-006 è uno studio che ha randomizzato 3222 donne operate per un carcinoma mammario HER2 positivo ad una chemioterapia adiuvante con Doxorubicina e Ciclofosfamide ogni 21 giorni pr 4 cicli seguita da Taxotere ogni 21 giorni per 4 cicli (AC-T) oppure la stessa chemioterapia con l’aggiunta del Trastuzumab iniziato concomitante a Taxotere per 52 settimane (AC-T + Trastuzumab) oppure una chemioterapia non contenente antracicline con Taxotere e Carboplatino in associazione a Trastuzumab (TCH). L’obiettivo principale era la DFS, gli obiettivi secondari erano la sopravvivenza globale e tossicità. Ad un follow-up mediano di 65 mesi, la DFS stimata a 5 anni è risultata del 75% nel braccio AC-T, dell’84 % nel braccio AC-T + Trastuzumab e del 81% nel braccio TCH. La sopravvivenza globale stimata è stata di 87%, 92 e 91%, rispettivamente. Nessuna differenza in efficacia è stata rilevata tra i due regimi contenenti Trastuzumab ed entrambi sono risultati superiori al braccio AC-T. L’incidenza di scompenso cardio-congestizio è risultata significativamente superiore nel braccio AC-T + Trastuzumab rispetto al braccio TCH (P<0.001). Si sono inoltre verificati 8 casi di leucemia acuta: sette nel gruppo che ha ricevuto antracicline e un caso nel gruppo che ha ricevuto il regime TCH. Quindi, questo studio sottolinea come l’aggiunta di un anno di Trastuzumab ad una chemioterapia anche non contenente antracicline aumenta in modo significativo sia la DFS che la sopravvivenza globale. Inoltre, ci suggerisce come può essere evitato l’uso di antracicline per ridurre l’incidenza di cardiotossicità soprattutto in quelle pazienti che hanno già fattori di rischio per essa (per esempio le pazienti più anziane).
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Smith I, Procter M, Gelber RD, et al. 2-Year follow-up of trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-positive breast cancer: a randomised controlled trial. Lancet 2007;369:29-36.
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Tan-Chiu E, Yothers G, Romond E, et al. Assessment of cardiac dysfunction in a randomized trial comparing doxorubicin and cyclophosphamide followed by paclitaxel, with or without trastuzumab as adjuvant therapy in node-positive, human epidermal growth factor receptor 2-overexpressing breast cancer: NSABP B-31. J Clin Oncol 2005;23:7811-9.
CHIRURGIA RECENSIONE A CURA DI L. GALLI(1), R. SIMONCINI(2), D. CASELLA(2) (1)
Chirurgia Generale Nuovo Osp. Del Mugello - Borgo San Lorenzo (FI)
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Breast Unit - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi - (FI)
Sakr RA, Poulet B, Kauffman GJ, Nos C, Clough KB Clear margins for invasive lobular carcinoma: A surgical challenge EJSO 37 (2011) 350-356
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l carcinoma lobulare invasivo (ILC) rappresenta circa il 10% delle neoplasie mammarie infiltranti. Aggredirlo con tecniche chirurgiche conservative (BCT) rappresenta una sfida complessa alla luce dei dati presenti in letteratura, che mostrano una quota di coinvolgimento dei margini di exeresi che in alcune casistiche pubblicate raggiunge valori del 60%, di gran lunga superiori rispetto a quelle in caso di neoplasia duttale invasiva (24% in letteratura). La difficoltà nel realizzare un’exeresi radicale sembra almeno in parte attribuibile alla sottostima della reale dimensione N. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A tumorale da parte della mammografia e dell’ecografia, le metodiche di imaging pre-operatorie tradizionali. Tale fenomeno sembra dovuto alla mancanza di reazione desmoplastica tissutale da parte di ILC nonché alla sua frequente multifocalità e multicentricità. Alcuni recenti studi dimostrano una maggiore accuratezza nella stima delle dimensioni tumorali da parte della risonanza magnetica mammaria, strumento che può quindi rendersi utile nella riduzione del numero di re-interventi per interessamento dei margini di exeresi (R.M. Mann et al.). Emerge pertanto la necessità di studiare una strategia efficace per minimizzare il rischio di non radicalità chirurgica su ILC mediante BCT; questo avrebbe un impatto notevole nella riduzione dei reinterventi, del numero di mastectomie, delle recidive locali e probabilmente anche nel miglioramento di DFS e OS. Dai dati in letteratura si evince che i soggetti a maggior rischio di compromissione dei margini dopo BCT per ILC sono le paziente giovani, portatrici di tumori mammograficamente maggiori di 15 mm, con invasione linfovascolare, multifocali. Alla luce di questi dati sembrerebbe prudente proporre una mastectomia alla maggior parte delle pazienti che sviluppano un ILC! Il lavoro in esame valuta l’argomento da un punto di vista nuovo, analizzando le tecniche chirugiche come fattori in grado di determinare probabilità di successo diverse nell’ottenere radicalità. L’ipotesi degli Autori è quella che la scelta di un approccio chirurgico oncoplastico (OPS) rappresenti un fattore che riduce il rischio di coinvolgimento dei margini dopo chirurgia conservativa per ILC. In letteratura esistono pochi studi analoghi che dimostrano la superiorità di OPS in termini di radicalità oncologica nel trattamento carcinoma duttale invasivo ed in situ. Il lavoro scelto è il primo che prende in esame OPS in caso di ILC. La chirurgia oncoplastica della mammella (OPS) consente di eseguire asportazioni molto ampie senza compromettere l’aspetto del seno grazie all’uso specifico di tecniche ricostruttive proprie della chirurgia plastica contestuale all’intervento oncologico. La sicurezza oncologica di OPS è oramai ampiamente dimostrata. Recenti studi hanno anzi sottolineato come OPS consenta una radicalità oncologica addirittura superiore a BCT rendendo possibile l’asportazione di una maggiore quantità di tessuto mammario, con ovvi riflessi sullo stato dei margini di exeresi e di conseguenza sul rischio di recidiva locale. A tal proposito Rietjens et al nel 2007 dimostrano che in termini di controllo locale di malattia, OPS si dimostra efficace quanto una mastectomia per tumori inferiori a 2 cm e più sicura della classica BCT per tumori di dimensioni superiori. Tali conclusioni trovano la loro spiegazione nella maggiore quantità assoluta di 30
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tessuto asportato mediante OPS. Queste analisi sono però basate su selezioni di pazienti affette da DCIS o IDC e non da ILC, ove la generosità dell’asportazione chirurgica deve essere ancora maggiore. L’interesse che suscita questo lavoro è legato alla novità del concetto di applicare una specifica tecnica chirurgica per trattare in modo più efficace una specifica forma neoplastica. La popolazione esaminata dagli Autori è costituita da 73 pazienti con ILC accertato biopticamente T1-2 trattate con chirurgia conservativa (oncoplastica o tradizionale). Vengono escluse dall’ approccio chirurgico conservativo le neoplasie multicentriche e quelle recidive; un pregresso trattamento radiante sulla parete toracica ed un trattamento sistemico neoadiuvante escludono parimenti BCT. Tutte le pazienti avevano eseguito mammografia ed ecografia preoperatorie; solo 11 pazienti (15%) avevano eseguito approfondimento con RM. I margini di exeresi sono stati considerati positivi se le cellule neoplastiche appaiono in contatto con la china, in prossimità se hanno distanza dalla china inferiore a 2 mm. Un ampliamento dei margini è stato eseguito in questi casi. I margini sono risultati adeguati in 44 casi (60,3%), percentuale decisamente superiore rispetto ai dati presenti in letteratura. Sono invece risultati invasi in 19 casi (26%) ed in prossimità nelle rimanenti 10 pazienti (13,7%). E’ stato eseguito un reintervento in 17 pazienti (23,3% del campione), delle quali 12 hanno subito una mastectomia. All’analisi statistica univariata dei dati ottenuti si confermano i fattori di rischio per coinvolgimento dei margini in ILC già menzionati precedentemente e già validati dai dati presenti in letteratura: le pazienti con margini positivi erano significativamente più giovani, mostravano tumori più grandi, più frequentemente multifocali e prevalentemente localizzati al quadrante supero-interno. Il dato saliente che emerge dall’analisi multivariata conferma l’ipotesi iniziale degli autori ed è la riduzione del rischio di interessamento dei margini nelle pazienti trattate mediante OPS. Pertanto viene dimostrato come, nel trattamento chirurgico
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di ILC, OPS non solo permette di evitare deformità conseguenti alla chirurgia ma riduce anche il numero dei casi di exeresi non radicale. In ILC infatti, come emerge dai dati prodotti dagli Autori, è frequente una sottostima da parte degli esami di imaging pre-operatori, della reale dimensione della neoplasia ed della sua frequente multifocalità. OPS si dimostra uno strumento fondamentale che consente di eseguire exeresi molto più ampie, al fine di compensare tale sottostima, riducendo la quota di interventi non radicali e migliorando allo stesso tempo e con la medesima procedura l’esito cosmetico del trattamento. Molto interessante si dimostra l’analisi che gli autori eseguono del beneficio fornito da OPS in termini di radicalità oncologica in relazione ai vari quadranti mammari. OPS garantisce risultati migliori in termini di margini liberi ed in termini di risultato estetico in ogni quadrante ma non appare fornire alcun vantaggio a livello del quadrante supero-interno. A tale livello la percentuale di coinvolgimento dei margini appare essere la più alta (60%) indipendentemente dalla tecnica chirurgica adottata; ciò potrebbe essere connesso agli importanti esiti estetici distorsivi che anche una procedura chirurgica minore può determinare in tale sede, ma anche alla mancanza di una tecnica oncoplastica maggiore di redistribuzione dei tessuti residui specifica per tale quadrante. Pertanto, quando ILC si trova a livello del quadrante supero-interno, parrebbe utile e prudente discutere collegialmente e in ambito multidisciplinare la strategia migliore e coinvolgere la paziente in tale. L’articolo esaminato si basa su un’analisi retrospettiva e non può pertanto raggiungere massimi livelli di evidenza scientifica. Arricchisce l’insieme delle altre casistiche retrospettive pubblicate sull’argomento, che sottolineano l’equivalenza se non la superiorità oncologica di OPS rispetto a BCT tradizionale, a fronte di risultati estetici migliori. Situazioni particolarmente interessanti per un’applicazione sempre maggiore della OPS sono quelle in cui si richiede un’asportazione molto ampia di tessuti per ottenere una radicalità
oncologica con margini di exeresi liberi da malattia; è il caso del DCIS, di ILC e delle neoplasie trattate con terapia sistemica neoadiuvante. In tali contesti la chirurgia oncoplastica, oltre ai benefici precedentemente menzionati, garantisce senza dubbio un numero minore di mastectomie. Sarebbe auspicabile uno studio randomizzato che confrontasse BCT tradizionale con OPS nel trattamento chirurgico del carcinoma mammario, considerando i dati oncologici, quelli cosmetici, quelli economici, e che potesse disporre di un adeguato follow up. Di fatto è molto probabile che si imponga sempre più la figura del chirurgo oncoplastico mammario, figura unica e nuova che racchiude nel suo bagaglio professionale sia le tecniche chirurgiche oncologiche sia quelle ricostruttive, al fine di poter offrire un trattamento integrato che garantisca il miglior risultato possibile nella cura delle pazienti affette da carcinoma mammario. Bibliografia Giacalone PL, Roger P, Dubon O, El Gareh N, Rihaouj S, Taourel P, Daures JP Comparative study of the accuracy of breast resection in oncoplastic surgery and quadrantectomy in breast cancer Ann Surg Oncol 2007; 14(2): 605-614 Rietjens M, Urban CA, Rey PC et al Long-term oncological results of breast conservative treatment with oncoplastic surgery The Breast 2007; 16: 387-395 Song H M, Styblo TM, Carlson GW, Losken A The use of oncoplastic reduction techniques to reconstruct partial mastectomy defects in women with ductal carcinoma in situ The Breast Journal 2010; vol 16 N 2: 141-146 Regano S, Hernanz F, Ortega E, Redondo Figuero C, Gomez Fleitas M Oncoplastic Techniques extend breast conservino surgery to patients with neoadjuvant chemotherapy response unfit for conventional techniques World J Surg 2009; 33: 2082-2086 Kaur N, Petit JY, Rietjens M et al Comparative study of surgical margins in oncoplastic surgery and quadrantectomy in breast cancer Ann Surg Oncol 2005 Jul;12(7): 539-545
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CHIRURGIA PLASTICA RECENSIONE A CURA DI M.B. NAVA E J. OTTOLENGHI Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Petit JY, Lohsiriwat V, Clough K B, Sarfati I, Ihrai T, Rietjens M, Veronesi P et al The Oncologic Outcome and Immediate Surgical Complications of Lipofilling in Breast Cancer Patients: A Multicenter Study-Milan-Paris-Lyon Experience of 646 Lipofilling Procedures. Plastic & Reconstructive Surgery August 2011; 128(2): 341-346
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l lipofilling è sempre più spesso utilizzato negli ultimi tempi come strumento o come complemento delle tecniche di ricostruzione mammaria dopo mastectomia o chirurgia conservativa della mammella. Diversi articoli hanno suggerito che adipociti, preadipociti e i loro derivati possano, attraverso la secrezione di mediatori chimici, giocare un ruolo nella genesi dei tumori, nella progressione, nella recidiva, nello sviluppo di metastasi o, al contrario, avere un effetto inibitorio in alcune fasi del ciclo del tumore. Considerando che potrebbero essere presenti delle cellule tumorali nel parenchima residuo dopo trattamenti conservativi o nel tessuto sottocutaneo dopo mastectomia, sarebbe importante poter stabilire se il lipofilling sia una tecnica sicura in Pazienti trattate per carcinoma della mammella, soprattutto secondo protocolli conservativi Gli autori di questo articolo hanno quindi condotto uno studio multicentrico (European Institute of Oncology, Milano; Paris Breast Center, Parigi e Leon Berard Centre, Lione,) per osservare gli effetti del lipofilling dopo tumore della mammella, per controllare le complicanze della tecnica, le alterazione dei quadri mammografico e ecografico ed effettuare un follow-up oncologico. Gli autori dello studio, condotto su un considerevole numero di Pazienti (646 lipofilling su 513 Pazienti), hanno concluso che il lipofilling dopo trattamento per cancro della mammella porta ad tasso molto basso di complicanze e non altera il follow-up radiologico (anche se non tutti gli articoli in letteratura concordano con questo dato) dopo chirurgia conservativa, mantenendo l’indicazione alla biopsia nei casi dubbi). Manca però il dato più importante e più atteso. Non è fornita nessuna prova definitiva sulla sicurezza del lipofilling quanto a tasso di recidive o di metastasi a distanza. Per questo sono necessari ulteriori studi con un follow-up più lungo, condotti su un numero maggiore di Pazien-
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ti, confrontabili con un gruppo di controllo paragonabile quanto a caratteristiche del tumore con il gruppo sottoposto a lipofilling. Colwell A S, Damjanovic B, Zahedi B, Medford-Davis L, Hertl C, Austen W G Jr Retrospective Review of 331 Consecutive Immediate Single-Stage Implant Reconstructions with Acellular Dermal Matrix: Indications, Complications, Trends, and Costs Plastic & Reconstructive Surgery December 2011; 128(6): 1170-1178
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li Autori dell’articolo hanno cercato di valutare l’efficacia della ricostruzione mammaria immediata in un unico tempo con protesi e matrice di derma acellulare (ADM). Per fare ciò hanno compiuto uno studio retrospettivo sulla esperienza di tre chirurghi del Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School confrontando le ricostruzioni mammarie immediate in un unico tempo con protesi e ADM con le ricostruzioni in due tempi con expander senza uso di ADM. 211 Pazienti sono state sottoposte a 331 ricostruzioni immediate con protesi e ADM dopo nipple-sparing (66) o skin-sparing (265) per tumore della mammella (216) o per profilassi (115). Le complicanze che si sono verificate sono state 10 infezioni (3.0%), 5 sieromi (1.5%), 4 ematomi (1.2%), e 30 casi (9.1%) di necrosi cutanea che hanno reso necessarie 5 (1.5%) rimozioni della protesi. Le ricostruzioni in due tempi con expander senza ADM hanno avuto un tasso di complicanze simile. Non è stata osservata differenza di costi tra i due tipi di ricostruzione, in quanto il maggior costo della ADM è compensato dall’assenza del costo del secondo tempo ricostruttivo. Pertanto gli Autori concludono che la ricostruzione mammaria immediata in un unico tempo con protesi e matrice
R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A dall’uso della ADM di tempi ricostruttivi più rapidi. Kim J YS, Davila A A, Persing S, Connor C M, Jovanovic B, Khan S A, Fine N A Meta-Analysis of Human Acellular Dermis and Submuscular Tissue Expander Breast Reconstruction Plastic & Reconstructive Surgery January 2012; 129(1): 28-41
U di derma acellulare offra una efficace e conveniente possibilità ricostruttiva, con un basso tasso di complicanze, e che potrebbe essere il trattamento di scelta in Pazienti selezionate. Una critica importante che deve essere fatta a questo articolo è che il confronto dei tassi di complicanze tra ricostruzioni immediate con protesi e ADM e ricostruzioni in due tempi con expander non avviene su gruppi di pazienti con simili caratteristiche, ma è viziato dal criterio di scelta della tecnica: infatti per le ricostruzioni con protesi e ADM sono state scelte le pazienti con lembi cutanei sani, spessi e ben vascolarizzati, mentre in caso di lembi sottili e mal vascolarizzati è stata scelta la ricostruzione in due tempi con expander. A questo punto confrontare i tassi di complicanze perde gran parte del significato, per la grande differenza delle condizioni iniziali.
n risultato differente è stato ottenuto dagli autori di questo articolo (rispetto a quello sopracitato) dalla valutazione di 48 studi selezionati tra le 901 voci ottenute da una ricerca su medline per il periodo da gennaio 2000 a febbraio 2011. La metanalisi dei lavori ha suggerito che l’uso di ADM aumenta l’incidenza di complicanze (sieroma, infezione, necrosi cutanee) rispetto alla ricostruzione con expander e protesi sottomuscolari senza uso di ADM. Questo deve essere ponderato con i vantaggi riferiti, quali il miglior risultato estetico e la riduzione della contrattura capsulare.
ECOGRAFIA SENOLOGICA RECENSIONE A CURA DI A.M GUERRIERI*, P. BELLI** *Servizio Autonomo di Radiologia ad Indirizzo Senologico - SARIS Centro di Riferimento Regione Puglia - A.O.U. Policlinico di Bari **Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche - Università
Sbitany H, Serletti J M Acellular Dermis-Assisted Prosthetic Breast Reconstruction: A Systematic and Critical Review of Efficacy and Associated Morbidity Plastic & Reconstructive Surgery December 2011; 128(6): 1162-1169
Linda A, Zuiani C, Lorenzon M, Furlan A, Girometti R, Londero V, Bazzocchi M Hyperechoic lesions of the breast: not always benign AJR Am J Roentgenol 2011 May; 196(5): 1219-1224
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n questo articolo (pubblicato sulla stesso numero della rivista del precedente articolo) gli autori (della University of Pennsylvania) hanno effettuato una revisione della letteratura per valutare vantaggi e svantaggi dell’utilizzo della matrice di derma acellulare (ADM) nella ricostruzione mammaria in due tempi con expander e protesi. Dalla revisione dei nove articoli che rientravano nei parametri di questa analisi l’unica differenza riscontrata è stata una maggiore incidenza di formazione di sieroma nel gruppo con ADM (8.4% contro il 4.3%), mentre è stato simile il tasso di infezioni che hanno portato alla rimozione della protesi. Questo ha fatto concludere agli Autori che le due tecniche sono altrettanto valide, con il vantaggio fornito
Cattolica del Sacro Cuore - Roma
ello studio ecografico di una focalità mammaria, la iperecogenicità, risulta essere un segno il cui significato è ancora controverso come emerge dai dati, sia pure su serie limitate, pubblicati in letteratura. Lo scopo di questo studio è stato valutare la frequenza, la presentazione clinica e i reperti di imaging associati, di lesioni maligne della mammella che si presentano come noduli iperecogeni all’esame ecografico. Inoltre gli autori si sono proposti di determinare quali siano le caratteristiche ultrasonografiche in grado di predire la malignità di tali lesioni. Sono state valutate retrospettivamente 4511 biopsie mammarie eco-guidate eseguite dal gennaio 2000 al dicembre 2009 su un totale di 4487 pazienti e sono state identificate le lesioni iperecogene; sono state N. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A definite lesioni iperecogene quelle che mostravano aumento dell’ecogenicità rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo e miste quelle con un’area limitata di componente ipoecogena. Sono stati inoltre considerati i reperti mammografici e di risonanza magnetica correlati e le informazioni cliniche. Le immagini ecografiche sono state valutate secondo il lessico BI-RADS da due radiologi con esperienza in ambito senologico. E’ stata calcolata la frequenza dei carcinomi iperecogeni fra tutti i carcinomi, utilizzando come standard di riferimento i risultati della biopsia dopo escissione chirurgica per valutare le lesioni che dopo la biopsia eco-guidata erano state classificate come maligne o ad alto rischio di malignità e il follow-up a 6-12 mesi per rivalutare le lesioni classificate come benigne. 25 lesioni (0,6% del totale delle lesioni biopsiate) erano iperecogene. Tra le 1849 lesioni maligne, 9 (0,4%) si mostravano iperecogene In definitiva, secondo gli autori, il riscontro di una formazione iperecogena all’esame ecografico non permette di escludere la natura maligna della lesione. In particolare i margini mal definiti (tutte le lesioni maligne e 7 delle 16 lesioni benigne avevano margini sfumati; p = 0.008) e l’orientamento antiparallelo della lesione (6 lesioni maligne su 9 vs.1 lesione benigna su 16; p = 0.003) secondo tale esperienza, rappresentano le caratteristiche ultrasonografiche maggiormente predittive per la malignità delle formazioni iperecogene mammarie; e un ruolo importante riveste la correlazione con altre metodiche di imaging. Kim SM, Kim HH, Kang DK, Shin HJ, Cho N, Park JM, Cha JH Mucocele-Like tumors of the breast as cystic lesions: sonographic-pathologic correlation AJR Am J Roentgenol 2011 Jun;196(6): 1424-1430
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l tumore mucocele- like è considerato una rara lesione benigna della mammella. In questo studio gli Autori hanno valutato le principali caratteristiche radiologiche che permettono di distinguere questo tipo di lesioni nei casi in cui esse siano associate alla iperplasia duttale atipica (ADH) o al carcinoma mammario. A tale scopo 72 tumori tipo mucocele diagnosticati istologicamente in 68 pazienti, in tre differenti dipartimenti, sono stati rivalutati retrospettivamente. In particolare sono stati considerati i reperti mammografici ed ecografici in rapporto alla classificazione BI-RADS e la correlazione di tali reperti con l’esame bioptico. Di queste lesioni, 53 erano caratterizzate, all’esame mammografico, dalla presenza di calcificazioni; in 39 casi esse erano associate alla presenza di una massa, mentre nei restanti 14 casi non vi era
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una massa associata. Le calcificazioni con aspetto intermedio o sospetto per malignità si sono riscontrate con frequenza maggiore nelle lesioni tipo mucocele associate a carcinomi o ad iperplasia duttale atipica piuttosto che nelle lesioni benigne isolate (rispettivamente nel 92,3% e nel 62,9% dei casi; p=0.019). All’esame ecografico la presenza di cisti raggruppate, di sepimentazioni con setti spessi e di masse complesse è stata riscontrata più frequentemente (89,7% dei casi) nelle lesioni tipo mucocele associate ad atipia o malignità rispetto alle lesioni benigne “pure” (32,5% dei casi, con p < 0.001). La classificazione BI-RADS, in base all’esperienza degli Autori, ha un valore predittivo positivo del 13,3% per quanto riguarda la categoria 4 e del 50% per quanto concerne la categoria 5 e può essere utilmente impiegata per la gestione di queste lesioni.
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE RECENSIONE A CURA DI G. MASALA, D. PALLI Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica-ISPO, Firenze.
Petracci E, Decarli A, Schairer C, Pfeiffer RM, Pee D, Masala G, Palli D, Gail MH Risk Factor modification and projections of absolute breast cancer risk J Natl Cancer Inst 2011; 103:1037-48.
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l tumore della mammella è il più frequente nella popolazione femminile dei paesi “sviluppati” ma le possibilità di prevenzione si sono fino ad oggi limitate ai programmi di prevenzione secondaria (screening mammografico con l’obiettivo di ridurre le complicanze e la mortalità specifi-
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ca) perché la maggior parte dei fattori di rischio noti erano sostanzialmente non modificabili. La ricerca epidemiologica ha però più recentemente identificato alcuni fattori di rischio potenzialmente modificabili e si sono così aperti nuovi scenari nella direzione della prevenzione primaria e della riduzione del rischio. Questo lavoro presenta un modello per la stima dell’impatto potenziale di una serie di cambiamenti dello stile di vita nel ridurre il rischio di tumore della mammella. Si tratta dell’estensione di uno studio precedente (Decarli et al. J Natl Cancer Inst , 2006) che aveva validato una versione italiana del modello di Gail (con stime di rischio e tassi di incidenza e mortalità italiani). In questa nuova versione sono stati aggiunti al modello alcuni fattori potenzialmente modificabili a livello individuale quali l’indice di massa corporea o BMI (Body Mass Index), il consumo di alcol e l’attività fisica al di fuori del lavoro, con stime di rischio derivate da uno studio caso-controllo italiano. Il modello è stato applicato in un set di dati indipendenti rappresentato dall’ampia coorte del progetto EPIC Firenze (oltre 10.000 donne residenti nelle province di Firenze e Prato per le quali sono disponibili dati relativi allo stile di vita, alla storia riproduttiva e all’alimentazione al momento dell’arruolamento avvenuto tra il 1993 e il 1998 e che da quella data sono seguite per l’identificazione di nuovi casi di tumore ed altri outcomes). Il modello ha mostrato una buona capacità di predire l’incidenza nei sotto-gruppi di donne (calibrazione: rapporto attesi/osservati 1.10, IC 95% 0.96-1.26) e una capacità di discriminare tra chi svilupperà o meno il tumore analoga a quella di modelli simili (62% al di sopra e 57% al di sotto dei 50 anni di età). La novità di questo lavoro è rappresentata dalla valutazione dell’effetto della riduzione dei fattori potenzialmente modificabili sul rischio assoluto, sia a livello individuale che della popolazione generale e di sottogruppi a rischio elevato. Gli autori si basano su una stima che, in media, nella popola-
zione locale il rischio per una donna di 65 anni di sviluppare un tumore al seno nei 20 anni successivi sia del 6,5% (65 casi ogni 1000 donne, circa 1 caso ogni 15 donne). La modifica dei fattori legati allo stile di vita (non consumare bevande alcoliche, ridurre il BMI a un valore inferiore a 25, ovvero rientrare nella categoria normopeso, e aumentare il livello di attività nel tempo libero ad almeno 2 ore la settimana) potrebbe portare ad una diminuzione del rischio di circa l’1.6%, cioè una riduzione di un quarto del rischio atteso in questa fascia di età. Questa variazione apparentemente modesta a livello individuale, si tradurrebbe a livello di popolazione generale in una riduzione importante del numero dei nuovi casi di tumore (in una popolazione di 1 milione di donne seguite nel tempo si avrebbero 1.600 tumori in meno). Nelle donne della stessa età ma con rischio elevato (per storia familiare positiva o classificate nel decile più alto del punteggio di rischio) la riduzione sarebbe rispettivamente del 3,2% e del 4,1% rispetto all’atteso, quindi un effetto ben più rilevante ma che, data la ridotta numerosità delle donne con queste caratteristiche all’interno della popolazione generale, si tradurrebbe in una riduzione del numero assoluto dei nuovi casi molto inferiore allo scenario precedente. Queste stime, anche se devono essere considerate in parte ottimistiche poiché assumono il raggiungimento delle modifiche più favorevoli e un impatto immediato e di lunga durata sul rischio di neoplasia, indicano come anche modesti cambiamenti a livello individuale si possano tradurre in vantaggi rilevanti a livello della popolazione generale. Va inoltre considerato l’impatto che questi interventi possono avere su una più ampia gamma di patologie croniche che condividono gli stessi fattori di rischio. Sarebbe quindi utile, come fa notare anche l’editoriale di accompagnamento, che venissero sviluppati modelli che tengano conto di outcomes multipli per valutare meglio le diverse strategie possibili. In un’ottica di sanità pubblica, questo approccio consentirebbe di fornire una visione più ampia e integrata dei benefici sulla salute ottenibili con una efficace strategia di prevenzione primaria, e quindi influenzare positivamente la motivazione al cambiamento. Cuzick J, Warwick J, Pinney E, Duffy SW, Cawthorn S, Howel A, Forbes JF, Warren RM Tamoxifen-induced reductio in mammographic density and breast cancer reduction: a nested case-control study J Natl Cancer Inst 2011; 103:744-752
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uzick et al. hanno condotto un caso controllo nested nell’ambito di un trial di chemio-prevenzione disegnato N. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A per valutare l’effetto del Tamoxifene nel prevenire la comparsa del tumore mammario in donne a rischio elevato. Nello studio IBIS 1 sono state randomizzate oltre 7.000 donne a tamoxifene o placebo per 5 anni. L’analisi più recente, basata su un follow up mediano di 8 anni, ha evidenziato che il tamoxifene riduceva del 34% il rischio di tumori estrogeno-positivi ma non aveva effetto sui tumori estrogenonegativi (Cuzick et al J Natl Cancer Inst, 2007). Precedenti osservazioni in questo ed altri studi randomizzati avevano evidenziato una diminuzione della densità mammografica nelle donne trattate. Proprio per valutare la relazione tra riduzione della densità mammografia e diminuzione dell’incidenza di tumore, sono state identificate 123 donne con tumore diagnosticato durante il follow up mammografico e 924 donne di controllo (non diagnosticate con tumore nello stesso periodo di tempo). Le mammografie eseguite al baseline e a 12-18 mesi sono state recuperate, è stata stimata la densità espressa in percentuale dell’area totale e calcolato il cambiamento intercorso tra baseline e follow up. In generale, i casi avevano più frequentemente una densità elevata (densità > 50%) al baseline (53% dei casi e 46% dei controlli) e in genere hanno mostrato una minore riduzione percentuale della densità nei primi 12-18 mesi dello studio. I risultati più interessanti erano legati alle analisi in dettaglio del braccio randomizzato a tamoxifene: un gruppo di donne (circa il 46% delle trattate) avevano una riduzione della densità mammografica superiore al 10% e allo stesso tempo una riduzione del 63% del rischio di sviluppare il tumore in confronto alle donne randomizzate a placebo, mentre le altre donne trattate con tamoxifene che però non avevano avuto una riduzione della densità presentavano un rischio simile a quello del gruppo placebo. Non è stata riscontrata nessuna differenza significativa nella compliance al trattamento nelle donne con maggiore o minore riduzione della densità e quindi è improbabile che le differenze di rischio osservate siano da attribuire a questo aspetto. Considerando che il rischio assoluto di sviluppare il tumore osservato a 10 anni nel braccio placebo dello studio IBIS 1 era di 6.4%, e che la riduzione del rischio per le donne trattate nelle quali si era verificata la riduzione del 10% di densità era del 63%, gli autori stimavano in questo gruppo di donne una riduzione del rischio assoluto del 4%. E’ ormai documentato ampiamente che l’elevata densità mammografia è associata positivamente al rischio di tumore della mammella e il rischio attrìbuibile stimato per questa caratteristica è superiore a quello della maggior parte dei fattori di rischio noti per questo tumore. L’associazione della densità mammografica con il rischio di tumore, insieme 36
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all’osservazione che la densità è potenzialmente modificabile da fattori che a loro volta modulano il rischio di tumore, contribuiscono a farne una candidata al ruolo di marcatore affidabile del rischio di tumore. Al momento, tuttavia, mancano dati certi che indichino che la riduzione della densità mammografia predica effettivamente una riduzione nel rischio di tumore e che la riduzione del rischio sia maggiore nei soggetti nei quali si ottiene una maggiore riduzione di questo parametro. Un altro aspetto da ricordare è la difficoltà di ottenere stime accurate e riproducibili della densità come evidenziato anche nell’articolo. Tuttavia questo lavoro, fornisce alcuni elementi a supporto della possibilità di utilizzare la densità come possibile marcatore intermedio non solo nell’ambito degli studi di chemio-prevenzione (o “terapia preventiva” secondo una recente definizione)ma anche negli studi di intervento volti alla modifica dello stile di vita.
GENETICA RECENSIONE A CURA DI M.L. BRANDI Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Firenze
Calvo V and Beato M. BRCA1 counteracts progesterone action by ubiquination leading to progesterone receptor degradation and epigenetic silencing of target promoters Cancer Res 71(9): 3422-3430, 2011.
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e mutazioni germinali del gene oncosoppressore BRCA1 conferiscono alle donne portatrici un rischio dell’80-85% di sviluppare un tumore mammario e del 54% di sviluppare un carcinoma dell’utero nel corso della loro vita. Una delle ipotesi più accreditate per spiegare la
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tessuto-specificità dei tumori BRCA1-dipendenti è quella che propone un ruolo del gene BRCA1 nella regolazione dell’attività degli ormoni ovarici, estrogeni e progesterone, sui loro organi bersaglio. E’ stato dimostrato che BRCA1 inibisce l’attività del recettore estrogenico e, più recentemente, anche del recettore progestinico (PR). Questo lavoro di Calvo et al. conferma l’inibizione del gene BRCA1 sul recettore progestinico, evidenziando che BRCA1 regola l’attività trascrizionale di PR attraverso la sua attività di ubiquitina ligasi E3 attraverso un meccanismo proteasoma-dipendente ed un meccanismo proteasoma-indipendente. Queste scoperte confermano ulteriormente che vi sia una connessione funzionale tra il gene BRCA1 e l’attività di PR nelle cellule di carcinoma mammario, che potrebbe contribuire a spiegare la particolare suscettibilità al tumore mammario delle donne portatrici di una mutazione sul gene BRCA1. La perdita della funzionalità del gene BRCA1, conseguente alla mutazione, risulta in un accumulo della proteina PR ed in un’aumentata attivazione dei promotori bersaglio di PR. Una delle ragioni della tessuto-specificità associata ai tumori BRCA1-dipendenti è quindi la perdita dell’inibizione dell’azione del progesterone che perciò rappresenta uno dei più importanti ormoni che regola la biologia della ghiandola mammaria. Quale potrebbe essere l’implicazione biologica del legame BRCA1-PR nella ghiandola mammaria? Il progesterone, assieme ad altri fattori, regola lo sviluppo della ghiandola mammaria. E’ stata ipotizzata l’esistenza di cellule staminali progenitrici PR-positive che potrebbero rispondere al progesterone rilasciando fattori di crescita paracrini che vanno ad agire sulle cellule mammarie negative per i recettori degli ormoni steroidei ed inducendo così la loro proliferazione. In uno scenario di BRCA1 mutato, le cellule positive ai recettori per gli ormoni steroidei potrebbero rispondere esageratamente agli ormoni ovarici rilasciando fattori di crescita paracrini e questo comporterebbe un’aumentata
proliferazione delle circostanti cellule recettori-negative esponendo così anche queste cellule al rischio proliferativo e tumorale dovuto alla perdita funzionale di BRCA1. Sono proprio queste cellule recettore-negative che oggi vengono considerate i possibili candidati per l’avvio della crescita tumorale nel tumore mammario. Questa ipotesi sembrerebbe confermata anche dal fatto che la perdita del gene Brca1 conferisce un’esagerata crescita progesterone-dipendente della ghiandola mammaria nei topi femmina adulti. Quindi nei soggetti portatori di mutazione BRCA1 si può ipotizzare un effetto protettivo dell’ovariectomia sullo sviluppo del carcinoma mammario, dovuto all’eliminazione dei segnali proliferativi paracrini progesterone- o estrogeno-dipendenti. Bibliografia 1. Ma Y et al. The breast cancer susceptibility gene BRCA1 regulates progesteron receptor signaling in mammary epithelial cells. Mol Endocrinol 20: 14-34, 2006. 2. Katiyar P et al. Mechanism of BRCA1-mediated inhibition of progesterone receptor transcriptional activity. Mol Endocrinol 23: 1135-46,2009. 3. Hu Y. BRCA1, hormone, and tissue-specific tumor suppression. Int J Biol Sci: 5(1):20-27, 2009.
IMMUNOLOGIA RECENSIONE A CURA DI A. BALSARI SC Biologia Molecolare, Dip. Di Oncologia Sperimentale, Fondazione IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
UI 21866172 AU Zlotnik A. Burkhardt AM. Homey B. TI Homeostatic chemokine receptors and organ-specific metastasis. SO Nature Reviews. Immunology. 11(9):597-606, 2011.
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ra le diverse funzioni delle chemochine, una famiglia di 48 ligandi, la capacità di indurre migrazione cellulare è la meglio caratterizzata. Questa funzione è nota per essere fondamentale per un corretto funzionamento del sistema immunitario. Da alcuni anni, è stato dimostrata la presenza di recettori per chemochine anche sulle cellule tumorali, e come questi recettori siano implicati nel processo di metastatizzazione indirizzando la cellula metastatica ai diverN. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A si organi. Sulla base di queste osservazioni si è valutato in modelli sperimentali l’attività anti-metastatica di molecole o anticorpi in grado di bloccare i recettori delle chemochine, in particolare si sono utilizzati farmaci in grado di bloccare i recettori CXCR4 e CCR7. Nella presente review vengono riportati i risultati di questi studi, che hanno evidenziato come gli antagonisti dei recettori per le chemochine svolgano attività antimetastatica, e viene prospettato un loro imminente impiego nel paziente oncologico. UI 21670311 AU Capietto AH. Martinet L. Fournie JJ. TI Stimulated gammadelta T cells increase the in vivo efficacy of trastuzumab in HER-2 [SUPERSCRIPT PLUS SIGN] breast cancer. SO Journal of Immunology. 187(2):1031-8, 2011 Jul 15
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ra i molteplici meccanismi di azione del trastuzumab, l’induzione di una citotossicità anticorpo dipendente (ADCC) ha sicuramente un ruolo rilevante, da qui l’importanza di attivare le varie sottopopolazioni cellulari che mediano ADCC in modo da incrementare l’attività terapeutica di questo anticorpo. Nei linfomi B si e visto che l’attivazione dei linfociti T gammadelta, cellule in grado di mediare ADCC, via fosfoantigeni, determina un incremento dell’attività terapeutica degli anticorpi. Nel presente studio viene ipotizzato un possibile futuro utilizzo di attivatori dei linfociti gamma-delta in associazione a trastuzumab in pazienti con carcinoma mammario, in quanto si evidenzia la presenza di questi linfociti nell’infiltrato tumorale di 27 su 30 carcinomi umani e viene dimostrato in un modello sperimentale di carcinoma mammario HER+ xenotrapiantato, come la combinazione trastuzumab/linfociti gamma-delta stimolati da fosfoantigeni determini un incremento dell’attività antitumorale del trastuzumab. UI 21427357 ST MEDLINE AU Cai Z. Sanchez A. Shi Z. Zhang T. Liu M. Zhang D. TI Activation of Toll-like receptor 5 on breast cancer cells by flagellin suppresses cell proliferation and tumor growth. SO Cancer Research. 71(7):2466-75, 2011 Apr 1.
lare la risposta immune anti-tumorale, ma anche attraverso la loro capacità di modulare il microambiente tumorale quando questi recettori sono espressi e attivati direttamente sulla cellula tumorale. Questo studio, in particolare, dimostra come il recettore TLR5 sia espresso in un’alta percentuale di carcinomi mammari umani, in particolare nel sottotipo duttale invasivo (IDC), e come la sua attivazione mediante trattamento con lo specifico ligando, la flagellina batterica, in linee di carcinoma mammario in vitro possa inibire la proliferazione cellulare e la crescita dipendente da ancoraggio mediante secrezione di fattori solubili inibitori capaci di agire in maniera autocrina. Inoltre, si dimostra come il trattamento con flagellina sia in grado di inibire la crescita di tumori mammari in topi atimici, senza evidenti segni di tossicità e favorendo il rilascio di fattori pro-infiammatori dalla cellula tumorale capaci di indurre un richiamo di leucociti neutrofili. L’attivazione del TLR5 potrebbe rappresentare pertanto un nuovo bersaglio terapeutico per la terapia del carcinoma mammario.
LABORATORIO RECENSIONE A CURA DI M. GION*, M.G. DAIDONE**, M. DE BORTOLI***, A. PARADISO**** * Centro Regionale Specializzato Biomarcatori/Consorzio Istituto Oncologico Veneto IRCCS - Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda ULSS 12 - Venezia ** Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare
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tudi recenti dimostrano che i recettori Toll like, recettori chiave per l’attivazione della risposta immune verso microorganismi patogeni, giocano un ruolo nella tumorigenesi. Tale attività sembra esplicarsi in seguito alla loro attivazione su cellule del sistema immunitario in grado di control38
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Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano *** Centro Interdipartimentale Sistemi Complessi in Biologia e Medicina Molecolare SysBioM - Università degli Studi di Torino **** Direzione Scientifica e Unità Operativa Laboratorio di Oncologia Sperimentale Clinica - Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” IRCCS - Bari
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BIOMARCATORI DI MECCANISMO Mego M, Mani SA, Cristofanilli M Molecular mechanisms of metastasis in breast cancer-clinical applications Nat Rev Clin Oncol 2010; 7(12):693-701 Swaby RF, Cristofanilli M Circulating tumor cells in breast cancer: a tool whose time has come of age BMC Med 2011; 21(9):43
Cellule tumorali circolanti: contarle o caratterizzarle?
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e cellule tumorali circolanti (CTC) sono cellule di origine epiteliale provenienti dallo spreading nel circolo sanguigno di cellule tumorali da lesioni sia primitive che metastatiche. Attualmente, nonostante gli avanzamenti in ambito biotecnologico e ingegneristico abbiano permesso l’identificazione e la caratterizzazione molecolare delle CTC, non è ancora possibile rilevare singole CTC con le attuali tecnologie di imaging ad alta risoluzione. Il tumore della mammella ha rappresentato il fulcro dell’attività scientifica internazionale sulle CTC in quanto è ampiamente accettato che la disseminazione precoce di cellule tumorali a livello ematico giochi un ruolo importante in questa neoplasia (Husemann et al, 2008). Queste cellule, importanti ma rare, vengono solitamente identificate e catturate dal sangue periferico attraverso metodiche che sfruttano le caratteristiche morfologiche e fisiche (dimensione e densità) e/o l’espressione di marcatori del lineage epiteliale (citocheratine, EpCAM), l’assenza dell’antigene comune leucocitario CD45, la presenza di putativi antigeni tumorespecifici (ad esempio MUC1 ed HER2), le caratteristiche citologiche (es. rapporto nucleo/citoplasma). Possiamo pertanto definire le CTC come cellule presenti nel
circolo sanguigno che esprimono caratteristiche antigeniche e/o genetiche specifiche di un certo tipo di tumore (Harris et al, 2007). Considerata la rarità delle CTC rispetto a tutte le altre cellule ematiche e la loro eterogeneità a livello citologico, citogenetico, trascrizionale e funzionale, le conoscenze biologiche e cliniche su queste cellule dipendono fortemente dai sistemi di pre-arricchimento e rilevamento utilizzati, i quali sono inevitabilmente soggetti a bias di selezione. Questo significa che ai problemi di specificità tecnica si aggiungono problemi di specificità biologica, ragion per cui la definizione di CTC dipenderà sempre dal metodo di arricchimento/rilevamento utilizzato. Recentemente Mego et al. hanno spiegato come il ruolo delle CTC nel fallimento dei trattamenti e nella progressione tumorale sia legato a specifici processi biologici cui cellule più aggressive vanno incontro, quali la transizione epiteliomesenchimale (EMT) e la capacità di ripopolare il sito tumorale o i siti metastatici (“self-seeding”). Le cellule tumorali attivano un programma di transdifferenziamento, caratterizzato dalla perdita dei contatti cellula-cellula e dall’acquisizione di un fenotipo mesenchimale, che ne aumenta la motilità e il potenziale invasivo. Dunque, per definizione, la EMT è necessariamente coinvolta nella generazione delle CTC, probabilmente le più adatte alla colonizzazione di siti distanti se si considera l’associazione causale tra EMT e le caratteristiche di staminalità che contraddistinguono le tumor-initiating cells (Mani et al, 2008). Osservazioni precliniche e cliniche suggeriscono che esiste un continuum durante l’acquisizione del fenotipo CTC che ci porta a collocarle all’interno di uno spazio virtuale delimitato dal fenotipo epiteliale e da quello mesenchimale, e che comprende varie sottopopolazioni di CTC che esprimono, sia antigeni epiteliali che antigeni mesenchimali. A supporto di questo modello, è stata dimostrata l’esistenza di un fenotipo EMT parziale, che tradotto in termini operativi indica che CTC esprimenti marcatori di EMT (Twist1, PI3Kα, Akt-2) e di staminalità (ALDH1) sono rilevabili in pazienti con tumore della mammella in fase avanzata attraverso metodi di arricchimento immunomagnetici basati sull’espressione di EpCAM e Muc-1 (Atkas et al, 2009). Questa eterogeneità nella popolazione di CTC suggerisce ancora una volta che il loro valore come biomarcatore dipende fortemente dal metodo di rilevazione utilizzato. Pertanto, considerate le potenziali applicazioni cliniche offerte dallo studio delle CTC, sono necessari metodi di rilevamento standardizzati e cross-validati tra differenti laboratori. Inoltre, si dovrebbe dimostrare attraverso modelli murini l’effettiva capacità delle cellule selezionate nel formare un tumore in quanto, in funzione della loro eterogeneità, N. 64 - 2012
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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A non tutte saranno in grado di sopravvivere all’ambiente circostante ostile e di insediarsi in un nuovo tessuto. La maggioranza degli studi clinici finora pubblicati si basa sulla quantificazione delle CTC e, solo recentemente, sono comparsi i primi lavori riguardanti la loro caratterizzazione molecolare. Le CTC possono essere rilevanti nel processo metastatico e nella progressione del tumore alla mammella e fluttuazioni nel loro numero si associano a ripresa e progressione di malattia. È stato dimostrato come il numero di CTC determinato prima del trattamento e alla prima visita di follow-up rappresenti in pazienti con tumore della mammella metastatico un fattore prognostico di sopravvivenza globale e libera da progressione; rappresenta inoltre un fattore indipendente e superiore al tumor burden misurato attraverso l’indice di Swenerton o al dosaggio di marcatori serici (Cristofanilli et al, 2004). Inoltre, variazioni di numero possono predire anticipatamente la progressione rispetto ai metodi strumentali di imaging (De Giorgi et al, 2009) e la prognosi al primo follow-up, accanto ad una risposta funzionale saggiata attraverso FDG-PET e/o CT (Budd et al, 2006). Le CTC costituiscono, perciò, una “biopsia liquida” non invasiva che permette di fotografare in tempo reale la progressione della malattia in pazienti sottoposte ai trattamenti convenzionali, mentre risulta ancora poco chiaro il valore prognostico delle CTC in pazienti metastatiche sottoposte a terapia biologica (Bidard et al, 2010; Giordano et al, 2010). Tuttavia, la vera sfida è rappresentata dalla possibilità di monitorare le CTC in pazienti con tumore della mammella in fase precoce. É stato dimostrato come la presenza delle CTC rilevate prima di iniziare la terapia neoadiuvante rappresenti un fattore prognostico indipendente di sopravvivenza globale o libera da metastasi, mentre la loro presenza dopo la chemioterapia sembrerebbe essere poco informativa (Pierga et al, 2008; Bidard et al, 2010). Le CTC rappresentano anche un sensore della plasticità tumorale in quanto biomarcatori valutati nelle CTC sembrano più informativi rispetto ai biomarcatori valutati nel tumore primitivo, come nel caso di pazienti con CTC Her-2 positive responsive al trattamento con Herceptin malgrado il tumore primitivo fosse Her-2 negativo (Meng et al, 2004). Sono necessari trial prospettici per la validazione clinica di questi risultati, e alcuni dei quali sono attualmente in corso allo scopo di determinare il valore predittivo delle CTC nella decisione terapeutica e/o l’espressione in tali cellule di marcatori “druggable”. Lo studio della malattia circolante apre una nuova finestra sulla biologia del cancro e può avere forti implicazioni a livello traslazionale, per quanto riguarda la predizione sia del decorso clinico sia della risposta al trattamento, come pure 40
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per la possibilità di individuare nuovi bersagli molecolari per il disegno di terapie personalizzate. La caratterizzazione molecolare delle CTC, molto più che la loro enumerazione, potrebbe avere un impatto sulle attuali conoscenze riguardanti il processo di metastatizzazione e l’effettiva presenza in circolo di cellule con caratteristiche di staminalità, le tumorinitiating cells. Il profilo di espressione genica delle CTC potrebbe essere infatti più informativo rispetto a quello del tumore primitivo, e se adeguatamente rilevabile e validato, potrebbero rappresentare un marker surrogato di prognosi, di risposta al trattamento e per il monitoraggio individualizzato dell’efficacia del trattamento. Il concetto che le CTC possano rappresentare i precursori delle metastasi, un volta validato con studi prospettici indipendenti, potrebbe contribuire a integrare le attuali strategie cliniche per il rilevamento precoce di metastasi clinicamente occulte, non dimenticando tuttavia l’importanza di considerare in maniera adeguata e possibilmente migliorare l’efficacia del metodo di selezione utilizzato. Referenze Aktas B, Tewes M, Fehm T et al Stem cell and epithelial-mesenchymal transition markers are frequently overexpressed in circulating tumor cells of metastatic breast cancer patients Breast Cancer Res 2009; 11(4):R46 Bidard FC, Mathiot C, Degeorges A et al Clinical value of circulating endothelial cells and circulating tumor cells in metastatic breast cancer patients treated first line with bevacizumab and chemotherapy Ann Oncol 2010; 21(9):1765-1771 Bidard FC, Mathiot C, Delaloge S et al Single circulating tumor cell detection and overall survival in non metastatic breast cancer Ann Oncol 2010; 21(4):729-733
R A S S E G N A D E L L A L E T T E R AT U R A Cell 2008; 16;133(4):704-715 Meng S, Tripathy D, Shete S et al HER-2 gene amplification can be acquired as breast cancer progresses Proc Natl Acad Sci U S A 2004; 101(25):9393-9398 Pierga JY, Bidard FC, Mathiot C et al Circulating tumor cell detection predicts early metastatic relapse after neoadjuvant chemotherapy in large operable and locally advanced breast cancer in a phase II randomized trial Clin Cancer Res 2008; 14(21):7004-7010 Budd GT, Cristofanilli M, Ellis MJ et al Circulating tumor cells versus imaging-predicting overall survival in metastatic breast cancer Clin Cancer Res 2006; 12(21):6403-6409 Cristofanilli M, Budd GT, Ellis MJ et al Circulating tumor cells, disease progression, and survival in metastatic breast cancer N Engl J Med 2004; 19;351(8):781-791 De Giorgi U, Valero V, Rohren E et al Circulating tumor cells and [18F]fluorodeoxyglucose positron emission tomography/computed tomography for outcome prediction in metastatic breast cancer J Clin Oncol 2009; 27(20):3303-3311
Altri articoli interessanti: BIOMARCATORI DI ESTENSIONE Sandri MT, Salvatici M, Botteri E et al Prognostic role of CA15.3 in 7942 patients with operable breast cancer Breast Cancer Res Treat 2011 Nov 9 [Epub ahead of print] BIOMARCATORI DI RISCHIO Farhat GN, Cummings SR, Chlebowski RT et al Sex hormone levels and risks of estrogen receptor-negative and estrogen receptor- positive breast cancers J Natl Cancer Inst 2011; 103(7):562-570
Giordano A, Giuliano M, Hsu L, et al Prognostic value of circulating tumor cells (CTC) in metastatic breast cancer (MBC): correlation with immunohistochemically defined molecular subtypes and metastatic disease sites J Clin Oncol 2010; 28:114s
PATOLOGIA BENIGNA
Harris L, Fritsche H, Mennel R et al American Society of Clinical Oncology 2007 update of recommendations for the use of tumor markers in breast cancer. J Clin Oncol 2007; 25(33):5287-5312
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RECENSIONE A CURA DI A. PLUCHINOTTA E B. GNOCATO UF Senologia Chirurgica - Chirurgia Mammaria Radioguidata Policlinico Abano Terme (PD)
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Li CC, Fu JP, Chang SC, Chen TM, Chen SG Surgical Treatment of Gynecomastia: Complications and Outcomes Ann Plast Surg 2011; Jun 27
Mani SA, Guo W, Liao MJ et al The epithelial-mesenchymal transition generates cells with properties of stem cells
Al-Allak A, Govindarajulu S, Shere M, Ibrahim N, Sahu AK, Cawthorn SJ Gynaecomastia: A decade of experience N. 64 - 2012
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ispetto a pochi anni orsono la gestione clinica della ginecomastia si è evoluta soprattutto su due aspetti. Innanzitutto sono aumentate le osservazioni di ginecomastia secondaria al maggior uso di preparati ormonali per il trattamento delle neoplasie prostatiche, soprattutto la bicalutamide. La loro somministrazione prolungata si accompagna talora alla necessità di controllare non tanto gli aspetti estetici quanto i sintomi dolorosi. Poiché le terapie sul dolore hanno maggiore effetto nella fase proliferativa iniziale, in molti casi conclamati occorre agire preventivamente con farmaci di contrasto (tamoxifene più che inibitori dell’aromatasi) o, più raramente, con una blanda radioterapia. Per quanto riguarda invece il trattamento della ginecomastia primaria, esso è ancor più richiesto per motivazioni estetiche e inevitabilmente con maggiori aspettative di risultati ottimali. Di fatto la ginecomastia è divenuta dominio quasi esclusivo dei chirurghi plastici anche per la necessità di integrare il trattamento chirurgico con tecniche di rifinitura come la liposuzione. Il lavoro di Rahmani e coll. si sofferma soprattutto sugli aspetti medici della ginecomastia rilevando ancora una volta come essa sia idiopatica nella stragrande maggioranza dei casi, mentre solo pochi casi isolati sono riconducibili ad un alterato rapporto tra livelli tissutali di estrogeni/androgeni e alla risposta di rimando degli organi bersaglio. L’inquadramento diagnostico deve essere individualizzato secondo un algoritmo investigativo da loro proposto, orientato soprattutto ad escludere fattori eziologici significativi, mentre il trattamento deve mirare a un controllo dei sintomi solamente nei casi in cui vi sia un disturbo psicologico. Infine gli Aa. sottolineano come la risposta alla terapia ormonale si verifica in un terzo dei casi e solo in fase proliferativa acuta, mentre non vi è vantaggio nei casi cronici stabilizzati. Li e coll. si occupano principalmente delle diverse opzioni chirurgiche basandosi sull’esperienza decennale raccolta retrospettivamente in 41 pazienti. I dati vengono analizzati per stadio e tecnica chirurgica usata singolarmente (quasi sempre mastectomia sottocutanea, raramente solo liposuzione) o associata ad altre tecniche (generalmente mastectomia seguita da liposuzione di rifinitura). Il grado di soddisfazione è stato registrato con un questionario di autovalutazione. I migliori risultati sono stati ottenuti nei gradi IIb (allargamento moderato con minimo eccesso di cute) e III (pelle ridondante e aspetto pendulo) con la mastectomia sottocutanea skin sparing associata ad una successiva liposuzione ecoguidata. In tutti i casi considerati la necessità di effettuare una revisione chirurgica si è verificata nel 4.8% dei casi. 42
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Partendo da una scala da 1 a 10, il livello medio di soddisfazione è stato 9.4, e il livello di self confidence 9.2. Al-Allak e coll. si soffermano soprattutto sulle ginecomastie idiopatiche giovanili. Più di altri ribadiscono la necessità di un supporto psicologico che, soprattutto nei giovani, riesce ad evitare l’intervento nella maggior parte dei casi. Una considerazione finale. La patologia della mammella maschile in quanto clinicamente saltuaria viene inevitabilmente poco considerata. Ciò si verifica anche per altre patologie organiche o più semplicemente funzionali, più frequenti ma considerate minori come ad esempio il dolore mammario. La loro limitata considerazione favorisce la formulazione di risposte generiche se non superficiali, non sempre all’altezza dello importanza anche solo psicologica attribuita loro dal diretto interessato. E’ pur vero che di fatto è soprattutto la patologia neoplastica maggiore a necessitare di continui aggiornamenti (anche sulla comunicazione) e correzioni di linea avvalendosi in larga parte della letteratura scientifica e della discussione congressuale. E’ altrettanto vero che in letteratura le segnalazioni di patologia benigna sono sporadiche e talora in contrasto tra loro. Da qui la necessità di fare riferimento a testi che riescano ad essere esaustivi con una panoramica dello stato dell’arte non facilmente ricostruibile dalla ricerca online. Segnaliamo a tal proposito Mansel RE, Webster DJT, Sweetland HM Benign Disorders and Diseases of the Breast Saunders-Elsevier, Third ed., 2009
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erza edizione dello “Hughes, Mansel & Webster’s”, unica monografia sulla patologia benigna, che riesce a soddisfare le molte domande relative a questa figlia di un dio minore che si affaccia spesso nella nostra pratica quotidiana. Ampia trattazione degli argomenti (25 pagine sul dolore sono giustificate dal fatto che tale sintomo è comunque quello più frequente nella pratica clinica ambulatoriale) con key points di sintesi critica e indicazioni terapeutiche basate
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su un razionale di risposte attese. Infine un capitolo sulla pratica chirurgica minore (accessi ottimali, accorgimenti sui prelievi, escissione selettiva dei dotti etc… ) per lo più data per scontata e forse per questo meno reperibile sugli altri testi. Sanguinetti A, Fioriti L, Brugia M et al Juvenile papillomatosis of the breast in young male: a case report G Chir 2011; 32(8-9): 374-375
QUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI
RECENSIONE A CURA DI A. COLA E G. MARTINO METIS Centro Studi in Oncologia, Formazione e Terapia - Milano
Zendejas B, Moriarty JP, O’Byrne J, Degnim AC, Farley DR, Boughey JC Cost-effectiveness of contralateral prophylactic mastectomy versus routine surveillance in patients with unilateral breast cancer Journal of Clinical Oncology 2011 Aug 1.; 29(22): 2993-3000 ABSTRACT a mastectomia controlaterale profilattica (CPM) in donne con cancro al seno unilaterale sono in aumento nonostante non sia chiaro se questa pratica porta dei vantaggi in termini di sopravvivenza. Questo studio valuta il rapporto costi/benefici tra CPM e il normale follow-up come strategia di controllo del seno controlaterale. La valutazione è stata fatta prendendo come campione una donna con rischio medio di re-
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cidiva. I risultati dello studio evidenziano che dai 45 ai 70 anni i costi tra le due strategie sono simili ma la qualità di vita è superiore nel gruppo CPM. Dopo i 70 il rapporto costi/benefici si inverte. Lo studio evidenzia anche che per prevenire un tumore al seno controlaterale bisogna eseguire 6 mastectomie profilattiche. Ganz PA, Kwan L, Stanton AL, Bower JE, Belin TR Physical and psychosocial recovery in the year after primary treatment of breast cancer Journal of Clinical Oncology 2011 Mar 20; 29(9):11011109 ABSTRACT al 2000 la chemioterapia viene consigliata a tutte le donne con cancro al seno più grande di 1 cm. Gli studi dimostrano anche che la chemioterapia ha un impatto negativo sulla qualità di vita delle donne anche a anni di distanza. Questo studio vuole capire se esistono interventi di supporto riabilitativo e psicosociale che possono limitare questi disturbi. Nello studio sono state coinvolte 558 donne operate per cancro al seno che hanno partecipato ad un programma di recupero psicoeducazionale: Moving Beyond Cancer (MBC). Le donne sono state controllate do 2, 6 e 12 mesi dal primo intervento. I risultati hanno evidenziato che sia il gruppo che aveva fatto chemioterapia che il gruppo senza hanno avuto un netto miglioramento in tutti gli indici controllati. Le donne che hanno fatto chemio hanno però dimostrato di avere una percentuale di sintomi significativamente superiore in termini di dolore muscolo-scheletrico, disturbi vaginali, problemi di peso e nausea che persistono anche al controllo a 12 mesi. Aerts PD, De Vries J, Van der Steeg AF,. Roukema JA The relationship between morbidity after axillary surgery and long-term quality of life in breast cancer pa-
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tients: the role of anxiety European Journal of Surgical Oncology 2011 Apr 37(4): 344-349 ABSTRACT uesto studio vuole capire quali sono le limitazioni alle attività quotidiane che le donne operate per cancro al seno si auto impongono a seconda del tipo di chirurgia ascellare a cui sono state sottoposte: 1. solo linfonodo sentinella (51 pz.); 2. linfonodo sentinella e successiva dissezione ascellare (25); 3. dissezione ascellare (13). Anche se i risultati non hanno evidenziato differenze all’esame fisiatrico si è visto che le donne del terzo gruppo lamentavano maggiori sintomi e limitazione nelle attività quotidiane e che si imponevano maggiori restrizioni. Esiste una discrepanza tra la sensazione soggettiva della donna e la misurazione fisiatrica. L’ansia e le correlate limitazioni auto imposte sono quindi molto importanti per capire come la qualità di vita futura delle donne dopo intervento al seno potrà subire delle limitazioni.
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RADIOTERAPIA RECENSIONI A CURA DI L. LOZZA SC RT1 Radioterapia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano Motwani SB, Goyal S, Moran MS, Chhabra A, Haffty BG Ductal carcinoma in situ treated with breast-conserving surgery and radiotherapy: a comparison with ECOG study 5194 Cancer 2011; 117: 1156-1162 44
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egli ultimi trenta anni la diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS) è notevolmente aumentaN ta, dal 2-3% al 30%, grazie soprattutto allo screening mammografico. La sopravvivenza a dieci anni supera il 98%, indipendentemente dalle scelte terapeutiche (mastectomia, chirurgia conservativa, chirurgia conservativa seguita da radioterapia), talora localmente più aggressive che per forme infiltranti. Infatti, alcuni aspetti del trattamento del DCIS sono ancora controversi, stante l’eterogeneità delle presentazioni cliniche e delle caratteristiche patologiche e biologiche della malattia. Diversi trials randomizzati hanno dimostrato che la radioterapia (RT) dopo chirurgia conservativa riduce il rischio di recidiva locale del 50-60%, con risultato cosmetico soddisfacente e bassa incidenza di effetti collaterali. Il beneficio assoluto della RT erogata sull’intera mammella potrebbe essere però meno evidente in sottogruppi di DCIS caratterizzati da fattori prognostici più favorevoli (età più avanzata, negatività dei margini di resezione, basso grading). E’ continuo l’interesse ad individuare sottogruppi di pazienti alle quali offrire il programma terapeutico “minimo”. L’omissione della RT è stata pertanto oggetto di studi prospettici e retrospettivi: l’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) ha condotto uno studio prospettico (il 5194) su pazienti trattate con chirurgia conservativa senza radioterapia adiuvante per DCIS di grado basso-intermedio (LIG) di dimensioni 0.32.5 cm con margini negativi ≥ 3 mm e di grado elevato (HG) di dimensioni 0.3- 1 cm, margini negativi ≥ 3 mm. Ad un follow up mediano di 6 anni il tasso di recidive locali a 5 e 7 anni per il gruppo LIG fu del 6.1% e
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10.5% e nel gruppo HG del 15.3% e 18% rispettivamente. Nello studio non era previsto alcun braccio di controllo con pazienti assegnate anche al trattamento radiante. Gli Autori di questo lavoro hanno identificato 263 pazienti, trattate negli anni 1980-2009, con caratteristiche sovrapponibili a quelle reclutate nello studio ECOG 5194, 196 LIG e 67 HG. Tutte le pazienti ricevettero una radioterapia con frazionamento convenzionale sull’intera mammella (50 Gy + boost di 10-16 Gy). Ad un follow up mediano di 7 anni si osservarono recidive locali nell’1.5% e 4.4% nel gruppo LIG, del 2% e 2% nel gruppo HG, rispettivamente a 5 e 7 anni. La RT dopo chirurgia consente un elevato controllo locale, riducendo il rischio di recidiva locale del 70% in entrambe i gruppi analizzati. Goyal S, Vicini F, Beitsch PD et al Ductal carcinoma in situ treated with breast-conserving surgery and accelerated partial breast irradiation Cancer 2011; 117: 1149-1155 Park SS, Grills IS, Chen PY et al Accelerated partial breast irradiation for pure ductal carcinoma in situ Int J Radiation Oncology Biol Phys 2011; 81: 403408
Il suo principale obiettivo è l’erogazione in tempi brevi di una dose di radiazioni omogenea e biologicamente equivalente allo standard su un volume ghiandolare ridotto. L’efficacia della PBI nel trattamento del DCIS è analizzata in pochi lavori i cui dati, non conclusivi, sono di certo interesse per il proseguimento della ricerca in tale ambito. Gli Autori della prima delle due pubblicazioni citate riportano i risultati dell’applicazione della PBI in 41 pazienti “LIG” e 29 pazienti “HG”, secondo i criteri dello studio ECOG 5194 (vedi recensione precedente): ad un follow up di 5 anni le recidive locali sono state lo 0% e il 5.3% nei due gruppi, rispettivamente. Gli autori del secondo lavoro riportano, invece, su 53 pazienti il 2% di ricadute locali a 3 anni. PBI, realizzata con tecniche differenti (Mammosite, 3D conformazionale), è pertanto in grado di ridurre il rischio di ripresa locale di DCIS sia LIG sia HG. Si raccomanda di inserire questi trattamenti in studi clinici e di informare sempre adeguatamente le pazienti della insufficiente esperienza ad oggi maturata per questa scelta. Selezione bibliografica Farante G, Zurrida S, Galimberti V et al Breast Cancer Res Treat 2011; 128: 369-378 The management of ductal intraepithelial neoplasia (DIN): open controversies and guidelines of the Istituto Europeo di Oncologia (IEO), Milan, Italy
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’opzione di irradiazione parziale della mammella (PBI) è stata oggetto di studi che ne hanno analizzato la fattibilità e il risultato sul controllo locale quale modalità alternativa alla radioterapia convenzionale sull’intera mammella dopo chirurgia conservativa delle neoplasie infiltranti in stadio iniziale. N. 64 - 2012
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Q UAT T R O C H I AC C H E R E C O N
Alfonso Frigerio
Caro Alfonso, so che sei molto attento al rigore metodologico nella tua professione. Cosa ti ha insegnato lo screening, al quale hai dedicato tanto interesse, per migliorare la tua attività di medico clinico?
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a domanda è interessante e complessa. La risposta più rapida che mi viene in mente è che lo screening mi ha insegnato a mettere l’attività clinica in prospettiva. Provo a spiegarmi. La motivazione che porta molti di noi a scegliere la professione di medico è quella di aiutare i propri simili a risolvere e superare i problemi che riguardano la salute. Da questa spinta a fare del bene per i propri interlocutori/pazienti, deriva l’atteggiamento psicologico e programmatico per cui il clinico deve tendere a offrire sempre il massimo al proprio paziente, alla propria paziente. Ciò comunemente si esprime con la massima: “la salute non ha prezzo”, ovvero, le considerazioni economico-finanziarie non devono condizionare l’offerta di diagnosi, di cura, di assistenza alla persona che ne necessita. Rispetto a tale approccio, lo screening mi ha insegnato a pensare alla singola donna... tenendo però presente anche il contesto dell’intera popolazione. È proprio la prospettiva di popolazione che rende evidente la debolezza dell’assunto tradizionale, che nega il condizionamento finanziario sulle scelte del medico. Il medico preparato e rigoroso, tanto più dove operi nell’ambito di un sistema di sanità pubblico, ha il dovere morale di porsi il problema delle risorse economiche e della competitività in termini di rapporto costo-beneficio delle scelte, delle procedure e dei protocolli che adotta nella sua attività professionale. Il valore di queste considerazioni mi appare nel tempo sempre più pregnante, quando gli attuali scenari politico-finanziari globali rendono più evidente l’iniquità e la sostanziale insostenibilità di un’offerta sanitaria non regolata, che comporti il rischio di offrire sempre di più a sempre meno persone, ignorando le esigenze della parte di popolazione meno garantita. Altro punto decisivo che ho acquisito dedicandomi allo screening è il valore impareggiabile della stretta collaborazione multidisciplinare che lo screening organizzato richiede: l’im46
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portanza del confronto continuo, stimolante e costruttivo tra esperienze clinico-diagnostiche (in primis lo stretto rapporto dei radiologi con i patologi e i chirurghi) e professionali diverse (la figura del tecnico di radiologia, sempre a fianco del radiologo nella conduzione del programma, ma anche l’importanza dell’infermiera dedicata, di personale di segreteria motivato...). A tutto ciò si affianca la lunga collaborazione - dalle fasi iniziali del progetto, fino alla valutazione dei risultati e delle loro implicazioni - con i colleghi epidemiologi. In definitiva, si può dire che lo screening mi ha aiutato ad assecondare il rigore (nei comportamenti, nelle scelte) che è una componente fondamentale del mio carattere e della mia educazione, consentendomi di inscrivere le mie attività cliniche entro una prospettiva più profonda e sistematica. Mi sembra che ultimamente si sia riaperto il dialogo tra il mondo della senologia clinica e quello dello screening. Cosa pensi che abbiano imparato gli uni dagli altri?
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rima di tutto, vorrei ribadire un punto che ho sempre sostenuto già nelle fasi (ora largamente superate) di più intenso confronto tra radiologi “di screening” e radiologi “clinici”: la contrapposizione di due schieramenti con queste etichette non è giustificata. L’obiettivo che ci poniamo (la salute delle donne), le compe-
Q UAT T R O C H I AC C H E R E C O N tenze professionali e gli strumenti che utilizziamo (mammografia, ecografia, prelievi mirati, lavoro multidisciplinare) sono gli stessi. Persino i rappresentanti dei due “schieramenti” sono in molti casi le stesse persone, che a seconda del contesto in cui intervengono indossano la veste del “clinico” o dello “screenista” (termine che ho sempre trovato ingiustamente riduttivo, oltre che linguisticamente sgradevole). Ciò che distingue screening e senologia “clinica” è sostanzialmente solo il differente approccio organizzativo: riprendendo quanto espresso prima, la forza dello screening è porsi nella prospettiva della popolazione. Peraltro, proprio nel rispondere alla domanda precedente, ho insistito sul concetto di rigore, scientifico e metodologico. Ebbene, nel corso di tanti dibattiti e confronti, mi è capitato di proporre una basilare distinzione di atteggiamento, attraverso la formula: cerchiamo di essere rigorosi, ma non rigidi. In quanto radiologo, abituato a confrontarmi quotidianamente con la donna in ansia per la sua salute, per l’esito di un controllo, spaventata per la prospettiva di terapie impegnative, conosco troppo bene i tanti risvolti psicologici, le molteplici peculiarità dei singoli casi, per non capire l’esigenza di molti colleghi radiologi di pensare a soluzioni più articolate, che escano dagli schemi - a volte davvero rigidi - del protocollo di screening. In sintesi, lo screening ha insegnato al mondo clinico a porsi il problema della popolazione ed a risolverlo in modo scientificamente corretto e praticamente fattibile nel contesto delle risorse realisticamente disponibili; il mondo della senologia clinica ha sempre ricordato che senza l’ottimizzazione del rapporto medico-paziente non può esservi pratica medica di qualità e che un protocollo operativo “evidence-based” non va visto come immutabile, ma può e deve essere rimesso in discussione, riformulato o rimodulato, qualora se ne dimostri l’opportunità, sempre con rigore, ma senza rigidità. Tu sei sempre stato un ammiratore della bellezza e cultore dell’arte. In qualche modo questo ti ha facilitato nella grande stima per il tuo amico Laszlo Tabar, che certamente, oltre al valore scientifico, ha una grande capacità didattica, comunicativa e utilizza immagini cliniche affascinanti?
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ui la risposta è facile: sì. Da quando decisi di dedicare una parte considerevole della mia carriera alla lotta contro il cancro della mammella, Laszlo Tabar è diventato il mio principale obiettivo formativo. Alla metà degli anni ’80 Tabar era già l’autore del testo di riferimento per i mammografisti di tutto il mondo (l’Atlante Diagnostico di Mammografia, un volume di qualità incredibile, ancora valido dopo quasi 30 anni dalla prima edizione). Negli stessi anni pubblicava i primi dati dello Studio delle 2 Contee Svedesi (Two-County Trial) che dimostravano il significativo impatto dello screening mammografico
sulla mortalità da carcinoma mammario. Dopo averlo incontrato in vari convegni (la prima volta al congresso EORTC di Londra nel 1987, dove io presentavo uno studio preparatorio del programma di screening di Torino), la nostra amicizia e collaborazione è iniziata in seguito al mio primo periodo di studio presso il suo reparto di mammografia a Falun (Svezia). Eravamo nel 1992 e per me si trattò di una vera rivelazione, superiore ad ogni aspettativa. In quell’occasione, mi convinsi di avere trovato la persona che più di chiunque altro al mondo era progredita nella comprensione delle mille facce del cancro della mammella e che già aveva elaborato una strategia di studio e di lotta a questa terribile malattia, basata su strette collaborazioni multidisciplinari. Il punto di forza tabariano nella comprensione del cancro mammario era il lavoro avanzatissimo sulle correlazioni tra mammografia di alta qualità ed anatomia patologica su macrosezione. Su queste basi e con un’attenta valutazione statisticoepidemiologica delle curve di sopravvivenza distinte per sottotipi, Tabar riuscì a definire una serie di quadri mammografici con valore prognostico indipendente, il cui potenziale impatto nella gestione clinica delle pazienti è ancora da sfruttare a pieno. Da allora uno dei miei impegni professionali più sentiti è stato quello di diffondere presso i colleghi italiani la “nuova visione” tabariana. L’ho fatto attraverso lezioni e interventi a corsi e convegni, traducendo quasi tutti i suoi libri in italiano e aiutandolo nell’organizzazione di suoi corsi monografici in Italia. L’obiettivo ambizioso che mi ha sostenuto in questo impegno è stato quello di favorire la crescita di una nuova generazione di specialisti capace di guardare in modo diverso alla gestione diagnostico-terapeutica del cancro mammario. Al di là di questo principale obiettivo, è certo che tra le cose che mi legano a Laszlo Tabar ci sono la grande passione per la didattica e quella per le immagini di qualità straordinaria, siano esse le splendide sezioni istologiche tridimensionali con le loro affascinati correlazioni mammografiche, siano invece le opere dei grandi artisti di tutte le epoche. Nei corsi italiani di Tabar, ho sempre cercato di lasciare più spazio possibile alle sue lezioni inarrivabili, ritagliandomi dei momenti marginali dove - divertendomi - ho cercato di intrattenere il pubblico con “letture” storico-artistiche. Devo confessare che è stato per me motivo di speciale soddisfazione riuscire ad ottenere il plauso entusiastico di un perfezionista come Tabar alle mie lezioni di storia dell’arte. Soddisfazione poi completata negli ultimi anni accompagnandolo a visite straordinarie come la visione ravvicinata sui ponteggi di restauro degli affreschi di Correggio nella cupola del Duomo di Parma, o quella più recente alle cappelle e alle logge vaticane, con i dipinti di Raffaello e Michelangelo.
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NUOVI STUDI
Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella? Studio SOUND (Sentinel node vs Observation after axillary Ultra-souND) DOTT. ORESTE GENTILINI Divisione di Senologia, Istituto Europeo di Oncologia - Milano
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umerosi studi hanno dimostrato che l’asportazione chirurgica dei linfonodi ascellari non migliora la prognosi delle donne affette da carcinoma della mammella(1-3) ma la recente pubblicazione dello studio americano ACOSOG Z0011 ha prodotto un vero e proprio terremoto all’interno della comunità chirurgica mondiale. Infatti questo trial randomizzato(4) ha mostrato che non vi è alcuna differenza in termini di guarigione e di sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti sottoposte a dissezione ascellare e le pazienti sottoposte a semplice osservazione in presenza di positività del linfonodo sentinella. Inoltre, l’incidenza di recidive linfonodali ascellari è stata sorprendentemente bassa anche nel gruppo di donne in cui è stata omessa la dissezione ascellare in presenza di coinvolgimento del linfonodo sentinella (circa 1% dopo oltre 6 anni di follow up mediano) (5) . Gli autori hanno quindi concluso che in pazienti operate conservativamente con positività del linfonodo sentinella e che ricevano radioterapia e appropriato trattamento medico precauzionale, l’omissione della dissezione ascellare non comporta un peggioramento prognostico. In attesa della pubblicazione dello studio studio IBCSG 23.01 sul significato clinico e biologico delle micrometastasi nel linfonodo sentinella, anche la nostra esperienza ha confermato un eccellente prognosi delle pazienti omettendo la dissezione ascellare in presenza di micrometastasi nel linfonodo sentinella(6). In realtà, i risultati dello studio americano mettono in dubbio il concetto stesso del linfonodo sentinella. Infatti la biopsia del linfonodo sentinella è nata come strumento per conoscere lo stato di salute dei linfonodi ascellari risparmiando la dissezione in caso di negatività e procedendo con una chirurgia più ampia in caso di coinvolgimento, pensando che questo potesse concretizzarsi in un vantaggio prognostico. Ma se anche in presenza di positività del linfono-
do sentinella non vi è alcun vantaggio nel procedere con la dissezione ascellare, allora la domanda che si pone è: “Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella?”(7). Inoltre, anche il peso dell’informazione prognostica offerto dallo stato di salute dei linfonodi è oggi molto meno importante che in passato visto che la scelta del trattamento precauzionale dipende sempre più dalla biologia della malattia che non dalla stima del rischio di ricaduta. Per questi motivi, all’Istituto Europeo di Oncologia abbiamo disegnato un nuovo trial randomizzato che possa rappresentare il passo successivo nella ricerca clinica in quest’ambito (Studio SOUND: Sentinel node vs Observation after axillary Ultra-souND). Prenderanno parte a questo studio, che inizierà prossimamente, circa 1500 pazienti affette da tumore al seno di diametro inferiore o uguale a 2 cm, candidate a quadrantectomia e con linfonodi ascellari clinicamente sani. Le pazienti verranno sottoposte prima dell’intervento ad un’ecografia del cavo ascellare. Qualora venga riscontrato un linfonodo di aspetto dubbio verrà eseguito un approfondimento diagnostico mediante agoaspirato sotto guida ecografica del linfonodo. Se gli esami dovessero riscontrare un interessamento linfonodale si procederà direttamente con la dissezione ascellare. Qualora invece gli esami siano negativi, la paziente potrà partecipare allo studio. A questo punto le pazienti verranno randomizzate in due gruppi: - Gruppo 1: quadrantectomia con biopsia del linfonodo sentinella ed eventuale dissezione ascellare oppure - Gruppo 2: quadrantectomia senza biopsia del linfonodo sentinella. Nelle pazienti del Gruppo 1 verrà applicata la pratica clinica standard che prevede di eseguire l’asportazione del linfonodo sentinella contestualmente alla quadrantectomia. In caso di negatività del linfonodo sentinella non verrà eseguita la dissezione ascellare. Considerando le recenti acquisizioni, la dissezione ascellare non verrà eseguita anche in presenza N. 64 - 2012
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di minimo coinvolgimento del linfonodo sentinella (micro metastasi cioè interessamento inferiore a 2 mm). La dissezione ascellare verrà indicata solo in presenza di macrometastasi del linfonodo sentinella. Nelle pazienti del Gruppo 2 verrà eseguita l’asportazione del tumore mammario senza rimuovere alcun linfonodo ascellare. Comunque, in entrambi i gruppi tutte le pazienti riceveranno una radioterapia sulla mammella ed un trattamento medico precauzionale sistemico, cioè una terapia che agisca non solo sul seno ma anche su tutto il corpo e quindi anche su eventuali linfonodi residui. Gli obiettivi di questo studio sono di confermare che, qualora un’accurata diagnostica del cavo ascellare risulti negativa, anche la biopsia del linfonodo sentinella può essere evitata, che la scelta del trattamento medico postoperatorio può essere presa esclusivamente sulla base della biologia della neoplasia e che la qualità di vita delle pazienti può essere migliorata grazie ad una minore invasività dell’intervento chirurgico. Il disegno di questo trial è nato all’interno di un gruppo collaborativo regionale (gruppo SOLE: Senologia Oncologica Lombarda di Eccellenza) ma diversi altri centri in tutta Italia hanno manifestato interesse e volontà di aderire a questo studio e ci auguriamo che il numero di centri partecipanti sia destinato ad aumentare. 1.
Fisher B, Jong-Hyeon J, Anderson S et al. Twenty-fiveyear follow-up of a randomized trial comparing radical mastectomy, total mastectomy, and total mastectomy followed by irradiation. N Engl J Med 2002; 347: 567–575. 2. International Breast Cancer Study Group. Randomized trial comparing axillary clearance versus no axillary clearance in older patients with breast cancer: first results of International Breast Cancer Study Group Trial 10-93. J Clin Oncol 24:337-344, 2006 3. Veronesi U, Orecchia R, Zurrida S, Galimberti V, Luini 50
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A, Veronesi P, Gatti G, D’Aiuto G, Cataliotti L, Paolucci R, Piccolo P, Massaioli N, Sismondi P, Rulli A, Lo Sardo F, Recalcati A, Terribile D, Acerbi A, Rotmensz N, Maisonneuve P. Avoiding axillary dissection in breast cancer surgery: a randomized trial to assess the role of axillary radiotherapy. Ann Oncol. 2005 Mar;16(3):383-8. 4. Giuliano AE, Hunt KK, Ballman KV, Beitsch PD, Whitworth PW, Blumencranz PW, Leitch AM, Saha S, McCall LM, Morrow M. Axillary dissection vs no axillary dissection in women with invasive breast cancer and sentinel node metastasis: a randomized clinical trial. JAMA. 2011 Feb 9;305(6):569-75. 5. Giuliano AE, McCall L, Beitsch P, Whitworth PW, Blumencranz P, Leitch AM, Saha S, Hunt KK, Morrow M, Ballman K. Locoregional recurrence after sentinel lymph node dissection with or without axillary dissection in patients with sentinel lymph node metastases: the American College of Surgeons Oncology Group Z0011 randomized trial. Ann Surg. 2010 Sep;252(3):426-32; discussion 432-3. 6. Galimberti V, Botteri E, Chifu C, Gentilini O, Luini A, Intra M, Baratella P, Sargenti M, Zurrida S, Veronesi P, Rotmensz N, Viale G, Sonzogni A, Colleoni M, Veronesi U. Can we avoid axillary dissection in the micrometastatic sentinel node in breast cancer? Breast Cancer Res Treat. 2011 7. Gentilini O. Must we always hunt for a sentinel node? Breast. 2010 Feb;19(1):13. Epub 2009 Dec 14. PubMed PMID: 20005714.
DOTT. GIUSEPPE CANAVESE S.S. Senologia Chirurgica Avanzata, IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino - IST - Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova
DOTT.SSA BEATRICE DOZIN S.C. Epidemiologia Clinica IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino - IST - Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova
Fino a un paio di decenni fa, il trattamento chirurgico standard del carcinoma della mammella comportava la mastectomia radicale (con o senza preservazione dei muscoli piccolo e grande pettorale) e l’asportazione della catena linfonodale ascellare (linfoadenectomia). Quest’ultima procedura veniva praticata di routine con il triplice scopo di prevenire le metastatizzazione ascellare, stadiare con maggiore accuratezza la malattia e migliorare la sopravvivenza. L’insieme del trattamento chirurgico, oltre ad essere estremamente demolitivo, si accompagnava a diverse complican-
NUOVI STUDI ze fisiche invalidanti e a pesanti risvolti psicologici. Tra queste complicanze possiamo elencare la formazione di sieroma ascellare e la conseguente necessità di ripetuti drenaggi; il deficit motorio della spalla e dell’arto superiore omolaterali dovuto a retrazione tendinea e compromissione nervosa; le disestesie all’ascella e all’arto;la formazione di scapola alata; la sindrome della “mammella fantasma”; l’ansia e lo stress emotivo derivanti dall’esito estetico dell’intervento, etc.. A lungo termine la problematica più frequente e tuttora più temuta, con un’incidenza del 15-20% nelle pazienti sottoposte a dissezione ascellare, rimane il linfedema dell’arto superiore omolaterale che consiste in una stagnazione di linfa nei tessuti interstiziali. Tale accumulo è dovuto all’interruzione delle vie linfatiche a seguito dell’asportazione dei linfonodi ascellari. Questa complicanza, se non correttamente trattata con terapie riabilitative precoci, può andare incontro ad un processo di cronicizzazione per fenomeni di fibrosi tessutale ed a una limitazione funzionale permanente. L’avvento della chirurgia mammaria conservativa (quadrantectomia, tumorectomia allargata), la diff usione dello screening mammografico che consente l’identificazione di un tumore ad un stadio sempre più precoce, lo sviluppo della tecnica del linfonodo sentinella (SLN) e l’uso di terapie neoadiuvanti hanno permesso di ridurre significativamente le suddette complicanze. Illustreremo i due ultimi approcci innovativi sopra elencati con i risultati ottenuti dalla nostra esperienza. 1. Biopsia del linfonodo sentinella - nascita ed applicazione della tecnica Il carcinoma della mammella diffonde prevalentemente attraverso la via linfatica e le prime stazioni linfatiche interessate da questo processo, si trovano nel cavo ascellare. Tale diff usione metastatica delle cellule neoplastiche, dal focolaio tumorale primitivo ai linfonodi ascellari, avviene in genere in modo regolare e progressivo dal I° al II° e quindi al III° livello ascellare. Lo sviluppo della tecnica del linfonodo sentinella (ricerca ed analisi intra-operatoria di esso) nasce dalle seguenti osservazioni: 1) il linfonodo sentinella è il primo linfonodo o gruppo di linfonodi che riceve la linfa direttamente dal tumore e che quindi ha la maggiore probabilità di ospitare eventuali cellule metastatiche; 2) la probabilità di metastasi linfonodali ascellari è direttamente proporzionale alle dimensioni del tumore primitivo, e pertanto più è piccola la lesione mammaria e minore è la probabilità di trovare linfonodi interessati. In particolare, nel caso di tumori di dimensioni al di sotto dei 2-3 cm., il cavo ascellare è frequentemente libero da cellule neoplastiche; 3) complessivamente,
metastasi ascellari si trovano in solo 35-40% delle pazienti con carcinoma mammario di piccola dimensione; 4) il linfonodo sentinella ha un altissimo valore predittivo sullo stato di malattia dei linfonodi a valle, e pertanto la probabilità di trovare metastasi linfonodali ascellari a seguito di un linfonodo sentinella libero da malattia è quasi nulla. Nella pratica clinica, la tecnica della biopsia del linfonodo sentinella (SLNB) consiste nell’iniezione di 99mTechnetium (sostanza con limitata carica radioattiva) nella zona subdermica nell’area del tumore; questo tracciante, attraverso i vasi linfatici, diffonde verso il primo linfonodo ascellare. Tale linfonodo sentinella viene identificato in sala operatoria con una sonda radioguidata e viene esaminato dal patologo durante la medesima seduta operatorio. Se in esso non vengono trovate cellule tumorali, la paziente può evitare la dissezione ascellare completa (ALND); se il linfonodo risulta positivo per metastasi, viene eseguita tale dissezione ascellare. Oggi la tecnica del linfonodo sentinella è stata validata da numerosi studi, come illustrato anche dalla nostra esperienza. Abbiamo condotto uno studio clinico randomizzato su 225 pazienti con carcinoma mammario infiltrante ad un stadio precoce di sviluppo, cioè con nodulo maligno di diametro fino a 3 cm nell’ asso maggiore (T1-T2), e linfonodi ascellari clinicamente negativi (non palpabili, N0) (ref.1). Le pazienti sono state divise in modo casuale in due gruppi di trattamento: il gruppo standard A (115 pazienti) sottomesso a SLNB seguita da ALND di principio, ed il gruppo sperimentale B (110 pazienti) sottomesso a SLNB seguita da ALND selettiva, cioè ALND effettuata solo in presenza di un linfonodo sentinella metastatico. Complessivamente, il tasso d’identificazione del SLN è stato del 98.7%. Nel gruppo A, metastasi nel SLN sono state trovate in solo 24 (21%) pazienti. Nelle 90 altri pazienti, il SLN era privo di malattia. Di esse, dopo dissezione ascellare, metastasi sono state identificate in linfonodi ascellari non-sentinella in 8 casi (casi detti falsi-negativi, tasso del 5.8%). La negaN. 64 - 2012
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tività del SLN ha predetto correttamente la completa negatività del cavo ascellare nel 91.1% dei casi, avendo quindi portato questa quota di pazienti ad una dissezione ascellare del tutto inutile. L’accuratezza complessiva della procedura è stata del 93.0%. Nel gruppo B, metastasi nel SLN sono state identificate in 25 (22.9%) pazienti che si sono sottoposte a immediata ALND. Il SLN è risultato invece negativo in 83 (76.9%) pazienti che hanno quindi evitato lo svuotamento ascellare. In questo ultimo gruppo di pazienti, l’astensione della dissezione linfonodale completa non ho comportato alcun rischio addizionale a lungo termine in quanto a distanza ormai di 10 anni non si sono riscontrate recidive ascellari. 2. Terapie neo-adiuvanti e biopsia del linfonodo sentinella La chemioterapia neo-adiuvante (NAC) è diventata oggigiorno il trattamento d’eccellenza per le pazienti che presentano un carcinoma mammario localmente avanzato, ma comunque operabile, con un tumore di diametro da 3 ad oltre 5 cm nell’asso maggiore (T2-T3), e linfonodi clinicamente positivi (palpabili, N>0). In tale contesto, la chemioterapia neo-adiuvante viene utilizzata essenzialmente allo scopo di ridurre la massa tumorale e di consentire una chirurgia mammaria maggiormente conservativa. Inoltre, nel 30-40% delle pazienti trattate si osserva una riduzione del grado di malattia anche al livello dei linfonodi ascellari. Questa osservazione ci ha portato a verificare la fattibilità, l’accuratezza e il valore predittivo negativo della procedura del linfonodo sentinella in pazienti trattate con NAC prima della chirurgia (ref.2). Lo studio ha valutato 64 pazienti. Tra esse, 54 (84.4%) erano clinicamente N1prima della NAC; gli altri 10 pazienti erano N2 (8) o N3 (2). La stadiazione ascellare dopo NAC ha evidenziato una risposta completa (N0) in 40 (66.6%) casi, parziale in 4 (6.2%) casi e una malattia stabile in 20 (31.2%) casi. Durante la procedura SLNB, il tasso comples52
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sivo d’identificazione del SLN è stato del 93.8%. SLNs con metastasi sono stati trovati in 37 (57.8%) pazienti. Altre 23 (35.9%) pazienti hanno presentato un SLN negativo; il cavo ascellare era a sua volta libero di malattia in 21 casi mentre 2 pazienti hanno presentato metastasi in linfonodi ascellari non-sentinella (falsi-negativi). Analogamente a quanto riportato per i tumori di piccole dimensioni, la procedura SLNB dopo NAC ha un tasso di falsi-negativi del 5.1%, un valore predittivo negativo del 91.3% ed una accuratezza del 96.7%. In conclusione, un SLN con esito negativo consente di escludere con ragionevole sicurezza l’interessamento metastatico dell’intera catena linfonodale ascellare. Consente quindi di evitare al 60-70% delle pazienti TI-T2-N0 ed al 30-35% delle pazienti con carcinoma localmente avanzato pretrattato con NAC una linfoadenectomia inutile e tutte le complicanze ad essa connesse, e di riservare lo svuotamento del cavo ascellare alle pazienti con linfonodo sentinella positivo. Inoltre, questa opzione consente una ottimizzazione dei tempi di degenza e di recupero fisico per le pazienti nonché della gestione dei costi sanitari e sociali (ref.3). Referenze 1. Canavese G, Catturich A, Vecchio C et al. Sentinel node biopsy compared with complete axillary dissection for staging early breast cancer with clinically negative lymph nodes: results of a randomized trial. Ann. Oncol. 2009; 20: 1001-1007 2. Canavese G, Dozin B, Vecchio C et al. Accuracy of sentinel lymph node biopsy after neo-adjuvant chemotherapy in patients with locally advanced breast cancer and clinically positive axillary nodes. Eur. J. Surg. Oncol. 2011; 37: 688694 3. Canavese G, Bruzzi P, Catturich A et al. Intra-operative evaluation of the sentinel lymph node for T1-N0 breastcancer patients: Always or never? A risk/benefit and cost/ benefit analysis. Eur. J. Surg. Oncol. 2010; 36: 737-744
Abbreviazioni SLN linfonodo sentinella (Sentinel Lymph Node) SLNB biopsia del linfonodo sentinella (Sentinel Lymph Node Biopsy) ALND dissezione linfonodale ascellare completa o lymfoadenectomia (Axillary Lymph Node Dissection) NAC chemioterapia neoadiuvante (Neo-Adjuvant Chemotherapy)
SPIEGHIAMO LA MEDICINA
Che cosa è la chirurgia oncoplastica
DOTT.SSA LEA REGOLO Chir Gen, Breast Unit, Fondazione S. Maugeri Pavia
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l tumore della mammella si differenzia dalle altre patologie oncologiche poiché la mammella rappresenta per la donna la parte piu’significativa dell’immagine corporea. Non è un organo vitale come il cuore il fegato, i polmoni ma ogni donna si sente tale proprio perchè la mammella la rende femminile, le consente di nutrire un figlio e tutto ciò la rende diversa dall’uomo. A differenza di altre parti del corpo il suo ammalarsi non solo è pericoloso per la vita ma coinvolge la sfera affettiva in modo diretto ed intimo. La ricerca scientifica fi no a non molti anni fa era concentrata a capire la biologia di questo tumore di conseguenza migliorarne il trattamento con l’intento di modificare parametri come la sopravvivenza, l’intervallo libero da malattia, trascurando però l’altro aspetto, la “cura” della femminilità. La possibilità di conservare la mammella colpita da un tumore è stato sicuramente un traguardo storico ma questo ha generato molto spesso esiti chirurgici estetici inaccettabili rendendo quasi preferibile la vecchia mastectomia al trattamento conservativo. Il problema di come rimodellare o ripristinare la perdita totale o parziale del tessuto mammario asportato con il tumore non è stato recepito subito e spesso gli esiti chirurgici sono stati paragonabili a mutilazioni corporee, penalizzando doppiamente la donna affetta da tumore. Per molto tempo il trattamento del tumore della mammella e la crescente attenzione alla chirurgia estetica hanno viaggiato su binari paralleli. Fu proprio un chirurgo plastico, John Bostwick III che, sensibilizzato da queste problematiche e convinto che la chirurgia ricostruttiva della mammella dovesse diventare parte integrante del trattamento chirurgico
del tumore mammario, per primo iniziò a parlare di chirurgia oncoplastica. Con Audretsch e dopo di lui molti altri, la ricostruzione della mammella dopo mastectomia o il rimodellamento della mammella dopo asportazione parziale hanno ottenuto un riconoscimento internazionale. Le tecniche chirurgiche utilizzate nella chirurgia estetica sono state adattate alle esigenze oncologiche per un corretto trattamento del tumore della mammella con attenzione particolare al risultato estetico. E’ proprio questo il concetto di chirurgia oncoplastica: la cura del tumore della mammella nel suo insito dualismo di malattia oncologica e malattia della donna. N. 64 - 2012
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Il cammino verso questo nuovo concetto di chirurgia oncologica per la donna è stato relativamente breve, riconosce alcune tappe fondamentali: la quadrantectomia introdotta da Veronesi a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, da qui il concetto di mirror-quadrantectomy, che risponde all’esigenza di migliorare la simmetria tra le due mammelle; l’affermarsi di una sensibilità estetica, che ha avvicinato la chirurgia oncologica a quella estetica, cresciuta insieme all’esigenza di ricostruzione mammaria nei casi in cui la chirurgia conservativa non era applicabile. Tutto ciò ha sicuramente complicato enormemente l’approccio terapeutico al tumore mammario, esigendo inizialmente la stretta collaborazione tra il chirurgo plastico ed il chirurgo senologo. Il passo successivo è stato, infatti, riconoscere che la gestione della patologia mammaria non era più affidata alle mani di un singolo chirurgo ma era necessario un approccio multidisciplinare per programmare la strategia di trattamento coinvolgendo direttamente la donna nella decisione del programma terapeutico. Sono questi gli aspetti assolutamente innovativi dove le parole chiave sono multidisciplinarietà e partecipazione attiva della donna nelle decisioni tenendo conto del suo ruolo sociale e delle le sue aspettative Si è rivelato necessario uno scambio di conoscenze tra le diverse discipline: le necessità oncologiche del chirurgo senologo,( le dimensioni del tumore, la distanza del nodulo dalla cute dal piano muscolare, il concetto di margini coinvolti o prossimi, la componente intraduttale, l’invasione vascolare, il valore prognostico dei linfonodi, la biologia del tumore, la possibile conservazione del capezzolo ed altri ancora), si sono arricchite di componenti innovative di ordine estetico, col comune scopo di salvaguardare l’immagine corporea della donna senza sottovalutare la sicurezza oncologica. Il chirurgo plastico ha insegnato al senologo la necessi54
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ta di salvaguardare il solco sottomammario durante la mastectomia per ottenere una migliore ricostruzione, l’importanza della ptosi mammaria e quindi la necessita di risparmiare o no la cute ove possibile. In particolare la posizione del nodulo ed il rapporto tra volume mammario edle dimensioni del nodulo sono i parametri fondamentali per la scelta delle diverse tecniche di oncoplastica. Effettuare resezioni ragionate che rispondano alla necessità di conservare la vascolarizzazione del tessuto, in vista del mantenimento della vitalità del peduncolo non dimenticando però mai le necessità oncologiche. La chirurgia senologica diventa quindi una chirurgia oncoplastica formata da specialisti esperti e dedicati per off rire alla paziente tutte le possibilità ricostruttive: - Una chirurgia appropriata per curare il tumore - Rimodellamento della mammella operata per correggere i difetti dovuti alla escissione del tumore - Ricostruzione immediata in caso di asportazione totale della mammella - Correzione della asimmetria con la mammella controlaterale Questo tipo di approccio chirurgico, comporta che spesso la donna necessita di ricevere più di un incontro con il team oncoplastico per assimilare e capire bene le diverse tappe di un percorso ricostruttivo. Il team oncoplastico deve: - Assicurarsi di avvicinarsi il più possibile a quelle che sono le aspettative ricostruttive della donna - La paziente deve essere informata delle possibili sequele che la chirurgia oncoplastica comporta - La paziente deve essere informata che la completa ricostruzione mammaria compresa la ricostruzione del complesso areola capezzolo richiede separate procedure chirurgiche. La paziente deve essere informata che un eventuale rifiuto delle procedure ricostruttive non comportano
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in assoluto un impedimento ad intraprendere questo cammino successivamente qualora cambiasse idea. E’, inoltre, importante considerare che iniziare un percorso di cura del tumore mammario secondo un approccio oncoplastico puo’ avere un impatto anche sui componenti della famiglia che possono richiedere ed avere il bisogno di essere altrettanto adeguatamente informati sul programma terapeutico da percorrere. In questo contesto si evidenzia come oltre alle competenze chirurgiche sicuramente stravolte rispetto al passato, emerge fortemente la necessita di un appoggio psicologico competente da off rire alla paziente ed ai familiari che li accompagni per tutta la durata del percorso che stanno per iniziare. Ritorniamo ancora una volta al concetto di approccio interdisciplinare: la decisione sul trattamento non è più di uno solo ma diversi specialisti devono incontrarsi e ragionare insieme con la paziente sulla strada da percorrere e, tale rapporto che si stabilisce all’inizio del trattamento, va mantenuto e rivisto durante tutto il percorso. Sempre nell’ottica di una fi losofia oncoplastica la necessità di multidisciplinarietà coinvolge tutte le discipline afferenti al trattamento del tumore della mammella. La necessità di una radioterapia post-operatoria e la conseguente fibrosi dei tessuti irradiati possono ostacolare il lavoro del chirurgo oncoplastico,pertanto la collaborazione tra gli esperti, la possibilità di discutere e concordare la tempistica dei diversi trattamenti chirurgici ricostruttivi e la radioterapia, sono momenti fondamentali che migliorano il risultato estetico non a scapito del trattamento oncologico. Allo stesso modo la necessità di una terapia medica
preoperatoria o postoperatoria ragionata insieme con l’oncologo medico, impongono una multidisciplinarietà. La sincronia tra i trattamenti chirurgici e medici proposti dai diversi esperti nel programmare il percorso terapeutico diventa fondamentale al fi ne di non ritardare i trattamenti suggeriti. La comunicazione tra le differenti discipline afferenti alla senologia dove la chirurgia oncoplastica si integra ed e si ripropone nelle diverse tappe del trattamento medico richiedono una organizzazione ben strutturata che trova la sua nuova forma nel nascente concetto di BREAST UNIT CERTIFICATA. Il”cuore” culturale della Breast Unit e’ il Multi Disciplinary Meeting (MDM), l’incontro settimanale tra i diversi esperti dedicati alla senologia che da alle pazienti la garanzia di essere curate in modo condiviso, collegiale e con il massimo di interazione fra le diverse competenze. La chirurgia oncoplastica bene si integra proprio in questo moderno ed innovativo concetto di Breast Unit, poiché il successo di un trattamento ricostruttivo non può prescindere dalla pianificazione insieme con le altre discipline che si preoccupano del corretto trattamento del tumore della mammella. La figura del chirurgo oncoplastico dedicato alla senologia richiede però una formazione, un periodo di training per ottenere e coagulare in una unica figura le esperienze di chirurgo senologo oncologo e di chirurgo plastico. Questo aspetto formativo è indispensabile e la partecipazione a corsi, master periodi di apprendimento devono essere ala base della formazione di ogni chirurgo dedicato alla cura del tumore della mammella.
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QUI CURANO COSÌ
Unità Operativa Multidisciplinare di Patologia Mammaria A.O. Istituti Ospitalieri di Cremona
L
’Unità Operativa Multidisciplinare di Patologia Mammaria (U.O.M.P.M.) è dedicata alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura della patologia mammaria, nonché alla promozione e all’educazione della salute per la donna e la sua famiglia. L’U.O.M.P.M. si configura come “Centro Unico”, nel quale la donna a cui viene fatta diagnosi di patologia mammaria può essere seguita lungo l’intera sua esperienza da un unico team multidisciplinare di professionisti che si trova in un’unica struttura. Le periodiche discussioni collegiali per la definizione di opzioni terapeutiche il più possibile personalizzate, i momenti chiave della comunicazione della diagnosi e della scelta di un trattamento condiviso con la paziente al fine di creare un’alleanza terapeutica che sia davvero tale, fanno dell’U.O.M.P.M. di Cremona un centro di riferimento per la cura del carcinoma mammario che non si limita al solo ambito regionale lombardo. Grazie alle sinergie attivate con le università di Torino e di Brescia, nonché alle collaborazioni scientifiche con centri di ricerca a livello nazionale e internazionale (Oxford, Melbourne e Brisbane), l’U.O.M.P.M. dell’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona è in grado di offrire alla comunità servizi sempre all’avanguardia. 1. Reparto “Breast Unit” destinato all’attività terapeutica chirurgica e/o medico-oncologica della patologia mammaria, suddivisa in: A. Area di ricovero in regime di Day Hospital o ambulatoriale (Sezione Chirurgica Oncologica e Sezione Oncologica Medica), per Day Hospital chirurgici, oncologico-medici, chemioterapia. L’attività di tipo specialistico comprende: attività ambulatoriale per la fase diagnostica; programmazione e preparazione all’intervento 56
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chirurgico; intervento chirurgico, per lo più in regime di Day Surgery; assistenza durante la degenza ospedaliera; dimissione; follow-up chirurgico ambulatoriale; pianificazione follow-up oncologico. B) Area di ricovero in regime ordinario (8 posti letto dedicati) per la degenza ordinaria di tipo chirurgico oncologico, chirurgico ricostruttivo e oncologico medico. Al servizio di Accoglienza Breast Unit spetta il compito di effettuare una prima analisi dei bisogni della donna, in modo da individuare i percorsi di risposta di volta in volta più appropriati, con un’attenzione particolare agli aspetti di tipo psicosociale. 2. Servizio di Senologia, per la parte destinata all’attività preventiva e diagnostica clinico-strumentale della patologia mammaria, con particolare attenzione alla diagnosi precoce e alla promozione della salute. Le prestazioni principali erogate sono: visite cliniche senologiche; organizzazione esami radiologici di 1° livello; esami citologici (agoaspirato ecoguidato) e istologici di 2° livello; raccolta dati epidemiologici. Il Servizio si avvale di un Ambulatorio di Promozione della Salute, in cui si programmano visite specialistiche per test genetici/valutazione del rischio mediante Gail Mo-
QUI CURANO COSÌ del e Cuzick Model per le donne con familiarità di carcinoma mammario, e si approfondiscono tematiche quali l’educazione sanitaria a stili di vita virtuosi. Il Servizio si interfaccia con l’Azienda Sanitaria Locale di Cremona per l’esecuzione dello screening mammografico a scadenza biennale dedicato alle donne con età compresa tra i 50 ed i 69 anni. Recentemente è stato attivato il Laboratorio di Oncologia Molecolare a indirizzo Senologico (L.O.M.S.), un servizio laboratoristico dedicato alla ricerca biologicomolecolare e clinico-traslazionale, con l’obiettivo di individuare specifici bersagli molecolari all’interno delle cellule tumorali e ottenere, attraverso trattamenti mirati (target therapy), il massimo del beneficio con il minore grado di tossicità possibile.
Primario e Coordinatore Responsabile: Dott. Alberto Bottini E-mail: a.bottini@ospedale.cremona.it
Figure professionali (consulenti) • Radiologi • Anatomo patologi • Radioterapisti • Tecnici di radiologia • Fisioterapisti
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Vi sono in Ospedale altri reparti chirurgici che trattano lesioni mammarie
NO
Il Vostro Servizio usufruisce di sessioni di sala operatoria e di letti di degenza dedicati alla patologia mammaria?
SI
Letti di degenza dedicati
SI, 8
Disponibilità di ricostruzione chirurgica immediata
SI
Il Servizio utilizza la tecnica del linfonodo sentinella?
SI
Praticate la chemioterapia direttamente presso il Vostro Servizio?
SI
Esistono servizi di riferimento
NO
Se occorre terapia adiuvante o complementare
UNITA’ MULTIDISCIPLINARE DI PATOLOGIA MAMMARIA
Figure professionali (a tempo pieno) • Chirurghi • Chirurghi plastici • Oncologi • Biologi • Farmacisti • Infermieri professionali • Data manager
Giorni di degenza media
3 1 3 2 1 16 1
4, per 25 ore settinamali 2, per 28 ore settimanali 3, per 10 ore settimanali 3, per 25 ore settimanali 1, per 4 ore settimanali
ATTIVITÀ DI CHIRURGIA SENOLOGICA Ore dedicate alla settimana Numero totale di nuovi casi/anno • Benigni • In situ • Invasivi
100 50 300
Giorni di attesa in media per una lesione maligna dalla indicazione all’intervento chirurgico
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Tali terapie vengono vengono praticate direttamente presso il nostro servizio
ATTIVITÀ DI ONCOLOGIA MEDICA Numero totale di nuovi casi/anno
300
Trattamenti di chemioterapia neo adiuvante
150
Trattamenti di chemioterapia adiuvante
200
Trattamenti di chemioterapia in ripresa di malattia
50
si, negli studi: Negli ultimi tre anni in quali in studi clinici avete inserito pazienti di carcinoma GIM4 (LEAD), GIM5 (CYPLEC), mammario? LAP107692/LETLOB, LAP106988/ CHER-LOB, ShortHER, L00070 IN 305 B0 Vengono effettuati incontri multidisciplinari (con presenza almeno del radiologo, patologo e chirurgo) per la discussione dei casi clinici?
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Si, con periodicità bisettimanale, vengono discussi tutti i casi sia nella fase pre che post chirurgica e ogni qualvolta emergano dati che comportano una scelta di trattamento per la paziente.
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
57
QUI CURANO COSÌ
ATTIVITÀ DI FOLLOW-UP Il follow up dei pazienti si svolge:
presso gli ambulatori dell’Unità Multidisciplinare dell’Unità Operativa di Radioterapia come visite aggiunte
Se più servizi sono coinvolti nel follow-up, la paziente si rivolge ad uno solo di questi per le visite e questo le gestisce in collegamento tra i Servizi interessati (cioè il follow up dei pazienti è svolto in modo coordinato tra i Servizi) Il follow-up è modulato in base a:
Esiste un servizio per la riabilitazione funzionale di riferimento per le pazienti trattate? Disponibilità di trattamenti per il linfedema (pressoterapia, linfodrenaggio ecc.) e consulenza psicologica?
Il servizio è sede di programma di screening o esiste un programma collegato
Apparecchiature in dotazione SI stadio di malattia e rischio di ricorrenza con tutti gli esami consigliati di routine si, ambulatorio di FKT mammario a cui vengono inviate le pazienti con complicanze.
Controlli di qualità periodici
30 si, esteso a donne residenti della fascia d’età 45-69 anni 10.000 - GE Senographe DS - Esaote MyLab 25X vision con sonda dedicata da MHz 7,5 - 13,0 SI
Vengono eseguite radiografie del pezzo operatorio in tutti i reperimenti preoperatori (lesioni non palpabili) SI
ANATOMIA PATOLOGICA SI Primario: Dott. Roberto Giardini Riferimento: Dott.ssa Giuseppina Ferrero Telefono: 0372.405477 E-mail: g.ferrero@ospedale.cremona.it
RADIOLOGIA DIAGNOSTICA Primario: Dott. Lucio Olivetti Riferimento: Dott.ssa Maria Bodini
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
ATTIVITÀ DI SENOLOGIA Ore dedicate alla settimana
Mammografie eseguite nell’ultimo anno
SERVIZI
58
Telefono: 0372.405664 E-mail: m.bodini@ospedale.cremona.it
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ATTIVITÀ DI SENOLOGIA Ore dedicate alla settimana
30
Numero di esami istologici mammari refertati nell’ultimo anno:
450
Numero di esami citologici mammari refertati nell’ultimo anno:
28
QUI CURANO COSÌ
Numero di esami microistologici refertati nell’ultimo anno:
310
Classificazione istologica codificata e archivio informatizzato
SI
Valutazione grading
SI
Valutazione stato recettoriale su tutti i casi
SI
Indicatori di proliferazione
SI
I pezzi operatori sono orientati (fili, reperi metallici ecc.)?
SI
Effettuate la marcatura dei limiti di sezione chirurgica?
SI
Disponete della radiografia di controllo del pezzo operatorio al momento dell’esame? Viene effettuato l’esame estemporaneo sulle microcalcificazioni? Viene effettuato l’esame estemporaneo sui tumori inferiori ad 1 centimetro? Viene effettuato l’esame estemporaneo sui margini di sezione chirurgica in caso di intervento conservativo?
SI NO NO
N. acceleratori lineari in funzione
3
Procedure standardizzate di controllo di qualità in atto
SI
MEDICINA NUCLEARE Primario: Dott.ssa Ines Cafaro Riferimento: Dott. Gianfranco Lima Telefono: 0372.405560 E-mail: g.lima@ospedale.cremona.it ATTIVITÀ DI SENOLOGIA Ore dedicate alla settimana
10
Numero totale di linfonodi sentinella eseguiti/anno
250
Da quanti anni viene eseguito di routine la tecnica del linfonodo sentinella?
14
Numero totale di ROLL eseguite/anno
60
Numero totale di scintigrafie ossee per patologia oncologia mammaria eseguite/anno 300 SI
RADIOTERAPIA
Il Servizio dispone di PET e TAC/PET
NO
Si eseguono trattamenti radiometabolici loco-regionali o sistemici?
NO
Primario: Dott.ssa Ines Cafaro Riferimento: Dott. Andrea Peveri Telefono: 0372.405485 E-mail: a.peveri@ospedale.cremona.it ATTIVITÀ DI SENOLOGIA Tempo di attesa medio (n. giorni)
15
Numero totale di nuovi casi/anno
1.000 N. 64 - 2012
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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GISMa
News dal Convegno 2011 (a cura del Coordinamento Gisma)
D
al 12 al 13 maggio 2011 si è svolto a Palermo l’annuale convegno GISMa (Gruppo Italiano Screening Mammografico) che quest’anno, oltre alla rassegna sui risultati dei programmi di screening italiani, ha approfondito i temi relativi alla valutazione degli esiti estetici nel trattamento conservativo, la risonanza magnetica e le sue implicazioni organizzative, e il peso di fattori socio-culturali nell’accesso ai programmi di screening. In particolare, è stata analizzata la situazione dei programmi di screening nel sud Italia cercando di valutarne i risultati finora raggiunti e le criticità ancora irrisolte. Il Convegno è stato preceduto da un workshop in collaborazione con l’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) e l’ONS (Osservatorio Nazionale Screening) sui risultati del progetto IMPATTO e su come aumentare le sinergie tra servizi di screening e Registri Tumori. Inoltre, nell’ottica di una maggiore consapevolezza su queste tematiche è stata organizzata una giornata di formazione/informazione sullo screening mammografico rivolta alle associazioni di cittadini e pazienti in collaborazione con PartecipaSalute. Al termine del Convegno si è svolta una Consensus Conference, in collaborazione con la SIRM (Società Italiana di Radiologia Medica) per il confronto, nella refertazione mammografica, tra la classificazione europea e il sistema BI-RADS che comincia a essere largamente diffuso anche in Italia. Di seguito una breve sintesi di alcuni degli argomenti discussi.
L’attività di screening mammografico in Italia nel 2009. (Survey annuale GISMa/ SQTM) Valutando i principali indicatori raccolti e confrontandoli con gli standard di riferimento italiani ed europei assistiamo, per il 2009, ad un buon andamento complessivo dell’attività italiana di screening mammografi60
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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co. Se si osservano i risultati, per gli esami successivi, dei principali indicatori raccolti per singola regione (vedi tabella), al di là del buon andamento complessivo, si possono evidenziare alcune criticità. In generale, vi è un forte trend decrescente Nord-Sud. Questo andamento è molto più marcato per la copertura e la partecipazione. In alcune regioni italiane, il tasso di richiami per approfondimenti registra valori al di sopra dello standard accettabile. Altri indicatori che valutano in modo più diretto la sensibilità del programma come il tasso di identificazione dei tumori invasivi e quello dei tumori con diametro <10mm, si dimostrano invece positivi anche quando vengono analizzati per macroaree territoriali. Complessivamente occorre ricordare che i dati presentati sono dati aggregati e quindi la loro interpretazione implica
GISMa cautela considerando la grande variabilità che si registra per lo stesso parametro all’interno di una stessa regione. Anche per quel che riguarda i dati raccolti sulla qualità del trattamento chirurgico l’andamento si può considerare soddisfacente. Nella tabella vengono riportati due tra i molti indicatori che vengono annualmente valutati dalla survey SQTM. La proporzione dei casi con diagnosi preoperatoria è aumentata nettamente negli anni e presenta un buon andamento nel 2009 così come la percentuale di casi invasivi ≤10mm per i quali non è stato eseguito l’esame al congelatore. Sicuramente un maggior coinvolgimento delle regioni potrebbe permettere un ampliamento della casistica sulla qualità del trattamento dei tumori screen-detected in modo da rendere il confronto più esaustivo ed efficace. Va comunque sottolineato il grande sforzo e l’impegno che gli operatori di screening mettono in campo, ormai da più di vent’anni, su molti livelli per un’analisi sempre più ricca e consistente della loro attività.
Valutazione degli esiti estetici nel trattamento conservativo Il trattamento oncoplastico, cioè la combinazione di tecniche chirurgiche oncologiche con tecniche derivate dalla chirurgia estetica, permette di risolvere problemi relativi alle dimensioni delle lesioni eccessive in rapporto alle dimensioni della mammella o alla difficoltà di garantire buoni esiti per localizzazioni in sedi difficili. Durante il convegno si sono gettate le basi per impostare un documento contenente raccomandazioni relative alle indicazioni del trattamento oncoplastico conservativo. E’ stato inoltre affrontato un altro problema molto importante in questo ambito: la valutazione degli esiti estetici. Infatti, se l’indicatore che misura l’appropriatezza del trattamento conservativo è risultato sempre soddisfacente in tutti i programmi, non vi è attualmente nessuna possibilità di monitoraggio relativo alle asimmetrie di volume, alle distorsioni cicatriziali o del complesso areola-capezzolo.
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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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GISMa
Le differenze sociali nello screening e nella diagnosi del ca mammario Tra i principali fattori che limitano la qualità dell’assistenza a livello di popolazione vi è la presenza di importanti disuguaglianze sociali e territoriali nella salute e nell’accesso ai servizi assistenziali, tra cui i programmi di prevenzione secondaria dei tumori. La sessione si è aperta con un ampio e dettagliato inquadramento teorico sul tema, evidenziando le caratteristiche costitutive delle disuguaglianze sociali di salute, i meccanismi di generazione delle stesse e le politiche di contrasto e i recenti sviluppi relativi al modello dell’equity audit nei percorsi assistenziali. Successivamente, sono stati presentati i risultati preliminari del progetto P.I.O “Interventi per ridurre le disuguaglianze nell’accesso allo screening, incrementare la partecipazione nella popolazione generale e in sottogruppi specifici” per la parte relativa alla fidelizzazione allo screening mammografico. L’aggiornamento della letteratura scientifica internazionale sul tema ha costituito il background teorico su cui si sono sviluppate le linee principali di questo progetto, che ha coinvolto i programmi di Torino, Bologna, Firenze, Roma, Perugia e di 5 ASL del Veneto. I risultati dello studio mostrano che hanno maggiori probabilità di fidelizzazione le donne più giovani, le donne coniugate, e quelle con uno stato socio-economico più elevato. I dati ottenuti saranno utili per migliorare i meccanismi di accesso della popolazione invitata attraverso l’identificazione di strategie di intervento specifiche e mirate. La sessione è terminata con l’approfondimento del tema dell’equità nel percorso assistenziale del tumore della mammella, presentando i risultati di una sperimentazione torinese che hanno dimostrato l’utilità delle fonti informative correnti nel monitoraggio dell’equità nei percorsi assistenziali per l’identificazione di aree critiche del percorso su cui intervenire, e l’impatto variabile che i determinanti socioeconomici possono avere in funzione del loro signi62
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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ficato e della fase del percorso (diagnosi o trattamento).
Consensus Conference GISMa-SIRM sulle modalità di classificazione dei reperti mammografici (classificazione europea vs BI-RADS) E’ stato presentato il documento di discussione relativo all’uso di un sistema codificato di refertazione in mammografia (e altre indagini di diagnostica clinico-strumentale) inclusivo dei commenti raccolti nei mesi scorsi dai soci GISMa e Sezione Senologia SIRM ai quali il documento era stato reso disponibile. Dalla discussione è emerso un sostanziale accordo sull’opportunità di diffondere tra i senologi un caveat rispetto all’uso dalla classificazione BI-RADS, apparentemente adottata da molti ma chiaramente male usata, non in ottemperanza alla raccomandazioni ACR. Il problema verte essenzialmente sul codice 3: R3 di BI-RADS è associato ad un VPP <2%, e per il bassissimo rischio di neoplasia non comporta alcun approfondimento ma solo il controllo di principio nel tempo. Tale pratica di early recall di principio è poco impiegata in Europa dove il codice 3 configura un sospetto modesto di neoplasia (VPP tra 5 a 10%), e comporta approfondimento spesso invasivo (FNAC o NCB). Tale pratica è rimasta invariata ma per questi casi è stato adottato il codice BI-RADS R3, che, nell’accezione descritta dalla ACR, ha ben altro significato, mentre per i casi da approfondire è necessario usare per lo meno il codice R4a. La discussione si è conclusa con la raccomandazione di un comunicato ufficiale congiunto GISMa-SIRM che precisi i criteri per un corretto uso di BI-RADS, per chi la vuole usare, e suggerisca l’uso della classificazione Europea (Linee guida CE) che opera anch’essa secondo 5 punti, ma dove il codice 3 (M3 per la mammografia) implica [in analogia alla citologia (C1-5) e alla micro biopsia (B1-5)] l’approfondimento eventualmente anche invasivo. Le relazioni presentate al convegno possono essere scaricate dal sito: http:// www.gisma.it (sezione Atti dei convegni). Il prossimo convegno si terrà a Bologna dal 12 al 14 settembre 2012.
L’esame del linfonodo sentinella: dall’analisi morfologica a quella molecolare. B. FERNANDES^1 , B. FIAMENGO^1 , C. NAVLIGU1 , P. SPAGGIARI1 , S. MANARA1 , M. COLLETTO1 , F. MAGANI1, C.A. GARCIA-ETIENNE2, A. TESTORI2, C. TINTERRI2, M.RONCALLI1 , L. DI TOMMASO1 . ^ Questi autori hanno contribuito in maniera analoga alla stesura del manoscritto. 1
U.O. Anatomia Patologica e 2Breast Unit, IRCCS Istituto Clinico
Humanitas
L
a valutazione morfologica del linfonodo sentinella L’esame del linfonodo sentinella (LS) costituisce, attualmente, uno standard nel percorso diagnostico e terapeutico delle pazienti affette da carcinoma mammario. Dall’introduzione di questa metodica (Giuliano AE et al, Ann Surg 1994; Veronesi U et al, Lancet 1997) diverse modalità anatomo-patologiche sono state prese in considerazione per esaminare il LS, sostanzialmente tutte riconducibili a due distinte tipologie di esame. Alla prima appartengono le metodiche che utilizzano tessuto incluso in paraffina e questo tipo di materiale può teoricamente garantire i migliori risultati in termini di sensibilità. Il numero di sezioni in ematossilina/eosina (E/E) allestite infatti può variare da poche unità (sensibilità bassa) sino ad un esame in toto (una sensibilità assoluta). Va tuttavia sottolineato che questa seconda evenienza risulta solo teorica: infatti, considerando che ogni E/E misura circa 0,005 mm di spessore, un LS di 5 mm potrebbe essere esaminato in toto solo allestendo 1000 sezioni in E/E. Il materiale incluso in paraffina garantisce anche una ottima specificità: le colorazioni immunoistochimiche per la citocheratina consentono infatti di marcare con sicurezza anche singole cellule tumorali isolate (ITC). Il principale limite delle metodiche che insistono sull’impiego di tessuto incluso in paraffina risiede nel fatto che, a fronte di una positività del LS, attesa in circa il 30-40% dei casi, si rende necessario un secondo intervento, in un tempo successivo, per comple-
tare la dissezione ascellare. L’utilizzo di tessuto congelato rappresenta il cardine della seconda modalità di esame del LS. Teoricamente anche questo metodo, al pari dell’esame del LS su tessuto paraffinato, può garantire l’esame di un numero elevato di sezioni in E/E e l’esecuzione di colorazioni immunoistochimiche. Tuttavia, nella pratica quotidiana, si preferisce favorire un altro aspetto, peculiare di questa metodica: la rapidità dell’esame. Ad esempio, in un protocollo come quello in uso presso la nostra Istituzione, un LS di 5 mm può essere esaminato in circa 45-50 minuti con l’allestimento di una sezione ogni 0,1 mm di spessore. Il principale vantaggio è la possibilità di fornire al chirurgo una risposta nel tempo intra-operatorio, evitando alla paziente un secondo intervento. Proprio per questo motivo, ove possibile e molto spesso sotto la spinta dei colleghi Senologi, le Anatomie Patologiche hanno adottato questa seconda modalità. Limiti dell’approccio morfologico Va osservato che entrambi gli approcci -sia quello su tessuto paraffinato che quello su tessuto congelato- sono gravati da due grossi limiti. Come già segnalato nella precedente sezione, il primo di questi ostacoli sta nel fatto che la quantità di tessuto linfonodale effettivamente esaminata è necessariamente esigua (le 1000 sezioni teoricamente ottenibili da un LS di 5 mm richiederebbero il lavoro di una giornata di 10 tecnici per essere allestite e quello di 10 medici per essere lette). Anche nel caso di un esame “intensivo” del LS (una sezione in E/E ogni 0,05 mm) l’accuratezza diagnostica della metodica sarà sempre limitata dalla ridotta percentuale di tessuto esaminato (in un LS di 5 mm di spessore circa 1%; in un frammento di 2 mm di spessore circa 2,5%). L’abilità e l’esperienza degli operatori coinvolti nella procedura rappresentano il secondo limite dell’approccio morfologico all’analisi del LS. In primo luogo, risulta fondamentale N. 64 - 2012
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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l’esperienza del tecnico di istopatologia nell’includere, tagliare e raccogliere in maniera appropriata sezioni del LS. In secondo luogo il limite della morfologia potrebbe anche essere riconducibile alla capacità del patologo di identificare e riconoscere il deposito tumorale all’interno del LS. Pare opportuno rimarcare che, nell’esame al congelatore, le problematiche legate all’esperienza degli operatori si amplificano: il tessuto non disidratato compromette la qualità delle sezioni allestite (che risultano frammentate per la presenza di cristalli di ghiaccio e di maggiore spessore) rendendo più difficile l’identificazione di piccoli focolai metastatici. La valutazione molecolare del linfonodo sentinella Di recente è stata proposta, validata ed introdotta una nuova metodica di analisi del LS (Tsujimoto M. et al. Clin. Cancer Res. 2007; Castellano et al Ann Surg 2011). Questa tecnica denominata OSNA (One Step Nucleic Acid Amplification) si focalizza sulla ricerca di una “traccia specifica” del tumore piuttosto che sull’identificazione del tumore stesso (aspetto essenziale delle metodiche classiche). In altri termini, piuttosto che cercare di individuare il volto dell’indagato (le cellule tumorali) si preferisce cercarne l’impronta sotto forma di una molecola espressa in maniera specifica solo dal tumore stesso, individuata dopo accurati studi nella citocheratina 19 (CK19). Una volta identificata la traccia, quest’ultima viene quantificata e, in base alla quantità di espressione del RNA messaggero (mRNA) del marcatore CK19, il LS viene distinto in micrometastasi o (franche) metastasi. A questa capacità di rendere “oggettiva” la presenza di cellule neoplastiche, la metodica OSNA unisce un ulteriore aspetto di obiettività nell’esame del LS. Quest’ultimo viene infatti frammentato e successivamente omogeneizzato in toto, garantendo una valutazione dell’intero tessuto linfonodale, piuttosto che una minima percentuale dello stesso. L’approccio molecolare proposto da OSNA si propone dunque come più oggettivo, standardizzato, sensibile ed accurato di quello morfologico sin qui in uso. Dalla valutazione morfologica a quella molecolare: l’esperienza in Humanitas La metodica OSNA è entrata in uso routinario presso il Sevizio di Anatomia Patologica dell’Istituto Clinico Humanitas, al termine di un training sul personale medico e tecnico di un mese, il 01-10-2011. Dopo quattro mesi di utilizzo, il 31-01-2012, i dati raccolti sono stati confrontati con quelli prodotti dalla stessa equipe chirurgica (recentemente certificata in sede europea), nel periodo compreso fra il 01-0164
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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2009 e il 07-10-2009 utilizzando l’esame al congelatore del LS. Tali dati sono stati confrontati anche con quelli ottenuti su materiale paraffinato nel periodo 2000-2005 (Di Tommaso et al Ann Surg 2006). I risultati ottenuti su tessuto paraffinato, esame al congelatore ed OSNA sono illustrati sinteticamente nella Tabella 1. OSNA: una nuova era Con l’introduzione di OSNA il numero di LS esaminati per ciascun paziente si è leggermente ridotto (143 LS/128 pazienti, media 1.1 LS/paziente, range 1-3 LS/paziente) rispetto ai valori osservati in precedenza. Questo dato sembra suggerire una migliore valutazione preoperatoria dello stato linfonodale con i casi francamente positivi definiti mediante l’ausilio di un agoaspirato e/o biopsia piuttosto che con la metodica scintigrafica/LS. Con OSNA è rimasta invariata, rispetto ai dati precedenti, la percentuale di LS+ (25%, rispetto al 30% della metodica in paraffina ed il 22% di quella al congelatore), mentre si è osservato un dato interessante relativamente alla distribuzione di metastasi e micrometastasi. Infatti con l’introduzione del metodo molecolare OSNA si è registrato un incremento delle metastasi (paraffinato: 61%; congelato 74%; OSNA 84%) ed un decremento delle micrometastasi (paraffinato: 38%; congelato: 26%; OSNA: 13%). Questo trend iniziale, seppur da confermare in casistiche più ampie, sembra coerente con una delle peculiarità garantite da questo metodo: l’analisi dell’intero LS. In altri termini OSNA, proprio in ragione dell’esame di tutto il tessuto e non solo di una porzione esigua, sembrerebbe in grado di individuare un certo numero di metastasi in precedenza sottostimate. Infine, il dato relativo alla presenza di ulteriori linfonodi positivi nel contesto dello svuotamento ascellare, pressoché identico con le tre metodiche, sembra confermare l’oggettiva capacità di OSNA di identificare ed evidenziare il fenomeno biologico della metastasi. OSNA: aspetti critici I dati OSNA sin qui discussi, seppur prodotti su una casistica importante (143 LS), si riferiscono ad un tempo piuttosto breve di attività (4 mesi). Possiamo pertanto ritenerli incoraggianti nonostante la difficoltà per un patologo di abbandonare la valutazione morfologica di LS. Durante questi primi mesi di utilizzo in routine, sono state individuate alcune criticità legate all’organizzazione e allo svolgimento della metodica OSNA.
Seppure presentata da alcuni, ma non dal produttore (va sottolineato), come una metodica più veloce del congelatore, questo aspetto non si è rivelato tale. Nella nostra esperienza solo nella evenienza di dover esaminare un singolo e piccolo (<0.60 g) linfonodo, i tempi di risposta si sono dimostrati inferiori (circa 40 min) rispetto allo standard raggiunto con il congelatore (circa 45 min). Ma nel caso di un linfonodo grande o di più linfonodi, invariabilmente la risposta subiva un certo ritardo (circa 50-60 minuti) rispetto allo standard. Rispetto all’esame al congelatore, OSNA richiede un impegno continuativo solo del personale tecnico, “liberando” di fatto il personale medico dalla lettura delle sezioni in E/E. Questo aspetto non è trascurabile nella valutazione dei costi; va tuttavia osservato che il costo unitario per analisi risente soprattutto di una buona programmazione degli interventi della Senologia.
Infine questa nuova metodica mostra un limite quando, seppur in rari casi (nella nostra casistica 5/143, 3%), non riesce a definire con esattezza la quantità di RNA messaggero del marcatore CK19. In questa situazione, che si realizza quando viene preso in considerazione il campione diluito (ad esempio in presenza di LS con eccesso di tessuto adiposo), OSNA indica “solamente” la presenza di cellule tumorali nel LS senza distinguere fra micrometastasi e metastasi. Conclusioni I dati relativi all’analisi molecolare del LS con il metodo OSNA appaiono sovrapponibili a quelli su materiale paraffinato e congelato. Questa metodica si propone dunque come una valida alternativa all’esame morfologico: un cambiamento epocale nella prassi di un servizio di Anatomia Patologica.
Tabella 1: Performance delle differenti modalità di esame del LS. Tessuto paraffinato
Tessuto congelato
OSNA
LS; pazienti (media; range)
648; 540 (1.2; 1-5)
507; 390 (1.3; 1-5)
143; 128 (1.1; 1-3)
Pazienti con LS+
162/540 (30%)
87/390 (22%)
32/128 (25%)
Metastasi
100 (61%)
64 (74%)
27 (84%)
Micrometastasi
62 (39%)
23 (26%)
4 (13%) §
Pazienti con altri linfonodi+ allo svuotamento ascellare
53/162 (33%)
27/87 (31%)
12/32 (38%)
- con metastasi al LS
43/100 (43%)
23/64 (36%)
11/27 (41%)
- con micrometastasi al LS
10/62 (16%)
4/23 (17%)
1/ 4 (25%)
Legenda: § in un caso l’analisi è stata effettuata sul campione diluito; il risultato, pertanto, indicava “solamente” la presenza di cellule metastastiche senza distinguere fra metastasi e micrometastasi.
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ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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NEWS
Reportage, fatti, avvenimenti, notizie Master in oncoplastica
E
uropean Cancer Care Certification (CCCert) è l’organizzazione no-profit alla quale Eusoma ha affidato l’incarico di gestire la procedura di certificazione delle Unità di Senologia secondo i requisiti Eusoma “The requirements of a specialist breast Unit”. CCCert segue quanto prescritto dalle normative Europee riguardo alla gestione delle procedure di certificazione. Per informazioni: www.cancercarecert.biostatistica.net E-mail: info@cancercarecert.biostatistica.net
Prof. Pierluigi Santi
L
a terapia chirurgica del cancro mammario, ha subito, negli ultimi anni, sulla base di numerosi trials clinici condotti in Europa ed in Nord America, notevoli cambiamenti volti ad ottenere radicalità oncologica pur conservando parte della ghiandola mammaria. La chirurgia conservativa, dimostratasi sovrapponibile, in termini di overall survival, alla mastectomia radicale, ha come obiettivo aggiuntivo non indifferente il risultato cosmetico sulla mammella conservata. Per questo motivo risulta fondamentale l’ accurata programmazione dell’intervento chirurgico che non può esimersi da una stretta collaborazione tra equipe chirurgica (oncologica e ricostruttiva), radiologo, radioterapista, oncologo e non per ultima, la paziente stessa. Il Master Universitario di II livello in “Oncoplastica Mammaria e Trattamenti Integrati” si propone di fornire una preparazione specifica nel campo dell’approccio alla patologia mammaria e della ricostruzione della mammella secondo le recenti tecniche di oncoplastica. L’obiettivo è la formazione di allievi preparati a fornire ad ogni paziente la soluzione più valida per raggiungere il massimo della radicalità oncologica con il miglior risultato estetico e funzionale. In particolare, i discenti acquisiranno conoscenza non solo della metodica chirurgica standard, bensì di tutta una serie di tecniche chirurgiche in grado di soddisfare qualsiasi esigenza ricostruttiva immediata e differita, integrandosi con il chirurgo generale, il radiologo, il radioterapista e l’oncologo medico al fine di essere in grado di collocare la paziente ed il suo problema ricostruttivo al centro di un percorso decisionale articolato su diversi fronti, ed in grado di garantirle la ricostruzione più idonea, rendendola partecipe e consapevole del processo decisionale. Tutto questo perché la terapia del tumore della mammella non debba essere più sinonimo di mutilazione per la donna e perché la cura del corpo non debba essere più 66 6 6
ATTUALITÀ AT UAL ATT AL LITÀ IT TÀ À IN I SENOLOGIA SE SENOL N OGI NOL OG O G GIA
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causa di una malattia dell’anima. Il Corso, alla sua prima edizione, ha durata di 1500 ore, articolato in 9 cicli, ripartite tra didattica frontale e tirocinio pratico, ed è suddiviso in una parte teorico-pratica di base ed in un tirocinio complementare comprensivo di altre forme di studio guidato e di didattica interattiva. Ogni ciclo consiste di lezioni propedeutiche integrate, volte a trattare in modo esaustivo tutti gli aspetti relativi all’approccio medico-chirurgico della patologia mammaria; durante la seconda parte del Corso assumono sempre maggior importanza le lezioni chirurgiche con caso clinico, svolte da docenti interni all’Ateneo o da docenti esterni di comprovata esperienza e professionalità, comprendenti l’analisi critica del caso, la discussione sul metodo operatorio e l’esecuzione pratica dell’intervento. Durante il tirocinio il discente potrà inoltre effettuare esercizi applicativi e approfondire gli argomenti con lo studio individuale e la frequenza presso le Strutture collaboranti all’organizzazione del Corso: • Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro IST, l.go R. Benzi 10 - 16132 GENOVA • Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale dei Tumori, via Venezian, 1 - 20133 MILANO • Istituto Nazionale dei Tumori “Regina Elena” I.R.C.C.S. IFO, via Elena Chianesi, 53 - 00144 ROMA • Fondazione Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione I.R.C.C.S., via Salvatore Maugeri, 4 27100 PAVIA Per informazioni inerenti il Corso in oggetto e la II edizione dello stesso contattare il DISC - Università degli Studi di Genova, Largo R.Benzi 10 - 16132 Genova presso la Segreteria Organizzativa, Sig.ra Nadia Toma (e-mail: nadia.toma@ unige.it, Tel. 0103537298, fax 0103537377) o la Segreteria Scientifica, Dott.ssa Ilaria Baldelli (e-mail: ilaria_baldelli@ libero.it, Tel. 0105600884 - 881, Fax 0105600316)
NEWS
Gruppo di studio AIRO per la patologia mammaria Attività nel 2011
Prof. Luigia Nardone Università Cattolica Sacro Cuore Roma Div. Radioterapia Coordinatore Gruppo di Studio AIRO Mammella
I
l Gruppo di Studio AIRO (Associazione Italiana Radioterapia Oncologica) per la Patologia Mammaria ha iniziato la sua attività oltre 10 anni fa come aggregazione di Specialisti in Radioterapia Oncologica con particolare interesse per la terapia e la ricerca delle neoplasie del seno. Il Gruppo, costituito attualmente da oltre cinquanta soci AIRO partecipanti attivamente e aperto a chiunque sia interessato a farne parte, è gestito da un Coordinatore, affiancato da alcuni Consiglieri volontari, tutti eletti ogni 2 anni con votazione collegiale. L’attività negli anni è stata rivolta alla ricerca dell’aggiornamento clinico e culturale, tecnologico e procedurale, nell’ottica di diffondere una standardizzazione dei trattamenti su tutto il territorio nazionale. Dalla operosa collaborazione di un gruppo progressivamente sempre più numeroso e motivato è nata la prima pubblicazione e i successivi periodici aggiornamenti delle cosidette “Linee Guida”, più esattamente denominate “Indicazioni e Criteri Guida” nella “Radioterapia del Tumore della Mammella”. Esse rappresentano un importante strumento di consultazione per affrontare in modo semplice e chiaro alcuni aspetti talora controversi e per l’aggiornamento di problematiche attuali nel trattamento radioterapico del carcinoma della mammella. Dall’inizio del 2011 il Gruppo di Studio sta lavorando alla revisione e aggiornamento dell’ultima pubblicazione, datata novembre 2009. La nuova versione è prevista per novembre 2012, in occasione del XXII° Congresso Nazionale AIRO di Roma. Durante il 2011 il Gruppo di Studio ha elaborato e presentato alcune proposte di trials clinici prospettici, qui sinteticamente riassunti: ► MIRA-SOLE trial (MultIcentric RAndomized Study of
cOnventionaL and hypofractionatEd RT in adjuvant breast cancer setting) E’ uno studio clinico multicentrico randomizzato di fase IIb/III, in pazienti affette da carcinoma mammario invasivo, sottoposte ad intervento chirurgico conservativo, finalizzato al confronto tra lo schema di radioterapia complementare a fasci esterni con frazionamento convenzionale e due schemi di radioterapia complementare a fasci esterni con ipofrazionamento accelerato con boost concomitante, in 20 e 13 frazioni rispettivamente. Lo studio, che ha come sperimentatore principale la Radioterapia dell’Istituto Europeo di Oncologia, approvato dal C.E. nel luglio scorso, prevederà l’arruolamento di circa 3300 pazienti in 36 mesi. ► ISIORT-HIOB (Hypofractionated Whole Breast Irradiation preceded by Intra - Operative Radiotherapy with Electrons as anticipated Boost) E’ uno studio clinico multicentrico europeo, proposto dalla Radioterapia di Salisburgo, già iniziato in diversi Centri europei, che prevede una radioterapia intraoperatoria con elettroni come boost anticipato associata in post-operatorio a radioterapia ipofrazionata in pazienti con neoplasia mammaria in stadio I-II trattate con chirurgia conservativa. Il trial, che ha come promotore italiano la Radioterapia dell’Osp. S. Filippo Neri di Roma, ha iniziato il reclutamento delle pazienti anche in Italia. ► MISS-MARTY-DCIS (Multicentric Italian Single-Arm Study - Mammary RadioTherapy Hypofractonation - Ductal Carcinoma In Situ) Ad iniziativa del Gruppo di Studio è in corso il completamento del testo del protocollo. Lo studio prevederà il trattamento ipofrazionato mammario dopo chirurgia conservativa in pazienti affette da carcinoma duttale in situ. E’ tuttavia necessario osservare che alcune difficoltà, legate a recenti problematiche assicurative, anche per gli studi prospettici no-profit come quelli proposti, rallentano al momento l’adesione dei Centri e l’arruolamento delle pazienti. In considerazione delle difficoltà economico-assicurative per condurre studi prospettici, il Gruppo di Studio ha avviato una “survey” retrospettiva su BC dopo irradiazione sopradiaframmatica, prevalentemente in donne trattate in giovane età per linfoma di Hodgkin. Oltre alle periodiche riunioni di lavoro (4 durante il 2011) sono stati organizzati per i primi mesi del 2012 due Convegni di stretta pertinenza radioterapica senologica: • “ZOOM Journal Club 2011” (Roma il 20 gennaio 2012) per presentazione e discussione collegiale degli articoli più salienti della letteratura scientifica radioterapica in campo senologico, pubblicati nel 2011. • “Le Terapie Integrate nei Tumori della Mammella” - Incontro con gli Esperti (X° Edizione Chieti 16-17 febbraio 2012) per una discussione multidisciplinare sulle problematiche cliniche e le controversie più attuali in Senologia.
N. 64 - 2012
ATTUALITÀ IN SENOLOGIA
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In Toscana è nata una nuova realtà sanitaria Centro Oncologico Fiorentino: una medicina sempre meno invasiva, una struttura moderna sempre più ospitale.
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n un’area di 18.000 metri quadri nel cuore di Sesto Fiorentino sorge il primo esempio toscano di istituto oncologico multidisciplinare e fondato sulla partecipazione sia medico-scientifica che sociale: il Centro Oncologico Fiorentino. Due componenti, in particolare, già dalla sua prima fase di attività si stanno dimostrando fondamentali: aver creato spazi in grado di suscitare emozioni positive ed essere riusciti a promuovere anche la cultura della sicurezza dei pazienti. Gli ambienti gradevoli contribuiscono a stimolare creatività nel lavoro e a migliorare la relazione di ospitalità. Nei reparti oncologici è particolarmente importante predisporre luoghi dove anche l’accoglienza, il soggiorno e le relazioni siano coerenti e sinergiche. Al CFO tutto questo è una realtà. Il Centro è stato progettato per disporre di ambienti a diversa intensità tecnologica che rispondano alle diverse esigenze e gamma di cure: screening, diagnosi, cura, follow up. Le camere particolarmente confortevoli sono state progettate per rendere meno traumatica possibile la degenza ospedaliera. Anche il parco è stato studiato per essere un “giardino curativo”. Tutto questo non è solo umanizzazione del luogo di cura, ma ha anche effetti terapeutici. La dotazione tecnologica pone l’istituto all’avanguardia nel
panorama dell’oncologia: non solo è adeguata, ma anch’essa è frutto di una scelta che ricerca la minima invasività. Dagli acceleratori lineari in grado di aggredire i tumori utilizzando dosi di irradiazione molto potenti alle tecniche di chirurgia robotica che tanto stanno riducendo trauma chirurgico, perdite di sangue, complicanze postoperatorie. Il blocco chirurgico è il cuore operativo del Centro, progettato tenendo conto del fatto che le tecnologie delle sale operatorie diventano ogni giorno più sofisticate per eseguire interventi sempre meno traumatici ed invasivi. L’area risveglio è un vero e proprio reparto, in continuità fisica con la zona delle sale, a pochi metri dalla terapia intensiva. Sempre all’interno dell’area, la sala per la radiologia interventistica. Il CFO fin dalla sua ideazione si è posto l’obiettivo di svolgere un ruolo significativo nel campo delle cure e della ricerca oncologica. In questi anni abbiamo assistito ad uno straordinario sviluppo delle tecnologie diagnostiche e delle tecniche di cura. Per mettere a disposizione le cure più efficaci in un campo sottoposto a intensa innovazione come l’oncologia, non sempre bastano le evidenze scientifiche, ma c’è bisogno della ricerca costante sul campo per ottenere il miglior risultato per ciascun paziente.
www.centroncologicofiorentino.it.
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Lei riparte serena... il suo radiologo l'ha rassicurata
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