Serie editoriale:
CLINICAL CASE MANAGEMENT
Ototossicità dei salicilati M. Trebbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Aggiornamento periodico:
OTONEUROLOGIA 2000 Dicembre 2002 / n. 12
L’equilibrio in acqua: dalla funzione alla riabilitazione D. Alpini, D. Pellegatta, R. Macorini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Coordinamento Scientifico:
Dr. Giorgio Guidetti Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena e Reggio Emilia Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica Modulo di Vestibologia e Rieducazione vestibolare Policlinico di Modena e-mail: guidetti.g@policlinico.mo.it
Piccola introduzione all’Equitest® P.P. Cavazzuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coordinamento editoriale:
Mediserve
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OTONEUROLOGIA
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OTOTOSSICITÀ DEI SALICILATI MARCO TREBBI Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica – Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale, Università di Modena e Reggio Emilia
Introduzione I salicilati, dei quali l’acido acetilsalicilico (ASA) (Fig. 1) è il capostipite, sono tra i farmaci più comunemente utilizzati nel mondo occidentale. Alcune stime parlano di 10-20 tonnellate di salicilati usati ogni anno negli USA per le loro proprietà antinfiammatorie, analgesiche, antipiretiche e antitrombotiche. Tra gli effetti collaterali dei salicilati vanno in primis rammentati i disturbi gastrointestinali minori, come nausea ed epigastralgia, seguiti in ordine di frequenza da disturbi dei sistema nervoso centrale come acufeni, ipoacusia transitoria e vertigini. In particolare l’ototossicità dell’aspirina è stata ossevata sia in animali da esperimento che sull’uomo. L’ingestione accidentale o a scopo suicida ne ha infatti evidenziato gli effetti in acuto, mentre il suo utilizzo in forme reumatiche ne ha svelato gli effetti a lungo termine. Più precisamente fu nel 1877 che Muller (1) per primo riconobbe gli effetti ototossici dell’aspirina ad alte dosi, in pazienti trattati per febbre reumatica.
Farmacocinetica dei salicilati Sia a livello gastrico che nel primo tratto dell’intestino tenue avviene l’assorbimento
dei salicilati, che passivamente diffondono attraverso la parete, influenzati da diversi fattori come il tempo di svuotamento gastrico, il pH mucosale, il tempo di dissoluzione della compressa. In media tuttavia entro 30 minuti dall’ingestione di una singola dose per via orale si riscontrano considerevoli concentrazioni di salicilati a livello plasmatico, con un picco massimo attorno alle 2 ore. Essi diffondono quindi attraverso la maggior parte dei tessuti corporei, subendo un processo di metabolizzazione a livello epatico che porta principalmente alla formazione di acido salicilurico, fenil-glucoronide e acilglucoronide. I metaboliti salicilici che l’emuntorio renale filtra nelle urine, rappresentati soprattutto da acido salicilico libero (10%), acido salicilurico (75%) e salicilato fenolico (10%), sono eliminati nel 50% entro 24 ore dalla somministrazione, per quanto tracce possano essere trovate nelle urine anche a distanza di 48 ore o più. I salicilati rapidamente raggiungono la coclea dopo somministrazione per via sistemica. Studi con salicilati marcati con trizio ne hanno evidenziato la presenza a livello della stria vascolare e del legamento spirale. Entro un’ora i salicilati raggiungono le cellule ciliate esterne e il ganglio spirale senza accumularsi in nessuna struttura particolare. Evidentemente dopo un 3
H H C C H
C
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H
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Fig. 1. Formula e modello tridimensionale della struttura chimica dell’acido acetilsalicilico (ASA).
rapido assorbimento, i salicilati raggiungono la coclea attraverso le arterie e diffondono poi in tutte le parti del dotto cocleare (Fig. 2). In particolare i livelli di salicilati a livello sierico e perilinfatico sono stati studiati per dimostrare una eventuale correlazione tra dosaggio e insorgenza di ipoacusia e tinnito. A tal proposito molti studi hanno dimostrato che solo una salicilemia di 40 mg/100 cc provocava in pazienti trattati per malattia reumatica un deficit uditivo e acufeni, che un ulteriore aumento della salicilemia non peggiorava (2). Proprio per tale motivo la letteratura unanimamente afferma che i sintomi ototossici indotti da salicilati sono estremamente aspecifici e poco sensibili per essere considerati adeguati indicatori della salicilemia.
Manifestazioni ototossiche dei salicilati Oltre ai noti effetti benefici, i salicilati presentano effetti collaterali rappresentati 4
principalmente da disturbi gastrointestinali minori, anemia, epato- e nefrotossicità, teratogenicità e reazioni da ipersensibilità. Di spiccato interesse per gli Otologi e gli Audiologisti vanno ricordati gli effetti ototossici, da considerarsi transitori, scomparendo nella maggior parte dei casi con la sospensione del farmaco. Diversi fattori sembrano essere in grado di influenzarne la comparsa: il dosaggio, il sesso femminile, il tempo di eventuale ospedalizzazione. Nessuna influenza è invece determinata dall’età, dalla funzione renale o dal peso. I sintomi di più facile riscontro sono: perdita uditiva, tinnito e disturbi vestibolari. PERDITA UDITIVA. Si tratta di una perdita uditiva di tipo neurosensoriale simmetrica e bilaterale, di entità lieve-moderata, più frequentemente interessante le alte frequenze. L’udito mediamente recupera entro 24-72 ore dopo la fine del trattamento con salicilati. Studi condotti da Day et al. (3) hanno evidenziato un calo uditivo, misurato sulle fre-
Fig. 2. L’apparato sensoriale specifico del senso acustico è l’organo spirale del Corti, che ha sede nell’orecchio interno, nella parte membranosa del dotto cocleare. È costituito da una complessa struttura cellulare che ha origine da una differenziazione dell’epitelio di rivestimento del labirinto (scala media): in esso si trovano cellule sensoriali acustiche interne ed esterne e terminazioni del nervo acustico.
quenze di 1 e 2 KHz, crescente in maniera lineare in relazione alla salicilemia in un range compreso da meno di 5 mg/dl a 40 mg/dl. Questo dato conferma come tale perdita uditiva abbia una variabilità individuale spiccatissima, potendo insorgere anche a concentrazioni molto basse, e ribadisce l’impossibilità di individuare un livello sierico di ototossicità da salicilati. Per quanto la maggior parte della letteratura faccia riferimento ad una perdita reversibile, Kapur (4) e Jarvis (5) hanno riportato 2 casi di perdita permanente. L’utilizzo dei salicilati può inoltre indurre alterazioni percettive del campo uditivo, come per esempio deterioramento della comprensione del linguaggio, allargamento del filtro di frequenza, alterazioni della percezione temporale e ipersensibilità ai rumori.
Quanto invece alla possibile interazione tra l’esposizione al rumore e l’effetto ototossico indotto da salicilati, la letteratura presenta risultati molto discordanti. In studi effettuati su volontari McCabe e Dey (6) hanno rilevato un effetto addittivo mentre Mc Fadden e Plattsmier (7), Lindgren e Axelsson (8) non hanno confermato tale effetto, come pure i lavori condotti su modelli animali condotti da Lambert (9) o Spongr (10). L’attuale orientamento della letteratura mondiale è quello di escludere che l’assunzione di salicilati possa aggravare un eventuale pregresso deficit uditivo indotto da rumore. Studi fisiologici hanno dimostrato che accanto al deficit uditivo sopradescritto, l’utilizzo di salicilati può indurre alterazioni a 5
carico dei potenziali cocleari e delle otoemissioni acustiche. Secondo Mitchell (11) una singola dose sottocutanea di salicilato in cavie è capace di interferire con la generazione del potenziale d’azione cocleare (AP), soprattutto interessando le alte frequenze; il microfonico cocleare (CM) rimarrebbe invece invariato. Esperienza contrastante è invece documentata negli studi di Silverstein (12) che hanno documentato un calo a carico del CM e del AP, dopo iniezione intraperitoneale di salicilato di sodio in gatti. Le otoemissioni acustiche riflettono un processo meccanico attivo della coclea, dovuto all’attività delle cellule ciliate esterne (Fig. 3). Johnson ed Eberling (13) riportano un decremento delle otoemissioni acustiche dopo ingestione di 10 g di aspirina. Brownell e Winston (14) hanno correlato tale decre-
mento ad una riduzione del turgore di cellule ciliate esterne che potrebbe essere dovuto all’aumento della conduttanza agli ioni K indotto dai salicilati, con conseguente transitoria modificazione della permeabilità di membrana e della capacità contrattile delle cellule stesse. TINNITO. Rappresenta solitamente il sintomo d’esordio nei pazienti trattati con salicilati, descritto come un rumore continuo e acuto di lieve intensità. Studi condotti da Mongan et al (15) hanno dimostrato essere necessario, in pazienti normoacusici, un livello sierico di salicilati di almeno 19.6 mg/dl per indurre la comparsa di acufeni. Più recentemente, tali dati sono stati messi in discussione e l’attuale pensiero
Tripletta di cellule ciliate esterne Cellula ciliaca interna
Fibrille terminali del nervo acustico Fig. 3. A livello delle cellule acustiche, avviene la trasduzione dell’energia meccanica vibratoria (la vibrazione sonora, trasmessa da membrana del timpano, catena degli ossicini e liquidi labirintici) in energia elettrica che si propaga attraverso le fibrille terminali del nervo acustico fino all’encefalo, dove la sensazione sonora viene percepita in maniera cosciente. 6
considera il tinnito un sintomo troppo soggettivo e aspecifico, perché possa essere considerato un indicatore affidabile dei livelli ematici di salicilati. DISTURBI VESTIBOLARI. Nonostante molti autori abbiano notato la presenza di disturbi vestibolari in pazienti trattati con larghe dosi di salicilati, l’argomento è stato direttamente affrontato in pochissime pubblicazioni. Bernstein e Weiss (16) hanno eseguito studi calorimetrici, rilevati mediante elettronistagmografia, su una popolazione trattata con ASA (6-8 g/die) per malattia reumatica mettendo in evidenza una riduzione statisticamente significativa della durata del nistagmo e della fase lenta della velocità nistagmica. Ciò farebbe propendere per un transitorio deficit vestibolare periferico.
Istologia Studi anatomici sull’orecchio interno di animali trattati con salicilati riportano risultati contraddittori. Kirchner (1883) (17) ha indicato nei suoi studi segni emorragici a livello della coclea e del labirinto; Bech (1913) (18) ha notato invece segni di atrofia nelle cellule gangliari con una dislocazione della membrana di Reissner e tectoria; Lurie (1935) (19) ha riportato nei sui lavori scientifici presenza di degenerazione a carico delle cellule ciliate esterne e tracce emorragiche negli spazi perilinfatici. D’altro canto Myers e Bernstein (1965) (2) non osservarono alcuna modificazione, osservando al microscopio ottico ed elettronico la coclea di scimmie trattate con alte dosi di salicilati. Tali risultati più tardi furono confermati mediante lo studio istologico di rocche petrose di anziane donne sottoposte cronicamente a terapia salicilica. Le alterazioni riscontrate in microscopia elettronica erano tutte riconducibili ad un pro-
cesso d’invecchiamento del sistema, come rarefazione delle cellule neurali del ganglio spirale o atrofia della stria vascolare. Zheng e Gao (1996) (21) hanno studiato l’ototossicità dei salicilati su colture organotipiche di cellule cocleari di ratto. L’utilizzo di anticorpi specifici, usati come sonda, hanno rivelato una degenerazione neuronale dose-dipendente senza perdita di cellule ciliate, nemmeno a seguito di dosi massicce di farmaci. In conclusione, gli studi anatomici concordano circa la mancata alterazione a carico delle cellule neurali, delle cellule ciliate e dei tessuti vascolari della coclea, in linea con la limitata e reversibile ipoacusia indotta dai salicilati, sopra descritta.
Possibili meccanismi di ototossicità La transitorietà del deficit uditivo, unitamente alla mancanza di lesioni cocleari ha suggerito una eziopatogenesi correlata a modificazioni di tipo biochimico o metabolico, peraltro reversibili, piuttosto che di tipo morfologico. L’ototossicità indotta dai salicilici potrebbe infatti essere il risultato di un transitorio calo del flusso sanguigno a livello cocleare, dovuto a livelli abnormi di eicosanoidi nell’orecchio interno (Fig. 4). Si tratterebbe infatti di una combinazione di diversi fattori che vedono come primum movens l’effetto inibitorio dei salicilati nei confronti della ciclossigenasi, con un conseguente aumento dei leucotrieni (che esplicano una azione vasocostrittoria) e un decremento delle prostaglandine (con azione vasodilatatoria). Ciò si traduce in una transitoria diminuzione del flusso cocleare, un alterato trasporto di membrana e un’anomala conduttanza di membrana agli ioni K+ a livello delle cellule ciliate esterne con ripercussioni sull’elettromotilità delle stesse. Un altro ipotetico bersaglio studiato è rappresentato dalla stria vascolare che viene considerata un dispositivo per il trasporto 7
SALICILATI
INIBIZIONE DELLE CICLOSSIGENASI
Leucotrieni
Prostaglandine
Vasocostrizione
Conduttanza
flusso cocleare
turgidità
OTOTOSSICITÀ Fig. 4. Ipotetico meccanismo di ototossicità indotta da salicilati.
di ioni, essenziali per il mantenimento dell’elevato potenziale elettrico positivo endococleare. Affinché sia garantita l’omeostasi ionica è necessaria un’adeguata ossigenazione delle cellule epiteliali della stria, caratterizzate da un’elevatissima concentrazione di mitocondri, sede dei processi respiratori cellulari. L’inibizione indotta dai salicilati su uno o più enzimi della catena respiratoria potrebbe perciò interferire sulle funzioni della stria vascolare e dunque sul mantenimento del potenziale elettrico endococleare. La normale funzione di questo sistema enzimatico verrebbe recuperato non appena sospeso il farmaco in questione. Tale teoria trova supporto negli studi di Lutwak e Mann che dimostrano come i salicilati siano in grado di inibire transito8
riamente l’attività di molte catene enzimatiche, agendo soprattutto su catalasi, succinodeidrogenasi, xantino-ossidasi e altri enzimi. Si può concludere che nonostante l’ototossicità dei salicilati presenti ancora aspetti assolutamente sconosciuti, resta indiscussa la necessità di sottoporre i pazienti trattati con salicilati ad alte dosi a consueti controlli della salicilemia e a periodici controlli audiometrici. In presenza di una labirintopatia anteriore o posteriore pare infine opportuno valutare con maggiore attenzione l’opportunità di utilizzare altri farmaci emoreologici o antiaggreganti di cui sia documentato un minor rischio di ulteriore danno uditivo o vestibolare rispetto all’ASA.
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L’EQUILIBRIO IN ACQUA. DALLA FUNZIONE ALLA RIABILITAZIONE DARIO ALPINI1, DANIELE PELLEGATTA2, RICCARDO MACORINI3 1
Responsabile Servizio ORL-Otoneurologia Responsabile Attività Riabilitative Integrate 3 Responsabile Servizi Riabilitativi Territoriali I.R.C.C.S. “S. Maria Nascente”, Fondazione don Gnocchi, Milano 2
Introduzione La funzione “Equilibrio” è quella funzione complessa che ha consentito ai nostri progenitori di alzarsi in piedi oltre le erbe della savana, di esplorare quasi a 360° l’ambiente circostante, di muoversi in esso e, infine, di interagire con l’ambiente per manipolarlo attivamente a proprio uso e consumo. La funzione Equilibrio è quindi quella funzione complessa che consente di alzarsi in piedi, esplorare l’ambiente con la vista e l’udito, muoversi nell’ambiente a proprio piacimento e manipolare l’ambiente attivamente.
Meccanica, cibernetica e sinergetica del sistema dell’equilibrio La base di ogni funzione complessa è un riflesso. Nella funzione “Equilibrio” riconosciamo due gruppi di riflessi: oculomotori, che consentono la stabilizzazione del campo visivo, spinali e da stiramento, che rendono possibile il mantenimento della stazione eretta e del controllo posturale durante il movimento. L’insieme delle strutture anatomiche che consentono l’esecuzione di questi riflessi costituisce un sistema, il cosiddetto Sistema Vestibolare, o, in un senso più estensivo quello che pos10
siamo chiamare Sistema dell’Equilibrio (SE). Dal punto di vista meccanico SE può essere visto come il risultato della somma del funzionamento di questi riflessi, come la simultanea ma distinta attivazione di alcuni o di tutti i riflessi, a seconda delle necessità: fissare, stare in piedi, camminare. Gli input sensoriali (visivo, uditivo, labirintico, propriocettivo, somatoestesico) attivanti non sono però sempre ben distinguibili l’uno dall’altro. Lackner ha affermato che “in condizioni naturali, durante il movimento, non è possibile attivare solo un singolo input periferico”. Pertanto Norrè ha proposto di distinguere due riflessi complessi, ciascuno controllato da input sensoriali differenti ma generalmente elaborati nei nuclei vestibolari e nel cervelletto: il riflesso oculare di equilibrio (balance-ocular reflex, BOR) e il riflesso spinale di equilibrio (balance-spinal reflex, BSR). Il principio di questa classificazione è il riconoscimento di una interazione tra differenti input sensoriali a differenti sedi di elaborazione per finalità motorie comuni. Dal punto di vista cibernetico, tutte le strutture, periferiche e centrali, che contribuiscono al BOR e al BSR, costituiscono un sistema complesso. Il SE, quindi, risponde alle leggi comuni a tutti i sistemi complessi: Totalità: ogni componente del sistema è in stretta interconnessione con gli altri componenti così che una modificazione di
uno dei componenti, o sottosistema, comporta una modificazione di tutto il sistema. Il risultato funzionale è qualcosa di più e di diverso dalla semplice somma delle funzioni dei singoli componenti. Da questa legge consegue anche che non è possibile ricavare informazioni su tutto il sistema analizzando solo la funzione di uno dei suoi componenti (studiando ad esempio soltanto il sottosistema posturale) Equifinalità: lo stesso risultato funzionale può quindi essere ottenuto per mezzo di differenti modalità di interconnessione e di stato dei singoli sottosistemi. La legge dell’equifinalità è la legge cibernetica alla base del meccanismo neurofisiologico di sostituzione sensoriale che avviene quando si modifica l’ambiente e l’uomo si trova in condizioni gravitazionali differenti, come appunto in acqua. Retroazione: le stesse uscite del sistema (movimenti oculari, movimenti del capo, contrazioni antigravitarie,etc,..) ne rappresentano anche le entrate così che l’attività muscolare sia essa stessa un input propriocettivo al sistema per controllarne l’efficienza (cosiddetta “re-afferenza”). Calibrazione: un sistema è stabile rispetto alle sue variabili (input) se queste si mantengono entro determinati valori. La legge della calibrazione esprime la tollerabilità del sistema alle variazioni ambientali e alle variazioni di stato dei suoi sotto-sistemi. È la calibrazione che ci spiega la variazione sintomatologica intra e interindividuale che spesso si osserva a parità, apparente, di situazione fisiopatologica. Ridondanza: il sistema dell’Equilibrio è un sistema polisensoriale (visivo, labirintico, propriocettivo, somatoestesico) in cui le informazioni sensoriali hanno frequentemente lo stesso significato informazionale. Il sistema è efficiente quando è in grado di selezionare, in ogni situazione, la/le informazioni sensoriali più idonee a mantenere l’equilibrio nel modo più corretto ed ergonomico. Anche i programmi motori sono ridondanti e lo stesso atto motorio complesso può essere effettuato attivando sinergie muscolari differenti.
Preferenzialità: nell’ambito della polisensorialità del sistema dell’equilibrio in ogni individuo esiste una strategia sensomotoria preferenziale. Pertanto alcuni individui utilizzano soprattutto le informazioni visive, altri quelle propriocettive, altri quelle labirintiche. In conclusione, quindi, il SE, dal punto di vista cibernetico viene interpretato come l’interazione di sottosistemi differenti. Nell’organizzazione, però, di ogni sistema complesso e, in particolare, nel caso del SE, possiamo distinguere differenti livelli funzionali. Un livello può essere definito come una descrizione funzionale più semplice rispetto al tutto. La sinergetica descritta dal fisico Herman Haken indaga particolarmente le relazioni che intercorrono tra i livelli individuati come costitutivi di un sistema. Possiamo cioè identificare un livello “macroscopico” nel quale ci troviamo dinanzi alle proprietà del sistema nel suo complesso e più livelli “microscopici” caratterizzati da numerosi elementi immediatamente non “visibili” né “individualizzabili”. Nella concezione sinergetica, lo stato “macroscopico” viene ottenuto attraverso un processo di “autorganizzazione” degli elementi “microscopici”. Per quanto riguarda l’equilibrio, il livello macroscopico (che possiamo chiamare “E”) è rappresentato, tautologicamente, dalla funzione “equilibrio” che più precisamente possiamo definire, scendendo di livello (che denomineremo “e”), come la cooperazione istantanea della “coordinazione motoria” (“EeA”) con la “percezione dell’orientamento del corpo nello spazio”(“EeB”). A questo punto, scendiamo ulteriormente di livello. Sotto al livello submacroscopico “coordinazione”, troveremo i livelli: – EeAa coordinazione tra movimenti della testa e/o del corpo con i movimenti degli occhi al fine di mantenere distinta la visione foveale – EeAb coordinazione tra contrazione dei muscoli antigravitari paravertebrali ed 11
estensori degli arti inferiori e forza di gravità al fine di opporsi a quest’ultima mantenendo la posizione statica (stazione eretta, seduta, decubito laterale...) – EeAc coordinazione tra muscoli tonici, antigravitari, fasici e forza di gravità per realizzare un passo, un salto, un movimento che porti da uno stato di equilibrio ad un altro attraverso una fase di disequilibrio, in modo armonico e finalizzato. Sotto al livello “orientamento”, troveremo i livelli: – EeBa percezione dell’orientamento reciproco dei singoli elementi corporei (orientamento segmentale) – EeBb percezione dell’orientamento del corpo e/o dei sui elementi nello spazio (orientamento spaziale). La sinergetica ci indica inoltre che la variabilità (o all’inverso la stabilità) di funzionamento di un livello è inversamente proporzionale alla microscopicità del livello. In altri termini, di fronte a un individuo con una funzione di equilibrio “normale” stiamo osservando il massimo livello macroscopico del sistema e quindi la variabilità di funzionamento del sistema (inteso come coordinazione e orientamento) è minima. Al contrario se osserviamo un livello inferiore (ad esempio il livello “coordinazione motoria al fine di mantenere la posizione statica desiderata”, che, in altri termini è quanto si registra ad esempio con la stabilometria o con l’Elite) rileviamo che le modalità di mantenimento, ad esempio, della stazione eretta variano, in termini di organizzazione senso-motoria, in modo ben apprezzabile tra individuo e individuo, e, nell’ambito dello stesso individuo, in relazione allo stato di attenzione o al tipo di istruzioni ricevute: ad esempio le istruzioni apparentemente simili “stai in piedi fermo il più tranquillo possibile” e “stai in piedi cercando di rimanere il più fermo possibile” determinano dei risultati strumentali statisticamente differenti. 12
Il SE viene quindi interpretato dalla sinergetica come l’integrazione tra livelli funzionali differenti, tra orientamento spazio-temporale e coordinazione sensomotoria. In conclusione il Se può essere interpretato, e quindi analizzato, secondo un modello interpretativo che possiamo esplicitare con l’acronimo MCS, la funzione Equilibrio è il risultato dell’attivazione distinta dei componenti del SE (M), dell’interazione cibernetica delle reti senso-motorie (C) e dell’integrazione sinergetica (S) delle sottofunzioni di coordinazione e orientamento
Dalla terra all’acqua Lo sconvolgimento della relazione uomoambiente come avviene nell’uomo immerso nell’acqua, determina la modificazione dei comportamenti meccanici dei componenti del SE, il riarrangiamento delle interazioni sensoriali, il rimodellamento delle gerarchie funzionali. Ecco quindi che che il livello sinergetico funzionale “stare in piedi sulla Terra” non è più comparabile al livello “stare in piedi nell’Acqua” e, quindi, la valutazione funzionale prima, e la valenza terapeutica, poi, cambiano drasticamente. Vedremo quindi ora di delineare una reinterpretazione della funzione Equilibrio nell’ambiente Acqua sulla base del modello MCS. In senso generale, sia sulla Terra sia nell’Acqua la funzione di base del SE è quella di raggiungere una relazione stabile tra noi stessi e l’ambiente che ci circonda. Questo richiede che, sia durante il movimento, come pure quando siamo immobili, il SE deve essere in grado di percepire nell’ambiente punti di riferimento (esplorazione) e confrontarli con i riferimenti gravitazionali interni (orientamento) in modo da elaborare strategie motorie che consentano di muoverci armonicamente (coordinazione) e finalisticamente nello spazio circostante (navigazione).
L’Acqua determina una re-gerarchizzazione delle afferenze sensoriali in funzione, però, anche del livello di immersione. Possiamo schematicamente delineare tre fasi dell’interazione Uomo/Acqua interpretabili secondo il modello MCS: 1. M – immersione del corpo sino al collo con i piedi appoggiati sul fondo 2. C – galleggiamento del corpo immerso sino al collo. 3. S – immersione totale del corpo in acqua.
1. M – Immersione del corpo sino al collo con piedi appoggiati sul fondo (Fig. 1 e 2). Questa è la condizione di passaggio Terra/Acqua in cui il SE si modifica senza particolari sconvolgimenti funzionali. La gerarchia sensoriale e l’organizzazione
Fig.1 – Esercizi meccanici di mobilizzazione del bacino e di controllo della posizione del tronco.
Fig. 2 – Esercizi di controllo dell’equilibrio con immersione parziale.
generale di coordinazione, orientamento e navigazione resta immutata. I cambiamenti sono sostanzialmente quantitativi relativamente alle informazioni propriocettive. In altri termini avvengono delle modificazioni meccaniche della mobilità articolare degli arti inferiori, del tono muscolare estensorio in condizioni statiche per l’effetto “antigravitario” dell’acqua e della stimolazione somatoestesica cutanea e, infine, della contrazione muscolare fasica in condizioni dinamiche per la resistenza offerta dall’acqua allo spostamento. L’aumento della stimolazione cutanea durante il movimento non modifica la gerarchia sensoriale in cui vista, udito consentono i riferimenti spaziali, vista e stimolazioni labirintiche forniscono il riferimento cinetico durante il movimento e gli otoliti quello gravitazionale restando, quindi, occhio e orecchio preminenti nel controllo dell’orientamento e della navigazione. 2. C – Il galleggiamento del corpo immerso sino al collo (Fig. 3). In questa condizione avviene una importante riorganizzazione delle interazioni senso-motorie. Avviene una riorganizzazione delle reti cibernetiche. In modo un po’ provocatorio potremmo definire que13
delle afferenze plantari non consente l’attivazione dei riflessi tonici di supporto e delle reazioni di raddrizzamento, la stimolazione cutanea è il principale riferimento “cinetico” del movimento del tronco, il riferimento “gravitazionale” del tronco non è più il segnale otolitico ma diviene il “centro di galleggiamento”, quindi un riferimento all’interno del corpo, che dipende dal “pianeta Terra”, ma anche dall’ambiente “Acqua” (e quindi dalla sua composizione) nonché dalle caratteristiche del corpo (forma, massa muscolare, grasso...). Il tronco utilizza quindi un riferimento iu Conseguenza di questa “decapitazione” è la necessità di coordinare due organizzazioni senso-motorie differenti, quelle del capo e quella del tronco, di coordinare l’oggettivo e il soggettivo, l’assoluto e il relativo. Ecco quindi la necessità di “imparare” a galleggiare e a nuotare, proprio come abbiamo “imparato” a camminare. Fig. 3 – Immersione progressiva del corpo con galleggianti per gli arti, per determinare la “decapitazione funzionale”.
sta riorganizzazione come “decapitazione funzionale”. In altri termini, la testa fuori dall’acqua continua ad essere controllata dalla stessa gerarchia senso-motoria della Terra: vista e udito forniscono i riferimenti spaziali, gli otoliti determinano il riferimento gravitazionale del capo, i canali semicircolari e i recettori cervicali informano delle accelerazioni tridimensionali della testa, i muscoli antigravitari del collo devono continuare a sostenere “il peso” del capo. Il riferimento gravitazionale otolitico rimane quindi riferito al “pianeta Terra”, al di fuori, in un certo senso, della testa, indipendente dal peso e, per così dire, dall’esistenza stessa della testa, resta quindi un riferimento “oggettivo” e “assoluto”. Al contrario tronco e arti vengono controllati in modo differente. La propriocezione è distorta a causa dell’interazione tra gravità e spinta idrostatica, la mancanza 14
3. S – L’immersione totale del corpo in acqua (Fig. 4). In questa condizione i riferimenti visivi si dissolvono, quelli uditivi pressocché scompaiono, le afferenze propriocettive vengono
Fig. 4 – Immersione completa del paziente, con boccaglio.
distorte a causa dell’interazione tra forza di gravità e spinta idrostatica, quelle somatoestesiche sono quantitativamente aumentate, funzionalmente irrilevanti in condizioni statiche in quanto omogeneamente distribuite ma indispensabili come riferimento cinetico al posto della vista durante il movimento, quelle plantari non sussistono e non attivano quindi più i riflessi di supporto e di raddrizzamento. In questa situazione tutto il corpo ritrova un’armonia funzionale ma l’organizzazione senso-motoria si ristruttura, le gerarchie funzionali si modificano, i livelli trovano nuova valenza. Il punto cruciale della ristrutturazione è la necessità di un nuovo riferimento gravitazionale: testa e tronco non fanno più riferimento solo alla forza di attrazione del “pianeta Terra”, ma neanche solo al “centro di galleggiamento” sia perché, comunque, testa e corpo sono quasi due entità separate con differenti centri di galleggiamento, sia perché il riferimento otolitico rimane comunque attivo e invariato. Ecco quindi che tutto l’Uomo, ora “funzionalmente” ricomposto, deve trovare un riferimento gravitazionale che medii tra il riferimento otolitico, “esterno”, “oggettivo” e “assoluto”, e il centro di galleggiamento, “interno”, soggettivo” e “relativo”. Ecco quindi la necessità neurofisiologica di attuare una rivoluzione, una rivoluzione “autocentrica”. Da questa “rivoluzione” sinergetica neurofisiologica ecco che traspare la valenza psicodinamica dell’acqua, il ritorno a sé stesso, la chiusura agli stimoli della Terra (prevalentemente visivi e uditivi) per ritrovare gli stimoli del grembo materno (prevalentemente vestibolari, propriocettivi e somatoestesici).
L’approccio riabilitativo: riorganizzazione o ristrutturazione? Nel precedente paragrafo abbiamo volutamente parlato di riorganizzazione e di ristrutturazione. Questa distinzione è molto
importante per la programmazione terapeutica. Durante la prima metà del secolo diciannovesimo il matematico francese Evariste Galois, la notte prima di essere ucciso in duello a soli 20 anni, gettò le basi per lo sviluppo della “teoria dei gruppi”. Tale teoria è stata ampiamente utilizzata, in termini analogici e non matematici, da studiosi della comunicazione umana quali Watzlawick e la famosa Scuola di Palo Alto. Secondo questa teoria un gruppo è costituito da un insieme di elementi di qualsiasi natura ma aventi tutti una caratteristica comune (nel nostro caso una finalità comune). La composizione del gruppo può cambiare ma il risultato finale sarà ancora un elemento del gruppo. È proprietà dei gruppi la possibilità di effettuare infiniti cambiamenti “all’interno” del gruppo rendendo però impossibile ad ogni elemento o composizione di elementi il collocarsi “all’esterno” del sistema. In termini terapeutici il Sistema si Riorganizza ma il livello Funzionale resta invariato. Per introdurre una variazione funzionalmente significativa dobbiamo introdurre nella nostra programmazione terapeutica anche noi, come Watzlawick, un’altra teoria matematica, la”teoria dei tipi logici”. Questa teoria presuppone una gerarchia di livelli “logici”, nel nostro caso “funzionali”. I livelli logici vanno tenuti rigorosamente separati per evitare confusioni e paradossi. Il passaggio da un dato livello a quello immediatamente superiore comporta un salto, una “rottura”, una trasformazione, un cambiamento “fuori” dal sistema. La teoria dei tipi logici, nel nostro modello complementare all’organizzazione sinergetica che abbiamo illustrato, non prende in considerazione ciò che accade dentro un gruppo, cioè tra i suoi elementi, ma fornisce uno schema per considerare la relazione tra elemento e gruppo e la metamorfosi insita nei passaggi da un livello logico a quello immediatamente superiore. 15
Citando Watzlawick, consegue dalle teorie dei gruppi e dei tipi logici che “ci sono due tipi di cambiamento: uno che si verifica dentro un dato sistema il quale resta immutato, mentre l’altro cambia il sistema stesso”. Semplificando, quindi, le opzioni terapeutiche che si pongono sono “riorganizzazione” (cambiamento dentro il sistema) e “ristrutturazione” (cambiamento di livello del sistema), riorganizzazione o ristrutturazione, da percorrere con gli strumenti che l’acqua offre: la modificazione meccanica, la decapitazione funzionale cibernetica, la rivoluzione autocentrica sinergetica..
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16
Cesarani A, Alpini D. Terapia delle Vertigini e del Disequilibrio: il Metodo MCS. Springer Verlag, Milano 2000. Dilts R, Grinder J, Bandler R, Bandler LC, DeLozier J. Programmazione Neurolinguistica. Astrolabio, Roma 1982. Gluck MA, Rumelhart DE (eds). Neuroscience and Connectionist Theory. Lawrence Erlbaum Associates Publishers, Hillsdale, New Jersey 1990. Kohen-Raz R. Learning Disabilities and Postural Control. Freund Publishing, London 1986. Lackner JR. Some proprioceptive influences on the perceptual representation of body shape and orientation. Brain 1088;111:281-297. Lackner JR. Multimodal and motor influences on orientation: implications for adapting to weightless and virtual environments. J Vest Res 1992; 2:307-322. Lackner JR. Orientation and movement in unsual force environments. Psycol Sci 1993; 345352. Latash ML. Control of Human Movement Human Kinetics Publishers, Champaign, Usa, 1993. Norrè ME. Posture in Otoneurology. Acta Oto-RhinoLaryngol. Belgica 1990;44(2-3): 55-364. Watzlawick P, Beavin J.H, Jackson DD. Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio, Roma 1971. Watzlawick P, Weakland JH, Fisch R. Change. Astrolabio, Roma 1974.
PICCOLA INTRODUZIONE ALL’EQUITEST® PIER PAOLO CAVAZZUTI Unità Operativa di Otorinolaringoiatria - Ospedale Maggiore, Bologna
Prima della partenza e al ritorno dalle loro missioni gli astronauti dell’Ente Spaziale Americano, la NASA, vengono sottoposti a svariati test clinici, fra i quali EquiTest®, un esame posturografico pensato per la valutazione di persone con elevate performance dell’equilibrio. Lo scopo di questo protocollo è di valutare le alterazioni delle funzioni vestibolari e della postura in persone che hanno trascorso un periodo nello spazio in assenza di gravità. L’EquiTest® fu progettato e sviluppato da Lewis M. Nashner come argomento di tesi per il dottorato di ricerca presso il Masachussetts Institute of Technology (MIT), con finanziamento della NASA, partendo da studi sulla postura e sui movimenti per il controllo posturale in condizioni normali e in pazienti affetti da patologie neurologiche, attorno ai primi anni ‘70 del secolo scorso. L’implementazione dell’EquiTest® nella forma attualmente in uso fu finanziato dal National Institute of Health (NIH) americano. Nashner fondò poi la Neurocom International che è la ditta che detiene il brevetto, produce e commercializza l’EquiTest®. Dopo l’approvazione da parte della Food and Drugs Administration (FDA) nel 1986, l’apparecchiatura è stata introdotta come sistema diagnostico e viene utilizzata in ambulatori vestibologici in tutto il mondo. L’EquiTest® (Fig. 1) non è l’unico sistema di posturografia dinamica esistente, ma
Fig. 1 – L’apparecchiatura per l’Equitest®
per la quantità e la qualità di dati che può fornire e per la grande diffusione è diventato in breve tempo il riferimento della categoria. Può essere definito come un metodo quantitativo per identificare e valutare ciascun componente sensitivo e motorio che contribuisce al controllo della postura eretta nell’essere umano. L’apparecchiatura comprende: • una pedana che può essere svincolata dai supporti e quindi ruotare sul piano sagittale con un guadagno variabile 17
rispetto ai movimenti che il paziente esegue per mantenersi in equilibrio (solitamente a fini diagnostici si utilizza un guadagno pari a 1, per cui ad ogni oscillazione del paziente corrisponde un analogo movimento della pedana); • un pannello che abbraccia tutto il campo visivo del paziente, azionato da un servo motore, che può farlo ruotare sul piano sagittale seguendo gli spostamenti che il paziente imprime al proprio centro di gravità, con un guadagno variabile (anche in questo caso comunemente regolato al valore di 1); • un computer che regola la somministrazione del test e ne registra la risposta, che viene fornita su video e su carta, e può essere archiviata su supporto magnetico. L’EquiTest® è composto da due prove diverse, eseguibili indipendentemente fra di loro, l’una volta alla valutazione dei sistemi che contribuiscono alla postura, il test dell’organizzazione sensoriale (SOT), e l’altra dedicata allo studio delle reazioni motorie a movimenti della pedana, il Motor Control Test (MCT). Il SOT, di solito di maggiore interesse in Vestibologia, comprende 6 prove, ciascuna ripetuta in gruppi di 3. I primi 3 gruppi di prove vengono eseguiti con la pedana fissa. Il paziente viene invitato a stare in piedi con occhi aperti (prova 1), con occhi chiusi (prova 2), e con occhi aperti e il pannello del paesaggio mobile (prova 3). Gli altri 3 gruppi vengono invece svolti con pedana svincolata, ancora con occhi aperti (prova 4), con occhi chiusi (prova 5) e con occhi aperti e pannello del paesaggio mobile (prova 6). Le oscillazioni del paziente vengono registrate dall’elaboratore che assegna a ciascuna prova un punteggio da 0 a 100. L’EquiTest®, in particolare il SOT, valuta la capacità del sistema nervoso centrale di servirsi delle singole afferenze (input) vestibolare, visiva e somatosensoriale ai fini del mantenimento dell’equilibrio, valutando risultati delle 6 prove secondo algoritmi matematici. 18
I parametri su cui si basa la risposta sono i seguenti: • COMPOSITE: è la media aritmetica di tutte le prove eseguite; • ANALISI SENSORIALE: è la suddivisione del contributo che ciascun input ha fornito al mantenimento della postura durante l’esame e comprende: SOM (input somestesico), VIS (input visivo), VEST (input vestibolare); viene inoltre calcolata la PREF (preferenza visiva) che misura la tendenza del paziente a seguire durante l’esame le indicazioni provenienti dall’input visivo anche quando queste sono rese ingannevoli dal movimento del pannello del paesaggio. I valori di normalità del COMPOSITE e dei parametri dell’ANALISI SENSORIALE variano con l’età del paziente e sono forniti dal computer e visualizzati come un’area tratteggiata sull’output grafico. • ANALISI DI STRATEGIA: è l’analisi dei movimenti del centro di gravità che il paziente effettua per mantenere la postura. Essi vengono suddivisi in “strategia di caviglia” o “strategia d’anca” a seconda che le forze rilevate dai sensori della pedana siano prevalentemente verticali o tangenziali. • ALLINEAMENTO DEL CENTRO DI GRAVITÀ: è il grafico della proiezione del centro di gravità del paziente all’inizio di ciascuna prova. Il SOT può essere considerato un ampliamento del test di Romberg, introdotto circa 150 anni fa nella pratica clinica, che si basava sull’osservazione che l’eliminazione dei riferimenti visivi non modifica in modo importante il controllo posturale nei soggetti normali, mentre determina un netto peggioramento del controllo posturale con l’accentuarsi delle oscillazioni e la caduta nei pazienti con alterata funzione vestibolare non compensata. In pratica, si può dire che l’EquiTest® è in grado di misurare la forza applicata dal corpo alla piattaforma in condizioni di base, con occhi aperti e piattaforma e pannello fissi, e durante abolizione e/o manipola-
zione degli input visivo e somestesico con la chiusura degli occhi e/o con i movimenti del pannello e della piattaforma. La forza applicata viene poi scomposta in due vettori, verticale e tangenziale rispetto alla piattaforma, con riconoscimento di una strategia di anca (prevalenza della componente tangenziale) e di caviglia (prevalenza della componente tangenziale). Attraverso operazioni aritmetiche e algoritmi il sistema è in grado di calcolare un risultato medio (composite) e di scomporre il contributo dei diversi input al mantenimento della postura. Le informazioni fornite da questo test riguardano quindi la capacità del paziente a mantenere la postura eretta in condizioni normali o in caso di perturbazione e abolizione degli input sensoriali, e i parametri esaminati vengono confrontati con quelli ricavati da un gruppo di pazienti normali della stessa fascia di età. Inoltre, l’analisi sensoriale dà un’indicazione su quali possono essere gli input alterati alla peri-
feria o elaborati in modo anomalo a livello centrale. Il Motor Control Test valuta invece i tempi di reazione e le strategie che i pazienti adottano per mantenere l’equilibrio in risposta a movimenti attivi, impulsivi della pedana. Vengono infatti somministrati movimenti di traslazione in avanti e all’indietro, suddivisi in piccoli, medi e grandi, e rotazioni della pedana sul piano sagittale (tilt). I risultati di queste prove vengono riassunte in diagrammi in cui sono presenti reticoli che rappresentano le aree di normalità dei test. L’interesse del MCT è più limitato per gli scopi vestibologici, mentre può completare la valutazione neurologica in varie patologie che determinino un aumento dei tempi di reazione e una ridotta capacità al mantenimento dell’equilibrio. In Fig. 2 viene presentata la grafica di un esame normale. Tutti gli istogrammi dell’Equilibrium Score e della Sensory Analysis oltrepassano il limite della normalità,
Equilibrium Score
100 75 50 25 Fall
NN N // / SS S 1 2
Sensory Analysis
3
4 5 Conditions
6
6 Composite 79
Sensory Analysis
100
100
75
75
x◊ ◊◊+∆ ++
Hip Dominat
♦
50 50
COG Alignment
♦ ♦
25 25
Fall Hip
0 SOM
VIS VEST PREF
Condition 1 Mark ∆
Ankle Dominat
25 2 x
50 3 ◊
75 Ank 4 +
5
6 ♦
Fig. 2 – Risultati di un paziente sano. 19
rappresentato dall’area con il reticolo. La Strategy Analysis dimostra un buon equilibrio fra la strategia di anca e di caviglia, mentre la verticale del centro di gravità (COG) cade sempre nell’area non reticolata (normale). In Fig. 3 sono invece riportati i risultati dell’esame di un paziente con recente danno vestibolare monolaterale acuto, non ancora compensato (paziente operato per neurinoma dell’VIII nervo cranico da 7 giorni). Le prove 5 e 6, che mettono alla prova l’input vestibolare, sono fortemente insufficienti, dal momento che il paziente non è quasi mai riuscito ad evitare la caduta. Di conseguenza il Composite è insufficiente e nella Sensory Analysis l’input vestibolare è rappresentato da un istogramma molto basso. Anche la Strategy Analysis dimostra una risposta non buona, con diversi valori al di fuori dell’area della normalità, mentre la proiezione della verticale del baricentro è distribuita su punti molto dispersi. Accanto ai grafici riassuntivi è possibile stampare l’andamento delle prove in ter-
mini numerici e come rappresentazione dei tracciati e dell’area descritti dalla proiezione del centro di gravità durante le singole prove (Fig. 4 e Fig.5). Nella Fig. 6 è invece riportato il risultato della reazione di un paziente alle traslazioni in avanti e all’indietro della pedana, durante l’esecuzione del MCT. I tempi di latenza dei movimenti di correzione opposti a quelli della pedana sono nell’ambito della normalità (nel grafico, gli istogrammi neri non raggiungono l’area reticolata) e la simmetria della distribuzione del peso è conservata durante le prove. Per inciso, questo MCT fa seguito al SOT della Figura 3, dimostrando che nessun deficit dei sistemi motori posturali è stato causato dall’intervento di asportazione di neurinoma. L’EquiTest®, secondo la definizione del suo stesso creatore valuta nel complesso l’equilibrio e non è strettamente un esame della funzione vestibolare. In particolare è assolutamente errato interpretare i dati
Equilibrium Score
100 75 50 25 Fall
NN N // / SS S 1 2 3
Sensory Analysis
FF AA LL LL 4 5 Conditions
FFF AAA LLL LLL 6 6 Composite 79
Sensory Analysis
100
100
75
75 50
50
COG Alignment
Hip Dominat
+
x◊∆ +◊+ x◊+
25 25
Fall Hip
0 SOM
VIS VEST PREF
Condition 1 Mark ∆
♦♦
25 2 x
Ankle Dominat
♦
50
3 ◊
4 +
75 Ank 5
6 ♦
Fig. 3 – Risultati di un paziente con recente danno vestibolare monolaterale acuto. 20
4
5
6
= 5 degrees:16kg Force
Fig. 4 – Tracciati dell’andamento delle prove dell’imput vestibolare.
Normal Vision SwayRef Surface 11:13:55
11:14:19
11:14:47
11:15:16
11:15:46
11:16:47
11:17:37
11:18:05
11:18:38
Absent Vision SwayRef Surface
SwayRef Vision SwayRef Surface
10 degrees
Fig. 5 – Aree descritte dalla proiezione del centro di gravità durante le singole prove. 21
Weight Symmetry Backward Translation Left
0
Weight Symmetry Forward Translation Right S M L
Left
200
0
100
Latency (msec) Backward Translation 200
160
160
120
120 1
1
1
M
L
M L Right
Left
100
200
Latency (msec) Forward Translation
200
80
Right S M L
2 Composite
80
3
3
1
M
L
M L Right
Left
4
Fig. 6 – Risultato delle reazioni normali di un paziente alle traslazioni in avanti e all’indietro della pedana.
forniti dal test come misura del riflesso vestibolo-spinale. I dati ricavati da questo test non possono sostituire quelli derivati da altri esami di ambito vestibologico (prove vestibolari bedside, studio del nistagmo spontaneo e provocato, test di rotazione, prove caloriche, potenziali evocati vestibolari miogenici, ecc.), ma possono essere di valido aiuto nel completamento del quadro diagnostico e ancor più funzionale del paziente con problemi di equilibrio. Esaminando di nuovo il tracciato della figura 3, non è ovviamente possibile azzardare né un’ipotesi eziologica del danno vestibolare, né diagnosticare quale sia il lato colpito e in che misura. Risalta invece lo stato deficitario della “funzione” vestibolare: un paziente con una simile performance non è in grado di mantenersi in piedi con sicurezza e di camminare, se non con la base allargata (piedi divaricati) e in ambienti bene illuminati. La ripetizione a distanza dell’esame potrà poi documentare i miglioramenti della performance, 22
sia spontanei sia in seguito a cicli di esercizi riabilitativi. Le indicazioni che vengono generalmente riconosciute all’EquiTest® possono essere così schematizzate: 1. Pazienti che stanno seguendo protocolli di riabilitazione vestibolare (sia per la valutazione iniziale sia per il monitoraggio dei progressi conseguiti). 2. Pazienti con sintomi di disequilibrio in cui gli esami praticati non hanno permesso di riscontrare anomalie vestibolari centrali o periferiche. 3. Pazienti che devono essere valutati per disequilibrio post-traumatico. 4. Valutazione dell’handicap e del reinserimento nel lavoro per pazienti con patologie vestibolari e neurologiche, in quanto è possibile valutare l’andamento della disfunzione nel tempo e l’eventuale ritorno alla normalità. 5. Valutazione del danno in pazienti che stanno ricevendo terapie potenzialmente ototossiche o che lavorano a contatto con sostanze dannose per le strutture
dell’orecchio interno, o in pazienti che trascorrono periodi in ambienti con alterata gravità. 6. Valutazione di pazienti con storia di cadute e con disequilibrio, in particolare anziani. 7. Valutazione di pazienti con sensazioni di disequilibrio “non organico”, definizione con la quale si intendono le alterazioni da simulazione o di origine psicogena. A proposito di quest’ultimo punto, è abbastanza facile per un esaminatore con un po’ di esperienza distinguere alcune incongruità o esagerazioni nell’esecuzione dell’EquiTest®, come per esempio nel caso di esami in cui i risultati con gli occhi chiusi sono migliori di quelli ad occhi aperti, o con migliori performance nelle prove con la pedana mobile rispetto a quelle con la pedana fissa. Nel caso di un’importante componente psicogena, si riscontra un altrimenti ingiustificato crollo delle performance posturali invitando il paziente ad iperventilare durante l’esecuzione dell’esame, per cui questo stratagemma viene impiegato molto spesso per dirimere difficili dubbi diagnostici. Per i simulatori è comunque possibile applicare formule aritmetiche che hanno dimostrato in ampi studi di distinguere con grande affidabilità i pattern patologici da quelli esagerati volontariamente. Presso l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale Maggiore di Bologna, i pazienti possono essere sottoposti ad EquiTest® sia in regime di ricovero sia con prenotazione, da esterni. Per questi ultimi, in sede di prenotazione presso il Centro Unico di Prenotazione (CUP) di Bologna occorre la richiesta dello specialista ORL o neurologo. Oltre all’esame in condizioni standard, vengono eseguiti presso il nostro servizio alcuni protocolli speciali, di cui i due prin-
cipali sono l’esame con bite e il protocollo per i colpi di frusta. Il primo nasce dalla collaborazione con alcuni odontoiatri e mediante esso si ricerca un eventuale miglioramento del controllo posturale confrontando un esame in condizioni standard e uno dopo posizionamento di bite. Nel caso in cui il disequilibrio avvertito dal paziente sia dovuto almeno in parte ad alterazioni delle articolazioni temporo-mandibolari è possibile riscontrare miglioramenti sia dell’input somestesico che di quello vestibolare eseguendo l’esame con il bite, con un guadagno di alcuni punti del Composite. Il secondo invece documenta eventuali peggioramenti dell’equilibrio con il capo flesso a destra e a sinistra durante l’esame, rispetto alle condizioni standard. La sensibilità e l’attendibilità di quest’ultima prova hanno fatto sì che l’ EquiTest®, in particolare con questa modalità, sia sempre più richiesto dalle assicurazioni e dai periti di parte nei casi di traumatismi stradali. Un esame nato con il proposito di valutare la performance di pochi individui superiori alla norma per le funzioni di equilibrio e per le capacità di reazione in situazioni estreme, è diventato in breve tempo un importante strumento diagnostico nello studio di routine dei pazienti con deficit posturali. Presso il nostro reparto l’EquiTest ® ormai è considerato quasi indispensabile nello studio dei pazienti instabili e vertiginosi e la normalizzazione del Composite è un parametro fondamentale per la dimissione, non solo dei pazienti ricoverati per neuronite vestibolare acuta, per malattia di Menière o per altri tipi di vertigine, ma anche dei pazienti sottoposti ad asportazione di neurinoma dell’acustico e a neurotomia del vestibolare.
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OTONEUROLOGIA