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otoneurologia 2000 Serie editoriale: CLINICAL CASE MANAGEMENT

Aggiornamento periodico: OTONEUROLOGIA 2000 Marzo 2004 / n.16 Coordinamento Scientifico: Dr. Giorgio Guidetti Audio-Vestibologia e Riedicazione Vestibolare Azienda Unitaria Sanitaria Locale di Modena Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e-mail: guidetti.g@policlinico.mo.it

Coordinamento editoriale: Mediserve

otoneurologia 2000 Marzo 2004 / n.16

SOMMARIO 1. La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 A.P. Casani

2. Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 M. Amadori, F. Trabalzini, G. Monciatti

3. L’Ocular Tilt Reaction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 D. Brambilla

© 2004 MEDISERVE S.r.l Milano - Firenze - Napoli OTONEUROLOGIA


otoneurologia 2000 | numero 16 | marzo 2004

LA VERTIGINE “ACUTA”: ASPETTI DIAGNOSTICI Augusto Pietro Casani Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Otorinolaringoiatria - Università degli Studi di Pisa E-mail: acasani@leonet.it

Introduzione La vertigine rappresenta indubbiamente un sintomo di riscontro piuttosto comune nella pratica clinica. Tuttavia un suo preciso inquadramento diagnostico può risultare estremamente complesso, visto il gran numero di cause che possono esserne alla base (1,9,14,22). Per questo motivo la ricerca di specifici fattori etiopatogenetici necessita di un approfondito studio, spesso multidisciplinare, che comporta il coinvolgimento di diverse specialità e specifiche competenze, allo scopo di poter individuare adeguati percorsi diagnostici attraverso i quali si ottenga un corretto utilizzo delle diverse risorse a disposizione (8,17,28). Numerosi Autori hanno posto l’accento sulla necessità di una accurata indagine anamnestica quale primo e fondamentale strumento per l’iniziale corretta impostazione diagnostica del paziente affetto da sindrome vertiginosa (1,2,3,12,22,26). In questa ottica risulta fondamentale la distinzione tra vertigine aspecifica (“dizziness” degli AA. anglosassoni) e vera vertigine rotatoria, intesa quale tentativo di separare le forme non vestibolari da quelle legate ad un interessamento dell’organo di senso stato-cinetico (1,3,8,9,12). Partendo da questi presupposti metodologici, si è cercato di valutare il ruolo delle diverse cause di vertigine, potendo così

enfatizzare l’importanza dei singoli settori disciplinari, e conseguentemente degli esami clinici e strumentali necessari per poter giungere ad una interpretazione etiopatogenetica della sindrome vertiginosa (1,2,5,14,22,26,28). La maggioranza degli studi, tuttavia, fa riferimento a pazienti che giungono all’attenzione del medico in regime ambulatoriale, senza che essi presentino necessariamente una sintomatologia acuta così marcata da costringerli a presentarsi presso un’unità operativa di Pronto Soccorso. Noi riportiamo l’esperienza di uno studio eseguito su una serie di pazienti affetti da sindrome vertiginosa, giunti al Servizio di Vestibologia della Clinica Otorinolaringoiatrica dell’Università di Pisa, inviati dal Dipartimento di Emergenza Urgenza con una generica diagnosi di “vertigine in fase acuta”.

Materiali e metodi Abbiamo studiato 310 pazienti – 181 femmine (58.4%) e 129 maschi (41.6%) – di età compresa tra 15 e 89 anni, media 51,6 anni, giunti consecutivamente presso il Servizio di Vestibologia della Clinica Otorinolaringoiatrica dell’Università di Pisa, inviati dal Dipartimento di Emergenza Urgenza con diagnosi di vertigine in fase acuta nel periodo compreso tra il primo Gennaio 1996 e il primo Gennaio 1999 (Figura 1).


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otoneurologia 2000

Età e sesso nei pazienti studiati 80 femmine 70

maschi

Numero di pazienti

60

50

40

30

20

10

0 <20

21-30

31-40

41-50

51-60

61-70

71-80

81-90

Età per decade

Figura 1. Distribuzione per età e sesso dei pazienti studiati.

In primo luogo i pazienti sono stati sottoposti ad una accurata raccolta dei dati anamnestici, richiedendo al paziente di descrivere con dettaglio la propria sintomatologia vertiginosa. In particolare, veniva accertato se questa era rappresentata da una sensazione di movimento dell’ambiente circostante rispetto al proprio corpo o del corpo rispetto all’ambiente (“true vertigo” degli AA. anglosassoni) oppure se era piuttosto presente una turba posturale aspecifica quale lateropulsione, sensazione di instabilità, sensazione di stordimento o di testa vuota... Una volta accertata la natura (rotatoria o meno) della sintomatologia vertiginosa, abbiamo valutato se la vertigine avesse una stretta relazione con i movimenti della testa e/o del corpo, se esistesse una posizione in cui i sintomi si attenuavano o peggioravano, e se la sintomatologia subisse cambiamenti al variare delle condizioni visive (occhi chiusi o aperti). Le caratteristiche della vertigine sono state inoltre definite in base all’andamento temporale (durata di secondi, minuti,

ore, giorni), in base al numero degli episodi (episodio singolo o recidivante) ed anche in virtù delle modalità di insorgenza ed esaurimento della sintomatologia (acuta o graduale). Veniva inoltre richiesto ai pazienti di descrivere la presenza di eventuali sintomi otologici (ipoacusia, acufeni, senso di pienezza auricolare, otalgia e otorrea), così come l’esistenza di una sintomatologia neurovegetativa (nausea e vomito) e/o neurologica (diplopia, disfasia, disfagia, paresi del VII nervo cranico, parestesie alla faccia o agli arti, ipoestesie, incoordinazioni motorie, cefalea, oscillopsia ed alterazioni dello stato di coscienza). L’anamnesi veniva completata ricercando eventuali esposizioni a sostanze tossiche (tabacco, alcool, farmaci, ecc.), la presenza di malattie internistiche (diabete mellito, ipertensione arteriosa, anomalie della crasi ematica, alterazione del metabolismo lipidico, disturbi cardiaci, ecc.), di pregressi traumi cranici e di esiti di precedenti interventi di chirurgia otologica.


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La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

Successivamente veniva effettuato un esame oto-neurologico consistente in: • otoscopia; • valutazione audiologica; • esame obiettivo dei nervi cranici e della funzionalità cerebellare; • esame dei movimenti oculari (saccadi e smooth pursuit attraverso videonistagmografia computerizzata); • ricerca del nistagmo spontaneo con e senza occhiali di Frenzel; • ricerca del nistagmo di posizione (fianco destro e fianco sinistro, posizione di Rose) e di posizionamento (manovre di Dix-Hallpike); • Head Shaking Test (HST); • test di Halmagyi; • test della fistola; • oscillopsia test (6); • bilancio vestibolare calorico (250cc di acqua a 30 e 44°C in 30 s); • funzione posturale statica attraverso la Stabilometria computerizzata (Sistema S.Ve.P. Amplifon®); • test di iperventilazione (iperpnea per 60 s onde valutare la riproducibilità della sintomatologia) (21,22). In virtù dei risultati ottenuti attraverso la batteria di esami sopradescritti, il paziente veniva inquadrato nell’ambito di una patologia vestibolare centrale o periferica, oppure era successivamente sottoposto ad una serie di consulenze ed indagini la cui esecuzione veniva indicata sulla base delle caratteristiche clinico-anamnestiche del quadro vertiginoso. Alcuni pazienti sono stati stati pertanto sottoposti a valutazione neurologica e/o psichiatrica e/o cardiologica e/o internistica. Da queste consulenze è scaturita l’indicazione all’esecuzione di diverse tipologie di accertamenti strumentali come descritto in Tabella 1. La diagnosi di vertigine psicogena veniva posta non solo sulla base di un criterio di esclusione (negatività di tutte le indagini eseguite), ma anche in virtù dei dati clinicoanamnestici. Essa generalmente si caratte-

TABELLA 1. Esami strumentali eseguiti ACCERTAMENTI NEUROLOGICI Potenziali Evocati Uditivi Potenziali Evocati Somatosensoriali Potenziali Evocati Visivi Elettroencefalografia Riflesso Trigemino-Facciale Esame del Liquor

ACCERTAMENTI CARDIO-VASCOLARI ECG (anche dinamico sec. Holter) Ecocardiografia Monitoraggio Pressione Arteriosa Test di Funzionalità S.N.A. (Tilt Table Test)

ESAMI NEURORADIOLOGICI TAC cranio (senza e/o con mezzo di contrasto) RMN cranio (senza e/o con mezzo di contrasto) Angiografia Selettiva Angio-RM dei vasi cerebroafferenti

ALTRI ESAMI Esami ematochimici di routine Ricerca fattori di rischio c.v.

rizza per una vertigine transitoria (che dura pochi secondi), ricorrente, che compare o peggiora durante periodi di stress psicofisico o comunque di un disagio psichico, legata spesso a fattori ambientali (luoghi affollati, bui, rumorosi ecc.) e perlopiù associata ad altri sintomi compatibili con un interessamento della sfera psicosomatica (palpitazioni, precordialgie, tremori, sensazione di bolo faringeo, sensazione di soffocamento, ecc.) (9,15,25,27,29). Molto frequentemente la sintomatologia è riproducibile attraverso il test della iperventilazione


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otoneurologia 2000

per 60 secondi (21,22). Il quadro clinico della vertigine psicogena risulta tuttavia estremamente mutevole, tanto che in alcuni casi il paziente riferisce la presenza della sintomatologia durante tutta la giornata senza alcuna variazione e senza tendenza a miglioramento perdurando da mesi fino ad anni (2,25). Infine la positività della valutazione clinica psichiatrica rappresentava l’elemento decisivo per il definitivo inquadramento del soggetto nell’ambito di una forma psicogena di vertigine. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un prolungato follow-up in modo da poter avere conferma o meno dell’ipotesi diagnostica formulata al momento della valutazione oto-neurologica. Seguendo questo protocollo di studio le cause di vertigine sono state suddivise in: 1. cause vestibolari (periferiche e/o centrali); 2. cause extra-vestibolari; 3. cause non definite.

Risultati In base agli accertamenti eseguiti, 157 soggetti (50,6%) presentavano segni compatibili con un interessamento del sistema vestibolare. Dei restanti 153 soggetti, 137 vennero inquadrati come affetti da cause extra-vesti-

bolari di vertigine, mentre in 16 pazienti non fu possibile porre una precisa diagnosi. Dei 157 pazienti con segni di interessamento vestibolare (Tabella 2), 77 (49%) (pari a 24,8% del totale) presentavano una Vertigine Parossistica Posizionale (VPP). Di questi, 51 (66,2%) erano di sesso femminile e 26 (33,8%) di sesso maschile (età media 54,8 ± 13,6 SD); nel sesso femminile si osservava una maggiore prevalenza nella sesta decade (19 casi su 51 pari a 37,3%), mentre in quello maschile la distribuzione per età si presentava più omogenea. In 62 (80,5%) casi si trattava di una VPP da canalolitiasi del canale semicircolare posteriore (CSP), mentre in 11 (14,3%) le caratteristiche del nistagmo parossistico posizionale indicavano il canale semicircolare laterale (CSL) come sito di lesione. In 4 soggetti (5,2%) abbiamo verificato un interessamento combinato di entrambi i canali. L’etiopatogenesi nei 77 casi di VPP venne così suddivisa: • forme idiopatiche (51 casi; 66.2%); • forme parainfettive (12, 15.6%); • forme post-traumatiche (8 casi; 10.4%); • forme vascolari (6 casi; 7.8%). Dei 157 pazienti con segni vestibolari, 34 (21,7%) (11% del totale; 19, 55,9% maschi e 15, 44,1% femmine, media 55,2 ± 16,5 SD) presentavano un quadro oto-neurologico

TABELLA 2. Diagnosi nei pazienti con segni di patologia vestibolare (periferica e/o centrale) • VPP

77 (49%)

• Vestibolopatia Periferica Unilaterale

34 (21,6%)

• Malattia di Ménière

7 (4,5%)

• Vestibolopatia Centrale

32 (20,4%)

• Sofferenza Vestibolare Periferica e Centrale

5 (3,2%)

• Nistagmo Congenito

2 (1,3%) TOTALE

157


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La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

compatibile con una vestibolopatia periferica unilaterale in fase acuta (Unilateral Vestibular Loss, UVL). All’esame oto-neurologico si osservava: • nistagmo spontaneo di tipo deficitario in 26 casi (76,5%); • nistagmo spontaneo subclinico in 8 casi (23,5%) (evidenziato con HST, con le manovre di posizione o posizionamento). Il bilancio vestibolare calorico, eseguito in media dopo 5 giorni dalla prima visita o comunque una volta scomparso il nistagmo spontaneo, mostrava un deficit labirintico unilaterale in tutti i 34 pazienti, tra i quali 5 casi di areflessia labirintica. Dei pazienti con UVL, 28 (82,3%) presentavano Preponderanza Labirintica e Direzionale omolaterali; mentre 6 casi (17,7%) presentavano una preponderanza labirintica patologica isolata. Nei pazienti affetti da labirintopatia periferica monolaterale, l’esame audiometrico tonale liminale metteva in evidenza in 32 casi (94,1%) normoacusia o ipoacusia neurosensoriale insorta precedentemente alla sindrome vertiginosa acuta, mentre in 2 pazienti si metteva in evidenza una ipoacusia neurosensoriale di grave entità con curva audiometrica “in discesa”, realizzandosi un quadro oto-vestibolare compatibile con una perdita improvvisa unilaterale della funzione cocleo-vestibolare.

Dei 157 pazienti con segni vestibolari, 7 (4,5%) (2,3% del totale; 5 di sesso femminile, età media 51,6 anni e 2 di sesso maschile, età media 49 anni) risultarono affetti da Malattia di Ménière: in 5 di questi la diagnosi era stata posta in precedenza e la crisi vertiginosa rappresentava una riacutizzazione della patologia di base, mentre in 2 casi il follow-up ha dimostrato che la vertigine acuta rappresentava il primo episodio della Malattia di Ménière. Tutti i 7 pazienti con malattia di Méniére presentavano al momento del ricovero intensa vertigine rotatoria, acufeni, senso di pienezza auricolare ed ipoacusia neurosensoriale monolaterale. Inoltre 3 soggetti (42,8%) presentavano sensazione di distorsione del suono. L’ipoacusia era pantonale in 3 casi (42,8%), con curva audiometrica in salita (con interessamento dei toni gravi) in 3 casi (42,8%) e 1 caso (14,4%) in discesa (con interessamento dei toni mediacuti). L’esame oto-vestibolare metteva in evidenza un nistagmo spontaneo di tipo irritativo in 2 casi e un nistagmo spontaneo di tipo deficitario in 5. Il bilancio vestibolare calorico dimostrò un deficit labirintico non compensato in tutti i casi. Tra i 157 pazienti con segni vestibolari, 32 (20,4%) (10,3% del totale) – 14 di sesso maschile e 18 di sesso femminile – mostravano segni di interessamento vestibolare di tipo centrale (Tabella 3).

TABELLA 3. Cause di vestibolopatia di tipo centrale • Attacco Ischemico Transitorio

8

• Infarto Cerebellare

4

• Leucoencefalopatia su base ischemica

2

• Degenerazione Cerebellare Idiopatica

1

• Sclerosi multipla

1

• Neoplasia cerebrale

1

• Encefalite

1

• “Nistagmo Orizzontale Geotropo Bidirezionale”

TOTALE

14 32


8

otoneurologia 2000

In 18 di questi è stata successivamente posta diagnosi di: • attacco ischemico transitorio (8 casi, di cui 5 inquadrati come insufficienza vertebro-basilare); • infarto cerebellare (stroke, 4 casi); • leucoencefalopatia cerebrale su base ischemica (2 casi); • degenerazione vestibolo-cerebellare idiopatica (1 caso); • sclerosi multipla (1 caso); • neoplasia cerebrale (1 caso); • encefalite (1 caso su base autoimmune). I reperti otoneurologici riscontrati in questi pazienti sono descritti in dettaglio in Tabella 4.

Abbiamo inserito nel gruppo dei soggetti con segni di interessamento vestibolare centrale i restanti 14 casi, sulla base del riscontro di un nistagmo orizzontale geotropo bidirezionale. Questo nistagmo si presentava di piccola ampiezza, senza latenza, persistente e ripetibile quando il paziente veniva posizionato sul fianco, con scarsa sintomatologia vertiginosa posizionale ed associata soprattutto ad un marcato senso di instabilità. Si trattava perlopiù di soggetti giovani (età media 32.8) nei quali la sintomatologia soggettiva veniva ad esaurirsi in pochi giorni con completa scomparsa del suddetto quadro nistagmico.

TABELLA 4. Reperti otoneurologici nei pazienti con vestibolopatia centrale CROSS-COUPLED HS-Ny

2

ALTERAZIONE DEI SACCADI

9

Over-shoot

4

Under-shoot

2

Riduzione del gain

1

Riduzione della velocità

1

Dismetria e riduzione del gain

1

ALTERAZIONECARDIO-VASCOLARI DEGLI SMOOTH PURSUIT ACCERTAMENTI

12

Tracciato disorganizzato

3

Riduzione del gain con intrusione saccadica

9

ECG (anche dinamico sec. Holter) Ecocardiografia

Monitoraggio Pressione ArteriosaVARIABILE Ny SPONTANEO A DIREZIONE Test di Funzionalità S.N.A. (Tilt Table Test)

4

Ny DI RIMBALZO

6

GAZE PARETIC ny

3

DOWNBEATING Ny

1

Ny POSIZIONALE PERSISTENTE (APOGEOTROPO)

2

IPERREFLETTIVITÀ BILATERALE AL BVC

4

PREPONDERANZA DIREZIONALE PURA

4

NISTAGMO ORIZZONTALE GEOTROPO BIDIREZIONALE

14


9

La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

In 5 pazienti (3,2% pari a 1,6% del totale) (2 maschi e 3 femmine) con segni vestibolari veniva diagnosticata una sofferenza mista centrale e periferica. Infine si osservavano 2 (1,3% pari a 0,6% del totale) (1 maschio e 1 femmina) casi di nistagmo congenito. Dei 137 (44.2%) pazienti con esame vestibolare negativo, 26 (17% pari a 8,4% del totale) (17 femmine con età media 48,6 ± 16,5SD e 9 maschi con età media 57,4 ± 16,6SD) riferivano una sintomatologia del tutto compatibile con una VPP; nonostante questo, non si metteva in evidenza il tipico nistagmo parossistico posizionale, né alcun altro segno di interessamento vestibolare centrale o periferico. In questi pazienti persistevano turbe posturali accentuate associate a stati ansiosoemotivi che li avevano indotti a presentarsi all’unità di pronto soccorso. Dei 137 pazienti con assenza di segni vestibolari, 54 (35,3% pari a 17,4% del totale)

sono stati classificati come affetti da turbe vertiginose di natura psicogena (disturbi di tipo funzionale) sulla base delle caratteristiche cliniche ed in virtù della negatività non solo della valutazione otovestibolare, ma anche per l’assenza di reperti significativi riscontrati alla visita neurologica, oculistica, cardiologica e agli esami neuroradiologici (TAC o RMN, eseguiti in tutti questi soggetti). Il test di iperventilazione risultò positivo in 33 soggetti (61,1%). Dei 54 pazienti con forma psicogena, 31 (57,4%) erano di sesso femminile (età media 35,2 ±12,5SD) e 23 (42,6%) di sesso maschile (età media 40,6 ± 15,4SD); per il sesso femminile, inoltre, si osservava una netta prevalenza nella terza decade (16 casi su 31; 51,6%), mentre nel sesso maschile l’età era distribuita in maniera più omogenea anche se con una prevalenza maggiore nella quinta decade (8 casi su 23; 34,8%) (Figura 2).

Età e sesso nei pazienti con vertigine psicogena

Numero di pazienti

20 18

femmine

16

maschi

14 12 10 8 6 4 2 0 <20

21-30

31-40

41-50

51-60

Età per decade

Figura 2. Distribuzione per età e sesso dei pazienti con vertigine psicogena.

61-70

>70


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I disturbi più frequentemente riferiti risultavano: • instabilità (58%); • sensazione di sbandamento laterale (43%); • sudorazione (41%); • tachicardia (41,8%); • tremore (37,5%); • sensazione di svenimento (30%); • parestesie agli arti (29,4%); • nausea (22%); • annebbiamento visivo (18%); • scotomi (12%) • vertigini rotatorie di breve durata (secondi) (16,4%). Inoltre in 33 (61,1%) pazienti la sintomatologia peggiorava nei periodi di maggiore stress psico-fisico, in ambienti affollati e/o ristretti. Attraverso una successiva visita psichiatrica è stato possibile riscontrare i seguenti tipi di patologie: • disturbi d’ansia in 25 casi (46.3%): 10 casi di disturbo da attacchi di panico, 7 casi di fobia semplice, 5 casi di disturbo d’ansia generalizzato associato a fobia semplice e 3 casi di disturbo da attacchi di panico con agorafobia; • disturbi dell’umore in 10 casi (18.5%). In 5 (9,3%) casi sono stati diagnosticati disturbi di personalità. In 14 pazienti (25.9%), nonostante la chiara evidenza di componenti di tipo psicogeno, non è stato possibile porre una precisa diagnosi psichiatrica secondo il DMS IV. In 31 pazienti (20,1%) (10%) (15 di sesso maschile e 16 di sesso femminile) con esame vestibolare negativo vennero riscontrati sintomi e/o segni riferibili a malattie di tipo cardiocircolatorio successivamente diagnosticate come:

• • • • • •

ipotensione ortostatica (11 casi; 35,5%); ipertensione arteriosa (5 casi;16,1%); disturbi del ritmo (8 casi; 25,8%); valvulopatie (3 casi; 9,6%); gravi anemia (2 casi; 6,5%); sindrome da iperviscosità ematica (1 caso; 3,2%); • aneurisma dell’arco dell’aorta (1 caso; 3,2%). In 24 (15,7%) (7,7% del totale) (12 maschi e 12 femmine) pazienti con esame vestibolare negativo, veniva diagnosticata una patologia neurologica: • stroke o attacchi ischemici transitori (13 casi; 54,1%); • drop attaks (5 casi; 20.,%); • epilessia (4 casi; 16,6%); • neuropatia autonomica (1 caso; 4,1%); • sclerosi multipla (1 caso; 4,1%).

In 16 (10,5%) (5,2% del totale) (5 maschi e 11 femmine) pazienti con esame otoneurologico, visita neurologica, oculistica, cardiologica negative, non siamo riusciti a porre una fondata ipotesi diagnostica per cui vennero considerati come non classificabili. Successivamente, 2 casi (1,3%) (0,6% del totale) (1 maschio e 1 femmina) di vertigine senza alcun segno vestibolare venivano classificati nelle forme iatrogene: si trattava di 2 pazienti in trattamento con ipoglicemizzanti orali che provocavano crisi ipoglicemiche, responsabili dell’insorgenza di sintomi vertiginosi aspecifici. Le diagnosi ottenute nei pazienti con assenza di segni vestibolari sono riassunti nella Tabella 5.

Discussione La vertigine è indubbiamente un problema di frequente riscontro nella pratica clinica. Essa


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La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

TABELLA 5. Diagnosi nei pazienti senza segni vestibolari VERTIGINE PSICOGENA Disturbi d’ansia

54 (35,3%) 25

Disturbi d’umore

9

Disturbi di personalità

5

Non classificabili DA CAUSA CARDIOVASCOLARE Ipotensione Ortostatica

14 31 (20,2%) 11

Disturbi del ritmo

8

Ipertensione Arteriosa

5

Valvulopatie

3

Anemia grave

2

Iperviscosità

1

Aneurisma Aorta

1

PROBABILE PREGRESSA VPP DA CAUSA NEUROLOGICA

26 (17%) 24 (15,7%)

Stroke o TIA

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Drop Attack

5

Epilessia

4

Neuropatia SNA

1

Sclerosi Multipla

1

VERTIGINE NON CLASSIFICABILE DA CAUSA IATROGENA TOTALE

si trova infatti ai primi posti non solo tra le più comuni sintomatologie riferite dai pazienti che si rivolgono a strutture cliniche di tipo internistico (20), ma essa rappresenta anche uno dei più frequenti problemi diagnostici in una struttura di pronto soccorso (18). I pazienti che sono stati inseriti nel nostro studio erano soggetti affetti da sindrome vertiginosa “acuta” che giungevano alla nostra osservazione dopo una prima sommaria e necessariamente incompleta valutazione eseguita dai Colleghi del Diparti-

16 (10,5%) 2 (1,3%) 153

mento Emergenza-Urgenza. Abbiamo pertanto applicato un modello di indagine anamnestico-clinico-strumentale basandoci sull’assunto che il percorso diagnostico in otoneurologia è indubbiamente un processo dinamico: se in molti casi la sintomatologia ed i segni nistagmici possono essere patognomonici (es. nei soggetti affetti da VPP), talora la complessità dei sintomi e la scarsa sensibilità di alcune indagini strumentali possono portare all’esecuzione di vere e proprie batterie di esami, con rilevanti rica-


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otoneurologia 2000

dute in termini di ritardo diagnostico e di costi sanitari. Questa affermazione assume una importanza sicuramente maggiore quando analizziamo un paziente vertiginoso giunto in regime di “urgenza”, laddove appare indispensabile in primo luogo discriminare tra patologie di gravità tale da porre in pericolo la vita del paziente e condizioni cliniche meno severe ma tuttavia estremamente fastidiose. Da qui la necessità di disporre di un approccio metodologico basato su un protocollo diagnostico rapido ed il più possibile efficiente. Nel nostro studio un ruolo basilare viene affidato alla raccolta accurata della storia clinica ed all’esame obiettivo con particolare riferimento alla ricerca dei segni nistagmici. Sulla base di questi elementi abbiamo potuto porre una diagnosi di certezza in un elevato numero di casi studiati. Nei restanti abbiamo proceduto all’esecuzione di diverse indagini strumentali, anche su indicazione degli specialisti coinvolti nella gestione del paziente vertiginoso. Analizzando più in dettaglio i risultati, abbiamo in primo luogo rilevato, in accordo con i dati della letteratura (8,17,22), e pur disponendo di un gruppo di soggetti studiati in fase acuta, una certa prevalenza di pazienti di sesso femminile (58,4%), mentre per ciò che concerne l’età abbiamo riscontrato una netta prevalenza della classe compresa tra i 50 e 60 anni, confermando l’osservazione che la vertigine è un sintomo la cui incidenza non aumenta proporzionalmente all’incrementare dell’età (17,22) (Figura 1). Le indagini svolte nei 310 pazienti studiati hanno indicato come in più della metà (50,6%) potevano essere rilevati segni di interessamento vestibolare (centrale, periferico o misto); nel restante 49,4% dei soggetti il mancato riscontro di segni compatibili con un chiaro problema delle strutture vestibolari ci ha indotto invece a coinvolgere diverse competenze specialistiche.

Questo dato iniziale ci conferma la notevole importanza dell’esame otoneurologico che ci ha permesso di porre la diagnosi in un elevato numero di casi e spesso solo attraverso la semplice rilevazione obiettiva del nistagmo, come nel caso della vertigine parossistica posizionale e nelle forme acute di labirintopatia periferica. In effetti, dei 157 pazienti che mostravano segni di interessamento vestibolare, 118 (75,2%) (38% del totale) presentavano una vestibolopatia di tipo periferico (VPP, UVL e Malattia di Ménière), 32 (20,4%) (10,3% del totale) vestibolopatia di tipo centrale e 5 (3,2%) (1,6% del totale) vestibolopatia di tipo misto. Ci pare importante sottolineare come la VPP sia non solo la più comune diagnosi nell’ambito delle cause vestibolari di vertigine acuta, ma anche la patologia più frequentemente riscontrata nell’intero gruppo di pazienti studiati (77 casi pari al 49% delle forme periferiche e al 24,8% di tutti i pazienti studiati). Se inoltre si assommano nel calcolo anche i casi in cui la diagnosi di VPP è solo presunta sulla base di precise indicazioni anamnestiche, allora la percentuale sale ulteriormente raggiungendo il 33,2% di tutti i casi esaminati. Possiamo quindi affermare che la VPP, già considerata come la più comune condizione patologica in ambito otoneurologico (1,8,13), rappresenta anche la diagnosi più frequente nei pazienti che giungono ad una struttura di Pronto Soccorso con sintomatologia vertiginosa in fase acuta. Questa osservazione avvalora indubbiamente l’affermazione di Nuti e Pagnini (23) secondo la quale l’aggettivo “benigna” con il quale si definisce la VPP, non è sempre giustificato, non solo dall’entità della sintomatologia che può in effetti condurre a violente crisi vertiginose con un imponente corredo vagale associato, ma anche dalla sua durata che talora può protarsi invariata per mesi.


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La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

Nell’ambito delle VPP le forme che coinvolgono il canale semicircolare laterale hanno rappresentato il 19,5% del totale (considerando anche i 4 casi di coinvolgimento combinato del CSL e del CSP) con una percentuale che si situa ben al di sopra di quella riportata nelle casistiche di VPP del CSL e che si attesta su valori compresi tra al 5-14% (4,10,13). Questa osservazione conferma come la vertigine parossistica posizionale indotta dal coinvolgimento del CSL sia quella che provoca una sintomatologia vertiginosa così intensa da indurre il paziente a rivolgersi al Pronto Soccorso. Altre cause di vertigine acuta da interessamento del sistema vestibolare periferico sono rappresentate dalla labirintopatia periferica monolaterale (34 casi, 11% del totale) e dalla Malattia di Ménière (7 casi). Un numero così limitato di pazienti menierici (2,3% del totale) non ci sorprende, in quanto riteniamo sia dovuta alla conoscenza che molto spesso il paziente ha della sua malattia, che lo porta ad automedicarsi o a rivolgersi direttamente al proprio specialista di fiducia. Non va inoltre dimenticato che spesso in fase iniziale la malattia di Ménière può risultare di difficile interpretazione e, specialmente se l’ipoacusia è stata fugace o non adeguatamente indagata, potremmo ipotizzare che alcuni casi classificati come UVL siano in realtà forme idropiche. Analogamente solo in due casi abbiamo riscontrato un deficit labirintico acuto associato ad ipoacusia (sindrome cocleo-vestibolare acuta). Dei 32 soggetti con segni vestibolari di tipo centrale, ben 15 potevano essere inquadrati nell’ambito di una insufficienza del circolo cerebrale. Da un punto di vista etiopatogenetico, i fenomeni ischemici rivestono un ruolo preminente per spiegare molte forme di patologia vestibolare sia periferica che centrale. La vertigine è difatti uno dei sintomi più frequenti e precoci della insufficienza vertebro-basilare

in virtù della notevole sensibilità alla diminuzione del flusso ematico in questo distretto che comprende la maggior parte delle aree coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio (11,16). Tuttavia, la diagnosi di insufficienza circolatoria cerebrale e più specificamente di insufficienza vertebro-basilare è sempre stata posta sulla base dell’esistenza non della sola vertigine bensì sulla sua associazione con sintomi e segni di specifica competenza neurologica, come viene indirettamente evidenziato dal riscontro di un buon numero di casi di stroke o TIA in cui, pur in presenza di vertigine, non si sono rilevati segni otoneurologici di centralità (2,9). La nostra esperienza sul paziente vertiginoso in fase acuta ci induce ad affermare la necessità di una rapida indagine neuroradiologica quando ci si trovi di fronte a reperti vestibolari di tipo centrale in un soggetto con fattori di rischio vascolare, pur in assenza di chiari segni neurologici. È noto infatti che alcune forme ischemiche cerebrali, quali gli infarti cerebellari inferiori, hanno caratteristiche cliniche molto simili ad una lesione labirintica periferica (19).

Meritano di essere discusse più in dettaglio le caratteristiche cliniche ed obiettive dei 14 (7,6%) (3,8% del totale) pazienti che abbiamo inserito nel gruppo dei casi con segni vestibolari di tipo centrale, in virtù del riscontro di un nistagmo orizzontale geotropo persistente bidirezionale, segno considerato compatibile con una disfunzione centrale, per lo più tronco-encefalica (7). Questi pazienti presentavano una sintomatologia che ricorda, almeno in parte, una vertigine posizionale ma senza i caratteri parossistici tipici e che tuttavia si associa a segni neurovegetatitivi e ad una sensazione piuttosto marcata di insta-


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bilità. I pazienti, di età compresa tra i 20 e i 40 anni, presentavano una remissione piuttosto rapida della sintomatologia, spesso anche senza terapia osservando un breve periodo di riposo, in associazione con l’analoga scomparsa del quadro obiettivo ed in assenza di alcun segno o sequela di tipo neurologico. Spesso l’anamnesi rilevava abuso di alcool o saltuario uso di droghe leggere ed in un caso l’anamnesi rilevava, due giorni prima dell’esordio della vertigine, un trauma cranio-cervicale. Il nistagmo geotropo bidirezionale riscontrato in questi pazienti può essere interpretato come l’evidenzazione clinica di una instabilità patologica dei due emisferi vestibolari centrali (24). La variazione dell’impatto gravitazionale sui recettori otolitici indotto dalla manovre di posizione e posizionamento modifica l’input che questi inviano ai due emisistemi nucleari vestibolari potendo renderne clinicamente obiettivabile un eventuale asimmetria attraverso la comparsa di nistagmo persistente la cui direzione varierà in rapporto alla posizione della testa rispetto al campo gravitazionale (24). Analizzando i risultati ottenuti nei pazienti che non mostravano segni vestibolari, ci pare interessante sottolineare l’elevata incidenza dei casi nei quali non è stata dimostrata alcuna patologia organica (35,3%) (17,4% del totale) per cui si è posta una diagnosi di vertigine psicogena. Nella nostra casistica, essi rappresentano il secondo gruppo per incidenza, secondi soltanto alla VPP. Purtuttavia, questi soggetti lamentavano una sintomatologia vertiginosa, perlopiù aspecifica, così eclatante da indurli a recarsi al Dipartimento di Emergenza Urgenza. Un altro dato meritevole di essere menzionato è l’elevata incidenza di questa forma nel sesso femminile ed in particolare nella terza decade d’età. In effetti i pazienti con vertigine psicogena, creano notevoli dubbi diagnostici ed aumentano notevolmente il costo della gestione del paziente vertiginoso sia da un punto di

vista del tempo necessario per giungere ad una adeguata diagnosi sia da un punto di vista puramente economico. La questione riguardante la diagnosi di vertigine psicogena è tuttora aperta. Spesso in questi pazienti vengono eseguiti numerosi esami clinico-strumentali che talora potrebbero essere evitati avendo ben chiari alcuni elementi clinici che possono indirizzare il medico a sospettare una patologia funzionale. Per questo il nostro atteggiamento diagnostico si è basato sul criterio per cui la vertigine psicogena si manifesta esclusivamente in combinazione con altri sintomi che fanno parte di un quadro sindromico psichiatrico ed in assenza di segni otoneurologici (15,27). Molto spesso la vertigine appartiene al gruppo di sintomi che fanno parte dei disturbi d’ansia laddove la vertigine si associa a disturbi di tipo fobico (es. agorafobia) (25); in questi pazienti si verifica comunemente una riproducibiltà dei sintomi con il test dell’iperventilazione (21,22).

Nel gruppo di pazienti da noi classificati come affetti da vertigine psicogena, quelli che ci hanno dato i maggiori problemi di diagnosi differenziale, sono stati quelli con disturbi da attacchi di panico. Questi soggetti descrivono in genere un quadro clinico che può variare da una modesta sensazione di instabilità fino ad una condizione che potrebbe far sospettare un disturbo vestibolare periferico e caratterizzato da vertigini rotatorie, instabilità, latero pulsione in associazione con nausea, vomito, tachicardia, sudorazione ... In effetti il riscontro di una elevata percentuale di anomalie a diversi test otoneurologici nei soggetti affetti da attacchi di panico (specie se associati ad agarofobia) (30) ha indotto ad ipotizzare l’esistenza di una correlazione tra questo


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La vertigine “acuta”: aspetti diagnostici

disturbo psichiatrico e le disfunzioni del sistema vestibolare, in virtù di basi neuroanatomiche e neurofisiologiche comuni, almeno in parte. Le principali teorie sull’etiopatogenesi dell’attacco di panico si basano su una alterata regolazione dei sistemi noradrenergici del tronco e sull’interessamento delle vie serotoninergiche centrali, sistemi sicuramente interessati anche nei processi di regolazione dell’input vestibolare (15). Alla luce dei nostri risultati il ruolo della vertigine psicogena non deve essere sottovalutato, non solo per la notevole incidenza nella pratica clinica, ma anche perché una sua precoce e precisa individuazione permette di introdurre specifici trattamenti in grado di controllare una sintomatologia che non solo altera in maniera significativa la qualità di vita del paziente, ma che può rappresentare il punto di partenza di patologie psichiatriche di maggior gravità.

Accanto alla valutazione neurologica ed a quella psichiatrica, i nostri risultati indicano anche il ruolo rilevante delle indagini cardiologiche, considerando che i pazienti affetti da sindrome vertiginosa dovuta a cause cardiovascolari corrispondevano al 20,2% dei casi senza segni vestibolari quindi al 10% di tutti i soggetti studiati. In questo gruppo la sintomatologia vertiginosa si sviluppa quasi sempre quando il paziente in trova in posizione eretta e si caratterizza prevalentemente per una sensazione di caduta o svenimento imminente (“near-syncope”), essendo legata verosimilmente ad una parziale riduzione del flusso ematico a tutte le aree del SNC come accade nel corso di episodi di ipotensione ortostatica o nelle condizioni in cui si verifica una riduzione dell’output cardiaco (es gravi aritmie) (3).

Conclusioni Il paziente che giunge al Dipartimento di Emergenza Urgenza lamentando una sintomatologia vertiginosa richiede in primo luogo di essere sottoposto ad un trattamento medico-farmacologico allo scopo di ottenere almeno un parziale miglioramento delle sue condizioni cliniche. Nondimeno, l’attenzione del medico deve essere rivolta a cercare di interpretare correttamente la sintomatologia al fine di riconoscere la causa che ha provocato un quadro clinico così rilevante. Il paziente, nella maggioranza dei casi, interpreta sotto forma di “vertigine” tutta una serie di sintomi che possono andare da una vera e propria sintomatologia vertiginosa con sensazione di tipo rotatorio, ad una sintomatologia più aspecifica caratterizzata da lateropulsione, instabilità, sbandamento, sensazione di testa vuota sensazione di svenimento imminente, ecc.. Il primo compito dell’oto-neurologo sarà quello di interpretare con esattezza ciò che il paziente intende per vertigine. È ormai nozione comune che la presenza di una vera vertigine rotatoria porta ad ipotizzare un possibile coinvolgimento del sistema vestibolare (generalmente di tipo periferico, meno frequentemente di tipo centrale), mentre una sintomatologia più aspecifica (l’instabilità posturale per esempio) deve far pensare piuttosto a tutta una serie di altre cause ivi comprese quelle psicogene, o quelle cardiovascolari se siamo di fronte ad un quadro tipo “near syncope”. Attraverso una anamnesi guidata e particolareggiata, il medico che accoglie il paziente con vertigine in fase acuta, dovrebbe essere già in grado di avere delle utili informazioni che permettano di indirizzare verso una netta distinzione tra forme extravestibolari e vestibolari. In questo modo inoltre, le stesse informazioni potranno fornire tutta una serie di indicatori clinici di fondamentale importanza per poter indirizzare il paziente verso lo spe-


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cialista più adatto a seconda del quadro clinico. La dettagliata conoscenza delle diverse patologie (in particolare neurologiche, psichiatriche e cardiologiche) che possono essere responsabili di una vertigine acuta ci pare di fondamentale importanza per poter valutare in modo adeguato il paziente che giunge in regime di Pronto Soccorso. Secondo la nostra esperienza, in accordo con la letteratura (5,8,26), almeno il 90% dei pazienti con dizziness può essere inquadrato in modo adeguato attraverso la sua storia clinica. Da tutto ciò si evince quanto un approccio multidisciplinare al paziente con dizziness sia fondamentale per giungere rapidamente e senza sprechi di tempo e denaro, ad una corretta diagnosi, come dimostrano i dati ottenuti nel nostro gruppo, laddove solo nel 5% dei casi non siamo giunti ad una precisa conclusione diagnostica. Pur non essendo lo scopo primario del nostro lavoro, ci pare opportuno sottolineare come i nostri risultati, pur basati su un gruppo di pazienti “acuti”, confermano la tesi che molto spesso l’applicazione rigorosa di un approccio diagnostico, basato su criteri puramente anamnestico-clinici, permette di porre la diagnosi in una percentuale molto elevata di casi, evitando l’esecuzione di costose indagini strumentali e confermando che l’anamnesi e l’esame obiettivo rimangono la migliore indagine anche in termini di rapporto costo-benefici, nella valutazione diagnostica del paziente vertiginoso.

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TRATTAMENTO DELLA SINDROME DI MÉNIÈRE CON VERTIGINE INVALIDANTE Maurizio Amadori1, Franco Trabalzini2, Giovanni Monciatti2 1

Unità Operativa per il Trattamento delle Disabilità della Comunicazione Umana Interpersonale con Servizio di Audiologia e Foniatria, Ospedale “San Bortolo”, Vicenza 2 U.O.A. di Otochirurgia, Azienda Ospedaliera di Padova

Introduzione La disfunzione labirintica periferica si contraddistingue per la comparsa di sintomi stereotipati, di entità correlata con l’acutezza della patologia; si verifica in genere un’alterazione della funzionalità vestibolare con comparsa di vertigine, nistagmo spontaneo, ipoacusia, acufeni, sensazione di fullness auricolare, alterazioni neurovegetative quali nausea e vomito, associati ad alterazioni posturali. Le cause più comuni di vertigine di origine periferica sono rappresentate da: • vertigine posizionale benigna (canalolitiasi); • malattia o sindrome di Ménière; • neuronite vestibolare; • neuropatia di origine post-traumatica; • neurotossicità farmaco-indotta (es. minociclina, fenitoina, gentamicina, streptomicina); • altre cause (batterica, virale, tumori, otosclerosi, vasculiti).

fullness ed acufene concomitante, ipoacusia, seguite da una vertigine importante che tende a diminuire di intensità con il ripetersi delle crisi (l’evolvere della patologia stessa). Caratteristico risulta inoltre il capriccioso alternarsi di episodi patologici a periodi di benessere in cui la funzione cocleo-vestibolare viene quasi a normalizzarsi. Con il ripetersi delle crisi, tale recupero diventa sempre meno evidente residuando, anche in periodo di benessere, una ipoacusia neurosensoriale progressiva ed una ipo-areflessia vestibolare. In alcuni casi la patologia può compromettere la vita sociale e personale dell’ammalato a tal punto, da poter essere considerata una condizione invalidante. Il sintomo che angustia maggiormente il paziente è la crisi vertiginosa, che può insorgere improvvisamente e raggiungere livelli di estrema gravità. Questi casi necessitano ovviamente di un interesse medico e di un approccio terapeutico particolare.

Approccio terapeutico La sindrome di Ménière è una labirintopatia di origine periferica caratterizzata da un quadro sintomatologico e da una evoluzione distintivi. Nel caso della malattia di Ménière esiste anche una evoluzione temporale ben precisa della sintomatologia lamentata, che usualmente inizia con una sensazione di

La terapia dei disordini vestibolari periferici può essere causale e sintomatica, di tipo medico, fisico o chirurgico. Una terapia causale è possibile ovviamente solo quando il fattore eziologico è noto; purtroppo nella maggior parte dei casi l’eziologia è ignota e il medico può avvalersi solo di una terapia sintomatica e ragionata.


Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante

I farmaci più utilizzati per dominare gli stati vertiginosi sono i sedativi del sistema vestibolare ad azione prevalentemente centrale, che agiscono sui sistemi dopa-, coli-, gabaed istamino-ergico; farmaci come la scopolamina sono utilizzati per l’effetto anticolinergico; le fenotiazine sono antistaminici con spiccata azione anticolinergica; le benzodiazepine presentano un effetto gaba-ergico. Un altro gruppo di farmaci utilizzabili sono i farmaci vasoattivi (miolitici, agenti sui recettori alfa), quali la diedroergotamina; altri come la betaistina o la cinnarizina vantano un’azione istamino-simile; infine farmaci ad azione emoreologica. Nella sindrome di Ménière purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze sulla patogenesi dell’ipertensione endolinfatica, non disponiamo di un presidio farmacologico capace di prevenire e quindi di impedire la crisi. D’altra parte la tendenza della malattia alle remissioni spontanee e il decorso imprevedibile rendono difficile una valutazione obiettiva delle diverse forme di trattamento. Esistono comunque degli schemi terapeutici usualmente utilizzati: • una dieta iposodica, l’astensione dall’alcool, nicotina e caffeina; • il glicerolo, usualmente utilizzato per interrompere l’evoluzione verso la crisi; • il cortisone, utilizzato soprattutto nelle fasi iniziali della malattia; • durante la crisi vengono somministrati antivertiginosi ad azione centrale, diuretici (triamterene, idroclorotiazide, acetazolamide) e sostanze ad azione osmotica come il mannitolo, qualora non coesista una alterazione della funzionalità renale; ha un razionale anche l’utilizzo di vasodilatatori come i nitrati, niacina, papaverina, nylidrin, istamina, betaistina; • gli aminoglicosidi (streptomicina i.m. o per infusione selettiva, gentamicina transtimpanica), per la loro capacità ototossica.

Per favorire il compenso centrale si consiglia di eseguire una terapia fisica di riabilitazione, che con esercizi di controllo posturale consente una progressiva “abitudine” alle risposte patologiche e una adeguata interazione oculo-vestibolare. È sufficiente eseguire esercizi di rotazione alternata della testa in senso verticale ed in senso orizzontale fissando con gli occhi un punto, o camminare lungo uno stretto corridoio es. di un supermercato. Quando una corretta igiene alimentare e/o il ricorso saltuario ai farmaci nei periodi più critici non consentono una qualità di vita accettabile, dobbiamo ricorrere ad altre terapie, quali l’utilizzo degli aminoglicosidi intratimpanici o la terapia chirurgica.

Applicazione di gentamicina Rappresenta un compromesso tra la terapia farmacologica e quella chirurgica; deve essere eseguita solo nei casi in cui la sindrome è monolaterale e al deficit vestibolare si associa un udito ormai socialmente inutilizzabile; si sfruttano le capacità ototossiche del farmaco che provoca una deafferentazione farmacologica dell’VIII n.c. affetto. Dopo anestesia locale, viene introdotta nell’orecchio medio per via transtimpanica una soluzione di gentamicina preparata secondo un protocollo codificato; il paziente viene posto supino con la testa leggermente rialzata e ruotata verso l’altro lato, in modo che il liquido introdotto nella cassa del timpano sia a contatto con la parete mediale e diffonda più facilmente attraverso la finestra rotonda. La posizione deve essere mantenuta per 40 minuti.

L’azione del farmaco può scatenare una crisi di vertigine irritativa che può essere controllata con antivertiginosi.

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Utilizzo del “Meniette” Viene applicato un drenaggio transtimpanico a permanenza attraverso il quale possiamo agire dall’esterno per aumentare la pressione aerea a livello della cassa in modo da contrastare l’idrope endolinfatica dell’episodio acuto. A suo favore questo metodo ha una certa efficacia, è semi-invasivo, può essere utilizzato dallo stesso paziente e non ha effetti sistemici né controindicazioni. Il limite di questa metodica è il costo piuttosto elevato della macchina, che ha impedito una reale diffusione.

Terapia chirurgica Quando nessuno di questi rimedi riesce a migliorare la qualità di vita del paziente, rimane l’alternativa della terapia chirurgica; i vari tipi di intervento via via proposti negli

ultimi decenni sono i seguenti: • interventi sul sacco endolinfatico (shunt mastoideo, shunt subaracnoideo); • labirintectomia ( con approccio transcanalare e/o transmastoidea); • cocleo-sacculotomia; • neurotomia vestibolare (sopra-, retro-, translabirintica, retrosigmoidea) • decompressione microvascolare.

Chirurgia del sacco endolinfatico: shunt mastoideo Si esegue una mastoidectomia classica; la scheletrizzazione della dura della fossa cranica posteriore tra canale semicircolare posteriore (CSP) e bulbo della giugulare permette una ampia esposizione e decompressione del sacco, che viene inciso in modo da inserire nel lume una piccola lamella di sylastic o altri dispositivi (es. tubicino di Austin) per consentire di ridurre la pressione endolinfatica (Figura 1).

Figura 1. Drenaggio di Austin inserito nel sacco endolinfatico.


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Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante

Labirintectomia transcanalare

Sezione del nervo vestibolare (NVS)

Si allestisce un lembo timpano-meatale; dopo aver asportato incudine e staffa viene effettuata la fresatura del promontorio fino all’unione delle due finestre in un’unica cavità; rimosso con un uncino angolato il neuroepitelio vestibolare, viene stipato all’interno del vestibolo del gelfoam o tessuto fibromuscolare imbevuto di gentamicina (Figura 2).

Le neurotomia vestibolare viene effettuata con i seguenti approcci chirurgici:

A

Approccio sopralabirintico o della fossa cranica media Si esegue una craniotomia temporale (sportello osseo di ca 2 x 3 cm) (Figura 3); tale approccio permette di esporre il condotto uditivo interno (CUI) dopo aver identificato la “blue line” del canale semicircolare superiore e il nervo grande petroso superficiale; fresando lungo la bisettrice (con un angolo di 60°) disegnata dalle due ultime strutture citate, si apre il CUI. Si evidenzia quindi il pacchetto statoacustico distinguendo il nervo facciale dal nervo vestibolare superiore; viene così sezionato il nervo vestibolare in toto fino al ganglio dello Scarpa.

Divaricatore del muscolo auricolare Punto di repere per l’incisione

B

Zigomo

Apice del processo mastoideo

Base della fossa cranica media

Muscolo temporale Dura della fossa cranica media Divaricatore del muscolo temporale

Figura 2. A - Fresatura del promontorio. B - Rimozione del neuroepitelio (mod. da: Brackmann et al. Otologic Surgery. WB Saunders Company, Philadelphia 1994).

Figura 3. Schema dell’approccio sopralabirintico (mod. da: Fisch U. et al. Microsurgery of the Skull Base. Thieme Medical Publishers, Inc., New York 1988).


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Figura 4. Sezione del nervo nell’angolo ponto-cerebellare.

Approccio retrolabirintico Si esegue una mastoidectomia completa con scheletrizzazione del seno sigmoide; questo permette di esporre la dura della fossa cranica posteriore per una estensione che va dalla fossa media al bulbo della giugulare e dal seno laterale al CSP. Si incide la dura e dopo aver identificato il nervo facciale si seziona il nervo vestibolare a livello dell’angolo ponto-cerebellare (Figura 4); la cavità mastoidea viene successivamente obliterata con grasso addominale Approccio retrosigmoideo Si allestisce uno sportello craniotomico circolare di circa 2 cm di diametro subito al di dietro del seno sigmoide usando come repere la vena emissaria mastoidea; la dura della fossa cranica posteriore viene aperta in regione retrosigmoidea (Figura 5).

Figura 5. Sportello craniotomico allestito nella dura della fossa cranica posteriore, in regione retrosigmoidea.

La retrazione cerebellare permette di identificare le strutture dell’angolo pontocerebellare e il porus (Figura 6 A); evidenziate le strutture nervose del pacchetto acustico facciale, si seziona il nervo vestibolare (Figura 6 B) e si richiude il difetto durale; la fascia temporale con paté osseo viene apposta per sigillare l’apertura ossea.


Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante

A

B

Figura 6. Approccio retrosigmoideo. A. Identificazione dell’angolo pontocerebellare e del porus. B. Sezione del nervo vestibolare.

A nostro avviso, l’approccio retrosigmoideo presenta alcuni vantaggi tecnici, quali la velocità d’esecuzione, la possibilità di

avere un campo chirurgico più ampio, un clivaggio più facile del nervo vestibolare (perché vicino al porus), una retrazione cere-

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bellare minima e il fatto di non dover usare grasso addominale. Tale approccio all’angolo ponto-cerebellare può anche essere utilizzato per la terapia chirurgica di alcuni casi di neurinoma dell’acustico (< 2 cm con udito socialmente utile), spasmo emifacciale e nevralgia trigeminale.

Nostra esperienza Alcuni studi clinici che hanno cercato di valutare la reale efficacia dei vari trattamenti della malattia di Ménière spesso avevano un follow-up troppo breve e si approcciavano alla valutazione con una spiccata attitudine medica, tenendo in conto solo il rischio chirurgico come un prezzo troppo alto per effettuare tale scelta terapeutica. Scopo del lavoro Il nostro studio ha lo scopo di valutare i pro e i contro dei vari approcci, fissando l’attenzione su quello che è il grado di invalidità della vertigine. La AAO nel 1995 ha indicato una scala di “disabilità” allo scopo di ottenere una valutazione più completa ed esauriente della condizione clinica del soggetto stesso: Scala del livello di funzionalità 1. La vertigine non ha influenze sulle mie attività. 2. Quando ho la vertigine devo interrompere la mia attività per poco tempo. Continuo a lavorare, non ho cambiato i miei piani o attività. 3. Quando ho la vertigine devo interrompere la mia attività per poco tempo. Continuo a lavorare, ma ho dovuto cambiare alcuni piani (progetti). 4. Sono in grado di lavorare, ma devo sforzarmi molto per continuare a farlo; devo continuamente aggiustare le mie attività e misurare le mie energie.

5. Non sono in grado di lavorare e di eseguire gran parte delle attività che ero solito fare; mi sento invalido. 6. Mi sento invalido da almeno 1 anno (AAO-HNS, 1995).

La AAO-HNS nel 1995 ha poi codificato un calcolo matematico, che noi riportiamo sotto per quantificare il risultato terapeutico: si determinano quindi 6 livelli di malattia in base al numero di crisi per mese. La formula è la seguente: [Media] crisi/mese 18-24 mesi dopo terapia –––––––––––––––––––––––––– x 100 [Media] crisi/mese 6 mesi prima della terapia

Se il valore numerico ottenuto è 0 il paziente appartiene alla classe A (controllo completo degli episodi); da 1 a 40-classe B, da 41 a 80-classe C, da 81 a 120-classe D, > 120 classe E; infine classe F in cui l’invalidità per la vertigine ha reso necessario intraprendere trattamenti secondari. Ovviamente il controllo degli episodi diventa sempre più scarso con l’avanzare della classe.

Casistica personale Nel decennio 1988-1998 sono giunti alla nostra osservazione 370 casi di malattia di Ménière (178 M, 192 F): in 178 pazienti (48%) si è ottenuto un controllo farmacologico della patologia. Per gli altri 192 pazienti si è reso necessario ricorrere alla terapia chirurgica ( 39 di questi sono stati sottoposti a due interventi). In questo lavoro sono stati riportati solo i casi che rispondevano ad una serie ben precisa di criteri, ovvero 169 soggetti, 36 dei quali erano stati sottoposti ad un primo intervento. I criteri di inclusione prevedevano una malattia di Ménière “certa” monolaterale, un udito controlaterale utile, un livello di invalidità di grado 4 al “Functional Level Scale”, ed un follow-up di almeno 2 anni.


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Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante

TABELLA 1. Soglia uditiva pre-trattamento Stadio

Numero pazienti

Udito pre-trattamento

1

30

< 25 dB

2

56

26-40 dB

3

59

41-70 dB

4

24

> 70 dB

La soglia uditiva pre-trattamento è riportata nella Tabella 1. Modalità di trattamento • 29 dei 169 pazienti sono stati sottoposti al trattamento con gentamicina intra-timpanica; • 20 pazienti alla chirurgia del sacco endolinfatico, • 8 pazienti sottoposti a labirintectomia (4 come 2° intervento); • 112 pazienti alla neurotomia vestibolare selettiva (32 come 2° intervento). Risultati Nei 4 gruppi di trattamento (gentamicina intratimpanica, chirurgia del sacco endolinfatico, labirintectomia e sezione selettiva del n. vestibolare) sono stati valutati la perdita uditiva post-trattamento ed il

livello di controllo della sintomatologia vertiginosa secondo le classi di malattia sopraccitate (AAO-HNS, 1995) La Tabella 2 riassume i risultati ottenuti sulla conservazione uditiva. Come evidenzia la tabella, esiste una perdita uditiva post-trattamento con gentamicina statisticamente significativa rispetto alle altre due metodiche apparse più conservative (p<0.0001; Test di Student). Per quanto riguarda invece i risultati sul controllo della sintomatologia vertiginosa, i pazienti sono stati classificati seguendo le linee guida dell’AAO, prima esposte. Come si evince dai dati in Tabella 3, si raggiungono risultati di risoluzione della sintomatologia nel caso della labirintectomia e della sezione del nervo vestibolare significativamente migliori rispetto ai dati ottenuti con la chirurgia del sacco e con la gentamicina (p<0.0001; Test di Student)

TABELLA 2. Perdita uditiva post-terapia

Gentamicina (29 casi) ELS (20 casi) VNS (112 casi)

Invariata

10-25 dB

25-40 dB

> 40 dB

17 (58.6%)

6 (20.6%)

3 (10.3%)

3 (10.3%)

18 (90%)

2 (10%)

105 (93.7%)

4 (3.5%)

2 (1.8%)

1 (0.9%)


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otoneurologia 2000

TABELLA 3. Controllo della vertigine Classe A

Classe B

Classe C o >

Gentamicina (29 casi)

14 (48.3%)

11 (37.9%)

4 (13.7%)

ELS (20 casi)

7 (35%)

6 (30%)

7 (35%)

Labirintectomia (8 casi)

7 (87.5%)

1 (12.5%)

0

VNS (112 casi)

104 (92.8%)

6 (5.3%)

2 (1.7%)

Per una lettura esaustiva dei risultati è importante segnalare anche le complicanze riscontrate con le diverse procedure: esse sono state rispettivamente come segue: • con la sezione del nervo vestibolare per via retrolabirintica, si sono verificati 2/18 (11%) casi di liquorrea ed 1/18 caso (5.6%) di cefalea;

• per via retrosigmoidea abbiamo avuto 8/109 (7.3%) casi di liquorrea e 14/109 (12.8%) casi di cefalea; • con la gentamicina intratimpanica si sono verificati 3/32 (9.3%) casi di perforazione timpanica, tutti riparati successivamente con procedura ambulatoriale; • nessuna complicanza nei soggetti trattati con la chirurgia del sacco endolinfatico (n..23) e con la labirintectomia (n.10).

ALGORITMO DI TRATTAMENTO DELLA VERTIGINE MENIERIFORME INVALIDANTE Patologia monolaterale • nel soggetto con età superiore ai 70 anni, indipendentemente dalle condizioni della componete uditiva omolaterale, è consigliabile comunque praticare l’iniezione di gentamicina intratimpanica; • nel soggetto con età inferiore ai 70 anni, in presenza di un udito ancora socialmente utile, vale la pena prospettare la possibilità di salvare la componente acustica effettuando una sezione selettiva del nervo vestibolare (a nostro parere per via retrosigmoidea); • quando invece l’udito non è più utilizzabile e l’età è inferiore ai 70 anni conviene praticare una più semplice e meno rischiosa labirintectomia.

Patologia bilaterale • nel caso si possa evidenziare un lato dominante, il protocollo è lo stesso delle forme monolaterali; • nel caso il lato dominante non possa essere determinato, una terapia con basse dosi di streptomicina intramuscolare può essere presa in considerazione.


Trattamento della sindrome di Ménière con vertigine invalidante

Discussione In base ai dati riportati abbiamo cercato di stabilire un algoritmo di trattamento della vertigine menieriforme invalidante tenendo presente tre fattori: 1. mono/bilateralità della patologia; 2. età del paziente; 3. effettiva possibilità di utilizzo della componente uditiva residua dell’orecchio malato.

Conclusioni In conclusione il nostro atteggiamento nei confronti di un paziente con una sindrome di Ménière monolaterale invalidante potrebbe essere il seguente: 1. Se vale la pena conservare l’udito e le condizioni cliniche del soggetto lo permettono, una VNS rappresenta l’intervento di elezione (intervento con qualche rischio operatorio ma con minima percentuale di danno uditivo); 2. Se l’udito non è più “socialmente utile” è corretta una labirintectomia nei pazienti anziani, mentre in quelli più giovani si può effettuare una VNS (in entrambi i casi parliamo di 2° intervento terapeutico); 3. L’applicazione intratimpanica di gentamicina rappresenta la metodica d’elezione nei soggetti anziani e in tutti quei

soggetti che rifiutano il rischio operatorio o hanno controindicazioni chirurgiche.

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otoneurologia 2000 | numero 16 | marzo 2004

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otoneurologia 2000

L’OCULAR TILT REACTION Daniele Brambilla Servizio di Audiologia e Foniatria, I.R.C.C.S. “Eugenio Medea”, Bosisio Parini, Lecco E-mail: dbrambilla@bp.lnf.it

Il termine “ocular tilt reaction” (OTR) fu coniato da Westheimer e Blair nel 1975; questi Autori definirono l’OTR come una “sincinesia posturale oculo-cefalica” transitoria, conseguente alla stimolazione elettrica del tegmento mesencencefalico della scimmia (1). Le prime descrizioni di una OTR nell’uomo furono effettuate da Rabinovitch e Coll. nel 1977 e da Hedges e Hoyt nel 1982; in entrambi i casi si trattava di eventi parossistici, cioè transitori e di breve durata, legati a patologie neurologiche (sclerosi multipla nel primo caso, ascesso cerebrale a livello del talamo e del peduncolo cerebrale sinistro nel secondo caso) (2,3). Nel 1979 Halmagyi e Coll. riportarono, per la prima volta, un caso di OTR tonica legata ad un deficit labirintico acuto indotto da una stapedectomia (4). Da allora numerosi Autori hanno segnalato casi di OTR nel corso di patologie periferiche labirintiche o centrali, prevalentemente tronco-encefaliche. In base a queste osservazioni è attualmente accettato che l’OTR sia espressione di un patologia monolaterale delle vie “gravicettive” (otolitiche) periferiche o centrali e, più precisamente, sia dovuta ad una asimmetria nella attività tonica bilaterale di queste vie, conseguente ad una lesione. I neuroni provenienti dalle macule (dall’utricolo in particolare) convergono con quelli provenienti dai canali semicircolari verticali sui nuclei vestibolari omolaterali in regione bulbopontina; da qui la via, crociando nella porzione più caudale

del ponte, proietta essenzialmente al nucleo interstiziale di Cajal nel mesencefalo rostrale (centro di integrazione dei movimenti oculari verticali e rotatori, nonché centro di controllo della posizione del capo e degli occhi) e al nucleo interstiziale rostrale del fascicolo longitudinale mediale; dai nuclei vestibolari, peraltro, vie dirette e crociate proiettano ai nuclei oculomotori. L’informazione “gravicettiva” proveniente dalle macule svolge la funzione di stabilizzare gli occhi e il capo sul piano sagittale e frontale, e costituisce la fonte principale per la percezione di verticalità. Nel caso in cui questa informazione sensoriale sia alterata per un evento lesivo, si verifica una destabilizzazione della posizione degli occhi e del capo e una anomalia nella percezione di verticalità, cioè la “sincinesia posturale oculocefalica” dell’OTR. Il quadro clinico dell’OTR è caratterizzato da tre segni statici (Figura 1): 1. strabismo verticale 2. torsione oculare 3. inclinazione del capo A questi tre segni si associa costantemente una inclinazione della verticale visiva soggettiva, espressione di una alterazione della rappresentazione interna della verticalità, cioè del vettore gravitazionale. 1. Lo strabismo verticale, descritto in letteratura come “skew deviation” o disallineamento verticale degli occhi, è


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L’Ocular Tilt Reaction

Figura 1. Esempio di OTR: ipotopia dell’occhio sinistro e ipertropia del destro, exciclotorsione dell’occhio sinistro ed inciclotorsione del destro, inclinazione del capo sulla spalla sinistra, deviazione della verticale visiva soggettiva verso sinistra (da Brandt, modificata).

caratterizzato dallo spostamento verso l’alto di un occhio (si parla di occhio ipertropico) e dallo spostamento verso il basso dell’occhio controlaterale (si parla di occhio ipotropico). 2. La torsione oculare consiste in una rotazione statica degli occhi attorno all’asse visivo e viene definita ciclotorsione; in particolare si verifica una exciclotorsione, cioè una rotazione dell’occhio verso il canto esterno, nell’occhio ipotropico (il più basso) e una inciclotorsione, cioè una rotazione verso il canto interno (verso il naso), nell’occhio ipertropico (il più alto). 3. L’inclinazione del capo sulla spalla avviene nella direzione dell’occhio ipotropico (il più basso). 4. La verticale visiva soggettiva è deviata nella direzione della ciclotorsione, cioè dell’occhio ipotopico. Pertanto, tutte le deviazioni oculomotorie, posturali e della verticale visiva soggettiva avvengono nella medesima direzione, quella

dell’occhio ipotropico. Esiste poi una stretta relazione tra la sede della lesione responsabile dell’OTR e la direzione delle deviazioni. 1. Nel caso in cui la lesione sia periferica (labirinto o nervo vestibolare) o a livello bulbo-pontino (al di sotto del punto di incrocio delle vie “gravicettive”) le deviazioni dell’OTR sono omolaterali rispetto alla lesione: variante “ascendente” di OTR secondo Brandt e Dieterich (5). L’occhio ipotropico sarà allora quello corrispondente al lato della lesione, così come l’occhio con exciclotorsione, l’inclinazione del capo e la deviazione della verticale visiva soggettiva. 2. Se la lesione coinvolge la regione pontomesencefalica la deviazioni dell’OTR sono, invece, controlaterali: forma “discendente” di OTR secondo Brandt e Dieterich (5) In questo caso l’occhio ipotropico è quello opposto al lato della lesione, così come l’occhio con exciclotosione, l’inclinazione del capo e la deviazione della verticale visiva soggettiva. Quanto sino ad ora esposto vale nel caso in cui l’evento scatenante l’OTR sia un evento lesivo (condizione più frequente), cioè una lesione della via gravicettiva responsabile di una “inibizione” della via stessa. Nel caso in cui l’evento scatenante sia di tipo irritativo-eccitatorio (2,3,6) si verifica una “attivazione” della via gravicettiva e una conseguente inversione del quadro clinico: l’occhio ipotropico sarà controlaterale alla sede del danno nel caso in cui questo sia caudale (periferico o bulbo-pontino) e sarà omolaterale se il danno è rostrale (ponto-mesencefalico); in quest’ultimo caso (forma irritativa) l’OTR avrà un carattere parossistico (OTR parossistica o fasica), cioè si verificheranno episodi di OTR di breve durata (secondi o minuti), recidivanti; in tutti gli altri casi (forme lesionali) il quadro dell’OTR è statico (OTR tonica). È comunque possibile che al quadro statico dell’OTR si associno segni dinamici da correlare alla sede del danno; ad esempio nel caso di un deficit labirintico acuto il coesistente danno


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otoneurologia 2000

Figura 3. Fundus: inciclotorsione dell’occhio destro. Figura 2. Esempio di “Cover test”; lieve ipertropia dell’occhio destro.

canalare è responsabile del nistagmo spontaneo orizzontale (4,7), oppure nel caso di una lesione centrale la convergenza neuronale della via a partenza dal canale semicircolare verticale spiega la presenza di un nistagmo spontaneo rotatorio (6,8). La diagnosi di OTR si basa sull’osservazione clinica e su alcune indagini di tipo strumentale. Analizziamo i singoli segni: 1. Lo strabismo verticale viene identificato con un “cover test” (Figura 2): quando la copertura viene spostata da un occhio all’altro si osserva un movimento correttivo verticale; può essere quantificato con un “test di Hess-Weiss” (o una sua variante); lo strabismo verticale dell’OTR non si modifica cambiando la posizione del capo (test di Bielschowsky) a differenza di quanto accade nello strabismo da deficit di un muscolo. 2. La torsione oculare viene identificata esclusivamente con una osservazione del fundus oculare e documentata con una foto del fundus (Figure 3 e 4) da eseguire con il capo eretto; può essere quantificata considerando l’inclinazione dell’asse papillo-maculare rispetto all’orizzontale. 3. L’inclinazione del capo viene identificata clinicamente e documentata con una fotografia; può essere quantificata con un goniometro. 4. L’inclinazione della verticale visiva soggettiva viene identificata e quantificata

Figura 4. Fundus: exciclotorsione dell’occhio sinistro.

con l’impiego di una barretta luminosa in ambiente completamente oscurato o con test analoghi (9). Le cause più comuni di OTR tonica sono le lesioni ischemiche ed emorragiche troncoencefaliche: Sindrome di Wallenberg (10), infarto ponto-midollare laterale (8), ischemia o emorragia meso-diencefalica (11). Quadri di OTR sono segnalati da Brandt (12) nei gravi traumi tronco-encefalici, nella sclerosi multipla e nel corso di attacchi di emicrania basilare. Recentemente è stato descritto un caso di OTR da lesione vasculitica del mesencefalo nel corso di una poliartrite nodosa (13). Sono numerose le segnalazioni di OTR in presenza di un deficit labirintico acuto iatrogeno (neurectomia, lesione chirurgica accidentale) (4,9,14), da neurite vestibolare (7,9) e da herpes zoster oticus (15); in un caso di deficit cocleovestibolare acuto era presente una OTR (16). Vanno poi ricordati i casi di OTR parossi-


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L’Ocular Tilt Reaction

stica legata a patologie centrali (sclerosi multipla, ascesso cerebrale, inserzione di un elettrodo in regione periacqueduttale) o ad un “fenomeno di Tullio otolitico” da sublussazione della platina della staffa (17). Una forma “discendente” di OTR tonica è stata descritta in presenza di una lesione ischemica talamica purché paramediana e unilaterale (18); nelle lesioni talamiche posterolaterali o polari anteriori non si verifica una OTR; la possibile spiegazione è il coinvolgimento, nelle forme paramediane, dell’area paramediana rostrale mesencefalica (con il nucleo interstiziale di Cajal). Sono stati, infine, segnalati due casi di OTR “discendente” tonica parziale (limitata alla torsione oculare ed allo strabismo verticale) in presenza di una lesione ischemica o emorragica cerebellare monolaterale (19), lasciando ipotizzare un controllo inibitorio del nodulo sui nuclei vestibolari. Il decorso clinico dell’OTR tonica varia a seconda dell’eziologia; se l’OTR è conseguente ad una patologia periferica si verifica una regressione dei segni clinici nell’arco di alcuni giorni o settimane; in particolare tende a regredire più rapidamente lo strabismo verticale rispetto alla ciclotorsione (7,9). Se la lesione è centrale, l’evoluzione clinica dipende dall’estensione della lesione; nel caso di una emorragia o di un infarto monolaterale l’OTR scompare nell’arco di poche settimane o mesi (11,18); se invece la lesione è bilaterale e asimmetrica l’OTR può essere permanente (5).

Bibliografia 1. Westheimer G, Blair SM. The ocular tilt reaction: a brainstem oculomotor routine. Invest Ophthalmol 1975;14:833-9. 2. Rabinovitch HE, Sharpe JA, Sylvester TO. The ocular tilt reaction. A paroxysmal dyskinesia associated with elliptical nystagmus. Arch Ophthalmol 1977 Aug;95(8):1395-8. 3. Hedges TR III, Hoyt WF. Ocular tilt reaction due to an upper brainstem lesion: paroxysmal skew deviation , torsion and oscillation of the eyes with head tilt. Ann Neurol 1982;11:537-40.

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