Serie editoriale:
CLINICAL CASE MANAGEMENT
La vertigine come esperienza mnesica. Prolegomeni ai meccanismi di memoria nelle sindromi vertiginose (a review article) M. De Ciccio, E. De Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Aggiornamento periodico:
OTONEUROLOGIA 2000 Marzo 2003 / n. 13
Coordinamento Scientifico:
Dr. Giorgio Guidetti Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena e Reggio Emilia Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica Modulo di Vestibologia e Rieducazione vestibolare Policlinico di Modena e-mail: guidetti.g@policlinico.mo.it
Localizzazione labirintico-canalare di patologia vestibolare attraverso lo studio dei meccanismi fisiologici cupolo-endolinfatici e l’applicazione del test di Halmagyi e del test rotatorio impulsivo P. De Carli, M. Patrizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo studio stabilometrico tetratassico nelle turbe dell’equilibrio da insufficienza vertebrobasilare D.A. Giuliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Coordinamento editoriale:
Mediserve
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OTONEUROLOGIA
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LA VERTIGINE COME ESPERIENZA MNESICA. PROLEGOMENI AI MECCANISMI DI MEMORIA NELLE SINDROMI VERTIGINOSE (A REVIEW ARTICLE) MATTIA DE CICCIO, EUGENIO DE MARTINI Divisione Otorinolaringoiatria Ospedale Civile “S. Andrea” La Spezia
Abstract I meccanismi di memoria sono oggetto di studi da alcuni decenni. Le recenti applicazioni tecnologiche hanno consentito, anche mediante l’uso della Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI), di iniziare una vera e propria mappatura dei siti di memoria dell’encefalo. Sempre maggior accuratezza riscontriamo nello studio dei vari tipi di memoria. Le vestibolopatie acute e croniche, periferiche e/o centrali, anche come esperienza psichica, lasciano delle tracce di memoria. In questo articolo si analizza la qualità di queste tracce e i possibili meccanismi rievocativi.
Introduzione I campi di ricerca otoneurologica hanno, del tutto recentemente, focalizzato i loro studi sulle osservazioni anatomiche e funzionali tra le interazioni corticovestibolari e vestiboloippocampali e le loro possibili implicazioni nella pratica clinica. Tali strutture hanno risvegliato l’interesse dei ricercatori perché, sebbene la corteccia cerebrale sia responsabile dell’organizzazione delle più fini e dettagliate componenti dei comportamenti motori e cogni-
tivi, l’insieme dei nuclei sottocorticali sembra essere coinvolto nell’attività di generazione e di supporto delle suddette funzioni. Le strutture sottocorticali sono inoltre coinvolte nella regolazione dei sistemi emozionali e della memoria. Il comportamento è determinato dall’attività cerebrale e le disfunzioni cerebrali si esprimono anche attraverso alterazioni caratteristiche del comportamento stesso. Le funzioni cerebrali, d’altra parte, dipendono dall’interazione fra processi genetici ed evolutivi, da un lato, e apprendimento dall’altro. Si devono pertanto studiare i meccanismi attraverso i quali l’apprendimento modifica la struttura e la funzione delle cellule nervose e le loro connessioni. In definitiva tali sistemi ci garantiscono la possibilità di imparare dall’esperienza.
Cenni di neuroanatomia e fisiologia del sistema limbico Uno degli aspetti più difficili del sistema limbico è comprenderne la localizzazione anatomica, la forma e l’interconnessione delle sue parti. Il sistema limbico corre intorno al confine del ventricolo laterale, assumendo una 3
forma a corna d’ariete; inizialmente congiunto (ipotalamo e ghiandola pituitaria), si porta allargandosi in avanti e in laterale in due curvature (fornice), per poi girarsi all’indietro nella zona sottostante al corpo calloso; infine, posteriormente, curva verso il basso e in avanti fino a raggiungere l’ippocampo e l’amigdala. Al di sopra del corpo calloso il giro cingolato segue le medesime curve del fornice, come quest’ultimo curva in basso per incontrare l’ippocampo, il cingolato quindi emerge con il giro paraippocampale caudalmente e medialmente al lobo temporale. Se teniamo presente che la corteccia si presenta il forma di due larghi fagioli che prendono origine frontalmente per poi curvarsi posterolateralmente e all’indietro, si può vedere che il sistema limbico segue il confine interno fino al punto dove si congiunge al mesencefalo.
Il suo nome deriva appunto dalla particolare localizzazione attorno a questo confine. I componenti che costituiscono il sistema limbico sono tuttora oggetto di dibattito, ma si è soliti includervi l’ippocampo, l’amigdala, il giro cingolato e l’ipotalamo (Fig. 1). Le vie limbiche coinvolgono altri elementi quali i nuclei talamici e i corpi mammillari, ma il loro ruolo, nell’ambito di questo articolo, è più difficile da definire. Le caratteristiche di ciascuna regione possono essere riassunte come segue: IPPOCAMPO Regola l’attività sensoria e corticale. È la “porta” della memoria AMIGDALA Centro di allarme per stimoli di una certa importanza GIRO CINGOLATO Connette con la sua attività il sistema limbico alla corteccia
Corteccia limbica
Corpo calloso Giro del cingolo Fornice
Corpo mammillare Amigdala Ippocampo Ippocampo dell’emisfero destro (nascosto)
Fig. 1 – Principali componenti del sistema limbico. 4
Cervelletto
IPOTALAMO Regola il corpo in relazione all’ambiente attraverso risposte del sistema nervoso autonomo, endocrine, emozionali e somatiche Sin dagli anni ’60 i ricercatori hanno evidenziato come l’ippocampo giochi un ruolo nella processazione della percezione e nello sviluppo della memoria spaziale. Alcuni nuclei talamici sono infatti capaci di trasmettere informazioni vestibolari all’ippocampo, probabilmente attraverso la corteccia parietale. Negli ultimi 2-3 anni vi sono numerose dimostrazioni elettrofisiologiche dirette di come la stimolazione vestibolare influenzi le cellule dei nuclei talamici anteriori e le “place cells” nell’ippocampo; questo fa crescere la possibilità che l’ippocampo possa essere importante anche per il compenso della funzione vestibolare in seguito a lesioni periferiche e centrali. Dalla iniziale scoperta di O’Keefe e Dostrovsky che i neuroni dell’ippocampo hanno una frequenza di scarica differente in ciascuna regione o “place field”, e cioè che l’ippocampo si comporta come una mappa cognitiva, hanno prodotto un filone di ricerca sulle “place cells” ippocampali e il loro ruolo per capire come il cervello processa l’informazione spaziale. L’interesse attuale è quello di comprendere come meglio relazionare le funzioni dell’ippocampo quale la working memory e le mappe cognitive e come questo sia influenzato dall’esperienza dell’ambiente circostante e ancora il suo ruolo nell’apprendimento e nella consolidazione della memoria. Si è visto come i neurotrasmettitori abbiano un considerevole potenziale di controllo sullo sviluppo dei circuiti neuronali; sia con modalità eccitatorie che inibitorie, essi possono interagire sulla morfologia della rete neuronale. In particolare studi sui processi di apprendimento e sulla memoria indicano come i
neurotrasmettitori controllino questi cambiamenti (Fig. 2). Proprio l’ippocampo è una delle regioni del cervello nella quale si sta iniziando a definire il ruolo dei neurotrasmettitori come “scultori” della citoarchitettura neurale. Il glutammato, ad esempio, favorisce la circuitazione durante lo sviluppo dell’encefalo, mantiene e modifica la circuitazione nell’adulto ed è causa di processi neurodegenerativi nell’Alzheimer e nello stroke.
Fig. 2 – L’immagazzinamento della memoria è legato alla stimolazione chimica modulata dal sistema limbico, che determina un aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori nei neuroni dell’ippocampo.
Cos’è la memoria? Definire la memoria è sicuramente difficile. Ciò che noi chiamiamo memoria è solo una delle modalità in cui il SNC include le passate esperienze nelle attività correnti; e, sebbene vi siano vari tipi di memoria che coinvolgono specifiche strutture, potremmo in estrema sintesi definire che “memoria” è anche ciò che si rapporta all’ambiente circostante con un riflesso più semplice possibile. La neurofisiologia e la neuropsicologia iniziano a darci spiegazione di come le varie componenti del sistema nervoso possano produrre cambiamenti a breve e lungo termine in associazione con sensazioni, stato di coscienza ed emozione. 5
Cervello anteriore basale
Nucleo mediodorsale
Corteccia prefrontale
Spazio WORKING MEMORY Parole
Amigdala
Corteccia olfattoria (non visibile, sulla superficie mediana del lobo temporale)
Ippocampo
Corteccia inferotemporale
Cervelletto
Fig. 3 – Strutture cerebrali che hanno un ruolo funzionale nella memoria.
Non vi è un “magazzino” unico della memoria, bensì ogni parte del cervello forma associazioni basate sulle informazioni che normalmente processa (Fig. 3). Gli esperimenti classici di Lashey hanno dimostrato come la rimozione di alcune parti di encefalo di un ratto posto in una gabbia a labirinto influenzavano in maniera marginale la sua capacità di orientarsi. Con sorpresa quindi si dimostrò che nessuna delle parti di corteccia rimossa conteneva la chiave della memoria. D’altra parte sebbene il cervello “pensi” nella sua interezza, ci sono delle regioni che influenzano ciascun tipo di memoria. La corteccia in generale è organizzata in piccole unità di pochi neuroni che coordinano la loro attività in relazione con gli inputs e inviano informazioni altrove: se questi pattern sono usati al momento o immagazzinati in maniera durevole que6
sto dipende da azioni sottocorticali nelle strutture del sistema limbico. La possibilità di memoria è realizzata dalla creazione di particolari linkage tra neuroni, il modello più semplice di questi legami è la cosiddetta regola di Hebb che possiamo riassumere nel fatto che “se il firing tra due neuroni avviene nello stesso tempo i linkage divengono più forti; se il firing avviene in momenti differenti la connessione diviene più debole”. Anche l’immagazzinamento delle tracce di memoria relative ad un circuito riflesso molto semplice non avviene in un solo sito ma è distribuito a livello di parecchi siti del circuito. È anche verosimile che le tracce di memoria siano custodite in cellule nervose che svolgono altre funzioni oltre a quelle di immagazzinare le informazioni. È difficile studiare l’azione di larghi gruppi di unità corticali e le migliaia di connes-
sioni tra di loro; tuttavia, la ricerca ha stabilito che il potenziamento a lungo termine avvenga attraverso l’attività dell’ippocampo. L’amigdala può controllare se le associazioni fatte dall’ippocampo possano essere trasformate in memoria a lungo termine. Ogni evento di allarme attiva l’amigdala e le sue proiezioni verso l’ippocampo, rendendo possibile l’espressione di proteine che favoriscono il potenziamento a lungo termine tra le cellule. In stretta dipendenza con lo stato mentale e con le condizioni emotive, ogni pattern di attività può divenire una percezione durevole nel tempo. L’ippocampo quindi è un trait d’union tra differenti aree corticali, legando per esempio uno stato emotivo con stimoli sonori o corticali. Se questa capacità di elaborazione, chiamata abitualmente working memory, diventa una memoria a lungo termine dipende dalle regioni limbiche e corticali, sotto l’influenza di stati quali l’interesse intellettuale, l’emotività o un meccanismo di ricompensa. In pratica la working memory è una memoria a breve termine che può essere paragonata alla memoria RAM del computer, è quel tipo di memoria che, ad esempio, ci fa ripetere l’ultima parte di una conversazione, se l’interlocutore ci accusa di non averlo ascoltato. Così come la memoria RAM del computer, la working memory è cruciale per eseguire alcune operazioni quali sommare numeri, comporre frasi, seguire direzioni ecc. E così come avviene nel calcolatore, questo spazio viene riciclato e rioccupato non appena ci si appresta a cambiare operazione. Quando una memoria è immagazzinata, l’ippocampo e la corteccia temporale sono stimolati chimicamente dall’amigdala e da altre strutture limbiche. L’ippocampo possiede tre vie eccitatorie principali che vanno dalla corteccia entorinale al campo CA1. La via perforante che decorre dalla cor-
Fig. 4 – La risonanza magnetica funzionale consente il mappaggio dei siti del cervello coinvolti nei differenti tipi di memoria e apprendimento.
teccia entorinale alle cellule granulari dell’ilo del giro dentato. Gli assoni dei granuli che formano la cosiddetta via delle fibre muscoidi che raggiunge le cellule piramidali del campo CA3 che inviano collaterali eccitatorie o collaterali di Shaeffer alle cellule piramidali del campo CA1. L’applicazione di una breve scarica di stimoli ad alta frequenza ad una qualunque di queste vie determina un aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori nei neuroni dell’ippocampo; tale aumento può durare alcune ore o giorni o settimane. Questa facilitazione è stata chiamata Potenziamento a Lungo Termine (LTP). L’azione del potenziale a lungo termine si sviluppa in molte aree cerebrali quali la corteccia e l’ippocampo, che sappiamo essere una regione importante per i meccanismi di ritenzione delle tracce di memoria; ciò pone l’interrogativo se l’LTP non sia interessato nei meccanismi di memoria stessa. Con l’uso della fMRI (risonanza magnetica funzionale) è stato possibile mappare l’encefalo in relazione a siti di differenti tipi di memoria e apprendimento (Fig. 4). Psicologi e neuroscienziati sono sostanzialmente in accordo sull’esistenza di sei differenti tipi di memoria che possono essere riassunti come segue: 7
Tipo di memoria
Funzione
Memoria esplicita
Memoria cosciente di fatti ed eventi
Lobo temporale mediale e diencefalo
Working memory
Mantiene l’attività a breve termine in altre rappresentazioni
Corteccia prefrontale
Priming
Mette a punto le rappresentazioni percettive e concettuali
Corteccia occipitale temporale e frontale
Apprendimento motorio
Acquisisce nuove abilità
Striato
Condizionamento classico
Apprendimento tra stimolo e risposta motoria
Cervelletto
Condizionamento emotivo
Apprendimento tra stimolo e risposta emotiva
Amigdala
L’ippocampo ha quindi una notevole importanza nello stoccaggio delle tracce di memoria esplicita e abbiamo prove che i neuroni dell’ippocampo vanno incontro a modificazioni plastiche che sono esattamente quelle necessarie per lo stabilirsi della memoria. L’attività del sistema limbico permette al cervello di regolare l’omeostasi corporea per mezzo di feedback ormonali e non. Il sistema limbico inoltre permette l’apprendimento cognitivo e la reazione corporea per legare il tutto nell’esperienza quotidiana, e trasformarla in forme di memoria.
Esiste una memoria vestibolare? Le informazioni vestibolari nella scimmia e nel gatto afferiscono e sono rappresentate in almeno tre regioni distinte della corteccia cerebrale: 1. Corteccia parietale e somatosensoriale. 2. Corteccia vestibolare parietoinsulare. 3. Interazioni vestibolari diffuse sono anche state riscontrate nella regione motoria e premotoria e nei campi ottici frontali. Molte di queste regioni proiettano direttamente ai nuclei vestibolari e a loro volta ricevono stimoli convergenti labirintici, visivi e somatosensoriali come risposta a movimenti del capo. 8
Sede
Molte di queste regioni ricevono proiezioni vestibolari attraverso il talamo. Lesioni della regione vestibolare parietale sbilanciano il riflesso vestibolo oculomotore (VOR) e la soppressione visiva del VOR così come le funzioni cognitive correlati alla funzione vestibolare come la percezione spaziale e la memoria. Recenti studi ambientali e neurofisiologici hanno suggerito come l’ippocampo impieghi le informazioni vestibolari insieme alle informazioni provenienti da altri sistemi sensoriali per realizzare i processi computazionali spaziali. Nel passato era stato notato che la stimolazione dell’ipotalamo laterale in ratti immobilizzati facilita l’attività dei neuroni vestibolari, mentre la stimolazione del nucleo ipotalamico ventro-mediale e dorsale sopprimono l’attività. Il sistema limbico ed in particolare l’ippocampo ed il nucleo dell’amigdala partecipano nella genesi del disequilibrio del corpo. Una sovrastimolazione dell’ippocampo di coniglio induce una sovreccitazione delle componenti adrenergiche coinvolte in questo tratto dell’encefalo. Partendo da questi presupposti Hinohi ha effettuato un test dell’equilibrio in un certo numero di pazienti traumatizzati che soffrivano di vertigine psicosomatica di cui si prospettano due fattori eziologici, un linkage funzionale tra la corteccia temporale e il sistema limbico in particolare riguardo a:
1. memoria (meccanismo di memoria) 2. riflesso condizionato relativo alle vertigini l ruolo del cervelletto non è invece un fattore essenziale nel produrre vertigini di origine psicosomatica ma aumenta le vertigini di questo tipo attraverso una attivazione delle componenti adrenergiche. Il ruolo di neuromediatori nelle vie vestibolari è anch’esso ben noto, ad esempio la stimolazione vestibolare in vivo con acqua calda incrementa il rilascio di glutammato nel Nucleo Vestibolare Mediale (NVM); il contrario accade con la stimolazione fredda. La stimolazione calorica sia calda sia fredda promuove il rilascio di istamina e acetilcolina ippocampale; questo suggerisce che sia il sistema istaminergico che colinergico sono attivati dall’imbalance intervestibolare.
Sistema limbico e vertigine Vi è una stretta correlazione tra i disturbi dell’equilibrio e le “vertigini” psicogene; più del 60% dei soggetti con disturbi di panico e agorafobia sono destabilizzati nelle situazioni di disorientamento percettivo. Se quindi nell’ipotalamo vi sono immagazzinate tracce di memoria si potrebbe pensare che anche l’esperienza vertigine sia tra queste. In effetti la vertigine con il suo imponente corteo sintomatologico che coinvolge l’emotività fino alla paura, la presenza di fenomeni che sollecitano il sistema neurovegetativo fa sì che sicuramente venga a formarsi una traccia mnesica. Questo ci fa capire meglio le componenti ansiose e fobiche spesso lamentate da un paziente vertiginoso.
Ancora più suggestivo potrebbe essere un meccanismo che fa riemergere il sintomo vertigine anche in assenza di uno stimolo esterno alla percezione corporea o ad un danno labirintico periferico. Quali tipi di vertigine potrebbero riconoscere questo meccanismo? • Le recidive di malattia di Menière • Le recidive di VPP • Le VPP atipiche • Le vertigini a caratteristiche periferiche ricorrenti o subentranti • Tutte le forme di scompenso vestibolare • Gli equivalenti emicranici e le vertigini cefalea-correlate • Le vertigini psicogene (e in particolare gli attacchi di panico e vertigini agorafobiche) • Altro? Questa non vuol essere una conclusione, bensì l’affascinante percorso di alcune considerazioni sillogiche che a nostro avviso meritano una qualsivoglia considerazione. Ovviamente non esistono dati certi che possano suffragare quanto da noi affermato, ma queste considerazioni aprono sicuramente nuovi e interessanti campi d’indagine, allargando l’interesse dei clinici anche per ciò che riguarda le possibilità terapeutiche riabilitative e farmacologiche. Bibliografia Kandel ER, Schwartz JH, Jessell TM. Fondamenti di neuroscienze e del comportamento. Ed. Ambrosiana, Milano 1999. Fukushima K. Corticovestibular interactions: anatomy, electrophysiology, and functional considerations. Exp Brain Res 1997; 117: 1-16. Smith PF.Vestibular-hippocampal interactions. Hippocampus 1997; 7: 465-71.
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LOCALIZZAZIONE LABIRINTICO-CANALARE DI PATOLOGIA VESTIBOLARE ATTRAVERSO LO STUDIO DEI MECCANISMI FISIOLOGICI CUPOLO-ENDOLINFATICI E L’APPLICAZIONE DEL TEST DI HALMAGYI E DEL TEST ROTATORIO IMPULSIVO PAOLO DE CARLI*, MARIO PATRIZI** * Azienda USL Frosinone - P.O. Anagni - U.O.C. di Otorinolaringoiatria - Direttore: Dr. G. Cavaniglia ** Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento di Neurologia e Otorinolaringoiatria Direttore: Prof. R. Filipo E-mail: paolodecarli@libero.it
La diagnosi vestibolare per sede di lesione è stata negli anni motivo di studio, senza trovare, tuttavia, un diretto riscontro tra i dati ottenuti e la sede presunta. Risulta, infatti, difficile scorporare e analizzare l’attività vestibolare in ogni suo settore, dai recettori, ai nuclei, fino alle connessioni più centrali, in quanto la risposta è la somma di ogni singolo distretto stimolato. I recettori cupolo-ampollari e il sistema cupolo-endolinfa sono, insieme alle macule utricolo-sacculari, le porzioni più periferiche di questo complesso sistema e giocano un ruolo essenziale nella detezione del danno labirintico. Piccole alterazioni di questi distretti non diagnosticate o non considerate possono nascondere la vera causa di importanti disturbi dell’equilibrio. Il test di Halmagyi o Head Impulse test (HIT) e il test Rotatorio Impulsivo (RIT) possono essere applicati proprio per lo studio del sistema cupolo-endolinfatico. La conoscenza dei meccanismi fisiologici che regolano questo sistema è una tappa fondamentale per l’applicazione e l’interpretazione di questi test. I primi studi sull’attività canalare risalgono a Flourens, nel 1842, il quale evidenziò, 10
dall’apertura di un canale semicircolare di un piccione, un movimento della testa sullo stesso piano del canale (da cui la legge). Ewald, poi, nel 1892, sempre su piccioni, continuò gli studi iniziati da Flourens e descrisse la fisiologia canalare inquadrandola nelle 3 note leggi. Steinhausen, nel 1927, studiò il movimento fisiologico della cupola in relazione alla corrente endolinfatica e propose il movimento di un pendolo come modello di riferimento per lo studio di questo complesso (1). In accordo con la 3a legge di Newton (ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, f1 = - f2), applicando un’accelerazione angolare al capo di un soggetto [at]: (F = Iat), il complesso cupolaendolinfa si flette in direzione opposta, “trattenuto” da 3 forze: – Elastica [Ec] della cupola; – Viscosa [Vve] in relazione alla velocità dell’endolinfa; – Inerziale [Iae] legata all’accelerazione endolinfatica. Per una forza acceleratoria impressa alla testa di un soggetto, la deflessione cupolare è quindi dovuta a: Ec + Vve + Iae = Iat
In condizioni fisiologiche Ec e Iae sono quasi irrilevanti, per cui l’equazione diventa: Vve ª Iat La forza applicata al sistema dall’accelerazione del capo è quindi opposta alla viscosità che trattiene la cupola! Integrando questa equazione (Fig. 1) si ottiene che lo spostamento della cupola [c] è dato da: c ª I / Vve • vt E anche: c ª I / Ec • at La massima deviazione angolare della cupola aumenta proporzionalmente a:
– Elevata velocità della testa [v t] a frequenze naturali di movimento; – Elevata accelerazione della testa [at] per accelerazioni angolari costanti. La deviazione angolare della cupola è anche inversamente proporzionale alla componente Viscosa [Vve] del movimento endolinfatico e a quella Elastica [Ec] della cupola stessa. La deflessione della cupola è in relazione al tipo di stimolo esercitato dalla corrente endolinfatica. Lo stimolo può essere acceleratorio con incremento-plateau-decremento, acceleratorio impulsivo e sinusoidale. I primi due, a velocità costante,
ROTAZIONE DELLA TESTA [ Fang= Iat ] – ELASTICA [ EC ] DELLA CUPOLA – VISCOSA [ Vve] IN RELAZIONE ALLA VELOCITÀ DELL’ENDOLINFA
– INERZIALE [ Iae] LEGATA ALL’ACCELERAZIONE ENDOLINFATICA
LA VISCOSITÀ ENDOLINFATICA SI OPPONE ALLA FORZA DI ROTAZIONE DEL CAPO E TENDE A LIMITARE LA DEFLESSIONE DELLA CUPOLA
Vve ≈ Iat
Fig. 1 – Anatomofisiologia del sistema cupolo-endolinfatico (mod. da: Encyclopédie Médico-Chirurgicale). 11
lasciano tornare, dopo un tempo determinato, la cupola nella posizione iniziale. Il terzo tipo, invece, variando continuamente in accelerazione e velocità, non permette alla cupola di tornare in posizione di riposo. La massima deflessione cupolare, dopo lo stimolo ad accelerazioni angolari costanti, segue un tempo esponenziale per il suo ritorno alla posizione di “riposo”. Il 63% della deviazione cupolare totale, viene raggiunto dopo un ritardo temporale definito (~7 sec) indicato come costante di tempo (CT). La grandezza della CT dipende dai coefficienti viscosi [Vve] ed elastici [Ec] per cui: CT= Vve/Ec Il tempo necessario, quindi, alla massima deflessione della cupola è proporzionale alla viscosità dell’endolinfa e inversamente proporzionale all’elasticità della cupola stessa. La risposta della cupola allo stimolo acceleratorio, che dovrebbe esaurirsi per il suo 63% in ~7 secondi, viene però integrata da un feedback positivo, a livello dei neuroni vestibolari secondari, e prolungata fino a ~20 secondi (per i canali semicircolari laterali). Questo fenomeno, regolato dal velocity storage mechanism, localizzato a livello del nodulo e dell’uvola, consente, quando ormai la cupola è tornata nella sua condizione di riposo, di continuare l’attivazione del Riflesso Vestibolooculomotorio (VOR) e dei relativi muscoli oculomotori e di avere una risposta più adeguata ai naturali e fisiologici movimenti del capo e del corpo. L’HIT è un esame clinico in grado di svelare l’origine periferica, il lato ed eventualmente il canale dell’affezione patologica. Il test è stato originariamente introdotto studiando la risposta del VOR dei canali semicircolari (CS) laterali sottoposti a stimoli impulsivi (2). Rapide, passive, random, improvvise rotazioni del capo di circa 20°-30°, con accelerazione di 3000°/sec2 e velocità di 300°/sec, oriz12
zontali, intorno all’asse longitudinale del collo, provocano importanti variazioni endolinfatiche e quindi anche delle cupole dei CS laterali. Il soggetto, sottoposto all’esame, deve provare a mantenere la fissazione su una mira posta al centro dello sguardo. Al termine della rotazione bisogna considerare due fasi: involontaria immediata e volontaria secondaria. La prima è rappresentata dal movimento oculare opposto alla rotazione del capo, per attivazione del VOR, di Gain (guadagno) pari a ~0.9, con gli occhi lateroruotati che tendono a rimanere sulla mira. La seconda, successiva, è caratterizzata dal mantenimento volontario e prolungato degli occhi nella posizione lateroruotata in direzione della mira. Si possono verificare 3 risposte diverse nel caso vi sia un soggetto sano o un malato in coma o un malato affetto da deficit labirintico monolaterale (Fig. 2). Nel soggetto normale sono presenti entrambe le fasi. Nel comatoso, è presente l’attività riflessa del VOR, mentre è assente quella volontaria. Gli occhi, inizialmente, deviano in direzione opposta alla rotazione del capo, come trattenuti da una forza inerziale, (doll’s eye reflex: riflesso degli occhi di bambola), ma dopo pochi istanti, tornano, involontariamente, nella posizione centrale di sguardo (3). Nel caso di un paziente affetto da deficit vestibolare periferico-canalare, è assente la componente involontaria e presente quella volontaria. L’attivazione del VOR è insufficiente: gli occhi tendono inizialmente a rimanere in posizione centrale di sguardo e seguono la rotazione della testa. La seconda fase, volontaria, permette agli occhi di riportarsi rapidamente in posizione lateroruotata verso la mira mediante alcuni movimenti oculari saccadici. I saccadici sono, nell’HIT, l’espressione del deficit del VOR omolaterale alla rotazione. Le correnti inibitorie controlaterali vengono “saturate” dalle frequenze di stimolo dell’HIT. In accordo con la 2 a legge di
Normale
Nel soggetto normale: dopo rotazione, gli occhi lateroruotati rimangono sulla mira.
Comatoso
Nel paziente in coma: istanti dopo rotazione, gli occhi lateroruotati tornano in posizione centrale di sguardo.
Deficit labirintico
Nel paziente con deficit labirintico: dopo rotazione, gli occhi fanno movimenti saccadici e lateroruotano verso la mira.
Fig. 2 – Risposte diverse di laterorotazione degli occhi verso la mira dopo rotazione del capo, rispettivamente in un soggetto sano, comatoso o affetto da deficit labirintico monolaterale (mod. da: Harvey, 1996).
Ewald, si arriva alla saturazione degli stimoli inibitori già per accelerazioni superiori a 100°/sec 2 e per velocità pari a 256°/sec (4). L’HIT lavora a velocità e accelerazioni più elevate rispetto al campo dinamico della risposta di tipo inibitorio ed è in grado di rilevare prevalentemente la risposta eccitatoria omolaterale alla rotazione del capo. Una risposta di tipo eccitatorio, anche minima, si va a sommare alla piccola iniziale risposta inibitoria controlaterale, rendendo così il test meno sensibile. La sensibilità del test è del 34% per deficit labirintico monolaterale lieve e moderato e dell’87% per deficit severo (5). Il test effettuato con rotazioni del capo sul
piano orizzontale acquisisce informazioni su un danno labirintico periferico monolaterale generico localizzato a livello di tutto il labirinto oppure a livello del solo canale semicircolare laterale, corrispondente al piano di stimolo. Halmagyi e coll. (6) hanno proposto e introdotto l’utilizzo del test anche per lo studio differenziato degli altri canali, stimolando ciascuna coppia di canali lungo il loro asse di rotazione. I canali verticali vengono stimolati su 2 piani diagonali, compresi tra il piano frontale (roll) e quello sagittale (pitch); questi piani prendono il nome dalle iniziali anglossassoni dei rispettivi canali stimolati LARP (left anterior-right posterior) e RALP (right anterior-left posterior). 13
LARP
RALP Fig. 3 – HIT per i canali verticali con stimolazione lungo i piani diagonali LARP e RALP (mod. da: Halmagyi, 1998).
Nel soggetto normale, il VOR è di ~ 0.9 per i canali laterali e di ~0.7-0.8 per quelli verticali, se stimolati in LARP e RALP, inferiore in pitch e roll (Fig. 3). L’utilizzo dei piani diagonali, piuttosto che lo stimolo in pitch e roll, permette di avere sempre la risposta eccitatoria di un solo canale per lato. Un deficit monocanalare anteriore sinistro, infatti, può essere svelato in LARP, ma né in Roll CCW (verso sinistra), poiché si somma la risposta ecci14
tatoria del canale posteriore omolaterale, né in Pitch verso il basso, poiché si somma la risposta eccitatoria del canale anteriore controlaterale. L’altro esame attraverso il quale è possibile ottenere informazioni sulle condizioni fisiopatologiche del complesso cupola-endolinfa è il test Rotatorio Impulsivo (RIT). Il test consiste in una stimolazione rotoacceleratoria su sedia simile a quella di Barany-Buys-Fischer-Arslan: una prima stimolazione rotatoria, prolungata nel tempo, a velocità costante, in senso orario, seguita da una reazione d’arresto e una seconda, in senso antiorario; se ne differenzia per i parametri di stimolo utilizzati da Modugno (7). La fase iniziale acceleratoria è di 4°/sec2 per 40 secondi alla quale segue una velocità costante di 160°/sec mantenuta per 3 minuti, con successiva reazione d’arresto in ~ 300-400msec e fase decelerativa pari a ~ 400°-530°/sec2. I parametri del ny post-impulsivo da considerare e valutare nell’RIT sono la CT e il VOR-Gain. Quest’ultimo è dato dal prodotto della velocità angolare della fase lenta massima (VAFLm) e la velocità della sedia nella sua fase costante per-rotatoria. Un ulteriore parametro, considerato da Huygen (8) e ripreso da Modugno (7), è la Gesamtamplitude, che è il prodotto tra la VAFLm e la CT e che corrisponde all’integrale finito dell’inviluppo temporale della VAFL. Il valore di questo prodotto risulta di difficile quantificazione anche se può essere soggettivamente interpretato come l’area compresa tra la curva di risposta della VAFL e gli assi cartesiani. Il valore della CT non sarebbe strettamente correlata ad alterazioni patologiche del VOR. La CT, secondo quanto riportato da Modugno (7), è risultata alterata solo nel 50% delle asimmetrie dinamiche del VOR. Questi dati fanno riflettere come sia importante studiare il comportamento del complesso cupola-endolinfa isolandolo, se possibile, dalle risposte più evidenti e visivamente più “ingombranti”. Alterazioni selet-
tive delle componenti viscosa dell’endolinfa e/o elastica della cupola possono manifestarsi con disturbi dell’equilibrio di difficile identificazione. Possono presentarsi, al contrario, patologie labirintiche più centrali indipendentemente dalla normale attività cupolo-endolinfatica.
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LO STUDIO STABILOMETRICO TETRATASSICO NELLE TURBE DELL’EQUILIBRIO DA INSUFFICIENZA VERTEBROBASILARE DAVIDE ANTONIO GIULIANO Clinica Otorinolaringoiatrica Base Università degli Studi di Palermo E-mail: davideantonio.giuliano@tin.it
L’insufficienza vertebrobasilare (IVB) viene comunemente definita come una condizione patologica contrassegnata dall’insufficienza funzionale dei territori anatomici la cui perfusione dipende dal circolo vertebrobasilare (tronco dell’encefalo, cervelletto, lobi occipitali della corteccia cerebrale, orecchio interno) (Fig. 1).
La sua patogenesi è ascrivibile prevalentemente a fattori steno-obliteranti intrinseci (aterosclerosi, vasculiti obliteranti) (Fig. 2). La IVB, oltre a rappresentare una delle cause più frequenti di attacchi ischemici transitori o protratti, determina la comparsa, in circa il 70-90% dei casi, di turbe dell’equilibrio i cui connotati clinici si caratterizzano per il loro spiccato polimorfismo.
Fig. 1 – Rami principali del circolo vertebrobasilare con relativi territori di irrorazione (tronco dell’encefalo).
Fig. 2 – Immagine in sezione di un vaso sanguifero stenotico a causa della presenza di una voluminosa placca ateromatosa in sede intimale. In tal caso, la IVB è indotta da una condizione di “danno trombo-embolico”.
Introduzione
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Le ragioni dell’elevata prevalenza di turbe otoneurologiche nei soggetti affetti da tale patologia risiedono sostanzialmente nella stretta dipendenza delle varie componenti del sistema dell’equilibrio dall’emodinamica del circolo vertebrobasilare, nella natura di tipo terminale del microcircolo labirintico, nell’estrema sensibilità delle cellule sensoriali del labirinto e dei nuclei vestibolari anche a lievi condizioni di ipossia. Il polimorfismo della sintomatologia, invece, dipende dal fatto che i vasi del circolo vertebrobasilare si occupano della vascolarizzazione sia delle strutture vestibolari periferiche che di quelle centrali. Pertanto, in base alla sede e all’entità della lesione vascolare, lo stato di disequilibrio del paziente può consistere in una condizione di modica instabilità posturale riferita come “senso di ubriachezza o di sprofondamento nel vuoto” (dizziness), in sensazioni soggettive di deviazione della marcia o in vertigini propriamente dette, le quali possono palesarsi come posizionali, periferiche, centrali o miste. A volte, mediamente nel 30% dei casi, i disturbi otoneurologici possono addirittura manifestarsi in assenza di segni di compromissione del circolo posteriore, probabilmente per via di deficit irrorativi selettivi dei vasi destinati al labirinto membranoso. L’assenza di ulteriori segni neurologici, comunque, non è indice di minore gravità della patologia in atto o di prognosi favorevole, in quanto è stato riscontrato che spesso le vertigini isolate precedono l’insorgenza di accidenti vascolari ben più gravi, quali ictus completi o progressivi. Appare quindi evidente la necessità di instaurare un adeguato trattamento terapeutico il più precocemente possibile, al fine, da un lato, di conseguire la remissione parziale o totale dei disturbi lamentati dal paziente, dall’altro, di prevenire il sopraggiungere di eventi patologici neurovascolari altamente debilitanti. I tradizionali protocolli terapeutici prevedono l’impiego di molecole ad azione antiag-
gregante o anticoagulante, in caso di prevalente danno tromboembolico, e di emoreologici, in presenza di alterato compenso emodinamico anche se, sovente, vista la non rara associazione di molteplici fattori patogenetici, si rende necessaria la somministrazione di più farmaci, in modo tale da ottenere effetti benefici contemporaneamente sull’apparato cardiovascolare, sull’assetto lipidico nonché sull’omeostasi metabolica del paziente. Di seguito viene riportata la nostra esperienza su un gruppo di 25 pazienti, con turbe dell’equilibrio imputabili ad I.V.B, trattati con una molecola che, a nostro avviso, risponde alle esigenze appena esposte: il sulodexide.
Materiali e metodi Sono stati reclutati 25 pazienti (età media ± DS: 57,2 ± 13,8 anni; range 50-72 anni; 10 uomini, 15 donne) affetti da turbe dell’equilibrio differenti per entità e modalità di presentazione clinica, nei quali l’esame ecodoppler aveva rivelato la presenza di alterazioni del circolo vertebrobasilare. In particolar modo, il 40% (10/25) di essi presentava lesioni stenosanti delle vertebrali di probabile natura ateromatosa; il 36% (9/25) turbe emodinamiche di media entità; mentre il restante 24% (6/25) ostentava solamente modeste alterazioni flussimetriche da riferire a processi stenoobliteranti in fase incipiente. Data l’assenza di reperti anamnestici e clinico-strumentali suggestivi di altre patologie, i pazienti in esame risultavano affetti da turbe otoneurologiche di chiara matrice vascolare. Nel 56% (14/25) di essi la sintomatologia vestibolare consisteva in una condizione di instabilità posturale, descritta prevalentemente come sensazione di “galleggiamento”, tale da indurre oscillazioni pluridirezionali durante il mantenimento della posizione ortostatica o da determi17
nare l’arresto improvviso della marcia verso una qualunque direzione a causa del progressivo decremento del senso di orientamento spaziale. Il 36% (9/25) dei soggetti lamentava, invece, delle palesi vertigini oggettive di breve durata, di elevata intensità, talora associate a rilevanti manifestazioni neurovegetative, che si verificavano soprattutto in seguito a bruschi movimenti di rotazione o di flesso-estensione del collo. Il rimanente 8% (2/25) del gruppo in esame notava, nel contesto di uno stato pressoché persistente di modica precarietà posturale, episodi di esacerbazione della condizione di disequilibrio, a volte culminanti in autentiche vertigini oggettive. Ulteriori segni neurologici di interessamento del circolo vertebrobasilare (cefalea occipito-nucale, disturbi visivi, stati di obnubilamento del sensorio, crisi di ipersonnia, drop-attacks) erano ravvisabili soltanto in una ristretta percentuale di casi (32%; 8/25), mentre gli indici di compromissione cocleare (ipoacusia neurosensoriale accompagnata o meno da acufeni) apparivano di più frequente riscontro (64%; 16/25). Ultimate le comuni indagini preliminari, i pazienti sono stati sottoposti all’esame stabilometrico tetratassico, al fine di valutare l’efficienza del sistema dell’equilibrio. Il sistema stabilometrico tetratassico (Sistema Tetrax), come è noto, consta di quattro piattaforme assemblate in coppie, destra e sinistra, in grado di registrare e comparare simultaneamente le modificazioni posturali dei due avampiedi (punte) e dei due retropiedi (talloni), con la possibilità, quindi, di formulare correlazioni diagonali (Fig. 3). A ciascuna piattaforma è connesso un trasduttore di pressione, il quale converte la forza peso esercitata su di esso in tensione elettrica proporzionale. Le tensioni elettriche in uscita dai quattro trasduttori vengono inviate ad un apposito computer preposto alla rielaborazione digitale dei dati. 18
Fig. 3 – Paziente sottoposta ad esame stabilometrico tetratassico (Tetrax).
Alla fine del suo procedimento di elaborazione, il computer misura i seguenti parametri: a. L’indice di stabilità somatica (ST), che fornisce una misurazione complessiva dell’entità delle deviazioni compiute dal paziente sulle quattro pedane. Il range varia da un valore minimo di 10 ad un valore massimo di 1500. Più alto è il punteggio, maggiore è l’entità dello stato di disequilibrio. b. L’analisi spettrale di Fourier, la quale viene formulata sotto forma di punteggi relativi al raggruppamento delle frequenze di oscillazione in otto gruppi, quali: – F1 = da 0 a 0,1 Hz – F2 = da 0,1 a 0,25 Hz – F3 = da 0,25 a 0,35 Hz – F4 = da 0,35 a 0,50 Hz – F5 = da 0,50 a 0,75 Hz – F6 = da 0,75 Hz a 1,00 Hz – F7 = da 1,00 a 3,00 Hz – F8 = oltre i 3,00 Hz In genere, la frequenza F1 è espressione del controllo visivo e labirintico; le fre-
quenze F2-F4 ed F5-F6 riflettono il controllo somatosensoriale e cerebellare; le frequenze F7-F8 non sono significative ai fini dell’analisi spettrale. Maggiore è il valore numerico corrispondente a ciascuna delle suddette frequenze, maggiore risulta essere lo stato di compromissione di determinati sottosistemi. c. Il quoziente spettrale di Fourier (SPQ), che misura l’influenza delle frequenze più basse rispetto alle tre bande di frequenza più alte successive. Minore è il valore del quoziente spettrale, maggiore è il coinvolgimento del sistema propriocettivo nella genesi dei disturbi riferiti dal paziente. d. Il punteggio di distribuzione del peso (WD), che mostra la percentuale di ripartizione del peso corporeo su ciascuna delle quattro piattaforme. e. L’indice di distribuzione del peso (WDI), consistente nella deviazione standard dei quattro punteggi di distribuzione del peso dal valore invariabile del 25%. Questo parametro esprime l’entità della discrepanza delle percentuali di peso. f. I punteggi di sincronizzazione, i quali permettono di valutare la sincronizzazione tra le oscillazioni compiute dalle quattro basi d’appoggio lungo i relativi assi trasversali, sagittali e diagonali. Gli indici di sincronizzazione vengono riportati dal computer come curve il cui andamento può avvicinarsi, essere incluso o discostarsi dai range di normalità. Tali curve sono: – curva AB = sincronizzazione lungo l’asse sagittale punta sinistra-tallone sinistro – curva CD = sincronizzazione lungo l’asse sagittale punta destra- tallone destro – curva AC = sincronizzazione lungo l’asse trasversale punta sinistra- punta destra – curva BD = sincronizzazione lungo l’asse trasversale tallone sinistro- tallone destro – curva AD = sincronizzazione lungo l’asse diagonale punta sinistra-tallone destro – curva BC = sincronizzazione lungo l’asse diagonale tallone sinistro-punta destra
L’esame prevede l’esecuzione di otto test, atti a vagliare le modificazioni stabilometriche indotte dalla modulazione delle afferenze neurosensoriali che sottendono alla regolazione dello stato di equilibrio. Ciascun test ha una durata media di 30 secondi. I suddetti test possono essere così riassunti: I. Posizione di Romberg ad occhi aperti (NO = Normal Open) In questo caso sono attivi tutti e tre i sistemi preposti al mantenimento dell’equilibrio (visivo, propriocettivo e labirintico). Viene, così, stimata la strategia posturale che il paziente adotta nella comune vita di relazione. II. Posizione di Romberg ad occhi chiusi (NC = Normal Closed) Le afferenze visive sono escluse. Il nevrasse, per un meccanismo di compenso, incrementa la frequenza di risposta alle afferenze ancora attive, conferendo,così, maggiore rilievo alle informazioni di natura propriocettiva e labirintica. III.Posizione di Romberg con il capo ruo tato verso destra (HR = Head Right) La rotazione del capo da un lato comporta l’induzione di un ipertono dei muscoli estensori omolaterali alla sede di rotazione e di un ipotono dei corrispettivi muscoli controlaterali, a cui segue una rilevante accentuazione delle oscillazioni del baricentro di gravità del soma sul piano trasversale. Ovviamente, le oscillazioni sono dirette verso il lato ipotonico che, in questo caso, è il sinistro. IV. Posizione di Romberg con il capo ruotato verso sinistra (HL = Head Left) Tale posizione, con un meccanismo identico a quello descritto a proposito del test III, produce delle evidenti oscillazioni trasversali del baricentro di gravità del soma verso destra. V. Posizione di Romberg con il capo anteroflesso (HF = Head Forward) Come è noto, i movimenti di flesso-estensione del capo comportano la stimolazione 19
della macula acustica dell’otricolo che, già in condizioni di base, riceve sollecitazioni dalla forza gravitazionale. Si saggia,quindi, l’efficienza del sistema otricolare. VI.Posizione di Romberg con il capo retroflesso (HB = Head Backward) Con tale test, la stimolazione viene esercitata non solo sul sistema otricolare, ma anche sui propriocettori muscolo-tendinei del collo. VII. Posizione di Romberg ad occhi aperti e cuscino di gommapiuma sotto i piedi (PO = Pads Open) La disposizione di un cuscino di gommapiuma sotto i piedi riduce la consistenza e la stabilità del piano di appoggio, dando luogo ad un netto decremento delle afferenze estero- propriocettive. Viene, così, stimata la capacità del nevrasse di mantenere un corretto assetto posturale compensando il deficit del sistema somatosensoriale. VIII. Posizione di Romberg ad occhi chiusi e cuscino di gommapiuma sotto i piedi (PC = Pads Closed) Le afferenze visive sono escluse, quelle estero-propriocettive sensibilmente ridotte. Pertanto, in queste condizioni, è possibile appurare l’influenza esercitata dalle sole afferenze labirintiche sull’equilibrio statico del paziente.
Completata l’analisi dei reperti stabilometrici, è stato iniziato il trattamento farmacologico, il quale prevedeva l’assunzione di sulodexide, molecola ad azione prevalentemente emoreologica, secondo il seguente schema posologico: 250 unità lipasemiche (U.L.S.) x 2/die per os per un periodo di due mesi. Alla fine del trattamento, i soggetti del gruppo in studio sono stati nuovamente invitati a sottoporsi all’esame stabilometrico tetratassico per verificare l’eventuale recupero funzionale del sistema dell’equilibrio. 20
Risultati I risultati dell’esame stabilometrico tetratassico si sono rivelati alquanto esplicativi. Innanzitutto, come era logico attendersi, tutti i pazienti presentavano una netta alterazione dell’indice di stabilità somatica (ST), il quale appariva maggiormente compromesso nelle condizioni di flesso-estensione del capo (HB ed HF) e di rotazione laterale dello stesso (HR ed HL) nel 56% (14/25) dei casi, in condizioni di deprivazione visuo-estero-propriocettiva (PO e PC) nel rimanente 44% (11/25). In base all’analisi spettrale di Fourier, le frequenze di oscillazione con valori più elevati erano rappresentate, in ben il 52% (13/25) dei soggetti, dalle frequenze F2F4 ed F5-F6 , chiaro indice di prevalente deficit funzionale del sistema somatosensoriale e dell’attività integrativa cerebellare. Invece, nel 48% (12/25) di essi, i valori più alterati riguardavano la frequenza di oscillazione F1, ovvero la frequenza che esprime sostanzialmente l’integrità funzionale del labirinto. Pertanto, nel campione di pazienti esaminato, si evinceva una modesta prevalenza del deficit vestibolare centrale su quello di natura periferica. In merito all’analisi della distribuzione del peso corporeo su ciascuna delle quattro piattaforme o ai punteggi di sincronizzazione, non sono emersi dati particolarmente significativi. La stabilometria tetratassica, eseguita dopo i due mesi di terapia, ha permesso di rilevare un congruo miglioramento dei parametri di stabilità (Fig. 4). Infatti, l’indice di stabilità somatica si era normalizzato complessivamente nel 76% (19/25) dei pazienti, mentre le frequenze di oscillazione avevano assunto valori non patologici, nelle condizioni che precedentemente risultavano potenzialmente destabilizzanti, in circa l’84% (21/25) degli stessi (Fig. 5). Anche i reperti clinico-anamnestici suffragavano l’evidenza di un non trascurabile miglioramento dello stato di equilibrio statico e dinamico dei pazienti trattati.
A
B
Fig. 4 – Reperto dell’esame Tetrax in un paziente del gruppo di studio in fase pre-trattamento (A) e in fase post-trattamento (B). Si noti la normalizzazione dei valori di ST e delle principali frequenze di oscillazione nelle condizioni PO, PC, HB, HF dopo la terapia farmacologica.
A
B 24% 16%
76%
84%
ST normale
ST patologico
Frequenze normali
Frequenze patologiche
Fig. 5 – Distribuzione percentuale inerente l’indice di stabilità somatica (A) e l’analisi delle frequenze di oscillazione (B) nei pazienti osservati in fase post-trattamento.
Discussione e conclusioni Il trattamento farmacologico delle turbe dell’equilibrio correlate ad IVB deve essere finalizzato al conseguimento di due obiettivi fondamentali: la remissione, o perlomeno l’attenuazione, della sintomatologia nonché la
prevenzione di gravi accidenti neurovascolari. A nostro avviso, una molecola in grado di assicurare il raggiungimento di entrambi gli obiettivi è rappresentata dal sulodexide. Il sulodexide è un glicosoaminoglicano (GAG) costituito per un 80% da una frazione di eparina a medio-basso peso molecolare e 21
per il restante 20% da dermatan solfato. La componente eparinica, legandosi alla proteina AT III (antitrombina III), incrementa l’attività inibitoria che tale proteina espleta sul fattore Xa della cascata coagulativa, bloccando così la conversione della protrombina in trombina e quindi la trombogenesi. La componente dermatanica, da parte sua, inibisce la trombina adesa al trombo preformato impedendo, pertanto, l’ulteriore apposizione di fibrina sul trombo.
Coagulazione
Inoltre, tale molecola, agendo sugli endoteliociti, incrementa la sintesi di t PA (attivatore tissutale del plasminogeno) ed inibisce quella del PAI (inibitore del t PA), determinando così un notevole aumento della conversione del plasminogeno in plasmina e di conseguenza della degradazione della fibrina in fibrinopeptidi (Fig. 6). La riduzione della produzione di trombina, sostanza ad azione proaggregante, comporta anche una minore aggregabilità pia-
via intrinseca
Tissue Factor via estrinseca
superficie di contatto XIIa
XIa
VIIa
IXa VIIIa
TFPI
Ca-PF3
Xa
via comune
Va Prot. C
Ca-PF3
ATIII
Trombina libera
HCII
Trombina legata alla fibra del trombo
eparina
dermatano
Cellula endoteliale
Fibrina PAI t PA
Plasmina
FDP prodotti degradazione fibrina
+
Plasminogeno
Fibrinolisi
Fig. 6 – Quadro sinottico dei principali effetti farmacologici del Sulodexide. 22
strinica mentre la regolazione della concentrazione di fibrinogeno esita in un miglioramento dell’emodinamica. Il sulodexide, infine, legandosi all’endotelio dei vasi sanguiferi, attiva in loco gli enzimi preposti alla degradazione dei lipidi di deposito (lipoproteinlipasi) ed inibisce nel contempo il “binding” della trombina e la captazione delle lipoproteine VLDL da parte degli endoteliociti. Quindi, in definitiva, la suddetta molecola espleta un’azione antitrombotica, profibrinolitica, antiaggregante, emoreologica ed endotelioprotettiva. I dati desunti dalla nostra esperienza su 25 soggetti affetti da turbe dell’equilibrio da IVB ha dimostrato che il sulodexide è dotato di una spiccata efficacia nel trattamento delle patologie otoneurologiche ad impronta vascolare. Infatti la normalizzazione del ST nel 76% (19/25) dei soggetti del gruppo in esame dimostra che il sulodexide, migliorando le condizioni emodinamiche del circolo vertebrobasilare, permette il ripristino della corretta vascolarizzazione del labirinto e dei nuclei vestibolari, a cui segue il loro progressivo recupero funzionale. Inoltre, dal momento che il farmaco esercita anche un’azione protettiva sull’endotelio e sul bilancio emostatico, è evidente che esso risulta particolarmente indicato anche nella profilassi di quelle vasculopatie cerebrali di cui le vertigini isolate rappresentano spesso i segni prodromici. Va ancora notato che la somministrazione di tale molecola può rivelarsi proficua anche al fine di conseguire un significativo incremento della capacità di compenso da parte dei distretti vascolari ancora integri, mitigando così gli esiti di eventuali deficit di irrorazione. In definitiva, riteniamo che il sulodexide, per via dei suoi molteplici effetti sull’emodinamica del micro e macro-circolo,
sull’emostasi e sull’endotelio, costituisce un presidio farmacologico di indubbio ausilio nel trattamento delle turbe dell’equilibrio, nonché nella profilassi delle vasculopatie, secondarie ad IVB. Bibliografia 1. Cupido G, Restivo S, Giuliano DA, Speciale R, Cupido F. Impiego del sulodexide nelle turbe dell’equilibrio: nostra esperienza. Il Valsalva 2001; 77: 11-20. 2. Tirelli G, Giacomarra V, Bianchi M, Zarcone O. La vertigine da causa vascolare: ipotesi patogenetiche e considerazioni terapeutiche. Otorinolaringologia 2001; 51: 61-8. 3. Restivo S, Giuliano DA, Cupido G. Nuove metodiche di esplorazione dell’apparato vestibolare. Ed. Archimedica, Torino 2000. 4. Cesarani A, Alpini D. Terapia delle vertigini e del disequilibrio: il metodo MCS. Springer-Verlag, Milano 2000. 5. Restivo S, Giuliano DA, Gallina S, Cupido G, Cupido F. Stabilometria tetratassica (Sistema Tetrax): basi teoriche e dati normativi. Acta Chirurgica Mediterranea 2000; 16: 5-8. 6. Guidetti G. Diagnosi e terapia dei disturbi dell’equilibrio. Ed. Marrapese, Roma 1996. 7. Ofosu FA. Pharmacological actions of sulodexide. Semin Thromb Haemost 1998; 24:127-38. 8. Grad A, Baloh W. Vertigo of vascular origin. Arch Neurol 1989; 46: 281-4. 9. Canova N, Ferrari P, Palazzini E, Tiso D. Sulodexide: indirizzi terapeutici in patologia vascolare. Farmaci 1998; 22:5-47. 10. Barbanti M, Guizzardi F, Calanni F, Marchi E, Babbini M. Antithrombotic and thrombotic activity of sulodexide in rats. Int J Clin Lab Res 1992; 22 : 179-84. 11. Troost BT. Dizziness and vertigo in vertebrobasilar disease. Stroke 1980; 11: 413245. 12. Kikuchi S, Kaga K, Yamasoba T. Slow blood flow of the vertebrobasilar system in patients with dizziness and vertigo. Acta Otolaryngol 1993; 113: 257-60.
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OTONEUROLOGIA