Bambini nella tempesta. Gli orfani di femminicidio - Estratto

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Quando un bambino perde la madre per mano del padre, l’impatto è quello di una tempesta. La violenza sulle donne e sui figli è stata a lungo avvolta nel silenzio, un «silenzio assordante», alimentato da strategie di minimizzazione, giustificazione e occultamento. L’unico modo per contrastare questo fenomeno, e cercare di prevenirlo, è farlo emergere, analizzandone il contesto e le modalità, oltre alle mancanze del sistema sociosanitario e di quello giudiziario. Questo libro da una parte fotografa la realtà attuale, mettendo in relazione femminicidio e violenza domestica, descrivendo i fattori di rischio e le caratteristiche genitoriali di omicida e vittima; dall’altra illustra le conseguenze traumatiche sull’orfano nel breve e lungo periodo, prospettando interventi di recupero mirati. ne emerge la necessità di creare nella comunità una maggiore consapevolezza e una capacità di far fronte alle richieste dei sopravvissuti con risposte multiprofessionali più articolate e coerenti.


LIBROTECA PAOLINE 246



Teresa Bruno

BAMBINI NELLA TEMPESTA Gli orfani di femminicidio


PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2022 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)


In ricordo di Anna Costanza Baldry, per la sua grande umanità, curiosità e intelligenza nel lavoro a favore delle donne, dei bambini e delle bambine vittime di violenza



PREFAZIONE

Le cose esistono, ma non basta indicarle. Per comprenderle, perché acquistino per noi un significato, siano discutibili, entrino a pieno titolo nella riflessione pubblica e dunque siano oggetto di confronto, occorre che abbiano un nome. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa, è come la chiamiamo a determinare la sua reale esistenza e a portarne alla luce la vera sostanza. Dare agli orfani1 di madre uccisa dal padre l’appellativo di « orfani di femicidio » o « orfani speciali », come li ha definiti Anna Costanza Baldry nella sua ricerca2, ci apre a una riflessione complessa che attraversa non soltanto il loro percorso di vita dopo l’evento traumatizzante, ma anche il percorso di sviluppo precedente all’uccisione della madre. Molti di questi omicidi avvengono come esiti fatali di maltrattamenti che a volte perdurano da anni, spesso nel momento in cui la donna vuole porre fine alla relazione con il partner violento. Le dinamiche di vittimizzazione messe in atto dall’uomo e 1 L’uso di sostantivi come « orfano », « bambino », « figlio » e simili per lo più nella sola forma al maschile è dovuto a una pura scelta redazionale volta a rendere fluida la lettura. Essi sono comunque da intendersi anche nelle rispettive forme al femminile. 2 Progetto europeo www.switch-off.eu: Who, Where, What. Supporting Witness Children Orphans from Femicide in Europe, GLS/2011-2012/DAP/ AG/3242; cfr. A.C. Baldry, Orfani speciali, Franco Angeli, Milano 2017.

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il clima che ne deriva costruiscono un ambiente traumatico che condiziona, ben prima dell’evento fatale, lo sviluppo dei bambini, i quali sovente vivono sentimenti d’impotenza, terrore e inadeguatezza in un contesto che può avere caratteristiche d’imprevedibilità e dove amore e violenza possono convivere. È su questi orfani vissuti prima dell’omicidio in un clima di coercizione e controllo da parte del padre sulla madre, e di conseguenza su loro stessi, che ci concentreremo. Ciò in quanto molti di tali omicidi, esiti fatali di maltrattamenti, possono essere prevenuti non solo con interventi e azioni specifici da parte degli operatori del settore sociosanitario e della giustizia, ma anche creando nella comunità una maggiore consapevolezza e una capacità di interagire in modo adeguato con le vittime e con gli autori. La violenza verso le donne, i bambini e le bambine è stata a lungo avvolta nel silenzio, un silenzio assordante, come scrive Patrizia Romito: Siamo sempre più consapevoli della frequenza e delle conseguenze della violenza domestica, dello stupro, delle molestie sul lavoro, dell’incesto e di altre aggressioni sui minori, fenomeni per la maggior parte dei quali non c’era, fino agli anni Settanta, neppure un nome (…). Negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, le diverse organizzazioni internazionali e numerosi governi hanno formulato importanti dichiarazioni che definiscono la violenza contro le donne e i minorenni come un’inaccettabile violazione dei diritti umani, fonte di conseguenze tragiche non solo per le vittime ma per tutta la società3. 3 P. Romito, Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori, Franco Angeli, Milano 2005, p. 15.

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È illuminante, rispetto all’occultamento della violenza verso i bambini e le bambine, un passo tratto da un testo di psichiatria del 1972 (Freedman e Kaplan) in Van der Kolk: Si pensa che l’incesto abbia un’incidenza approssimativa di 1 su 1.1 milione di donne. Ci sono poche evidenze rispetto al fatto che l’incesto padre-figlia possa avere serie conseguenze psicopatologiche. Il rapporto padre-figlia soddisfa spinte istintuali (del bambino/a) in una situazione dove l’alleanza con un adulto onnipotente « condona » la trasgressione (…). L’atto offre un’opportunità di attuare (fare esperienza) nella realtà una fantasia infantile le cui conseguenze sono gratificanti e piacevoli (…). La capacità dell’io di sublimare è favorita dal piacere derivato dall’incesto (…). Tale attività incestuosa riduce il rischio di psicosi nel soggetto e consente un migliore adattamento al mondo esterno. Spesso sono state evidenziate minime influenze nocive sullo sviluppo della personalità delle figlie incestuose. (…) Uno studio rileva che nella grande maggioranza non sembrano aver risentito di quell’esperienza4.

Non possiamo capire l’invisibilità che ha avvolto le vite degli orfani di femicidio e, prima ancora, quelle dei bambini che assistono alla violenza sulla madre o su altre figure di riferimento affettivo, senza aver preso in considerazione le strategie di minimizzazione, giustificazione e occultamento che circondano la violenza, da parte di uomini, verso donne, bambini e bambine. Parliamo quindi di conflitti o litigi coniugali o di violenza 4 B.A. Van der Kolk - A.C. McFarlane - L. Weisaeth (edd.), Traumatic Stress: The Effects of Overwhelming Experience on Mind, Body and Society, Guilford Press, New York 1996, p. 74.

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domestica, invece che di violenza di mariti sulle mogli, di famiglie maltrattanti, di genitori, invece che di padri che maltrattano5. Parliamo di donne maltrattate e uccise e non di uomini che maltrattano e uccidono la partner, rendendo così impossibile approfondire in modo chiaro il fenomeno per poterlo prevenire. Un esempio per tutti sono i referti del pronto soccorso che, ancora oggi, a dispetto delle linee guida ministeriali sull’accoglienza delle donne vittime di violenza6, riportano: « Aggressione da parte di persona conosciuta », in relazione all’aggressione fisica da parte del partner maschile, riferita dalla donna. La trattazione si focalizzerà sugli omicidi di donne, in particolare di donne madri, da parte di partner ed ex partner, per affrontare non solo gli esiti di questi omicidi sui figli, ma anche il percorso di sviluppo di questi ultimi e le esperienze sfavorevoli che possono aver costellato la loro vita precedente alla morte della madre. Questo alla luce sia delle dinamiche che hanno portato all’omicidio, specialmente quelle violente di controllo e coercizione, sia di ciò che le stesse ci possono dire rispetto al clima familiare e alle modalità di accudimento e cura dei figli. Per capire la sofferenza, le difficoltà e i bisogni degli orfani di madre uccisa dal padre, non possiamo prescindere da un’analisi approfondita del contesto e delle modalità in cui il reato è messo in atto, come Cfr. P. Romito, Un silenzio assordante. Si veda https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/ caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1&art.versione=1&art. codiceRedazionale=18A00520&art.dataPubblicazioneGazzetta=2018-0130&art.idGruppo=0&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art. flagTipoArticolo=1. 5

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pure delle mancanze del sistema giudiziario e sociosanitario per quanto riguarda gli interventi di prevenzione e protezione. Cito a proposito la frase di un ragazzo di quindici anni: « Dove eravate quando avevo bisogno di voi, quando parlavo di quello che succedeva a casa e nessuno ha fatto niente? Ormai non c’è più niente da fare… Ora ho imparato ad arrangiarmi da solo » 7.

7 Dalla trascrizione di un colloquio tenutosi presso il centro antiviolenza Artemisia (Firenze).

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Parte prima

CARATTERISTICHE DI UN FENOMENO



I.

GLI ORFANI DI MADRE UCCISA DAL PADRE

Nel nostro Paese, l’attenzione ai figli e alle figlie di madri uccise dal padre nasce recentemente, grazie al lavoro di Anna Costanza Baldry e alla pubblicazione dei risultati del progetto europeo Switch-off e, successivamente, delle linee guida d’intervento con gli orfani speciali1. I lavori dell’autrice su questo tema hanno sollecitato lo studio e poi l’approvazione di una norma a tutela degli orfani a causa di crimini domestici, la legge n. 4 del 2018. La ricerca all’interno del progetto Switch-off, condotta in Italia in collaborazione con DiRe (Coordinamento italiano dei centri antiviolenza), evidenzia fra l’altro la mancanza di dati sul fenomeno e di specifiche politiche e prassi d’intervento, a livello sia di risposta giuridica sia dei servizi sociosanitari. L’importanza di risposte specifiche è oltremodo cruciale se si considerano le complesse ricadute e gli effetti a breve e lungo termine che, pur con differenze individuali, coinvolgono tutte le aree di funzionamento psicobiologico degli orfani, condizionando la loro vita. 1 Cfr. A.C. Baldry - C. Cinquegrana, Guidelines for Intervening with Special Orphans, EU Daphe Project Report 2015 (JUST/2011/DAP/AG/3242); http:// switchoffita.weebly.com/linee-guida.html.

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Riferendosi al lavoro di Alisic, Krishna, Groot e Frederick2, Baldry3 riporta quelle che possono essere le conseguenze sul piano psicologico, sociale, fisico e sul rendimento scolastico, rilevate dagli studi e dalle ricerche prese in esame dagli autori. Nella sua trattazione, l’accento è posto sui fattori di rischio e di protezione che condizionano la gravità degli esiti traumatici sia nel breve sia nel lungo periodo. I fattori di rischio sono importanti da conoscere e, se possibile, da gestire (agendo su quelli dinamici che cambiano nel tempo) perché la loro presenza e persistenza influisce negativamente sulla crescita, sul benessere, sulla riduzione del danno che l’orfano può subire. I fattori di protezione anch’essi possono svolgere un ruolo fondamentale e anche su di essi, quelli dinamici, è possibile intervenire, potenziandoli. La mancata gestione efficace dei fattori di rischio, la scarsa attenzione nei confronti dei bisogni del minore e il non riuscito potenziamento dei fattori di protezione possono comportare un aggravio del quadro clinico individuale (…). Si può parlare anche di vittimizzazione secondaria, cioè quando le vittime subiscono, dopo l’evento traumatico iniziale, ulteriori traumi provocati da terze persone (familiari, operatori di giustizia) o dall’assenza di un adeguato supporto psicologico4.

I fattori di rischio e di protezione antecedenti l’omicidio, quelli contestuali all’evento traumatico e quelli suc2 Cfr. E. Alisic - R.N. Krishna - A. Groot - J.W. Frederick, Children’s Mental Health and Well-Being after Parental Intimate Partner Homicide: A Systematic Review, in Clinical Child and Family Psychology Review 18/4 (2015) 328-345. 3 Cfr. A.C. Baldry, Orfani speciali, p. 65. 4 Ibid., pp. 64-65.

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cessivi interagiscono con le caratteristiche individuali dell’orfano e le sue esperienze precedenti, determinando le modalità con cui egli fronteggerà il trauma e i cambiamenti di vita che si verificheranno. Il sistema di tutela e cura dovrà pertanto essere in grado di conoscerli, rilevarne la presenza e valutarli attentamente. Questo processo di valutazione è indispensabile per intervenire implementando i fattori protettivi e riducendo quelli che portano ad aumentare le sofferenze e le difficoltà di quell’orfano in particolare. Sappiamo, per esempio, che i fratelli possono avere reazioni e problemi diversi l’uno dall’altro. Tra i fattori di rischio precedenti l’omicidio rientra l’aver assistito ai maltrattamenti del padre sulla madre, quindi l’essere cresciuti in un ambiente traumatico. Le ricerche ci dicono che nel 50% dei casi di femicidio era presente una situazione di maltrattamento già nota, a volte in atto da anni. Spesso, però, questo reato non è denunciato e a livello della rete familiare, sociale e dei servizi esiste una tendenza alla sottovalutazione, se non addirittura all’occultamento, della violenza del partner maschile sulla partner femminile. Non esiste ancora in modo diffuso e strutturato, nei servizi, la capacità di rilevare i maltrattamenti, e il compito di far emergere questo fenomeno, ancora sommerso, viene accollato alle vittime. Frasi come: « Le donne non denunciano… Devono chiedere aiuto » o il sollecitarle a denunciare con vari spot e campagne d’informazione spesso sono anche una forma di deresponsabilizzazione del sistema di cura e tutela. Le donne non denunciano perché hanno paura, non solo dell’aggressore e del futuro incerto cui vanno incontro, ma anche dei servizi e del sistema giudiziario. La loro, purtroppo, non è una pau17


ra infondata: sanno che il percorso da affrontare dopo la denuncia sarà lungo e pieno d’insidie. I loro racconti saranno messi in dubbio da operatori che non hanno conoscenze specifiche sulle dinamiche violente e sul loro impatto traumatico. La loro ambivalenza di sentimenti verso l’aggressore sarà considerata prova della loro inattendibilità o collusione con il partner, mettendo sullo stesso piano aggressore e vittima. Rispetto alla Belief in a Just World Theory formulata da Melvin J. Lerner5, una vittima non innocente non può rappresentare una minaccia alla teoria della fiducia in un mondo giusto, anzi la conferma. Al contrario, il principio di giustizia è messo in discussione dalla vittima innocente. La teoria della fiducia in un mondo giusto porta a due conseguenze: una riguarda il rischio di vittimizzazione secondaria; l’altra concerne il giudizio sulla vittima rispetto al suo meritare il danno subìto. I tentativi delle madri di proteggere i figli dall’esposizione al padre violento e ricattatorio, nella fase di separazione, saranno visti come alienazione parentale6, definendo quanto avviene come alta conflittualità nella coppia e occultando così le dinamiche violente7. Anche le donne maltrattate si informano, leggono i giornali e conoscono il rischio di essere rivittimizzate da 5 Cfr. M.J. Lerner, The Belief in a Just World: A Fundamental Delusion, Plenum Press, New York 1980. 6 I fautori di questo costrutto definiscono l’alienazione parentale come la « programmazione » dei figli da parte di un genitore, detto genitore alienante, attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse di trascuratezza, violenza o abuso, riferite all’altro genitore, detto genitore alienato. Ciò al fine di allontanare affettivamente il figlio dall’altro genitore. 7 Cfr. M. Feresin - F. Anastasia - P. Romito, La mediazione familiare nei casi di affido dei figli/e e violenza domestica, in Rivista di criminologia, vittimologia e sicurezza 11/2 (maggio-agosto 2017) 13-28.

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operatori sociosanitari e della giustizia che non conoscono o non prendono sul serio le fonti normative anche sovranazionali, come per esempio la Convenzione di Istanbul 8 o la Direttiva 2012/29 9 sulla protezione delle vittime di reato. Accrescere la disposizione attiva a riconoscere le situazioni di violenza, quando le vittime, adulte o minorenni, non la rivelano, aumenterebbe sensibilmente la percentuale del 50% dei casi di femicidio con precedenti « noti » di maltrattamenti verso la partner e i figli. E, ancora più importante, aumenterebbe la capacità del sistema di prevenire parte degli omicidi di donne. Un’analisi dei quali è fondamentale per comprenderne la specificità.

8 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul, 11 maggio 2011 (http://www.lavoro.gov.it/ConsiglieraNazionale/LM/AREAINTERNAZIONALE/Documents/2011-05-11 Convenzione Istanbul violenza donne.pdf). 9 Cfr. Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.

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Parte seconda

L’ESPOSIZIONE ALLA VIOLENZA



VI.

L’IMPATTO SUI BAMBINI

La famiglia viene spesso identificata come un luogo di protezione, dove le persone cercano amore, accoglienza, sicurezza e riparo. Ma, come mostrano le evidenze, per molti è invece un luogo che mette in pericolo la vita, nel quale avvengono alcune delle più drammatiche forme di violenza commesse sulle donne, sulle bambine e sui bambini. La violenza nell’ambiente domestico è di solito opera degli uomini che con le vittime hanno, o hanno avuto, un rapporto di fiducia, d’intimità e di potere: mariti, fidanzati, padri, suoceri, patrigni, fratelli, zii, figli o altri parenti. Anche le donne possono essere violente, ma i loro atti ammontano a una percentuale minima dei casi1. Mentre nel nostro Paese si pensava (e purtroppo ancora oggi, in parte, si pensa): “Picchia la moglie, ma è un buon padre”, nel I Congresso internazionale sulla violenza in famiglia, tenutosi a Singapore dall’8 all’11 settembre 1998, era dedicata un’attenzione particolare all’effetto che ha sui bambini essere testimoni della violenza degli adulti. Si affermava che l’esposizione precoce alla violenza è uno dei maggiori predittori di rischio 1 Cfr. Unicef, La violenza domestica contro le donne e le bambine, in Innocenti Digest 6 (giugno 2000) 1-30.

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di violenza in età adulta come vittima o come aggressore. La violenza assistita è ritenuta una violenza diretta sul minorenne anche in considerazione delle ricerche sul tema, sviluppatesi nei Paesi anglosassoni fin dagli anni Ottanta. Da queste ricerche è emerso quanto questa forma di violenza possa avere effetti negativi sul funzionamento emotivo, comportamentale, cognitivo, sociale e fisico dei bambini. Gli studi hanno inoltre rilevato un’elevata correlazione tra la vittimizzazione della madre e quella dei figli. Durante il Congresso venivano citati i lavori di Bruce Perry 2, che evidenziano l’importanza delle esperienze durante lo sviluppo nel determinare lo stato organizzativo e funzionale del cervello maturo. Tra il 1995 e il 1998, in California, è stato condotto un grande e importante studio, conosciuto come ACE Study (Adverse Childhood Experiences Study, Esperienze sfavorevoli infantili), che costituisce una delle più ampie indagini epidemiologiche (su un campione di ben 17.000 partecipanti) mai compiute e che ha dato il via a un programma di ricerca internazionale. Vincent Felitti, durante il Congresso mondiale di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) tenutosi ad Austin (Texas) nel 2013, ha osservato riguardo allo studio: 2 Cfr. B.D. Perry - J.E. Pate, Neurodevelopment and the Psychobiological Roots of Post-traumatic Stress Disorders, in L.F. Koziol - C.E. Stout (edd.), The Neuropsychology of Mental Disorders: A Practical Guide, C.C. Thomas, Springfield 1994, pp. 129-147; B.D. Perry, Maltreated Children: Experience, Brain Development and the Next Generation, W.W. Norton, New York - London 1996.

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L’obiettivo è stato quello di fornire analisi precise sull’effetto delle esperienze traumatiche vissute nei primi anni di vita per quanto riguarda l’insorgenza di patologie sia fisiche sia mentali, sui costi dell’assistenza sanitaria e sull’aspettativa di vita in età adulta.

Lo studio sulle ACE descrive le conseguenze a lungo termine di traumi infantili dell’attaccamento. Questi traumi sono legati ad alcune delle fonti di stress più intense e frequenti che i bambini possono vivere, quali: trascuratezza, violenze nei loro confronti, violenza tra genitori o tutori, altri tipi di gravi disfunzioni domestiche come alcol e abuso di sostanze, violenza tra pari, comunitaria e collettiva. Sono incidenti di percorso negativi, più o meno cronici, che compromettono i processi di attaccamento e lo sviluppo psicobiologico. Le esperienze sfavorevoli non sono mai isolate, ma tendono a essere più di una. La presenza di esperienze multiple può interferire e modificare il normale sviluppo del bambino3. Possono essere catalogate in esperienze sfavorevoli dirette e indirette. Le dirette si riferiscono ai seguenti comportamenti: • abuso sessuale; • maltrattamento fisico e/o psicologico ricorrente; • trascuratezza fisica e/o emotiva.

3 Cfr. V.J. Felitti - R.F. Anda, Il rapporto tra esperienze sfavorevoli infantili e malattie somatiche, disturbi psichiatrici e comportamento sessuale nell’adulto: implicazioni per la politica sanitaria, in R. Lanius - E. Vermetten - C. Pain (a cura di), L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta, Fioriti, Roma 2012, pp. 131-150.

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Le indirette riguardano fattori traumatogeni presenti nell’ambiente del bambino, quali: • violenza assistita, alcolismo e tossicodipendenza; • un membro della famiglia gravemente depresso, con disturbi mentali conclamati, in strutture di recupero o suicidario; • genitore unico o assenza di genitori; • un familiare incriminato per reati; • perdite (morte o abbandoni); • svantaggi economici e instabilità lavorativa; • un genitore che è stato vittima di abusi4. Queste ultime sono esperienze di dinamiche disfunzionali con gli adulti e fra gli adulti di riferimento, all’interno delle quali ai bambini vengono negati alcuni bisogni essenziali allo sviluppo, come, ad esempio, la sintonizzazione emotiva, la sicurezza, la prevedibilità. Rispetto a persone con un punteggio ACE di 0, gli individui con un punteggio di 4 o più avevano il doppio delle probabilità di essere fumatori, 12 volte più probabilità di tentare il suicidio, 7 volte più probabilità di essere alcolizzati e 10 volte più probabilità di essere utilizzatori di droghe da strada5. È possibile che i suddetti comportamenti siano messi in atto come un tentativo di

4 In questa classificazione ho tenuto presente la tabella realizzata dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. 5 Cfr. V.J. Felitti et al., Relationship of Childhood Abuse and Household Dysfunction to Many of the Leading Causes of Death in Adults: The Adverse Childhood Experiences (ACE) Study, in American Journal of Preventive Medicine 14/4 (1998) 245-258.

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alleviare il disagio emotivo o sociale conseguente alle ACE, anche se implicano conseguenze dannose a lungo termine. Oggi, grazie allo sviluppo degli studi e delle ricerche nel campo delle neuroscienze6, della psicopatologia dello sviluppo7 e della neurobiologia interpersonale8, possiamo affermare che essere esposti a eventi che suscitano sentimenti di terrore, impotenza e una disregolazione cronica sul piano emozionale può produrre effetti trasformativi sul piano cognitivo, affettivo, comportamentale e fisiologico, causando un danno biologico nei soggetti in età evolutiva. Numerosi dati di ricerca hanno confermato che traumi relazionali precoci possono determinare alterazioni anatomiche e funzionali a carico di quelle aree dell’emisfero destro responsabili della regolazione della vita emozionale, di varie parti del sistema limbico, delle aree prefrontali e dell’asse ipotalamo-ipofisi-adrenocorticale, cioè dell’asse della regolazione ormonale dello stress. Dal punto di vista clinico e psicopatologico, una marcata disregolazione dell’arousal (livello di attivazione psicofisiologica dell’organismo) è considerata uno degli esiti più frequenti ed evidenti di una pregressa traumatizzazione9. Da questa prospettiva risulta essere traumatizzante ciò che è in grado di causare una disregolazione cronica, più o meno intensa, dell’arousal fisiologico, emotivo e comportamentale. Studio di come il cervello supporta i processi mentali. Studio dell’impatto delle esperienze sfavorevoli sullo sviluppo della mente e del cervello. 8 Studio di come il comportamento influenza emozioni, biologia e assetto mentale. 9 Cfr. R. Lanius - E. Vermetten - C. Pain (a cura di), L’impatto del trauma infantile. 6 7

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Possiamo dunque ipotizzare che la gran parte delle esperienze sfavorevoli infantili costituiscano esperienze traumatiche o perché vere e proprie minacce all’integrità della persona o perché gravi e perduranti mancanze di sintonizzazione in grado di produrre un allarme cronico nel bambino. È stato dimostrato che lo stress prolungato durante l’infanzia ha conseguenze per tutta la vita sulla salute e il benessere; può interrompere lo sviluppo precoce del cervello e compromettere il funzionamento del sistema nervoso e di quello immunitario. L’Organizzazione Mondiale della Sanità incoraggia l’utilizzo dell’indagine ACE, attraverso l’ACE International Questionnaire (ACE-IQ), con soggetti fino a diciotto anni di età, in quanto i risultati delle indagini ACE-IQ possono essere di grande valore nel sostenere un aumento degli investimenti per ridurre le avversità infantili e contribuire alla progettazione di programmi di prevenzione10.

10 Cfr. World Health Organization, Adverse Childhood Experiences International Questionnaire (ACE-IQ), Geneva 2018 (http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/activities/adverse_childhood_experiences/ questionnaire.pdf).

56


INDICE

pag.

Prefazione

7

Parte prima

CARATTERISTICHE DI UN FENOMENO

I.

Gli orfani di madre uccisa dal padre

»

15

II.

Omicidi di donne madri da parte di partner o ex partner

» »

20 21

Le indagini di revisione (Domestic Fatality Review)

»

29

La Commissione parlamentare d’inchiesta

»

31

L’importanza di un approccio multifattoriale

»

45

»

51

Alcuni dati

III. IV. V.

Parte seconda

L’ESPOSIZIONE ALLA VIOLENZA

VI.

L’impatto sui bambini


VII. La violenza assistita VIII. Caratteristiche genitoriali Competenze e funzioni genitoriali Caratteristiche paterne Caratteristiche materne

pag.

57

» » » »

61 61 63 74

Parte terza

IL TRAUMA

IX.

Il legame traumatico

»

87

X.

Ambiente traumatico e Modelli Operativi Interni

»

93

La violenza assistita come trauma dello sviluppo

»

97

»

106

XIII. Gli interventi

»

117

XIV. Special orphans: vittime invisibili

» » » » » »

124 124 126 127 128 128

XI.

XII. Il trauma legato all’omicidio della madre

Parte quarta

INTERVENTI E LINEE GUIDA

Obiettivi Breve panoramica dei dati emersi Informazioni socio-demografiche Autore del reato Genitore ucciso


Fattori di rischio Dati sull’uxoricidio Situazione successiva alla perdita del genitore Elementi significativi emersi

XV.

Le tutele giuridiche

Ringraziamenti Bibliografia

pag. 130 » 131 » »

132 142

»

149

» »

153 155



Teresa Bruno, psicologa psicoterapeuta, è stata presidente del centro antiviolenza Artemisia di Firenze (2014-2021). Ha lavorato per l’European Women’s Lobby (EWL) Observatory on Violence Against Women e per la Corte Penale Internazionale. Docente in master universitari e corsi di perfezionamento, ha pubblicato diversi articoli e partecipato a congressi a livello nazionale e internazionale. Svolge attività clinica e di formazione e supervisione per gruppi che lavorano con vittime di traumi.

Foto di copertina: © afalina2020 / Shutterstock €

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06H 246

Il femminicidio è un evento traumatico non soltanto in sé, ma anche per quanti ne sono in diversa misura coinvolti. Le vittime più indifese sono i figli, che da un giorno all’altro si ritrovano a essere «orfani speciali». Qual è la loro sorte? Chi se ne prenderà cura? Quali saranno le conseguenze sulla loro vita dal punto di vista fisico, psicologico, sociale? In queste pagine, oltre a delineare, dati alla mano, un fenomeno come il femminicidio che non accenna a diminuire, si affrontano le problematiche che riguardano i minori e si presentano linee guida e buone prassi di intervento per accompagnarli nel loro percorso formativo e di inserimento nella società.

ISBN 978-88-315-5393-3


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