03 - PAGANESIMO NORDICO - MAGGIO 2023

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Direttore Elisabetta Cardinali Vice Direttore Aron Biasiolli Impaginazione e Grafica

Il Tempio del Lupo Editore Edits www.iltempiodellupo.org

SOMMARIO.

4 EDITORIALE

Pensare il presente: uno sguardo alla religiosità etena

6 ANGOLO DEL GOTHI

Guerra, morte e saggezza: l’essenza di Odino, il Grande tra gli Dei

8 SAGHE NORDICHE, TRADIZIONI, MITI E LEGGENDE

L’enigma di Beowulf: un mistero lungo mille anni

14 PAGANESIMO E SOCIETA’

Uniti dagli Dei: la donna e il matrimonio nella cultura germanica

16 SCIAMANESIMO E SPIRITUALITA’

-Magia e stregoneria nel mondo nordico: partire dalle radici

-Sciamanesimo nel Kalevala e nella mitologia scandinava: gli antichi Finni come stregoni

23 PAGANESIMO DAL MONDO

-Uppsala: viaggio nel centro nevralgico dell’antica religiosità scandinava

-L’amuleto di Odino: cosa sappiamo sul tesoro del Dio dopo il ritrovamento in Danimarca

27 DEVOTI ALLA NATURA

Il Forest Bathing: cos’è e perché dovreste provarlo

30 IL PANE DEGLI DEI

Miele, frutta, bacche e idromele: la (rara) dolcezza nella tradizione culinaria delle genti nordiche

34 SAPEVATE CHE...

I vichinghi questi sconosciuti: alcune sorprendenti curiosità sui nostri predecessori nordici

38 UNA FINESTRA SU IL TEMPIO DEL LUPO

-Ritiro spirituale Islanda: la sperimentazione della comunità etenista italiana

-Uniti dagli Dei: il matrimonio pagano nordico ai giorni nostri. Celebrare il proprio matrimonio con l’associazione “Il Tempio del Lupo”

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PENSARE IL PRESENTE:

UNO SGUARDO ALLA SOSTANZA DELLA RELIGIOSITA’ ETENA

Cardinali

Se prendiamo in considerazione il panorama eterogeneo delle tendenze spirituali e delle iniziative religiose più o meno nuove presenti oggi in Italia e nel resto del continente europeo (che vogliamo intendere nella sua più ampia estensione geografica) notiamo come l’agglomerato di strutture valoriali e assetti di relazioni interni a piccole comunità così come ad intere popolazioni, non trovi spontaneo accordo con i modelli originari delle religioni cosiddette tradizionali, o vecchie religioni, data la natura meno sostanziale o, se vogliamo, meno compatta se non quando frammentata delle proprie concezioni sistemiche.

Da molti decenni ci troviamo di fatto nell’epoca in cui si sviluppa, prospera o sopravvive la macro società ‘liquida’ affetta dal cancro della globalizzazione e del relativismo diffuso. Un aggregato composito e difforme all’interno del quale la risorsa religione e le sue dinamiche di conservazione soffrono sotto la pressione del disinteresse agnostico, dell’attaccamento convenzionale a consuetudini o dell’adesione qualunquistica e disinformata alle mode correnti.

Un destino apparentemente ineluttabile che accomuna le sorti dei culti monoteisti a quelle delle antiche confessioni pagane che le precedettero di millenni e che maggiormente forgiarono il sostrato sociale e politico, insieme al tessuto connettivo economico e culturale di base che per millenni ha caratterizzato le genti d’Europa.

Rimanderemo ad un prossimo approfondimento l’ulteriore problematica che vede la contrapposizione sostanziale tra le confessioni pagane originarie alle correnti neopagane che dalla metà del XIX secolo si sono diffuse nel mondo occidentale. Tuttavia è interessante notare come il paganesimo sia diventato, soprattutto oggi, l’oggetto di una crescente attenzione da parte dell'opinione pubblica, in un momento in cui le religioni tradizionali, in particolare il cristianesimo e l'ebraismo in Europa e in Nord America, sembrano essere in declino nel perseguimento spasmodico di una ridifferenziazione interna che ne permetta la conservazione dello status quo.

E se questa sorta di ‘autoriciclo’ per la sopravvivenza nell’era attuale connota in modo inequivocabile l’intrinseca debolezza organica di di queste fedi, non altrettanto possiamo dire del paganesimo originario inteso nel suo senso classico, che pur assistendo ad una deterministica ma nel contempo disordinata evoluzione di correnti nuove, relega per sua stessa natura queste ultime in una dimensione parallela e mai intesa in senso connato o ereditario.

Nell’essenza ad esso connaturata, che intrinsecamente privilegia la stabilità a scapito del caos, il paganesimo oggi gode del vantaggio di potere rifiutare di per sé qualsiasi concezione di riadattamento coatto, ispirato da esigenze politiche o socio economiche imposte dalle dinamiche di corsa delle società in movimento. Libero dagli imbarazzi dei condizionamenti contingenti

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+ EDITORIALE.

passati e presenti, oggi esso può rialzarsi procedendo con fierezza oltre le macerie lasciate dai culti volgari che osarono oltrepassarlo o peggio, calpestarlo.

Se di scomparsa possiamo parlare, e questo avvenne realmente soprattutto sotto i colpi degli anni che segnarono la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel corso del IV secolo, questa si intende originata dallo schiacciamento imposto proprio da quelle stesse dinamiche che nella storia hanno fatto prevalere la ragione politica ed economica sul più nobile presupposto dell’anelito etico, pratico e spirituale dell’azione.

L’invasore, nascosto di fatto dietro al feticcio degli intenti di valore, ha ingannato la propria coscienza con l’illusione di un radicamento efficace e duraturo nel tempo, propagandolo alle masse, tradito esso stesso dalla finalità cieca di un’urgenza primaria, quella della dominanza, priva però della benedizione degli Dei.

L’insieme degli impulsi che portarono alla progressiva sostituzione del cristianesimo alle religioni politeiste dell’Europa continentale e nordica si può serenamente raccogliere sotto l’ombrello concettuale del termine ‘oppressione violenta’. Eppure, nel caso dei seguaci di Cristo, fino a quando essi rimasero un fenomeno minoritario, si ammantarono del sacro velo della tolleranza.

Niente tuttavia è destinato ad essere ciò che non può essere, né ogni ambizioso progetto privo della sua intrinseca propensione all’indipendenza potrà sopravvivere al giudizio impietoso della sua destinazione finale. Anche contro la natura più volubile del paganesimo romano o della polis greca annientata dal peso del tragico sviluppo delle proprie ambizioni democratiche, la religiosità germanica e nordica conserva quei valori immutabili che ricavano la propria forza non tanto dalle filosofie dell’amore

universale o da troppo alti ideali proiettati in un futuro che si ritiene già conquistato, ma nel qui ed ora, dal quale trae ispirazione la pratica terrena dell’azione quotidiana che è onore, saggezza, etica, virtù, guerra e infine morte, pur nel dialogo costante e consapevole con la sostanza della Deità.

Nessun tipo di riadattamento si confà dunque al carattere del paganesimo nordico oggi, poiché questo sfugge ormai alla dipendenza dalla necessità di sopravvivenza obbligata all’interno di una società. Quello che crediamo, è che l’unica destinazione certa e tangibile, stretta tra le nostre mani, sia quella che inevitabilmente sta portando alla riemersione delle direzioni di forza che generano l’elemento unico per la sua esistenza al di là delle epoche, ma senza sciocche credenze di predestinazione. Tutto ciò che sappiamo e che ci è dato constatare, è che non vi è altro di più che il destino forgiato dagli uomini sotto lo sguardo degli Dei.

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CREDITS: ARNOLD MIKKELSEN, THE NATIONAL MUSEUM OF DENMARK AP

GUERRA, MORTE E SAGGEZZA:

L’ESSENZA DI ODINO, IL GRANDE TRA GLI DEI

Versatile e potente, Dio di sapienza e furore: la forza di Odino, Dio supremo nella religione germanica e norrena, è associata a molti aspetti della vita umana tra cui la guerra, la saggezza, il commercio, la poesia e la magia. Conferimenti di valore che diverse culture gli attribuirono per riflettere la sua importanza in ogni ambito ideale e pratico di riferimento, chiamandolo in modo differente. Anche se il pantheon norreno comprendeva decine di divinità, Odino era una delle tre principali venerate nella religione norrena, insieme a Thor e Frey. Ogni nome ha un aspetto diverso e rappresenta un aspetto altrettanto complesso della sua personalità e dei suoi poteri.

di Gothi del Tempio del Lupo

Il Re e il Padre degli Dei e dei mortali, il Saggio, il Potente, il dio della morte, della saggezza, della magia: colui che ha mille nomi. Odino (dal norreno antico: Óðinn) è il principale dio nordico, conosciuto anche come Woden nella mitologia germanica, termine ricavato dall’antico inglese, Wodan in francone antico e Wutan o Wuotan in alto germanico antico antico, in proto-germanico: *Wōdanaz.

Odin, Allfather, Grimnir, Woden e molti altri dunque. Ci sono diverse spiegazioni per le quali egli è chiamato in tanti modi. Una di queste è che, come dio della guerra e della sapienza, è stato venerato in molte culture e regioni diverse della Scandinavia e dell'Europa centrale. In ognuna di queste egli era conosciuto.

Anche chiamato in lingua italiana ‘Padreterno con un occhio solo’ sacrificato per poter vedere tutto ciò che accade, la sua essenza viene indicata anche con la forma norrena del dio germanico Wotan e del dio anglosassone Woden, seppure entrambi sembra fossero descritti con due occhi.

Padre di Baldr e di Thor, Odino è colui che tutto

vede. Pose infatti uno dei suoi occhi nel pozzo del gigante Mimir e si gettò sulla sua lancia Gungnir in una sorta di suicidio simbolico. Si appese poi a Yggdrasil, l'albero della vita, per nove giorni e nove notti, al fine di acquisire la conoscenza di altri mondi e poter comprendere le rune. Imparò l'arte magica della profezia dalla dea Freyja.

Durante le sue azioni sacrificali, ebbe visioni e ricevette una saggezza segreta. La conoscenza magica acquisita lo rese in grado di curare i malati, calmare le tempeste, rivolgere le armi contro i suoi aggressori, far innamorare le donne e rendere innocue le pericolose donne troll, spesso solo con uno sguardo.

Odino era anche un mutaforma in grado di far viaggiare la propria essenza attraverso luoghi e mondi diversi ma non senza la presenza dei suoi fidi compagni di viaggio. Sleipnir, il cavallo a otto zampe, è il fido destriero che corre con Lui attraverso le dimensioni dei mondi. Geri e Freki sono i suoi lupi onnipresenti in viaggio, nelle avventure e in battaglia. Non un aspetto della ricerca della conoscenza è escluso

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dall’ampio raggio di volontà del supremo: i due corvi Hugin e Munin, simboleggianti il pensiero e la memoria, volano sempre a guardia della sapienza e riferiscono ciò che vedono.

Anche se secondo molti studiosi la posizione all'apice della gerarchia di quello che possiamo a pieno titolo chiamare ‘Padre di tutti’ (Allfather) potrebbe essere un'evoluzione successiva, la figura di Óðinn, assai più complessa e diversificata negli aspetti di potenza rispetto agli altri Dei, rimane immutata nell’immaginario e nella concreta struttura di credenze all’interno dell’estesa famiglia dei pagani nordici ed etenisti.

Dio del Mistero

In generale l'idea è che la molteplicità di nomi di Odino sia legata alla sua estrema importanza come figura religiosa, nell'antica cultura Nordica, ma anche alla sua versatilità e al suo essere un dio del mistero. Egli infatti era spesso venerato sotto nomi segreti e misteriosi, che erano conosciuti solo dai sacerdoti e dai fedeli più devoti. Questi erano considerati sacri e non venivano condivisi né enunciati pubblicamente.

Dopo essere stato iniziato ai misteri delle rune, Odino raccontò:

“Poi fui fecondato e divenni saggio; Sono cresciuto e ho prosperato.

Da una parola a una parola fui condotto a una parola,

Da un'opera a un'opera sono stato condotto a un’opera".

Equipaggiato con la conoscenza di come maneggiare le rune, divenne uno degli esseri più potenti e completi del cosmo. Imparò canti che

gli permisero di guarire ferite emotive e corporee, di legare i suoi nemici e rendere inutili le loro armi, di liberarsi dalle costrizioni, di spegnere gli incendi, di smascherare e scacciare i praticanti della magia maligna, di proteggere i suoi amici in battaglia, di risvegliare i morti, di conquistare e mantenere un'amante e di compiere molte altre imprese come queste.

"Sacrificare me stesso a me stesso".

La nostra fonte è l'Hávamál, un poema norreno antico che fa parte dell'Edda poetica. Nel primo dei due versi che descrivono l'ordalia sciamanica di Odino (scritti dal punto di vista di Odino), il dio dice di essere stato "dato a Odino, io a me stesso”.

Il calvario di Odino è quindi un sacrificio di se stesso a se stesso, ed è il sacrificio odinico definitivo - perché quale offerta potrebbe essere più nobile al dio se non il dio stesso?

"Gefinn Óðni” dal norreno antico è una frase che ricorre molte volte nella Edda e nelle saghe nel contesto dei sacrifici umani a Odino. E in realtà, la forma che i sacrifici menzionati assumono, rispecchia il calvario di Odino nell’Hávamál, dove la vittima viene impiccata, pugnalata o entrambe le cose.

Secondo l’Edda, spetterà ad Odino guidare gli dei e gli uomini contro le forze del caos nell'ultima battaglia del Ragnarok, alla fine della quale verrà ucciso dal lupo Fenrir, per essere poi immediatamente vendicato da Viðarr il quale, dopo avergli piantato un piede nella gola, ne squarcerà le fauci.

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MI CHIAMANO

Odino, Oden, Woden, Wōtan, Wotan, Wodan, Wuotan, Wotun, Wuotun, Wodanaz, Votan, Odhinn, Odinn, Uller, Ullr, Ollerus, Oller, Aldrian, Audun, Bageras, Bågǫ, Báleyg, Balyg, Bolverkr, Baugi, Baldur, Bel, Bileyg, Glapsviðr, Gagnráðr, Gangr, Garor, Geirvaldr, Hillel, Ygg, Yggr, Yggdrasill, Gylfi, Hiarrandi, Hroptr, Höðr, Hrafnáss, Hrafn, Grímr, e Gangleri, Herjan, Hjálmberi, Þekkr, Þriði, Þuðr, Uðr, Helblindi, Hár, Saðr, Svipall, Sanngetall, Herteitr, Hnikarr, Bileygr, Báleygr, Bǫlverkr, Fjǫlnir, Grímnir, Glapsviðr, Fjǫlsviðr, Síðhǫttr, Huginn, Kinntǫrr, Kvasir, Síðskeggr, Sigfǫðr, Hnikuðr, Allfǫðr, Atríðr, Farmatýr, Óski, Ómi, Jafnhár, Biflindi, Gǫndlir, Hárbarðr, Sviðurr, Sviðrir, Jálkr, Kjalarr, Viðurr, Þrór, Yggr, Þundr, Vakr, Skilfingr, Váfuðr, Hroptatýr, Gautr, Veratýr, Ófnir, Sváfnir.

COSI’ LO CHIAMEREMO E IN INFINITI ALTRI MODI ANCORA, TANTE

VOLTE QUANTE SONO LE VIE, LE LINGUE E LE GENTI PRESSO LE QUALI

LO TROVEREMO. PERCHE’ CONOSCE L’ORIGINE DI OGNI COSA ED E’ LUI

L’ETERNO SAPIENTE PADRONE DELLA DISPUTA, DOMINO SULLE CREATURE

ERUDITE ED ANTICHE, DISPENSATORE DI DESTINI SULLA MORTE E NELLA GUERRA. E’ LUI L’ETERNO SAGGIO, SUPREMO CONOSCITORE

DELL’ARTE RUNICA, DELLA MAGIA E DELLA POESIA ALLO STESSO TEMPO.

L’ENIGMA DI BEOWULF

LA FORZA DI UN MISTERO LUNGO MILLE ANNI

“I guerrieri di suo padre erano avvolti attorno al suo cuore/ Con anelli d'oro, legati al loro principe/ Dal tesoro di suo padre. Così i giovani costruiscono/ Il futuro, saggiamente a mani aperte in pace / Protetti in guerra; così i guerrieri guadagnano la loro fama e la ricchezza è plasmata con una spada”.

di Halfdan Fjallarsson

Tra le figure eroiche del Nord Europa, quella di Beowulf spicca in modo particolare. Protagonista dell’omonimo poema trascritto in lingua anglosassone e cristianizzato da un amanuense anonimo il cui unico merito fu metterlo in forma scritta, forse da una precedente fonte andata perduta. Beowulf è ritenuto una figura leggendaria. Questo è il solito vizio (o modus operandi) del mondo accademico occidentale che vuole immaginarie le figure che ispirano determinate virtù quali il coraggio, l’abnegazione e la lealtà, nel caso del nostro eroe. Per fortuna, non tutti gli studiosi sono di questo parere.

L’enigma che accompagna da sempre Beowulf è appunto il dilemma se questa figura, sia o meno stata reale. Nel poema sono citati i suoi antenati (il padre Ecgþeow), la sua stirpe di appartenenza (i Wægmunding) e le sue gesta successive all’uccisione di Grendel e della madre. Se è vero che nei secoli si sono sempre creati racconti ogni genere per gli scopi più disparati, è anche vero che il riportare fatti e personaggi mai esistiti (quindi dare una falsa testimonianza) era quanto mai riprovevole, soprattutto in una società quale quella germanica, dove l’onore e la sincerità erano virtù molto apprezzate. D’altronde, se gli eroi non fossero mai esistiti, non ci sarebbero cosi tanti racconti sulle loro gesta. E’

quindi più che lecito porsi delle domande a riguardo e, nel caso specifico di Beowulf sarebbe stupido non farsele visto il contesto storico in cui il poema è collocato, con precisi riferimenti storici e geografici.

Il Poema

Amatissimo da J.R.R. Tolkien, è il più antico componimento in lingua anglosassone giunto fino a noi. I suoi 3182 versi raccontano le vicende dell’eroe Beowulf, giunto in soccorso del re danese Hroðgar, il cui regno era avvolto nel terrore e nella disperazione a causa degli attacchi del mostro Grendel. Il contesto storico in cui è collocato presenta molte correlazioni con la scandinavia del V° secolo d.C. ma la scarsità di fonti scritte del periodo non ha mai permesso una lettura univoca, relegandolo ad un racconto di fantasia. Secondo la linea di pensiero ancora in vigore, neanche le recenti scoperte archeologiche nelle aree descritte nel poema (l’odierna Lejre in Danimarca) hanno potuto dare una risposta all’enigma. A livello di opera letteraria, è da molti considerato una “Storia di guerrieri”, fatta per intrattenere. Se cosi fosse però, vista la mole e la qualità dei versi, sembra molto strano che l’autore sia voluto rimanere anonimo e che non si abbia notizia della sua declamazione in nessuna delle corti nord-europee

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dell’epoca. Altro fattore importante che ci porta a supporre che non sia un racconto di fantasia al 100% è la mole di personaggi presenti nel poema. Da re Hroðgar alla regina Wealhþeow passando per il dubbioso Unferth, abbiamo decine di figure che compaiono nella storia, le quali non sono i soliti “archetipi” comuni alla narrativa epica di tutta Europa, ma citati come persone reali, vive o defunte.

Un mistero lungo mille anni

Uomo contro mostro, Beowulf contro il “demone” Grendel. Sembrerebbe la più semplice e banale delle trame. Ma cosi non è. Seppure la figura del nostro eroe è ben definita (la sua nascita è stata datata nel 495 d.C.) quella di Grendel è un assoluto mistero. Associato spesso alle figure del folklore scandinavo quali i Troll. Queste creature note in tutto il nord ma presenti massicciamente nelle fiabe norvegesi, sono state descritte con dovizia di particolari. Le loro abitudini (come abitare le grotte e gli acquitrini ) erano ben note alle popolazioni del nord, che prendevano spesso precauzioni per non incontrarli tanta era la paura che questi suscitavano. Una delle peculiarità ricorrenti è l’odio per gli umani, soprattutto se cristiani, e la pratica della magia nera, usata soprattutto dalle femmine della specie, tratto in comune con la madre di Grendel. Queste sono comunque, ipotesi, supposizioni, tentativi quasi insignificanti di spalancare le porte dell’ignoto. L’abisso delle conoscenze perdute sul passato arcaico del Nord Europa è ben più profondo del Mar Baltico.

La forza di Beowulf

Può sembrare strano porsi una simile domanda su di un personaggio forse immaginario, ma nel poema è scritto chiaramente che la forza di Beowulf superava quella di qualsiasi altro uomo. Difatti egli affronta Grendel a mani nude, usando tecniche di lotta (probabilmente quel tipo di lotta praticata nel

nord europa che è arrivata ai giorni nostri col nome di Glima) fino a strappargli un braccio dalla spalla. Tutto assolutamente normale in un racconto fantasy, totalmente fuori da ogni logica nell’alto medioevo cristiano dove ogni aberrazione era già “opera del maligno”. Non contiamo poi la gara di nuoto con l’amico Breca durata ben cinque giorni nel Mar Baltico dove l’acqua non ha assolutamente temperature “tropicali”.

La spada dei giganti

Durante lo scontro con la madre di Grendel, Beowulf è in seria difficoltà poiché non riesce a ferire il mostro con la spada donatagli da Unferth. Nel momento del bisogno, trova un artefatto “impossibile”, una spada antichissima definita opera dei giganti e con essa riesce ad abbattere la strega della laguna. Anche in questo caso gli interrogativi sono parecchi. Si trattava di una spada runica? Come faceva Beowulf a sapere che la spada sarebbe stata efficace contro la madre di Grendel? E perché l’eroe non riportò l’arma con se come bottino di guerra?

Il salto narrativo

Dopo la vittoria sulla “stirpe di Caino” il poema fa un salto narrativo di ben cinquant’anni, con Beowulf re dei Geati ormai anziano ma ancora forte e determinato. Perché questo salto? Sappiamo che dopo gli eventi in Danimarca, egli partecipò a numerose guerre ed infine divenne re del suo popolo essendo comunque di sangue reale da parte della madre. Ma perché questo lunghissimo lasso di tempo ? Beowulf faceva parte di qualche confraternita di guerrieri le cui imprese non dovevano essere narrate? Berserkir e Ulfhednar esistevano ben prima dell’era vichinga e non è improbabile che un guerriero rinomatissimo come lui potesse farne parte o addirittura esserne uno dei maestri. I culti odinici infatti non erano di pubblico dominio e, a parte la.

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componente sciamanica, non sappiamo praticamente nulla di come si svolgessero e quali effetti avessero su chi li praticava.

Il drago

Un drago messo a guardia del tesoro di un tumulo, viene svegliato dal suo sonno e devasta le lande di cui Beowulf è re. Anche qui tutto “normalissimo”. Si trattava veramente di una bestia sputa fuoco? O era semplicemente un espediente narrativo per dare commiato all’eroe con una morte epica? Una ben più credibile “battaglia finale” con qualche re rivale non sarebbe stata meglio? L’intento del narratore era forse quello di mettere Beowulf allo stesso livello del più famoso ammazza-draghi del Nord ovvero Sigfrido? Questo probabilmente non lo sapremo mai. L’eredità lasciataci dal poema ha contribuito enormemente a tutta la letteratura anglosassone fino ai nostri giorni influenzando autori come il già citato J.R.R. Tolkien ma anche il padre della

“Sword & Sorcery” Robert Ervin Howard creatore di personaggi immortali come Conan di Cimmeria e Kull di Valusia che devono tantissimo al re dei Geati.

"E poi gli costruirono, al principe dei Geati su quella terra, un rogo non meschino, e vi appesero gli elmi e le tavole della battaglia, le cotte chiare, come gli aveva chiesto. E in mezzo ci distesero il loro re famoso, i soldati, piangendo, il loro amato signore”.

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UNITI DAGLI DEI:

IL MATRIMONIO NELLA CULTURA GERMANICA

Il rito matrimoniale, comune a tutte le culture del mondo fin dalla nascita delle prime società preistoriche, sancisce da millenni nella pratica e dell’ideale collettivo la forma di patto sociale per il quale si dà vita ad un nucleo famigliare che possiamo definire il fondamento e motore primario dell’aggregato complessivo di una comunità.

Da esso origina la vita attraverso la riproduzione e da un punto di vista antropologico esso soddisfa la necessità atavica di una più agevole gestione e redistribuzione delle risorse interne ed esterne all’interno in un determinato sistema.

Questo legame, socialmente riconosciuto tra individui, è quindi catalogato come istituzione universale comune a tutti i popoli e a qualsiasi livello di civiltà; quel patto pratico fondamentale dal forte valore simbolico che anche all’interno della cultura germanica e nordica in generale, assumeva una valenza centrale per lo sviluppo della vita e delle attività della tribù.

di Redazione

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Contrariamente a quanto potremmo pensare, le donne all’epoca degli antichi germani godevano di alcuni diritti inescludibili e sicuramente vantaggiosi per la società in cui esse si trovavano a vivere.

Nonostante il relativo obbligo all’unione matrimoniale avvenisse per le giovani nordiche in un’età che noi potremmo definire precoce, ma assolutamente normale per il tempo, esse non venivano private di qualche libertà fondamentale. Possiamo dunque affermare che questo privilegio storico fosse concesso in maniera maggiore rispetto alle contemporanee delle diverse altre aree geografiche e appartenenti ad altre culture (o culture similari).

In sintesi, esse godevano di maggiori libertà rispetto alle altre donne della loro epoca. Finché non erano in condizioni di schiavitù e sempre secondo le regole d’onore concordate per la tutela delle rispettive proprietà dei campi e dei raccolti, le donne germaniche potevano infatti ereditare beni, chiedere il divorzio, reclamare la dote in caso di matrimonio finito, cercare in primis un partner adatto. Tuttavia, c'erano dei limiti alla portata di queste ‘pari opportunità’. Ad esempio, nell'epoca vichinga solo gli uomini potevano comparire in tribunale ed erano gli unici detentori del potere politico.

Oltre alla cura dei bambini e degli anziani, il ruolo della donna in questo periodo storico consisteva anche nel presidio del villaggio e delle sue pertinenze quando l'uomo veniva chiamato in spedizione. Soprattuto dal momento in cui la nave salpava dal fiordo, era Sua responsabilità assicurare il raccolto e con esso la sopravvivenza delle genti facenti parte della comunità.

Gran parte del suo tempo era occupato anche dalla lavorazione della lana, dalla filatura, dal cucito e dalla tessitura per l'autoconsumo della famiglia. Tutti i membri del nucleo, indipendentemente dal sesso e dall'età, probabilmente aiutavano a svolgere le mansioni quotidiane.

Il matrimonio

Lo spartiacque nella vita di una donna appartenente alla cultura germanica e nordica era, come abbiamo capito, comunque il matrimonio. Esisteva idealmente una sorta di comunione di intenti nel momento in cui sia la donna che l’uomo, con riferimento allo stato del singolo, ‘si sposavano’ mentre il concetto era destinato a cambiare dopo il matrimonio, per cui il marito e la moglie erano destinati al ‘possedersi’ a vicenda.

Sempre da quanto traspare dal racconto delle saghe e a conferma di quanto affermato precedentemente pare esistesse una ‘morale nascosta’ in relazione alla scelta del marito da parte della donna. Un iter decisionale nel quale probabilmente la famiglia aveva un ruolo molto influente anche se, come detto, quando si avviava il processo di corteggiamento un padre non aveva bisogno di chiedere l'opinione della figlia sul maschio interessato. Nonostante tutto, la reputazione e il posto nella società rimanevano legati a quello del coniuge.

Nel prossimo appuntamento avremo modo di affrontare ulteriori aspetti del ruolo femminile nella cultura germanica e nordica all’interno delle dinamiche famigliari con le dovute differenze territoriali e temporali che ben caratterizzano le differenti fasi dello sviluppo di questa società, assieme alle peculiarità delle ritualità che caratterizzavano le diverse ritualità.

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MAGIA E STREGONERIA NEL MONDO NORDICO:

PARTIRE DALLE RADICI

Molto prima di affrontare l’argomento della magia e della pratica cosiddetta ‘stregonica’ che si sviluppò e sopravvisse per lunghi secoli nel mondo germanico e nordico dalla sua nascita, vale la pena approfondire il vasto sommerso delle argomentazioni che sottendono alla nascita del pensiero esoterico nella tradizione spirituale dei popoli antichi.

di Ylenia Oliverio

La storia della mitologia germanica e la sua stessa sostanza storica, molto lontana dall’intenzione divulgativa pubblica come oggi la conosciamo, risulta nell’epoca contemporanea molto complessa agli studiosi come agli appassionati conoscitori della materia ovvero i neofiti. Essa sfugge infatti alle diverse direzioni di classificazione intentate nel corso dei decenni.

L’intero organigramma della narrazione non ha un corpus omogeneo ed ha in parte beneficiato di una chiara intenzione di strutturazione sistemica. Lo sforzo intellettuale rilevato nell’area degli studiosi che vi si dedicarono lo possiamo rilevare per esempio dal lavoro di analisi di Georges Dumézil, filologo linguista e studioso delle religioni noto per aver formulato l'ipotesi trifunzionale sulla mitologia e sulla società protoindoeuropea sotto l’influenza del famoso filologo olandese Jan de Vries e anche da Otto Höfler.

Parliamo del modello ternario che organizza la relazione tra le diverse categorie del sistema delle antiche società indoeuropee caratterizzate da una gerarchia trifunzionale composta rispettivamente da sacerdoti, guerrieri e popolani.

Proprio da questo assunto, ovvero dalla concezione storica derivante dalla prima categoria, espressa e parte di una una riflessione non unica sulla pratica (il modello trifunzionale di Dumézil) i sacerdoti erano responsabili del mantenimento della sovranità magico/ giuridica, i guerrieri dell'esercizio della prodezza fisica mentre i popolani erano responsabili della promozione del benessere fisico, della fertilità e fecondità.

Secondo il contributo fondamentale fornito da Régis Boyer, docente di lingue, letterature e civiltà scandinave nell’Università di Parigi-Sorbona e direttore dell’Institut d’Études Scandinaves presso lo stesso ateneo a tal proposito, ci espone invece una diversa struttura tripartita di modello verticale.

L'autore seleziona tre livelli di importanza ed unicità per il popolo in esame: Sole, Acqua e Terra. Strutture che godono di una propria differenziazione rispetto a tutti gli altri gruppi mitologici intesi come luoghi che si interrelazionano nel mondo pagano del nord.

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"L'universo religioso e mentale dei popoli germanico/ nordici del passato è talmente intriso di magia che studiarlo significa analizzarne l'importanza, il ruolo e le sfumature nozionistiche" (Boyer)

È importante sottolineare la ricca diversità del mondo nordico medievale, un'area che abbracciava gran parte del Nord Europa, tra cui la Groenlandia, l'Islanda, le Fær Øer, le Shetland e parti delle regioni insulari e Scozia costiera; comprendeva anche l'odierna Norvegia, Danimarca, Svezia e Gotland, ma anche parti della Finlandia costiera e altre aree intorno al litorale baltico, e si estendeva a sud della Germania.

Il mondo nordico religiosamente inteso si rivela di per sé come una complessa e ramificata catena esoterica che confluisce da molteplici realtà culturali e sociali. La Scandinavia tardo medievale possedeva economie sia alpine che marittime, snodata i territori ricchi di terreni agricoli, miniere, valli remote, fattorie isolate, varietà di persone (nate all'estero e autoctone) parlanti in vari dialetti germanici, finnici e balto-slavi. Uno scenario sempre più fertile per la proliferazione di più culture esoteriche che sfociano nelle pratiche del simbolo runico.

La stregoneria in primis si amplifica tra i ceppi euro asiatici e le snodate linguistiche occidentalizzate.

Il mondo nordico è ricco di risorse per lo studioso della cultura popolare medievale, forse soprattutto per quanto riguarda la stregoneria: Stephen Mitchell nota un'ampia gamma di testi non normativi, fornendo approfondimenti su come l'immagine della strega sia stata costruita nel mondo scandinavo, fornendo opportunità di esaminare realtà che vanno oltre le condanne della magia e dei suoi praticanti, da parte di autori che rappresentano la chiesa e lo stato.

Su tutti questi materiali che siano leggi, letteratura, cronache storiche, statuti, poemi scaldici, preghiere, arti, bisogna porsi le stesse domande: non solo quando e dove furono scritti, ma anche per chi, a quale scopo, sotto quale influenza.

Tra i documenti più rilevanti che accennano alle prime pratiche ci sono quelli scritti da e per conto della chiesa. Divieti contro la stregoneria e la magia furono sviluppate e promulgate prima di tutto da questo sottile segmento della società, ed è in modo schiacciante la fonte che diffonde informazioni su gran parte della stregoneria nordica medievale.

Nessuno di questi codici, è abbastanza antico da fornire una testimonianza diretta sull'XI secolo, ma la ricostruzione attraverso il dato storico è la perfetta chiave di lettura che ci permette di applicare una parziale ricostruzione del culto pagano.

Molti testi che legiferano contro le pratiche pagane possono essere tra le nostre più affidabili fonti, che ci permettono di indagare e vedere i dati della prima stregoneria nordica, cioè opinioni su questo mondo che non sono state plasmate, decontestualizzate e distorte per meri scopi narrativi.

Così, ad esempio, gli statuti che regolano l'area del fiordo occidentale della Norvegia, Gulaþingslög, conservati principalmente nei manoscritti del XIII secolo, ma che si ritiene siano stati registrati per primi un secolo prima e abbiano radici orali ancora più antiche, sono uno specchio della realtà pagana.

Un'ulteriore importante finestra su quel mondo, che annulla la distanza culturale che si lega alle fonti testuali, è fornita dalla documentazione archeologica.

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La chiave della nostra comprensione è il fatto che, sebbene il contenuto di certe iscrizioni possa essere correttamente inteso come relativo al mondo religioso degli scandinavi precristiani e cristiani, la scrittura stessa non è né più né meno ''carica'' di quanto sarebbe se fosse scritta in caratteri latini su pergamena.

“Nella società senza memoria collettiva l’organizzazione avviene in tre tempi: identità collettiva del gruppo, che si fonde nei miti; il prestito della famiglia dominante; il sapere tecnico, che si trasmette attraverso formule pratiche intrise di magia religiosa”. (Le Goff)

Lo studio di Walter J. Ong ha gettato la base per molti innovativi processi di antropologia del ‘900 in tema di ricezione e trasmissione delle culture arcaiche. Specificando che queste sono culture che viaggiano sui suoni del mito. Anche Tacito, nel parlare del popolo germanico specifica lo stretto rapporto che coesiste tra resoconto storico/leggendario del mito e la tradizione poetica orale.

È con gli studi del romanticismo tra il 700/800 di ambiente tedesco che autori come Lachmann, sull’osservazione di Wolf, scopre che sulla poesia arcaica e le tradizioni popolari naviga un frutto di un bagaglio culturale tutto ancora in esplorazione.

Lachmann elaborò da qui una teoria di composizione poetica (Liedertheorie) che trovò applicazioni nella raccolta epica del Kalevala. Solo dopo secoli, con il lavoro di autori come Parry e Lord, si accorpa nella rielaborazione la così definita Oral-formulaic Compisition Theory, focalizzata sul rapporto oralità e memoriali.

Questo non per avvalorare l’importanza di una tradizione orale rispetto ad una scritta, ma per riuscire a portare una sorta di chiarezza su fondamentali

aspetti dell’oralità, che non deve mai esser sminuita né ostacolata rispetto ad un’altra tradizione.

La stregoneria in Islanda differiva per molti aspetti da quella trovata altrove; in considerazione del fatto che la struttura sociale ed economica dell'Islanda differiva da quella di altri paesi.

Le vittime della persecuzione tendevano ad essere persone comuni, alcune anche abbastanza benestanti. In Islanda solo pochissime donne furono accusate di praticare la stregoneria; la ragione principale di ciò era che la stregoneria in Islanda era legata a un'area di conoscenza che era stata per lungo tempo sotto il dominio degli uomini.

La maggior parte dei casi di ritrovamento di manufatti di artigianato nell'Islanda del XVII secolo riguardava rune o simboli magici che potevano essere scritti su vellum o carta, o scolpiti in legno, osso o altri materiali, da soli o in connessione con qualche incantesimo.

Spesso si trattava semplicemente di lettere dell'alfabeto latino, ma erano comuni anche lettere runiche o caratteri composti da più rune unite insieme o modellate secondo qualche altra regola dispositiva rappresentata come “darkletter”.

Si credeva che nella lingua stessa ci fosse una forza capace di alterare il corso degli eventi, una forza che poteva essere usata nel bene o nel male. Questa credenza nel potere del linguaggio è chiaramente manifestata nei documenti relativi ai processi di stregoneria in Islanda, nella stragrande maggioranza dei quali si possono trovare riferimenti a lingua scritta di qualche tipo, sia su fogli singoli, in opuscoli, sia su tavolette.

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Tutti questi scritti hanno come base una semiologia del tutto estranea alla mente moderna. Un simbolo individuale era più di un semplice segno materiale o la rappresentazione fisica della realtà. I suoi elementi non erano due, come lo sono per noi ora, significato e forma, ma piuttosto tre: accanto al suo significato e alla sua forma fisica c'era un altro elemento e un’altra forma, ma con un'importanza piuttosto profonda che può essere chiamata "potenza" del simbolo. Il “Megin”.

Questo potere risiedeva all'interno del simbolo stesso, ed era separato e indipendente dalle forze esterne. Il risultato è il forte legame tra il simbolo e oggetto, tra idea e numero, che racchiudeva il significato di tutto il mondo naturale circostante.

SCIAMANESIMO NEL KALEVALA E NELLA MITOLOGIA SCANDINAVA:

GLI ANTICHI FINNI COME STREGONI

Il terzo appuntamento con lo studio dello sciamanesimo baltofinnico si concentra ancora una volta sulla peculiarità della pratica sciamanica nel Kalevala e nella mitologia scandinàva con delle ultime importanti riflessioni. Numerosi sono i racconti scandinavi che identificavano gli antichi Finni come stregoni: la stessa etimologia del termine Finni indicava ciò. La dimensione prettamente sciamanica della religiosità propria delle popolazioni baltofinniche era più che manifesta agli occhi di chi la osservava ed è possibile rintracciare sopravvivenze di quest’ultima anche nel Kalevala.

di Marco Alimandi

I runi aventi al loro interno elementi sciamanici - ossia viaggi verso un’altra dimensione, solitamente ctònia, e incantamenti lirici - vennero definiti da Martti Maavio e da Matti Kuusi come i più antichi fra quelli contenuti nel Kalevala. Il «Viaggio a Tuonela», il «Viaggio nel corpo di Vipunen» e la «Sfida di canti tra Väinämöinen e Joukahainen» sono infatti evidenti testimonianze di un sostrato magico-sciamanico arcaico proprio non soltanto delle genti baltofinniche ma comune ai vari popoli uralici e indoeuropei dell’area artica e subartica.

Juho Pentikäinen ricorda come:

[...] la presenza degli stessi miti sciamanici nell’epica baltofinnica, sámi, scandinava, uralica e altaica suggerisce che i temi in questione possano essere particolarmente arcaici. La vasta distribuzione geografica dello sciamanesimo nell’area artica e subartica dimostra che si tratta di uno dei fenomeni culturali più antichi: doveva essere praticato migliaia di anni fa, anche prima delle migrazioni. Se lo sciamanesimo fosse databile a quattromila o cinquemila anni fa, potrebbe risalire al periodo degli ipotetici contatti fra i popoli uralici e indoeuropei.

Elementi comuni alle popolazioni germaniche e a

quelle baltofinniche si ritrovano fra i runi del Kalevala precedentemente citati e i poemi scandinàvi della Sæmundar Edda.

Il «Viaggio a Tuonela» e il «Viaggio nel corpo di Vipunen» presentano al loro interno episodi sciamanici di traversamento fra mondi e di negromanzia: nel secondo runo qui citato, il gigante Vipunen viene risvegliato dal suo sonno di magia tramite un incanto pronunciato da Väinämöinen mentre nel primo è lo stesso Väinämöinen a scendere nel reame di Tuonela, ossia il regno dei morti. Per quanto concerne il mondo germanico, è sufficiente rifarsi alla tradizione scandinàva della discesa dell’ase Óðinn in Niflhel, il regno delle nebbie, per interrogare sui fati del figlio Baldr una veggente appartenente alla stirpe dei giganti e che lì giaceva. Anche in questo caso la morta risorge grazie al canto magico di Odin.

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La «Sfida di canti tra Väinämöinen e Joukahainen» presenta similitudini con il certamen di sapienza svoltosi in Jǫtunheimr fra l’ase Óðinn e il gigante Vafþrúðnir, vinto dal primo e conclusosi con l’uccisione del secondo4.

Ulteriore indizio da non trascurare è il legame etimologico e semantico fra il finn. runo, alla base del termine finn. runot che designa i canti del Kalevala, e i sostantivi germanici legati al concetto di runa come segno grafico e magico.

Il sostantivo finn. runo si lega etimologicamente nella sua origine al mondo germanico. Immediato è il confronto con il sost. in accusativo p-norr. runo “segreto, mistero; segno, iscrizione, messaggio” inciso sulla pietra di Einang (Einangstein, Fagernes, Innlandet, Norvegia.) e con il sost. got. rūna il cui significato è desumibile dalla traduzione in gotico della Bibbia dei 70 operata dal vescovo Wulfila nel IV secolo.

Nella suddetta traduzione vi sono quattro attestazioni dei sost. got. rūna, garuni fra cui Luca 8:10 «[...] i misteri del regno di Dio [...]» in cui il sostantivo gr. μυστήριον “mistero, segreto” viene reso da Wulfila con il got. rūna5.

1 SIMEK 1984, pp. 94-95, voce ‘fiðr’: norr. allotropo di finnr “finlandese, stregone, troll”, attestato in Sæmundar Edda, Vǫluspá 16 come nome di un nano; nel secolo XI d.C. divenne anche nome di persona maschile. «Die Finnen hatten in mittelalterlichen Skandinavien einen Ruf als Zauberer und auf diese Funktion dürfte sich der Zwergenamme F. beziehen».

2 PENTIKÄINEN 2014, p. 259.

3 Sæmundar Edda, Baldrs draumar 4: «[...] nam hann vittugri | valgaldr kveða, | unz nauðig reis, | nás orð of kvað», ossia «[...] egli [Óðinn, NdT] recitò a colei che vedeva lontano un incantesimo per i morti, finché la

morta a forza non si destò e subito pronunciò queste parole».

4 Sæmundar Edda, Vafþrúðnismál.

5 LOOIJENGA 2003, pp. 7-8.

Il sost. gr. μυστήριον reca con sé un’aurea di significato legata al mondo esoterico-iniziatico della Grecia arcaica e politeista. La scelta filologica operata dal goto Wulfila non può certamente essere casuale. Conoscitore sia della lingua gota che di quella greca, all’epoca lingua della koinè cristiana, Wulfila scelse il termine rūna con un chiaro intento programmatico: rendere più manifesto e comprensibile all’uditorio goto il testo sacro di una religione avulsa da quella germanica.

A ciò si lega l'enorme importanza rivestita dalle rune nel mondo germanico - sia continentale che scandinàvo. Quanto appena detto è espressamente manifesto nella mitologia scandinàva dove l’ase Óðinn offrì sé stesso come sacrificio per ottenere la conoscenza dei segni runici e della loro valenza magica. Le rune vennero poi donate dallo stesso Óðinn agli uomini e perciò, a buon diritto, si potrebbero definire come ‘misteri di Óðinn’.

L’origine comune del got. rūna e del p-norr. runo è da ricercarsi nel p-germ. *rūnō “segreto, mistero; segno grafico” e seppure il finn. runo “canto, poema” muti apparentemente di campo semantico, rimane indissolubilmente legato alla dimensione mistericosacrale germanica dove Óðinn praticava incanti magici, identificabili con il sost. norr. galdr “canto, incanto magico”, di cui le rune erano elemento imprescindibile in quanto segni magici che svelavano i loro misteri con il canto.

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Infine, in ambito finnico - ricorda Domenico Comparetti - oltre al sostantivo runo anche il sostantivo virsi va a indicare il canto lirico ma fra i due è il primo a essere il più arcaico in quanto risalente all’epoca pagana - il sost. virsi risulterebbe essere un prestito dalla liturgia latinoecclesiastica in quanto a quest’ultima solitamente si riferisce.

Insomma una è la parola per cui si distingue e caratterizza la poesia tradizionale dei Finni, la parola runo, così pel soggetto come per la forma che è unica ed essenzialmente sua. Uno solo è il metro per tutti i canti d’ogni natura, epici, magici, lirici, una è la norma di composizione per tutti come c’è in tutti una singolare omogeneità nel tono e nello stile. Unica è la runa, uno è lo stampo avito, creato dai padri in antichi tempi, col quale nacque, crebbe, visse, sopravvisse e si propagò questa poesia fino ai giorni presenti6.

Sia i tietäjä7- sciamani dei Finni - che i noita8sciamani dei Sámi - sono custodi di una tradizione arcaica, comune ai suddetti popoli. Da questa si svilupparono i canti del Kalevala e le leggende sámi che con i primi presentano numerosi parallelismi.

BIBLIOGRAFIA

COMPARETTI 1891 COMPARETTI D., Il Kalevala o la poesia tradizionale dei Finni, Roma, 1891

LOOIJENGA 2003 LOOIJENGA T., Texts & contexts of the oldest runic inscriptions, Leiden & Boston, 2003

PENTIKÄINEN 2014 PENTIKÄINEN J., La mitologia del Kalevala, Viterbo, aprile 2014

SIMEK 1984 SIMEK R., Lexikon der germanischen Mythologie, Stuttgart, 1984

6 COMPARETTI 1891, p. 16.

7 tietäjä: finn. composto di tietä- (i.e. radice del verbo tietää, “conoscere”) e di -jä (i.e. suffisso sostantivante che genera nomina agentis). Nel mondo finnico indica il sapiente, colui che conosce la realtà fisica e indaga quella metafisica.

8 noita: finn. derivante dal p-finn. *nojta, “stregone, veggente”. Nel mondo sámi indica il sapiente, colui che conosce la realtà fisica e indaga quella metafisica.

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UPPSALA:

VIAGGIO NEL CENTRO NEVRALGICO DELL'ANTICA RELIGIOSITÀ SCANDINAVA

Che cos’era il Tempio di Uppsala e perché era così importante per l’antica religione nordica? Di questo luogo di pellegrinaggio dove ogni nove anni si celebrava una festa che portava alla folle estasi delle genti, purtroppo oggi non rimane molto. Tuttavia, le descrizioni sono giunte fino a noi nelle antiche cronache e le menzioni nelle saghe nordiche.

di Siegfried Blazesson

Se parlassimo di Uppsala ad un nostro conoscente o a qualche parente tutto ciò che ci sentiremmo rispondere sarebbero sommarie informazioni su una pittoresca cittadina della Svezia centrale nella quale sorge una rinomata università.

Non sarebbe così se rivolgessimo la stessa domanda ad uno scandinavo vissuto tra il V ed l'XI secolo e.v. il quale ci parlerebbe di un sontuoso tempio tutto ricoperto d’oro, centro indiscusso della religiosità scandinava per almeno mezzo millennio.

Il Tempio di Uppsala è stato infatti uno dei luoghi di culto più importanti e venerati nel mondo "nordico". Situato nella attuale Gamla Uppsala, fu edificato nel 600 e.v. forse su una struttura cultuale più antica risalente addirittura all'età del bronzo, come scoperto dagli archeologi Neil Price e Magnus Alkarp nel 2005.

Il tempio è stato descritto da molti antichi scrittori e storici come centro di potere e fonte di sacralità per tutta la popolazione svedese.

Il cronista Adamo da Brema vissuto nella seconda metà del XI secolo nel suo trattato "Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum" descrive le funzioni del Tempio di Uppsala in maniera particolarmente approfondita ed è la principale fonte scritta in merito all'importanza dell'edificio.

Adamo da Brema descrive il Tempio di Uppsala come un grande edificio circolare, situato su una collina. Gli animali sacrificati durante le cerimonie religiose venivano appesi alle pareti del tempio come trofei. Egli descrive anche la presenza di sacerdoti con abiti bianchi che presiedono alle cerimonie, all'interno dell'edificio, invece, era persistente l'odore intenso degli incensi e delle piante bruciate a scopo purificatore.

Il Tempio di Uppsala viene descritto dal cronista cristiano come il vero e proprio centro del culto nella Scandinavia del XII secolo e luogo favorito da tutti gli svedesi per la celebrazione delle stagioni e dei cicli della vita. Adamo da Brema non è tuttavia molto chiaro nel fornire la descrizione dettagliata della struttura templare e si limita a raccontare che questa era circolare, ricoperta d'oro ed era inoltre circondata da un recinto, al suo interno ospitava tra statue lignee degli Dèi con Toro (Thor) al centro, Wodan (Odino) alla sua destra e Fricco (Freyr) alla sinistra, tutte ornate con preziosissimi abiti; la sua descrizione finisce qui senza fornire ulteriori elementi.

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Seguendo le ricostruzioni degli storici, ed altre descrizioni presenti sia nel "Gesta Danorum" del Sassone Grammatico che in altre saghe della tradizione Scandinava si possono estrapolare ulteriori informazioni sull'aspetto del complesso religioso: il tempio di Uppsala era infatti costituito da tre grandi edifici, uno situato al centro e gli altri due ai lati. Ciascun edificio era dedicato a un proprio dio, rispettivamente Odino, Thor e Freyr.

Il tempio centrale era il più alto ed imponente, ed aveva la forma di un grande edificio a torre. Era decorato con drappi e bandiere, e su di esso era posta l'immagine di Odino. Al suo interno si trovava un altare dove venivano offerti i sacrifici animali. Gli edifici laterali erano di forma simile, ma di dimensioni inferiori. Uno era dedicato a Thor, mentre l'altro a Freyr. Nell'edificio dedicato a Thor si trovava un altare con un martello di legno, mentre in quello dedicato a Freyr si trovavano le statue della divinità e della sua consorte Gerd. In testa all'ingresso sorgeva inoltre un grande ed imponente frassino anch'esso frutto di venerazione e poi andato bruciato durante le fasi di distruzione del Tempio.

Gli antichi rituali del tempio erano altamente rispettati da tutta la popolazione svedese e coinvolgevano grandi sacrifici e offerte mentre i cristiani che non partecipavano alle celebrazioni di Uppsala erano tenuti al pagamento di una tassa. Secondo le descrizioni dei cronisti dell'epoca, il sacrificio (Blót) si svolgeva ogni nove anni nel mese di febbraio ed è stato per lungo tempo la più importante celebrazione del nord Europa.

Tuttavia, con la diffusione del cristianesimo nella regione, il Tempio di Uppsala e la sua pratica religiosa sono stati gradualmente soppressi. Nel 1080, il re Olaf III di Norvegia ha invaso Uppsala, distruggendo il tempio e costringendo i sopravvissuti a convertirsi al cristianesimo. Da allora, gran parte della storia del tempio è andata persa.

Tuttavia, alcuni resti archeologici sono stati rinvenuti, fornendo un'immagine di quello che era stato uno dei luoghi più venerati nell'antica Svezia. Fra i reperti archeologici che abbiamo, c'è una base di pietra che si ritiene facesse parte della struttura originaria. La base è stata rinvenuta in occasione di scavi nel 1940, e da allora sono state fatte ulteriori scoperte che hanno chiarito sempre di più l'aspetto del tempio.

Nel 2013 alcuni scavi archeologici hanno dimostrato la presenza di una palizzata che dovrebbe corrispondere al "recinto" descritto da Adamo da Brema: trattasi di una palizzata molto imponente che circondava l'area del Tempio della lunghezza di 1km per 500 metri di ampiezza; questa era composta da pali in legno alti circa 7 metri e piantati a terra ogni 5 metri lungo il perimetro, probabilmente questi erano stati poi fissati l'uno con l'altro con una serie di travi orizzontali.

Grazie soprattutto alle descrizioni degli storici e ai reperti archeologici, siamo oggi in grado di ricostruire ed immaginare la magnificenza del Tempio di Uppsala e di apprezzare la sua importanza nel panorama religioso della Scandinavia antica.

24 2023 n. 03Maggio 2023iltempiodellupo.org + PAGANESIMO DAL MONDO.

L’AMULETO DI ODINO:

LA PIU’ ANTICA MENZIONE DEL DIO RITROVATA IN UN TESORO IN DANIMARCA

Lo scorso 8 marzo il Museo Nazionale di Danimarca ha deciso di annunciare ufficialmente la notizia del sorprendente ritrovamento di un artefatto riportante la più antica iscrizione riferita al Dio Odino esistente nella storia. Un favoloso tesoro che potrebbe cambiare la nostra recente conoscenza della mitologia nordica.

di Redazione

Il tesoro di Vindelev continua a svelare i suoi segreti. Mercoledì 8 marzo 2023, il Museo Nazionale di Danimarca ha condiviso pubblicamente la recente scoperta riguardante un favoloso insieme di grandi medaglioni e monete riportato alla luce nel 2020. Gli archeologi incaricati della spedizione nell’area di scavo, località danese non lontana da Jelling (comune situato nella contea di Vejle) hanno studiato ben 22 oggetti d’oro tra cui un bracteato (sottile lastra circolare di metallo) con ornamenti in rilievo tipica del Nord Europa che ha rivelato un’interessante unica particolarità: la più antica menzione del Dio Odino mai ritrovata nella storia.

Secondo la runologa Lisbeth Imer del Museo Nazionale danese, l'iscrizione sarebbe la prima prova concreta che Odino era venerato già nel V secolo, ovvero almeno 150 anni prima della data già stabilita dagli studiosi internazionali in epoca recente. Fino ad oggi la prima menzione del dio era stata difatti identificata su una spilla trovata a Nordendorf (Germania) e datata alla seconda metà del VI secolo. Per quanto riguarda i precedenti ritrovamenti invece, la prima testimonianza consisteva in un artefatto ritrovato a Ribe e risalente all’inizio dell’VIII secolo, derivato in questo caso dalle ossa di un cranio.

Da notare che quello che è ormai conosciuto come il tesoro di Vindelev, risale a un'epoca "proto-vichinga", ovvero prima che i norreni fossero conosciuti (e temuti) come vichinghi e che la scoperta ha già influenzato l'interpretazione di altre iscrizioni su numerosi bracteati d’oro già esistenti (ne sono stati trovati più di 1.000 in tutta l'Europa settentrionale e più di 200 presentano iscrizioni).

Con la preziosa collaborazione del collega Krister Vasshus, studioso di lingue scandinave antiche, la Imer ha potuto analizzare la presenza della scritta in caratteri runici accanto all’immagine di un uomo a cavallo. La più difficile della sua carriera da decifrare ma anche la più interessante dal punto di vista storico.

L’iscrizione riporta la frase: “iʀ Wōd[i]nas weraʀ” , letteralmente “Egli (è) l’uomo di Odino” con la menzione del nome "Jaga" o "Jagaz" in una prima forma della lingua norrena che si pensa riferita in quest’ultimo caso al suo proprietario, un capo o un re dell'Età del Ferro, che potrebbe aver rivendicato il dio come un antenato. Una sorta di sottile ciondolo ornamentale, realizzato probabilmente su commissione.

25 2023 n. 03Maggio 2023iltempiodellupo.org
+ PAGANESIMO DAL MONDO.

“La dicitura si riferirebbe nell’ipotesi ad un probabile re locale, che si presentava come discendente del re degli dei e del dio dei re, Odino", ha detto Imer. "Abbiamo altre prove letterarie che i re amavano presentarsi come discendenti degli dei”.

"È la prima volta nella storia che il nome di Odino viene menzionato - ha dichiarato a Live Science - questo significa che la mitologia norrena può ora essere davvero datata fino all'inizio del V secolo”.

Gli esperti ritengono che la sorta di scrigno sia stato sepolto circa 1.500 anni fa, per nasconderlo dai nemici o come tributo per placare gli dei. Esso conteneva complessivamente quasi 2,2 libbre (1 chilogrammo) d'oro ed è ora noto come "Vindelev hoard”.

Imer e il suo collega, il linguista Vasshus, hanno trascorso più di un anno a decifrare l'iscrizione runica. Pare comunque che questa sembrasse più rovinata dal tempo rispetto al resto del ciondolo, forse perché si trattava di un'iscrizione sacra che veniva toccata per "ottenere potere".

"Era un'epoca in cui la religione era più integrata nella vita quotidiana", ha detto la studiosa. "I leader della società erano responsabili delle attività cultuali e dell'esecuzione di rituali per mantenere un buon rapporto con gli dei”.

Fonti

https://www.livescience.com/earliest-mention-ofodin-king-of-the-gods-found-in-treasure-hoard-fromdenmark

https://en.natmus.dk (National Museum of Denmark)

26 2023 n. 03Maggio 2023iltempiodellupo.org
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IL FOREST BATHING:

COS’E’ E PERCHE’ DOVRESTE PROVARLO

Che si tratti di una tendenza sportiva o di una pratica di mindfulness (consapevolezza di sé oppure piena coscienza ma comunque un po' di entrambe), che cos'è esattamente il forest bathing?

Lo scopo è duplice: offrire un antidoto ecologico all’eccesso di influenze derivanti dall’onnipresenza della tecnologia e del suo impatto spesso dannoso nella nostra vita e ispirare le persone a riconnettersi alla natura e ad aumentare l’istinto di protezione verso di essa.

Anche l’occidente europeo e non solo, in tempi rapidi ha abbracciato questa forma di ecoterapia. Negli anni '90 i ricercatori hanno iniziato a studiare i benefici fisiologici dei ‘bagni nella foresta’, raccontandoci ciò che da tempi immemori già sappiamo in maniera innata: il tempo trascorso immersi nella natura ci fa bene.

di Matteo Pagani

27 2023 + DEVOTI ALLA NATURA.

Lo stress fa parte della vita quotidiana. Ma troppo stress può mettere a dura prova la tua mente e il tuo corpo. Sentirsi stressati per lunghi periodi di tempo può portare a depressione, aumento dell'ansia e persino sintomi fisici, come dolori muscolari. Un modo semplice per gestire lo stress? Trascorrere del tempo nella natura o praticare il forest bathing.

Nel 1982, il Ministero giapponese dell'agricoltura, della silvicoltura e della pesca ha creato il termine shinrinyoku, che si traduce in forest bathing o in italiano "bagno nella foresta" o "assorbimento dell'atmosfera della foresta". La pratica incoraggia le persone a trascorrere semplicemente del tempo nella natura, senza bisogno di fare un bagno vero e proprio. È anche a bassissimo impatto, il che significa che non è necessario fare intense corse su piste o escursioni. L'obiettivo del forest bathing è vivere nel presente mentre si immergono i sensi nelle immagini e nei suoni di un ambiente naturale.

I benefici per la salute del forest bathing

C'è un motivo per cui le più grandi città del mondo hanno parchi, alberi e sacche di natura mescolate nelle loro strade trafficate. Uno studio dell'International Journal of Environmental Health Research ha rilevato che trascorrere del tempo in un parco urbano può avere un impatto positivo sul senso di benessere di una persona.

A parte i parchi cittadini, si è scoperto che la pratica più approfondita del forest bathing abbassa la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e i livelli di ormoni dannosi, come il cortisolo, che il corpo produce quando è stressato. Questo può aiutarti a metterti in uno stato mentale più calmo e rilassato.

Inoltre, alcuni studi hanno scoperto che semplicemente trascorrere da 10 a 20 minuti al giorno all'aria aperta

può portare a un aumento del benessere e della felicità e a una riduzione dello stress.

Come praticare il forest bathing

Sebbene la parola "foresta" si ritrovi nel nome di questa pratica, non preoccuparti: non è necessario recarsi in un'area boscosa anche se è fortemente consigliato sia dal punto di vista naturalistico che da quello spirituale eteno. Potresti fare una gita in un parco vicino, il tuo sentiero locale preferito, la spiaggia o qualsiasi ambiente naturale. Assicurati solo di spegnere o silenziare il telefono o altri dispositivi. La chiave è praticare la consapevolezza. Ciò significa essere presenti e pienamente nel momento.

Una volta arrivato a destinazione, fai alcuni respiri profondi e concentrati su te stesso. Concentrati su ciò che i tuoi sensi stanno assorbendo, che si tratti del profumo dell'aria pulita della montagna o di un coro di uccelli che cinguettano.

Trascorri qualche momento semplicemente guardando ciò che ti circonda. Siediti e guarda come gli alberi ondeggiano al vento o semplicemente cammina. Se decidi di camminare, procedi con un ritmo tranquillo e senza una destinazione specifica in mente. È importante lasciare che la tua mente e i tuoi sensi esplorino e godano l'ambiente.

Consiglio per la sicurezza: presta sempre attenzione a ciò che ti circonda, rimani sui sentieri segnalati e indossa un abbigliamento appropriato.

Una buona regola è praticare il forest bathing per almeno 20 minuti ogni giorno. Se non hai molto tempo da perdere, va bene. Puoi iniziare con un periodo di tempo più breve. Inoltre, l'obiettivo del forest bathing è rilassarsi e distaccarsi: la pratica non dovrebbe sembrare un lavoro ingrato. Dovrebbe essere un'attività

28 2023 n. 03Maggio 2023iltempiodellupo.org
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che non vedi l'ora di fare e che ti piace.

Cerca momenti di meraviglia

Non importa quanto tempo trascorri all'aria aperta, ricorda di cercare momenti che ti facciano provare stupore o soggezione. Uno studio ha rilevato che le "passeggiate stupefacenti" hanno portato a maggiori sentimenti di benessere e connessione sociale.

Potresti anche legare la tua pratica del forest bathing alla tua routine di diario scrivendo ciò che recepisci spiritualmente. Dopo ogni sessione, usa il tuo diario per tenere traccia della tua esperienza o dei pensieri che hai avuto mentre sei immerso nella natura. Questo è un buon modo per tenere traccia di come la pratica ti fa sentire nel tempo e aiutarti a creare una routine per supportare la tua salute totale.

MIELE, FRUTTA, BACCHE E ANGELICA:

LA (RARA) DOLCEZZA DEI POPOLI NEL NORD NELLA TRADIZIONE ALIMENTARE

Le consuetudini alimentari di oggi ci portano a pensare che, seppure a distanza di secoli, le tradizioni bucoliche dei nostri illustri predecessori potessero essere se non del tutto uguali, almeno simili alle nostre. Se questo può rivelarsi veritiero per alcune epoche storiche assai più recenti, sicuramente non possiamo confermare lo stesso per i popoli nordici e germanici.

L’epoca dei ‘vichinghi’ in particolare, non ci restituisce l’immagine idilliaca né i profumi degli antichi forni dolciari di era post medievale. Al contrario, l’immagine della dolce abitudine al consumo di zuccheri raffinati ancorché grezzi come quelli derivanti dalla canapa è quanto di più lontano dall’esperienza di consumo alla quale facciamo riferimento quando parliamo delle genti nordeuropee antiche.

di Redazione

All'epoca dei vichinghi non esisteva lo zucchero raffinato. Quando i nostri amati antenati nordici desideravano assaporare qualcosa di dolce, preferivano nutrirsi di frutta fresca o secca con o senza miele, l’unico dolcificante esistente all’epoca. Abitudine assai più sana, se ci pensiamo, del tossico trangugiare odierno di prodotti industriali dei quali siamo ormai portati al consumo coatto. Basti pensare che in tutto il continente europeo il semplice zucchero di canna fu praticamente introvabile fino al 1400 così come raro fu il suo reperimento fino almeno al 1600 (la sua offerta aumentò difatti solo dopo il 1700). Nelle stesse (tarde) epoche lo zucchero bianco raffinato esisteva in quantità estremamente ridotte, ma era limitato ai ceti più alti della società e riservato alle sole occasioni importanti.

I frutti e le bacche selvatiche crescevano in abbondanza nel periodo vichingo. I Vichinghi

potevano rifornirsi di lamponi, mirtilli, prugne, mele selvatiche e nocciole dai boschi. In alcune zone erano disponibili anche le noci.

Ne deriva che il cibo non era particolarmente dolce e per questo motivo oltre al miele i predecessori avevano imparato ad apprezzare i benefici del consumo delle mele e non solo per scopi culinari. Nella mitologia nordica le mele della dea Idun mantenevano infatti gli Dei eternamente giovani, se consumate regolarmente.

Non è poi così vero che le popolazioni germaniche avessero una pessima familiarità con i dolcificanti. Diversa fu solo la percezione del gusto che, come è noto agli antropologi e ai sociologi delle relazioni alimentari, rimane confinata nel mero ambito della sua interpretazione culturale che risulta differente rispetto ad ogni singola epoca.

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Oltre all’utilizzo del miele e delle mele con i quali tra l’altro i predecessori usavano addolcire porridge e piccoli prodotti della panificazione, essi probabilmente amavano arricchire gli alimenti anche con succhi di frutta bolliti.

Secondo alcuni studiosi non è impossibile tuttavia che essi abbiano occasionalmente assaggiato lo zucchero di canna, dato che nonostante si dedicassero a forme di commercio relativamente limitate, le prime piantagioni di zucchero nella sfera di influenza europea risalgono all'800 d.C. circa. Per la stragrande maggioranza dei norreni e per le abitudini sopra menzionate, è dubbio però che lo esso abbia mai avuto una grande importanza nella vita quotidiana.

Un misto di frutta fresca o secca su pane imburrato o mischiato a prodotti caseari era sicuramente un’altra ottima alternativa abbinata anche a diverse pietanze ‘condite’ con spezie come il coriandolo, il cumino e la senape (ovviamente dolce). Molto comune era il consumo di una sorta di skyr dolcificato, a tutti gli effetti un formaggio, un antichissimo prodotto fresco di origine islandese ottenuto da latte vaccino acido.

Parliamo dunque di una dieta molto semplice fatta anche di bacche selvatiche, lamponi, mirtilli, prugne, noci e nocciole (dalle quali tra il resto si ricavava ottimo olio per friggere ) e come non menzionare l’immancabile sambuco. Ingrediente segreto, consumato fresco anche dai bambini come usuale ‘snack’ quotidiano, l’erba angelica caratterizzata dal tipico sapore zuccherino e amarognolo allo stesso tempo. Ciò che era disponibile dipendeva ovviamente dal luogo in cui ci si trovava.

SCELTE PER VOI:

IN QUESTO NUMERO QUATTRO DOLCI RICETTE PER UNA PERFETTA MERENDA NORDICA

ZUPPA DI SAMBUCO DOLCE

Far sobbollire le bacche di sambuco in poca acqua bollente. Quando il composto avrà raggiunto una consistenza omogenea, aggiungere del miele. Questa zuppa è già di per sé gustosa, ma si può arricchire anche con delle mele, rosa canina o semi di ortica.

PORRIDGE DI MELE

Tagliare le mele a pezzetti. Farle bollire con poca acqua fino a raggiungere una consistenza pastosa. Aggiungere il miele per aromatizzare. Semi di ortica facoltativi per arricchire di sapore il composto.

PORRIDGE MISTO DOLCE

Tagliare le mele a pezzetti. Farle bollire con poca acqua fino a raggiungere una consistenza pastosa. Aggiungere bacche di rosa canina, sambuco e biancospino già pulite. Arricchire con noci e foglie di ortica tostata.

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PANE DI BIRKA - BISCOTTI VICHINGHI

Parliamo di una ricetta che richiede una piccola premessa. Resti di pane carbonizzato dell'epoca vichinga, conservati fino ad oggi e del tutto similari a quelli quì suggeriti, sono stati ritrovati in occasione di alcuni scavi archeologici effettuati in area scandinàva. I ritrovamenti sono avvenuti prevalentemente presso la grande stazione commerciale "Birka" in Svezia, vicino a Stoccolma. Da qui il nome di questo delizioso antichissimo prodotto dolciario.

Le analisi effettuate sui reperti archeologici in questione hanno dimostrato che per la loro realizzazione furono utilizzati diversi tipi di farine. Il tipo di biscotto dolce di cui trovate il suggerimento proposto è probabilmente il più affine ad una miscela di farina di grano, burro e miele. I biscotti possono essere facilmente preparati anche a casa con l’utilizzo di una padella da cucina, anche se secondo la tradizione, sarebbero preferibili basi in ghisa oppure in pietra surriscaldata.

InGREDIE

400 ml di farina di frumento, 20 ml di avena, 1/2 tsk di sale, 50 g di burro, 50ml di miele, 200 ml di acqua

ISTRUZIO

Mescolare la farina di grano, l'avena e il sale in una terrina. Distribuire il burro con le dita per amalgamarlo bene. Aggiungere il miele e l'acqua e mescolare bene fino a formare un impasto. Mettere da parte per 30 minuti (nell'attesa, voi e il vostro bimbo o i vostri amici e famigliari potrete usare questo tempo per leggere la storia dei popoli germanici).

Prendete infine una porzione di impasto della dimensione di una noce e stendetela in modo da ottenere uno spessore di circa 5 mm. Friggete su una padella asciutta finché il biscotto non sarà pronto.

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I VICHINGHI, QUESTI SCONOSCIUTI:

ALCUNE SORPRENDENTI CURIOSITA’ SUI NOSTRI PREDECESSORI NORDICI

Navigatori, agricoltori, uomini d’onore e grandi guerrieri: la forza della leggenda sopravvive ancora oggi attraverso la narrazione dei miti e il lavoro di molti studiosi di storia antica ed archeologi impegnati nella ricostruzione di ciò che fu il mito di un aggregato dei più conosciuti tra i popoli del Nord. Ma se di esso riteniamo di sapere davvero tutto, ci sbagliamo. In questo primo appuntamento vi presentiamo alcune delle peculiarità che potrebbero sorprenderci delle abitudini degli antichi vichinghi.

L’igiene: i vichinghi non erano sporchi ma anzi noti per la loro eccellente cura del corpo

Tra le numerose attività che richiedevano un notevole sforzo fisico come ad esempio la coltivazione dei campi e la mietitura dei raccolti, la pesca e la costruzione di imbarcazioni fino alla feroce carica della battaglia, l’idea di un popolo scarsamente dedito all’igiene personale si è fatta largo nei secoli anche grazie all’immaginario collettivo creato dal mondo cristiano in epoca successiva, che descriveva i ‘barbari invasori’ come popolazioni dedite unicamente alla razzia o al mero saccheggio delle genti nemiche e senza nessuna forma di codificazione comunitaria interna, rispetto di strutture valoriali definite oppure, come analizziamo nel caso specifico, alcun senso dell’estetica.

A lungo dipinti come una sorta di ‘anarchici dell’antichità’ il cui unico interesse sarebbe stato quello di distruggere e annientare usi e costumi altrui senza nessuna consapevolezza di una forma propria di contemplazione della bellezza, i vichinghi erano nella realtà molto interessati alla cura delle forme esteriori.

Interesserà sapere che numerosi scavi di siti vichinghi

effettuati dagli archeologi hanno portato alla luce pinzette, rasoi, pettini e ancora piccoli strumenti idonei alla pulizia delle orecchie, realizzati con ossa e corna di animali.

Si pensa che essi facessero inoltre il bagno almeno una volta alla settimana, ovvero molto più frequentemente degli altri popoli europei del loro tempo, dedicandosi molto spesso all’immersione in sorgenti termali naturali. Vi è addirittura un termine specifico, “Laurdag”, utilizzato per indicare il giorno della pulizia, generalmente identificato con il sabato.

Questo interesse per la forma fisica ed esteriore si concretizzerebbe anche nel punto successivo che vogliamo annotare, ovvero quello del culto vichingo per le capigliature chiare. Per conformarsi agli ideali di bellezza dell’epoca i vichinghi bruni, solitamente uomini, utilizzavano dei saponi aggressivi ad alto contenuto di liscivia (nota1) per la decolorazione delle chiome così come, almeno in alcune aree, anche della barba. È probabile che questi trattamenti li aiutassero anche a risolvere un fenomeno ben più problematico di quello che poteva essere una criniera disordinata o bitorzoluta: i pidocchi.

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I vichinghi non indossavano elmi con le corna e non chiamavano se stessi ‘vichinghi’

In epoca antica nei territori che allora comprendevano la Danimarca, la Svezia e la Norvegia vi erano aggregati di tribù diverse che con tutta probabilità non si definivano ‘vichinghe’ nel senso stretto del termine che venne poi utilizzato poi per identificarle.

I vichinghi non riconoscevano dunque gli altri vichinghi come tali? Sembra proprio fosse così. La comune denominazione stava ad indicare più semplicemente tutti gli scandinavi che partecipavano a spedizioni

oltremare e che probabilmente non riconobbero nazioni unitarie ancora per lungo tempo. La Norvegia fu unificata da Harald Bellachioma nell’872 ma oltre ad essa i vichinghi erano anche in Danimarca e in Svezia, con tribù frammentate spesso in guerra fra loro.

Anche se non sappiamo esattamente come si chiamavano, il termine è un'espressione del XIX secolo. All'epoca le altre nazioni si riferivano a loro chiamandoli Norreni, Normanni e Danesi.

Quanto ai copricapi indossati nei momenti di vita comune e durante gli spostamenti, le evidenze storiche e le raffigurazioni del tempo escluderebbero che.

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questo prevedesse la presenza di corna attaccate alle estremità (l'unico elmo vichingo autentico mai scoperto è decisamente privo di corna).

La rappresentazione tramandata nei secoli è stata rafforzata nell’immaginario collettivo dall’opera di letterati ed artisti scandinavi con espressioni pittoriche di epoca successiva (XIX secolo) probabilmente traendo ispirazione dalle antiche cronache greche e romane.

E se effettivamente erano i sacerdoti norreni e germanici ad indossare elmi cornuti in occasioni cerimoniali, l’usanza precederebbe dai 2000 ai 3.000 anni lo sviluppo socio culturale delle genti vichinghe risalente al IX secolo d.C. I famosi elmi scoperti a Viksø, in Danimarca, 80 anni fa, risalgono ad esempio a circa il 900 a.C., quasi 2.000 anni prima.

Helle Vandkilde, archeologa dell'Università di Aarhus in Danimarca in un’intervista a LiVe Science ha affermato che “per molti anni la cultura popolare ha associato gli elmi di Viksø ai Vichinghi ma in realtà questa è un'assurdità. Il tema delle corna risale all'Età del Bronzo ed è riconducibile all'antico Vicino Oriente”.

Le similitudini tra le civiltà dell'Età del Bronzo in Europa e oltre si spiegano attraverso le raffigurazioni di copricapi trovati nell'arte rupestre e in statuette prodotte nello stesso periodo in Sardegna e nell'Iberia occidentale.

È probabile che il motivo abbia raggiunto l'Europa dall'Oriente grazie ai viaggiatori fenici provenienti dalla zona costiera del Mediterraneo orientale.

Il fuoco sempre con sé: funghi e urina per accendere i falò

Un acciarino ricavato da un particolare tipo di fungo che i guerrieri raccoglievano dalla corteccia degli alberi facendolo bollire per diversi giorni nell'urina prima di trasformarlo in qualcosa di simile al feltro. Ecco in che modo i vichinghi

si premuravano di non rimanere mai senza la possibilità di accendere il fuoco o di dare alle fiamme, potenti e distruttive, qualsiasi cosa desiderassero.

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Il nome scientifico del fungo utilizzato è Fomes fomentarius, diffuso in Europa, Nord America e Asia e da noi conosciuto come fungo dell'acciarino, fungo dello zoccolo, legno di tocco o falso acciarino. In inglese touchwood.

Ma come funzionava? Per prima cosa, i Vichinghi preparavano il fungo acciarino tagliando via i pezzi esterni mentre quelli interni venivano ridotti in fette sottili. Queste ultime venivano poi battute fino ad ammorbidirsi. Il "feltro" di funghi veniva infine lavorato in modo simile alla tela di carbone: bruciandolo in un contenitore privo di ossigeno e infine, come già menzionato, bollito in una miscela di comunissima pipì.

Perché l'urina?

L'urina contiene nitrato di sodio, che ha proprietà chimiche molto simili al nitrato di potassio (il "salnitro" che si trova nella polvere da sparo). Il nitrato di sodio consentiva al materiale di bruciare piuttosto che di fondere, trasformando l’artefatto in qualcosa di altamente infiammabile ed estremamente durevole.

Una volta acceso, il fungo rimaneva combustibile per giorni e giorni poiché di fatto “bruciava senza bruciare”. Ciò significava che i vichinghi potevano portare con sé la fonte di fuoco ovunque andassero.

Nel prossimo numero di Paganesimo Nordico Magazine altre interessanti curiosità sul mondo vichingo. Non perdete l’appuntamento di luglio 2023!

(Nota1) La liscivia è un idrossido di metallo alcalino, tradizionalmente ottenuto dalla cosiddetta lisciviazione delle ceneri di legno ovvero un alcalino forte, altamente solubile in acqua, che produce soluzioni basiche caustiche. Il termine "liscivia" si riferisce più comunemente all'idrossido di sodio, ma storicamente è stato utilizzato anche per l'idrossido di potassio.

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RITIRO SPIRITUALE IN ISLANDA:

LA SPERIMENTAZIONE DELLA COMUNITÀ ETENISTA ITALIANA

di Daniele Stefani

- Presidente de Il Tempio del Lupo -

Si è conclusa con un grande successo la prima edizione del ritiro spirituale del Tempio del Lupo in terra d’Islanda. L’antica distesa dei ghiacci che sorge nell’atlantico settentrionale, unica tra le società europee per essere stata fondata in epoca vichinga e per disporre di numerose fonti scritte e archeologiche sulle sue origini, è ricca di luoghi naturali di irripetibile affinità con le energie del cosmo e difficilmente descrivibili per l’imperscrutabile sacralità naturale che li contraddistingue.

Anche soprannominata ‘regno di muschi e di folletti’ questa magica isola (in islandese: Lýðveldið Ísland; Iceland dall’inglese) è considerata a pieno titolo la terra dell’huldufolk, il piccolo popolo nascosto di fate, elfi e nani che normalmente si cela alla vista degli uomini. Sotto o dietro le rocce e i tumuli o nelle profondità del terreno essi abitano, protagonisti di innumerevoli leggende. Ma non parliamo qui solo di miti originati dalla fantasia popolare: secondo uno studio del 2007 condotto dall’Università dell'Islanda, circa il 62% della popolazione locale crede che l'esistenza degli elfi sia più di una favola.

Intraprendere un viaggio alla scoperta delle bellezze islandesi non vuole essere dunque un semplice ampliamento dei propri orizzonti geografici. Nel caso dei cultori della religione etena esso rappresenta soprattutto un’esperienza di contatto con la sostanza

più vera della spiritualità nordica tra religione, paesaggio e cultura, che ci lascia perennemente stupiti dal raro fascino delle sue infinite gemme nascoste, lungo i sentieri storicamente già battuti dai nostri predecessori.

È difficoltoso, ora che siamo tornati in Italia, spiegare a parole l'infinità di emozioni provate durante il ritiro spirituale organizzato dalla nostra associazione durante l’ultima settimana del mese di aprile. Proverò a grandi linee a fare una sorta di cronaca della nostra esperienza, ben consapevole che non riuscirò (e forse nemmeno vorrò) tentare di trasmettere l’intera gamma di suggestioni ed impressioni provate dal nostro gruppo in questi 8 giorni.

Il ritiro spirituale, che si unisce a momenti di svago e convivialità, è una formula aggregativa e di ricerca interiore nuova nel panorama delle attività che il tempio del Lupo abbia finora mai proposto. L'iniziativa, a numero chiuso, è stata portata a sperimentazione per testare i punti di forza e le criticità in vista di un’eventuale apertura anche a tutti i fedeli nel prossimo futuro.

L'arrivo all'aeroporto di Keflavík ha avuto subito un impatto emotivo molto forte su tutti i membri della comitiva che hanno mantenuto per interi minuti un silenzio quasi religioso, scrutando tutt'intorno il paesaggio lunare tipico della zona.

Una volta smaltito l'impatto dell'arrivo nella terra del

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ove abbiamo partecipato alle celebrazioni del Sigurblot (che in Islanda è una festività nazionale) e per seguire a pieno le tradizioni islandesi di inizio estate. La giornata si è conclusa con un rinvigorente bagno nell'oceano Atlantico.

Siamo rimasti tutti molto colpiti all'ospitalità e cordialità del popolo Islandese che ci ha trattati più come ospiti che come turisti, forse per via del loro isolamento geografico che ha fatto sviluppare loro una anomala apertura nei confronti degli estranei.

Il ritiro è proseguito nei giorni successivi tra svariati chilometri di strade e qualche corvo che ogni tanto faceva capolino per “controllarci”. Gentile emissario di Wotan che abbiamo salutato. Il nostro tempo in Islanda è continuato alternando esplorazione, meditazione, sacrificio e momenti di genuino svago.

Uno dei momenti più degni di nota che voglio citare per

non dilungarmi è stato il Blót svolto a beneficio degli Elfi nel bosco di Ásbyrgi (montagna degli Dèi) dove si dice dimorino tuttora queste fantastiche creature lontano dagli occhi indiscreti degli uomini civilizzati. La cerimonia si è svolta nei pressi di un albero vicino al lago all'interno del canyon che si dice sia stato creato niente meno che dallo zoccolo di Slepnir: il cavallo di Odino.

Le emozioni e l'energia provati nel corso di quella breve ed intensa cerimonia sono rimaste attaccate alle nostre anime ed ai nostri corpi per diverso tempo facendoci provare tutta l'energia positiva che quel luogo emanava e che ha gentilmente concesso anche a noi suoi ospiti.

In conclusione si può dire che l'Islanda sia ancora un paese selvaggio, non del tutto civilizzato (fortunatamente) e soprattutto che sia dimora di una grande quantità di Entità che sono scappate dalla civiltà e qui si sono rifugiate per restare.

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UNITI DAGLI DEI:

Per Noi, un impegno e un servizio

L’importanza dell’istituzione matrimoniale, per chi desiderasse sancire la sacralità del Patto davanti agli agli uomini così come davanti agli Dei, rimane per il Tempio del Lupo un onore nonché una priorità di Servizio per il compimento delle finalità riservate ai fedeli del culto pagano Nordico.

Così come lo conosciamo, il matrimonio si presenta come un’antichissima istituzione che da migliaia di anni viene celebrata in ogni cultura e in ogni religione attraverso innumerevoli epoche. Per la cultura pagana nordica, esso rappresenta il compimento dell’unione sacrale della coppia con la benedizione della Deità.

In qualità di Organizzazione religiosa presente sul territorio nazionale, l’associazione Tempio del Lupo - Comunità Etenista Italiana - si occupa di celebrare unioni matrimoniali con rituale germanico adatte ad ogni persona.

Esistono diverse tipologie di rituale che vengono messe in atto, tra cui l’handfasting (o legamento delle mani) ed altre pratiche basate sul rango degli sposi. Gli aspiranti sposi possono contattarci in qualunque momento sino a 60 giorni prima delle nozze, al fine di stabilire un accordo per la celebrazione della funzione.

Il Tempio del Lupo è un Ente senza scopo di lucro, quindi non pretenderà un cachet per lo svolgimento della funzione religiosa; chiederà tuttavia un contributo volontario che sarà calcolato in base alla distanza del luogo.

L’Ente non è un organizzatore di matrimoni ma, al pari di tutte le altre organizzazioni religiose, si occupa della sola celebrazione delle nozze.

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IL MATRIMONIO PAGANO NORDICO AI GIORNI NOSTRI. CELEBRARE IL PROPRIO MATRIMONIO CON IL TEMPIO DEL LUPO

Si fornisce:

Iscrizione presso i registri matrimoniali del Tempio del Lupo.

Iscrizione presso i registri matrimoniali della Repubblica Italiana (opzionale)

Cerimonia religiosa celebrata da un nostro sacerdote (Gothi).

Formazione e preparazione alle nozze.

Rilascio certificato di sposalizio.

Non si fornisce:

Elementi materiali (fedi, candele, e qualunque altro oggetto)

Luogo per la celebrazione dello sposalizio.

Cibi o bevande.

Fiori o altro

N.B. Il rito della spada è riservato ai soli sposalizi dei membri Arimanni senza eccezione alcuna.

P.S. Il Gothi o la Gydja si riserva il diritto di rifiutare la celebrazione delle nozze se ritiene che queste si vogliano svolgere in assenza di serietà da parte degli sposi.

Per contatti: Whatsapp: +39 351 852 1143 E-Mail: info@iltempiodellupo.org

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