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Serie editoriale:

CLINICAL CASE MANAGEMENT

La diagnosi differenziale della vertigine nella Sclerosi Multipla D. Alpini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Aggiornamento periodico:

OTONEUROLOGIA 2000 Giugno 2002 / n. 10

Coordinamento Scientifico:

L’evoluzione del concetto di “Compenso Vestibolare Centrale”: la “rivoluzione” indotta dagli studi di Curtuoys & Halmagyi G.C. Modugno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Dr. Giorgio Guidetti Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena e Reggio Emilia Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica Modulo di Vestibologia e Rieducazione vestibolare Policlinico di Modena e-mail: guidetti.g@policlinico.mo.it

Interpretazione delle manifestazioni di disturbi auditivi e dell’equilibrio nella medicina antica e nella tradizione popolare (Parte terza) C. Lapucci, A.M. Antoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coordinamento editoriale:

Mediserve

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MEDISERVE

OTONEUROLOGIA

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LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA VERTIGINE NELLA SCLEROSI MULTIPLA DARIO ALPINI1-2, DOMENICO CAPUTO3, FERDINANDO CORNELIO4, REUVEN KOHEN-RATZ5, LAURA MENDOZZI3, LUIGI PUGNETTI6 1Servizio

di Otoneurologia, Ist. Scientifico “S. Maria Nascente” Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano Vertigini “Aldo Dufour”, Istituto Nazionale Neurologico “Carlo Besta”, Milano 3Centro Sclerosi Multipla, Ist. Scientifico “S. Maria Nascente” Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano 4Dipartimento di Neuroscienze Cliniche, Istituto Nazionale Neurologico “Carlo Besta”, Milano 5Facoltà di Psicologia, Università Ebraica di Gerusalemme, Israele 6Lab. di Neurofisiologia, Ist. Scientifico “S. Maria Nascente” Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano E-mail: dalpini@dongnocchi.it 2Centro

Sommario La vertigine è un sintomo molto frequente nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla (SM) sia all’esordio della malattia sia durante il decorso. La diagnosi clinica e strumentale di vertigine da lesione centrale, e quindi demielinizzante, non sempre è agevole quando si tratta del primo episodio della malattia. Tuttavia il supporto delle indagini di neuroimaging frequentemente consente una diagnosi precisa. Al contrario, quando la vertigine si presenta in un paziente già con diagnosi conclamata, la diagnosi differenziale tra cause centrali (nuova poussée) o periferiche (ad esempio cupololitiasi) raramente trae informazioni utili della diagnostica per immagini. La diagnosi differenziale condiziona però in modo rilevante la scelta terapeutica sia a breve sia a lungo termine. Nel lavoro vengono presentate indicazioni cliniche e strumentali per facilitare la diagnosi differenziale di sede in caso di vertigine acuta, vertigine posizionale, instabilità accessuale in pazienti affetti da malattia demielinizzante.

Parole Chiave: Sclerosi Multipla, Vertigine, Instabilità, Elettronistagmografia, Posturografia, Potenziali Evocati Vestibolari Miogeni

Introduzione Le turbe dell’equilibrio, in generale, sono frequenti durante il decorso clinico della Sclerosi Multipla (SM). La vertigine, in particolare, è frequentemente uno dei sintomi di esordio della malattia. I problemi diagnostici differenziali sono abbastanza complessi quando si tratta del primo episodio. Tuttavia, quasi paradossalmente, le problematiche attinenti una corretta diagnosi differenziale sono ancora maggiori quando

la vertigine interessa un paziente già noto come affetto da SM. Non necessariamente, infatti, la vertigine deve essere ricondotta a un nuovo episodio della malattia. Determinare se la sintomatologia sia da correlarsi a una nuova poussée o meno comporta scelte terapeutiche a breve (steroidi) e a lungo termine (interferone, copolimero, immunosoppressori) differenti sia per i costi sia per gli effetti collaterali. I segni clinici neurologici sono frequentemente invariati nonostante la presenza di 3


una nuova sintomatologia e la diagnostica per immagini non sempre è dirimente, stante la presenza di lesioni già note e pertanto la RMN non può essere la metodica diagnostica di prima scelta. La presenza di lesioni neurologiche, come ovvio, rende, poi, difficoltosa anche la valutazione clinica otoneurologica Scopo del lavoro è presentare le attuali possibilità diagnostiche differenziali in pazienti affetti da SM che presentino, nel corso della malattia una sintomatologia vertiginosa.

Le vertigini nella SM Il paziente affetto da SM può presentare nel corso della propria vita, anche dopo la diagnosi di malattia demielinizzante, episodi di vertigine o instabilità accessuale che possiamo raggruppare in tre situazioni: 1. vertigini rotatorie oggettive acute ad esordio spontaneo di lunga durata, inabilitanti anche se il soggetto presentava una buona autonomia; 2. vertigini posizionali; 3. instabilità accessuale con difficoltà a mantenere la stazione eretta anche se il soggetto presentava una buona autonomia. 1. Episodi acuti rotatori inabilitanti. Tanto frequenti all’esordio quanto relativamente rari nel decorso, quando assumono i noti caratteri clinici della cosiddetta “neuronite” vestibolare, sono con buona probabilità episodi di esacerbazione della malattia. In questi casi sono presenti segni differenti rispetto ai rilievi dei controlli precedenti e anche i rilievi sia clinici sia strumentali otoneurologici evidenziano segni non presenti nei controlli abitualmente previsti durante il monitoraggio dei pazienti. L’oculografia raramente contribuisce alla diagnosi differenziale se viene eseguita per la prima volta in quel paziente. Al contra4

rio, quando le indagini otoneurologiche rientrano nei protocolli di monitoraggio dei pazienti affetti da SM, il confronto tra registrazione attuale e precedenti è spesso dirimente. Le indagini otoneurologiche che rientrano nei nostri protocolli di follow-up sono: • registrazione elettronistagmografica (Toennies) con derivazioni monoculare orizzontale bilaterale e verticale destra comprendente la valutazione di: – saccadici randomizzati orizzontali e verticali – movimenti di inseguimento lento orizzontali (0.2 e 0.4 Hz) e verticali (0.2Hz) – nistagmo otticocinetico da 16 a 40°/sec nel piano orizzontale – nistagmo spontaneo – riflesso visuo-vestibolo-oculomotore da rotazione sinusoidale 0.10 Hz alla luce (VVOR) – riflesso vestibolo-oculomotore da rotazione sinusoidale 0.10 Hz al buio (VOR) – inibizione del VOR con fissazione di mira solidale alla rotazione del paziente (VST) • stabilometria statica (quando possibile, pedana IBS Tetrax) • potenziali evocati acustici del tronco (ABR) • potenziali evocati vestibolari miogeni (VEMP). Uno dei segni di interessamento troncocerebellare più frequenti è l’oftalmoplegia internucleare. In precedenti studi abbiamo dimostrato come sia possibile utilizzare lo studio della coniugazione interoculare per monitorare l’andamento della malattia. Abbiamo infatti rilevato che il test statisticamente più significativo nell’evidenziare la compromissione infraclinica delle vie di coniugazione sia la misurazione del rallentamento dell’occhio addotto nella prova di rotazione con la luce (riflesso visuo-vestibolo-oculomotore). Lo studio della coniugazione del VVOR rileva il 36% di casi di


dissociazione in più della registrazione dei saccadici. La dissociazione dei saccadici è sempre associata con anormalità delle altre prove oculomotorie. Il calcolo della dissociazione viene eseguito utilizzando il Versional Disconjugacy Index (VDI) descritto da Ventre e coll. L’esecuzione periodica delle registrazioni oculografiche consente quindi una accurata diagnosi differenziale, poiché rileva le modificazioni dei parametri oculomotori e vestibolo-oculomotori. La combinazione di prove oculomotorie e vestibolo-oculomotorie è la metodica più sensibile (nella nostra casistica 89%) nel documentare alterazioni funzionali tronco-cerebellari. L’associazione dello studio dei potenziali evocati acustici del tronco (ABR) consente di documentare la concomitante presenza di una lesione o l’evoluzione della patologia, anche se la sensibilità della metodica nel rilevare lesioni demielinizzanti del tronco è abbastanza bassa (nella nostra casistica 43%). In Figura 1 è riportata l’immagine RMN relativa a numerose lesioni demielinizzanti della bianca periventricolare.

Fig. 1 – Immagine RMN di paziente femmina (P.L. di anni 37) affetta da SM clinicamente definita che presentò acufeni e vertigine rotatoria oggettiva acuta. L’immagine evidenzia le lesioni demielinizzanti corticali già note da precedente indagine del 1999.

Fig. 2 – Dimostrazione RMN dell’attuale lesione demielinizzante del peduncolo cerebellare medio di sinistra che ha causato la sintomatologia uditiva e vestibolare.

La Figura 2 dimostra invece una lesione demielinizzante del peduncolo cerebellare medio di sinistra. La paziente (P.L. di a.37) affetta da SM clinicamente definita, godeva di un periodo di relativo benessere da circa 1 anno. La sintomatologia esordì con ovattamento auricolare a sinistra e dispercezione uditiva. Le prove audiometriche erano normali. La sintomatologia vertiginosa esordì in modo acuto tre giorni dopo. Dal punto di vista obiettivo, la paziente presentava nistagmo spontaneo III-II e I verso destra, coniugato, normoacusia tonale e normale dinamica timpano-ossiculare, dismetria alla prova indice-naso a sinistra, Romberg a sinistra, marcia non valutabile stante l’intensità della vertigine e della sintomatologia neurovegetativa. In questo caso, la ricchezza dei segni clinici neurologici e dei reperti otoneurologici sia clinici sia strumentali ha reso semplice la diagnosi di lesione centrale troncocerebellare, ancor prima della dimostrazione della sede e dell’entità della lesione alla RMN (Figg. 3, 4). 5


Fig. 3 – Tracciato ABR registrato nel 2000 in assenza di sintomi uditivi e vestibolari. Il tracciato è bilateralmente normale.

Fig.4 – Tracciato ABR eseguito in concomitanza con la sintomatologia uditiva e vertiginosa. Si rileva la chiara compromissione del complesso IV-V a sinistra (traccia inferiore).

2. Vertigini posizionali. Sono tanto frequenti nei pazienti affetti da SM, quanto nella popolazione generale. In questi casi molto spesso la visita neurologica non evidenzia segni di progressione della malattia. Al contrario i rilievi otoneurologici raramente rispecchiano i quadri tradizionali della vertigine parossistica posizionale 6

benigna (sia del canale semicircolare posteriore sia di quello laterale). È quindi necessario utilizzare criteri clinici e strumentali per ovviare a questi problemi. Dal punto di vista clinico, l’unico criterio di “benignità” della vertigine posizionale nella SM è l’affaticabilità dei segni e dei sintomi con la ripetizione della/delle mano-


vre scatenanti. Al contrario, non è raro trovare nistagmi posizionali multipli, evocabili in più posizioni, senza latenza, dissociati…Tuttavia, la presenza di segni “centrali” non sempre indica la ripresa di malattia. La diagnosi differenziale richiede un supporto strumentale. La metodica che utilizziamo di routine in questi casi è lo studio dei potenziali evocati vestibolari miogeni (VEMP). I VEMP sono stati descritti da Bickford, che osservò potenziali di breve latenza evocati da stimolazione acustica e registrati con un elettrodo attivo posizionato poco sotto l’inion (“inion response”). Egli inoltre riportò che la risposta evocata derivava da modificazioni dell’attività dei muscoli posteriori del collo con un meccanismo simile a quello che determina il fenomeno di Tullio. Da allora vari lavori sono stai pubblicati sull’argomento. Dal giugno 2000 la registrazione VEMP fa parte integrante della nostra batteria di valutazione dei pazienti con SM (Figg. 5, 6). La metodica, descritta da Shimizu e coll., prevede il paziente seduto con la testa ruotata dal lato opposto a quello dell’o-

ds

Fig. 5 – Tipico pattern VEMP con complesso bifasico P13/N23 (L1/L3) registrato con apparecchiatura Amplaid Mk22.

recchio stimolato. L’elettrodo di superfice positivo viene posto sulla clavicola, quello negativo sullo sterno-celido-mastoideo, quello di riferimento sul manubrio dello sterno. Il riflesso viene evocato da clicks in rarefazione (durata 1000 msec, intensità 95 dB NHL, frequenza 5 Hz, 200 stimoli in due serie) con mascheramento controlaterale di 70 dB, utilizzando un’appa-

sn

Fig. 6 – VEMPs di T.T., femmina, anni 38, affetta da SM clinicamente definita che presentava vertigine parossistica posizionale destra. Il tracciato VEMP a sinistra è normale mentre a destra non è riconoscibile il tipico pattern. 7


recchiatura commerciale per lo studio dei potenziali evocati uditivi (Nicolet CA 2000 o Amplaid MK22). Durante la stimolazione viene chiesto al paziente di ruotare attivamene contro resistenza (lo schienale della poltrona). La stimolazione evoca un complesso bifasico denominato P13/N23. I valori normali calcolati sulla nostra popolazione di riferimento (15 soggetti, 8 maschi, 7 femmine, età media 34.7 anni) sono 11-15 ms per il picco P13, 21-25 ms per il picco N23, 8-12 ms per l’intervallo P13/N23. Le alterazioni più rilevanti nella SM sono l’assenza unilaterale della risposta, l’aumento della latenza delle onde P13 e

N23, l’allungamento dell’interpicco P13/N23. Le modificazioni dell’ampiezza del complesso P13/N23 sono frequenti, poco replicabili, poco ripetibili e pertanto non sono significative, nella nostra esperienza, per delineare una disfunzione dell’arco vestibulo-collico. Poiché si ritiene che i VEMP siano specifici nel rilevare il riflesso vestibolo-spinale determinato dalla stimolazione del sacculo e veicolato afferenzialmente dal nervo vestibolare inferiore, abbiamo studiato i VEMP in un gruppo di 15 soggetti non affetti da patologie neurologiche (9 femmine e 6 maschi, età media 45.9 anni) che presentavano vertigine parossistica

Fig. 7 – L’apparecchiatura elabora automaticamente i vari parametri e li confronta con dati normativi calcolati su una popolazione normale in modo da esprimere graficamente i risultati come variazioni dalla media dei risultati normali. Il grafico normalizzato evidenzia i risultati in modo tale che: i simboli BIANCHI indicano che i valori del paziente sono normali, quelli BARRATI che sono progressivamente alterati, quelli NERI che sono francamente patologici. I reperti di questo caso sono normali. Le prestazioni posturali rientrano nella normalità in tutte le condizioni sia basali (NO e NC) sia con perturbazione propriocettiva (gomma, PO e PC) sia con le modificazione della posizione del capo. 8


posizionale benigna, prima dell’esecuzione della manovre terapeutiche. In tutti i casi i VEMP erano normali. Al contrario, un gruppo di riferimento costitutito da 8 soggetti (3 femmine e 5 maschi, età media 54.6 anni) con pregressa diagnosi di “neurite vestibolare” che presentavano a distanza dall’evento acuto il persistere di una sindrome posizionale insensibile alle varie e ripetute manovre terapeutiche presentavano tutti l’allungamento significativo delle latenze dei picchi (P13 media 23 msec, N23 media 32 msec). Nella nostra esperienza la dimostrazione di VEMP evocabili nel corso di una vertigine parossistica posizionale in un paziente affetto da SM consente di porre diagnosi di “benignità” della sintomatologia, esclu-

dendo quindi la ripresa della malattia e pone quindi indicazione all’esecuzione delle note manovre terapeutiche. 3. Instabilità. È, ovviamente, molto comune nel corso della SM. Tuttavia, frequentemente, peggiora in modo improvviso o accessuale, non sempre accompagnandosi a variazioni significative dei segni clinici neurologici. In questi casi, quando possibile, la diagnosi strumentale più indicativa è quella posturogafica. Utilizziamo la pedana I.B.S. Tetrax (Israele), che registra e compara simultaneamente le modificazioni stabilometriche dei due avanpiedi e dei due retropiedi, con la possibilità, quindi di correlazioni “diagonali” (Figg. 7-10).

Fig. 8 – L’aspetto peculiare di questo caso è rappresentato dalla completa normalità della stabilità e dell’analisi frequenziale nella condizione sensoriale teoricamente più complessa: occhi chiusi sulla gomma (PC). In questa condizione il controllo sensoriale è ridotto al solo controllo vestibolare. Il miglioramento paradosso dei reperti viene interpretato come espressione di una disfunzione della capacità di integrazione sensoriale a livello cerebellare: minore è l’informazione sensoriale, minore è l’elaborazione, migliore è la risposta vestibolo-spinale. 9


Fig. 9 – In questo caso le prestazioni migliori si registrano nelle condizioni con occhi chiusi (NC e PC). Questo fenomeno viene descritto da Gagey come “cecità posturale” ed esprime la difficoltà da parte del sistema vestibolare nell’integrare le informazioni visive con quelle propriocettive e vestibolari. L’eliminazione della componente visiva comporta l’eliminazione di una interferenza sensoriale con miglioramento della prestazione vestibolo-spinale.

La pedana I.B.S valuta: – l’indice di stabilità (ST), che misura la quantità di deviazione, sommata nelle quattro pedane e quindi diviso per il peso del soggetto – l’analisi spettrale di Fourier [L’analisi spettrale può essere valutata rispettivamente sull’apposito grafico oppure può essere visualizzata secondo punteggi percentuali relativi al raggruppamento delle frequenze in otto gruppi: da 0 a 0.10 Hz (F1), da 0.10 a 0.25 (F2), da 0.25 a 0.35 (F3). da 0.35 a 0.50 (F4), da 0.50 a 0.75 (F5), da 0.75 a 1.00 (F6), da 1.00 a 3.00 (F7), oltre 3 Hz (F8). L’analisi frequenziale è particolarmente importante poiché lo spettro frequenziale in generale 10

e il rapporto tra bande di frequenza, in particolare, rappresenta il contributo dei differenti sistemi sensoriali. In caso di lesione cerebrale si osserva un progressivo spostamento delle bande di frequenza predominanti, dalle basse del soggetto normale alle alte. Tale spostamento corrisponde a una progressiva destabilizzazione dei reperti posturografici.] – il punteggio di distribuzione del peso, che mostra la percentuale di posizionamento del peso su ciascuna delle quattro piattaforme (WD) – l’indice di distribuzione del peso, che è la deviazione standard dei quattro punteggi di distribuzione del peso dal valore invariabile del 25%. Questo parametro


Fig. 10 – La stabilità generale del soggetto è patologica in tutte le condizioni. L’analisi frequenziale rileva che le oscillazioni sono normali solo nell’ambito delle frequenze più strettamente labirintiche (F1) mentre quelle propriocettive (F2-F4) e somatoestesiche (F5-F6) sono disturbate. Peraltro i parametri di sincronizzazione (Syn) che esprimono prevalentemente disturbi dell’appoggio (caviglia) o del sostentamento (ginocchio, colonna lombare) sono normali.

riflette la quantità di discrepanza delle percentuali del peso (WDI) – i punteggi di sincronizzazione, che rappresentano l’innovazione della Tetra-Atassiometria. Essi indicano se due paia di onde sono coordinate. Tale coordinazione può avvenire in due modi: le onde possono essere parallele e si definiscono quindi espressione di Sincronizzazione Coattiva, il cui massimo punteggio teorico è + 100; oppure possono essere simmetriche, e si definiscono quindi espressione di Sincronizzazione Compensatoria, il cui massimo punteggio teorico è –100. Ci sono sei possibili sincronizzazioni: tra i talloni, tra le punte, tra tallone e punta per ciascun piede, tra tallone di un piede e punta dell’altro

piede. I punteggi di sincronizzazione si dimostrano particolarmente utili nelle valutazioni ortopediche, come ad esempio nelle disfunzioni del ginocchio. La sequenza standard di valutazione si basa sull’analisi di sei condizioni: occhi aperti (NO), occhi chiusi (NC), occhi aperti sulla gomma (PO), occhi chiusi sulla gomma (PC), capo retroflesso (HB), anteroflesso (HF), ruotato a destra (HR) e ruotato a sinistra (HL). Lo studio posturografico di routine (quando possibile) dei pazienti affetti da SM ha evidenziato molte alterazioni alcune prevedibili altre specificatamente correlabili a precise disfunzioni. Uno studio pilota è stato 11


condotto su un gruppo di 19 pazienti (Fig. 11). I reperti più peculiari si sono rivelati nelle condizioni PC (occhi chiusi sulla gomma) HR (rotazione destra del capo) HB (retroflessione del capo) HF (anteroflessione del capo): spostamento posteriore del peso, de-sincronizzazione degli appoggi di punta; aumento delle frequenze di oscillazione nel range 0.10-0.25 Hz. Tuttavia, anche nella condizione più semplice (NO) la stabilità è generalmente inferiore a quella normale e si registra incremento delle frequenze superiori a 1 Hz. Lo studio statistico delle correlazioni interparametriche nelle varie condizioni di esame

comparato alla classificazione dei livelli disfunzionali secondo le scale di Kurtzke, ha consentito di delineare alterazioni posturografiche piuttosto specifiche: • effetto paradosso: migliore stabilità nelle prove sulla gomma rispetto a quelle basali. Si è rilevato ben correlabile ai valori di disfunzione cerebellare • inversione F1/F2 con aumento delle frequenze di oscillazione tra 0.10 e 0.25 Hz rispetto a quelle inferiori a 0.10 Hz. Si correla ai valori di compromissione della funzionalità del tronco • inversione F3/F6 con aumento delle frequenze di oscillazione tra 0.75-1Hz rispetto a quelle tra 0.25 e 0.50 Hz. Si

Fig. 11 – Andamento della distribuzione frequenziale nella prova basale NO in differenti gruppi. Norm: soggetti normali Cl. Ctr: soggetti affetti da disturbi dell’equilibrio e vertigini senza compromissione neurologica (Menière, Cupololitiasi, Neurite Vestibolare) Diab. NP: diabetici con neuropatia periferica L. Back: lombalgia MS: sclerosi multipla I dati più peculiari sono l’inversione F1/F2 nei pazienti con sclerosi multipla e l’inversione F6/F3 nei pazienti diabetici. 12


correla ai valori di compromissione somatosensoriale periferica. Questo tipo di alterazione è stata rilevata anche in un gruppo di controllo di soggetti diabetici

Conclusioni La diagnosi differenziale di vertigine e disequilibrio è sempre una sfida, tenuto conto della complessità del sistema vestibolare. Nei pazienti affetti da patologia neurologica questa sfida è ancora più complessa. Pertanto è indispensabile seguire protocolli di indagine clinica e strumentale rigorosi. L’impiego combinato delle moderne tecniche otoneurologiche quali l’oculografia, la posturografia e i potenziali vestibolari consente una diagnosi funzionale precisa. La precisione della diagnosi differenziale funzionale è indispensabile, perché condiziona scelte terapeutiche e di approfondimento diagnostico di impegno sanitario e di costo marcatamente differenti. Un corretto approccio diagnostico è quindi indispensabile anche per limitare i costi sociali di terapie ed esami inutili ed incongrue. Bibliografia 1. Alpini D, Cesarani A, Caputo D, Pugnetti L, Mini M. Neurotological findings in multiple sclerosis. In: CF Claussen, MV Kirtane, D Schneider (eds), “Vertigo, Nausea, Tinnitus and Hypoacusia due to Central Disequilibrium”. Edition m+p, Hambourg 1994, pp 53-8. 2. Alpini D, Caputo D, Hahn A, Pugnetti L, Monti B, Razzari S, Cesarani A. Grading brainstem involvement in multiple sclerosis by means of electro-oculography. J Neurovirology 2000; 6:S156- S159. 3. Alpini D, Caputo D, Pugnetti L, Giuliano D, Cesarani A. Vertigo and multiple sclerosis: aspects of differential diagnosis. J Neurolo-

gical Sciences 2001; 22:S84-S87. 4. Alpini D, Caputo D, Kohen-Raz R, Giuliano D, Pugnetti L, Cesarani A. Posture analysis in multiple sclerosis. Gait And Posture 2001; 14:172. 5. Bickford RG, Jacobson JL, Cody DTR. Nature of averaged evoked potentials to sound and other stimuli in man. Ann NY Acad Sci 1964; 112:204-23. 6. Bruner M, Chilla R, Maurer K. Evoked response audiometry and vestibular examinations in patients with multiple sclerosis. Laryngol Rhinol Otol 1977; 56:80-7. 7. Colebatch JG, Halmagyi GM, Skuse NF. Myogenic potentials generated by a click-evoked vestibulocollic reflex. J Neurol Neurosurg. Psychiatry 1994; 57:190-7. 8. Heide G, et al. Click evoked myogenic potentials in the differential diagnosis of acute vertigo. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1999; 66:787-90. 9. Herrera WG. Vestibular and other balance disorders in multiple sclerosis. Differential diagnosis of disequilibrium and topodiagnostic localization. Neurol Clin 1990; 8:40720. 10. Ferbert Viart C, Soulier N, Dubreil C, Duclaux R. Vestibular evoked myogenic potentials in humans: a review. Acta Otolaryngol (Stockh) 1990; 119:6-15. 11. Kohen-Raz R, et al. An intial evaluation of work fatigue and circadian changes as assessed by multiplate posturography. Percept Mot Skills 1996;82:547-57. 12. Kohen-Raz R, Cesarani A, Giuliano D, Pugnetti L, Alpini D. A paradoxical stabilizing effect of visual-somatosensory deprivation on postural control and its possible relationship to cerebellar dysfunction. Gait and Posture 2001; 14:171. 13. Shimizu K, Murofushi T, Sakurai M, Halmagyi M. Vestibular evoked myogenic potentials in multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2000; 69:276-7. 14. Ventre J, Vighetto A, Baiòòy G, Prablanc C. Saccade metrics in multiple sclerosis: versional velocity disconiugacy as the best clue? J Neurol Sc 1991; 102:144-9. 15. Williams NP, Roland PS, Yellin W. Vestibular evaluation in patients with early multiple sclerosis. Am J Otol 1997; 18:93-100.

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L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI “COMPENSO VESTIBOLARE CENTRALE”: LA “RIVOLUZIONE” INDOTTA DAGLI STUDI DI CURTUOYS & HALMAGYI GIOVANNI CARLO MODUGNO Dipartimento di Scienze Chirurgiche ed Anestesiologiche,Università degli Studi di Bologna http://open.cineca.it/entunibo/ E-mail: corlbom1@bo.nettuno.it

Lo studio delle manifestazioni cliniche dello scompenso vestibolare acuto ha da sempre rappresentato uno dei più importanti ambiti di ricerca del vestibologo. Considerando lo sviluppo storico di questa disciplina ultraspecialistica, verso la fine degli anni settanta, parallelamente alla nascita di nuovi campi applicativi (si pensi ad esempio alle nuove metodologie di analisi del riflesso vestibolo-oculomotore e vestibolospinale) si è assistito ad un aumento di interesse per questa tematica. Le importanti acquisizioni in campo fisiopatologico derivate dagli studi sull’animale da esperimento che, peraltro, in quegli anni potevano trarre vantaggio dal contributo della modellistica, avevano fornito la chiave interpretativa di problematiche non ancora del tutto sufficientemente chiarite (come ad esempio la variabilità intersoggettiva del recupero funzionale statico e dinamico del paziente con deficit vestibolare acuto), ed avevano inoltre offerto un rinnovato impulso alla ricerca clinica. Il riconosciuto ruolo del cervelletto (1), delle vie spinali ascendenti (2) e delle vie vestibolari efferenti (3) nel tentativo di riequilibrare lo stato di sbilanciamento dell’attività tonica tra i complessi nucleari vestibolari indotto dal deficit vestibolare periferico monolaterale, aveva, infatti, rappresentato una solida base fisiopatologica 14

su cui consolidare il concetto di “compenso vestibolare centrale” precedentemente ed originariamente formulato sulla base degli storici esperimenti di Bechterew (4). Se in quegli anni, pertanto, si cercava, sul versante fisiologico, di completare il modello concettuale del fenomeno del compenso studiando il ruolo dell’input visivo (5), sul versante clinico si cercava di individuare uno schema classificativo condivisibile, basato sulla presenza di peculiari rilievi semeiologici o strumentali, per caratterizzare sia quantitativamente che qualitativamente il grado di compenso vestibolare raggiunto dal paziente affetto da deficit periferico monolaterale con l’ovvia implicazione pratica di tipo terapeutico (indicazione terapeutica selettiva) e di tipo prognostico (si pensi agli aspetti medicolegali). Facendo specifico riferimento ai classici contributi sull’argomento (6-9) è, infatti, possibile individuare una univoca tendenza tra i differenti Autori a suddividere il periodo conseguente all’evento acuto in due principali fasi temporali; nella fase precoce, caratterizzata anche da una minor durata in termini assoluti, si assiste al rapido ripristino del cosiddetto equilibrio statico mentre nella fase tardiva, a sua volta suddivisibile in due o più fasi secondarie, vengono riequilibrate le più com-


plesse funzioni dinamiche fino al raggiungimento di una condizione di pressoché totale assenza di sintomatologia soggettiva e, elemento che vedremo sarà prima completamente rivalutato e successivamente contraddetto, di parziale scomparsa o attenuazione di alcuni rilievi strumentali francamente patologici, sempre individuabili nella fase precoce (acuta) del compenso (come ad es. l’asimmetria funzionale del riflesso vestibolo-oculomotore rilevabile mediante il test rotatorio). Questo tipo di schematizzazione si basava sull’assunto che il complesso dei nuclei vestibolari del lato leso potesse nel tempo non solo ripristinare il grado di attività tonica precedente all’evento lesivo (attenuando pertanto la condizione di sbilanciamento funzionale tra i due complessi nucleari) ma anche riacquisire un certo grado di attività fasica correlata all’input vestibolare del lato sano. Il ruolo essenziale degli altri input sensoriali (visivo, propriocettivo, esterocettivo) nel promuovere e consolidare il nuovo “assetto” funzionale delle stazioni vestibolari centrali fu, in quel periodo, ampiamente analizzato e confermato; furono così poste le basi concettuali della moderna terapia riabilitativa. Le recenti acquisizioni in campo anatomofisiologico sul complesso sistema dei neurotrasmettitori delle stazioni vestibolari sostennero, inoltre, l’ipotesi di un trattamento farmacologico mirato e selettivo dello scompenso vestibolare (topoterapia della vertigine) teso a favorire l’azione del sottosistema vestibolare che, in una particolare e specifica fase temporale, poteva teoricamente svolgere il ruolo prioritario nella generale funzione di riequilibrio dello stato funzionale tonico nucleare. Anche da tale considerazione si comprende come fosse particolarmente sentita, da un punto di vista clinico-pratico, la necessità di riconoscere ed individuare, sulla base di uno specifico quadro semeiologico o rilievo strumentale, il grado di

compenso vestibolare raggiunto. La relativamente migliore ma soprattutto oggettiva quantificazione dell’efficienza di riflessi vestibolo-oculomotore ed oculo-oculomotore ottenibile con la tecnica elettronistagmografica faceva comunque prevalere l’interesse nei confronti della semeiologia strumentale che, oltre al classico test calorico, si basava anche sul test rotatorio e sul test otticocinetico. In tale contesto, il test calorico, oltre a permettere l’individuazione del lato patologico (ipofunzionante o iperfunzionante), consentiva di verificare la progressiva tendenza alla riduzione, a volte fino quasi ai limiti di normalità, dei parametri numerici ottenibili applicando le formule di Jongkees. Tale tendenza all’attenuazione dell’evidente asimmetria funzionale documentabile nelle primissime fasi dello scompenso vestibolare – sempre che l’entità del nistagmo spontaneo non fosse tale da mascherare completamente la risposta allo stimolo termico anche del lato considerato sano, come ad es. nei casi di pseudo-areflessia (Fig.1a) – essenzialmente imputabile alla riduzione della reflettività del lato sano ed alla attenuazione del nistagmo spontaneo, era considerata l’espressione del progressivo instaurarsi del “compenso centrale”. In termini pratici, oggi sappiamo che l’effettuazione di un test calorico bitermico durante la fase cosiddetta “cronica” di compenso (dopo almeno un mese dall’evento acuto) permette di valutare l’occorrenza di tre condizioni: a) la persistenza di un’evidente asimmetria funzionale tra i due lati; b) la netta riduzione di tale asimmetria; c) una condizione di sostanziale equilibrio funzionale tra i due lati. Una corretta valutazione del significato clinico di queste tre condizioni, comunque, non può prescindere dall’attenta analisi di come si sia attenuato il nistagmo spontaneo e di quanto si sia ridotta, in senso globale (cioè valutando sia lo stimolo inibitorio che quello eccitatorio) la reflettività del lato sano: le 15


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Fig. 1 – Paziente affetto da perdita improvvisa della funzione vestibolare monolaterale destra. Test calorico bitermico (secondo la tecnica di Fiztgerald- Hallpike mod.) effettuato con il sistema di analisi automatica dei segnali EOG, Vestar della Menfis (http://www.menfis.it/). A) fase acutissima (6 gg. dall’esordio); B) fase cronica (dopo 9 mesi dall’evento acuto). Nei riquadri inferiori è riportato l’inviluppo temporale della VAFL: in alto le stimolazioni relative al lato destro ed in basso quelle del lato sinistro (a sinistra le inibitorie e a destra quelle eccitatorie). In rosso è evidenziata automaticamente la culmination. In fase acutissima (A), si osserva il tipico quadro di una pseudo-reflessia per la presenza di un nistagmo spontaneo persistente intenso (circa 20 gr./sec) deficitario (verso sinistra) che non si modifica con le stimolazioni del lato destro. Il nistagmo riduce i parametri quantitativi dopo stimolazione inibitoria del lato sano (Sn), dove prevale la stimolazione eccitatoria. In fase cronica (B) persiste l’asimmetria di risposta tra i due lati (pressoché assente la risposta nistagmica del lato destro; è presente un debolissimo nistagmo spontaneo). Il lato sano mostra un’ottima reflettività globale con un’evidente prevalenza dello stimolo inibitorio (ciò indicherebbe la presenza di una notevole attività tonica nel complesso nucleare destro “deafferentato”).

ultime due condizioni, infatti, potrebbero essere espressione di uno stato di ripristino funzionale tardivo del lato leso (in questo caso la reflettività vestibolare del lato sano non dovrebbe risultare ridotta rispetto al controllo in fase acuta) oppure di uno stato di compensazione più o meno efficiente (in questo caso sia la reflettività del lato sano che quella del lato leso risulterebbero ridotte realizzando un quadro di iporeflessia vestibolare). Molto più interessante, se non altro da un punto di vista speculativo, è comunque l’a16

nalisi dell’influenza del nistagmo spontaneo sulla reflettività canalare valutata anche a notevole distanza di tempo dall’evento acuto. A tale proposito è necessario segnalare l’esperienza di Fisch il quale, per acquisire informazioni sul grado di attività tonica del complesso nucleare del lato sano, che, come noto, è sottoposto all’influenza tonica di tipo inibitorio ad opera della corteccia cerebellare, valutò il grado di prevalenza quantitativa dello stimolo inibitorio rispetto a quello eccitatorio sulla reflettività del lato sano (10). Da


tale esperienza, basata peraltro su una condizione sperimentale favorevole costituita da un gruppo di pazienti sottoposti a neurectomia vestibolare, emerse, infatti, un comportamento sostanzialmente univoco tra i pazienti con deafferentazione acuta monolaterale: 1) la valutazione strumentale era in grado di evidenziare la persistenza del nistagmo spontaneo deficitario anche a notevole distanza di tempo dall’evento acuto; 2) dopo un primo periodo in cui si evidenziava una riduzione significativa della reflettività globale del lato sano, questa non solo tornava ai valori precedenti all’evento lesivo ma poteva risultare addirittura aumentata (in sintonia con l’ipotesi di una riduzione nel tempo dell’influenza inibitoria operata dal cervelletto sul complesso nucleare del lato sano concomitante al ripristino dell’attività tonica del lato leso); 3) la prevalenza unidirezionale del nistagmo verso il lato sano – quantificabile con la seconda formula di Jongkees e spiegabile in funzione della presenza di un nistagmo spontaneo di tipo deficitario o nei termini di una prevalenza dello stimolo eccitatorio su quello inibitorio (Fig. 1a) – osservata nelle prime fasi della compensazione tendeva inevitabilmente ad una condizione di equilibrio per poi invertire il lato di prevalenza (verso il lato leso). Quest’ultima condizione, definita anche di “sovracompensazione”, evidenziabile nei termini di una prevalenza dello stimolo inibitorio su quello eccitatorio (Fig. 1b), indicherebbe, infatti, l’occorrenza di due elementi: a) il parziale ripristino dell’attività tonica nel complesso nucleare deafferentato che potrebbe raggiungere un livello complessivamente anche più elevato rispetto al lato sano (in altri termini, l’inibizione del complesso nucleare del lato sano mediante la stimolazione con acqua fredda, consentirebbe di conoscere il grado di attività tonica raggiunto dal complesso nucleare deafferentato); b) la capacità del complesso

nucleare del lato leso di modulare la propria attività tonica, in funzione dell’informazione giunta, attraverso le vie commisurali, dal complesso nucleare del lato sano, anche fino ai livelli di normalità (recruitment o over-recruitment). Se, globalmente considerati, i risultati ottenuti potevano essere adeguatamente spiegati sulla base delle conoscenze fisiologiche del tempo, lo studio di Fisch affrontava comunque solo marginalmente quello che oggi possiamo sicuramente considerare il principale ed il sostanzialmente irrisolto problema di come differenziare, sulla base di un test strumentale, i pazienti con adeguato compenso (asintomatici) da quelli con compenso “incompleto” o “inadeguato” nei quali persistono i disturbi della sfera vestibolare nonostante il lungo tempo intercorso dall’evento acuto. Oltre al test calorico anche il test rotatorio è stato ampiamente utilizzato per la valutazione del comportamento del riflesso vestibolo-oculomotore nel paziente affetto da deficit vestibolare periferico unilaterale. L’assente standardizzazione del protocollo di stimolazione utilizzato (relativamente soprattutto al tipo ed all’entità dello stimolo accelerativo) e l’impossibilità di effettuare la stimolazione selettiva di un emisistema vestibolare ha comunque reso particolarmente complessa la fase interpretativa dei fenomeni nistagmici evocati, anche considerando i nuovi metodi di quantificazione basati sulla lettura automatica o semiautomatica dei tracciati elettro-oculografici. In estrema sintesi, basandosi sulla letteratura prodotta negli anni ‘70 ed ‘80, è comunque possibile tracciare un comportamento univoco: nelle primissime fasi del compenso vestibolare si osserva, infatti, una netta asimmetria tra la reazione nistagmica per-rotatoria (nel caso di una stimolazione armonica o con accelerazione costante) verso il lato sano rispetto al lato leso (a sfavore di quest’ultima) che tende alla riduzione progressiva 17


fino ad una condizione di equilibrio, solitamente in concomitanza con la riduzione del nistagmo spontaneo deficitario. Un analogo comportamento si registra anche utilizzando stimoli ad accelerazione impulsiva (non eccessivamente elevati), osservando la variazione temporale dell’asimmetria di risposta tra i due lati. Questa peculiare tipologia di comportamento, rispetto a quanto era possibile osservare con il test calorico, è stata, per anni, attribuita principalmente al differente modo di stimolazione dei due test (monolaterale e non fisiologico nel test calorico rispetto a quello fisiologico e bilaterale nel test rotatorio). Gli studi effettuati su popolazioni di soggetti deafferentati, nei quali la risposta nistagmica in senso bidirezionale poteva essere generata da un solo emisistema vestibolare, avevano d’altronde mostrato un comportamento del tutto sovrapponibile (11-14). La principale implicazione pratica di quanto esposto ha riguardato la definizione di una strategia diagnostica unanimemente condivisa che ha rappresentato, per più di un ventennio, il “codice” interpretativo per valutare il risultato dei test strumentali e di conseguenza il grado di compenso vestibolare raggiunto dopo deficit recettoriale unilaterale. In altri termini si è ritenuto che solo l’assente o notevole riduzione (rispetto al lato sano) dell’eccitabilità allo stimolo termico potesse rappresentare l’unico metodo, non solo per individuare con certezza il lato responsabile dello scompenso funzionale vestibolare, ma anche per documentare una condizione di perdita definitiva di funzione recettoriale. Il test rotatorio, per contro, poteva essere vantaggiosamente utilizzato per verificare l’efficienza del compenso vestibolare centrale corrispondente sostanzialmente ad una condizione di equilibrio funzionale (risposta simmetrica) tra le reazioni nistagmiche dei due lati. Anche l’adozione di parametri di valutazione non convenzionali (come 18

ad esempio il guadagno e la fase o, nel caso della reazione d’arresto, la costante di tempo) non consentiva di potenziare le capacità diagnostiche del test rotatorio: a distanza di tempo dall’evento lesivo era possibile, ad esempio, registrare una riduzione bilaterale del guadagno del VOR (solitamente associata ad una riduzione, sempre bilaterale, della costante di tempo) ma non era possibile evidenziare un’asimmetria di risposta congruente con quanto emerso dal test calorico (15). Se comunque l’informazione teoricamente ricavabile dall’effettuazione di un test rotatorio riguardava lo stato di funzionalità relativo dei nuclei vestibolari, una serie di informazioni di carattere complementare relative alla funzionalità di altri circuiti neuronali che dovevano necessariamente essere coinvolti nel fenomeno di compensazione poteva derivare dallo studio del riflesso oculo-oculomotore (OOR) mediante l’effettuazione del test otticocinetico (soprattutto attraverso l’analisi del nistagmo postotticocinetico). L’importanza di tale test, peraltro di agevole valutazione ed esecuzione, nella valutazione del paziente con deficit vestibolare risiedeva, infatti, principalmente sulla possibilità di svelare una condizione di asimmetria di risposta imputabile ad un’alterazione del circuito integratore a sede tronco-encefalica (16). Il tentativo di studiare il VOR in un range frequenziale di stimolazione più fisiologico per i recettori vestibolari (superiore ai due Hz) che, negli anni ’80 era stato perseguito (17,18) attraverso l’espediente di provocare una stimolazione vestibolare di tipo roto-acceleratorio mediante movimenti volontari (cosiddetti “attivi”) del capo con l’evidente vantaggio di evitare l’uso di dispositivi di stimolazione elettromeccanica particolarmente costosi e comunque poco idonei a somministrare stimolazioni di forte intensità e breve durata, portò, all’inizio degli anni ’90 ad un’esperienza (19), che


a mio avviso, può considerarsi “storica” non solo per aver “rivoluzionato” uno dei concetti classici di fisiologia vestibolare ma anche per aver influito significativamente sullo sviluppo delle nuove metodologie d’indagine strumentale finalizzate essenzialmente alla valutazione quantitativa del VOR. Halmagyi e Curthoys basandosi sull’applicazione di stimoli roto-acceleratori di elevata intensità, breve durata e limitata ampiezza applicati al solo segmento cefalico in pazienti affetti da deficit vestibolare periferico, dimostrarono, infatti, che un test rotatorio così concepito era in grado si svelare, anche a lunga distanza di tempo, un’asimmetria del VOR congruente con il lato deficitario, rispettando pertanto la validità della seconda legge di Ewald. Il merito sostanziale di tale studio, comunque, consistette soprattutto nello svelare le reali limitazioni “cliniche” dei tradizionali test rotatori, basati sull’erogazione di stimolazioni a bassa frequenza (soprattutto quelli con stimolazioni di tipo sinusoidale o con accelerazione costante), e nel sottolineare, seppure indirettamente, l’inadeguatezza del test calorico come metodo di valutazione del VOR: quest’ultimo, come è noto, opera essenzialmente sul range delle alte frequenze mentre lo stimolo calorico, oltre a non essere fisiologico, è ritenuto in grado di sollecitare i recettori con stimoli a bassissima frequenza. La principale conseguenza dell’esperienza dei vestibologi australiani è stata quella di riconsiderare, in tutti i suoi aspetti, il concetto di “compenso vestibolare” fino a riformulare una nuova ipotesi interpretativa per spiegare l’attenuazione dei sintomi dopo un deficit vestibolare acuto definita con il termine, comunque non nuovo, di “sostituzione vestibolare” (20-22). Se, anche a distanza di molto tempo, l’applicazione di un adeguato stimolo al paziente affetto da un deficit vestibolare monola-

terale è sempre in grado di svelare un’alterazione significativa del VOR, è evidente come il miglioramento significativo (o anche la scomparsa) dei sintomi riferiti dal paziente dipende non tanto dalla compensazione del deficit dinamico del VOR (per sempre presente ed assimilabile ad una “cicatrice permanente”) ma dall’acquisibile capacità di sopperire al deficit attivando una diversa strategia comportamentale in grado di utilizzare altri riflessi, funzionalmente equivalenti ma adeguatamente potenziati o “adattati” alle specifiche circostanze. È particolarmente esplicativo l’esempio riportato in più circostanze dagli stessi Autori relativo al soggetto che, nel tentativo di ruotare il capo verso il lato leso, evita inconsciamente movimenti rapidi oppure utilizza una strategia peculiare basata sull’eliminazione dell’input visivo mediante l’ammiccamento o sull’attivazione del sistema saccadico. Lo stesso soggetto, se sottoposto, anche a distanza di anni dall’evento lesivo, ad una rotazione rapida passiva (e pertanto non prevedibile) verso il lato leso (test di Halmagyi) segnalerebbe, infatti, una condizione di disagio dovuta allo scivolamento del campo visivo indotto dall’inefficace attivazione del VOR (i riflessi oculo-oculomotori, infatti, non sono, in tali circostanze, in grado di promuovere movimenti oculari compensatori adeguati). Purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze, non si conosce il motivo per cui alcuni soggetti non sono in grado di attivare pienamente ed efficientemente questo tipo di strategie e pertanto riportano la persistenza dei sintomi anche a notevole distanza dall’evento lesivo. L’utilizzo di raffinati test strumentali, d’altronde, non ha finora permesso di individuare, su larga scala, peculiari tipologie di comportamento tra i pazienti con ridotta “compensazione” anche se è prevedibile che, in un relativamente recente futuro, grazie all’utilizzo di stimoli e strumentazioni adeguate come 19


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Fig. 2 – Paziente con deficit vestibolare destro in fase cronica di compenso (1 mese dall’esordio). A) Test calorico bitermico (secondo la tecnica di Fiztgerald- Hallpike mod.- vedi Fig.1); B) Test rotatorio effettuato con la sedia rotatoria del sistema Vestar: nei riquadri a sinistra è riportato l’inviluppo temporale della VAFL della reazione per-rotatoria ad accelerazione costante (4 gr./sec.2) mentre nei riquadri a destra quello della reazione nistagmica post-impulsiva (stop dopo una velocità costante di 160 gr./sec.). La stimolazione oraria è riportata nei riquadri superiori mentre quella antioraria nei riquadri inferiori. In rosso viene indicato il profilo temporale della velocità istantanea. Il test calorico evidenzia un chiaro deficit vestibolare destro associato ad una prevalenza unidirezionale del nistagmo verso sinistra (è presente solo un debole nistagmo spontaneo di tipo deficitario). La reflettività del lato sano è ottima con una evidente prevalenza della stimolazione eccitatoria. Anche se le reazioni per-rotatorie sono sostanzialmente simmetriche, il test impulsivo evidenzia una chiara asimmetria quantitativa a favore della reazione d’arresto dopo rotazione costante oraria (sia nei termini di VAFL max. che di durata). È anche evidente una seconda fase nistagmica particolarmente intensa e di lunga durata (II). In questo caso, pertanto, il test rotatorio impulsivo mostra un risultato congruente con quello del test calorico bitermico. 20


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Fig. 3 – Paziente con deficit vestibolare sinistro in fase cronica di compenso (6 mese dall’esordio). A) Test calorico bitermico (secondo la tecnica di Fiztgerald- Hallpike mod.- vedi Fig.1); B) Test rotatorio effettuato con la sedia rotatoria del sistema Vestar (vedi Fig.2). Il test calorico evidenzia un chiaro deficit vestibolare sinistro non associato ad una prevalenza unidirezionale del nistagmo (è presente solo un debole nistagmo spontaneo di tipo deficitario). La reflettività del lato sano è buona e si osserva una lieve prevalenza della stimolazione inibitoria. Per quanto concerne il test rotatorio, sia le reazioni per-rotatorie che quelle post-rotatorie sono sostanzialmente simmetriche anche se il test impulsivo mostra una lieve asimmetria quantitativa a favore della reazione d’arresto (*) dopo rotazione costante anti-oraria (solo nei termini di VAFL max). Anche in questo caso, pertanto, seppure in minor misura rispetto al caso della Fig. 2, il test rotatorio impulsivo evidenzia una asimmetria di risposta congruente con quanto emerso dal test calorico bitermico. 21


pure di nuove metodologie d’indagine (si pensi allo studio dei potenziali evocati vestibolari) si potrà giungere alla soluzione di tale problema. Nell’ultimo decennio, d’altronde, se si esclude la tecnica videonistagmografica, si è assistito ad un “paradossale” minore interesse nei confronti delle applicazioni ad alto contenuto tecnologico che, rispetto agli anni ’80, potrebbero oggi usufruire dei relativamente bassi costi di produzione e realizzazione e dell’enorme sviluppo delle tecnologie informatiche. Nonostante questo “trend” negativo, l’utilizzo di test strumentali per lo studio del VOR che adottano stimoli rotazionali ad alta frequenza e specifiche modalità di analisi e valutazione dei segnali elettro-oculografici, ha recentemente fornito risultati interessanti (23-24). Non è escluso, infine, che i risultati più utili in tal senso, possano derivare proprio dal test di Barany (reazione d’arresto) che, se opportunamente “rivisitato” e “corretto” alla luce di quanto esposto altrove (25) (Figg. 2,3), potrebbe anche esprimere, a distanza di quasi cento anni, nuove potenzialità diagnostiche.

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INTERPRETAZIONE DELLE MANIFESTAZIONI DI DISTURBI AUDITIVI E DELL’EQUILIBRIO NELLA MEDICINA ANTICA E NELLA TRADIZIONE POPOLARE CARLO LAPUCCI, ANNA MARIA ANTONI

Introduzione Dopo l’interessante viaggio nel passato alla scoperta di come venivano interpretati e curati i disturbi dell’udito e dell’equilibrio, Carlo Lapucci e Anna Maria Antoni, ci fanno da guida per la terza e, almeno per ora, ultima volta tra epilessia, convulsioni, avvelenamenti, malie e malefici. Ancora una volta l’argomento non potrà non fornire motivi di riflessione e spunti di studio.

Giorgio Guidetti

Parte Terza Malattie organiche Delirio, febbre, convulsioni ed epilessia Durante gli accessi febbrili, dovuti a cause diverse, quali infezioni gravi, avvelenamenti, spaventi e forti emozioni, si hanno dei particolari fenomeni come delirio, allucinazioni, impossibilità di mantenere la posizione eretta, disturbi alla vista e all’udito, vuoto di testa e talvolta convulsioni. La Scuola salernitana propone un “rimedio contro il delirio” nel capitolo che riguarda le malattie del capo (1): Ad frenesim Si caput excruciat frenesis, mox rade capillos, / jure labes raphani, post cataplasmatizando, / et obmitte die, sed noctibus hoc iteretur, / donec proficiat, et aceto mane lavetur. [Contro il delirio Se il tuo capo è tormentato da delirio, radi subito i capelli, / lavalo con brodo di rafani 24

e di questi farai un cataplasma; / di giorno lascerai tale cura, ma ripetila di notte, / finché ne avrai giovamento, e al mattino lava il capo con aceto]. Nota il Sinno: “Frenesis: era così detto il delirio, accompagnato da acuta febbre”. Riporta quindi la seguente definizione data dal Trattato delle cure: “Frenesis est alienacio mentis et insania cum febre”. Nota inoltre che il nome deriva da frenes, freni, in quanto il delirio si riteneva causato dall’infiammazione delle meningi che erano considerate come un freno del cervello: “Frenes cerebri sunt paniculi quibus cerebrum continetur tamquam freno equus regitur et retinetur”. [I freni del cervello sono piccoli globi dai quali il cervello viene governato come il cavallo viene retto e tenuto dalle briglie] (1). Gioverà notare che molto diverso è il nostro punto di vista su questa materia, dal momento che la medicina moderna tende a eliminare subito la febbre al manifestarsi di una malattia. Nella medicina


antica, invece, come in quella popolare, la febbre serviva come mezzo d’indagine per la diagnosi. Dal suo andamento stagionale, giornaliero (terzana, quartana), dai suoi accessi e dalla durata si poteva comprendere il tipo di malattia che ne era la causa. Il Pitrè, che era medico (2), osserva: “La febbre è pel volgo una malattia per se stessa, o, come direbbero i medici, essenziale. […] Cessata la febbre, dicono le donnicciuole, è finita la malattia; e si maravigliano che un medico non abbia la forza di troncare quella febbre, la quale potrebbe finire col prostrare l’ammalato. A buoni conti, perché si è medici? E quando un medico non è buono a troncare la febbre a che cosa sarà buono? Guardando pertanto alla febbre, e non alle cause che la producono e la mantengono ed alla natura di essa, le donnicciuole si preoccupano della sua durata ed intensità e di qualche sintomo che l’accompagna e la rende allarmante”. Una notevole quantità di proverbi, soprattutto dialettali, costituisce una sorta di prontuario per ricavare dalle manifestazioni febbrili il tipo e l’andamento della malattia. – Pri la gran frevi lu malatu sparra: per la grande febbre l’ammalato intontisce, diventa come stupidito (Sicilia). – Quando la febbre casca sui labbri è buon segno. Viene chiamata comunemente “bolla della febbre” quella che si manifesta sulle labbra provocata dall’Herpes simplex. Questa appare alla fine di una malattia debilitante o di un forte stress ed è segno che la fase acuta è al termine. – Nella febbre le girandole sembrano mulini a vent: la febbre produce incubi. – Febbre autunnale o lunga o mortale. – Febbre terzana non fa suonar campana: non è mortale. Una cosa che talvolta accompagna la febbre, soprattutto nei giovani, è l’attacco

di convulsioni che, se rimane come fatto isolato, è legato all’accesso febbrile, creando però apprensione e paura potendo essere il rivelarsi dell’epilessia. Tale malattia presenta al grado massimo i disturbi che abbiamo descritto insieme a manifestazioni molto più gravi e parossistiche. Gli antichi la chiamavano mal caduco, male sacro o male di luna e ritenevano che fosse “dovuta all’opilazione 1 dei ventricoli del cervello con la perdita della sensibilità, della conoscenza e con movimenti convulsivi dei muscoli, causata da mancanza di calore o da abbondanza di umore” (3) (Fig. 1). Voleva una curiosa superstizione che di epilessia soffrissero soprattutto coloro che nascevano nella notte di Natale. Sia le convulsioni occasionali che quelle dell’epilessia venivano curate con rimedi di tipo magico, come ad esempio, fare tenere una chiave maschia nella mano del malato o legargli al collo una piccola chiave d’argento.

Ipertensione, colpo apoplettico e paralisi Il salasso Improvvisi fischi all’orecchio, senso di vuoto alla testa, breve smarrimento della memoria, grande irritabilità, eccessi d’ira fino alla perdita del controllo, possono essere sintomi di gravissime alterazioni tali da provocare il colpo apoplettico e la paralisi. Nella medicina popolare e in quella antica queste manifestazioni erano attribuite ad umori guasti che invadevano la testa e potevano portare come conseguenza il colpo, la paralisi e la morte.

1. Propriamente oppilazione, termine antico che significa “ostruzione, occlusione”, dal latino ob e pilare: comprimere. 25


Fig. 1 – L’epilettico: rappresentazione del “mal caduco”, in una miniatura del XV secolo.

Secondo la scuola ippocratea l’abbondanza eccessiva di un umore era sempre considerata causa di vari mali. La salute era data dall’equilibrio dei quattro umori fondamentali: sangue, collera, flemma e atrabile, secreti rispettivamente da cuore, fegato, cervello e milza. Era l’alterazione di uno dei quattro umori, collegati ai quattro elementi fondamentali della natura: aria, fuoco, acqua, terra, a determinare i vari tipi di malattia (Fig. 2). Così anche i temperamenti dipendevano dal prevalere di un umore. 26

La purgazione degli umori serviva a ristabilire un equilibrio alterato e ciascun umore aveva il suo tipo di “purgante” capace di depurarlo: espellendo le sostanze nocive si riportano gli umori e quindi tutto il corpo alla loro situazione naturale. L’operazione era quindi una vera e propria purificazione. Per il nostro argomento sono rilevanti soprattutto il sangue e la collera. Per quanto riguarda la collera si trova scritto nei versi della Scuola salernitana (4): Abbundantia cholerae Accusant choleram frontis dolor, aspera


lingua, / tinnitus vomitusque frequens, vigilantia multa, / multa sitis, pinguis egestio, torsio ventris, / nausea fit, morsus cordis; languescit orexys. / Gravantis cholarae motus haec secuuntur: / pulsus adest gracilis, durus, veloxque calescens,/aret, amarescit, sitit os; tenebrose / contrahitur somnus, incendia visio fingit, / pulsatur capitis pars dextra, buccinat auris. / Dum lucis medias librat sol igneus horas / ipsa movet quoniam lux tertia suscitat humorem. [L’eccesso della collera Sono segni di eccesso di collera il dolore della fonte, la lingua ruvida, / il tinnito, i frequenti accessi di vomito, la lunga insonnia, / la grande sete, l’evacuazione grassa, il dolore del ventre, / si presentano la nausea e un dolore acuto al cuore. Scompare l’appetito. / Quando si muove la collera eccessiva si manifestano questi sintomi:/ il polso è languido, duro, veloce e caldo, / la bocca brucia, è amara e riarsa; nella

Fig. 2 – Una rappresentazione quattrocentesca dei quattro elementi. Alla base di tutta la medicina antica c’è la convinzione che il mondo e gli esseri viventi sono formati dai quattro elementi fondamentali (acqua, aria, terra, fuoco), cui si collegano i quattro umori (sangue, collera, flemma e atrabile) secreti rispettivamente da cuore, fegato, cervello e milza. Trasmessa al mondo medievale, questa teoria è sopravvissuta fino al Settecento.

notte / si riduce il sonno gli occhi hanno visioni di fiamme, / batte il sangue nella parte destra del capo, romba forte l’orecchio./ Quando il sole forte sale a metà del giorno / la collera stessa si muove poiché l’ora terza ridesta l’umore]2. Languido, duro, veloce e caldo: sono queste le antiche qualità del polso catalogate dai testi di medicina, ad esempio ne La prattica dell’infermiero (5). Nella teoria degli umori la collera, bile gialla, che era secreta dal fegato, non era causa del disturbo, ma lo era la sua presenza sovrabbondante. Anche l’eccesso di sangue in circolazione era considerato causa del colpo apoplettico. Su ciò concorda la tradizione popolare, nel caso di apoplessia o congestione cerebrale, tra cui la medicina tradizionale non fa differenza e viene chiamato comunemente colpo, la causa si faceva risalire alla rottura d’una vena nella testa, o comunque a un eccesso di sangue nella testa3. Il verificarsi della malattia è sovente accompagnato da grandi ronzii nelle orecchie, vertigini, perdita di conoscenza, smarrimento; nei casi più gravi sopravviene la morte. La Scuola salernitana descrive le manifestazioni caratteristiche del tipo sanguigno indicando cosa si rileva allorché si determini una sovrabbondanza di sangue (anticamente detta pletora). In questo caso la faccia diviene rossa, sporgono gli occhi,

2. Gli antichi avevano assegnato a varie ore del giorno il predominio dei vari umori perché in tempo opportuno, vale a dire quando erano in movimento, si potesse procedere alla purgazione. Cofone suggerisce che: “qualora sia estate e tu vuoi purgare la collera per mezzo del vomito, lo devi fare prima dell’ora terza”. 3. È ancora espressione comune, riferita a chi ha avuto un attacco d’ira: “Gli è andato il sangue alla testa”. 27


Fig. 3 – Medici a consulto: la valutazione della qualità del polso e degli eccessi degli umori, in una incisione del XVI secolo.

si gonfiano le vene, il corpo si appesantisce esageratamente e il polso s’affretta diventando pieno (dal fiotto consistente), s’illanguidisce. Il dolore diviene forte sulla fronte, il ventre è costipato, la sete asciuga la lingua e nei sogni si vede rosso. La saliva è dolciastra e qualunque cosa aspra si sente dolce (Fig. 3). Nella medicina antica si poneva l’accento ai sintomi premonitori del colpo apoplettico e in particolare agli scricchiolii, ai ronzii e ai fischi nelle orecchie e alle tempie. Santa Ildegarda (6) descrive con precisione i vari fenomeni: “Se l’umidità e il tepore che formano le scorie oltrepassano il loro limite come un vento pericoloso, allora essi vengono trasformati come in una commozione cerebrale dei venti (commotio) producendo un suono pericoloso. Esso assomiglia al rumore di un tuono che risuona fino nei vasi sanguigni, nel midollo e nelle tempie d’una persona. Chi ha simili indisposizioni può 28

diventare paralitico e senza forze. E questo malanno durerà tanto a lungo finché le cosiddette scorie e le mucosità siano scomparse e siano ritornate nella loro strada giusta”. Santa Ildegarda, come la medicina antica, chiama questa malattia gotta, ossia, come dice Ippocrate, causata dal sangue corrotto nelle vene, dalla bile e dalla pituita. “La gotta che prende il lato destro produce la paralisi (Gutta petens latus dextrum facit haec paralysim)”, avverte la Scuola salernitana. Il rimedio più usato contro questo tipo di malattia era il salasso4. Questo veniva praticato anche 4. Il salasso è la sottrazione di una certa quantità di sangue dall’organismo al fine di purificarlo. Il relativo benessere che dà il prelievo di sangue, fatto con ferri e con sanguisughe, portò a un abuso nel Seicento e nel Settecento, per cui cadde in discredito, anche perché può debilitare la persona. Oggi si usa poco contro l’ipertensione.


come prevenzione a molte malattie, nella convinzione che servisse a decongestionare le vene piene di sangue in eccesso, ovvero la presenza di materia impura. Quasi tutti i testi antichi riportano tale idea, che si è trasferita anche nella medicina popolare. Francesco dal Bosco scrive (7) a questo proposito: “Poiché li mali per il più nascono da pienezza d’humori, perciò è necessaria la evaquatione de’ medesimi, essendo notissima quella dottrina, che li corpi arrivati al sommo di certa pienezza, devon’esser ridotti a qualche imminutione, non potendo avanzarsi in meglio; adunque conviene il tal caso il salasso, non tanto per li morbi già fatti, ma anco per quelli, che sono in pericolo di farsi. E questa pienezza d’umori non solo devesi notare in rispetto della loro mala qualità, ma anco della quantità, e particolarmente del sangue, che si chiama pletora”. Santa Ildegarda (8) consiglia specificamente: “Chi ha molta flemma5 nella testa e nel petto, oppure quando c’è un ronzio di testa, in modo che si perda alle volte l’udito, allora appunto il salasso deve essere fatto nella vena della testa”. Nella dottrina della Scuola salernitana molto spazio viene dedicato alla flebotomia, della quale di danno le regole, le cautele, i tempi in relazione alla luna e ai periodi dell’anno, quindi le varie precauzioni, gli effetti, le controindicazioni. Si indicano poi con precisione quali siano i tipi di vasi sanguigni che debbano essere incisi e la loro corrispondenza con i vari organi che devono essere decongestionati. Non a caso dunque Santa Ildegarda indicava l’incisione della vena nella testa contro il ronzio. Nel mondo popolare il colpo apoplettico era particolarmente temuto perché frequente e molti amuleti erano volti a preservare da tale disgrazia: abitini, agnu-

sdei, fiocchi rossi, corni e altro. In particolare San Cristoforo proteggeva dalla morte improvvisa e dal colpo e ciò spiega la frequenza della sua immagine gigantesca nei luoghi più diversi (Fig. 4). In Ciociaria guarisce dal colpo apoplettico Sant’Andrea d’Avellino. Il salasso curativo e preventivo era largamente praticato e i barbieri avevano questo compito che svolgevano per lo più sotto le indicazioni del medico. Praticavano anche salassi periodici alle persone che vi ricorrevano nella convinzione d’averne un bisogno continuo e lo usavano come prevenzione di malattie. I calendari riportavano i giorni consigliati

Fig. 4 – Secondo le credenze popolari, San Cristoforo proteggeva i viandanti dalla morte improvvisa e dai colpi.

5. Flemma, come scrive Sinno (op. cit., pag. 6) “era la secrezione acquosa, umida e fredda che derivava dal cervello e circolava per tutto il corpo, ed era conosciuta anche col nome di pituita”. 29


e quelli negativi per i salassi. Il giorno ideale era ritenuto quello di San Giovanni6 (24 giugno) e in genere all’ingresso di ogni nuova stagione e alla luna nuova. Scrive (9) il Pitrè: “Non poche sono le malattie delle quali a diritto o a torto il sangue è considerato come causa prima. Quindi in tutte le affezioni dell’albero circolatorio, in tutte le affezioni pulmonali e pleurali, nelle paure, nei dispiaceri, nella gravidanza, ecc., il contadino cerca il salasso perché ha pienezza di sangue, per averne troppo, per averlo nero, per averlo grasso, per averlo troppo vigoroso, per averlo riscaldato, ecc. […] il salasso si fa o come mezzo curativo o come mezzo profilattico o igienico. Come mezzo curativo dà risultati splendidi la prima volta che si pratica in una prima grave infermità; Prima sannia libbira malatia: il primo salasso guarisce”. Anche le persone sane avevano l’uso di fare almeno un salasso annuale. Dice il proverbio: Un salasso una volta l’anno, un bagno una volta al mese e un pasto una volta al giorno. Il salasso dunque era considerato un riequilibratore non solo dell’organismo, ma anche della psiche, e veniva usato come prevenzione contro eventuali eccessi di umori capaci di dare capogiri, fischi, vertigini, sbandamenti e perdita della ragione. Compendia (10) la Scuola salernitana: Effectus phlebotomiae Exilarat tristes, iratos placat, amantes / ne sint amentes phlebotomia facit. [Effetti della flebotomia La flebotomia rallegra i tristi, calma gl’irati e / fa sì che gli amanti non perdano la ragione]. 30

Insolazione Esistono varie forme di perdita della conoscenza, dell’equilibrio, con allucinazioni e delirio, fino alla perdita del controllo di se, le quali si presentano come manifestazioni temporanee legate a congestioni, insolazione, traumi e altro. Anticamente tali affezioni venivano curate ricorrendo per lo più a rituali magici. Nel caso dell’insolazione, il cosiddetto colpo di sole, una delle cure più usate era di questo tipo e consisteva nel prendere una scodella piena d’acqua, in cui si versavano alcune gocce d’olio in numero dispari. Postala sopra la testa del malato, si recitavano preghiere intercalate da formule magiche. Ancora più diffuso era il procedimento di mettere sul capo del colpito un pentolino con acqua e, accesa una manciata di stoppa dentro una ciotola di creta nuova, si capovolgeva nell’acqua stessa. Il gorgoglio dell’acqua, dovuto all’evaporazione causata dalla stoppa incendiata, era il segno dell’allontanarsi del male. Pare di capire che la malattia fosse vista come un inserirsi nella testa dei raggi solari che potevano essere estirpati con l’acqua, elemento opposto al fuoco. In altre procedure entrava nel rituale anche l’uso della corniola rossa. Questa pietra è collegata astrologicamente con l’Ariete, che abbiamo visto presiedere alla testa, e con la Bilancia, segno dell’equilibrio. Considerata un potente talismano la corniola era la pietra per gli anelli-sigillo.

6. Galeno prescriveva di praticare il salasso prima dell’inizio dell’estate, che è quanto dire verso il solstizio d’estate, sia per gli uomini che per i bovini, onde evitare gli eccessi in concomitanza col calore estivo, durante il quale il salasso era controindicato.


Avvelenamenti Dioscoride dedica il VI libro della sua celebre opera (11) interamente ai veleni, sostanze che hanno una certa rilevanza per questa materia, dato che tra i tanti sintomi di avvelenamento, compaiono le manifestazioni delle quali stiamo parlando. Infatti l’avvelenato non solo ha gravi disturbi all’apparato digerente, al fegato, ai reni, alla vescica, ma può perdere la parola, avere degli spasimi, perdere il battito del polso e il respiro, delirare, avere vertigini, e non vederci più e perfino smarrire i sensi. Dioscoride descrive dettagliatamente i vari tipi di veleni che potevano mettere in pericolo la vita. Elenca così non solo gli avvelenamenti intenzionali, ma anche quelli che derivano da fatti fortuiti, come ingestione di cibi velenosi e morsi di animali (Fig. 5).

Bisogna osservare che tra gli animali indicati come velenosi, alcuni non lo sono. I principali ricordati sono questi: – – – – – –

Cantarella Salamandra (Fig. 6) Processionarie Lepre marina Rospi (Fig. 7) Bupresti (coleotteri simili allo scarabeo e alla cantaride)

Tra i semi delle piante sono velenosi, se ingeriti quelli appartenenti a: – – – – –

Giusquiamo Coriandro Cicuta Gith Pfillio

Fig. 5 – Descrizione di piante e radici in un manoscritto latino del XIV secolo, riproducente il “De materia medica” di Dioscoride. 31


Fig. 6 – La salamandra il un legno dei “Discorsi della materia medicinale” di P.A. Mattioli.

Fig. 7 – Il rospo in una incisione della “Fisionomia naturale” di G.B. Dalla Porta. 32


Tra i succhi mortiferi: – Oppio – Mandragora (Figg. 8, 9) – Elaterio Tra le radici: – Aconito – Colchico – Elleboro Tra le piante nel loro complesso (oltre ai funghi): – Tasso (arilli del tasso) – Solatro maniaco – Erba di Sardinia Diversi sono gli effetti di questi veleni. Le manifestazioni che a noi interessano possono ritrovarsi spesso, in varia misura, in ciascun avvelenamento. Là dove però tali fenomeni si manifestano in modo più conFig. 9 – Credenze e superstizioni popolari sulla mandragora furono alimentate dalla forma della pianta che ricorda il corpo umano.

sistente sono gli avvelenamenti per cicuta, giusquiamo, stramonio e aconito.

La cicuta

Fig. 8 – La mandragora in un’antica xilografia.

Col nome cicuta s’intendevano comunemente piante delle ombrellifere di specie diversa, tutte più o meno velenose, anche in rapporto all’ambiente dove crescono. Al genere Cicuta nella classificazione linneiana appartengono specie velenosissime, che hanno la triste caratteristica di assomigliare al prezzemolo comune, il che è fonte di atroci inganni, anche per gli animali, tra i quali è credenza comune, che siano immuni capre e maiali (Fig. 10). Scrive Dioscoride a proposito della cicuta (12): “mangiata, o bevuta che si sia la cicuta, offusca tanto la virtù visiva de gli 33


Gli effetti dell’avvelenamento accidentale da cicuta sono ben descritti dal Mattioli (13). “Nel lungo tempo è passato che, zappando in una vigna un villano lavoratore del signor Giovanni dalla Torre, vicino al Castello di Goritia, ritrovò alcune radici di cicuta molto belle: e credendosi, che fussero pastinache, se le mangiò la sera cotte (percioche quaresima era) insieme con la moglie. Dal che successe, che svegliandosi la notte, e ritrovandosi del tutto balordi, levatisi anfanando senza lume, e volendo caminare per casa, si percossero di forte nelle mura la testa, la faccia, e gli occhi, che la mattina, per il tumore grande e per la nerezza del sangue corsovi, parevano horrendissimi mostri”.

Il giusquiamo

Fig. 10 – La cicuta, pianta velenosissima, è confondibile con il prezzemolo.

occhi, e genera così spesse vertigini, che non lascia discernere alcuna cosa. Induce dopo questo singhiozzi, anfanamenti, pazzia e frigidità grande nelle parti estreme del corpo e finalmente, stringendo il fiato nella canna del polmone, se ne muoiono i patienti strangolati e ispasimati”. Tale tipo di veleno era usato per eseguire le sentenze capitali, come nel caso della morte di Socrate, che si pensa essere stato soppresso con una pozione di Conium maculatum, pianta velenosissima che veniva chiamata Cicuta maggiore. Contro un simile avvelenamento la medicina antica consigliava come rimedio di espellerla con il vomito e quindi somministrate molto vino, ovvero latte di asina o di mucca. 34

Il giusquiamo (Hyosciamus niger) appartiene alla famiglia delle Solanacee (Fig. 11). Pianta velenosissima è stata nondimeno adoprata in farmacopea, nella quale, in dosi opportune, può essere benefica, come letale se assunta senza le dovute precauzioni. I birrai del passato univano alla birra, in proporzione minima, l’estratto di giusquiamo per aumentare l’effetto inebriante della bevanda. Il giusquiamo è detto “disturbio” per il fatto genera confusione e disorientamento grandissimo in chi l’assume. È chiamato diversamente nelle varie parti d’Italia: Sucamele (Basilicata), Erba porcina (Toscana), Erba di Sant’Apollonia (Lombardia), Erba di Sant’Apulonia (Emilia), Erba cannocchiale (Campania), Erba velenosa (Abruzzo), Dente cavallino (Marche), Disturbio (Trentino), Giosremo (Veneto), Erba Grosudda (Sicilia). L’odore fetido, la pericolosità mortale, il potere allucinogeno, l’uso medicinale, ne hanno fatto una pianta guardata come una realtà misteriosa e conturbante, pur essendo di modeste dimensioni, comu-


delle pozioni usate per partecipare al sabba. Tali unguenti, o altri preparati facevano cadere in trance, nel quale visioni e allucinazioni si succedevano fino al risveglio, dando l’impressione d’un lunghissimo viaggio e di permanenza in luoghi fantastici. L’avvelenato dal giusquiamo subisce l’impressione di vagare nel vuoto e di cadere: al risveglio, se supera l’effetto del veleno, non distingue più tra la realtà e l’allucinazione. Dioscoride scrive: “Bevuto o mangiato che si sia il hiosciamo fa fare le medesime pazzie, che la ebbrichezza del vino: ma cede però agevolmente il suo nocumento ai rimedij”. Tra i rimedi l’autore suggerisce: acqua melata in quantità, latte d’asina, di vacca o di capra, decotto di fichi secchi, il seme di cocomero bevuto col vino dolce.

Lo stramonio Fig. 11 – Il giusquiamo è anche detto “disturbio”, per lo stato di confusione e disorientamento che provoca in chi l’assume.

nissima lungo le strade e nelle terre ricche, presso le rovine, e d’aspetto familiare. Maghi, streghe, avvelenatori, malvagi l’hanno conosciuta bene: sotto l’influsso d’una dose modesta una persona subisce vertigini, allucinazioni, perde il controllo della mente, delira, parla al punto che può rivelare quello che vorrebbe tenere segreto. Molti delitti famosi sono legati al giusquiamo, tanto che appare come la pianta del male e dei malvagi, trascinandosi fama, simboli, imprese, leggende poco allegre. Scarso posto ha trovato nelle espressioni linguistiche, forse per la stranezza del none, ma più probabilmente per il fatto che fortunatamente il suo uso non è comune. Il giusquiamo era una delle piante familiari alle streghe: faceva parte delle misture e

Un’altra pianta facilmente coltivabile e molto usata in farmacopea, come in riti magici, è lo stramonio (Datura stramonium) della famiglia delle Solanacee (Fig. 12). Pianta un po’ misteriosa e tetra, sia per il veleno che nasconde, sia per il fatto che apre i suoi fiori di notte. Emanando un forte odore sgradevolissimo è fuggita anche dagli animali. Dice Ottaviano Targioni Tozzetti: “Volgare lungo i fossi dei piani bassi. Ha fetido odore, come di topo, o di pelo bruciato; ed è fuggita dagli animali domestici. I suoi semi fatti a rene, neri, scabri, furono già noti a Teofrasto e Dioscoride, come narcotici e stupefacenti. Il sig. Stoerk ha proposto l’estratto di Stramonio per la mania e per le inveterate malattie nervose” (15). Esiste anche il Metel o Methel, denominazione araba di una pianta dagli effetti narcotizzanti confusa a volte con lo stramonio nella classificazione antica. Scrive O. Targioni Tozzetti: “Datura Metel, noce metèlla. Annua, fetida. I suoi semi sono 35


cosa. Forse per questo lo stramonio fu detto Erba da incantesimo o Erba dei ladri. Inoltre lo stramonio veniva usata nei riti magici per il suo potere ipnotico e allucinogeno. Secondo alcuni autori sarebbe stata questa la pianta usata dai sacerdoti di Delfo per entrare in una specie di trance e predire il futuro; ma questo contrasterebbe con il periodo di introduzione di questa pianta nelle regioni mediterranee. Maghi, negromanti, streghe, guaritori e ciarlatani hanno usato lo stramonio provocando spesso danni e avvelenamenti. Con forte potere allucinogeno facilmente provoca in chi lo assume sensazioni, visioni che posso essere abilmente presentate come effetti di magia. È tra le erbe sospettate d’essere l’elemento determinante dell’unguento che si voleva permettesse il volo delle streghe per i viaggi verso i riti sabbatici. Fig. 12 – Lo stramonio era una pianta molto utilizzata in farmacopea e nei riti magici.

Aconito di colore giallastro. Contengono le medesime proprietà stupefacenti; e gli orientali formano con essi, il Bettle, composizione quasi simile al Nepenthes, preso il quale fanno sogni stravaganti, e divengono ilari e furibondi” (16). Altri nomi popolari dello stramonio sono: Noce puzza, Mazzettoni, Erba puzzola, Stramonio maggiore, Strimonio, Erba del diavolo, Pomo spinoso, Noce spinosa. Si racconta che quest’erba sia stata usata spesso da ladri e lestofanti per compiere le loro imprese. Cortigiane indiane, ladri di Malabar, pirati delle Canarie e briganti nostrani usavano mettere in liquore o vino particolarmente gradevole una dose di semi di stramonio. La bevanda, una volta somministrata, provoca delirio e annienta la volontà, per cui, non solo i briganti possono portare dove vogliono le vittime rese arrendevoli, ma riescono a farsi dire agevolmente dove nascondono danari o altra 36

L’aconito (Aconitum Napellus) della famiglia delle Ranuncolacee è pianta erbacea, perenne, tanto bella quanto velenosa, dai tipici fiori azzurri, che ricordano un elmo, riuniti a formare una spiga (Fig. 13). È alta dai 40 cm fino a un metro e oltre e presenta numerose foglie dal verde intenso, finemente segmentate. Caratteristica è la sua radice carnosa che contiene i principi attivi velenosi tipici di questa pianta. Fiorisce in estate ed è molto diffusa nei pascoli sia in Europa che in Asia. L’Aconitum Napellus, che è noto anche con altri nomi popolari, suggeriti dalla sua forma o dalla sua fama: Napello, Cappuccio di monaco (è questo infatti il suo nome comune in inglese oltre che in olandese), Bilancia di Venere, Malapelle, Strozzalupo, Elmo di Giove. I Danesi invece lo chiamano Elmo di Troll, i tedeschi invece sia Erba del diavolo che Cappello di ferro.


Fig. 13 – I principi attivi velenosi dell’aconito sono contenuti nella radice carnosa.

Togliendo al fiore i petali si scopre l’apparato riproduttivo, con i nettarii, che ha un aspetto particolare per cui viene anche chiamato Carrozza di Venere. La leggenda narra che l’aconito è stato generato dalla bava del cane Cerbero, mentre Ercole lo traeva fuori dagli Inferi e che per questo motivo l’erba nasce nei pressi di Eraclea Pontica, dove si indicava l’ingresso agl’Inferi. Tuttavia anche quest’erba è stata rivolta ad usi vantaggiosi per la salute degli uomini, dato che si è sperimentato che essa, somministrata nel vino caldo, contrasta le punture degli scorpioni. Contiene alcaloidi e in particolare l’aconitina usata nell’industria farmaceutica. E’ uno dei veleni più potenti che si conosca nel mondo delle piante e viene assorbito anche direttamente dalla pelle. L’aconitina

agisce sul sistema nervoso centrale e dà la morte per soffocamento o arresto cardiaco, inizialmente ha però effetto stimolante, poi è paralizzante, sopravviene sensazione di freddo, e la sordità. I preparati a base di aconitina vengono usati in farmacologia per la loro azione antidolorifica. La sostanza viene estratta sia dalle radici che dalle foglie. Nel libro VI parlando della pianta chiamata tossico di cui dice “esser costume dei Barbari d’avvelenare con esso le saette loro, le quali chiamano toxeumata” il Mattioli confuta l’ipotesi che questa possa essere considerata il Napello. Più oltre però aggiunge: “[…] bevuto che sia il Napello, fa quasi subito apostemare le labbra, e di tal sorte infiammare e ingrossare la lingua, che malagevolmente si può tenere in bocca. E parimenti gli occhi di tal sorte s’ingrossano che escono non poco dalla lor residenza: le vertigini e le sincopi sono frequentissime, e le gambe per la molta debilezza diventano immobili: fassi dopo questo tutto il corpo livido e gonfiasi tutte le membra di modo che in breve spazio se ne muoiono i miseri avvelenati. Il che non è meraviglia: perciocché tanta è la malvagità di questo veleno, che se nel principio non gli si danno i debiti preparamenti, non si ritrova antidoto che gli possa resistere: e pochi sono coloro che se ne scampano, che non diventino, o tisici, o ettici o epilettici, quantunque si dieno loro valorosissimi rimedi”. Quali rimedi la medicina tradizionale dà indicazioni molto vaghe: polvere di smeraldo, teriaca e mitridato.

Le malie e i malefici Rimane da prendere in considerazione una parte marginale dell’argomento, la meno traducibile in termini razionali e scientifici. 37


Nondimeno, anche se oggi rappresenta la parte più trascurata della materia, non è scomparsa dalla pratica della medicina popolare e dei guaritori. Adalberto Pazzini nel suo studio sulla medicina popolare (17) osserva: “Basta addentrarsi un poco nella mentalità che chiamiamo popolare, basta saper alzare un lembo del velo del penetrale che il popolo tiene geloso, per trovarci circondati dalle streghe, dai maghi, dai saba, dalle evocazioni”. È ancora così. Giuseppe Pitrè scriveva (18) a questo proposito: “Vi è una teoria che, pel mistero nel quale si avvolge e per la difficoltà degli espedienti coi quali procede è la pietra angolare della scienza medica del volgo, ed è quella delle arti soprannaturali, delle forze arcane e prepotenti che agiscono sopra di noi malgrado ogni opera nostra in contrario; parlo della jettature, del malocchio, della fattura, di tutte le arti di maliarde, di stregoni. Se il male è acuto e si scioglie subito, o è seguito da morte, non si ha ragione d’uscire dalle cause fin qui cennate; ma se diventa cronico, e non si accompagna a febbre, né si localizza in organi interni, ed agli occhi della famiglia e dei vicini ha dello strano, allora nessuno sa sottrarsi al sospetto che una mano misteriosa sia stata la prima origine e sia la causa permanente del male medesimo”. Giramenti continui di testa, senso di vuoto, vertigini, smarrimenti, fischi negli orecchi che, come si è detto, possono essere sintomi di vari tipi di disturbi, ricadono, insieme ad altri tra i tanti che venivano interpretati come derivanti da una fattura o dal malocchio. In questo senso avevano altri tipi di cure e di rimedi che entrano senza dubbio nel campo della pura e semplice magia e della superstizione. Veniva fatto ricorso a talismani, abitini, brevi, fiocchi rossi, corni, immagini sacre, medaglie, orazioni e scongiuri, segnature e bene38

dizioni, per allontanare influssi e malattie, o guarirle. Si tratta per lo più di esorcismi contro il malocchio che non hanno più nessun riferimento con la vera e propria terapia del disturbo. Rimane da considerare un ultimo aspetto che rientra in forme magiche di grande rilievo, interessando questo tipo d’intervento gruppi interi di persone. Si tratta del tarantismo, detto anche tarantolismo. In Italia meridionale e in particolare nelle Puglie, il morso di un piccolo ragno, Lycosa tarentula, detto tarantola (Fig. 14), veniva considerato mortale e l’avvelenato si sentiva spinto ad un ballo frenetico che poteva durare anche diversi giorni, dopo di che cadeva in un sonno risvegliandosi guarito. Da ciò prese corpo l’uso di sollecitare al ballo, per mezzo del suono d’uno strumento, colui che veniva morso dal ragno. Intorno a lui si radunavano alcuni ballerini che eseguivano insieme al malato un ballo vorticoso sempre più frenetico che portava a forme d’isteria con perdita dell’equilibrio e della coscienza. Il ballo si concludeva all’esaurimento delle forze. Assai intrigante sarebbe prendere in considerazione anche un’altra causa della perdita dell’equilibrio, di turbamento della sensibilità e smarrimento della percezione del

Fig. 14 – La tarantola in una raffigurazione settecentesca.


reale, con effetti di giramento della testa o addirittura di perdita della medesima. Forse più stimolante sarebbe esaminare le varie manifestazioni amorose, che provocano in molti conseguenze non meno gravi dell’affacciarsi su un abisso. Ma l’argomento è vasto, esorbita sconfinando nei mari della psicologia, ed ha bisogno di molta esperienza.

Bibliografia 1. Sinno A [traduzione e note a cura di…] Regimen sanitatis – Flos medicinae Scholae Salerni. Mursia Editore, Milano 1987, pag. 510. 2. Pitrè G. Medicina popolare siciliana, Barbera Editore, Firenze 1949, pag. 293. 3. Sinno A, in Regimen sanitatis, cit, pag. 482, n. I. 4. Sinno A, in Regimen sanitatis, cit, pag. 326. 5. Dal Bosco F di Valdebiadene, detto il Castagnaro. La prattica dell’infermiero, Verona 1664; pag. 11: cap. Nelli polsi e nelle loro differenze. 6. Hertzka G. e Strehlow, Manuale della medicina di Santa Ildegarda. Editrice Athesia, Bolzano 1992, pag. 289.

7. Dal Bosco F di Valdebiadene, detto il Castagnaro, La prattica dell’infermiero, cit., pag. 230. 8. Hertzka G e Strehlow, Manuale della medicina di Santa Ildegarda, cit., pag. 272. 9. Pitrè G. Medicina popolare siciliana, cit., pag. 188. 10. Sinno A, in Regimen sanitatis, cit, pag. 451. 11. I Discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli Medico Sanese, ne i sei libri della Materia Medicinale di Pendaccio Dioscoride Anazarbeo, nella Bottega d’Erasmo, appresso V. Valgrifi & B. Costantini, Venezia 1557, pag. 674. 12. I Discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli Medico Sanese, cit. pag. 694. 13. I Discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli Medico Sanese, cit. pag. 695. 14. I Discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli Medico Sanese, cit. pag. 697. 15. Targioni Tozzetti O. Istituzioni botaniche, 3 voll. Nella stamperia Reale, Con approvazione, Firenze 1802, Vol. II, pag. 132. 16. Targioni Tozzetti O. Istituzioni botaniche, pag. 193. 17. Pazzini A. Storia, tradizioni e leggende nella medicina popolare. Dott. Recordati-Laboratorio farmacologico SA. Correggio 1940, pag. 6. 18. Pitrè G. Medicina popolare siciliana, cit., pag. 168.

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