Giustiagliocchididio

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Paolo Castellina

Giusti agli occhi di Dio Meditazioni quotidiane sulla lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma

Edizioni Tempo di Riforma 2009


ISBN 978-1-4092-8835-0 Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, ediz. Società Biblica di Ginevra, 1994. Ulteriori riflessioni bibliche, predicazioni, studi ed articoli del past. Paolo Castellina, sono presenti nel sito web http://www.riforma.net Email paolocastellina@gmail.com Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.0 Inghilterra & Galles. Per leggere una copia della licenza visita http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/uk/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA. Giugno 2009

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 2


Introduzione Dopo il mio “Cento giorni con Marco”, meditazioni quotidiane sul vangelo secondo Marco, ecco una nuova mia pubblicazione, questa volta sulla lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma. Non è altro che la continuazione delle mie riflessioni quotidiane sulla Parola di Dio iniziata, in questa forma, il primo gennaio 2009 e che, a Dio piacendo, continuerà con altri libri della Bibbia ancora. Incoraggiato dall'apprezzamento di molti che le seguono regolarmente su Internet, queste meditazioni vogliono un incoraggiamento a leggere e meditare ogni giorno le Sacre Scritture con il necessario accompagnamento della Preghiera. Prendersi del tempo ogni giorno per dialogare a tu per tu con Dio, infatti, non è un lusso riservato a “chi può”, né solo per persone “particolarmente religiose”, ma è una necessità vitale di ogni cristiano per nutrire lo spirito, tanto quanto lo è colazione, pranzo e cena per nutrire il corpo. Gesù stesso diceva: “Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio” (Matteo 4:4). Incontrarci ogni giorno con il Signore, inoltre, è pure espressione della riconoscente devozione che il cristiano ha per il Suo Signore e Salvatore. Non si ha forse desiderio di frequentare e parlare spesso con la persona che si ama? Non si ascolta forse volentieri e con fiducia ciò che dice chi ci vuole bene? “Noi lo amiamo perché egli ci ha amato per primo” (1 Giovanni 4:19). Il vocabolario della lingua italiana definisce il termine “devozione”, fra l'altro, con: “profonda venerazione”, “raccoglimento proprio delle manifestazioni di fede”, “profondo rispetto e attaccamento, particolarmente come segno di gratituMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 3


dine e riconoscenza“, “dedizione ad un ideale, ad un principio”, “sottomissione ad un principe”. Sono definizioni appropriate per farci meglio intendere il significato che do a questi miei libri quando li definisco “commentario devozionale”: ispirati cioè dall'amore per Colui che ci parla attraverso la Bibbia. Affrontiamo così, in questo volume, la lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma. Perché questa mia scelta dopo un libro su Marco? Perché, dopo aver conosciuto il Signore e Salvatore Gesù Cristo attraverso i vangeli, la lettera ai Romani è altrettanto fondamentale per approfondire l'insegnamento di Cristo. Qualcuno potrebbe forse considerare questa lettera come particolarmente complessa nelle dottrine che esprime. Lo stesso apostolo Pietro, parlando delle lettere di Paolo, afferma: “In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (2 Pietro 3:16). È però una sfida che ogni cristiano deve accettare. Io stesso, che pure, evidentemente, la conoscevo, ne sono stati ulteriormente arricchito e sfidato. Questa lettera è stata considerata “l'opera più profonda mai scritta”. A differenza, infatti, dalle altre lettere di Paolo, essa non tratta di problemi particolari della chiesa locale o di materie specifiche che l'Apostolo ritiene di portare alla nostra attenzione. Quando scrive questa lettera da Corinto in Grecia, Paolo, benché conoscesse personalmente diversi suoi membri, non aveva mai ancora visitato Roma, ma era ansioso di stabilire rapporti con una comunità che sperava di poter includere al più presto nel suo itinerario ed usarla come base per future attività. Così facendo, egli elabora quel che potremmo consideMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 4


rare il suo credo, il distillato di più di 20 anni di riflessioni sulla natura e significato della fede cristiana. Sempre di nuovo nella storia del Cristianesimo, è proprio a questa particolare lettera che uomini e donne di fede si sono rivolti per calibrare, per così dire, la loro bussola, quando erano turbati dalla persuasione che il modo in cui veniva presentato l'Evangelo nel loro tempo fosse inadeguato od erroneo. È stato così con Agostino d'Ippona, con Martin Lutero e con Karl Barth. Inoltre, è proprio dall'aver udito predicazioni sulla lettera ai Romani che illustri personaggi come John Wesley sono giunti ad una profonda conversione a Cristo. Scrivendo a persone che erano giunte alla fede in Cristo sia da ambienti ebraici che pagani, l'interesse di Paolo è mostrare come non importi da che parte si sia entrati nella comunità cristiana, il problema per ogni uomo ed ogni donna rimane lo stesso – rapportarsi a Dio in modo corretto, essere giusti ai Suoi occhi. Né il Giudaismo né il paganesimo, infatti, può gettare un ponte sul terrificante abisso che separa l'essere umano, legato a questa terra dalla sua arroganza e follia ed aggravato dalle colpe proprie e della società, dall'infinita santità e perfezione di Dio, eternamente trascendente. Solo, infatti, ciò che Dio stesso ha compiuto scendendo al nostro livello nella persona di Gesù Cristo, che Egli ci può elevare alle altezze dove dimora Dio, per trovarvi il vero compimento della nostra umanità. Nel tornare a riflettere sulla lettera ai Romani, infine, non ho potuto fare altro che riconoscere, con profonda stupefazione, come larghi settori della chiesa moderna, scivolati su posizioni antropocentriche, sembrino spesso evitare di trattare gli argomenti di questa lettera. Non sorprende che questo avvenga e Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 5


che oggi non si predichi abbastanza e non si conducano abbastanza studi biblici su di essa, perché il teocentrismo del pensiero paolino è una sgradita pietra di inciampo per chi, sulla propria agenda, ha ben altri obiettivi da raggiungere. Ancora oggi, quindi, la lettera ai Romani rimane fondamentale per chi è persuaso che la Riforma biblica della Chiesa rimanga di immutata attualità e necessità. Che il Signore, dunque, attraverso la lettura della lettera ai Romani e di questo suo commento, vi benedica con abbondanza. Paolo Castellina, 17 giugno 2009

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 6


1 La sua e la nostra identità

E

“1 Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, 2 che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture 3 riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4 dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, 5 per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome – 6 fra I quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo – 7 a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati a essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo” (Romani 1:1-6).

cco la prefazione della lettera che l'apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Roma. Prima di tutto li saluta con la grazia e la pace di Dio e del Signore Gesù Cristo. Poi si presenta con il suo nome Paolo. Non specifica, però, altre informazioni su di lui (famiglia e luogo d'origine) perché vede la Sua identità come strettamente legata alla Persona Gesù Cristo, suo Signore, dal quale ha ricevuto grazia e del quale egli è servitore e messaggero (apostolo). Il compito a cui è stato chiamato, infatti, è trasmettere l'Evangelo di Dio, quello che già era stato promesso per mezzo dei profeti nelle antiche scritture ebraiche. Questo annuncio, egli specifica, riguarda Gesù, il Cristo di Dio. Gesù ha una doppia natura. Dal punto di vista umano, Egli appartiene alla stirpe regale di Davide, ma la Sua identità ultima e profonda è quella di essere il Figlio di Dio, dichiarato Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 7


potentemente tale attraverso la Sua risurrezione dai morti. Il compito dell'annuncio dell'Evangelo, il mandato che Paolo ha ricevuto, è quello di ottenere l'ubbidienza della fede in Cristo di uomini e donne d'ogni nazione. Fra di esse vi sono i romani, che Dio pure ha amorevolmente chiamato ad appartenergli ed a condividere la Sua eccellenza morale e spirituale. Essenzialmente come un servitore, Paolo non attira così l'attenzione su sé stesso, ma su Colui che egli serve, la cui signoria esige universale ubbidienza. E' importante sapere chi siamo, avere un chiaro senso della nostra identità. Famiglia, cultura, lingua, professione ecc. sono indubbiamente dei valori da affermare, soprattutto nel tempo della globalizzazione e dell'omologazione generalizzata. Per un cristiano, però, tutto questo è secondario. Il cristiano è fiero di appartenere a Dio e di trovare in Lui la propria identità e funzione. Egli è chiamato da Dio, per la Sua grazia in Cristo Gesù ad appartenergli e a servirlo, poiché Egli è il Re dei re ed il Signore dei signori. La migliore definizione di sé stesso di un cristiano che io conosca è quella espressa dalla risposta alla prima domanda del Catechismo di Heidelberg (1563): Qual è il tuo unico conforto in vita e in morte? Che io, con corpo ed anima, sia in vita che in morte, non sono mio, ma appartengo al mio fedele Salvatore Gesù Cristo, che col Suo prezioso sangue ha pienamente pagato per tutti i miei peccati, e mi ha redento da ogni potere del diavolo; e mi preserva così che senza la volontà del Padre mio che è nei cieli neppure un capello può cadermi dal capo, sì, così che tutte le cose devono cooperare alla mia salvezza. Pertanto, per mezzo del Suo Santo Spirito, egli inoltre mi assicura della vita eterna, e mi rende di cuore volenteroso e pronto d'ora innanzi a viver per Lui. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 8


Preghiera. Ti ringrazio, o Signore della catena di messaggeri che dall'apostolo Paolo e i suoi collaboratori hanno fatto sì che giungesse fino a me il messaggio dell'Evangelo. Esso mi parla della grazia che Tu mi hai accordato in Cristo. Sono fiero di confessare in questo la mia identità. Desidero adoperarmi per ritrasmettere fedelmente questo messaggio attorno a me. Grazie della risorse che per questo Tu mi metti a disposizione. Amen.

2 Le aspirazioni dell'Apostolo e le nostre “8 Prima di tutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede è divulgata in tutto il mondo. 9 Dio, che servo nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che faccio continuamente menzione di voi 10 chiedendo sempre nelle mie preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi. 11 Infatti desidero vivamente vedervi per comunicarvi qualche carisma affinché siate fortificati; 12 o meglio, perché quando sarò tra di voi ci confortiamo a vicenda mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13 Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da voi (ma finora ne sono stato impedito) per avere qualche frutto anche tra di voi, come fra le altre nazioni. 14 Io sono debitore verso I Greci come verso I barbari, verso I sapienti come verso gli ignoranti; 15 così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunziare il vangelo anche a voi che siete a Roma” (Romani 1:8-15).

L

'apostolo Paolo, benché non fosse mai stato a Roma, loda e ringrazia Dio di tutto cuore per i cristiani di quella città avendone sentito parlare molto bene. La capitale dell'impero non era certo un luogo facile in cui vivere Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 9


come cristiani. "Seguire Cristo" significava essere anticonformisti, significativamente diversi nelle proprie persuasioni e stile di vita in un contesto dove il potere politico e religioso (pagano) imponeva alla popolazione (manipolata) stretta conformità ai "valori nazionali". La corruzione morale prevalente, inoltre, esercitava forti pressioni su chi, evidentemente, perseguendo la santità di Cristo, a questa corruzione non intendeva adattarsi. Quella dei cristiani di Roma era una fede "eroica" che molti additavano come modello. La fede, però, deve sempre essere, in qualche modo, "eroica", nel senso che deve essere coerente. Se non è, infatti, coerente, che fede è? Se non incide significativamente e soprattutto "visibilmente" sulla realtà personale, che fede è? Se non è una fede "che costa" che fede è? Come ci guardano, come "ci conoscono" gli altri cristiani? Tanto da additarci come esempio da seguire? Tanto da essere un esempio da imitare? Carisma per fortificarsi e conforto. Per poter resistere in una realtà avversa, però, i cristiani devono avere risorse spirituali adatte e sufficienti, carismi, i doni che per questo Dio mette a disposizione del Suo popolo. Conoscendo la situazione impegnativa dei cristiani di Roma, Paolo non cessa di pregare per loro chiedendo, inoltre, al Signore, di avere l'opportunità di fare loro visita per condividere con loro la sapienza apostolica che gli era stata data. Paolo desidera ardentemente visitare Roma non per ammirare i suoi monumenti e templi, vedere la ricchezza della sua corte e la potenza del suo esercito, ma fornire, attraverso l'insegnamento, i cristiani di Roma delle risorse spirituali che li avrebbero fatti ulteriormente maturare nella fede. Paolo qui non è "presuntuoso", perché indubbiamente aveva ricevuto dal SiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 10


gnore quello speciale carisma del quale ancora oggi noi ci avvaliamo. Gran parte delle lettere del Nuovo Testamento, infatti, sono sue, e Dio si è compiaciuto di parlarci attraverso di esse. Che meraviglioso arricchimento doveva essere stare personalmente ad ascoltarlo mentre insegnava! Certo, non come stare ad ascoltare Cristo stesso, ma la gente poteva stare ad ascoltarlo per ore. Paolo stesso sarebbe stato confortato dal vedere questi cristiani crescere nella fede e saperla comunicare con grande competenza. Paolo è consapevole che trasmettere l'Evangelo sia un privilegio ed un dovere di ogni cristiano, anzi, un debito sia verso i greci (raffinati ed intellettuali) che verso i barbari (rozzi ed incivili); sia verso coloro che cercano verità e si adoperano per vivere moralmente, che verso persone ignoranti ed irresponsabili. Conoscere l'Evangelo di cristo non è una curiosità intellettuale "per chi ama queste cose", ma "una questione di vita e di morte" per ogni uomo e donna. accogliendo, infatti, il messaggio dell'Evangelo Dio opera per liberare e salvare la creatura umana dalle conseguenze temporali ed eterne del peccato. Trasmettere l'Evangelo è un dovere che abbiamo verso gli altri, chiunque essi siano. Trasmettere l'Evangelo è espressione di autentico amore. Preghiera. Signore Iddio, aspiro a rendere la mia fede in Cristo veramente rilevante nella mia vita, affinché non solo io ne tragga vantaggio personale, ma perché anche gli altri, attraverso il mio comportamento ed esempio, ne abbiano beneficio. Che io sia diligente nell'impegno ad assorbire diligentemente le risorse spirituali che tu metti a disposizione nella Tua chiesa per la nostra maturazione umana e spirituale. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 11


3 La nostra giustizia e la giustizia di Dio “16 Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; 17 poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà»” (Romani 1:16,17).

Paolo qui presenta il tema della sua lettera: la giustizia di Dio. Che cos'è, però, giustizia? Quali ne sono i criteri? Quando e come possiamo ritenerci "persone giuste"? I criteri di giustizia umani (la giustizia dell'uomo). I criteri secondo i quali una persona può ritenersi moralmente giusta sono oggi molto labili e soggettivi. Sono generalmente i valori accettati nella società in cui viviamo (come ci considera "la gente"), le leggi in vigore nel nostro Paese, i dettami della nostra coscienza ecc.: quando "rispettiamo" tutto questo, allora ci consideriamo "persone a posto", certo "perfettibili", ma "neanche poi tanto male". Si tratta di valori, però, in continuo cambiamento, soggetti a "contrattazione". Spesso, inoltre, anche quando trasgrediamo uno o più di questi criteri, riusciamo a giustificarci ed a trovare delle "scusanti" per le quali noi ci assolviamo, trovando modo di evaderne le conseguenze. E Dio? Possiede forse dei criteri di giustizia secondo i quali è misurata la nostra personale "accettabilità" di Sue creature? Eclissato Dio, così com'è, dalla comune consapevolezza, i Suoi criteri di giustizia sembrano non preoccupare oggi più di quel tanto. Per molta gente essi corrispondono a quanto noi riteniamo giusto. Dio è considerato magari solo come chi avalla il nostro Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 12


soggettivo e relativo senso di giustizia o che "perdona tutto" perché, a nostro dire, sarebbe "buono e tollerante". E i "comandamenti"? Per molti essi equivalgono ai "precetti della chiesa", considerati ormai generalmente "superati"... Se tutto questo descrive la situazione che noi viviamo oggi, il discorso che l'Apostolo fa qui sulla giustizia di Dio, risulta del tutto incomprensibile, irrilevante e facilmente equivocabile. Il meno che si possa dire è che il mondo concettuale al quale fa riferimento non è (più) il nostro. Abbiamo quindi buon gioco ad ignorarlo e a "passare ad altre cose". E' così? No. La verità è ciò che oggettivamente la Bibbia ci rivela. E' il nostro arrogante e comodo modo di ragionare "moderno" (quello che ho cercato qui di descrivere sommariamente) ad essere completamente sbagliato, ingannevole e rovinoso. Esso può e deve essere abbattuto, così come devono essere radicalmente contestati ed abbattuti i nostri "criteri di giustizia", le nostre facili giustificazioni, il nostro soggettivismo e relativismo, la stessa concezione che abbiamo di Dio e della Sua giustizia: dobbiamo fare piazza pulita di tutto questo per ristabilire la verità di ciò che la Bibbia oggettivamente afferma. I criteri di giustizia di Dio (la giustizia di Dio). Il criterio morale secondo il quale, come creature di Dio, siamo chiamati a vivere, sono stati chiaramente rivelati. I criteri secondo i quali una persona può ritenersi moralmente giusta e quindi accettabile di fronte a Dio (in altre parole, "la salvezza") sono stabiliti oggettivamente da Dio nella Sua legge. Non sono "contrattabili" o "discutibili". Rispetto ad essi saremmo un giorno giudicati. Passeremo il test? Ahimè no. Al giudizio di Dio ne usciremo svergognati e condannati inappellabilmente (come questa lettera, più avanti, dimostrerà). Non c'è, allora, speranza alcuna per noi? E' qui che interviene la grazia di Dio in Gesù Cristo, il contenuto dell'Evangelo di cui l'Apostolo è portatore e che Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 13


espone qui nella sua lettera. L'accettabilità morale di una persona davanti a Dio (e quindi la sua salvezza eterna) è conseguibile, per grazia di Dio, affidandoci all'opera di Gesù Cristo in nostro misericordioso favore ("per fede"). L'uomo o la donna potrà essere ritenuto giusto sulla base della fede (del proprio affidamento) al Signore e Salvatore Gesù Cristo. La trasmissione di questo messaggio di grazia, come pure la trasmissione della grazia stessa, è avvenuta ed avviene attraverso uomini e donne di fede, "da fede a fede", attraverso uomini e donne che, rinunciando alle proprie pretese di essere o diventare giusti attraverso la propria performance (la propria giustizia) hanno accolto per fede la giustizia di Dio attraverso la grazia che veniva loro provveduta. Di questo messaggio (assolutamente fuori dall'ordine di idee prevalente in questo mondo, e spesso respinto e deriso) Paolo non si vergogna. Esso è potente per salvare dal peccato gente di ogni tipo (sia ebrei, popolo a cui Paolo appartiene) che pagani. E' un messaggio davvero anticonformista e rivoluzionario! Preghiera. Ti ringrazio, Signore Iddio, che attraverso una catena ininterrotta di uomini e donne di fede nella Tua grazia, il messaggio dell'Evangelo è giunto fino a me e mi ha coinvolto potentemente. Che io mai mi vergogni di esso, anzi, che io lo annunci apertamente a tutti, sicuro della sua efficacia salvifica. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 14


4 Impresse ma soppresse

I

“L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia” (Romani 1:18).

ddio ha stabilito per le creature umane oggettivi criteri di comportamento morale che dobbiamo rispettare e dai quali dipende la nostra stessa vita. Queste leggi (regole di comportamento) sono impresse nella nostra stessa natura. Trasgredirle implica per noi necessariamente conseguenze negative: corrompono e guastano la realtà della nostra vita, producono disarmonia e morte. La trasgressione alle leggi destinate a garantire e regolare la nostra vita, inoltre, pregiudica i nostri rapporti con Dio, per i quali eravamo stati creati. Dio, infatti, è santità, ordine, armonia. Dio non può tollerare ciò che va contro alla Sua stessa natura: "Tu (...) hai gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male, e (...) non puoi tollerare lo spettacolo dell'iniquità" (Abacuc 1:13). Per usare un'immagine alla nostra portata, potremmo dire che di fronte alla trasgressione della Sua legge, Iddio abbia una forte "reazione allergica", perché il peccato non è assolutamente compatibile con la natura di Dio: il peccato prima o poi sarà colpito dalla Sua giusta ira. Ecco che cosa si intende per "ira di Dio": la Sua inevitabile reazione di condanna contro il peccato. L'ingiustizia (ciò che non è giusto secondo i criteri stabiliti da Dio) implica così necessariamente, per creature senzienti e responsabili quali noi siamo, delle sanzioni penali: "Chi pecca morirà" (Ezechiele 18:4); "...perché il salario del peccato è la morte" (Romani 6:23), in tutti i sensi (corruzione, degradazione e morte). Il peccato, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 15


quando nasce e si sviluppa, è come un tumore che, come cellula estranea, “sbagliata”, finisce col distruggerci. La legge di Dio (proclamata attraverso Mosè e come riassunta dal Decalogo) è notoriamente suddivisa in due tavole: i nostri doveri verso Dio ed i nostri doveri verso gli altri. Contravvenire ai nostri doveri verso Dio, ai Suoi diritti, cioè la nostra fondamentale ribellione alla Sua giusta e per noi necessaria autorità, è chiamata empietà, così com'è chiamata ingiustizia ogni trasgressione ai diritti di cui sono titolari i nostri simili (i diritti umani). Le leggi di Dio sono impresse nella nostra stessa natura, ma l'essere umano, ribelle all'ordinamento di Dio, per il quale queste leggi "non sono di suo gusto", sopprime, soffoca, schiaccia, distorce, ciò di cui la sua stessa natura rende testimonianza. E' così che la coscienza viene imbavagliata, messa a tacere. E' sintomatico, a questo riguardo, ciò che tentano di fare sui loro pazienti certi moderni "esperti della psiche umana": quando una persona ne è oppressa, toglierle i sensi di colpa, persuaderla a giustificare, a considerare accettabili e normali comportamenti che contravvengono ai criteri morali secondo i quali dobbiamo vivere. Certamente vi possono essere sensi di colpa infondati, ma il senso di colpa che sorge quando si trasgredisce le oggettive leggi di Dio, è un salutare "campanello d'allarme" che, più che essere soffocato, deve essere "risolto" tramite il ravvedimento, l'emendamento della nostra vita. Allo stesso modo la società moderna "liberale" e "tollerante" aspira a "normalizzare" ciò che Dio considera peccato. La moderna "liberazione dalla religione" non è forse un tentativo di sopprimere la legge di Dio illudendoci di poterne fare a meno e di non subirne le conseguenze quando la si trasgredisce?

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 16


L'Evangelo di Gesù Cristo è rivelazione della grazia e dell'amore di Dio, ma esso presuppone la rivelazione della giusta ira di Dio verso il peccatore. Che senso avrebbe, infatti, il termine "grazia" se non presupponesse la legge di Dio infranta ed una condanna giustamente da scontare, dalla quale essa libera? Preghiera. Signore Iddio, sento tutto il peso del peccato che corrompe e guasta la nostra vita. Vedo le giuste esigenze della Tua legge di giustizia. Riconosco di essere un peccatore: è per questo che, confessando i miei peccati ed implorando il Tuo perdono, ho accolto il Tuo Figlio Gesù Cristo come la grazia della mia riabilitazione. Che Egli continui in me l'opera di purificazione che ha iniziato, affinché io sia conforme alla Tua volontà. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 17


5 Inescusabili

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“19 poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; 20 infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, 21 perché, pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno ringraziato; ma si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato. 22 Benché si dichiarino sapienti, son diventati stolti, 23 e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili" (Romani 1:18-23).

a vera questione non è se Dio esista oppure no, ma se esistano gli atei e gli agnostici! Di fatto nessuno può dire di non avere conoscenza di Dio e delle Sue leggi perché questa conoscenza è radicata in noi in quanto Sue creature fatte a Sua immagine e somiglianza. Questa conoscenza possiamo solo sopprimerla proditoriamente, tacitarla, ma non negarla! Nessuno potrà un giorno scusarsi e dire di non aver saputo! Il concetto è simile al principio giuridico latino: Ignorantia legis non excusat (L'ignoranza della legge non scusa), cioè è dovere del cittadino essere al corrente delle leggi vigenti, evitando così che la eventuale non conoscenza di una determinata legge costituisca materia per la difesa. La conoscenza della norma si dà per presunta.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 18


L'essenza di Dio, le Sue qualità invisibili, sono percepibili attraverso l'osservazione attenta della realtà che ci circonda. Iddio, inoltre, dice nella Sua Parola: “Io non ho parlato in segreto, in qualche luogo tenebroso della terra; io non ho detto (...): 'Cercatemi invano!'” (Isaia 45:19). L'Apostolo dice altresì: “Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la propria via, senza però lasciare sé stesso privo di testimonianza, facendo del bene, mandandovi dal cielo pioggia e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza, e letizia nei vostri cuori” (Atti 14:16). Certo, la conoscenza che possiamo avere di Dio per via naturale sarà necessariamente limitata. Essa però è sufficiente per impedirci di fabbricarci divinità simili a creature vere od immaginarie. La nostra conoscenza sarebbe sufficiente per impedirci di fare “vani ragionamenti”, creandoci magari un'immagine di un Dio di comodo che ci eviti di prenderci le nostre responsabilità verso di Lui. Quando, però, ci creiamo un Dio di comodo, sfruttandolo per servire ai nostri interessi egoistici, otteniamo il risultato solo di corrompere la nostra ed altrui intelligenza ottenebrando il nostro cuore con superstizioni che ci terranno lontani dal Dio vero e vivente. Ancora, la conoscenza che abbiamo di Dio per via naturale dovrebbe essere sufficiente per portarci a glorificare e ringraziare Dio, ad accostarci a Lui per rendergli il culto che Gli è dovuto. Mancando di farlo, invece, solo ci manifestiamo stolti ed autolesionisti. Il peccato, infatti, ottenebra e corrompe il nostro cuore (la nostra percezione spirituale), tanto che senza uno speciale intervento di Dio che dissipi queste tenebre, nessuno, per via naturale, potrebbe liberarsene per giungere alla salvezza. La conoMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 19


scenza naturale di Dio serve solo per renderci inescusabili. Essa è molto diversa da quella che porta alla salvezza, quella di cui parla Gesù: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3), e della quale il cristiano si gloria: “...chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono il SIGNORE. Io pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, perché di queste cose mi compiaccio", dice il SIGNORE” (Geremia 9:24). Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio che Tu ti riveli attraverso le opere della creazione in modo chiaro. Rinuncio ad ogni umana corrotta fantasia per cogliere la straordinaria bellezza spirituale della Tua natura pari a nulla che, per quanto bello o potente sia, si trovi nel creato Per questo Ti lodo e Ti ringrazio. Dammi di saper sempre meglio conoscerti attraverso Gesù Cristo e l'intera Tua rivelazione scritta. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 20


6 Inevitabili disfunzioni, corruzione e morte “24 Per questo Dio li ha abbandonati all'impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da disonorare fra di loro i loro corpi; 25 essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. 26 Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l'uso naturale in quello che è contro natura; 27 similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. 28 Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; 29 ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; 30 calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31 insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. 32 Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (Romani 1:24-32).

S

iccome non si sono curati di conoscere Dio e i criteri di comportamento da Lui stabiliti (la Sua legge), creandosi “un dio” e “una moralità” loro conveniente a proprio uso e consumo, Dio ha detto: “OK, fate pure ...e patitene le conseguenze!”. Quali altri risultati si potrebbero attendere? Non ci sono altre opzioni: o si vive come Dio ha stabilito nella Sua sapienza, in armonia con i Suoi propositi creativi, o è il Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 21


caos: inarrestabile sarà il processo di degradazione, corruzione e morte. Disfunzioni di ogni tipo ad ogni livello, infatti, stanno facendo cadere l'umanità moralmente e spiritualmente sempre più in basso. Accecata dai miti del progresso e dell'evoluzionismo, l'umanità che aspira all'indipendenza da Dio, volendo essere dio e legge a sé stessa, come il proverbiale mostro di Frankenstein (moderno Prometeo), sta plasmando il proprio disumano modello di “uomo”, un progetto naturalmente fallimentare, nonostante tutte la sua insolenza e superbia. Il quadro che qui l'Apostolo dipinge non è altro che la società pagana di quel tempo, di cui la “cultura omosessuale” ne è espressione paradigmatica. È palese come pure essa bene rifletta il neo-paganesimo moderno che, all'insegna della “liberazione del sesso” vorrebbe creare “nuovi modelli” di coppia, di famiglia, di società. Liberandosi dai “pregiudizi” della religione o promuovendo un “cristianesimo” abilmente riveduto e corretto che ne serva le istanze, dopo aver “mutato la verità di Dio in menzogna”, “secondo i desideri dei loro cuori” di fatto ci sta trascinando a giustificare “passioni infami” verso un degrado morale sempre più pronunciato, legittimato da un non meglio precisato “amore”. Sciolti così dalle “catene” dei criteri di comportamento stabiliti da Dio, ogni altro aspetto della morale viene relativizzato, alterato e corrotto. Perché, allora, farsi tanti scrupoli? Si giustifica ogni ingiustizia e cupidigia, le frodi sono all'ordine del giorno con grande ingegnosità nel male. La lealtà non è più un valore. I legami familiari e gli affetti naturali vengono calpestati senza pietà alcuna. La soppressione della vita umana, in ogni sua fase (l'omicidio), è giustificata. Disabili, malati ed anziani sono considerati più o meno esplicitamente “un peso” per la società e a loro si vorrebbe garantire “una buona morte”. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 22


Chi si oppone a questo e ad altro ancora (le infrazioni alla “moralità stabilita” non conoscono più alcun limite, se non la propria fantasia e creatività...) è considerato “arretrato” e deve essere fatto tacere. I decreti di Dio verso coloro che fanno tali cose sono chiari: condanna senza appello, eppure grandi onori vengono attribuiti a chi compiacente approva ed applaude tutto questo. Saremo noi tra questi? L'umanità che scivola sempre di più su questa china non può avere alcun futuro, se non distruzione e morte. Di fatto, ci saremmo già autodistrutti da tempo se Dio, nella Sua provvidenza, non continuasse a “tenere insieme” le cose fintanto che non siano tutti raccolti e portati in salvo dal disastro generale coloro ai quali Iddio ha scelto per farne oggetto della Sua grazia. Preghiera. Signore Iddio, tienimi lontano il più possibile dalle seduzioni di questo mondo, affinché io non sia trascinato dalla sua rovina. Rafforzami, te ne prego, affinché io resista alle difficoltà che una testimonianza cristiana coerente inevitabilmente implica vivendo in questo contesto di virulento peccato. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 23


7 Il giusto giudizio di Dio “1 Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose. 2 Ora noi sappiamo che il giudizio di Dio su quelli che fanno tali cose è conforme a verità. 3 Pensi tu, o uomo, che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai tu stesso, di scampare al giudizio di Dio? 4 Oppure disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento? 5 Tu, invece, con la tua ostinazione e con l'impenitenza del tuo cuore, ti accumuli un tesoro d'ira per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio. 6 Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: 7 vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; 8 ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all'ingiustizia. 9 Tribolazione e angoscia sopra ogni uomo che fa il male; sul Giudeo prima e poi sul Greco; 10 ma gloria, onore e pace a chiunque opera bene; al Giudeo prima e poi al Greco; 11 perché davanti a Dio non c'è favoritismo” (Romani 2:1-11).

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'apostolo, dopo avere messo in luce la corruzione della società pagana, intende pure dimostrare che nessuno, in realtà, può considerarsi davanti a Dio giusto ed innocente, quand'anche non avesse commesso in quel modo quei peccati. L'ipocrisia di tanti “santarelli” è, infatti, altrettanto diffusa e bene accertata... Sarebbe facile per molti, dopo aver letto i capi d'accusa che l'Apostolo pronunzia contro la società pagana, dire: “Sono d'accordo: tutto questo deve essere conMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 24


dannato senza appello. Grazie a Dio, io non sono così”. Si pongono in questo modo dalla parte degli accusatori, dei giudici. Paolo, però, replica: “Davvero è così? Sei proprio sicuro di poterti onestamente porre fra chi giudica?”. No, in realtà nessuno può considerarsi giusto. Non avrai magari commesso i peccati più grossolani, ma se ti esamini accuratamente rispetto ai criteri oggettivi di giustizia ai quali Dio esige che ci conformiamo, in pensieri, parole ed opere, “nessuno si salva”. Quante volte, infatti, abbiamo commesso mentalmente o in segreto, pensando di non essere scoperti, quelle stesse cose che condanniamo in altri e per le quali manifestiamo indignazione? Quante volte abbiamo immaginato “i piaceri” della trasgressione? Se pensiamo onestamente di essere giusti o di poterci in qualche modo giustificare, inganniamo noi stessi o gli altri, ma non Dio. Il giudizio di Dio su quelli che fanno (di fatto o virtualmente) tali cose è conforme a verità. Nulla può sfuggire allo scanner del giudizio di Dio: essa è come una tomografia computerizzata (TC) che rileva ciò che non è visibile esteriormente e che permette poi al bisturi del chirurgo di intervenire radicalmente. Così accade quando ci poniamo al vaglio della Parola di Dio: “Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4:12). Il giudizio di Dio è conforme a verità perché Dio punirà il peccato senza favoritismo, cioè senza riguardi personali, dovunque esso si trovi. Non sarà soddisfatto dalle apparenze esteriori, da alcuna presunta “opera meritoria” che non proceda da un'assoluta integrità di cuore. Nessuno potrà scampare al giudizio di Dio.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 25


Qualcuno, però, potrebbe obiettare osservando l'impunità e la prosperità degli empi: “Ma dov'è questo giudizio di Dio? Tutto per loro sembra andare molto bene! Io mi pongo tanti scrupoli e problemi, ma guarda loro: soddisfatti e spensierati, ciononostante...”. Non bisogna, però, confondere la bontà di Dio con la certezza del Suo giudizio. La bontà di Dio ci dovrebbe solo sospingerci al ravvedimento. Infatti: “Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa [la certa esecuzione del Suo giudizio] come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (1 Pietro 3:9). La bontà di Dio ci dovrebbe condurre al ravvedimento. Se non ci ravvediamo al più presto dai nostri peccati, più il tempo passa più grande sarà il loro cumulo (il “tesoro d'ira”): esso ci crollerà addosso. Il giorno del giudizio, prima o poi arriverà: possiamo esserne certi: “Quel giorno è un giorno d'ira, un giorno di sventura e d'angoscia, un giorno di rovina e di desolazione, un giorno di tenebre e caligine, un giorno di nuvole e di fitta oscurità” (Sofonia 1:15). Allora Dio renderà a ciascuno “la paga” che si merita (cioè “ira e indignazione”) per le sue opere (inique) e, anche se parzialmente buone, esse gli saranno rivelate come del tutto insoddisfacenti. Grazie a Dio, però, vi sono coloro che: “cercano gloria, onore e immortalità”, coloro che, apprezzando e perseguendo ciò che è bene agli occhi di Dio e onesti con sé stessi, riconoscono la loro condizione di peccatori condannati, dalla quale da soli non possono uscire. Invocando la misericordia di Dio e chiedendogli di mandare loro un Salvatore, troveranno in Lui soltanto gloria, onore e pace. Allora, “un salvatore verrà per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta", dice il SIGNORE” (Isaia 59:20). Gesù, il Cristo, infatti, è Colui che è stato “innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e perdono dei peccati” (Atti 5:31). Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 26


Preghiera. Signore Iddio, liberami dall'ipocrisia di giudizi affrettati sul comportamento altrui che non corrispondano ad un'analisi onesta e spassionata anche della mia vita. Accolgo con riconoscenza il Signore e Salvatore Gesù Cristo: in Lui e con Lui purificami da tutti i miei peccati. In Lui, per la Tua grazia, troverò gloria, onore e pace. Dammi in questo perseveranza e diligenza. Amen.

8 La legge di Dio la conosciamo bene! “12 Infatti, tutti coloro che hanno peccato senza legge periranno pure senza legge; e tutti coloro che hanno peccato avendo la legge saranno giudicati in base a quella legge; 13 perché non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che l'osservano saranno giustificati. 14 Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; 15 essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. 16 Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo” (Romani 2:12-16).

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ella prima parte di questa sezione della lettera ai Romani l'Apostolo mette in evidenza come Dio condanni lo stile di vita dei pagani [le genti o “stranieri” (rispetto agli ebrei) secondo questa versione della Bibbia)].

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 27


Qualcuno potrebbe, però, giustamente chiedersi: “Come può Dio chiamare le genti di tutto il mondo a rendere conto della loro vita rispetto ai criteri di comportamento che Egli ha stabilito in una Legge data attraverso Mosè al popolo ebraico? La maggior parte dell'umanità non conosce quella legge!”. La risposta è che Dio può farlo perché quella legge è impressa nella natura stessa di ogni creatura umana: essa è stata “scritta nei loro cuori”. A questo rende testimonianza la loro stessa coscienza, il loro stesso “senso morale”, fondamentalmente uguale per ogni uomo o donna di ogni tempo e paese. La Legge di Dio, data attraverso Mosè, proclama ed esplicita, precisandolo, quel che Dio ha impresso in ogni essere umano. Questo comune senso morale può essere più o meno chiaro ed è sicuramente spesso corrotto. Esso, però, è sufficiente a rendere ogni creatura umana inescusabile. Le infrazioni alla legge di Dio scritta nei loro cuori sono tali da rendere ognuno sicuramente peccatore e giustamente condannabile da Dio alle sanzioni previste per chiunque le trasgredisca: cioè la perdizione. Ecco così come tutti coloro che peccano senza conoscere la legge di Mosè, ma ben conoscendo quanto è scritto nel loro cuore, periranno; così come periranno tutti coloro che, pur conoscendo quanto Dio ha stabilito nella legge data a Mosè, la trasgrediscono. Ognuno sarà giudicato da Dio sulla base della legge conosciuta e non debitamente applicata. Tutti i popoli hanno consapevolezza morale e riti religiosi per purificarsi dalle proprie trasgressioni ed invocare il favore delle loro divinità. Tutti i popoli hanno le loro leggi per punire l'adulterio, il furto e l'omicidio. Sanno che tutto questo è male e che l'onestà è un valore imprescindibile. Qui non importa tanto sapere in che modo immaginano la divinità o quali eccezioni prevedano per le loro regole. Il fatto è che prevedono reMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 28


gole di comportamento a cui devono attenersi: è questo che testimonia della loro coscienza morale. Lo stesso vale per il naturale senso che c'è nell'essere umano di accusare e di giustificarsi. La responsabilità del popolo di Dio è persino maggiore di quella delle altre genti, perché la sovrana volontà di Dio è stata proclamata fra di loro al di là di ogni possibile equivoco. La norma è la pena per chi la trasgredisce è là, “nero su bianco”: “'Maledetto chi non si attiene alle parole di questa legge, per metterle in pratica!' - E tutto il popolo dirà: 'Amen'” (Deuteronomio 27:26). Essi odono questa legge in ogni riunione di culto. Possederla ed ascoltarla, però, non basta, non basta vantarsi di averla. Bisogna che la mettano in pratica: “Ora, dunque, Israele, da' ascolto alle leggi e alle prescrizioni che io v'insegno perché le mettiate in pratica, affinché viviate ed entriate in possesso del paese che il SIGNORE, il Dio dei vostri padri, vi dà” (Deuteronomio 4:1). Se essi vogliono essere giusti davanti a Dio, devono seguirla fino in fondo. Saranno giustificati quelli che l'osservano, coloro le ubbidiscono in tutto e per tutto. Il fatto è, però, che non lo fanno: tanta, infatti, è la corruzione che il peccato ha prodotto in loro, che nonostante le loro migliori intenzioni, non sono giusti e non lo saranno mai. Nessuno inganni sé stesso magari solo aderendo diligentemente alle formalità esteriori della legge o semplicemente sedendo là dove la legge è proclamata. Il loro cuore non retto è tale da vanificare ogni loro pretesa. Essi sono chiamati a riconoscersi i peccatori che sono, rinunciando ad ogni apparenza di giustizia ed invocando la misericordia di Dio. È indubbiamente umiliante, ma solo quando la realtà della corruzione del cuore umano è onestamente riconosciuta; solo quando un uomo o una donna riconosce di essere, a causa Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 29


dei suoi peccati, destinato giustamente alla perdizione e invoca la misericordia di Dio, Egli potrà apprezzare ed accogliere con riconoscenza la grazia che Dio gli provvede nel Salvatore che Egli ha designato. Preghiera. Signore, Tu mi hai parlato in tanti modi: quanti sotterfugi e scusanti per negare e disattendere la Tua sovrana volontà io ho trovato! È sorprendente quanta “fantasia” io abbia per giustificarmi di fronte a Te. Rinuncio però ad ogni scusa, riconosco umilmente la corruzione del mio cuore e la giusta condanna che io merito per i miei peccati. È per questo, o Signore, che io ho invocato ed invoco la Tua misericordia, affidandomi completamente all'opera compassionevole del Salvatore che Tu mi hai provveduto: il Tuo Figlio e nostro Signore, Gesù Cristo. Egli solo è e sarà l'unica base della mia salvezza. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 30


9 Non vanagloria ma onestà di fronte a Dio

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17 “Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti vanti in Dio, 18 conosci la sua volontà, e sai distinguere ciò che è meglio, essendo istruito dalla legge, 19 e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, 20 educatore degli insensati, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la formula della conoscenza e della verità; 21 come mai dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu che predichi: «Non rubare!» rubi? 22 Tu che dici: «Non commettere adulterio!» commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne spogli i templi? 23 Tu che ti vanti della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? 24 Infatti, com'è scritto: «Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra fra gli stranieri»” (Romani 2:17-24).

'Apostolo Paolo, autore di questa lettera, naturalmente, era un israelita. Era stato educato nel gruppo più rigoroso di quella fede. Egli stesso scrive: “Io, circonciso l'ottavo giorno, della razza d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d'Ebrei; quanto alla legge, fariseo” (Filippesi 3:5). Il fatto che lui condannasse (come aveva fatto poco prima) lo stile di vita dei pagani, avrebbe sicuramente suscitato il plauso degli ebrei, molti dei quali pure dimoravano a quel tempo a Roma. Diffusa, infatti, era in loro la consapevolezza della superiorità morale e spirituale della fede ebraica, ed era e rimane sicuramente così. Indubbiamente erano il popolo eletto (scelto) dal Dio vero e vivente come Suo portavoce e rappresentante. Potevano certamente essere fieri di conoscere così chiaramente Dio, la Sua volontà e la Sua legge, perché Dio l'aveva loro rivelata. Le loro scuole di prim'ordine l'insegnavano fedelmente: Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 31


erano infatti scuole molto apprezzate anche fuori dall'ambito della loro fede. Potevano così vantarsene come portatori di luce in un modo di tenebre morali, di sapienza in un mondo di insensatezza, e di verità in un mondo di menzogne. Non c'era nulla di male in questo. La Scrittura stessa, infatti, dice: “Gloriatevi del suo santo nome; si rallegri il cuore di quelli che cercano il SIGNORE!” (1 Cronache 16:10). Il problema che Paolo rileva e denuncia, però, con tutto questo, era la loro fondamentale incoerenza. Certo non si poteva generalizzare, ma allora gli israeliti sembra non godessero nel mondo pagano, di buona fama e questo non per le loro pretese, ma perché alle loro parole ed al loro vanto spesso non corrispondeva un comportamento conseguente. Non era infatti infrequente che venissero accusati di frode nel commercio e di usura, come pure di altri comportamenti immorali. Si vantavano d'essere migliori degli altri, ma nei fratti non dimostravano d'esserlo. Paolo rileva come addirittura, a causa del loro comportamento incoerente, molti maledicessero Dio stesso, quello stesso di cui tanto parlavano. L'analisi di Paolo qui è impietosa, ma apertamente toccava una profonda verità: la società pagana era certamente da condannare, ma, con altrettanta certezza, loro stessi non potevano considerarsi giusti davanti a Dio. La realtà del peccato contaminava e corrompeva pure la loro stessa vita. Dovevano riconoscerlo onestamente e, umiliandosi davanti a Dio, dovevano implorare la Sua misericordia. Essi avevano bisogno di un Salvatore, tanto quanto i pagani: ecco ciò che l'Apostolo intendeva qui far loro comprendere. È quanto Gesù insegna nella parabola del Fariseo e del pubblicano: "Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: 'O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 32


altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo'. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: 'O Dio, abbi pietà di me, peccatore!' Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato'” (Luca 18:10-14). Il discorso che Paolo fa in questo testo riguarda solo gli ebrei? Soltanto quelli della sua generazione? È possibile, come cristiani, trovarci noi nella medesima situazione? Sicuramente. Quante volte, infatti, si sente dire anche oggi: “Voi, con tutto il vostro parlare di Dio, di chiesa, di moralità, di religione, non siete certamente meglio degli altri. I fatti parlano chiaro. Siete solo degli ipocriti. Non solo vi dimostrate incoerenti con i principi che voi stessi proclamate, ma trovate sempre modo di giustificare le vostre malefatte. Voi e il vostro Dio non meritate alcun rispetto. Non venite a parlarci più della vostra religione. È solo un'unica e plateale ipocrisia”. Tutto questo non è solo un parlare pretestuoso da parte del mondo. Non cerchiamo scusanti. È un dato di fatto: non siamo giusti davanti a Dio, e la nostra professione di religiosità non contribuisce a farci essere tali. Abbiamo bisogno di un salvatore, abbiamo bisogno del Salvatore, non a parole, ma in fatti e verità. Preghiera. Signore Iddio, se Tu trovassi in me ipocrisia e presunzione, scuotimi con forza ed umiliami, affinché io me ne liberi vivendo con coerenza la professione della mia fede. Che la mia preoccupazione più grande sia di non portarti giammai disonore. Quando poi, nella mia debolezza, io cadessi in peccato, fa sì che io lo riconosca Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 33


apertamente, risolvendomi, con il Tuo aiuto, di farne ammenda. Per Ges첫 Cristo, mio Signore e Salvatore. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 34


10 Le formalità religiose non rendono giusti

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25 “La circoncisione è utile se tu osservi la legge; ma se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. 26 Se l'incirconciso osserva le prescrizioni della legge, la sua incirconcisione non sarà considerata come circoncisione? 27 Così colui che è per natura incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge. 28 Giudeo infatti non è colui che è tale all'esterno; e la circoncisione non è quella esterna, nella carne; 29 ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; di un tale Giudeo la lode proviene non dagli uomini, ma da Dio” (Romani 2:25-29).

'Apostolo qui continua la sua polemica dimostrando come nessuno possa considerarsi giusto davanti a Dio e quindi che tutti hanno bisogno del Salvatore Gesù Cristo. Nemmeno gli Israeliti possono considerarsi tali non solo perché il peccato guasta anche le loro migliori aspirazioni, ma nemmeno sulla base della fedele osservanza dei loro rituali, di cui la circoncisione ha posto prominente. La circoncisione è una pratica che consiste nell'asportare parte o la totalità del prepuzio del pene. La parola circoncisione deriva dal latino circum ("attorno") e caedere (tagliare). Il patto della circoncisione era stato comandato da Dio ad Abraamo, il Padre del popolo ebraico, come segno del legame eterno fra Dio e la Casa d’Israele (Genesi 17:7) e come segno di purificazione e di separazione dal paganesimo. Si tratta di una norma prescritta unica nel suo genere, in quanto essa è impressa nella Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 35


carne di ogni Ebreo (sono i 613 precetti che gli Ebrei sono tenuti ad osservare). L'Antico Testamento afferma: “Sarete circoncisi; questo sarà un segno del patto fra me e voi. All'età di otto giorni, ogni maschio sarà circonciso tra di voi, di generazione in generazione (…) il mio patto nella vostra carne sarà un patto perenne. L'incirconciso, il maschio che non sarà stato circonciso nella carne del suo prepuzio, sarà tolto via dalla sua gente: egli avrà violato il mio patto" (Genesi 17:11-14). Nel Nuovo Testamento, il Battesimo ha preso il posto della circoncisione. La circoncisione (e il battesimo), però, in sé stessi, non hanno alcun valore se non corrispondono ai fatti di un'autentica fede operante, di una reale, coerente e completa ubbidienza alla legge morale di Dio, di una vita veramente pura e distinta dallo stile di vita del paganesimo, da una reale separazione morale e spirituale dal mondo ribelle a Dio. L'essersi sottoposti alla circoncisione (o al battesimo) non rende in sé stessi giusti davanti a Dio e può diventare una vuota ed illusoria formalità, come, per altro, si vede anche oggi nella pratica (sia fra ebrei che cristiani). Quante persone, infatti, ritengono di aver fatto “il loro dovere” con queste cerimonie ma senza che a questo corrisponda una vita realmente consacrata al Signore?! Esse non hanno alcun “valore magico” e diventano pura superstizione: esse “valgono” solo quando sono il segno di una vita veramente in linea con i criteri morali stabiliti dal Signore. “Giudeo infatti,” cioè chi appartiene al popolo di Dio (questo vale anche per i cristiani), “non è colui che è tale all'esterno”, esteriormente, formalmente. “La circoncisione non è quella esterna, nella carne”, l'asportazione di un po' di pelle o il bagnarsi con l'acqua del battesimo. “Giudeo,” chi appartiene al popolo del Signore, “è colui che lo è interiormente”, quando la persona è credente fin dal profondo della sua anima e lo esprime in tutto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 36


quel che è e fa. “La circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera”, il peccato deve essere “tagliato via” realmente dalla vita quotidiana del credente. “Di un tale Giudeo la lode proviene non dagli uomini, ma da Dio”: le formalità religiose possono soddisfare eventualmente la gente, ma non impressionano Dio più di quel tanto! Preghiera. Liberami, o Signore, dall'inganno del formalismo religioso! Voglio essere cristiano di fatto, in verità, ed allora anche le cerimonie religiose che Tu hai prescritto avranno senso e saranno di autentica testimonianza a quelli di fuori. Che io non sia complice e connivente del formalismo religioso ma che in ogni circostanza io proclami la verità. Nel nome di Cristo. Amen.

11 La fedeltà di Dio, ciononostante... “1 Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? Qual è l'utilità della circoncisione? 2 Grande in ogni senso. Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Dio. 3 Che vuol dire infatti se alcuni sono stati increduli? La loro incredulità annullerà la fedeltà di Dio? 4 No di certo! Anzi, sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo, com'è scritto: «Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato». 5 Ma se la nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio, che diremo? Che Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira? (Parlo alla maniera degli uomini.) 6 No di certo! Perché, altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo? 7 Ma se per la mia menzogna la verità di Dio sovrabbonda a sua gloria, perché sono ancora giudicato come peccatore? 8 Perché non «facciamo il male affinché ne venga il bene», come da taluni siamo calunniosamente accusati di dire? La Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 37


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condanna di costoro è giusta” (Romani 3:1-8)

e accuse che l'apostolo Paolo rivolge contro il popolo ebraico, di cui egli è pure parte, non provengono da malanimo, né pregiudicano l'identità e la vocazione di questo popolo, anzi, la confermano. In primo luogo, essi sono e rimangono “il popolo eletto”; in secondo luogo, essi sono coloro che hanno ricevuto la rivelazione di Dio e dei Suoi progetti e sono chiamati a farla conoscere al mondo; in terzo luogo, i loro peccati ed incoerenze non vanifica i progetti di Dio per loro e per il mondo. Nelle sue parole l'Apostolo fa eco a quelle degli antichi profeti di Israele quando, con termini persino più forti dei suoi, denunciavano l'infedeltà, incoerenza ed ipocrisia di questo popolo in varie fasi della sua storia. Già al tempo di Mosè la realtà di questo popolo, pur beneficato in modo stupefacente, era chiara: “Il SIGNORE passò davanti a lui, e gridò: 'Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l'iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l'iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!' . Mosè subito s'inchinò fino a terra e adorò. Poi disse: 'Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità'. Il SIGNORE rispose: 'Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 38


l'opera del SIGNORE, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te'” (Esodo 34:6-10). La realtà dell'antico popolo di Dio, come pure è quella del moderno popolo di Dio in Cristo, è chiara: si tratta di peccatori, né più né meno di tutti gli altri, ma con una differenza: sono salvati per grazia. Dall'eternità, per manifestare la Sua misericordia, così come Egli manifesta la Sua giustizia, Dio si compiace di salvare un certo numero di peccatori; fa dei progetti nei loro riguardi e fedelmente, nonostante le loro incoerenze e fallimenti, questi progetti vengono a sicuro compimento. Niente e nessuno li può ostacolare, neanche la loro “testa dura”, nonostante facciano resistenza a Lui, Gli siano refrattari ed irriconoscenti. I progetti di salvezza di Dio vengono a sicuro compimento nonostante ed attraverso l'infedeltà dei Suoi eletti. Dio è verace e mantiene sempre le Sue promesse: questo risalta ancora più chiaramente quando viene messo in contrasto con l'infedeltà del Suo popolo. Possiamo, però, forse dire: “...va be', allora se è così possiamo continuare a peccare a nostro piacimento, tanto il Signore ci salverà comunque, anzi, il nostro peccato non fa che mettere in risalto la Sua santità!”. Quest'accusa continua a risuonare anche oggi quando si predica il messaggio biblico sulla salvezza per grazia mediante la fede, cioè non sulla base di nostre opere meritorie. Dio condanna i peccatori senza remissione, perché Egli è giusto, ma si compiace di portare alla salvezza, per la Sua grazia, quanti, fra di essi, Egli infonde loro quel ravvedimento, quella fede e quell'ubbidienza di cui da soli non sarebbero capaci. Possiamo dunque essere certi di questo: Dio eseguirà il Suo giusto giudizio sull'umanità peccatrice, ma coloro che da essa Egli salva, manifestano, altrettanto sicuramente, ravvedimento, fede ed ubbidienza. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 39


Il Suo popolo può dire, ieri ed oggi, “Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità” (2 Timoteo 1:9); “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo” (Tito 3:5); “Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:9-10). Preghiera. Signore Iddio, lodo e magnifico la Tua fedeltà nel salvare, mediante la Tua grazia in Cristo Gesù, un peccatore come io sono. Riconosco apertamente ed onestamente, di fronte alla Tua santa legge, tutte le mie mancanze, me ne ravvedo e farò uso di tutti gli strumenti che Tu mi metti a disposizione, per rendere a Te gradita la mia vita, in riconoscenza per quanto Tu hai fatto e continui a fare per me. Nel nome di Cristo. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 40


12 Gli effetti della grazia di Dio in Cristo 1 “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, 2 mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; 3 non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, 4 la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. 5 Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5:1-5).

L

a persona che, rinunciando ad accampare meriti propri e riconoscendo di essere un peccatore condannato, si affida soltanto alla misericordia di Dio in Gesù Cristo, fa esperienza già nell'oggi della sua vita di quanto la grazia sia efficace. La grazia di Dio, infatti, produce effetti considerevoli in chi la riceve. Davvero l'Evangelo è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (1:6). L'Apostolo, in questo capitolo, ne elenca diversi. Il primo effetto della grazia, per il credente in Cristo, è la pace interiore. Se per la sua salvezza, infatti, avesse dovuto contare solo sulle presunte proprie opere meritorie, non avrebbe mai potuto essere completamente sicuro di “avercela fatta”. Sarebbe stato perennemente nell'inquietudine. Ora, però, è quieto, tranquillo, sereno, perché la sua accettabilità davanti a Dio è il risultato di ciò che Cristo per lui ha perfettamente compiuto. Quella di Cristo è un'opera perfetta e completa. La sua coMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 41


scienza ora può riposare. Il giudizio di Dio per lui non è più una minaccia, una spada che gli pende sul capo. Il Fariseo non conosce questa pace, nonostante tutta la sua sicumera. La spavalderia degli irresponsabili che sfidano Dio ed il Suo giudizio, è di breve durata. Le anime dei miserabili sempre tremano se non trovano la propria pace nella grazia di Cristo. Ecco perché Paolo pure può dire ai cristiani: “Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:6,7). Avendo avuto in Cristo la grazia del libero e fiducioso accesso a Dio, sicuro che niente e nessuno mai potrà sottrargliela (in essa, infatti, “sta fermo), persino le inevitabili afflizioni di questa vita (diverse fra le quali spesso sono conseguenza della nostra scelta di stare dalla parte di Cristo) diventano per il cristiano produttive. Nella prospettiva della fede cristiana, infatti, le afflizioni producono esperienza, pazienza e speranza. Davvero le afflizioni “forgiano il carattere”. L'apostolo Pietro scrive: “Rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo (…) Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:13-16). Attraverso le tribolazioni siamo stimolati alla pazienza, la pazienza trova conforto nell'aiuto di Dio, e questo ci incoraggia a coltivare la certezza della speranza cristiana. Nella consapevolezza che Dio ci è propizio in Cristo, persino le calamità diventano per il cristiano occasione di gioia. Più avanti l'Apostolo scriverà infatti: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 42


bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno” (8:28). La consapevolezza dell'amore di Dio in Cristo tanto pervade il cuore del cristiano che può dire che esso sia sparso su di lui come benefica pioggia su un arido terreno. Il cristiano vive così la pienezza di Dio nella sua vita. È riconciliato in Cristo (il Figlio di Dio) con Dio Padre e Dio lo Spirito Santo lo coinvolge completamente trasformando e trasfigurando ogni aspetto della sua vita. Dio Padre ha preso la determinazione di salvarlo; Dio il Figlio ha operato questa salvezza nella Sua vita, morte e risurrezione; Dio lo Spirito Santo ha applicato alla sua vita quanto in Cristo ha conseguito, e gli effetti sono visibili, concreti, pratici. L'empio e l'incredulo, il vanaglorioso e l'insolente non hanno la più pallida idea di ciò che avviene nella vita di coloro che affidano, per la propria giustificazione, la vita al Cristo. Se capita loro di parlarne e di discuterne, solo straparlano ed equivocano. I loro discorsi sono insensati come quelli di chi vorrebbe discutere di ciò del quale non ha la minima conoscenza. Così pure è la “teologia” di coloro che di tutto questo mai hanno fatto esperienza. Che il Signore Iddio conceda a te che leggi queste parole un'esperienza viva della realtà degli straordinari effetti di ciò che in Cristo Dio ha operato. Che Egli ti coinvolga sempre di più, con il Suo Santo Spirito, e ti faccia conoscere la pace di Cristo “...alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti” (Colossesi 3:15). Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di avermi raggiunto in Cristo con la Tua grazia e di avermi fatto oggetto dei suoi straordinari effetti. Forgia sempre meglio il mio carattere, affinché, anche attra-

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 43


verso le difficoltà della vita, io faccia piena esperienza dei Tuoi doni. Amen.

13 Tutti bocciati “9 Che dire dunque? Noi siamo forse superiori? No affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato, 10 com'è scritto: «Non c'è nessun giusto, neppure uno. 11 Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio. 12 Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno». 13 «La loro gola è un sepolcro aperto; con le loro lingue hanno tramato frode». «Sotto le loro labbra c'è un veleno di serpenti». 14 «La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza». 15 «I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. 16 Rovina e calamità sono sul loro cammino 17 e non conoscono la via della pace». 18 «Non c'è timor di Dio davanti ai loro occhi». 19 Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio; 20 perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato” (Romani 3:9-20).

L

'apostolo Paolo arriva qui alla ad esplicitare la tesi che si era proposto di dimostrare: non c'è al mondo alcuno che possa considerarsi giusto davanti a Dio. Se si dovesse assegnare a tutti un “voto in condotta”, sia “i Greci” (allora considerati “privi di legge” e di morale) che i Giudei (che si vantavano della loro conformità alla legge di Dio), nessuno “arriva alla sufficienza”. Tutti sono da considerarsi “respinti”, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 44


tutti vengono meno (in maggior o in minor misura) ai criteri di giustizia stabiliti da Dio. Se la sufficienza è “il 6”, avere “4” o “5 e mezzo” non li porterà alla “promozione” e non vi sarà alcun ...“esame di riparazione”. Tutti indistintamente “siamo sottoposti al peccato”, siamo governati, controllati, condizionati dal peccato. Esso contamina ogni aspetto del nostro essere e pregiudica anche le nostre aspirazioni più nobili, impedendoci di raggiungere lo standard che ci è richiesto. A riprova di tutto questo, l'Apostolo cita, parafrasandolo, il Salmo 14, che presenta la stoltezza di chi afferma “Non c'è Dio”. È indubbiamente comodo negare Dio, vivere come se Lui non esistesse, “non cercarlo” ed eventualmente immaginarlo come noi vorremmo. È “conveniente” stabilire noi stessi i criteri secondo i quali vivere, giustificare noi stessi e persino scandalizzarci indignati per il rigore “inaccettabile” di ciò che Dio esige da noi. Questa descrizione ci pare “troppo negativa” e “pessimista”. “Oh, ma come? Che esagerazione! Nessuno che cerchi Dio... nessuno che capisca... tutti sviati e corrotti... nessuno che pratichi la bontà... bugiardi, senza timore di Dio, sanguinari...”. È così, mettiamocelo in testa, Dio ha ragione e certamente vede le cose molto meglio di come le vediamo noi, che solo ci facciamo illusioni sulla natura umana così come oggi si presenta. Abbiamo fatto molti progressi tecnologici, ma moralmente siamo ancora “all'età della pietra”, solo eventualmente “più raffinati” nella nostra malizia. Meglio far silenzio e riconoscere onestamente che davanti a Dio siamo colpevoli e condannati. Certo, vorremmo un Dio che “tutto perdona” e che accetti le nostre giustificazioni! Ci illudiamo così, non solo di “non essere poi così male”, ma che esistano anche uomini e donne che siano riusciti a conseguire, con i loro sforzi e virtù, “la santità”. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 45


Appendiamo alle pareti la loro raffigurazione come simbolo dell'uomo glorificato, onnipotente, “realizzato”, mitizzandoli. Ogni tanto, di questi personaggi, però, qualcuno scopre “il lato oscuro”: non avrebbe potuto essere diversamente, perché ogni opera umana è contaminata dal peccato, fondamentalmente inadeguata. Persistiamo a “credere nell'uomo” e ne rimaniamo regolarmente delusi. Preferiamo però metterci una benda sugli occhi per non vedere, cullandoci nelle nostre illusioni, ostinatamente rifiutando la diagnosi oggettiva e verace che dell'essere umano Dio fa nella Sua Parola. In fondo al nostro cuore sappiamo bene di non essere adeguati, di non essere quel che sappiamo di dover essere. I criteri di giustizia di Dio rilevano il nostro condizione di peccato, quella dalla quale, da soli, non potremo mai uscire. Ecco così come, nella Sua Parola Dio ci chiama a rinunciare ad ogni nostra illusione su noi stessi e sugli altri. Iddio, però, non lo fa per farci cadere nella depressione e nell'autodistruzione. Vuole giustamente che disperiamo di noi stessi, ma affinché noi troviamo in Lui la soluzione al dilemma dell'umana giustizia. Accettare la diagnosi di Dio sulla condizione umana significa incamminarci a trovare nel Signore e Salvatore Gesù Cristo la risposta che sola può dare speranza e concreta soluzione alla situazione che viviamo individualmente e collettivamente. Preghiera. Signore Iddio, rinuncio ad ogni mia illusione e pretesa. Accetto la diagnosi negativa che Tu fai sulla mia vita e la considero un salutare realismo. Dispero di me stesso: è per questo che cerco la Tua grazia, È per questo che mi aggrappo a Cristo, unica mia speranza. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 46


14 Non la nostra giustizia ma la Sua

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21 “Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: 22 vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: 23 tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - 24 ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. 25 Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, 26 al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. 27 Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; 28 poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge. 29 Dio è forse soltanto il Dio dei Giudei? Non è egli anche il Dio degli altri popoli? Certo, è anche il Dio degli altri popoli, 30 poiché c'è un solo Dio, il quale giustificherà il circonciso per fede, e l'incirconciso ugualmente per mezzo della fede. 31 Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge” (Romani 3:21-31).

l punto fermo ed imprescindibile che l'Apostolo afferma e dimostra in questa sua lettera è: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”, cioè sono squalificati ai Suoi occhi. Criteri di giustizia inferiori non valgono. Ogni nostra giustificazione Dio la respinge. Chi poi, conoscendo la legge di Dio, si sforza di applicarla diligentemente, si trova ben presto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 47


sommamente frustrato: il peccato pesa come una zavorra, gli impedisce di elevarsi e da essa non riesce a liberarsi. È una vera e propria maledizione. “Infatti tutti quelli che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione; perché è scritto: 'Maledetto chiunque non si attiene a tutte le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica'" (Galati 3:10). Non c'è dunque via d'uscita da questa situazione? Sì, una via d'uscita esiste, ed è quella che Dio, nella Sua grazia e misericordia, provvede. Con i nostri sforzi, meriti e presunte virtù non possiamo conseguire per noi stessi alcuna valida giustizia. Il Signore e Salvatore Gesù Cristo, però, nel quale si manifesta l'amore di Dio, ha conseguito Egli stesso un tesoro di giustizia, di meriti e di virtù del quale ce ne vuole far dono, affinché su quella base noi possiamo essere accolti da Dio e salvati. Con fiducia, così, tendiamo le nostre mani verso di Lui, accogliamo questo dono, questo “lasciapassare”. Esso diventa nostro. Con questo attestato soltanto le porte di Dio si apriranno per noi. È il Suo dono per noi. Ogni dono è gratuito, sennò non sarebbe più dono. Non lo dobbiamo meritare, solo accogliere con fede. Crediamo in Lui, crediamo che quanto Egli ha compiuto sia valido, valido per noi personalmente, come afferma la Bibbia. Cristo è venuto e, per coloro che Lo accolgono, ha conseguito la giustizia di cui hanno bisogno. Non solo questo, ma, attraverso il Suo sacrificio, la Sua morte in croce, Egli ha espiato completamente la pena che essi dovevano scontare per i loro peccati. Chi si affida a Lui ne è totalmente liberato. Ecco perché l'Apostolo dice: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia (...) nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù”.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 48


Nessuno quindi ha più base alcuna per vantare superiorità sugli altri. Non può esserci alcuna meritocrazia quando si tratta della nostra accoglienza di fronte a Dio. A qualunque nazione apparteniamo, qualunque sia la nostra condizione, per quanto gravi siano i nostri peccati, se ci affidiamo alla Persona ed all'opera di Cristo, saremo accolti da Dio, non per merito nostro, ma per merito di Cristo. La giustizia che porto a Dio non è, così, la mia, ma quella di Cristo, il mio Signore e Salvatore. “...poiché c'è un solo Dio, il quale giustificherà il circonciso per fede, e l'incirconciso ugualmente per mezzo della fede”. Si vanifica forse, in questo modo, quanto moralmente la legge di Dio esige? No di certo! Anzi, confermiamo la legge, perché Dio non abbassa per noi il livello di quanto Egli esige, né semplicemente “passa un colpo di spugna” sui nostri peccati e ci perdona, non pretendendo più che noi ci conformiamo alla Sua legge. Cristo ha pienamente onorato quanto la legge prescrive, lo ha fatto come uomo per noi e su quella base, sulla base di quella giustizia perfettamente adempiuta, affidandoci ad essa, noi siamo salvi. Ricevere questa grazia, inoltre, vuol dire, di fatto, trasformare la nostra vita. Riconosciamo i nostri peccati e la condanna che essi meritano, ci ravvediamo da essi e accogliamo, per fede, la Persona e l'opera di Cristo. Questo “farà differenza” nella nostra vita perché, con gioia e volentieri, desideriamo compiacergli in ogni cosa, non per meritarci qualcosa, ma come espressione della nostra riconoscenza verso di Lui. Inizia così in noi fin da oggi, in comunione con Dio, un percorso di santificazione che avrà pieno compimento in cielo. Ecco perché l'Evangelo di Cristo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede in Lui. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio con tutto me stesso per il dono che mi hai fatto in Cristo e che mi permette piena comunione Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 49


con Te. Con gioia e riconoscenza con Lui ora cammino verso la certa meta finale. Ti ringrazio perchĂŠ impotenza e frustrazione per i miei miseri sforzi ora sono sostituite dall'efficacia di quanto Tu hai compiuto per me in Cristo e, su quella base, continui ad operare in me. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 50


15 Colui che giustifica l'empio

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“1 Che diremo dunque che il nostro antenato Abraamo abbia ottenuto secondo la carne? 2 Poiché se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio; 3 infatti, che dice la Scrittura? «Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia». 4 Ora a chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito; 5 mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede è messa in conto come giustizia. 6 Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: 7 «Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. 8 Beato l'uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato». 9 Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gl'incirconcisi? Infatti diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia. 10 In quale circostanza dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso, o quando era incirconciso? Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; 11 poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse padre di tutti gl'incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia; 12 e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quand'era ancora incirconciso” (Romani 4:1-12).

a dottrina che l'Apostolo espone in questi capitoli è stata definita la dottrina della giustificazione del peccatore per la sola grazia mediante la sola fede in Cristo soltanto. Controversa allora come continua ad essere controversa oggi, la Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 51


sua radicalità è “scandalosa” non solo per l'empia arroganza di chi vorrebbe essere dio e legge a sé stesso, ma anche per il perbenismo della religione corrotta e compiacente che dell'orgoglio umano ne è il “braccio religioso”. Questa dottrina, infatti, è intollerabile per “la carne” che, in mille modi, o l'avversa direttamente o la “reinterpreta” a proprio uso e consumo. L'establishment religioso del Giudaismo aveva (come ogni altra religione “che si rispetti”) creato il proprio sistema di “salvezza mediante opere meritorie” e “vedeva come fumo negli occhi” la dottrina che qui Paolo espone. Di fatto, quel che l'Apostolo proclama non era “una novità” frutto della sua mente “malata e perversa” (come alcuni la definivano), ma è del tutto in linea con la fede “storica” di Israele, quella di Abraamo, Isacco e Giacobbe, quella di Davide e dei profeti. Nella sua epistola Paolo intende dimostrarlo. Abraamo, ad esempio, si era forse “conquistato la salvezza” mediante opere meritorie tanto da potersi vantare davanti a tutti di quanto bravo era stato? Forse che Dio l'aveva benedetto e salvato come “dovuta ricompensa” per quanto egli aveva compiuto? No: “Egli credette al SIGNORE, che gli contò questo come giustizia” (Genesi 15:6). Dio si dimostra come colui che giustifica l'empio (5) sulla base della fede in Lui (cosa che alcuni ritengono persino “immorale”). Dio non “giustifica” chi si ritiene giusto sulla base delle proprie presunte opere meritorie. Se benedizioni e salvezza fossero “una paga” dovuta, questo non potrebbe essere considerato grazia. Grazia, per definizione, è sempre favore immeritato. Abramo viene dichiarato giusto per grazia di Dio sulla base della propria fede in Lui persino prima che egli si sottoponesse al rito della circoncisione, come se eseguire questo rito fosse un altro motivo per il quale egli era stato “ricompensato”! Benedizioni e salvezza non dipendono dai propri presunti (ed impossibili) meriti, né dipendono Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 52


dalla partecipazione a riti religiosi o dalla propria affiliazione formale al popolo di Dio. Giustificazione, benedizioni e salvezza sono doni che Dio fa, di Sua iniziativa a quegli empi peccatori che, disperando di sé stessi, si affidano alla Sua misericordia. Paolo stesso, che presumeva un tempo d'essere giusto davanti a Dio, aveva dovuto egli stesso prima “sbattuto a terra” perché si rendesse conto di quel che veramente era ed invocasse misericordia (Atti 9:4). Lo stesso “grande” Davide poteva certo essere considerato relativamente migliore, ad esempio, di Saul, ma non era certo “un santo” (come si dice oggi). Ne combina anche lui “di cotte e di crude”. Anche lui viene giustificato per grazia, come bene egli stesso si rende conto, quando è ristabilito da Dio dopo aver commesso gravi peccati: “Beato l'uomo a cui la trasgressione è perdonata, e il cui peccato è coperto! Beato l'uomo a cui il SIGNORE non imputa l'iniquità (...) Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: 'Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE", e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato'” (Salmo 32:1-2,5). Giudei, greci, e tutti gli altri, sguazziamo tutti nello stesso fango di peccato. Potremmo fare opere relativamente migliori di quel che fanno altri. Il fango però ci sporca tutti e non riusciremo da soli ad uscirne e a ripulircene. Nessuno può vantarsi d'alcunché. “...perché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne” (Filippesi 3:3). L'unica speranza che abbiamo è afferrare con fiducia la mano che ci viene tesa dall'alto e solo per la misericordia di Dio, seguendo “anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quand'era ancora incirconciso” (12).

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 53


Preghiera. Signore Iddio, vigila su di me affinché io mai cada nell'inganno delle religioni corrotte di questo mondo che servono l'orgoglio della carne, pretendendo di essere giustificato in altro modo che non sia la Tua grazia in Gesù Cristo. Se io dovessi confidare in qualche modo in me stesso, umiliami finché io non impari la lezione. Amen.

16 Ricevere per grazia mediante la fede 13 “Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in base alla giustizia che viene dalla fede. 14 Perché, se diventano eredi quelli che si fondano sulla legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata; 15 poiché la legge produce ira; ma dove non c'è legge, non c'è neppure trasgressione. 16 Perciò l'eredità è per fede, affinché sia per grazia; in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza; non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per quella che discende dalla fede d'Abraamo. Egli è padre di noi tutti 17 (com'è scritto: «Io ti ho costituito padre di molte nazioni») davanti a colui nel quale credette, Dio, che fa rivivere i morti, e chiama all'esistenza le cose che non sono. 18 Egli, sperando contro speranza, credette, per diventare padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». 19 Senza venir meno nella fede, egli vide che il suo corpo era svigorito (aveva quasi cent'anni) e che Sara non era più in grado di essere madre; 20 davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella sua fede e diede gloria a Dio, 21 pienamente convinto che quanto egli ha promesso, è anche in grado di compierlo. 22 Perciò gli fu messo in conto come giustizia. 23 Or non per lui soltanto sta scritto

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 54


che questo gli fu messo in conto come giustizia, 24 ma anche per noi, ai quali sarà pure messo in conto; per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, 25 il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Romani 4:13-24).

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io realizza i Suoi propositi attraverso la storia in modo libero, dinamico, fluido: questo non può essere contenuto in istituzioni statiche, in religioni organizzate, gerarchiche, monolitiche... Può senz'altro avvalersene, ma prima o poi esse “esplodono” (con grande smacco dei suoi gestori), perché l'opera di Dio è incontenibile e, nessuno, neanche un'istituzione religiosa come il Giudaismo di allora o il Cattolicesimo di oggi (fra gli altri) può pensare di gestirla in proprio senza sfigurare, alienare, compromettere, alterare la verità, corrompendone la natura. L'opera di Dio è meglio rappresentata, infatti, da un movimento, da un popolo in cammino, come quello di cui Abraamo è il leader e prototipo, come Israele durante l'esodo e, naturalmente, come coloro che seguono il Gesù itinerante che non aveva “dove posare il capo” (Matteo 8:20). Si potrebbe così dire che Paolo, attraverso le argomentazioni di questa sua epistola, ristruttura, riforma la fede del popolo di Dio, “presa in ostaggio” ed alterata dal Giudaismo del suo tempo, per riportarla al suo significato originale (cosa che ricorre ancora oggi anche con le istituzioni “cristiane” o quando qualcuno ritiene di dover “razionalizzare” il cristianesimo). Paolo è il riformatore, il “riformulatore”. Non è quindi un caso che proprio dalla lettera ai Romani siano scaturiti movimenti anti-istituzionali di riforma e risveglio. Così, proprio quando si sente affermare come la giustizia sia il risultato dell'osservanza meritoria della legge (morale o cerimoniale che sia) oppure che essa abbia un carattere esclusivaMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 55


mente nazionale (la nazione dei circoncisi nella terra promessa di Israele), che risuona potente il messaggio di una giustificazione che passa esclusivamente attraverso la fede e che si estende a tutto il mondo. Abraamo, allora, non è più (perché non era stato veramente inteso essere così) il capostipite “secondo la carne” di una nazione particolare (l'Israele storico), ma “l'antenato”, l'antesignano, di coloro che seguono le sue orme in quanto similmente credenti nei progetti ed opere di Dio, vale a dire gente disposta a fidarsi completamente di Dio incamminandosi (spesso alla cieca e senza umane certezze) su sentieri non tracciati. È questa mancanza di umane certezze che dà un valore unico nel suo genere alla fede, a questa fede. È una fede in ciò che umanamente non è né gestibile né possibile. È una fede nel Dio che “fa rivivere i morti” (17b), una fede nel Dio che “chiama all'esistenza le cose che non sono” (17b), la fede nella capacità generativa di coloro che oggettivamente non ne sarebbero capaci (19). È la fede che davanti alle promesse di Dio “non vacilla per l'incredulità” (20a), la fede “che dà gloria a Dio” e non all'uomo (20b), la fede pienamente convinta che ciò che Dio sia in grado di compiere quanto promette anche quando tutto sembra giocargli a sfavore. Questa è la sfida di quella fede che ci è “messa in conto come giustizia” (22). Non è la fede di chi vorrebbe avere certezze terrene, di chi crede solo quando vede, la fede di chi vuole prima “toccare”, la fede che un'istituzione vorrebbe “concretizzare”, “razionalizzare” e poi gestire d'autorità perché, a suo dire, è “pericolosa”. Ci sarà “messa in conto” come giustizia questa fede in Dio “in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (24-25). Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 56


Preghiera. Signore Iddio, mi affido a Te con tutto me stesso per essere da Te condotto nel cammino cristiano. Aiutami nelle difficoltà ed incertezze, affinché come Abraamo, pur quando sul momento non comprendo il senso di ciò che mi accade o non vedo chiare indicazioni, io abbia la certezza che i Tuoi propositi sempre buoni e giusti saranno realizzati senza ritardo. Amen.

17 Gli effetti della grazia di Dio in Cristo 1 “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, 2 mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; 3 non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, 4 la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. 5 Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5:1-54).

L

a persona che, rinunciando ad accampare meriti propri e riconoscendo di essere un peccatore condannato, si affida soltanto alla misericordia di Dio in Gesù Cristo, fa esperienza già nell'oggi della sua vita di quanto la grazia sia efficace. La grazia di Dio, infatti, produce effetti considerevoli in chi la riceve. Davvero l'Evangelo è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (1:6). L'Apostolo, in questo capitolo, ne elenca diversi.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 57


Il primo effetto della grazia, per il credente in Cristo, è la pace interiore. Se per la sua salvezza, infatti, avesse dovuto contare solo sulle presunte proprie opere meritorie, non avrebbe mai potuto essere completamente sicuro di “avercela fatta”. Sarebbe stato perennemente nell'inquietudine. Ora, però, è quieto, tranquillo, sereno, perché la sua accettabilità davanti a Dio è il risultato di ciò che Cristo per lui ha perfettamente compiuto. Quella di Cristo è un'opera perfetta e completa. La sua coscienza ora può riposare. Il giudizio di Dio per lui non è più una minaccia, una spada che gli pende sul capo. Il Fariseo non conosce questa pace, nonostante tutta la sua sicumera. La spavalderia degli irresponsabili che sfidano Dio ed il Suo giudizio, è di breve durata. Le anime dei miserabili sempre tremano se non trovano la propria pace nella grazia di Cristo. Ecco perché Paolo pure può dire ai cristiani: “Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:6,7). Avendo avuto in Cristo la grazia del libero e fiducioso accesso a Dio, sicuro che niente e nessuno mai potrà sottrargliela (in essa, infatti, “sta fermo), persino le inevitabili afflizioni di questa vita (diverse fra le quali spesso sono conseguenza della nostra scelta di stare dalla parte di Cristo) diventano per il cristiano produttive. Nella prospettiva della fede cristiana, infatti, le afflizioni producono esperienza, pazienza e speranza. Davvero le afflizioni “forgiano il carattere”. L'apostolo Pietro scrive: “Rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo (…) Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 58


nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:13-16). Attraverso le tribolazioni siamo stimolati alla pazienza, la pazienza trova conforto nell'aiuto di Dio, e questo ci incoraggia a coltivare la certezza della speranza cristiana. Nella consapevolezza che Dio ci è propizio in Cristo, persino le calamità diventano per il cristiano occasione di gioia. Più avanti l'Apostolo scriverà infatti: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno” (8:28). La consapevolezza dell'amore di Dio in Cristo tanto pervade il cuore del cristiano che può dire che esso sia sparso su di lui come benefica pioggia su un arido terreno. Il cristiano vive così la pienezza di Dio nella sua vita. È riconciliato in Cristo (il Figlio di Dio) con Dio Padre e Dio lo Spirito Santo lo coinvolge completamente trasformando e trasfigurando ogni aspetto della sua vita. Dio Padre ha preso la determinazione di salvarlo; Dio il Figlio ha operato questa salvezza nella Sua vita, morte e risurrezione; Dio lo Spirito Santo ha applicato alla sua vita quanto in Cristo ha conseguito, e gli effetti sono visibili, concreti, pratici. L'empio e l'incredulo, il vanaglorioso e l'insolente non hanno la più pallida idea di ciò che avviene nella vita di coloro che affidano, per la propria giustificazione, la vita al Cristo. Se capita loro di parlarne e di discuterne, solo straparlano ed equivocano. I loro discorsi sono insensati come quelli di chi vorrebbe discutere di ciò del quale non ha la minima conoscenza. Così pure è la “teologia” di coloro che di tutto questo mai hanno fatto esperienza. Che il Signore Iddio conceda a te che leggi queste parole un'esperienza viva della realtà degli straordinari effetti di ciò che in Cristo Dio ha operato. Che Egli ti coinvolga sempre di più, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 59


con il Suo Santo Spirito, e ti faccia conoscere la pace di Cristo “...alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti” (Colossesi 3:15). Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di avermi raggiunto in Cristo con la Tua grazia e di avermi fatto oggetto dei suoi straordinari effetti. Forgia sempre meglio il mio carattere, affinché, anche attraverso le difficoltà della vita, io faccia piena esperienza dei Tuoi doni. Amen.

18 Senza forza, ma sostenuti

P

“6 Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. 7 Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; 8 Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9 Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall'ira. 10 Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11 Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione” (Romani 5:6-11).

er comprendere l'operare di Dio quando giustifica l'empio (che si affida a Cristo), bisogna sempre guardare la cosa sotto due aspetti: quello della giustizia e quello dell'amore. Le due cose vanno sempre assieme perché entrambe fanno parte del carattere di Dio così come ci è stato Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 60


rivelato. Considerare solo uno di questi poli significa andare fuori strada. È per questo che l'apostolo sposta ora il suo sguardo dalla giustizia all'amore. L'empio, il peccatore, è troppo debole, privo di forza, impotente a salvare sé stesso. Dio, così, nella Sua misericordia, se ne occupa: concede la grazia a dei peccatori, empi e ribelli! Salvandoli, Dio manifesta il Suo stupefacente amore: morire per salvare gente che non se lo meriterebbe! Così facendo, però, Egli non trascura le esigenze della giustizia: Dio stesso, infatti, si fa carico in Cristo di quanto essi devono alla giustizia. Si pone, però, una questione. Quei peccatori che sono stati giustificati in Cristo mediante la Sua morte, sono ora forse lasciati a sé stessi, alle proprie forze, nel cammino della loro vita cristiana? Devono forse ora “sforzarsi” di conservare questa salvezza perché potrebbero perderla per strada? Forse che Dio ci ha dato per una volta l'opportunità di “rimetterci in pista” ed ora “tocca a noi” di tenerci sulla retta via e giungere così alla destinazione finale? No, essi non sono abbandonati a sé stessi, perché Cristo è vivente e li accompagna costantemente. Sa che da soli, neanche ora, ce la farebbero. Se Cristo, dice l'Apostolo, ha così avuto misericordia di empi peccatori, riconciliandoli con il Padre Suo in virtù della Sua morte, quanto più Egli, una volta giustificati, li terrà sulla via della salvezza, conservandoli saldamente nel Suo favore attraverso l'influenza costante della Sua vita. Dato che Cristo ha conseguito giustizia per il peccatore attraverso la propria morte, molto di più lo proteggerà, ora che è giustificato. Cristo rende la salvezza certa e sicura, dall'inizio alla fine. Non permetterà che la Sua opera sia frustrata da niente e da nessuno. Non dobbiamo temere che, durante il cammino della vita cristiana, noi si possa perdere il nostro status di salvati. Cristo è vivente, è alla destra del Padre e contiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 61


nua ad intercedere per noi: “Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Ebrei 7:25). Nel versetto 9 sembra, però, esservi una contraddizione: “Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall'ira”.Se il sacrificio di Cristo sulla croce è la base della nostra giustificazione, non è proprio quello che ci salva dalla giusta ira di Dio sui peccatori? Sembra qui esserci ancora “un'ira” da cui il cristiano ancora deve essere salvato. Per ira, però, si intendono le conseguenze negative del peccato. Fintanto che vive in questo mondo, il cristiano, per quanto considerato giusto e salvato, grazie a quanto Cristo ha fatto per lui, ancora è immerso in un mondo caratterizzato dal peccato. È inevitabile, poi, che il cristiano stesso, per la sua inerente debolezza, cada in ciò che Dio considera peccato. È quindi ancora sottoposto, in qualche modo, all'ira di Dio ed alle conseguenze del peccato? Certo, il peccato è spesso come una piena che trascina l'umanità e ne fa scempio. Il cristiano ci sta in mezzo e ne viene talvolta pure portato via. Inoltre, il cristiano “dovrà pagare” ancora per quei peccati che commette dopo la sua conversione e battesimo? No, egli è veramente e per sempre liberato, grazie a Cristo, dalle conseguenze ultime del peccato e dall'ira di Dio. Il cristiano potrà certo continuare a soffrire per le conseguenze temporali del peccato. Cristo, però, “la Sua vita”, lo accompagna costantemente e continua a salvarlo, qualora inciampasse e cadesse, qualora “andasse a finire in una buca nel terreno”. Cristo rimane accanto a Lui, pronto a venire in suo soccorso in ogni circostanza negativa, “tendendogli la Sua mano” provvidenziale. Il vero cristiano non sarà mai abbandonato e, anche se dovesse cadere, anche se dovesse deviare su un sentiero Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 62


sbagliato o ritornare per un tratto sui suoi passi, verrebbe ripreso e soccorso da quello stesso Cristo che gli ha garantito la giustificazione e la salvezza. Egli non mancherà di venire in soccorso dei Suoi eletti. “Tutte le nazioni m'avevano circondato; nel nome del SIGNORE, eccole da me sconfitte. Avevano circondato, sì, m'avevano accerchiato; nel nome del SIGNORE, eccole da me sconfitte. M'avevano circondato come api, ma sono state spente come fuoco di spine; nel nome del SIGNORE io le ho sconfitte. Tu mi avevi spinto con violenza per farmi cadere, ma il SIGNORE mi ha soccorso. Il SIGNORE è la mia forza e il mio cantico, egli è stato la mia salvezza” (Salmo 118:10-14). Preghiera. Ti ringrazio, o Signore, che non solo Tu hai provveduto alla mia salvezza eterna in Cristo, ma che rimani accanto a me giorno per giorno soccorrendomi in ogni circostanza della mia vita. Che io non perda mai questa certezza: per la grazia Tua io appartengo a Te e nulla potrà mai strapparmi dalla Tua mano. Voglio essertene riconoscente facendo attenzione ...a dove metto i piedi! Amen.

19 Qual è la nostra genealogia? 12 “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato... 13 Poiché, fino alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c'è legge. 14 Eppure, la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. 15 Però, la grazia non è come la trasgressione. Perché se per la

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 63


I

trasgressione di uno solo, molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti. 16 Riguardo al dono non avviene quello che è avvenuto nel caso dell'uno che ha peccato; perché dopo una sola trasgressione il giudizio è diventato condanna, mentre il dono diventa giustificazione dopo molte trasgressioni. 17 Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell'uno, tanto più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di quell'uno che è Gesù Cristo. 18 Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. 19 Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti. 20 La legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata, 21 affinché, come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (Romani 5:12-21).

n un mondo sempre più anonimo ed indistinto, alla ricerca della propria identità, vi è oggi chi intraprende estese ricerche per disegnare l'albero genealogico della propria famiglia. Lo si fa spesso solo per curiosità, ma vi è magari la speranza di scoprire antenati di lignaggio nobile e dal carattere eroico e, magari, trovare di avere titolo ad una qualche eredità! Tali ricerche, molto più spesso, riservano sorprese negative. Se potessimo andare a fondo in queste ricerche genealogiche, troveremmo come tutti noi discendiamo da comuni progenitori, quelli che la Bibbia identifica come Adamo ed Eva. A differenza di quanto si sente oggi spesso dire, non si tratta di una legMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 64


genda o di un mito. La fede cristiana biblica considera la storicità delle figure di Adamo ed Eva come fondamentale alla propria concezione del mondo. Così fa l'Apostolo nel testo biblico di oggi. Si potrebbe dire che tutti noi discendiamo da un “nobile decaduto” che ha pregiudicato, con il suo comportamento irresponsabile, per sé stesso e per tutta la sua discendenza, sia il suo titolo che una magnifica eredità. Per la fede cristiana biblica è importante non solo la storicità della figura di Adamo, comune nostro antenato, ma anche il concetto di peccato originale, che appare molto chiaramente in questo testo: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini” (12). “Bella” eredità davvero! Prima, però, che noi malediciamo Adamo e che ci proclamiamo innocenti, consideriamo, però, come noi siamo “carne della sua carne ed ossa delle sue ossa”, come di fatto noi si sia simili a lui in tutto e per tutto. Possiamo riconoscerci perfettamente (se siamo onesti con noi stessi) nella sua mentalità e comportamento, perché ogni giorno ci comportiamo esattamente come lui. Non è forse vero che in noi c'è “il piacere della trasgressione”, uno spirito ribelle e la pretesa di volere fare a meno di Dio e delle prescrizioni che Egli impone al nostro comportamento? Indubbiamente “facciamo parte della stessa famiglia”, condannata ed esiliata e non siamo meno colpevoli di lui perché consapevolmente simili sono le nostre scelte di peccare. Il fatto che la morte regni “anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo” non è “un'ingiustizia” (come pensano alcuni) ma dimostrazione dell'uguale colpevolezza di ogni essere umano. È vero: “Il peccato non è imputato quando non c'è legge” eppure l'umanità è considerata colpevole e giustamente condannata perché la legge di Dio è impressa in Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 65


ogni creatura umana ed espressamente la trasgredisce. Tutti sono così sottoposti alla maledizione del peccato. Da tutto questo, però, una via d'uscita esiste ed è quella che dall'eternità Dio ha disposto per noi in Cristo. A noi disponibile è “una genealogia alternativa” che può diventare nostra non per generazione naturale, ma per generazione spirituale. Dio viene in questo mondo e adotta come Suoi figlioli, riscattandoli dalla maledizione del peccato, uomini e donne che così chiama a far parte della Sua famiglia. Ecco così che diventa loro capostipite non più Adamo ma Cristo Gesù, non più il disubbidiente ma l'ubbidiente, non più l'ingiusto ma il giusto. Se “per una sola trasgressione” (moltiplicata esponenzialmente nei suoi discendenti”), la condanna si è estesa a tutti loro, coloro che sono chiamati a far parte della famiglia dei redenti si pongono sotto l'influenza determinante della Sua giustizia. Se prima per loro il peccato regnava nella morte, ora sono sottoposti ad un altro re, il Cristo, il Signore, il re della giustizia e della vita. Ci possiamo allora ben chiedere quale sia il capostipite e rappresentante della nostra famiglia: quella naturale in Adamo oppure quella spirituale in Cristo? In noi c'è il carattere, l'immagine della famiglia di Adamo, oppure, per grazia di Dio, portiamo in noi stessi il carattere e l'immagine di Cristo? In chi ci riconosciamo? Qual è “il nome” della nostra famiglia? Qual è l'eredità alla quale abbiamo titolo? Ripudiare la nostra famiglia naturale e, con fierezza, appartenere alla famiglia di Cristo è così una concreta possibilità. Siete voi “in Adamo” oppure “in Cristo”? Come rispondete all'appello che oggi vi fa l'Evangelo di abbandonare la vostra famiglia naturale, la vostra identificazione con essa e di far parte Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 66


per sempre di quella spirituale in Cristo diventando figli adottivi di Dio? Ci sono implicazioni non indifferenti far parte o dell'una o dell'altra famiglia! “È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:11-13). Preghiera. Signore Iddio, la pesante eredità di Adamo, della quale sono partecipe, rendeva la mia situazione senza via d'uscita. Ti ringrazio, però, che Tu mi hai innestato in Cristo, provvedendo per me in Lui ciò che in Adamo mi era impossibile. L'avermi voluto farmi partecipare, per la Tua grazia, ad una nuova umanità in Cristo mi riempie di gioia e di riconoscenza. Fa' sì che sempre meglio io testimoni intorno a me della mia nuova identità. Amen.

20 Morire alla vecchia vita e risorgere alla nuova 1 Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? 2 No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? 3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. 5 Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. 6 Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; 7 infatti colui che è morto, è libero dal peccato. 8 Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 67


Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, 9 sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10 Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. 11 Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù” (Romani 6:1-11).

G

li sforzi umani per vivere una vita morale e gradita a Dio sono solo tentativi vani ed inefficaci per elevarci al di sopra del fango in cui tutti siamo immersi. La stessa proclamazione della legge di Dio era stata intesa per mettere ancora più in evidenza la maledizione che grava su di noi, che frustra questi tentativi e che ci condanna. Tutto questo ci porta ad accogliere con somma riconoscenza e glorificare l'iniziativa salvifica di Dio che, dall'esterno, viene in nostro soccorso per realizzare Lui stesso in Cristo quanto a noi è impossibile. Sforzarci di vivere secondo giustizia, però, è allora del tutto inutile? Dovremmo, per assurdo, vivere nel peccato solo per magnificare la grazia di Dio che ci salva? No di certo. Accogliere il Salvatore Gesù Cristo è finalizzato a vivere la nostra vita veramente secondo la volontà di Dio, non per guadagnarci il Suo favore ma per amor Suo e per amore della giustizia in quanto tale. È questo ciò che l'Apostolo intende evidenziare nel testo di oggi. Credere in Cristo, affidare a Lui la nostra vita, significa “morire al peccato”. Essere immersi nell'acqua del battesimo significa rappresentare visivamente come la nostra vecchia vita, vissuta all'insegna del peccato, sia stata “annegata”, sia “morta e sepolta”. Uscire dall'acqua del battesimo significa rinascere

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 68


con Cristo a novità di vita e procedere, al seguito di Cristo, in una vita vissuta secondo la sua volontà, secondo giustizia. Unirci alla morte e risurrezione di Cristo non è un'esperienza mistica, “virtuale”, “ideale”, “simbolica” ma deve significare un effettivo nostro cambiamento di mentalità e di comportamento, dev'essere segno di un'autentica conversione. Il cristiano deve poter dire e dimostrare che il suo “vecchio uomo” è stato crocifisso con Cristo, che “il corpo del peccato” è stato annientato, che “non serve più” al peccato. Significa poter dire “il peccato non mi serve più”, come pure, “io non sarò più servo del peccato”, non sarò più influenzato e condizionato da esso, “io sono morto per sempre a ciò che Dio considera peccato, esso non ha più potere su di me. Ora io vivo per Dio. Dio mi ha fatto rivivere moralmente e spiritualmente con Cristo. Le forze spirituali della malvagità non sanno che farsene di cadaveri. Gli zombi non esistono: sono solo frutto di fantasie malate. Le forze della malvagità vogliono e sfruttano gente viva che possano manipolare a loro piacimento. “Le forze del peccato e della malvagità devono capire che con me hanno chiuso, che con me non hanno più nulla a che fare, che io mi rifiuto di collaborare con esse e servirle, perché ora io appartengo solo a Cristo. Egli è il mio Signore, non a parole ma nei fatti. Da Lui dipendo, Lui io servo, a Lui ubbidisco “in esclusiva”. Egli ha diritto su di me “a regime di monopolio”. Ora io vivo grazie a Cristo, con Cristo, in Cristo e per Cristo. Talvolta si sente qualcuno dire ad un altro con il quale non vuole avere più rapporti: “Considerami come morto. Fai finta che io sia morto! Non mi cercare più”. È come dire: “Ero sposato al peccato. Il peccato, però, mi ingannava, mi tradiva, mi portava alla rovina. Da esso, così, ho chiesto ed ottenuto il diMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 69


vorzio. I nostri rapporti ora sono interrotti per sempre. Considero l'ex partner come morto ed io per lui sono come morto”. Non posso neanche dire al peccato, da cui ho divorziato: “Rimaniamo amici”. No. Ora ho un nuovo “partner” il Cristo, ora vivo la mia vita con Lui soltanto. Certo posso rammentarmi di com'era la vita quando ero “sposato al peccato”, ma senza alcuna nostalgia. Ora racconto a tutti la storia di come Iddio, facendomi trovare Cristo, mi abbia sciolto dal mio precedente matrimonio e mi abbia legato indissolubilmente a Colui che giammai mi tradirà, anzi, che mi ama veramente e mi amerà per sempre nutrendomi e curandomi teneramente. “...e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa” (Efesini 5:31-32). Preghiera. Signore Iddio, che il battesimo, laddove io ho consacrato la mia vita a Te, sempre mi rammenti che il mio vecchio modo di essere, impostato al peccato è stato soppresso, è morto ed è sepolto e che ora vivo con Cristo una vita del tutto nuova. Anelo alla vita di risurrezione che un giorno sarà completamente realizzata. Il Cristo, al quale sono indissolubilmente legato, è il mio Garante. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 70


21 Vivere nell'ambito della grazia di Dio

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“12 Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidire alle sue concupiscenze; 13 e non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio; 14 infatti il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia” (Romani 6:1214).

l cristiano, riconoscente per ciò che Iddio ha fatto per Lui in Cristo accordandogli immeritatamente la grazia della salvezza, ama il Signore di tutto cuore e desidera vivere (“camminare”) secondo i principi di giustizia da Lui stabiliti. Desiderando compiacergli in ogni cosa, ama la giustizia ed odia il peccato. Sulla sua vita regna Cristo, il Signore e a Lui volentieri ubbidisce. Non vorrebbe certo che la sua vita continuasse ad essere dominata dal peccato e fosse sospinta, come prima, da desideri egoistici e cattivi (concupiscenze). Non vorrebbe certo continuare ad essere strumentalizzato, manipolato ed usato, come gli altri, dalle forze spirituali della malvagità che, avversando Dio, si propongono, con ogni mezzo, di rovinare e distruggere tutto ciò che è bello, buono e giusto. Il cristiano, ora che la sua vita è stata moralmente e spiritualmente rigenerata da Dio (“come morti fatti viventi”) si rende, al contrario, volentieri disponibile a Lui come strumento di giustizia. Egli dice al Signore, come si esprime un canto cristiano: “Prendi, o Dio, la mia vita, consacrarla io voglio a Te. Fa' che essa sempre sia alla gloria Tua, mio Re”. Egli dice al Signore: “Voglio fattiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 71


vamente contribuire alla Tua causa” ed è per lui una gioia ed un privilegio quando, nella sua vita quotidiana, là dove Dio lo pone, egli può essere testimone del Suo amore e della Sua giustizia. Ecco il senso delle esortazioni apostoliche del nostro testo di oggi che, oltre a stabilire un dato di fatto per la vita del cristiano, costituiscono un preciso suo personale impegno, quello che la teologia cristiana chiama “il cammino della santificazione”. Il testo di oggi culmina nella meravigliosa ed incoraggiante promessa del versetto 14: “il peccato non avrà più potere su di voi” e sull'ancora più straordinaria affermazione, rivolta a tutti i cristiani: “Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia”. Che cosa significa? Quest'ultima affermazione è stata ed è ancora spesso e volentieri equivocata da chi, sospinto da uno spirito ben diverso da quello descritto prima, ritiene di non essere più legato ai criteri di giustizia della legge di Dio e di potere ora fare tutto quel che vuole, padrone di decidere autonomamente e “contestualmente” quel che gli sembra più giusto o conveniente. Non è così. Le affermazioni del versetto 14 sono intese non a liberare il cristiano dalla legge di Dio (sarebbe assurdo) ma dallo spietato rigore che rende impossibile all'uomo naturale di conformarvisi conseguendo, attraverso l'ubbidienza ad essa, la salvezza. Di fatto, l'affermazione “Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia” fornisce una grande consolazione al cristiano che ne risulta così rafforzato. Il cristiano, infatti, rimane consapevole della propria debolezza e contraddizioni. Vorrebbe impegnarsi con tutte le sue forze al servizio della giustizia, ma spesso cade e non ce la fa come vorrebbe. È pur vero che il cristiano cammina sulla via della giustizia, ma come uno zoppo e spesso alquanto “traballante”. È qui che viene in suo soccorso la miseriMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 72


cordia di Dio tanto da trarne conforto e consolazione. Il cristiano non è più sotto il regime duro e spietato della legge di Dio, ma vive nell'ambito della grazia. Le sue opere non sono più vagliate nel modo rigoroso di un Dio che ti dice: “O tu ti adegui perfettamente a quanto io ti comando o 'sei fuori', sei squalificato, inappellabilmente respinto, scomunicato...”. Vivere nell'ambito della grazia significa vivere nell'ambito della pazienza e della tolleranza di Dio che comprende ed accetta la tua debolezza ed infermità. Egli sa quanto il peccato ti abbia indebolito e reso disabile. Egli sa di non poter pretendere da te “più di quel tanto”. Certo, esige la tua determinazione ed impegno a fare ciò che Gli è gradito, ma se cadi, se non ce la fai, se fallisci, nonostante la tua buona volontà, avrà compassione di te, ti sorreggerà, ti aiuterà confortandoti con la Sua presenza che ti dice: “Non disperare, sono qui io accanto a te. Ti sono veramente padre e non padrone duro e spietato!”. La legge è giusta e buona, ma è un giogo molto pesante per il peccatore che, pure riabilitato per grazia, fintanto che sarà in questo mondo, rimarrà debole ed inadeguato. Ecco perché il cristiano non solo trova la sua giustizia ultima in Cristo all'inizio del suo cammino di fede (Cristo ha compiuto per grazia quanto il peccatore da solo non poteva conseguire), ma può e deve continuamente rivolgersi a Cristo, anche durante il suo cammino di fede, per sovvenire alle proprie “debolezze congenite”. La Scrittura afferma: “...quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione” (Galati 4:4-5). In Cristo, infatti, noi siamo riscattati dalla maledizione della legge tanto da potere ora con serenità, non certo trasgredirla ma conformarci ad essa “per quanto possibile”, confidando nella misericordia di Dio. Non ci è più personalmente richiesta, come cristiani, una giustizia perfetta, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 73


quella che esige la morte di coloro che da essa deviano anche solo in parte. Il cristiano vive “sotto la grazia”, i suoi peccati gli sono perdonati, la giustizia che gli è accreditata non è la sua, ma quella di Cristo. Il senso ora è chiaro. L'apostolo infatti vuole confortarci affinché, nello sforzarci di fare quanto è giusto, disperiamo di noi stessi, afflitti come siamo da molte imperfezioni. Per quanto infatti possiamo essere tormentati dai pungiglioni del peccato [così scrive Calvino], esso non può avere la meglio su di noi, perché siamo messi dallo Spirito di Dio in condizione di vincerlo. Essendo sotto la grazia siamo liberati dai rigorosi requisiti della legge. L'apostolo, però, prende per scontato che tutti coloro che sono privi della grazia di Dio, essendo legati al giogo della legge, sono sottoposti alla condanna di Dio e, fintanto che sono sotto la legge, essi si trovano sotto il dominio del peccato. Ragione di più, per chi si trova in questa condizione, per invocare la misericordia di Dio in Cristo Gesù. Preghiera. Ti amo, o Signore, ed amo la Tua legge come regola giusta e buona della mia vita. Ti sono infinitamente riconoscente che non solo hai sovvenuto in Cristo alla disperata situazione di condanna in cui mi trovavo, ma che pure quello stesso Cristo viene in mio soccorso quando, nelle contraddizioni della mia vita, non riesco ad essere quel che vorrei facendoti piacere in ogni cosa. Ti ringrazio perciò che non vivo più sotto il regime della legge, ma della grazia. Questo mi è di grande consolazione. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 74


22 Le inevitabili conseguenze delle nostre scelte “15 Che faremo dunque? Peccheremo forse perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? No di certo!16 Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell'ubbidienza che conduce alla giustizia? 17 Ma sia ringraziato Dio perché eravate schiavi del peccato ma avete ubbidito di cuore a quella forma d'insegnamento che vi è stata trasmessa; 18 e, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. 19 Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. 20 Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. 21 Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. 22 Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; 23 perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:15-21).

P

er chi ha tanto a cuore la legge morale di Dio, consapevole che essa è stata data per regolare la nostra vita, le argomentazioni di Paolo sembrano un pericoloso indebolimento del suo ruolo e tolleranza del peccato. Non è così. Gesù stesso afferma: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Matteo 5:17). Iddio, nel concedere la Sua grazia ai peccatori che si affidano a Cristo, di fatto rende possibile Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 75


l'ubbidienza alla legge di Dio, perché li libera dalla maledizione del peccato. Il peccato è il problema, non la legge. È nell'ambito della grazia che uomini e donne ritrovano il piacere e la gioia del vivere secondo la volontà di Dio. È una lezione che ancora oggi molti devono apprendere. Fra la stretta, spietata (ed ipocrita) aderenza alla legge dei legalisti e l'allegra noncuranza (antinomia) dei liberali, Cristo rimane Colui che ci permette di vedere le cose nella giusta prospettiva e ci rende persone libere e responsabili. Di fatto Cristo è venuto per spezzare le catene che rendono l'essere umano schiavo del peccato. Il peccato, infatti, ha la capacità di asservire chi vi indulge. È come una droga da cui diventi dipendente e dalla quale non riesci più a liberarti. È come vivere sotto il regime ed i ricatti della Mafia o come chiedere soldi in prestito a degli strozzini. La Mafia propone “vantaggi” a chi vi si sottomette. In realtà essa solo ti sfrutta ripagandoti con miseria, disperazione e morte. È come essere compiacenti e “dare una mano ogni tanto” a chi è dedito ad impurità ed iniquità. Esserne coinvolti e diventarne complici non è indifferente: prima o poi la cosa ti avvilupperà permanentemente con il suo abbraccio mortale. L'insetto che cade nella tela appiccicosa del ragno ne rimane invischiato e ben presto il ragno se ne nutre. Ben diversa è la situazione di chi di cuore accoglie ed ubbidisce all'appello dell'Evangelo di Cristo, una “forma di insegnamento” che ancora oggi rimane unica nel suo genere e senza paralleli nel mondo, permanente novità e decisamente “anticonformista” nel quadro delle religioni. Chi mette sé stesso “al servizio” dei propositi di Dio in Cristo, raccoglie santificazione e vita significativa ed eterna. Mentre il peccato ripaga con la morte ad ogni livello, i frutti dell'Evangelo di Cristo (che non Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 76


sono paga d'azioni meritorie ma dono) sono vita eterna in Cristo Gesù. Che dunque le nostre membra, già poste al servizio del peccato, siano poste ora al servizio della giustizia. Che i nostri occhi siano impiegati per scrutare diligentemente le Scritture di verità; le nostre orecchie nell'ascoltare la predicazione dell'Evangelo; le nostre labbra, bocca e lingua nell'esprimere le lodi di Dio per ciò che egli ha fatto per noi; le nostre mani a distribuire ciò che è verità e amore; i nostri piedi usati per recarci al culto comunitario ed in ogni occasione di testimonianza cristiana. Facciamolo come volenterosi servitori del Signore per adempiere alla Sua volontà; e, nello stesso modo, liberamente, volentieri e con gioia, costantemente ed in ogni modo, in ogni atto di giustizia e di santità. Preghiera. Signore Iddio, proteggimi affinché io non cada più nella trappola posta dalle seduzioni di ciò che ai Tuoi occhi è peccato, di ciò che è impuro, iniquo e vergognoso. Mi consacro completamente al servizio Tuo e della Tua causa e, per la Tua grazia, cammino sulla via della santificazione e della vita eterna. Amen.

23 L'affrancamento del cristiano dal legalismo “1 O ignorate forse, fratelli (poiché parlo a persone che hanno conoscenza della legge), che la legge ha potere sull'uomo per tutto il tempo ch'egli vive? 2 Infatti la donna sposata è legata per legge al marito mentre egli vive; ma se il marito muore, è sciolta dalla legge che la lega al marito. 3 Perciò, se lei diventa moglie di un altro uomo mentre il marito vive, sarà chiamata

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 77


I

adultera; ma se il marito muore, ella è libera da quella legge; così non è adultera se diventa moglie di un altro uomo. 4 Così, fratelli miei, anche voi siete stati messi a morte quanto alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere a un altro, cioè a colui che è risuscitato dai morti, affinché portiamo frutto a Dio. 5 Infatti, mentre eravamo nella carne, le passioni peccaminose, risvegliate dalla legge, agivano nelle nostre membra allo scopo di portare frutto per la morte; 6 ma ora siamo stati sciolti dai legami della legge, essendo morti a quella che ci teneva soggetti, per servire nel nuovo regime dello Spirito e non in quello vecchio della lettera” (Romani 7:1-6)..

primi destinatari di questa lettera, i cristiani di Roma, erano prevalentemente d'origine ebraica e l'Apostolo qui sta insegnando loro a considerare la legge mosaica (legge di Dio), legge che stava loro molto a cuore, sotto una nuova luce, da una nuova prospettiva, quella di Gesù, il Cristo. Possiamo comprendere il timore che questi credenti avevano, di essere portati lontano dalla loro onorata tradizione, dagli insegnamenti e dalle pratiche religiose in cui erano stati educati fin da piccoli e di cui era fatta la loro identità non solo religiosa, ma anche nazionale ed etnica. Avevano il timore che Paolo, seguendo l'insegnamento “eretico” di Gesù (così era considerato dalle autorità ebree ortodosse), per quanto affascinante, li avrebbe tanto sviati dalla verità da pregiudicare la loro stessa salvezza. Gli stessi comprensibili timori colgono coloro che sono oggi esortati, dall'insegnamento della Riforma protestante, a “riaggiustare” le loro concezioni religiose portate fuori strada da un cristianesimo che il tempo e le influenze aliene ha corrotto, per ritornare sulla retta via dell'insegnamento biblico. Paolo, moltiplicando qui le sue argomentazioni, guarda la questione della legge mosaica da diversi punti di vista, per dimostrare la bontà e la correttezza della prospettiva cristocentrica e Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 78


così stabilire la loro fede non su delle “onorate tradizioni”, ma sulla verità rivelata, parola vivente che non solo mette in questione queste tradizioni, ma la stessa loro vita. Non è certo cosa da poco... Si può essere “sposati” alla legge? Sì, quando la propria religione diventa stretta adesione (spesso intollerante) a regolamenti morali e cerimoniali, a tradizioni, autorità ed istituzioni storiche, a confessioni di fede assolutizzate e, certamente, anche alla Bibbia, non come parola vivente di Dio, ma come “legnosa” conformità ad un codice. Si tratta di quel che è definito come “legalismo”, la cui fenomenologia si presenta spesso in molte religioni e anche nel cristianesimo (di cui ne rappresenta una corruzione). Si potrebbe definire il legalismo come la stretta conformità alla lettera di una legge anziché al suo spirito; focalizzarsi sul testo di una legge scritta ad esclusione delle intenzioni di quella legge; elevare una stretta adesione alla legge al di sopra della giustizia, della misericordia e del buon senso. In teologia legalismo è un termine peggiorativo che si riferisce ad un'esagerata accentuazione sulla legge o codici di condotta, accompagnato da rigore, orgoglio, superficialità, mancanza di misericordia, ignoranza della grazia di Dio. È anche la pretesa di guadagnarsi il favore di Dio o la salvezza attraverso questa stretta adesione alla legge. Dato però che, come dimostra l'Apostolo, questo è umanamente impossibile, a causa del peccato radicato in noi, essa solo genera inganno di sé stessi e degli altri e ipocrisia. Storicamente questo fenomeno era legato al Fariseismo settario, che Gesù spesso condannava e di cui Paolo era “esperto” perché l'aveva condiviso, fintanto che da quel mondo aveva “divorziato” per aderire alla Persona del Cristo risorto. Era stato, di fatto, molto più che un “divorzio”. Quel modo di considerare la religione e la legge, per lui era morto e sepolto, “crocifisso con Cristo”. Da quel mondo, da quel modo Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 79


di vedere le cose, ora lui era libero e ben poteva “sposarsi” a Cristo. Tutto questo è successo anche a noi, oppure siamo ancora “bigami” perché “frequentiamo”, ci rapportiamo sia all'una (la legge) che all'altro (Cristo) in modo paritetico o privilegiando la prima? Questo non è possibile. Sarebbe “adulterio”, concetto ben chiaro per “gli esperti della legge”! Davvero ora il cristiano vive sotto un “regime” ben diverso da quello delle tradizionali religioni: un rapporto vivo con la Persona e lo Spirito di Cristo. Questo certo non significa ignorare o trascurare la legge, ma rispettarla nello spirito di Cristo. Abbiamo veramente però compreso lo Spirito di Cristo? Preghiera. Signore Iddio, liberami da ogni forma (aperta o sottile) di legalismo, affinché la mia vita, essendo stata fatta una cosa sola con Cristo, ne rifletta in ogni circostanza lo Spirito. Liberami anche dalla superficialità e negligenza che pure mi potrebbe portare a ignorare la Tua volontà rivelata facendo quello che io ritengo meglio senza confrontami con Te. Amen.

24 Concupiscenza: il peccato fondamentale “7 Che cosa diremo dunque? La legge è peccato? No di certo! Anzi, io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; poiché non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire». 8 Ma il peccato, còlta l'occasione, per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza; perché senza la legge il peccato è morto. 9 Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii; 10 e il comandamento che avrebbe

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 80


dovuto darmi vita, risultò che mi condannava a morte. 11 Perché il peccato, còlta l'occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno e, per mezzo di esso, mi uccise. 12 Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. 13 Ciò che è buono, diventò dunque per me morte? No di certo! È invece il peccato che mi è diventato morte, perché si rivelasse come peccato, causandomi la morte mediante ciò che è buono; affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante” (Romani 7:7-13).

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ffermare che il cristiano sia sciolto dai legami della legge (come ha fatto l'Apostolo al versetto 6) per servire nel nuovo regime dello Spirito, significa forse dire che la legge sia qualcosa di cattivo perché, di fatto, suscita solo ulteriore peccato? No, il peccato dimora in noi, non nella legge: la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. La legge esprime la giustizia e l'armonia che Dio ha impresso nel creato, ma non ci aiuta per nulla ad osservarla! Causa del peccato è la nostra concupiscenza, la brama verso il proibito, “il piacere della trasgressione”. Si potrebbe dire che la concupiscenza sia il peccato fondamentale dell'essere umano, la brama di voler essere molto di più di ciò che siamo; il desiderio intenso di possedere più di quanto ci sia possibile avere; la ribellione, tipicamente adolescenziale, alle regole ed alle autorità costituite che siamo indotti a sfidare proprio perché “non ci piace che ci dicano ciò che dobbiamo fare”. Se non ci fossero regole ed autorità da sfidare, il peccato non sarebbe così palese. Non che senza regole scritte non ci sia peccato, perché le norme morali sono comunque radicate in noi. La legge, però, stabilendo chiaramente chi comanda (Dio) e quali siano le regole alle quali dobbiamo, come creature, sottostare, suMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 81


scita odio ed avversione. La legge è per noi molto “frustrante”, diventa una maledizione e non un piacere, perché ci indica il modello di vita che dobbiamo raggiungere (molto alto) e non fa nulla per aiutarci a raggiungerlo. La legge è come lo sgradito specchio per persone in sovrappeso che le mostra come sono realmente frantumando le loro illusioni: preferiremmo infatti non vederlo e continuare a cullarci nelle nostre fantasie sulla nostra “buona” natura. La legge ci fa prendere coscienza di “come siam fatti”. È per questo che si può dire che la legge (in sé ottima), in noi, per quello che siamo, non produca che peccato, colpevolezza, condanna, morte, tanto da affermare, per assurdo, che senza di essa non vi sarebbe peccato... Gioia (ipocrita e malintesa) dei legalisti; fastidio per i “liberali” che vorrebbero sottrarsene; maledizione per chi vorrebbe osservarla ma non ce la fa, la legge per l'uomo naturale, ha un ruolo essenzialmente negativo. Qualcosa di ottimo come la legge “diventa morte”, dito accusatore puntato verso le nostre colpevoli inadempienze. I dieci comandamenti stessi, che riassumono la legge di Dio, diventano lo sgradito catalogo delle nostre inadempienze. Essi culminano nel “peggiore” fra i comandamenti, quello più “insopportabile” ed odioso, il decimo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo” (Esodo 20:17). È così anche perché indica come anche una trasgressione virtuale, fatta col pensiero, ma non meno colpevole, sia peccato allo stesso modo dell'attuale e fattiva trasgressione. È esattamente come dice lo stesso Gesù quando equipara l'adulterio nel pensiero soltanto, a quello consumato: “Voi avete udito che fu detto: 'Non commettere adulterio'. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 82


ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5:27-28). Non c'è principio che ci sia più odioso ed “inaccettabile” di questo, ma che rivela più di ogni altro come noi siamo portandoci – cosa sommamente salutare – a disperare di noi stessi. È proprio, infatti, quando disperiamo di noi stessi che noi apprezziamo l'importanza del Salvatore, invocando la misericordia di Dio. È così che: “per mezzo del comandamento, il peccato diventa estremamente peccante”. Che cosa vuol dire? Affinché il peccato, attraverso i comandamenti, apparisse in tutta la sua gravità; quanto terribile e malvagio sia il peccato in tutte le sue conseguenze; mostrandoci la bruttezza del peccato; ci apparisse “peccaminoso oltre misura”. Se non fosse così, sicuramente “lo prenderemmo sotto gamba”, come di fatto avviene oggi in cui il concetto di peccato viene banalizzato, sottovalutato, ignorato come irrilevante e senza importanza. Per questo è necessario più che mai oggi anche predicare la legge”, perché se non lo si facesse, l'Evangelo stesso risulterebbe incomprensibile, verrebbe banalizzato e perderebbe il suo carattere di urgenza. Si comprende allora la forza dell'esortazione di Paolo a Timoteo: “Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole” (2 Timoteo 4:1-4). Preghiera. Signore Iddio, fammi prendere sempre più coscienza della gravità del peccato e delle sue conseguenze eterne. Fa sì che questa Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 83


consapevolezza mi stringa sempre piĂš forte al Salvatore e Signore GesĂš Cristo. Fa' si che non consideri alla leggera l'espressione della Tua volontĂ nella Bibbia, legge permanente e vincolante. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 84


25 Convivere con le contraddizioni del presente “14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. 15 Poiché, ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; 17 allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. 18 Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. 19 Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. 20 Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. 21 Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. 22 Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, 23 ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. 24 Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25 Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato” (Romani 7:14-25).

L

'Apostolo, in questa sezione della sua lettera, continua a rispondere, approfondendo le sue argomentazioni, a chi lo accusa di denigrare la legge di Dio, che pure sta alla base del patto fra Dio ed il Suo popolo, e, prima ancora, alla base di quello stabilito fra Lui e l'intera umanità. Non è minimamente nelle intenzioni di Paolo di svalutare la legge di Dio, tutt'altro! Prima dice: “la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono” (12). Ora egli afferma: “la legge è Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 85


spirituale” (14). Il problema siamo noi, non la legge! Il problema è il peccato che tanto corrompe la nostra natura da frustrare anche le migliori umane intenzioni di onorare con l'ubbidienza la legge di Dio. Dio giustamente esige conformità alla Sua legge, ma l'essere umano portando ai piedi i pesanti ceppi del peccato, non riuscirà mai ad andare molto lontano sulla via della giustizia. Anzi, frustrato, “abituandosi” a portare quei ceppi, spesso si illude che quel che fa sia sufficiente, abbassando così illecitamente lo standard divino. Paolo dice “Noi che abbiamo una comprensione spirituale della legge, noi che siamo stati condotti ad intendere la sua vera natura dallo Spirito di Dio, sappiamo per esperienza che la legge è 'spirituale' e che essa in sé stessa certo non può essere causa di peccato o di morte”. La legge, infatti, proviene dallo Spirito di Dio e raggiunge lo spirito umano. Essa esige verità nell'intimo del cuore (Salmi 51 :6); culto spirituale ed ubbidienza; l'adesione senza riserve della nostra mente; un culto di Dio in spirito e verità; amore verso di Lui con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra anima, non solo conformità esteriore o “per dovere”. Dove mai potrà essere trovata in questo mondo, visto come tutti noi siamo messi, a causa del peccato, una tale conformità? Questo è il problema. Di fronte alla legge di Dio anche le nostre migliori intenzioni si frantumano. È il caso dello stesso cristiano, che pure vorrebbe di tutto cuore ubbidire alla legge di Dio per amore Suo. L'Apostolo qui parla della sua stessa attuale esperienza di persona convertita a Gesù Cristo, rigenerata per opera dello Spirito Santo. Non c'è nessuno più di lui che vorrebbe onorare pienamente la legge di Dio. Ammette che la legge è ottima e necessaria. Vorrebbe di tutto cuore ubbidirle, ma, onestamente, questo desiderio sincero si scontra con la realtà della natura umaMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 86


na che pure riconosce in sé stesso. Egli si rende conto che nella sua carne non abita alcun bene (18), che in lui ben c'è il volere, ma non il modo di compiere il bene (19), che il peccato pure abita in lui (20), che il male si trova in lui (21), che in lui c'è una lotta interiore fra il bene che pure vorrebbe fare e la tendenza congenita a compiere ciò che è male e che oppone al suo desiderio di compiacere Dio una formidabile resistenza. Di fatto si potrebbe dire che siamo prigionieri di questo corpo corrotto dal peccato di cui vorremmo liberarci per vivere fin da oggi la piena redenzione anche del nostro corpo. Dobbiamo, però, ancora attendere. Con queste contraddizioni, purtroppo, per il momento dobbiamo convivere. A volte persino gridiamo disperati: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?”. Grazie a Dio, però, tutto questo finirà, Dio ce ne libererà, quando Egli ci farà entrare in un nuovo cielo ed in una nuova terra ed allora l'opera di redenzione in Cristo che è cominciata in noi giungerà finalmente a compimento. È una speranza certa, è il punto d'arrivo al quale non vediamo l'ora di arrivare. Le arroganti pretese disoneste dei “perfezionisti” vengono così abbattute. Siamo salvati per grazia di Dio attraverso la fede in Gesù Cristo, la fede nella Sua opera che ci viene accreditata, non nelle nostre. Da soli non ce la faremmo mai. Possiamo solo, una volta salvati in Cristo, fare umilmente del nostro meglio confidando nella misericordia di Dio. Un giorno tutte le nostre attuali contraddizioni saranno, grazie a Dio, superate, quando i Suoi propositi di salvezza giungeranno a compimento. Allora potremo veramente tirare un respiro di sollievo! Preghiera. Signore Iddio, mi riconosco nell'esperienza di cui parla l'apostolo Paolo. Vorrei compiacerti in ogni cosa ma debbo lottare Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 87


continuamente contro la zavorra lasciata nella mia vita dal peccato. Ti ringrazio che non mi accogli per quel che faccio, ma che mi accogli in Cristo. Ti ringrazio perchĂŠ i Tuoi propositi di redenzione andranno a pieno compimento. Nel contempo, o Signore, umilmente, voglio essere diligente nell'ubbidirti per quanto possibile. Sostegni, Te ne prego, questo mio proponimento affinchĂŠ la mia cristiana testimonianza sia il piĂš coerente possibile. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 88


26 Non più condannati “1 Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù, 2 perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 3 Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, 4 affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito” (Romani 8:1-4).

L

'Apostolo ha ampiamente dimostrato che, rispetto ai criteri di giustizia stabiliti, a causa del peccato che contamina tutta la nostra natura, non c'è al mondo una sola creatura umana che possa essere considerata accettabile agli occhi di Dio. Persino le pretese di giustizia dei “virtuosi” di questo mondo cadono tutte miserevolmente. La buona volontà non basta. Nessuna illusione è possibile. Una giusta sentenza di condanna accomuna tutti i discendenti di Adamo: il quadro dipinto è di impietoso e crudo realismo. È proprio in questo disperato contesto che risuona il gioioso annuncio di ciò che Dio ha realizzato in Cristo: “Ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto mandando il proprio Figlio” (3). Speranza per l'umanità si trova solo in Cristo: “Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (1). Questo annuncio suscita in noi entusiasmante riconoscenza. Ciò che la legge di Dio da noi esige [“la giustizia della legge” (ND)], ora in noi è adempiuto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 89


(4) perché siamo stati innestati in Colui che tutto per noi ha adempiuto. Infatti, avendo affidato a Cristo la nostra vita, siamo una cosa sola con Lui. Per un credente non c'è conforto più grande di questo. Non abbiamo più nulla di cui temere. Come dice un altro testo, la nostra vita ora è “nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3:3). L'apostolo non dice che in noi non ci sia oggettivamente più nulla di condannabile, perché la corruzione prodotta in noi dal peccato è condannabile [per questo la vita del credente è impegnata in un costante processo di purificazione dal peccato]. I nostri peccati ci condannerebbero se non ci fossimo affidati a Cristo, se Cristo non si fosse offerto legalmente come nostro Garante. Ora, però, quand'anche il nostro cuore o il mondo intero ci condannasse, quand'anche Satana ci accusasse (e lo fa del continuo), possiamo presentare un attestato incontestabile, firmato e controfirmato, di completa assoluzione che, grazie a Cristo, ci dichiara giusti. Non c'è più nulla ora che possa essere portato a nostra condanna. La nostra colpevolezza e ciò che dovevamo per essa è stata per sempre trasferita a Cristo. Il sangue da Lui versato è garanzia della nostra redenzione e giustificazione. Tutto questo ci permette ora di dire: “...noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”. Questo non vuole dire, come qualcuno afferma, che “il comandamento” o “la giustizia” della legge sia adempiuta in noi nella misura in cui noi “non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito”. Se fosse così ricadremmo nel sinergismo, nella salvezza condizionata dalla nostra performance. Questo il testo non lo dice e, se fosse così, contraddirebbe tutto ciò che l'Apostolo ha affermato fin ora ed ancora affermerà. “Noi che camminiamo” è indicativo presente, è “un dato di fatto”. Coloro che sono stati Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 90


rigenerati dallo Spirito di Dio, che sono stati fatti nuove creature in Cristo, coloro che hanno affidato la loro vita a Cristo, non si conducono più secondo le inclinazioni della loro natura corrotta (“la carne”), ma secondo le nuove aspirazioni create in loro dallo Spirito di santità. Camminare, comportarsi, “secondo lo Spirito” (pur in tutte le contraddizioni dell'attuale nostra vita) è il frutto, il risultato dell'influenza vitalizzante di Cristo sul credente, evidenza della sua autentica conversione. Il cristiano è colui o colei che fa di Cristo sua guida, che va nella direzione da Lui indicata, la cui vita è influenzata da Lui. “Camminare secondo lo Spirito” non è la causa della nostra condizione di “non condanna”, ma ne è il risultato. Esso descrive la vita delle persone a cui è stato fatto questo dono. Vi è stata fatta grazia, dice Paolo ai credenti in Cristo, “...perché camminiate in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; fortificati in ogni cosa dalla sua gloriosa potenza, per essere sempre pazienti e perseveranti; ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Colossesi 1:10-12). È ciò che l'Apostolo elabora nei versetti seguenti e che esamineremo domani. Preghiera Ti ringrazio, Signore, perché, ora che mi hai unito indissolubilmente a Cristo, per la Tua grazia, non devo più temere il Tuo giudizio di condanna. Ti ringrazio di avermi spiritualmente rigenerato e che ora il Tuo Spirito mi sospinge in novità di vita. Radica in me sempre di più questa consapevolezza affinché niente e nessuno mi porti più a dubitarne. Fa' sì che io cammini con decisione lungo la strada da Te indicata, compiacendoti in ogni cosa. Amen. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 91


27 Il vero cristiano vive secondo lo Spirito di Cristo “5 Infatti quelli che sono secondo la carne, pensano alle cose della carne; invece quelli che sono secondo lo Spirito, pensano alle cose dello Spirito. 6 Ma ciò che brama la carne è morte, mentre ciò che brama lo Spirito è vita e pace; 7 infatti ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo; 8 e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio. 9 Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui. 10 Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione. 11 Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Romani 8:5-11).

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'Apostolo procede nel testo di oggi a dimostrare che essere giustificati dalla grazia di Dio per la sola fede in Cristo senza meriti propri è ben lungi dal promuovere comportamenti irresponsabili ed il disimpegno. Al contrario, questa è l'unica via che, combattendo il peccato alla radice, possa produrre persone realmente rinnovate nella loro mentalità e comportamento. Attraverso l'opera dello Spirito Santo, agendo con Cristo ed in Cristo, uomini e donne vengono interiormente rigenerati tanto che la loro mentalità non è più rivolta al soddisfacimento dei Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 92


propri desideri egoistici (“pensare alle cose della carne” 5a), ma vivono governati da istanze superiori (“pensare alle cose dello Spirito” 5b), condotti dallo stesso Spirito che portava Cristo ad amare Iddio ed il prossimo in modo totale, supremo. Di fatto, alla fin fine, non si guadagna proprio nulla a vivere in funzione del soddisfacimento egoistico di sé stessi. È una via che sfrutta, consuma, distrugge e che alla fine porta solo alla morte (in tutti i sensi). Vivere, invece, in comunione con lo Spirito di Dio, guidati dalla Sua sapienza, giustizia ed amore, comporta vita e pace (6). Inoltre, vivere in modo egocentrico comporta, quel ch'è peggio a considerare Dio come avversario (della propria pretesa autonomia) e la Sua legge come un attentato alla propria “libertà”. Chi vive in questo modo, ovviamente non può piacere a Dio, quand'anche ammantasse sé stesso di un'inutile ed ipocrita religiosità. Le sue pretese di “seguire la legge” sono prive di fondamento. Indipendentemente dall'intervento di Dio che lo unisce per la sua salvezza a Cristo, ogni sforzo di raggiungere da soli Dio e la salvezza è veramente patetico. La nostra condizione naturale non è in grado di conseguire da sola gli obiettivi spirituali che eventualmente si proponesse di raggiungere. Il cristiano autentico non vive “nella carne”, ma “nello Spirito” di Dio, essendo governato e condotto dal Dio di Gesù Cristo. Se qualcuno non vive moralmente e spiritualmente, in modo evidente, ad imitazione di Gesù Cristo, di fatto non Gli appartiene, per quanto professi altrimenti. Se non dimostra di voler vivere come Lui all'insegna dell'amore per Dio e per gli altri, avendo l'ubbidienza alla volontà di Dio come punto di riferimento centrale della propria vita, la sua eventuale professione di fede in Lui non varrebbe nulla, sarebbe falsa. Se qualcuno davvero è in Cristo, nonostante tutte le contraddizioni della Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 93


vita in questo mondo, questi è spiritualmente vitale e produttivo proprio come inevitabile risultato della giustificazione che per grazia ha ricevuto da Dio. Nessuna vitalità spirituale, infatti, procede dalla “carne” dell'essere umano, come oggi si presenta. Coloro che sono stati rigenerati da questo stesso Spirito che li anima farà sì alla fine che, come Cristo è risuscitato, anche il loro corpo sia similmente trasformato. Questo è fonte di grande consolazione per il cristiano: ciò che Cristo ha iniziato a fare in lui o in lei, avrà sicuro compimento. Chi dà evidenza di vivere solo “nella carne”, animato dai “valori” e stile di vita di questo mondo, non può dire di avere ricevuto la grazia di Dio in Gesù Cristo, perché questa grazia produce sempre, nella persona che ne è coinvolta, i frutti concreti di una vita ritornata a riflettere la sua originale somiglianza morale e spirituale con Dio. Quali evidenze diamo noi di essere stati predestinati e giustificati dalla grazia di Dio in Gesù Cristo? “Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l'esito della prova sia negativo. Ma io spero che riconoscerete che la prova non è negativa nei nostri confronti” (1 Corinzi 13:5-6). Preghiera. Fa sì, o Signore, che io non inganni né me stesso né gli altri vantando una fede che non ha mai conosciuto di fatto la rigenerazione dello Spirito Santo. Fa sì che io, verificando la mia condizione spirituale rispetto all'ABC dell'Evangelo, io possa dare chiara testimonianza della verità che è in Cristo Gesù. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 94


28 Vivere come figli adottivi di Dio

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“12 Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; 13 perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete; 14 infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!» 16 Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. 17 Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui” (Romani 8:12-17).

er comprendere le affermazioni dell'Apostolo (un linguaggio per altro abbastanza oscuro per chi ragiona secondo altri canoni), bisogna ovviamente sempre tenere conto dei presupposti sui quali si basa. Egli li ha delineati chiaramente in quanto già ha detto in precedenza. La creatura umana, così come oggi si trova, dal punto di vista morale e spirituale, non gode di alcuna libertà. Essa è “venduta schiava al peccato” (Romani 7:14). È incatenata e condizionata sempre dal peccato che inevitabilmente caratterizza sempre tutto quel che fa e che le pregiudica qualsiasi rapporto salvifico con Dio. Non può che fare, deve fare, sempre quello che le sue inclinazioni peccaminose (la “carne”) le comandano. Inevitabilmente deve seguirne i comandi. Per questo è “debitrice”, ha un “debito” verso la carne (12). I cristiani, però, coloro che sono stati redenti e rigenerati in Cristo (che qui l'Apostolo chiama i suoi “fraMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 95


telli”), sono stati liberati da questa schiavitù, non devono più nulla a quella che prima era prima era la loro padrona. Non sono più “tenuti” a seguirne i comandi, gli impulsi. Ne odono la voce imperiosa, ma ora le dicono: “Taci. A te non devo più nulla. Non ti ubbidisco più. Da te Cristo mi ha affrancato. Non devo più vivere nel modo che tu mi dici. Per me ora quel modo di vivere è 'morto e sepolto' (13b). Non mi sfrutterai più per i tuoi propositi iniqui. So che le conseguenze del tuo 'stile di vita' sono solo morte (13a). Io voglio vivere e fare quel che è giusto, e lo farò, perché ora seguo lo Spirito della vita. Volentieri farò solo ciò che Dio mi dice”. Questa è pure un'ulteriore prova che chi è stato giustificato per grazia senza merito proprio, vive in modo responsabile onorando la volontà di Dio. La condizione in cui, per grazia di Dio, sono stati portati coloro che sono oggetto dell'opera salvifica di Cristo e del Suo Spirito è entusiasmante. È quella di “figli di Dio” (14). Sono stati veramente liberati. Essi non vivono più in un regime di servitù e di paura (15). Non sono più servi, ma sono stati resi figli, figli adottivi di Dio. Ora possono dire di fare legittimamente parte della famiglia di Dio. Possono chiamare Dio con l'appellativo più dolce ed intimo che mai sia possibile: “Papà!”. Quando il mondo, con pie espressioni religiose, dice “Noi siamo tutti figli di Dio” non ha idea alcuna di quel che sta dicendo. È una pretesa priva di fondamento, un'illusione, una menzogna. Solo chi è in Cristo può dire: “Sono figlio, figlio adottivo di Dio, in forza della Sua stupefacente grazia”. Questo non solo gli è stato garantito dalle oggettive affermazioni e promesse della Parola di Dio [“A tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome” (Giovanni 1:12)] e dalle attestazioni del Suo Spirito, ma è pure qualcosa che “sente” interiormente nel suo spirito (16). Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 96


Far parte della famiglia di Dio come Suoi figli adottivi significa pure avere titolo a tutti i privilegi che questo comporta. Significa avere finalmente “una casa” condivisa gioiosamente con tanti fratelli e sorelle in fede. Significa avere titolo alla Sua “eredità”, essere “coeredi” di Cristo (17). Davvero, come dice Gesù stesso: “In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna” (Marco 10:29-30). Certo, continuiamo per il momento a vivere in questo mondo. Quando il mondo sa che ora siamo diversi, siamo liberi, siamo stati fatti figli adottivi di Dio, abbiamo titolo alla Sua eredità, “la cosa non gli garba affatto” e spesso e volentieri ci fa oggetto, in un modo o in un altro, di persecuzioni. Questo è ciò di cui Gesù parla quando aggiunge “insieme a persecuzioni” e ciò che Paolo intende quando qui scrive “se veramente soffriamo con lui”. La sofferenza è infatti l'inevitabile conseguenza di vivere come cristiani e indubbiamente anticonformisti in questo mondo. Che cosa implica? Come dobbiamo affrontarla? È quello che vedremo domani. Preghiera. Padre mio celeste, papà! Ti ringrazio che mi hai reso in Cristo, con grazia stupefacente, Tuo figlio adottivo dandomi titolo a tutti i privilegi che questo comporta. Ti ringrazio che mi hai liberato da un regime di servitù e di paura. Ora volentieri vivo seguendo quel che mi dici Tu, giusto e buono e che conduce alla vita. Sostienimi e rafforzami nella mia determinazione a farlo sempre, mettendo a tacere le pretese della mia carne. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 97


29 Conforto e certa speranza

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“18 Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. 19 Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; 20 perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, 21 nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. 22 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; 23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza” (Romani 8:1825).

e benedizioni e privilegi che Dio impartisce a coloro che Egli fa oggetto della Sua grazia in Cristo sono veramente stupefacenti. Egli li sottrae alle conseguenze e dominio del peccato e adottandoli come Suoi figli, li rende contitolari di una gloriosa eredità. Per il momento, però, devono continuare a vivere in questo mondo. La tensione fra vecchio ed il nuovo nella loro stessa vita li impegna spesso duramente. Come se questo non bastasse, difficoltà e sofferenze provengono loro pure dall'ambiente in cui vivono. Esso “non sopporta”, infatti, che i figli di Dio siano e si comportino in Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 98


modo diverso ed anticonformista rispetto all'andazzo di questo mondo (Efesini 2:2). È per questo che sofferenza, emarginazione e persecuzione di vario tipo sono, per i cristiani impegnati, all'ordine del giorno. Gesù ne parlava apertamente: “Ricordatevi della parola che vi ho detta: 'Il servo non è più grande del suo signore'. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15:20). È “la croce” che essi devono portare (Luca 14:27). Ne vale la pena? Certo! “Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo” (18). L'atleta che vuole conseguire il premio sopporta ogni sacrificio pur di conseguirlo e la gioia di quel giorno sostiene la sua fatica nell'addestrarsi. Non siamo, però, i soli a soffrire. L'intera creazione in questo mondo soffre inusitati patimenti come conseguenza del peccato umano ad ogni livello. Essa “geme ed è in travaglio” (22), “grida” al Signore di esserne liberata. Quanti innocenti in questo mondo soffrono a causa d'altri! Ingiustizie e prevaricazioni di ogni tipo sono causa di sofferenze inusitate non solo per innumerevoli esseri umani, ma anche per gli animali, per la natura, per la terra... Il peccato sporca, guasta, rovina e distrugge ogni cosa! Esso rende “vana” la vita stessa (20). Chi osa prendere il peccato alla leggera e addirittura lo nega è un ignobile irresponsabile. Ancora la voce del sangue di Abele grida vendetta a Dio dalla terra (Genesi 4:10). La creazione stessa anela con tutta sé stessa d'essere liberata “dalla schiavitù della corruzione” (21). Il creato grida a Dio e con ansia attende pure, con impazienza, “la manifestazione dei figli di Dio” (19). Chi sono questi “figli di Dio”? Forse gli angeli? No, siamo noi che Dio ha salvato, con la Sua grazia in Cristo, dal peccato e dalle sue conseguenze. Essa attende che noi ...ci diamo da fare per alleviare le sue inMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 99


dicibili sofferenze. Il creato attende uomini e donne come noi che Dio ha salvato, trasformato e reso Suoi figli, che si mobilitino per questo mondo e che si comportino finalmente in modo diverso da coloro che operano contro questo mondo per distruggerlo. Il creato attende con impazienza uomini e donne redenti che agiscano in armonia con il Dio d'amore e di giustizia. Che sollievo per la natura quando essa è curata amorevolmente dai figlioli di Colui che ha fatto buona ogni cosa! Che sollievo per la natura e per tanti innocenti, quando chi sporca, sfrutta, violenta e distrugge, è convertito da Dio ed agisce in armonia con la Sua buona e santa legge! Era ciò che Dio aveva inteso per l'umanità fin dall'inizio, fare di essa un amorevole “giardiniere” del Suo creato. Noi che abbiamo “le primizie del Suo Spirito” (23), come potremmo agire diversamente da questo. Si tratta dunque, sia per noi che per la natura, non di una sofferenza disperata, ma piena di speranza. Sono come le sofferenze sopportate da una partoriente che sa che esse ben presto avranno fine e nascerà una nuova creatura! Noi aspettiamo con pazienza che la nostra adozione e redenzione giunga a compimento, in attesa del giorno in cui: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21:4), passate per sempre. Preghiera. Signore, ne farei molto volentieri a meno, ma le sofferenze di varia natura che patisco in questo mondo, le sopporto con pazienza e speranza, in attesa del compimento finale della Tua opera di redenzione. Esse sicuramente sono pure una prova che devo affrontare e uno strumento per rafforzarmi e maturarmi ulteriormente. Nel contempo voglio impegnarmi ad alleviare le sofferenze altrui e della natura stessa, ispirando concreta speranza. Amen. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 100


30 Sospiri ispirati, sostenuti e giunti a destinazione! 26 “Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; 27 e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Romani 8:26-27).

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e sofferenze del tempo presente (18) possono essere molto pesanti per un cristiano. “Sono troppo debole: non potrei mai farcela”, così potremmo giustamente dire, spaventati di fronte alla prospettiva della croce che Cristo ci presenta inevitabile, in questo mondo, quando pur volentieri siamo disposti a seguirlo. L'Apostolo risponde qui a questa comprensibile obiezione: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza” (26). Lo Spirito di Dio, quello stesso Spirito che ci ha impartito vita spirituale e salvezza, ci accompagna sempre nel nostro cammino di fede. Potrebbe forse abbandonarci a noi stessi frustrando così i propositi di Dio nei nostri riguardi? No: Egli non solo “ci dà una spinta” all'inizio del cammino cristiano, ma, accompagnandoci, ci sostiene. Arriveremo dove Dio si è proposto di portarci. I Suoi propositi nei nostri riguardi non falliranno. Un Salmo dice: “Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (Salmi 103:13.14). Non c'è ragione di temere: siamo sostenuti dalla misericordiosa potenza di Dio. Egli ci aiuta, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 101


ci soccorre, portando con noi i nostri fardelli, quand'anche fossero tentazioni e prove: “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscirne, affinché la possiate sopportare“ (1 Corinzi 10:13). Che dire, poi, della Preghiera? Il Signore si compiace quando i Suoi figlioli si rivolgono a Lui come ad un Padre, perché veramente Egli per noi lo è. Come dovremmo pregare? Che cosa potremmo osare chiedergli? Che cosa ci è lecito chiedergli? In particolare, quando siamo nell'afflizione, siamo disturbati e perplessi, persino talvolta senza forza per parlare. Anche in questo caso l'Apostolo ci dice: Lo Spirito Santo intercede per noi. Anche quando non abbiamo espresso apertamente la nostra Preghiera, o il nostro grido, quando non riusciamo che ad esprimere che un sospiro, Egli legge ciò che abbiamo in cuore e lo porta a Cristo, alla destra di Dio Padre. Non abbiamo bisogno d'altri intercessori. Infatti: “...colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio (…) Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi” (27,34). I nostri sospiri diventano anche i Suoi sospiri, ispirano la nostra Preghiera, diventano Preghiera davvero “ineffabile”. Anticamente, in italiano, il termine “sospiro” era sinonimo di Preghiera. “Sospiri ineffabili”, inoltre, sono pure le preghiere ispirate che si trovano nella Bibbia, in modo particolare i Salmi. Quando “non troviamo le parole” per esprimere quanto abbiamo in cuore, possiamo, anzi, siamo esortati ad avvalerci liberamente delle preghiere della Bibbia, farle nostre, pronunziarle ad alta

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 102


voce, cantarle perfino. Il canto dei Salmi, è infatti la migliore e più completa Preghiera che mai potremmo elevare a Dio! Un curioso episodio biblico che bene potrebbe illustrare l'assistenza dello Spirito di Dio nelle nostre preghiere è quello che riguarda Anna: “La sua Preghiera davanti al SIGNORE si prolungava, ed Eli osservava la bocca di lei. Anna parlava in cuor suo e si muovevano soltanto le sue labbra, ma non si sentiva la sua voce; perciò Eli credette che fosse ubriaca e le disse: 'Quanto durerà questa tua ubriachezza? Va' a smaltire il tuo vino!' Ma Anna rispose e disse: 'No, mio signore, io sono una donna tribolata nello spirito e non ho bevuto vino né bevanda alcolica, ma stavo solo aprendo il mio cuore davanti al SIGNORE'” (1 Samuele 1 :13-15). Preghiera. Ti ringrazio, o Signore, che non solo Ti sei fatto carico in Cristo del mio destino ultimo, ma che anche la mia vita, nel suo scorrere quotidiano, con tutte le debolezze che riconosco in me, Tu mi stai affianco e mi soccorri. Ti ringrazio che anche quando non so esprimere la Preghiera che ho in cuore, quando sono perplesso e nemmeno saprei che cosa chiederti, il Tuo Santo Spirito intercede per me efficacemente. Dammi, te ne prego, una consapevolezza ancora più grande della Tua presenza accanto a me e di tutte le risorse che, per grazia, Tu metti a mia disposizione. Amen.

31 Una questione di prospettiva “28 Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. 29 Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 103


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essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30 e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati” (Romani 8:28-30).

e sofferenze del tempo presente possono essere molto pesanti per un cristiano. Non dobbiamo, però, scoraggiarci ...e per molti motivi! Sono quelli che l'Apostolo elenca in questo capitolo per confortare e rafforzare i suoi lettori. Non si tratta di consolazioni a buon mercato! (1) Queste sofferenze erano state previste dal Signore Gesù e Lui stesso le ha condivise; (2) noi resistiamo guardando avanti con certa speranza al giorno in cui riceveremo la nostra gloriosa eredità; (3) il Signore efficacemente ci accompagna e ci sostiene. Abbiamo qui oggi una quarta ed importante ragione che ci permette di vedere le attuali nostre sofferenze da una prospettiva del tutto diversa: sebbene altri o noi stessi le possiamo intendere come qualcosa che va a nostro danno, per neutralizzarci, abbatterci e distruggerci, esse, di fatto, vanno a nostro vantaggio! Dio, che tiene ogni cosa sotto controllo, fa in modo che queste difficoltà cooperino, siano funzionali, al nostro bene ultimo. Non andiamo a cercarci le difficoltà apposta, non siamo masochisti. Dio non ce le manda con sadismo. Nella lotta contro il male in cui siamo coinvolti esse sono, in un certo qual senso inevitabili, ma ce ne possiamo addirittura avvantaggiare! Dio le fa cooperare al nostro bene. Tutto questo va nella logica illustrata dagli avvenimenti di cui era stato protagonista il patriarca Giuseppe: “Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 104


in vita un popolo numeroso” (Genesi 50:20). Come dice il Salmo 2, Iddio “si fa beffe”, “ride” di coloro che “congiurano insieme contro il Signore e contro il suo unto”. Con certezza Egli ha “stabilito il Suo re sopra Sion”. I Suoi propositi andranno a sicuro compimento nonostante l'opposizione dei . Questa stessa opposizione, di fatto, servirà per rafforzarlo e per aumentare la Sua gloria. Così è per noi che siamo stati predestinati, chiamati, giustificati e siamo avviati con certezza, per la Sua grazia, alla gloria (30). Il fatto che amiamo Dio ne prova, perché l'uomo naturale non cerca né ama Dio. La nostra fede e il nostro amore verso di Lui, sono il frutto della rigenerazione spirituale che Dio ha operato in noi. “Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” (2 Corinzi 4:1618). Prese dunque da sole, in sé stesse, le afflizioni e le sofferenze, non sono buone, non possono dirsi che facciano del bene. Considerate, però, dal punto di vista dei piani complessivi di Dio in favore dei Suoi eletti (coloro che amano Dio), esse “lavorano insieme” con Lui, sono funzionali per realizzare i Suoi propositi di salvezza. Qualcuno ha osservato che le sostanze di alcune medicine sono in sé stesse dei veleni, ma sapientemente composte dal farmacista, esse diventano terapeutiche. La pratica della vaccinazione infetta il paziente con gli agenti stessi della malattia, ma nella giusta misura, affinché il suo sistema immunitario si rafforzi e sia protetto contro quella malattia.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 105


È importante, infine, sottolineare come tutto questo non giustifichi assolutamente il peccato, il male, e chi lo commette. Esso rimane oggettivamente un male. Il veleno rimane veleno, ed è condannabile chi lo usa per fini malvagi. Dio, però, sapientemente fa in modo che sia dosato trasformandolo, per coloro che Gli appartengono, in qualcosa che va a loro vantaggio. Guardiamo alle cose, così, sempre a due livelli: quello dei fenomeni immediati e quello dei piani complessivi di Dio, favorevoli per i Suoi eletti. Guardiamo oltre alle immediate circostanze, per quanto dolorose esse siano. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio che appartengo a Te e che i Tuoi propositi di grazia nei miei confronti andranno a pieno compimento. Aiutami, te ne prego, ad alzare lo sguardo dalle circostanze immediate, per considerare come, di fatto, anche le esperienze più negative saranno trasformate in qualcosa che va a mio vantaggio. Amen.

32 Certezze incrollabili “31 Che diremo dunque riguardo a queste cose? Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? 32 Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. 34 Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. 35 Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36 Com'è scritto: «Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello». 37 Ma, in tutte queste Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 106


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cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:31-38).

e sofferenze del tempo presente possono essere molto pesanti per un cristiano, ma abbiamo molti motivi che ci permettono di sopportarle, di comprenderle e di trascenderle: lo abbiamo visto nelle argomentazioni dell'apostolo Paolo di questi giorni. Alla fin fine, però, di fronte alla motivazione ultima che l'Apostolo oggi ci presenta: l'amore supremo che Dio ha manifestato a noi, Suoi eletti, in Cristo Gesù, non dobbiamo proprio temere nulla che in questo mondo ci accada o che ci sia minacciato. Il mondo intero si mobilita contro di noi? Che ci importa? Dio è per noi! Il mondo intero ci accusa? Dio ci ha giustificati! Perché amiamo Cristo ed intendiamo stare dalla Sua parte, ci sottopongono ad ogni genere di torture? Possiamo trionfare su di esse! Ci minacciano la morte, le circostanze in cui viviamo, la prospettiva di un futuro oscuro, le potenze del cielo e della terra? Nessuno mai ci potrà strappare dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore! Le certezze dell'apostolo Paolo (che pure, per amor di Cristo, ne aveva passate di tutti i colori) sono davvero stupefacenti, ed egli desidera che siano anche le nostre! Notate qui come agli eletti di Dio non sia promesso che tutte queste brutte cose saranno evitate, o che in questo mondo andrà loro tutto bene, anzi, ma che potranno affrontare ogni difficoltà “a testa alta”. Non è loro promesso un mondo ovattato e ben protetto, benedizioni temporali, salute, bellezza e ricchezza, ma una forza indomita nelle difficoltà fondata sulla Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 107


certezza di sicurezze eterne. Quanto è lontano tutto questo da certa “evangelizzazione” portata avanti da chiese corrotte e compromesse, che, sfruttando bisogni autentici e desideri carnali, promettono, per chi accetta le loro proposte, fantastiche “benedizioni”! Dicono infatti, molto “pragmaticamente”: “Chi mai verrebbe in chiesa se predicassimo la croce di Cristo?!”. Così le loro chiese eventualmente si riempiono di gente che accetta un “vangelo” che, di fatto, non ha nulla a che fare con il Cristo autentico... Questa “evangelizzazione” è simile a tanta pubblicità ingannevole dalla quale veniamo ogni giorno martellati, o piuttosto, simile alle tentazioni che Satana stesso proponeva a Cristo: “Il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli:'Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori'” (Matteo 4:8,9). Cristo, però, respinge con forza queste promesse sataniche preferendo la croce! Puro masochismo, direbbe qualcuno... No, realismo. Sicuramente Satana Gli avrebbe elargito molte benedizioni terrene. Però, come si dice: “Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. Molti oggi sarebbero pur disposti ad accettare le sue proposte, preferendo un “risultato immediato” ad un “incerto futuro”. Come Esaù, molti oggi preferirebbero “la minestra di lenticchie” disprezzando “incomprensibili” benedizioni eterne. “Giacobbe gli rispose: "Vendimi prima di tutto la tua primogenitura". Esaù disse: "Ecco, io sto morendo; a che mi serve la primogenitura?".(...) Allora Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lenticchie. Egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se ne andò. Fu in questo modo che Esaù disprezzò la primogenitura” (Genesi 25:31-34). Dopo averci presentato un lungo elenco di martiri della fede che, per Cristo, hanno sopportato ogni genere di difficoltà, la Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 108


lettera agli Ebrei dice: “Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:1,2). Certo, ci sono “gioie a sazietà” per chi segue Cristo, ma non senza la croce, inevitabile e necessaria per tanti motivi. Con Gesù al nostro fianco che ci incoraggia, rafforza ed aiuta, la potremo sopportare ed arriveremo alla gloriosa destinazione finale: “Io ho sempre posto il SIGNORE davanti agli occhi miei; poich'egli è alla mia destra, io non sarò affatto smosso. Perciò il mio cuore si rallegra, l'anima mia esulta; anche la mia carne dimorerà al sicuro; poiché tu non abbandonerai l'anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione. Tu m'insegni la via della vita; ci sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi son delizie in eterno” (Salmo 16:9-11). Preghiera. Signore, Ti ringrazio che con Te e per Te ogni difficoltà e sofferenza è sopportabile e sensata. Radica in me, Te ne prego, le certezze esposte dalla Tua Parola, vissute da coloro che mi hanno preceduto nella fede. Con te non avrò paura di nulla e, anche eventualmente nelle situazioni più difficili, trionferò. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 109


33 Sentimenti d'amore e di tristezza verso Israele

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“1 Dico la verità in Cristo, non mento - poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo - 2 ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore; 3 perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; 5 ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!” (Romani 9:1-5).

n questo capitolo l'apostolo Paolo parla degli Israeliti (che egli chiama “miei parenti secondo la carne”) e del particolare ruolo che essi hanno avuto nei propositi di salvezza di Dio. Egli esprime qui la sua grande tristezza per il fatto che la maggioranza degli Israeliti non abbiano accolto Gesù di Nazareth come il Messia atteso e del quale tutte le Scritture antiche rendono testimonianza. Il suo amore per il popolo ebraico è così grande che egli qui afferma: “Se solo si potesse fare uno scambio! Io mi offrirei ben volentieri ad essere io stesso maledetto, separato da Cristo e perduto e tutti loro salvati!”. Per quanto vi sia chi afferma il contrario e con indignazione alcuni considerino scandaloso il solo menzionarlo, Paolo, all'unisono con tutto il Nuovo Testamento, dice chiaramente che “non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 110


chiunque avrà invocato il nome del Signore [Gesù] sarà salvato” (Romani 10:12). Sì, “in nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati" (Atti 4:12): Gesù di Nazareth. “Egli è "la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare" (Atti 4:11). È un atto d'amore per Paolo e pure per noi, dire agli Israeliti, e a chiunque altro: “Non vi sarà per voi salvezza alcuna davanti a Dio se non vi affidate di tutto cuore a Gesù di Nazareth come vostro Signore e Salvatore, confessandolo come il Messia atteso”. Non esiste altra alternativa se si prende sul serio il messaggio del Nuovo Testamento come ispirata Parola di Dio, e questo senza tanti “sì”, “ma” e “però”... Che molti Israeliti respingano Gesù di Nazareth e neghino che Egli sia il Messia, è indubbiamente triste e tragico, perché così svuotano di significato l'intera loro storia ed identità. Essa, infatti, era finalizzata proprio per portare alla luce e presentare al mondo Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5). Agli Israeliti Dio ha concesso, infatti, onori e privilegi stupefacenti: (1) sono stati i primi ad essere chiamati ad essere figli adottivi di Dio; (2) Dio si era compiaciuto di manifestare la Sua gloria in modo unico proprio in mezzo a loro, nell'arca e nel tempio; (3) Dio aveva stabilito con loro uno speciale patto d'alleanza, più volte confermato; (4) Dio ha rivelato in modo altrettanto unico a Mosè le Sue leggi (la legislazione); (5) Dio ha rivelato loro il modo con il quale Egli vuole che Gli si renda culto (il servizio sacro); (6) Dio ha fatto e mantenuto verso di loro stupefacenti promesse. La cosa, però, più grande di tutte, (7) Dio ha fatto nascere fra di loro, come ebreo, Gesù, il Cristo, il Messia, il Salvatore del mondo, Dio stesso con noi! Quali inMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 111


dicibili privilegi! Ciononostante, come afferma Giovanni: “È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto” (Giovanni 1:11). Grazie a Dio, però, anche se non la maggioranza, molti Israeliti nel corso della storia ed ancora oggi, hanno riconosciuto Gesù di Nazareth come il vero ed unico atteso Messia, L'hanno seguito e Lo seguono fedelmente. Ammiriamo il loro coraggio ed anticonformismo ed onoriamo la loro identità storica. La chiesa cristiana, come annunciavano già gli antichi profeti d'Israele, ora include nella stessa grazia e privilegi, gente d'ogni nazione. La nostra storia è stata innestata nella loro. I propositi di Dio non sono e non saranno mai frustrati da niente e da nessuno, nemmeno dalle nostre infedeltà. Amiamo gli Israeliti e, con umiltà e delicatezza, con la parola e con il buon esempio, li accompagniamo a riporre la loro fiducia in Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5). Preghiera. Signore Iddio, che in noi non manchi mai la nostra stima ed il nostro rispetto per gli Israeliti. Ti chiediamo perdono per tutti quei cristiani che, nel corso della storia, hanno mancato loro di rispetto e li hanno in vario modo osteggiati e persino soppressi. Fa' sì che con la parola e l'esempio noi si possa rendere buona testimonianza al Cristo, affinché molti di loro lo riconoscano come quello che è, cioè il Messia, Salvatore nostro e loro. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 112


34 Uno scomodo messaggio 6 “Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; 7 né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». 8 Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza. 9 Infatti, questa è la parola della promessa: «In questo tempo verrò, e Sara avrà un figlio». 10 Ma c'è di più! Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand'ebbe concepito figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre; 11 poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, 12 che dipende non da opere, ma da colui che chiama) le fu detto: «Il maggiore servirà il minore»; 13 com'è scritto: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù»” (Romani 8:6-13).

N

on finirò mai di stupirmi di quanto sempre radicale, anticonformista e persino “scandaloso” sia il pensiero del Nuovo Testamento e di quanto spesso molte chiese, che pure dovrebbero rifletterlo, finiscano per annacquarlo, per smussarne i “lati taglienti, tanto da “normalizzarlo”, renderlo “più conveniente” ed “accettabile”, in pratica tanto da banalizzarlo e neutralizzarlo? •

Chi avrebbe, per esempio, il coraggio oggi di dire, come dovrebbe, che i veri Israeliti non sono quelli che discendono fisicamente da Abraamo per generazione naturale (gli ebrei propriamente detti), né hanno a che

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 113


fare con l'attuale stato di Israele, ma sono coloro nei quali Dio ha generato una fede simile alla sua? •

Chi oserebbe dire che i veri cristiani non sono coloro che lo sono “per tradizione”, né coloro che sono iscritti come tali in qualche registro, né coloro che sono stati sottoposti a cerimonie cristiane in qualche chiesa, né tanto meno coloro che partecipano a qualche culto o messa, ma solo coloro che sono stati spiritualmente rigenerati da Dio e che danno chiara evidenza di conversione a Cristo? Non ha Gesù forse detto: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio" (Giovanni 3:3)?

Chi ha oggi il coraggio di dire che i veri cristiani, coloro che Dio salva, sono coloro che, secondo la Sua sovrana elezione, Egli ha scelto di concedere la Sua grazia, cioè “gli eletti”, i predestinati? Il nostro testo, infatti, dice: “...affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama” (11,12). Forse che Gesù stesso non ha detto: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Giovanni 6:44)?

Sì, ben pochi hanno il coraggio di affermare queste cose. Esse, infatti, “non sono convenienti”, “sono inaccettabili”, “sono illogiche”, “non può essere così”... Ed ecco così che freneticamente ci si dà da fare per smentirle e per far dire alla Bibbia quel che ci torna più comodo o che ci sembra più logico secondo i canoni umani. Eppure quanto l'apostolo Paolo afferma, quanto Gesù afferma, in sintonia con tutto il Nuovo Testamento e confermato dall'Antico Testamento (per chi non ha “il Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 114


salame sugli occhi”) è l'Evangelo biblico, che ci piaccia oppure no! Secondo i canoni umani, sarebbe stato Esaù ad essere il legittimo erede di Abraamo, eppure Dio sceglie Giacobbe? Perché Dio ha scelto così, punto e basta, che ci piaccia o meno! Ah, ma è un'ingiustizia – dice qualcuno. Che cos'è però, giustizia? Qual è il criterio per stabilire che cosa sia giustizia? Quello che diciamo noi, quel che sembra a noi o quel che dice e fa Dio? Dio ha scelto Giacobbe ancora prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del mal (11), anzi, indipendentemente da qualsiasi opera che avessero fatta o non fatta. Ah, ma questo non lo posso accettare – dice un altro. Che importa se tu lo accetti oppure meno? Le cose stanno così e basta. Se non lo accetti, dimostri solo quanto tu Gli sei ribelle e Lo contesti, e che quindi Dio ha ragione quando ti condanna. Non è vero? Come ti permetti di contestare Dio? Chi pensi di essere? “Che razza di Dio” è quello che “ama Giacobbe” ed “odia Esaù”? L'unico Dio che esiste! Se ha fatto così ci sarà un buon motivo! Se questo motivo non capisci, la cosa non pregiudica la bontà di quanto Dio ha fatto. Un giorno, magari, lo capirai, magari no. È inutile che stai lì a scervellarti per dimostrare che “non può essere così”. Fede è accogliere con fiducia quanto Dio fa e dice. Dio non è un Dio capriccioso. Sa quello che sta facendo, anche se tu ora non lo capisci. Abbi fiducia. Abbi la fede di Abraamo. Ti sembrerà una fede “insensata”, ma essa è ciò sul quale si fonda l'autentico popolo di Dio. Domani il nostro testo ritornerà su questo stesso argomento e ne parleremo ancora. Preghiera. Signore, dammi la fede di Abraamo. Faccio cessare in me ogni pretesa di contestare quanto Tu dici e fai ed umilmente mi sotMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 115


tometto alla Tua maggiore sapienza. Togli da me ogni paura che predicare la Tua Parola così come sta, non sia compreso o sarà respinto. Certo, sarà respinto, ma chi Ti appartiene accoglierà volentieri questa Tua Parola. Fa' sì che io la annunci e la viva anche se “non è conveniente”. Amen.

35 Obiezioni a Dio

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14 “Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! 15 Poiché egli dice a Mosè: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione». 16 Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. 17 La Scrittura infatti dice al faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra». 18 Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole” (Romani 9:1418).

rovate ad immaginarvi questa scena: da una parte Dio, sul Suo trono, che convoca davanti a Sé l'intera umanità per rivolgere a tutti la Sua Parola. Di fronte alla confusione di idee ed opinioni contrastanti che vi sono in questo mondo, Egli vuole esporre la verità delle cose come realmente stanno, la verità che riguarda la Sua Persona, il Suo operare, la condizione umana. C'è un gran silenzio di attesa. Non appena, però, Dio comincia a parlare, molti cominciano a non gradire quanto Egli dice. Un brusio indistinto di commenti prevalentemente negativi serpeggia tra la folla, prima discreto ma via via, mentre Dio prosegue a parlare, sempre più forte, fintanto che un coro di “vibrate proteste” (per altro privo di rispetto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 116


per la Persona che sta parlando) si leva dall'umanità. È un “coro” che esprime le più svariate obiezioni e contestazioni. All'udire quanto Dio dice, l'umanità ne sembra offesa ed indignata: “Le cose non possono stare così come tu dici e, se sono così, sono una palese ingiustizia che ci insulta e ci offende”. Qualcuno, persistendo nelle proprie idee, “abbandona l'assemblea”: quelle cose non le vuole neanche sentire... Altri, più “religiosi” replicano loro: “No, aspettate, quanto Dio dice va 'interpretato'”. E così “lo spiegano” loro “armonizzandolo” con le opinioni umane e, naturalmente, stravolgendo il senso di ciò che Dio dice... È così per gran parte delle cose che Dio dice, soprattutto per quanto riguarda l'analisi negativa che Dio fa della condizione umana. È così soprattutto per la “spinosa” questione della predestinazione, della sovranità di Dio nel condannare e nel concedere la grazia della salvezza. Non c'è cosa che maggiormente offenda ed indigni l'uomo peccatore che la dottrina della predestinazione. Essa è “inaccettabile” anche per la gran parte delle persone religiose e persino “cristiane”. Ve ne siete mai chiesti il perché? Perché anche dal tuo cuore, di fronte alla rivelazione della verità di Dio, sorgono così tante contestazioni? Non ti sembra “sospetta” la cosa? Queste obiezioni e tentativi di “accomodamento”, che vorrebbero mettere in questione Dio e la Sua Parola, rivelano molto sulla condizione del nostro cuore, empio, presuntuoso, arrogante e ribelle, anche se si ammantasse eventualmente di religiosità. Pur di non accettare la verità che Dio ci rivela, accetteremmo persino d'andare sdegnosamente in perdizione, “a testa alta”.... Indubbiamente molto alta è l'opinione che abbiamo di noi stessi. È Dio che dovrebbe piegarsi di fronte a noi, alla nostra “dignità” e “libertà”, non è vero? Evidentemente non sappiamo chi è Dio,

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 117


o meglio, preferiamo l'immagine molto più “conveniente” che ci siamo fatti di Lui. La questione della predestinazione, in ogni caso, per la mente umana è una questione molto complessa. Quando vogliamo investigarla, ci rendiamo conto di addentrarci ben presto in un labirinto dal quale non riusciamo più ad uscire. Noi la accogliamo rispettosamente ed umilmente perché è chiaramente insegnata dalla Parola di Dio e proprio per questo non osiamo contestarla. Ci chiediamo, però, per non cadere in sterili discussioni, se non sia meglio evitarla, tacerla, mettendo l'accento su altre cose. No, neanche questo sarebbe giusto. Se lo Spirito Santo ha ritenuto di dovercela insegnare, questa dottrina ci è evidentemente necessaria. Sarà per noi saggio parlarne soltanto nella misura e nei limiti di ciò che la Parola di Dio afferma, né più né meno, senza scadere in oziose speculazioni. La nostra regola necessariamente così sarà: quando il Signore parla di qualcosa noi ne parleremo, ma quando il Signore su qualcos'altro tace, noi certo non oseremo continuare a parlarne. La magnanimità non ci dovrà portare a vergognarci di presentare ed esporre onestamente la dottrina rivelata, per quanto odiata possa essere, come pure a confutare le calunnie e le accuse degli empi. È necessario, così, controbattere ad alcune obiezioni umane, come qui fa l'apostolo Paolo. È un'ingiustizia, da parte di Dio, manifestare misericordia e concedere la grazia della salvezza solo ad alcuni, a quanti Egli stesso decide di accordarla e solo a quelli? Sarebbe una mostruosa follia solo pensarlo, dice l'Apostolo. Per rimuovere questa difficoltà Paolo egli divide l'argomentazione in due parti: nella prima parla degli eletti, per contemplare in essi la misericordia di Dio; nella seconda dei reprobi, per riconoscervi loro giusto giudizio. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 118


L'Apostolo mette qui in evidenza (rivendicandoli) i sovrani diritti di Dio ed il fatto che nessuno di noi possa accamparne alcuno di fronte a Lui. Fin dall'inizio la nostra esistenza era e rimane sottoposta alla Sua giusta Legge, di fronte alla quale noi tutti siamo irrimediabilmente trasgressori e inappellabilmente condannati. Dio non deve nulla a nessuno e, se Egli si compiace di concedere (immeritatamente) ad alcuni la grazia della salvezza per manifestare così la Sua misericordia (come la condanna è espressione della Sua giustizia), c'è solo da esserne riconoscenti. La salvezza “non dipende da chi vuole né da chi corre”. Basterebbe questo solo versetto per chiudere definitivamente la bocca alle pretese anche di coloro che vorrebbero fare appello alla “libera decisione” dell'uomo a “venire avanti” e così “essere salvati”. Non solo questo, ma per realizzare i Suoi piani per la salvezza dei Suoi eletti, Dio aveva avuto pure il diritto, la facoltà incontestabile, di “manipolare” il comportamento del Faraone egiziano (che comunque faceva parte della massa dei perduti), “indurendo” il suo cuore di fronte alle ripetute suppliche di Mosè a concedere la libertà agli schiavi israeliti. In questo si dimostra quanto, nella Sua provvidenza, Dio faccia cooperare ogni cosa ai Suoi propositi ultimi e alla salvezza dei Suoi eletti. Il discorso continua in quanto vedremo pure domani. Preghiera. Signore Iddio, infondi in me l'umiltà di riconoscere e proclamare con coraggio la verità di quanto la Tua Parola afferma, non importa quanto accettabile o no possa essere in questo mondo o al mio stesso cuore. Tu sei sempre giusto, o Signore in tutto ciò che decidi di fare e di compiere. Un giorno eventualmente comprenderò quanto oggi mi è difficile comprendere. In ogni caso darò a Te sempre e volentieri ogni onore e gloria. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 119


36 Dio e coloro che Lo giudicano 19 Tu allora mi dirai: «Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?» 20 Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?» 21 Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile? 22 Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione, 23 e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria” (Romani 9:14-23).

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rotestare indignati contro la dottrina biblica e contro la presunta “tirannia” di Dio (o della “religione”) in nome ed a strenua difesa della “dignità”, “diritti” e “libertà” degli esseri umani, non è un fenomeno moderno. È l'eco che continua a riverberare nel mondo sin da quando si era insinuata nei nostri antichi progenitori l'idea che Dio, per poter spadroneggiare su di loro, li stava ingannando, tenendoli lontani dalla loro “vera vocazione” e “potenzialità”, cioè “essere come Dio” (Genesi 3:5), Dio a sé stessi. Ecco così nascere e prevalere sia l'ateismo che la religione compiacente, adattata e conciliata con le “aspirazioni” e pretese umane1. 1 Questa è la disputa che, nella storia, ha contrapposto quel che va sotto il nome di “Agostinismo” contro pelagianesimo o semi-pelagianesimo,“Calvinismo” contro “Arminianesimo”, monergismo contro sinergismo. Le etichette sono innumerevoli, così come le Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 120


Qui l'Apostolo continua a rispondere alle diverse contestazioni che sono rivolte alla dottrina che egli espone, la quale farebbe di Dio un tiranno dall'agire arbitrario, ingiusto e, ora, severo e crudele. L'obiezione qui è questa: “Se nessuno può resistere alla volontà di Dio, se ciascuno è quel che Dio ha prestabilito e se il destino di ciascuno è predeterminato, che senso ha rimproverarci per quel che facciamo o sottoporci ad un giudizio?”. È forse Dio un dittatore folle ed irragionevole, oppure è Paolo ad essere del tutto illogico? Una risposta soddisfacente alle obiezioni ed accuse sollevate contro Dio e contro la dottrina esposta dell'Apostolo, ammesso che sia accessibile e comprensibile al limitato intelletto umano, esiste. Paolo, però (e Dio con lui) sembra rifiutarsi qui di fornirla. Perché? Forse che la sua è una comoda scappatoia ad un problema che non sa risolvere e non vuole ammettere che chi lo contesta ha ragione? No, per una questione di principio. Paolo replica che è inammissibile, inaccettabile, la pretesa umana di portare Dio alla sbarra affinché Lui renda conto a noi del Suo operato. Equivarrebbe a portare Dio in giudizio, con l'accusa che Egli sia arbitrario, ingiusto e crudele, fondamentalmente incoerente con quanto di Sé Egli ci ha rivelato, cioè perfezione immutabile, santità immacolata, giustizia assoluta ed amore supremo. Costringere Dio a giustificarsi davanti a noi? Ma ci rendiamo conto dell'enormità di una cosa del genere?

loro varianti, ma fondamentalmente è la disputa fra dottrina biblica e le sue versioni “rivedute e corrette”, “armonizzate” e adattate alle pretese umane. C'è da chiedersi che cosa sia “meglio”: l'ateismo o una religione compromessa al servizio dell'antropocentrismo. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 121


Rispondere alle contestazioni vorrebbe dire ammettere che l'essere umano sia al Suo stesso livello, che Gli sia alla pari. Rispondere alle contestazioni vorrebbe dire cadere nella trappola di Satana ed avvalorare implicitamente il suo “sarete come Dio” e dargli credito. Rispondere alle contestazioni vorrebbe dire mettere Dio con le spalle al muro, “dare scacco al Re”, incastrarlo. A questo gioco Paolo (e Dio con lui) non ci sta e quindi “ricusa la legittimità del giudice”. L'essere umano non ha diritto alcuno di mettersi a giudicare Dio, non solo perché l'essere umano è una creatura (come solo pretende di poter comprendere la bontà o meno di ciò che fa Dio?), ma un empio ribelle che non ha titolo e diritto alcuno ad alcuna udienza. Che l'essere umano stia al suo posto e taccia, che è meglio! Come si permette? Ma chi crede d'essere? Che c'è da contestare? Ora è qui che si permette di parlare e di contestare mentre dovrebbe già dire grazie di non essere stato del tutto spazzato via dalla faccia della terra con le acque del diluvio! Dio avrebbe fatto bene a farlo. I Suoi contestatori sono qui che parlano solo perché Dio “ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione” (22). Noi siamo qui perché Dio si è compiaciuto di suscitare Noè e di salvarlo, non perché fosse particolarmente meritevole, come si suppone, ma “per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria” (23). Anche in quel caso è una questione di sovrana elezione. Dalla massa di perdizione Dio ha scelto Noè e la sua famiglia. Perché era un uomo giusto che si differenziava moralmente e spiritualmente dagli altri? Certo, ma chi è che ha fatto sì che egli fosse giusto e si differenziasse? Ancora Dio: “infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13). Mettiamo, allora, come si dice “i puntini sulle i”, diciamo le cose come veramente stanno, che Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 122


ciascuno stia al posto che gli compete. Per il resto, non vi preoccupate: qualunque cosa pensiate, in qualunque modo le cose appaiano ai nostri occhi, qualunque cosa succeda, Dio è e rimane coerente con Sé stesso, giusto e buono. Egli sa quel che sta facendo e certo non deve renderne conto a noi! Non esiste alcun tribunale superiore al quale Lui debba rendere conto. Tra l'altro, il rifiuto di Paolo di rispondere alle contestazioni che vengono rivolte a Dio è assolutamente in linea con le simili argomentazioni che (tipicamente) già erano state rivolte a Dio in altre circostanze e ad altri scrittori della Bibbia. L'Apostolo non è il primo ad essere stato attaccato su questioni di questo genere! Guardate Isaia: “Guai a colui che contesta il suo creatore, egli, rottame fra i rottami di vasi di terra! L'argilla dirà forse a colui che la forma: "Che fai?" L'opera tua potrà forse dire: "Egli non ha mani?" Guai a colui che dice a suo padre: "Perché generi?" e a sua madre: "Perché partorisci?" Così parla il SIGNORE, il Santo d'Israele, colui che l'ha formato: Voi m'interrogate circa le cose future! Mi date degli ordini circa i miei figli e circa l'opera delle mie mani!” (Isaia 45:9-11). Lo stesso era avvenuto con Giobbe: "Il censore dell'Onnipotente vuole ancora contendere con lui? Colui che censura Dio ha una risposta a tutto questo?" Allora Giobbe rispose al SIGNORE e disse: "Ecco, io sono troppo meschino; che ti potrei rispondere? Io mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non riprenderò la parola, due volte, ma non lo farò più" (Giobbe 40:2-5). Alle contestazioni che contro Dio ed il Suo operato sorgono dal nostro cuore, che il nostro atteggiamento sia allora quello di Giobbe. È molto meglio! Dalla fiducia in Dio potrà eventualmente esserci accordata maggiore intelligenza sul Suo operato.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 123


Preghiera. Signore Iddio, insegnami a stare al mio posto ed a confidare in Te e nella sapienza del Tuo operato quand'anche non lo comprendessi, senza pretendere di andare oltre a quanto ne ho titolo ed alle mie capacità. Ti ringrazio per ogni rivelazione di Te stesso e della Tua volontà che mi hai dato e che ancora mi concederai. Amen.

37 Il residuo eletto 24 “...cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri? 25 Così egli dice appunto in Osea: «Io chiamerò "mio popolo" quello che non era mio popolo e "amata" quella che non era amata»; 26 e «avverrà che nel luogo dov'era stato detto: "Voi non siete mio popolo", là saranno chiamati "figli del Dio vivente"». 27 Isaia poi esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il resto sarà salvato; 28 perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra in modo rapido e definitivo». 29 Come Isaia aveva detto prima: «Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra»” (Romani 9:24-29).

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ome l'apostolo Paolo sta ampiamente dimostrando nei controversi capitoli di questa sua lettera, Dio opera sfidando e contraddicendo ogni presunzione umana. Le Sue promesse di grazia e di salvezza non riguardano tutti indistintamente, ma solo i Suoi eletti. Inoltre, queste promesse non erano mai state intese solo per i discendenti naturali di Abraamo (i Giudei in quanto tali), ma per la sua discendenza spirituale, coloro che ne avrebbero seguito la fede. Come infatti aveva affermato, “...non tutti i discendenti d'Israele sono Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 124


Israele” (9:6). Coloro che avrebbero seguito la fede di Abraamo, i “figli della promessa”, sarebbero stati non soltanto Giudei, ma anche gente eletta appartenente ad altre nazioni. Essi sono i “vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria” (9:23). L'Apostolo ci tiene particolarmente a sottolinearlo. Era incontestabilmente sotto i loro occhi, infatti, che la comunità cristiana di Roma, come tutte quelle che stavano allora sorgendo nell'area del Mediterraneo, non erano solo composte da Giudei, ma anche da persone provenienti dal paganesimo. Dio chiama a far parte del Suo popolo spirituale gente di ogni tipo. Tutto questo non è “una novità”, l'ardita e contestabile pretesa di un “movimento eretico”, ma era stato ampiamente preannunciato dagli antichi profeti d'Israele. Come esempio, Paolo cita il profeta Osea, che afferma: “Io lo seminerò per me in questa terra, e avrò compassione di Lo-Ruama; e dirò a LoAmmi: "Tu sei mio popolo!" ed egli mi risponderà: 'Mio Dio!'" (Osea 2:23). L'espressione ebraica “Lo-Ammi” significa letteralmente “coloro che non sono mio popolo”: essi invocheranno Jahweh come il proprio Dio. La stessa cosa il profeta dice in 1:10 "Tuttavia, il numero dei figli d'Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Avverrà che invece di dir loro, come si diceva: "Voi non siete mio popolo", sarà loro detto: "Siete figli del Dio vivente". Il concetto non è solo espresso da un profeta “minore” come Osea, ma dallo stesso profeta Isaia. Egli, infatti, mette in evidenza come i figli spirituali di Israele non coincidano con la sua discendenza naturale, per quanto vasta, ma come il fatto che includa solo una parte di essi: “Infatti, anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, un residuo soltanto ne tornerà” (Isaia 10:22). Qui il profeta parla di coloro che ritorneranno dall'esilio babilonese (simbolo del peccato): saranno salvati solo coloro Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 125


che ritornano a Dio ravvedendosi dai loro peccati. Come fra gli Israeliti ci sarebbe stata una selezione (solo una parte d'essi sarebbe ritornata nella terra promessa), così Iddio, sovranamente e in prima persona, effettua una selezione fra la massa perduta dell'umanità: “il Signore eseguirà la sua parola sulla terra in modo rapido e definitivo” (28) Il testo ebraico originale di Isaia (che qui è ripreso dalla versione dei LXX) è ancora più forte: “Poiché lo sterminio che ha decretato, il Signore, DIO degli eserciti, lo effettuerà in mezzo a tutto il paese” (Isaia 10:23). L'espressione “sterminio” è estremamente dura, ma rappresenta il giusto giudizio di Dio sull'umanità peccatrice. Essa sarebbe destinata tutta a scomparire se Dio, nella Sua misericordia, non ne avesse lasciato “un piccolo residuo” che fa oggetto della Sua grazia. Tutti quanti saremmo nella condizione delle famose città di Sodoma e Gomorra, distrutte con tutti i loro abitanti se Dio non fosse intervenuto con la Sua grazia. È l'espressione di Isaia: “Se il SIGNORE degli eserciti non ci avesse lasciato un piccolo residuo, saremmo come Sodoma, somiglieremmo a Gomorra” (Isaia 1:9, cfr. Geremia 50:40). La linearità e chiarezza del pensiero biblico si contrappone ancora oggi a quello dell'umanesimo. L'umanesimo come ideologia, infatti, con la sua idea “ottimista”, “positiva” ed “inclusiva”, non solo impregna la mentalità corrente, ma ha infettato anche molte chiese pregiudicando la rivelazione biblica. Anche a rischio dell'impopolarità, non dobbiamo temere di presentare l'Evangelo così come lo troviamo nelle Sacre Scritture perché nulla di meno di questo è verità. Chiediamo a Dio di saperlo presentare alla nostra generazione in modo appropriato senza alterarlo. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di avermi incluso nella discendenza spirituale del credente Abraamo e di avermi salvato, per la Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 126


Tua grazia, dall'inappellabile giudizio che grava sull'umanità. Aiutami, te ne prego, a che i concetti dell'Evangelo mi siano assolutamente chiari e che io li sappia esporre e testimoniare alla mia generazione. Amen.

38 Una grazia che travalica le frontiere

I

“30 Che diremo dunque? Diremo che degli stranieri, i quali non ricercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, però la giustizia che deriva dalla fede; 31 mentre Israele, che ricercava una legge di giustizia, non ha raggiunto questa legge. 32 Perché? Perché l'ha ricercata non per fede ma per opere. Essi hanno urtato nella pietra d'inciampo, 33 come è scritto: «Ecco, io metto in Sion un sasso d'inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso».” (Romani 9:30-33).

n questa sezione della lettera ai Romani, l'Apostolo conclude il suo discorso sia sulla predestinazione che sull'esaurimento del ruolo storico della nazione di Israele nella storia della salvezza. Il punto che egli ha stabilito in modo imprescindibile è questo: il popolo di Dio, il popolo dei redenti in Cristo, trascende ogni umana distinzione, travalica ogni frontiera. Esso è composto da coloro che Dio ha efficacemente chiamato a Sé per impartire loro la grazia della salvezza attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo. Il concetto che esprime è inequivocabile: “Quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo (...) e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 127


chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati” (Romani 8:29-30). Non ha quindi più senso dire: “Noi Giudei e gli altri” (gli stranieri, i Gentili). Dio, infatti, non solo rende superate queste categorie, ma sconvolge tutto l'impianto tradizionale del Giudaismo come si era sviluppato fino ad allora. Dio, in modo “provocatorio” e paradossale, dona per grazia a gente di altre nazioni quella rettitudine della quale nemmeno si preoccupavano di conseguire, mentre nega che la possano ottenere coloro che tanto la ricercavano (i Giudei attraverso i propri presunti meriti). Forse che, così facendo, Dio si prende gioco di Israele? No, desidera che imparino una lezione fondamentale, quella di Abraamo: il peccato pregiudica ogni nostro tentativo di giustificarci. L'unico modo per il quale possiamo essere riabilitati di fronte a Dio è accogliendo (attraverso il ravvedimento e la fede) ciò che Cristo Gesù ha conseguito in nostro favore. Ecco perché Cristo, per i Giudei (e per tutti coloro che vantano la propria giustizia) è qualcosa di “scandaloso”, una “pietra di inciampo”, qualcosa di “inaccettabile” che ferisce il loro orgoglio ed umilia le loro pretese. Ecco perché “noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinzi 1:23-24). Nulla sembra più irragionevole per loro, anzi, completamente fuori luogo, del fatto che degli stranieri, stranieri a Dio e ad ogni moralità [“senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo” (Efesini 2:12)], gente che non aveva alcun interesse per la rettitudine e che anzi, godeva a rotolarsi nel fango Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 128


dell'immoralità, ora sia chiamata a condividere la salvezza e ad ottenere la giustizia. Ora, infatti “...in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo” (Efesini 2:13). Nulla sembrava più ingiusto del fatto che dei Giudei che assiduamente si impegnavano ad osservare ogni dettaglio della legge, ora siano esclusi dalla ricompensa della giustizia. La replica dei Giudei osservanti era: “Questo è un comportamento ingiusto e scandaloso”. No, ribatte Paolo, fin dall'inizio doveva essere chiaro che “essere a posto davanti a Dio” è una condizione che dipende solo dalla misericordia di Dio e che si ottiene per fede. Non è qualcosa che si possa ottenere diventandone degni e dandosi da fare per conformarsi alla legge. A causa del potere invalidante del peccato, nessuno, infatti, è in grado da sé di conseguire la giustizia. Se, così, Dio frustra le ambizioni dei legalisti (e ce ne sono ancora tanti e nei contesti più diversi, anche in campo cristiano), dall'altro canto c'è l'atteggiamento della maggior parte dei nostri contemporanei che non si preoccupano affatto della rettitudine personale e della giustizia di fronte a Dio e di fronte alla società, “non ricercano la giustizia”. Di Dio e della Sua legge non importa loro nulla ed eventualmente dicono: “...in ogni caso Dio ci perdonerà: è il suo mestiere!”. Non c'è alcuna condiscendenza o compiacimento in Dio verso coloro che ragionano in questo modo, e quanto dice l'Apostolo non giustifica affatto né tanto meno incoraggia l'irresponsabilità e l'immoralità. Dio condanna l'empietà tanto quanto la superbia dei moralisti ipocriti. La potenza della grazia di Dio è tale da trasformare il pagano irresponsabile e il legalista ipocrita e, attraverso il ravvedimento e la fede, incamminarli verso una giustizia autentica. La grazia di Dio fa proprio questo: si fa carico di peccatori e Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 129


li accompagna alla salvezza producendo in loro ciò che per via naturale non producono o pretendono di produrre. “Se Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi per il giudizio; ...se non risparmiò il mondo antico ma salvò, con altre sette persone, Noè, predicatore di giustizia, quando mandò il diluvio su un mondo di empi; se condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, perché servissero da esempio a quelli che in futuro sarebbero vissuti empiamente; e se salvò il giusto Lot che era rattristato dalla condotta dissoluta di quegli uomini scellerati (...) ciò vuol dire che il Signore sa liberare i pii dalla prova e riservare gli ingiusti per la punizione nel giorno del giudizio” (2 Pietro 2:4-9). Preghiera. Signore, Ti ringrazio che mi hai incamminato sulla via della giustizia. Non ci pensavo affatto, prima, anzi, nella mia empietà camminavo inconsapevole verso una sicura condanna. Ti ringrazio di avermi aperto gli occhi, condotto al ravvedimento ed impartito il dono della fede nel Signore e Salvatore Gesù Cristo. Lo seguo ora con gioia. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 130


39 La Sua giustizia, fatta nostra per fede 10:1 Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia Preghiera a Dio per loro è che siano salvati. 2 Io rendo loro testimonianza infatti che hanno zelo per Dio, ma zelo senza conoscenza. 3 Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; 4 poiché Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono. 5 Infatti Mosè descrive così la giustizia che viene dalla legge: «L'uomo che farà quelle cose, vivrà per esse». 6 Invece la giustizia che viene dalla fede dice così: «Non dire in cuor tuo: "Chi salirà in cielo?" (questo è farne scendere Cristo) né: 7 "Chi scenderà nell'abisso?"» (questo è far risalire Cristo dai morti). 8 Che cosa dice invece? «La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore»: questa è la parola della fede che noi annunziamo” (Romani 10:1-9).

C

ome in altre parti di questa lettera, anche qui l'Apostolo si rivolge o fa riferimento specifico agli Israeliti. Essendosi allontanati come una barca alla deriva dalla destinazione verso la quale avrebbero dovuto dirigersi (quella segnata dai loro padri nella fede), egli li intende riportare sulla giusta rotta. La maggior parte d'essi di questo non se ne avvede, anzi, ritengono che Paolo voglia portarli fuori strada quando presenta loro Gesù, il Cristo, e guarda ogni cosa dalla Sua prospettiva ed insegnamento. Egli, però, dimostra loro, con grande pazienza ed amore, che Gesù è perfettamente in linea con la fede di Israele, anzi ne costituisce il compimento stesso [“Cristo è il termine della legge” (4)]. Paolo, così, lungi dal voler sovvertire la fede di Israele, li vorrebbe salvare dalla loro fatale deriva. A questo egli è spinto da amorevoli sentimenti ed accoMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 131


rate preghiere (1), le stesse che porterebbero noi a dire, di persone che amiamo: “So che rispettate ed amate Dio, ma non comprendete ciò che veramente vi potrebbe rendere accettabili di fronte a Dio”. Ci riguarda tutto questo? Certamente, anche se il nostro contesto ed esigenze sono diverse. Credo che sia particolarmente importante per noi la frase che compare al versetto 3: “...perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio”. È infatti tipico, anche fra coloro che oggi si professano cristiani, non riuscire spesso ad accettare il fatto, rivelato dalla Bibbia, che il peccato tanto ha contaminato e corrotto la nostra natura da rendere inutile e vano ogni tentativo che facciamo di essere giusti di fronte a Dio. Dire infatti, “Faccio del mio meglio”, “Sono una persona onesta e virtuosa: sicuramente Dio l'apprezzerà”, “Seguo i precetti della chiesa”, “Sono generoso”, “Vivo una vita normale e decente, ...non ho mai ammazzato nessuno” ecc. di fatto vuol dire “cercare di stabilire la nostra giustizia” ed “ignorare la giustizia di Dio”. Sì, sì, sappiamo che Cristo ha fatto qualcosa di meraviglioso, ma non vediamo che quel che Egli ha compiuto è la giustizia che nessuno di noi è in grado di conseguire, i meriti che nessuno di noi è in grado di guadagnare. Sappiamo di Cristo ma, alla fin fine, l'attenzione si sposta sempre su di noi e le nostre performance... Dobbiamo, però, rinunciare del tutto a credere che noi si possa in qualsiasi modo guadagnarci il favore di Dio, rinunciare alle nostre pretese, per fare nostra, accogliendola con fede, la giustizia di Cristo. Davanti a Dio, per entrare nel Suo favore e regno, il solo “lasciapassare” che dobbiamo avere in mano e mostrare, è la giustizia di Cristo fatta nostra per fede. Mostrare il nostro curriculum vitae come base della nostra ammissione presso Dio, per Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 132


quanto lusinghevole sia, per quante cose possiamo vantare (vere o pretese che siano) non ci condurrà mai ...all'assunzione. Esso sarà sempre cosa di cui piuttosto ci dovremmo vergognare (altro che vantare) perché, secondo i criteri morali e spirituali di Dio, non ne saremo mai all'altezza, saranno sempre del tutto inadeguati. Cristo Gesù soltanto, infatti, “è la giustificazione di tutti coloro che credono” (4 b). L'attestato di quel che solo Egli ha compito ci servirà come lasciapassare, sarà la chiave che apre la porta del regno dei cieli. Certo, le opere pie e religiose in sé stesse non sono mai sprecate. Ogni opportunità di fare del bene la dobbiamo sempre cogliere. Il bene che conta lo dobbiamo sempre fare per amore, senza secondi fini. Potremmo anche essere molto zelanti nelle nostre “opere religiose”, ma non saranno queste che ci accrediteranno di fronte a Dio. Se volessimo basarci su di esse, ci accorgeremo ben presto che, confrontate con quanto Dio esige, esse sono sempre insufficienti, anzi, ben presto ci accorgeremmo di vivere per esse (5), non di farle veramente per amore di Dio e del nostro prossimo, come dovremmo. Fare infatti qualcosa, per quanto buono, solo per il nostro tornaconto e vantaggio, è già in sé stesso qualcosa che squalifica la bontà di quell'azione. Ritenere di “andare in paradiso” con una qualsiasi nostra risorsa ed opera, di fatto significherebbe scacciarne il Cristo per far posto a noi. Cristo, però, è l'unico che ci dà il diritto di entrarvi. Ci possiamo entrare, infatti, solo “in braccio a Lui”. Lo stesso sarebbe dire pretendere di “uscire dall'abisso dell'inferno” con le nostre forze, perché Egli, Gesù, è Colui che ne è sceso per trarne fuori chi ne sarebbe stato condannato. Sarebbe come dire: “Signore Gesù, ti ringrazio di essere venuto nell'inferno della mia vita per salvarmene, ma non è il caso, non ti dovevi disturbare, ce la faccio benissimo da solo...”. La nostre

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 133


salvezza, però, non dipenderà dalle nostre opere, ma dalle Sue, non appena le faremo nostre. Preghiera. Signore Iddio, esprimo la mia preoccupazione per tutti coloro che pretendono di essere giusti ed ignorano che Cristo sia venuto per loro, per compiere ciò che essi non sono in grado di realizzare, la loro salvezza. Nel contempo, o Signore, perseverando nel fare il bene, per amore e non per mio interesse, guardami dal vantare alcunché al Tuo cospetto. Aiutami ad essere realistico verso me stesso e ad aggrapparmi solo a ciò che veramente conta: la Persona e l'opera del mio Signore e Salvatore Gesù Cristo. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 134


40 L'esperienza della salvezza “9 ...perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; 10 infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. 11 Difatti la Scrittura dice:«Chiunque crede in lui, non sarà deluso». 12 Poiché non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. 13 Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Romani 10:9-12).

S

i può dire che il discorso che l'apostolo Paolo fa in questa lettera raggiunga il suo culmine proprio nel testo sottoposto oggi alla nostra attenzione. Attentamente preparati attraverso la storia di Israele e realizzati nella Persona ed opera del Signore e Salvatore Gesù Cristo, i Suoi generosi propositi di grazia e salvezza raggiungono, attraverso la predicazione dell'Evangelo, al di là di ogni umana distinzione, i Suoi eletti sparsi in tutto il mondo. Dopo averlo udito, essi invocano il Signore ed Egli impartisce loro, attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo Gesù, ciò che permette loro di essere liberati dal potere e dalle conseguenze del peccato, la loro personale riabilitazione e l'eterna comunione con Dio. Davvero sono doni di generosa e di inestimabile ricchezza dei quali nessuno sarebbe degno. È così che essi ottengono, ricevono, “la giustizia di Dio”, quella che appartiene a Cristo e che nessuno avrebbe potuto conseguire. Trasformati nel profondo del loro cuore, essi poi confessano apertamente, riconoscenti e senza ti-

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 135


more alcuno, di fronte a Dio, al Suo popolo ed al mondo, di aver ricevuto questa grazia e di voler vivere con Lui e per Lui. Tutti questi elementi fanno parte dell'autentica conversione a Cristo e devono essere necessariamente visibili. Il cuore è stato toccato e trasformato da Dio: ora esso crede in Lui. Ha fatto l'esperienza del ravvedimento e, rinunciando ad ogni umana pretesa, si è affidato senza riserve e per sempre a Cristo come proprio Signore e Salvatore. La sua bocca, di conseguenza, esprime, confessa, apertamente, davanti a tutti, ciò che è avvenuto nella sua vita. Di tutto questo non ne sarà giammai deluso. Infatti, “Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”. Come ammette lo stesso apostolo Pietro (il problema non è nuovo!), anche queste parole potrebbero essere equivocate. Infatti, “In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (2 Pietro 3:16). Quando l'Apostolo parla di fede e di confessione aperta della fede, non si tratta di un “dipende da noi”, di “una condizione” per la salvezza. Non dobbiamo scivolare indietro, una volta ancora, nel monergismo e fare della fede o della dichiarazione pubblica di fede, un'opera da cui dipende la nostra salvezza. La fede fa parte di ciò che Dio opera quando impartisce la salvezza ai Suoi eletti, come pure ne fa parte necessariamente il ravvedimento. Essa implica un coinvolgimento completo, “esistenziale” della nostra vita che si affida di tutto cuore a Cristo. Fede non è solo un assenso intellettuale. Allo stesso modo, la confessione, la dichiarazione pubblica, l'esplicitazione aperta della nostra fede è qualcosa che sorge spontaneamente dalla persona che è stata autenticamente convertita a Cristo. Questa persona potrà essere più o meno “timida” nell'esplicitare la sua fede in Cristo, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 136


ma prima o poi lo sentirà come un'esigenza irresistibile. Lo conferma la testimonianza di tanti credenti che “non possono fare a meno”, vogliono dire, far conoscere a tutti ciò che essi hanno ricevuto in Cristo, vogliono far partecipare gli altri alla loro gioia. Questo spirito è lo stesso che spinge l'apostolo Giovanni ad affermare: “...quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia completa” (1 Giovanni 1:3-4). Quando, così, il nostro testo dice: “...si fa confessione per essere salvati”, non si intende che la confessione di fede sia “condizione” per la salvezza, ma che la salvezza autentica implica necessariamente la confessione di fede, così come “invocare il nome del Signore” prelude alla salvezza. In quest'ultimo caso, la persona è stata così toccata dalla Parola del Signore che da essa sorge spontaneo il grido: “Signore salvami!”. È vero che sono possibili false confessioni pubbliche di fede e fede falsa ed apparente come quella di quegli attori che interpretano in un film la parte di credenti che confessano la loro fede, ma con la quale, nella loro vita, non sono personalmente coinvolti (possono infatti essere indifferenti o persino ostili alla fede cristiana). La fede va verificata nei fatti, deve essere visibile, non solo “a parole” [“Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni 13:35)]. In ogni caso un cuore che crede ed una bocca che confessa la fede in Cristo fanno parte dell'autentica esperienza di fede di una persona. Confessiamo apertamente che Gesù è il Signore ed il Salvatore della nostra vita e che Egli è morto e risuscitato per provvederci quella giustizia che ci è necessaria per la nostra eterna salvezza? Che possa essere così per tutti voi.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 137


Preghiera. Coinvolgimi sempre di più, o Signore, con tutto me stesso, cuore, mente, bocca ed arti tutti nel vivere e confessare, per la Tua gloria, la grazia della salvezza. Ti voglio dire, infine, che Tu mai mi hai deluso e sono sicuro che non mi deluderai mai. Le tue promesse sono veraci. Amen.

41 Un messaggio efficace “14 Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunzi? 15 E come annunzieranno se non sono mandati? Com'è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone notizie!». 16 Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?». 17 Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Romani 10:14-17).

U

na delle obiezioni più comuni che vengono avanzate contro la dottrina biblica della predestinazione che l'Apostolo presenta in questa sua lettera, è che essa renderebbe vana e superflua l'evangelizzazione. Se il destino di ciascuno è già segnato ed inalterabile, si contesta, che senso avrebbe il comandamento altrettanto biblico di predicare l'Evangelo, chiamando uomini e donne al ravvedimento ed alla fede in Cristo, e quindi alla salvezza? La risposta è che le due cose non sono in contraddizione, perché la predicazione dell'Evangelo è esattamente il modo che Dio ha scelto e stabilito per chiamare, convocare, gli eletti ed impartire loro la grazia della salvezza. Tutti coloro che Dio ha scelto affinché ricevano Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 138


il dono della salvezza si risvegliano spiritualmente quando, dove e come Dio ha stabilito, ma sempre in seguito all'annuncio dell'Evangelo. “Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione” (1 Corinzi 1:21). Per predicazione non si intende necessariamente l'Evangelo annunciato da un pulpito, ma ogni mezzo attraverso il quale esso ci viene trasmesso. La predicazione dell'Evangelo, quindi, lungi dall'essere superflua, è lo strumento stesso che Dio usa per portare gli eletti al ravvedimento ed alla fede in Cristo. Gli eletti sono attirati a Cristo attraverso l'annuncio dell'Evangelo. Gesù dice: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Giovanni 6:44). Attraverso l'annuncio dell'Evangelo, essi sentono parlare di Cristo, della Sua Persona ed opera, ne sono persuasi, credono in Lui e ne invocano l'intervento in loro favore. Ecco perché ci deve essere chi lo annuncia. Ecco perché è necessario che la chiesa cristiana mandi gli araldi dell'Evangelo in ogni dove per convocare gli eletti in quella che la Scrittura chiama: l'assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli” (Ebrei 12:23). Non a caso lo stesso termine “chiesa”, nel Nuovo Testamento, è un termine che veniva usato in politica (nel mondo greco) per indicare l'assemblea di chi è stato eletto e convocato a rappresentare il popolo, coloro che sono stati “chiamati fuori” da questo mondo per far parte della “assemblea” dei redenti. Essi sono gli autentici “rappresentanti” dell'umanità. Essi sono il “mondo” che Dio ama e per il quale ha mandato il Suo Figlio Gesù Cristo come strumento della loro salvezza. Cristo è il Salvatore del mondo di cui gli eletti sono i rappresentanti. L'annuncio dell'Evangelo non è mai “parola al vento”. Possiamo Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 139


stare certi che coloro che Dio ha eletto a salvezza vi risponderanno favorevolmente. Per questo il seminatore della Parola di Dio semina con speranza, anzi, con la certezza che la sua opera non sarà mai frustrata. L'annuncio dell'Evangelo è rivolto a tutti indistintamente. Verranno sicuramente alla fede in Cristo per trovare in Lui salvezza tutti coloro che ad essa Dio ha destinato. L'annuncio dell'Evangelo, inoltre, renderà i reprobi inescusabili, perché l'Evangelo è anche rivelazione della giusta ira di Dio sui reprobi e gli impenitenti e, in ogni caso, la proclamazione della verità renderà gloria a Dio. Gli evangelisti possono pure essere considerati i mietitori della messe di Dio. È per questo che Gesù dice ai Suoi fedeli discepoli: “Alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura. Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. Poiché in questo è vero il detto: 'L'uno semina e l'altro miete'. Io vi ho mandati a mietere là dove voi non avete lavorato; altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica" (Giovanni 4:35-38). Gli “altri” che “hanno faticato” rappresentano l'opera efficace dello Spirito Santo che rende possibile il raccolto facendo crescere e maturare il seme nel buon terreno. Quant'è bello vedere i messaggeri del Signore impegnati nella loro fruttuosa opera! Quant'è bello udire dal pulpito, dalla bocca dei figlioli di Dio, dalla stampa, dalla radio, dalla televisione, dall'internet... chi predica fedelmente. È lo stesso messaggio dell'angelo che troviamo in Apocalisse: “Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo, recante il vangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo. Egli diceva con voce forte: "Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 140


l'ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque'” (Apocalisse 14:6-7). Preghiera. Signore Iddio, ho creduto in te, ho invocato ed ottenuto la Tua salvezza perché ho udito il Tuo messaggio dalla bocca di coloro che erano stati mandati ad annunciarlo. Ti ringrazio per questo Signore. Quant'è bello vedere come ancora essi sono all'opera! Fa' sì che, anche attraverso la mia testimonianza cristiana la verità sia annunciata, per la sola Tua gloria. Amen.

42 Fino agli estremi confini del mondo

L

“18 Ma io dico: forse non hanno udito? Anzi, la loro voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo. 19 Allora dico: forse Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: «Io vi renderò gelosi di una nazione che non è nazione; contro una nazione senza intelligenza provocherò il vostro sdegno». 20 Isaia poi osa affermare: «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano; mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me». 21 Ma riguardo a Israele afferma: «Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore»” (Romani 10:18-21).

a predicazione, la proclamazione chiara ed aperta di ciò che Dio ha compiuto inviando nel mondo il Figlio Suo Gesù Cristo, è un preciso mandato che Gesù ha affidato ai Suoi discepoli di ieri e di oggi: “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” (Marco 16:15-16). Infatti, come dice il testo che abbiamo esamiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 141


nato ieri, la fede viene dall'ascolto della Parola di Cristo (17). Affidarsi di tutto cuore a Cristo è evidenza che la grazia della salvezza, la “vita eterna”, ci è stata accordata. “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui” (Giovanni 3:36). Oggi più che mai, bene o male, l'Evangelo si è diffuso su tutta la terra, “fino all'estremità del mondo”, come dice il Salmo 19:4, citato qui dall'Apostolo. Egli fa così un parallelo fra le evidenze della presenza ed opera di Dio nella creazione, accessibili a tutti, e la provvidenza secondo la quale la Sua grazia viene estesa a gente di ogni nazione. Come “i cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l'opera delle Sue mani” (Salmo 19:1), così i ministri di Cristo proclamano la gloria e le opere di Dio in Cristo. “...perché il Dio che disse: "Splenda la luce fra le tenebre", è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo” (2 Corinzi 4:6). L'Apostolo, in questo testo, sembra non riuscire a capacitarsi come tale realtà, confortata dal grande numero di persone provenienti dal paganesimo che allora accoglievano il Cristo, ancora susciti l'ostinata resistenza di molti israeliti che sembrano non comprendere (19a) ciò chiaramente anche le loro antiche Scritture profetizzavano. Proprio quando gran parte dell'Israele etnico si dimostrava indifferente, incredulo ed ostile all'Evangelo, ecco che innumerevoli pagani accoglievano il Cristo come loro Signore e Salvatore. Indubbiamente c'era da esserne gelosi! È un po' come lo stupore che coglie la languente e indifferente cristianità occidentale di fronte alle conversioni in massa a Cristo in Asia ed in Africa. Era quello che pure Mosè sentiva di fronte all'ostinazione ed incredulità dell'Israele del suo tempo. Gente priva del “pedigree” di Israele, gente così “senza Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 142


intelligenza” spirituale, accolgono il Cristo (19b)? Com'è possibile? Anche in questo si dimostra il comportamento “paradossale” di Dio che si fa trovare da quelli che non lo cercano e si manifesta a coloro che non chiedono di Lui (20,21). È il miracolo, ancora oggi sotto i nostri occhi, della conversione a Cristo delle persone “dalle quali ce lo saremmo meno aspettato...”. Se Dio avesse dovuto, infatti, aspettare che dei peccatori Lo cercassero e chiedessero di Lui, si sarebbe potuto ben dire, come ironicamente si dice in italiano: “Aspetta e spera!”. Questa è una prova ulteriore del fatto che il ravvedimento e la fede in Cristo non è cosa che possa sorgere spontanea dal cuore umano, tanto è sclerotizzato nel peccato. Altro che “libero arbitrio”! È necessario che Dio “forzi la mano” e “prenda per i capelli” uomini e donne per tirarli fuori dalle “sabbie mobili” in cui si trovano: se non lo facesse, nessuno mai sarebbe salvato! Anche se questo all'inizio, può “offendere” l'amor proprio dell'arroganza umana, chi è stato salvato così da Dio, dopo se ne dimostra sempre riconoscente. È l'esperienza dello stesso apostolo Paolo, il quale, sulla via di Damasco, è buttato a terra con forza e convertito a Cristo (contro la sua volontà!). Dopo, però, se ne dimostrerà profondamente riconoscente e scriverà: “...prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù” (1 Timoteo 1:13-14). In questo Suo prevalere Dio dimostra non il suo strapotere, ma il Suo amore e la Sua misericordia. “Lascia fare, dopo mi ringrazierai”. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di tutto cuore per il fatto che Tu abbia “forzato la mano” su di me per attirarmi a Cristo e converMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 143


tirmi. Ti ringrazio che Tu continui a farlo ancora con tanti uomini e donne, strappandoli dall'empietĂ , dall'indifferenza, dalle false religioni. Che io porti con coraggio e decisione il Tuo Evangelo in ogni luogo, per la Tua gloria e la salvezza dei Tuoi eletti. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 144


43 La sovrana libertà di Dio e le minoranze significative

I

11:1 Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch'io sono Israelita, della discendenza d'Abraamo, della tribù di Beniamino. 2 Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: 3 «Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita»? 4 Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». 5 Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia. 6 Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia. 7 Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto; mentre lo hanno ottenuto gli eletti; e gli altri sono stati induriti, 8 com'è scritto: «Dio ha dato loro uno spirito di torpore occhi per non vedere e orecchie per non udire, fino a questo giorno». 9 E Davide dice: «La loro mensa sia per loro una trappola, una rete, un inciampo e una retribuzione. 10 Siano gli occhi loro oscurati perché non vedano e rendi curva la loro schiena per sempre» (Romani 11:1-10).

n questo testo l'apostolo Paolo ritorna sulla “questione ebraica” non solo perché come ebreo egli voglia giustamente salvaguardare la sua identità (che la fede cristiana non pregiudica) ma per una questione di principio: i propositi di Dio non sono e non saranno mai frustrati, vanificati. Ciò che Dio si era proposto di fare con ed attraverso Israele andrà a Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 145


certo compimento nonostante la sua infedeltà. La maggior parte degli Israeliti non crede che Gesù sia il Cristo e l'ha respinto. Dio, così, ripudia ed abbandona Israele e si rivolge ad altri? No: Israele (e tutto ciò che spiritualmente rappresenta) continua a svolgere la sua funzione attraverso la minoranza di ebrei che ha accolto Gesù di Nazareth come Messia. Essi sono il “residuo eletto per grazia” (5). Paolo dimostra che, in fondo, è sempre stato così, ad esempio al tempo del profeta Elia (2). Elia si era disperato perché Israele allora aveva tradito la causa di Dio e si era messo a servire Baal, una falsa divinità. Elia pensava di essere rimasto solo a portare avanti la causa del Dio vero e vivente. Non era così: Dio gli rivela che una minoranza di settemila uomini si era rifiutata di piegarsi al nuovo culto e che essi, la minoranza fedele, erano i continuatori autentici di Israele, anche se le istituzioni ufficiali e la maggior parte del popolo ne avevano tradito la causa. Dio ha “preconosciuto” Israele, ha formulato dei piani nei suoi riguardi. Essi andranno a sicuro compimento. Israele, però, non si identifica necessariamente con le sue espressioni storiche né con le sue istituzioni ufficiali. Nei propositi di Dio, Israele è essenzialmente una realtà spirituale che prescinde dalle sue istituzioni ufficiali, per quanto possano essere importanti. Se esse sono fedeli, bene, se non lo sono, Iddio ne fa a meno! Dio non si lega a delle istituzioni ufficiali: Dio si considera libero di usarle o di non usarle. Dipende! Di fatto è più spesso vero che Dio opera attraverso minoranze impegnate, solitari profeti, idealisti disprezzati ed emarginati. Sono le minoranze spesso che “fanno la storia”, quella che conta agli occhi di Dio, non “le grandi istituzioni”. Le “grandi chiese storiche” con le loro “eminenti autorità” che pensano di essere importanti, poMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 146


tranno anche impressionare per il loro sfoggio di potere e per la loro “immagine”, ma non impressionano minimamente Dio! Dio tratta le istituzioni ufficiali (siano esse di Israele o una chiesa) come una realtà relativa. Se le istituzioni ufficiali fanno il loro dovere nei confronti di Dio, Dio le onora. Se non lo fanno, se seguono lo spirito di questo mondo tradendo la causa di Dio, se sfoggiano con arroganza la loro dignità e funzione, corrotte moralmente e spiritualmente, Dio non se ne sente affatto tenuto ad identificarsi con esse. Israele si colloca là dove autenticamente si porta avanti la causa di Abraamo, Isacco, Giacobbe, in linea con la loro fede ed il loro spirito. Israele è là dove tutto ciò che Mosè rappresenta viene di fatto onorato, nei fatti e non nelle parole. Israele è la dove si segue fedelmente ciò che i suoi profeti hanno proclamato. Israele, e tutto ciò che rappresenta agli occhi di Dio, si colloca là dove degli ebrei riconoscono e seguono in Gesù di Nazareth il Messia atteso. Una istituzione ufficiale che porti il nome di “Israele” o “chiesa” conta molto relativamente. Non dobbiamo lasciarcene impressionare! Allo stesso modo la chiesa è là dove Cristo Gesù viene onorato, creduto ed ubbidito con fedeltà secondo l'insegnamento delle Scritture e nel suo spirito. Qualunque cosa possa vantare una chiesa, un gruppo o una sétta non deve essere considerato più di quel tanto: dipende! L'identificazione di una chiesa, di un gruppo o di una sétta con Dio ed i Suoi propositi non è cosa da considerarsi automatica in forza di pretese e considerazioni storiche, tradizioni, successioni istituzionali ecc. In ogni campo è importante vigilare e verificare se una qualsiasi pretesa è in linea con il principio: “...se è per grazia non è più per opere; altrimenti la grazia non è più grazia” (6). Quanto spesso è vero che tanti, con i loro ragionamenti sottili e sofiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 147


smi, di fatto giungono sempre a contraddire il significato stesso di grazia di Dio, riuscendo ad insinuarvi diritti che ritengono acquisiti, presunti meriti, le opere che, in qualche modo, essi vantano. Però “...se è per grazia non è più per opere”! La presunzione umana (anche là dove si dovrebbe predicare la grazia) è dura a morire, ma deve essere abbattuta! Che piaccia o non piaccia, per quanto assurdo o illogico possa apparire, mettiamoci in testa una volta per tutte che è Dio che opera e decide, che solo gli eletti “ottengono” e gli altri (giustamente) “sono induriti”. Abbiamo il coraggio di affermare e di proclamare né più né meno di quel che dice la Parola di Dio, che sia accettabile o meno alla mentalità umana. Preghiera. Signore Iddio, mi sottometto senza condizione alla Tua sovrana e libera volontà nella persuasione che essa è buona e giusta, per quanto possa non piacere o contraddire le pretese dell'uomo peccatore. Insegnami a vivere sempre meglio nella prospettiva della Tua rivelazione e a proclamarla senza timore, consapevole che essa si comproverà sempre vincente. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 148


44 L'importanza di allargare i nostri orizzonti “11 Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia. 12 Ora, se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione! 13 Parlo a voi, stranieri; in quanto sono apostolo degli stranieri faccio onore al mio ministero, 14 sperando in qualche maniera di provocare la gelosia di quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. 15 Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? 16 Se la primizia è santa, anche la massa è santa; se la radice è santa, anche i rami sono santi” (Romani 11:11-16).

C

oncentràti come siamo prevalentemente sul presente e sulle nostre vicende personali, manchiamo spesso di vedere le cose che accadono in prospettiva storica. Dobbiamo allargare i nostri orizzonti: l'apostolo Paolo ci accompagna a farlo nei testi che esamineremo oggi e nei giorni che seguiranno. È come elevarci con un pallone sempre più in alto per vedere quello che quaggiù non riusciamo a scorgere. Per quanto riguarda la nostra vita cristiana, immaginiamoci come un albero. Questa, per altro, è un'immagine che ricorre nella Bibbia. Coltiviamo quest'albero, ci interessiamo ad esso ed alle sue immediate vicinanze. Così facendo, però, per quanto questo sia importante, spesso non ci rendiamo abbastanza conto del “bosco” in cui siamo inseriti, la comunità locale dei cristiani. Cresciamo insieme ad altri alberi e la cosa è imporMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 149


tante e da valorizzare. Ci interessiamo però anche del “territorio” dove si trova questo “bosco”? Lo dovremmo fare. Conosciamo la storia di questo “bosco” e del suo “territorio”? Quale sarà il suo sviluppo futuro e qual è il contributo che personalmente diamo ad esso? È importante occuparsene. Tutto questo, però, non basta ancora: guardiamo alla nostra esperienza personale ed alla nostra comunità cristiana, ma siamo parte di un insieme ancora più vasto: la storia del nostro particolare movimento cristiano come pure la storia generale della chiesa cristiana. La conosciamo? La dovremmo conoscere perché fa parte della nostra identità. Allarghiamo, però, ancora di più la nostra prospettiva. Non siamo solo parte della chiesa ma apparteniamo pure alla storia del popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta di una storia di parecchi millenni. Essa include, non in modo marginale o accidentale, ma determinante, la vicenda di Israele (la fede israelita). La storia del popolo di Dio, infatti, non è nata con noi e nemmeno solo duemila anni fa. Noi siamo stati innestati in un albero molto più antico e dalle radici molto profonde. Questo antico albero è Israele. Israele è centrale per la stessa nostra storia di cristiani e non solo come un episodio del passato. La cosa più stupefacente è che, secondo la rivelazione biblica, Israele ha ancora un ruolo da giocare nel futuro dei progetti di Dio! Questo è ciò sul quale l'Apostolo vuole attirare la nostra attenzione nei testi che stiamo esaminando. Davvero Egli vuole che la nostra prospettiva si innalzi fino ad abbracciare l'intera sfera dei propositi di salvezza di Dio per il genere umano nella sua storia. Cambiamo ora l'immagine. Immaginiamo gli eterni propositi di Dio per la salvezza del genere umano come un fiume che percorre la storia. Con Israele Dio si forma un popolo che Gli appartiene in modo particolare e Lo serve. È da Israele che doveva nascere il Salvatore del mondo, il Messia. Egli giunge fiMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 150


nalmente in Gesù di Nazareth. Accade, però, che le istituzioni dell'Israele storico e la maggior parte degli israeliti Lo rifiuta e Lo misconosce. Questa incredulità diventa come un blocco, un'ostruzione nel corso di questo fiume che lo costringe a deviare il suo corso ed Israele in quanto tale diventa un ramo secco. Il nuovo corso del fiume, uscito dal suo letto originario, è formato da quegli Israeliti che credono in Cristo, ma, tracimando, questo nuovo corso d'acqua coinvolge e trascina, nella fede in Cristo, altra gente, gente diversa dagli ebrei, gli “stranieri” o Gentili. La cosa non è accidentale: tutto era stato predisposto da Dio. Doveva accadere in questo modo. Così si sarebbero sviluppati gli eterni propositi di Dio per la salvezza del genere umano. Questo non giustifica certo l'incredulità dell'Israele storico, ma “a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri” (11) ed è, inoltre, funzionale per creare negli ebrei stessi una sana “gelosia”, diventando per loro uno stimolo a riflettere sulle conseguenze della loro incredulità e a riconsiderare “la questione di Gesù di Nazareth”. In modo provvidenziale “la caduta” di Israele in quanto tale è diventata “una ricchezza per il mondo”: l'Evangelo della salvezza in Cristo giunge a coinvolgere gente d'ogni nazione e qualità. Il “ripudio”, l'accantonamento dell'Israele storico, da parte di Dio, si trasforma nella riconciliazione (15) con Dio del “mondo”, di una grande quantità di altre persone. Il “ramo secco” rimarrà per sempre tale? No: questa è la rivelazione più straordinaria che mai ci possa giungere dall'apostolo Paolo che, in questo, si dimostra davvero profeta. L'Israele storico, istituzionale, insieme alla più gran parte degli ebrei, un giorno sarà riammesso e sarà simile ad una risurrezione dai morti (15). “Ossa secche” dal punto di vista spirituale, rivivranno, perché si convertiranno a Cristo in modo del tutto inaspettato. Quando avverrà questo? Non sappiamo, ma possiamo stare Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 151


certi che avverrà! Non è stupefacente questo? Sì, è una certezza, una rivelazione che Dio ci vuole fare e che ci farà guardare gli israeliti contemporanei da una diversa prospettiva. Sono stati infedeli ed increduli, ma l'albero è buono! È lo stesso albero nel quale noi siamo stati innestati. È quel che considereremo domani. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di avermi inserito, per la Tua grazia, nei Tuoi eterni progetti per la salvezza del genere umano. Fa sì che io mi elevi da una semplice prospettiva individualista per aumentare in me la coscienza di far parte di un meraviglioso ed ancora più vasto progetto. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 152


45 Quando Dio taglia via i rami secchi...

I

17 Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo, 18 non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. 19 Allora tu dirai: «Sono stati troncati i rami perché fossi innestato io». 20 Bene: essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede; non insuperbirti, ma temi. 21 Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. 22 Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; ma verso di te la bontà di Dio, purché tu perseveri nella sua bontà; altrimenti, anche tu sarai reciso. 23 Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati; perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. 24 Infatti se tu sei stato tagliato dall'olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell'olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo” (Romani 11:17-24).

n questa sezione l'Apostolo si rivolge espressamente a quei cristiani di Roma che provenivano dal paganesimo e che si differenziavano così della maggior parte degli altri che erano israeliti. Egli rivolge a loro un ammonimento: non insuperbitevi per il fatto che molti israeliti (essenzialmente il Giudaismo), avendo rifiutato di riconoscere Gesù come il Cristo, il Messia, siano diventati rami secchi e siano stati tagliati e messi da parte come disutili. Dovete continuare ad onorarli in quanto tali perché storicamente sono il popolo eletto di Dio ed Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 153


a suo tempo torneranno come il figlio prodigo era tornato al Padre, riconoscendo il suo errore. Allora sarete insieme come un'unica famiglia. Essi rimangono vostri fratelli! Il paragone che qui Paolo usa è molto efficace: il popolo di Dio è come un albero di ulivo molto antico. Esso è essenzialmente israelita: voi, che eravate pagani (“ulivi selvatici” v. 17), siete stati innestati in esso solo in un secondo tempo. Doveva essere così: Dio vi ha chiamato efficacemente alla fede, vi ha adottati come figli, ora siete legittimamente parte della famiglia, contitolari dell'eredità familiare (“siete diventati partecipi della radice e della linfa dell'olivo”), ma non insuperbitevi, (“non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te” v. 18). Anche voi siete stati salvati per grazia mediante la fede. “Essi sono stati troncati per la loro incredulità” v. 20. È importante sottolineare come qui l'Apostolo non parla della condizione individuale dell'autentico credente, come se rimanere “nello stato di grazia” dipendesse da noi. La dottrina della perseveranza dei santi non è qui in alcun modo smentita. Se fosse così la grazia non sarebbe più grazia e l'Apostolo si contraddirebbe. La fede salvifica è un dono di Dio e non una nostra opera. Nemmeno la perseveranza è una nostra opera, sebbene la vita cristiana comporti senso di responsabilità. Nulla può essere “condizione di salvezza”, nulla potrà mai separare l'autentico credente dall'amore di Dio (Romani 8:37-39). La salvezza del singolo credente è opera di Dio dall'inizio alla fine. Sebbene il credente possa cadere, egli sarà rialzato. Sebbene egli possa deviare nel cammino cristiano e prendere una strada sbagliata, il Signore lo riporterà prima o poi di nuovo “in carreggiata”. La salvezza di una persona è solo merito di Dio ed andrà soltanto a Sua gloria. “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 154


fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8-9). Come prima Paolo ha parlato della caduta e del “troncamento” (temporaneo) del Giudaismo in quanto tale, così Paolo mette in guardia la chiesa (le chiese o una singola comunità cristiana) dal tradire la causa dell'Evangelo, dall'esserne infedele, dall'alienare ed alterare la fede “una volta per sempre trasmessa ai santi” (Giuda 3). È la chiesa-istituzione che può decadere dalla fede ed essere troncata; è una particolare realtà storica di chiesa che potrebbe, allo stesso modo del Giudaismo, inaridire ed essere tagliata via. Paolo dice alla chiesa di Roma (e ad ogni altra chiesa): Attenzione: se non rimanete fedeli (in quanto chiesa), Dio potrebbe mettervi da parte e utilizzare altri al vostro posto, nonostante tutto ciò che potrebbe costituire il vostro vanto (storia, tradizione, onore, nome ecc.). Anche tu, chiesa particolare, potresti essere recisa. Considerate, così la severità di Dio pure verso le chiese e la responsabilità di cui sono fatte oggetto. Esse potrebbero benissimo essere “vomitate” da Dio (come Egli dimostra nella descrizione che fa delle sette chiese menzionate all'inizio del libro dell'Apocalisse (capitoli 2 e 3). Grazie a Dio, però, Egli non è solo severo, ma anche buono. Dio “ha la potenza di innestarli di nuovo” (23). La speranza non è mai perduta, nemmeno per le chiese più sclerotizzate ed infedeli! Non insuperbirti, quindi, ma “temi”, abbi cura che, come chiesa tu rimanga sempre fedele al tuo mandato, fedele ed ubbidiente alla Parola del Signore. Abbi sempre cura di esaminare te stessa, chiesa, attentamente, verifica sempre la qualità della tua vita, la qualità della tua fede, la qualità del tuo impegno, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 155


perché Dio ti potrebbe benissimo mettere da parte come disutile. Questo è successo e succede ancora. Com'è dunque la nostra chiesa? Un ramo secco e disutile a Dio oppure, fecondo e produttore di molte “olive” perché si nutre costantemente della linfa vitale che procede da Dio? Preghiera. Signore Iddio, benché io non debba temere di perdere la salvezza che Tu mi hai concesso in Cristo e che porterai a termine l'opera che hai iniziato a fare in me, tu mi rendi responsabile, insieme ai miei fratelli e sorelle, di servirti fedelmente come chiesa. Vogliamo perciò come comunità cristiana prendere molto seriamente le nostre responsabilità, temendo di perdere la nostra utilità ed essere eventualmente da Te accantonati. Rendici vigilanti, te ne preghiamo, con la Tua paterna riprensione. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 156


46 La salvezza futura d'Israele “25 Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d'Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; 26 e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: «Il liberatore verrà da Sion. 27 Egli allontanerà da Giacobbe l'empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati». 28 Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29 perché i carismi e la vocazione di Dio sono irrevocabili. 30 Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31 così anch'essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch'essi misericordia. 32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti” (Romani 11:25-33).

L

a Bibbia è rivelazione di verità nascoste. Essa, però, non è sempre chiara in tutto quel che afferma: la Bibbia, infatti, contiene molti misteri. Il significato di molte sue porzioni diventa chiaro ogni qual volta Dio, a tempo e luogo, sovranamente decide di svelarlo. Ecco perché nessuno può presumere di padroneggiare completamente la Bibbia, di “possederla”. Essa, infatti, rimane uno strumento nelle mani di Dio, che ne fa uso come, quando e con chi Egli vuole. Che la grazia di Dio dovesse estendersi a gente di tutto il mondo, per esempio, era una verità già annunciata nell'Antico Testamento. Questo, però, per lungo tempo non era stato compreso, difatti,

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 157


“Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui”, cioè: “che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo” (Efesini 3:5-6). Nel testo biblico che oggi esaminiamo, l'Apostolo, profeticamente, esplicita un altro mistero. Benché le istituzioni storiche di Israele e la maggior parte degli Israeliti abbiano respinto il Signore e Salvatore Gesù Cristo, verrà il giorno in cui “tutto Israele sarà salvato” (26). Un indurimento si è prodotto oggi in una parte di Israele ma, nei piani complessivi di Dio, questo doveva essere funzionale alla diffusione dell'Evangelo per tutto il mondo. Dio non ha respinto Israele per sempre, perché Egli è e rimane fedele alle Sue promesse. Nonostante la loro attuale incredulità, gli Israeliti “sono amati a causa dei loro padri” (28 b) come pure irrevocabili sono, verso di loro, “i carismi e la vocazione di Dio” (29). L'incredulità di gran parte degli Israeliti, così, non deve essere occasione di disprezzo e di rivalsa verso il Giudaismo, perché nessuno comunque meriterebbe alcunché da parte di Dio. Tutti, infatti, sono “rinchiusi nella disubbidienza” (32) e, se molti si salveranno, questo dipende solo dalla misericordia di Dio (31). A suo tempo anche il Giudaismo sarà convertito, “tornerà” e riconoscerà in Gesù di Nazareth il Messia tanto atteso. Nessuna forzatura o rinuncia alla speranza: a suo tempo giungerà a Cristo. Questa è una precisa promessa, una certezza, un “mistero rivelato”. È importante sottolineare ancora come questi testi non possano però in alcun modo essere usati per avvalorare l'universaliMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 158


smo (eresia oggi molto diffusa) secondo il quale, “alla fine”, Dio salverebbe tutti indistintamente passando benevolmente “un colpo di spugna” su tutti i peccati dell'umanità e soprassedendo ad ogni giustizia e giudizio. Se fosse così, questo renderebbe la Bibbia un guazzabuglio di insolubili contraddizioni tanto da spingere molti (come di fatto oggi spesso avviene) ad accantonarla in favore dei popolari moderni “vangeli”, molto più graditi e convenienti. È solo una lettura affrettata e superficiale di questi testi, però, che potrebbe sostenere questi pii quanto infondati desideri. L'Apostolo qui non sta parlando della salvezza degli individui, ma di vaste categorie. Certo, “Israele” sarà salvato, ma, come aveva affermato in precedenza: “non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo” (9:6-7). Di Israele saranno salvati tutti “gli eletti”, coloro ai quali, cioè, Dio ha accordato la Sua grazia. Essi, nel loro insieme, sono “tutto Israele”. Tutti coloro che fra gli Israeliti sono stati eletti a salvezza rappresentano “Israele”. Allo stesso modo, diffondendosi l'Evangelo fra tutte le genti, la “totalità degli stranieri” che entrerà a godere della grazia e della misericordia di Dio, non sarà formata da tutti i pagani senza eccezione alcuna, ma dalla totalità di coloro che, fra i pagani, è stata accordata la grazia della salvezza. Essi rappresentano “gli stranieri” (i “Gentili”). Ecco perché Gesù aveva detto ai Suoi discepoli raccolti fra gli Israeliti: “Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore” (Giovanni 19:16). Quando allora la totalità degli eletti scelti fra i pagani sarà stata raccolta, essi saranno riuniti agli eletti raccolti dall'ambito di Israele, ed insieme marceranno, per grazia di Dio, “verso Sion”, verso la gloria, come un sol popolo. Allora verrà “la fine” [“Questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 159


affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine” (Matteo 24:24)]. Insieme essi entreranno nella “Nuova Gerusalemme” Là “non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte” (Apocalisse 22:3-4). Essi saranno, insieme, i rappresentanti del mondo verso il quale Dio esprime il Suo amore e misericordia, i rappresentanti del genere umano che Cristo è venuto a salvare. D'altro canto: “...per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda” (Apocalisse 21:8). Una cosa, però, continuerà ad essere chiara, i salvati, gli eletti, sia fra i Gentili che fra i Giudei, giungerà alla salvezza non “automaticamente”, ma sempre attraverso il ravvedimento e la fede in Gesù Cristo. Preghiera. Signore Iddio, ti ringrazio che, nella Tua provvidenza, ogni cosa sta marciando esattamente come Tu hai stabilito e che, insieme agli Israeliti, gente di tutto il mondo potrà godere della grazia della salvezza. Dammi, o Signore, di annunciare il Tuo Evangelo a tutti con speranza, sicuro che nulla andrà mai sprecato. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 160


47 Accettare le limitazioni della nostra mente 33 “Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! 34 Infatti, «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? 35 O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?». 36 Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen” (Romani 11:33-36).

N

el testo che consideriamo oggi, l'Apostolo conclude l'argomentazione degli ultimi due capitoli della sua lettera. In essi aveva trattato di profondi misteri e risposto a molte questioni d'importanza critica. Ora fa una pausa e contempla, con sentimenti di ammirazione, adorazione e timore, le profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio. Dio, nella Sua generosità, si è compiaciuto di rivelare molto alla mente umana. Quanto, però, essa è debole e limitata per cogliere anche solo una frazione dell'immensa conoscenza di Dio! Essa è più profonda di quanto la ragione umana mai possa penetrare. Il teologo, il filosofo e lo scienziato può solo arrivare fino ad un certo punto. Sulla base di quanto Dio ci ha rivelato, dopo avere scoperto ed affermato i principi sulla base dei quali Egli opera, pretendere di andare oltre e cercare di comprendere “le vie di Dio” significa addentrarsi in un labirinto dal quale non si può pensare di ragionevolmente uscire. È più saggio allora fermarsi ed affermare, con la stessa ScrittuMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 161


ra, “Le cose occulte appartengono al SIGNORE nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge” (Deuteronomio 29:29). Quanto sono patetiche, altresì, le pretese umane non solo di poter comprendere appieno, ma anche di criticare l'operato di Dio! Si dice che l'autentico scienziato, per quanto grandi possano essere le sue scoperte, debba essere una persona umile. Altrettanto lo dovrebbe essere il teologo e il filosofo. La mente umana, però, sembra non sapersi rassegnare a poter comprendere solo in parte. Allora specula, razionalizza, sistematizza, adatta, torce e contorce, senza riuscire a venirne a capo, salvo poi lamentarsi che le Scritture “non abbiano senso”. A non aver senso, però, sono solo le pretese umane. Le espressioni dell'Apostolo, così fanno eco a quelle che già altri scrittori della Bibbia, di fronte alla profondità della sapienza di Dio, che stupisce ed intimidisce, avevano espresso. “Chi ha misurato le acque nel cavo della sua mano o preso le dimensioni del cielo con il palmo? Chi ha raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera e i colli con la bilancia? Chi ha preso le dimensioni dello spirito del SIGNORE o chi gli è stato consigliere per insegnargli qualcosa? Chi ha egli consultato perché gli desse istruzione e gli insegnasse il sentiero della giustizia, gli impartisse la saggezza e gli facesse conoscere la via del discernimento?“ (Isaia 40:12-14). Iddio, altresì, dice a Giobbe: “Chi mi ha anticipato qualcosa perché io glielo debba rendere? Sotto tutti i cieli, ogni cosa è mia” (Giobbe 41:11). Dato che questo non può essere e che Dio non è in debito con alcuno, la salvezza non può essere che concessa sulla base della grazia e della misericordia. Non c'è motivo di Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 162


lamentarsi se Egli sia stato più generoso con alcuni e non ad altri. “Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose”. Dio è la causa efficiente d'ogni cosa, Egli è la causa che dispone ogni cosa, Egli è la causa finale d'ogni cosa. Ogni cosa è da Lui, non c'è altro motivo; per mezzo di Lui, senza l'assistenza d'alcuno; per Lui senza altro fine. Quale mai merito potremmo noi vantare, dato che siamo stati creati da Lui dal nulla ed ora esistiamo solo grazie a Lui? È per questo, perciò, che la nostra esistenza dovrebbe essere impiegata: solo per la Sua gloria. Non sarebbe forse irragionevole per delle creature che Egli ha creato e sostiene, vivere per qualsiasi altro scopo se non quello di far conoscere la Sua gloria? Dio è il principio ed il fine di ogni cosa. È giustamente, perciò, che Dio pretende a Sé la supremazia assoluta e che nulla sia da perseguire se non la Sua gloria soltanto? Dato che in ogni cosa dipendiamo da Dio e che tutto a Lui dobbiamo, sarebbe veramente insensato contrapporsi in qualsiasi modo a Lui, sarebbe come “mordere la mano che ti nutre”. L'amen finale non può altro che essere la nostra risposta di assenso: “È così, sono d'accordo, non potrebbe essere diversamente, lo comprendo, ci credo e lo desidero con tutto il mio cuore”. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio per le rivelazioni che Ti sei compiaciuto di darci sui Tuoi propositi eterni. Mi atterrò ad esse senza pretendere di poterle comprendere appieno. Ti do fiducia anche se non comprendo ogni cosa ed attendo quel giorno in cui non vedrò più le cose in modo confuso perché le nostre attuali limitazioni saranno superate. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 163


48 Consacrazione a Dio “1 Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale” (Romani 12:1).

L

'Apostolo, dopo aver terminato la parte dottrinale di questa sua epistola, dopo aver posto le fondamenta della fede cristiana, procede edificando su di esse, con il suo “Dunque”, le implicazioni pratiche della vita cristiana. Avendo compreso e fatta esperienza della misericordia di Dio che ci salva attraverso l'opera di Cristo, nulla di meno della totale riconoscente consacrazione della nostra vita a Lui può essere la nostra risposta. Questo è il migliore culto che potremmo rendergli. A questo l'Apostolo esorta i suoi lettori e noi essi, con amorevole interesse, chiamandoci “fratelli”. Non sono “minacce” come se potesse dire “Se non fate così chissà che cosa vi potrebbe accadere....”. Una risposta appropriata all'amore di Dio in Cristo, deve essere qualcosa di naturale e gioioso, fatto volentieri e sicuramente in vista di ulteriori benedizioni, su noi stessi e anche sulla “fratellanza”, la famiglia spirituale, al quale egli ci ha chiamato ad appartenere. Egli ci esorta “per la misericordia di Dio”, quella che Egli ci ha manifestato con abbondanza nella nostra elezione, rigenerazione e chiamata. Non c'è nulla più di questo che possa avere influenza sul credente, impegnandolo a santità di vita e di conMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 164


dotta. Le dottrine della grazia, infatti, non danno licenza alcuna al disimpegno morale. Non sono quindi inutili precetti, esortazioni, avvertimenti e consigli, un appello a vivere “di conseguenza”. Quando l'Apostolo ci esorta a “presentare i nostri corpi” a Dio, non certo intende vche noi si debba “...farci vedere ogni tanto in chiesa” rendendo a Dio un culto esteriore e formale, né qualcosa che non implichi il nostro cuore e la nostra mente, ma la nostra fattiva e tangibile “disponibilità” a servire Dio e la Sua causa in questo mondo. Tutte le nostre facoltà e capacità devono essere impiegate per promuovere l'onore e la gloria di Dio. Potrebbe essere diversamente se davvero abbiamo compreso la straordinaria grandezza di ciò che Dio ha compiuto per noi in Cristo? Lo spirito secondo il quale dobbiamo consacrare noi stessi a Dio è quello di chi portava a Dio, in sacrificio, il meglio di ciò che possedeva come espressione di riconoscenza. Non c'è migliore sacrificio che noi si possa offrire a Dio se non la totale consacrazione di noi stessi a Lui, in fiduciosa ubbidienza alla Sua volontà rivelata. Il sacrificio di Cristo, fatto una volta per sempre per la salvezza dei Suoi eletti, non ne richiede altri se non la nostra completa disponibilità verso Dio, la nostra fiduciosa ubbidienza a Lui. Non c'è nulla di meritorio in questo: quanto era necessario per il perdono dei nostri peccati, per il continuare nella vita cristiana e raggiungere l'obiettivo finale, è già stato provveduto a Cristo. La salvezza non dipende da alcunché noi si faccia o non faccia, né il continuare nello stato di salvezza. Il sacrificio che Gli dobbiamo è un sacrificio di rendimento di grazie, di riconoscenza. Nell'epoca dell'Evangelo siamo tutti sacerdoti, ma i sacrifici che portiamo a Dio sono “sacrifici viventi”, è nostro stesso corpo, così consacrato a Lui ed Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 165


attivamente impegnato per la Sua causa, diffondendo l'Evangelo e manifestando in ogni circostanza l'amore di Cristo dovunque se ne presenti l'opportunità. È un sacrificio “santo”, cioè completamente consacrato a Dio. Non è solo l'offerta a Dio di una parte (di solito limitata) della nostra vita, “qualche briciola”, come spesso molti intendono, “quando hanno tempo”, ma in ogni circostanza sono disposti a dire a Dio: “Eccomi, sono qui, per servirti. Sono al Tuo servizio”. Il servizio che rendiamo a Dio sarà così gradito ed accettevole a Lui, per la mediazione di Gesù Cristo, nostro Signore. La nostra “accettabilità” davanti a Dio, è sempre “filtrata” da Lui, è in Lui, per merito Suo. La nostra “accettabilità” non dipende da ciò che facciamo. Nessuno può dire: “Non riesco a fare tanto quanto altri che conosco e quindi non sono accettabile. “Tu fai quel che puoi. Anche quel poco che riesci a fare per Lui sarà a Lui gradito, perché la tua accettabilità non dipende da te, ma da Lui, da Cristo”. Dio “vede” il credente sempre “in Cristo”. Ecco perché dobbiamo sempre rimanere uniti a Lui senza vantare, da parte nostra, meriti che non abbiamo, uno standard che comunque, se fosse basato solo sulla nostra “performance” non sarebbe sufficiente per accreditarci di fronte a Dio. Tutto questo sarà il nostro “culto spirituale”, letteralmente “conforme a ragione”, particolarmente santificato. Abbiamo il nostro essere da Dio, siamo sostenuti da Lui, seguiti dalla generosità della Sua provvidenza, e soprattutto resi nuove creature, benedetti di ogni benedizione spirituale in Cristo. Ecco perché consacriamo noi stessi a Lui e con gioia Lo serviamo ogni giorno. Un tale culto sarà anche conforme alle Scritture di verità, regola della nostra fede e della nostra condotta, contenente solo ciò che vi è conforme, perché le Scritture presentano Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 166


ciò che è gradito a Dio. Questo è il modo “più razionale” di rendere culto a Dio, il culto di creature razionali e responsabili. Sarà pure un culto di natura spirituale perché offerto a Dio da uomini e donne ispirate e sostenute dallo Spirito di Dio, compatibile con le perfezioni di Dio, e non qualcosa di carnale, materiale, formale e rituale come tanti cosiddetti culti offerti in questo mondo. Deve essere, come disse Gesù, “un culto in spirito e verità”. Preghiera. Signore Iddio, consapevole di ciò che la mia salvezza ti è costata, consacro me stesso completamente a Te con riconoscenza. Sia soprattutto questo espressione del culto che Ti è dovuto. Che io non prenda mai niente per scontato: liberami da ogni vuoto formalismo nel mio culto. Amen.

49 Anticonformismo “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:2).

U

n'interessante definizione e discussione sul conformismo l'ho trovata nella Wikipedia. Dice: “Il termine conformismo indica una tendenza a conformarsi ad opinioni, usi e comportamenti già definiti in precedenza e politicamente o socialmente prevalenti. (...) si definisce conformista colui che, ignorando o sacrificando la propria libera espressione soggettiva, si adegua e si adatta nel comportamento complessivo, sia di idee e di aspetto che di regole, alla forma Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 167


espressa dalla maggioranza o dal gruppo di cui è parte. (…) L'origine del conformismo risiede molto spesso nella radice animale dell'essere umano che attinge le sue paure dalla solitudine fuori dal branco. È una sorta di comportamento mimetico: l'individuo si nasconde nell'ambiente sociale nel quale vive, assumendone i tratti più comuni, in termini di modi di essere, di fare, di pensare. Il senso di protezione che ne deriva rafforza ulteriormente i comportamenti conformisti.(...) normalmente le persone non conformiste hanno già sviluppato un livello di coscienza diverso che permette loro di poter sfidare i comportamenti comuni senza soffrirne. Solitamente si hanno personalità non conformiste negli artisti, negli scienziati, nei filosofi, negli statisti e nei santi, quindi in tutti coloro che si danno la possibilità di libera espressione di se stessi fuori dalla forma già predefinita dall'ambito sociale e storico in cui vivono”. “Non conformatevi a questo mondo” ci dice Iddio tramite l'Apostolo, non conformatevi moralmente e spiritualmente agli usi e costumi di questo mondo. Perché? Perché: “...noi sappiamo che siamo da Dio, e che tutto il mondo giace sotto il potere del maligno. Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero” (1 Giovanni 5:19-20). Sì, Dio ci ha dato intelligenza rispetto ad un mondo in cui vi sono prevalentemente coloro che hanno “l'intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell'ignoranza che è in loro, a motivo dell'indurimento del loro cuore” (Efesini 4:18). Per questo Pietro ci dice: “Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche” (1 Pietro 4:3). Sono quindi particolarmente appropriate le esortazioni bibliche che dicono: “Non andare dietro alla folla per fare il male e non deporre in Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 168


giudizio schierandoti dalla parte della maggioranza per pervertire la giustizia” (Esodo 23:2), come pure: “Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell'ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta” (1 Pietro 1:14-15). Tutte queste citazioni sul tema del conformismo mettono l'accento sull'intelligenza, sulla mente umana, sulla sede della ragione, che deve essere da Dio trasformata, liberata dai suoi condizionamenti negativi. È una prova ulteriore che l'uomo naturale non è affatto libero, ma è condizionato pesantemente, asservito, ed ha bisogno di un Salvatore: Gesù Cristo. Come potrebbe mai l'uomo naturale, condizionato com'è, conformato com'è a questo mondo, scegliere da sé stesso Dio, la Sua volontà, “buona, gradita e perfetta”? La sua mente prima deve essere trasformata, convertita, rinnovata, deve sviluppare: “un livello di coscienza diverso che permetta di poter sfidare i comportamenti comuni” ed acquisire: “la possibilità di libera espressione di sé (...) fuori dalla forma già predefinita dall'ambito sociale e storico in cui vive”. Tutto questo: “... affinché conosciate per esperienza...”. Infatti, dopo aver detto addio ai nostri consigli e desideri come pure a quelli di questo mondo, possiamo prestare attenzione solo alla volontà di Dio, nella cui conoscenza soltanto acquisiamo vera sapienza. La volontà di Dio, lungi dall'essere un'imposizione alla nostra propria volontà, è quella che sola che oggettivamente stabilisce ciò che è vero, giusto, buono e profittevole per la creatura umana. I comandamenti di Dio, infatti, ci guidano alla vera giustizia.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 169


Il mondo loda sé stesso e si compiace delle proprie invenzioni, ma null'altro può piacere a Dio se non ciò che Egli ha comandato. Il mondo, illudendosi di trovare nelle proprie ambizioni la migliore realizzazione di sé stesso, si allontana dalla regola della Parola di Dio preferendo le proprie opinioni, l'Apostolo, al contrario, fissando la perfezione nella Parola di Dio, mostra come noi, scavalcando la volontà rivelata di Dio, con le nostre immaginazioni, solo inganniamo noi stessi. Preghiera. Signore Iddio, mi hai dato intelligenza su me stesso, su di Te e sulla Tua buona, gradita e perfetta volontà. Fa' sì che io, rifiutando le seduzioni di questo mondo, mi attenga sempre più strettamente a Te, conformando il mio modo di pensare, di parlare e di agire sempre meglio secondo la Tua Parola. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 170


50 Il nostro posto nella comunità cristiana

I

“3 Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno. 4 Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, 5 così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l'uno dell'altro. 6 Avendo pertanto carismi differenti secondo la grazia che ci è stata concessa, se abbiamo carisma di profezia, profetizziamo conformemente alla fede; 7 se di ministero, attendiamo al ministero; se d'insegnamento, all'insegnare; 8 se di esortazione, all'esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le faccia con gioia" (Romani 12:3-8).

n un mondo come il nostro, dominato dall'individualismo e dalla competizione, è quanto mai importante, come cristiani, tornare ad apprezzare ed a vivere il valore della comunità. La grazia di Dio in Cristo Gesù ci ha chiamati alla salvezza, non però per godere "privatamente" il nostro rapporto ricostituito con Dio, ma per viverlo "in comunità", insieme agli altri che hanno avuto la stessa vocazione: "siamo un solo corpo in Cristo" (5). La fede cristiana non è "una faccenda privata" o "un vizio segreto" (come vorrebbe trasformarlo il "politically correct" dei nostri giorni). Certo, potremmo non avere l'opportunità, là dove ci troviamo, di riunirci regolarmente con altri cristiani. Se però analizziamo come siamo giunti alla fede in Cristo, ben raramente si può dire di essersi trattato di una comunicazione immediata fra il cielo e noi... Ci rapportiamo e Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 171


dobbiamo rapportarci con altri cristiani. Anche nel caso della conversione di Paolo sulla via di Damasco, quando il Cristo risorto gli era apparso individualmente e si era rapportato con lui personalmente, che cosa accade quasi subito? Che Iddio informa Anania, cristiano di Damasco, che cos'è avvenuto a Paolo, lo manda a "ricuperarlo" e lo porta nella locale comunità cristiana. Essa ne rimane piuttosto spaventata, perché si dicono: «Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua con lo scopo di condurli incatenati ai capi dei sacerdoti?» (Atti 9:21). I cristiani di Damasco, però, sono rassicurati che non dovranno più temere di Paolo e lo accolgono fra di loro. Il contatto e l'interazione fra coloro che Dio ha portato alla fede, potranno anche essere in qualche misura "stressanti", ma Dio li ritiene essenziali. In secondo luogo (è il testo di oggi che ispira queste riflessioni), il fatto di essere giunti alla fede in Cristo, non deve portarci a ritenere che noi, per questo, siamo speciali ed importanti, che abbiamo avuto "un'esperienza unica" e fare di questo motivo di vanto personale. Indubbiamente il cristiano è un eletto, ma solo per la grazia e la compassione di Dio nei suoi confronti, non perché Dio abbia trovato in lui una qualsiasi cosa che gli abbia fatto meritare tale elezione. Ecco perché l'Apostolo qui dice: "Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio" (3). Paolo aveva avuto, alla sua conversione e anche dopo, esperienze uniche nel loro genere, ma "Perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca" (2 Corinzi 12:7). Il cristiano deve imparare l'umiltà. Deve poter dire: "Sono stato croMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 172


cifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!" (Galati 2:20) o, come Giovanni Battista: "Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca" (Giovanni 3:30). In terzo luogo essere "un sol corpo in Cristo" significa che, in quel corpo ognuno di noi è un organo diverso dotato di funzioni diverse. Il corpo è un organismo dove ogni parte svolge il compito che gli è affidato per il bene e l'armonioso funzionamento dell'insieme. Nella comunità cristiana ognuno deve capire, con l'aiuto degli altri (che sono chiamati a riconoscerlo) quale sia la sua funzione: "Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione..." (4). Tutti hanno una propria funzione, nessuno deve pensare di essere inutile! Ciascuno ha "carismi differenti secondo la grazia che gli è stata concessa" (6). Vi sono coloro ai quali Dio ha dato il dono di annunciare la Parola del Signore, coloro che Dio ha dato capacità di insegnamento, coloro che hanno ricevuto particolari vocazioni di servizio, coloro che particolarmente sono portati all'incoraggiamento, chi è particolarmente generoso e fa opere di misericordia, chi ha capacità di presiedere le assemblee (fare da "moderatore"!) ecc. E' meraviglioso come Dio operi attraverso altri credenti Dio, secondo i loro doni, per mio beneficio, e quanto sia importante che io dia loro il mio personale contributo! L'importante è farlo conformenente alla fede, con semplicità, con diligenza e con gioia! Preghiera. Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai posto nell'ambito della comunità dei cristiani, fa sì che io lo apprezzi e lo valorizzi come devo. Ti ringrazio, o Signore, perché io non sono "inutile", ma mi hai affidato una funzione da svolgere nell'ambito della comunità cristiana, fa sì che questi doni siano identificati e messi a frutto senza ritardo. Fa sì che io li metta a buon frutto nello spirito e nel nome di Cristo. Amen. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 173


51 Una comunità cristiana “di qualità”!

L

“9 L'amore sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene. 10 Quanto all'amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all'onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente. 11 Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore; 12 siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella Preghiera, 13 provvedendo alle necessità dei santi, esercitando con premura l'ospitalità. 14 Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite. 15 Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono. 16 Abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili. Non vi stimate saggi da voi stessi” (Romani 12:9-16).

a qualità di vita della comunità cristiana non dipende soltanto dall'impegno dei suoi ministri – qualcuno, infatti, potrebbe vedere le esortazioni precedenti come rivolte soltanto a coloro ai quali è affidato un compito particolare da svolgervi. L'impegno a far sì che la comunità cristiana renda fedele testimonianza al Signore Gesù Cristo riguarda tutti coloro che ne fanno parte. Davvero essa è un corpo che deve essere mantenuto “in forma” ad ogni livello, fisico, mentale, spirituale... e questo deve essere l'obiettivo di ogni suo membro. L'importanza di questo è ribadita spesso nel Nuovo Testamento: “Vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta” (Efesini 4:1); “Comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 174


animo per la fede del vangelo” (Filippesi 1:27); “...perché camminiate in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (Colossesi 1:10); “Abbiamo esortato, confortato e scongiurato ciascuno di voi a comportarsi in modo degno di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1 Tessalonicesi 2:12). Come cristiani dobbiamo imparare a vivere in quanto comunità. Non è sempre facile perché, moralmente e spiritualmente, su ogni cristiano potrebbe essere apposto il cartello “lavori in corso” e quando in casa ci sono ancora ...i muratori, l'elettricista, l'imbianchino e l'idraulico, bisogna sopportarne gli inconvenienti... Così è per la comunità cristiana. L'importante è che questi lavori non vengano sospesi... In quali aree l'Apostolo dice qui che dobbiamo particolarmente impegnarci? In diverse, e sono tutti tratti dello Spirito di Cristo, infatti, “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui” (Romani 8:9). Quanto l'Apostolo afferma è chiaro e non ha bisogno di tante spiegazioni. Consideriamolo come una verifica della realtà della mia vita di fede. Settore “amore”. “Siate pieni di affetto gli uni per gli altri”. In che modo io mi dimostro sempre “affettuoso” e considerato per i miei fratelli e sorelle in fede? Settore “onore”. In che modo io valorizzo e rispetto ogni mio fratello o sorella in fede? “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso” (Filippesi 2:3). Settore “zelo”, impegno. Bandita ogni pigrizia, l'obiettivo del cristiano è promuovere la gloria di Dio nell'impegno e nella Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 175


qualità di tutto ciò che compie: “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forza” (Ecclesiaste 9:10). Diligenza ed impegno devono essere “punti di onore” nella vita del cristiano: “Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, annunziava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù” (Atti 18:25). Il mio impegno per il Signore, in ogni cosa, è “di qualità”? Settore “sentimenti”. Nonostante tutto, devo e posso “essere allegro nella speranza” cristiana, perché essa è fondata su solide basi. Gli altri vedono in me questa profonda gioia e pace, oppure solo la mia “faccia lunga” e lamentele? Settore “Pazienza nella tribolazione”. Sono io perseverante nella fede e “tengo duro” nelle afflizioni di vario tipo di cui potrei essere afflitto? Settore “Spiritualità”. Sono io “perseverante nella Preghiera” incontrandomi con il Signore ogni giorno nel culto privato e familiare? È dal Signore, infatti che posso trarre le risorse necessarie per vivere le sfide della vita cristiana. Settore “Solidarietà”: “...provvedendo alle necessità dei santi, esercitando con premura l'ospitalità”. Mi interesso della condizione dei miei fratelli e sorelle in fede, disponibile a venire incontro alle loro varie necessità in proporzione alle mie possibilità? Settore “Compassione e benevolenza”. Manifesto io nella mia vita lo spirito compassionevole, tollerante e benevolo di Cristo, il mio Signore e Maestro? Settore “Concordia”. Mi preoccupo, per quanto sta in me, ad essere in pace con tutti, senza alcuno spirito di contesa, metMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 176


tendo in rilievo quel che ci unisce e non quello che eventualmente mi dividerebbe da qualcun altro? Settore “Umiltà”. “Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili”. Qualunque vanto io potrei avere rispetto ad altri, sono disposto a metterlo da parte, valorizzando ciò che il mondo disprezza? Preghiera. Signore Iddio, voglio valorizzare la comunità cristiana in cui mi hai posto, e/o i rapporti che intrattengo con altri cristiani. Aiutami a manifestare in ogni circostanza i tratti del carattere di Cristo che Tu stai formando in me. Amen.

52 Vendette

P

“17 Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. 18 Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. 19 Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore. 20 Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo». 21 Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Romani 12:1721).

otrebbe sembrare scontato che un discepolo di Gesù di Nazareth non debba vendicarsi per il male che eventualmente avesse ricevuto e che, anzi, debba perdonare ed amare persino i propri nemici. L'Apostolo sa, però, ben conoscendo il cuore umano, quanto è facile, persino per un criMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 177


stiano, trovare da obiettare all'insegnamento di Cristo e giustificare il proprio comportamento difforme. L'esortazione che ha fatto in precedenza, vale a dire: “...dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere” (12:3) è, a questo riguardo, quanto mai pertinente. Spesso, infatti, abbiamo di noi stessi un concetto così elevato e tanto è il nostro orgoglio, da non sopportare che qualcuno “ci tocchi” in qualche maniera. Così, se qualcuno “osa” farci del male, ci sentiamo autorizzati a pretendere o a farci immediata giustizia sulla base del classico: “...ma come si permette? Lei non sa chi sono io!”. Certo, non è assolutamente giustificabile che qualcuno faccia del male a qualcun altro, ma qual è “il modo cristiano” per reagire in tali casi? A chi spetta eventualmente “fare giustizia”? Il principio è che “la giustizia privata” non è ammissibile, né nella nostra società, e, ancora di più, nella prospettiva di Cristo. L'amministrazione della giustizia è delegata alla magistratura [lo vedremo anche nel testo biblico di domani] e, in ultima istanza a Dio. Che l'opera della magistratura non sia eventualmente soddisfacente, non è giustificazione valida per surrogarla. Che Dio, per qualche motivo, ritardi nell'amministrare la giustizia che vorremmo, o decida altrimenti, è Sua prerogativa ed il cristiano la rispetta. Il “problema” che Dio vuole trattare prioritariamente nella nostra vita è sempre quello della smisurata arroganza umana, arroganza che Dio intende piegare in noi per il nostro bene. Per farlo, Iddio potrebbe avvalersi persino del male che altri eventualmente ci facessero, affinché noi, venendone alla prese e risolvendolo nel modo che Dio vuole, forgiamo il nostro carattere ad immagine di Cristo. L'arroganza, infatti, che spesso ci spinge a farci le nostre vendette, è la stessa che ci porta ad essere indulgenti verso noi stessi ed inesorabili con gli altri. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 178


Ecco, così, come il Signore “imbriglia” la nostra passione vendicativa per persuaderci della maggior sapienza di lasciare l'esecuzione della giustizia a Lui ed agli organi ai quali Egli la delega, che lo devono fare con competenza e professionalità e, sicuramente in modo giusto. Siamo, infatti, proprio sicuri che noi sapremmo farci giustizia “meglio” e “in modo giusto”? Il proverbio dice: “La miglior vendetta è il perdono”. Essere buoni verso chi ci fa del male impartisce un'importante e “scottante” lezione. Il testo dice che, così facendo: “...tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo”. Il senso di questa espressione biblica è che, così facendo, farai si che la sua coscienza gli rimorda e tu lo faccia vergognare dei suoi atti ed eventualmente questo lo conduca al ravvedimento. Il comportamento del cristiano, contraddicendo quanto il mondo si aspetterebbe, nel suo carattere paradossale, è tale da confondere il malvagio, da “spiazzarlo”. Questa inaspettata reazione diventa così una testimonianza vivente ad un modo di pensare e di vivere completamente diverso, quello di Cristo, che non alimenta il fuoco delle passioni, ma lo spegne. Se pure è vero che il comandamento dell'Antico Testamento “occhio per occhio – dente per dente” era di fatto una misura di contenimento di vendette sproporzionate ed indiscriminate (così, infatti, bisognava rifarsi solo nella misura esatta del danno subito), il Signore Gesù, con tutto il Nuovo Testamento, va molto oltre e mette le basi della riconciliazione e di un mondo nuovo in cui violenza e vendetta sono bandite. Nella mentalità del “nuovo mondo” si aspira al ricupero e alla trasformazione del trasgressore, non alla sua distruzione. Il comportamento cristiano che il nostro testo afferma, non ha a che fare con quella passiva rassegnazione e inazione della quale talvolta viene accusata l'etica cristiana. Essa non favoriMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 179


sce l'arroganza dei malvagi, non facendo nulla per controbatterla e sconfiggerla. Il comportamento del cristiano, di fronte al male, è attivo perché “vince il male con il bene”. Di fronte all'odio, esso “ama”, di fronte a chi fa del male, fa del bene, anche al malvagio. Quando il nostro nemico ha fame, noi gli diamo da mangiare! Il comportamento cristiano ha sempre suscitato molte critiche. Ricordiamo, per esempio, l'affermazione del famoso Cesare Beccaria che disse: “Il delinquente ha diritto alla pena … gli piaccia o no”. Certo, come vedremo domani, “il magistrato non porta la spada invano”. Dio onora la giustizia sempre (non per nulla Dio ha pagato in Cristo le conseguenze penali che giustamente meritano i peccati di coloro ai quali Egli concede la grazia), ma la giustizia di Dio è sempre controbilanciata dall'amore e dalla compassione, anche per il trasgressore. Dio punta al ricupero e non alla condanna fine a sé stessa. Preghiera. Signore Iddio, hai ancora molto da fare in me per trasformare la mia mentalità mondana e convertirla per intero a Cristo. Aiutami, Signore, a prendere sempre sul serio quanto Tu dici nella Tua Parola, senza avanzare obiezioni o giustificare il mio comportamento difforme, consapevole della Tua maggiore sapienza. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 180


53 I cristiani: cittadini responsabili

I

1 “Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio. 2 Perciò chi resiste all'autorità si oppone all'ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna; 3 infatti i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Tu, non vuoi temere l'autorità? Fa' il bene e avrai la sua approvazione, 4 perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male. 5 Perciò è necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della punizione, ma anche per motivo di coscienza. 6 È anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio. 7 Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore” (Romani 13:1-7).

n un tempo come il nostro, in cui più o meno giustamente ci si lamenta delle autorità civili e del dover pagare le imposte, le affermazioni e le esortazioni che l'Apostolo fa in questo testo, ci rammentano principi tanto importanti quanto trascurati. Questo testo, di fatto, come altri di questa stessa lettera, è tale da suscitare in noi una marea di obiezioni. Anche in questo caso, dobbiamo fare molta attenzione a noi stessi: siamo di fronte, che ci piaccia o meno, ad una parola ispirata da Dio, anch'essa regola della nostra fede e della nostra condotta. Anche questa parola la dobbiamo onorare, comprendere e, sottomettendoci ad essa, applicarla diligentemente. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 181


Le espressioni dell'Apostolo sono ancora più sorprendenti perché originariamente rivolte a cristiani che vivevano a Roma, capitale di un impero, sede di un sistema che, secondo gli standard moderni, era sicuramente ingiusto, oppressivo, violento ed iniquo, idolatra e corrotto! L'Apostolo in nome di Dio, esorta i cristiani a onorare e sottomettersi ad un tale sistema perché stabilito da Dio, a non opporvi resistenza, a non farvi opposizione e a sostenerlo pagando diligentemente le imposte richieste? L'Apostolo non propone, però, una sottomissione acritica, incondizionata e servile alle autorità civili comunque siano giunte al potere. I primi cristiani si distinguevano perché si sottomettevano prima di tutto a Dio e poi alle autorità. Quando queste due autorità (Dio e lo Stato) si dimostravano in contraddizione e conflitto, avrebbero ubbidito prima di tutto a Dio resistendo alle autorità e subendo per questo atroci persecuzioni. Essi però onoravano il principio della legittimità divina delle autorità civili come strumento stabilito da Dio per il mantenimento dell'ordine sociale e della legittimità del pagamento delle imposte per permettere al sistema di funzionare. I principi cristiani, quindi, si oppongono a concetti come l'anarchia o il liberismo assoluto. Il Nuovo Testamento non propone né discute particolari forme di governo, ma stabilisce la legittimità, in linea di principio, dell'ordinamento civile, dello Stato in quanto tale, al quale il cristiano, sebbene non acriticamente, è tenuto a sottomettersi. Ecco quindi, ancora una volta, la necessità di analizzare attentamente le nostre obiezioni pure a questo testo per verificare se esse sorgano da considerazioni legittime o piuttosto dalla stessa fondamentale e peccaminosa ribellione che ci porta a resistere a quanto Dio stabilisce come giusta regola del nostro comportamento, individuale e sociale.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 182


Quali sono, dunque, i principi che questo testo stabilisce? (1) Dio vuole che la società umana sia governata (ed abbia “autorità superiori”) e quindi regolata. È così che Dio, nella Sua provvidenza, mette un freno, contiene ai mali prodotti dal peccato che altrimenti ci distruggerebbero in breve tempo. (2) La magistratura (che include polizia ed esercito) è, infatti, intesa da Dio per il nostro bene, “per infliggere una giusta punizione a chi fa il male” e, come tali, i “magistrati” sono “ministri di Dio”. (3) Rispettare ed ubbidire alle autorità è una questione di coscienza, del vivere in questo mondo in modo responsabile. (4) L'imposizione delle tasse è legittima. Attraverso di esse, non solo viene sostenuta l'organizzazione dello Stato, ma è provveduto anche ai bisognosi, ai deboli ed agli indigenti. Dobbiamo quindi rendere a ciascuno quel che gli è dovuto. “Allora Gesù disse loro: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" (Marco 12:17). Gesù paga le imposte richieste [il modo in cui lo fa è curioso, ma il principio rimane]: “...Ma, per non scandalizzarli, va' al mare, getta l'amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère. Prendilo, e dàllo loro per me e per te" (Matteo 17:27). Preghiera. Ti ringrazio, o Signore, perché, nella Tua provvidenza, Tu limiti in questo mondo gli effetti del peccato attraverso lo Stato ed i suoi organi. Aiutami ad essere un cittadino responsabile che onora i Suoi doveri verso lo Stato, così come li onoro con Te. Nel nome di Cristo. Amen.

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54 Il debito dell'amore 8 “Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. 9 Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». 10 L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge” (Romani 13:8-10).

D

opo averci esortato ad assolvere i nostri doveri di cittadini nei confronti dello Stato (ciò che gli dobbiamo, i nostri “debiti” verso di esso), l'Apostolo passa a trattare di altri tipi di debiti-doveri: dobbiamo cercare di non avere “conti in sospeso” verso nessuno. Dobbiamo accertarci di aver “pagato”, “reso” quanto siamo tenuti a rendere agli altri. La cosa più importante che dobbiamo loro rendere, che riassume ogni altro debito-dovere, è l'amore. Noi tutti abbiamo “un debito di amore” verso gli altri. Abbiamo mai considerato l'amore sotto questa prospettiva? Io ti devo amore. Se tutti ragionassero in questo modo, pensate che mondo meraviglioso sarebbe il nostro! In realtà comunemente noi ragioniamo in tutt'altro modo. Siamo infatti sempre pronti sconsideratamente ad obiettare: “Io non ho mai ricevuto nulla da altri e non devo loro nulla!”. Non è così. Abbiamo innumerevoli motivi per il nostro dovere d'amare e nessuna giustificazione per non farlo, quand'anche, per il nostro amore, non fossimo contraccambiati.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 184


Il debito d'amore che dobbiamo agli altri non si estinguerà mai, è sempre dovuto. Dobbiamo pagare altri tipi di debiti e, dopo un po' di tempo, ne saremo sollevati perché il debito finalmente sarà estinto. Il debito dell'amore, però, continua per sempre ed è da pagarsi ogni giorno. “Strozzinaggio”? Un peso insopportabile? No. È insensato vederlo come un fardello. È impegnativo, ma Cristo dice: “Il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Matteo 11:30). Pagare questo debito d'amore non significa esaurire le nostre risorse, ma, di fatto, essere arricchiti, aumentarle. Dovrebbe essere un amore disinteressato, ma “il guadagno che essa procura è preferibile a quello dell'argento, il profitto che se ne trae vale più dell'oro fino” (Proverbi 3:14). I cristiani dovrebbero amare in questo modo. A questo sono obbligati dal comandamento di Cristo, dall'amore di Dio e di Cristo verso di loro, dallo speciale rapporto che li lega come figli di Dio, fratelli e membra dello stesso corpo; nulla meno di questo amore è ciò che deve unire le chiese di Cristo, essendo il vincolo della perfezione loro necessario, per il loro conforto ed onore, come pure per manifestare la verità della loro professione di fede. “Rivestitevi dell'amore che è il vincolo della perfezione” (Colossesi 3:14). Questo è il motivo in cui siamo servi volenterosi l'uno dell'altro, preghiamo l'uno per l'altro, portiamo il fardello l'uno dell'altro, ci sopportiamo vicendevolmente e ci adoperiamo diligentemente di fare ogni cosa nel modo migliore alla gloria di Dio. Il comandamento di Cristo è sempre nuovo, nuovo ogni giorno, non potrà mai essere considerato antiquato. “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri” (Giovanni 13:34). L'amore di Cristo per Dio Padre e del Padre verso il Figlio è co-

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 185


stante, così come i rapporti fra i credenti devono essere sempre costanti. L'amore sarà sempre pagante e sempre dovuto, persino in cielo, per tutta l'eternità. Non si tratta però solo dell'amore verso i fratelli e le sorelle in fede, ma dell'amore verso il prossimo chiunque esso sia. L'amore è un debito che abbiamo verso ogni essere umano in quanto tale. Abbiamo tutti uno stesso sangue e siamo tutti stati fatti ad immagine di Dio. Siamo parte della stessa famiglia, viviamo nello stesso vicinato, apparteniamo alla stessa nazione. Siamo chiamati ad amare anche i nostri nemici. “Così dunque, finché ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 6:10); “L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1 Corinzi 13:4-7). Il Decalogo è una sintesi della legge di Dio in dieci proposizioni. Esso può essere ulteriormente sintetizzato in due comandamenti: l'amore per Dio e l'amore per il nostro prossimo. La sua estrema sintesi si concentra nel termine amore, che ne caratterizza e compie il contenuto. Questo amore compiuto lo troviamo in Gesù Cristo, al quale facciamo appello per ricevere, grazie a Lui, quella giustizia che noi non avremmo mai potuto conseguire, a causa del nostro peccato. Preghiera. Signore, insegnami ad amare come devo e come si conviene. Insegnami ad amare come Tu hai fatto in Cristo Gesù, mio Signore e Salvatore. Amen.

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55 Il momento cruciale del risveglio 11 “E questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale: è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo. 12 La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13 Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie; 14 ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri” (Romani 13:11-14).

U

na vista impostata “pro-attivamente” all'amore è conseguenza di una personale “esperienza di risveglio”. Per illustrarla, L'Apostolo si avvale qui di diverse metafore che dobbiamo intendere rettamente. La notte rappresenta la condizione nella quale si trovano coloro che sono ignoranti di Dio. Essi vagano nel loro mondo immaginario di sogni in cui Dio non trova posto (immaginano un mondo senza Dio), non vedono le cose come veramente stanno e, dormendo, non ne hanno la consapevolezza. Per questo motivo sono facilmente manipolabili dalle forze spirituali della malvagità che così possono agire indisturbate. Il giorno rappresenta la rivelazione della verità divina prodotta dal sorgere del sole di giustizia, il Cristo. Quando questo sole brilla su di noi, accade il miracolo del risveglio spirituale. Con Cristo ed in Cristo molti testimoniano di aver finalmente aperto gli occhi per vedere le cose come veramente stanno. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 187


Il momento cruciale è venuto quando il Cristo è apparso nella storia umana ed esso si rinnova ogni qual volta Egli “appare” nell'esperienza diretta delle persone. Qual è stato il “momento cruciale” nella tua esperienza di fede? Quando è avvenuto? Che cosa ha prodotto? L'appello dell'Evangelo è “la sveglia”, il “suono della tromba” che porta una persona alla coscienza. Allora ci si sveste della “camicia da notte” (le “opere delle tenebre”) e “ci si riveste” per indossare “le armi della luce”. Le “opere delle tenebre” è tutto ciò che dispiace a Dio (e che la Bibbia chiama peccato), spesso fatto in modo svergognato (“gozzoviglie e ubriachezze (...) immoralità e dissolutezza, (...) contese e gelosia”). Da tutto questo il cristiano “si sveste” per indossare “le armi della luce”. È la “divisa” confacente al “soldato di Cristo” (un'immagine “militare” perché la vita del cristiano è una militanza contro il male). Più ancora: si tratta di un vero e proprio rivestirsi del Signore Gesù, cioè “indossare” le Sue caratteristiche morali e spirituali, tanto da non aver più cura, come fanno gli increduli, di soddisfare tutti i desideri delle nostre passioni carnali peccaminose. Per chi “si è svegliato” alla fede, indubbiamente, ogni giorno che passa la salvezza (il compimento ultimo della sua salvezza) è più vicino “di quanto credemmo”, cioè rispetto al momento in cui abbiamo cominciato veramente a credere in Cristo, ad affidarci consapevolmente a Lui. Stiamo camminando, marciando verso la nostra meta finale. Allora attardarci a contemplare (magari con nostalgia) “com'era bello” il mondo dell'incredulità (che ci siamo lasciati alle spalle), indulgere nei suoi “sogni” o tornare “a fare un pisolino” una volta così incamminati con Cristo, è veramente assurdo, inutile, controproducente. Vi sono, infatti, cristiani che si mettono in pantofole e che si Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 188


rimettono per un po' la comoda “camicia da notte”. Ristagnano così nella loro vita cristiana, non fanno progressi, non “producono” quanto dovrebbero. Questo non significa che, come cristiani, non si possa, di tanto in tanto, “riposare”. Gesù stesso non stressava i suoi discepoli come fanno oggi gruppi cristiani con tendenze settarie, con interminabili attività che non danno più spazio ad una ragionevole vita privata. Gesù, al momento opportuno, quando vedeva la stanchezza dei Suoi discepoli, li invitava a ritirarsi per un poco e a riposare. La fede cristiana, sana ed equilibrata, non è irragionevole! È tempo, così che ci scuotiamo dalla “sonnolenza” che potrebbe ancora prendere il cristiano, che “beviamo un buon caffè” che ci scuota e non ci faccia attardare sulla via della fede, perdendo tempo, attardandoci, in cose non con confacenti, non degne, della vocazione che abbiamo ricevuto. La vita cristiana è eccitante. Quando ci immergiamo in essa, diventa “l'adrenalina” di cui abbiamo bisogno, essa ci dà la necessaria “carica” per compiere ciò che Iddio ci chiede di fare, ci dà la forza di portare anche gli inevitabili fardelli della vita cristiana, che così diventano un peso leggero. I pesi che dobbiamo portare, infatti, li percepiremo come più leggeri, quando i nostri “muscoli spirituali” sono bene addestrati e rafforzati da una vita ubbidiente alla volontà del Signore ed attiva al Suo servizio. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio che “l'orologio” del Tuo Evangelo ha suonato per me la sveglia che mi ha portato alla piena consapevolezza della realtà, non quella dei “sogni” di questo mondo, ma alla militanza nel Tuo regno. Non permettere che io mi attardi più nella “sonnolenza” e nella pigra indolenza. Che la Tua Parola e il Tuo Spirito, mi dia “la carica” necessaria per procedere decisamente nel cammino cristiano pregustandone tutta la sana eccitazione che esso comporta. Amen. Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 189


56 Saggezza nei nostri rapporti con gli altri “1 Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli. 2 Uno crede di poter mangiare di tutto, mentre l'altro che è debole, mangia legumi. 3 Colui che mangia di tutto non disprezzi colui che non mangia di tutto; e colui che non mangia di tutto non giudichi colui che mangia di tutto, perché Dio lo ha accolto. 4 Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi. 5 Uno stima un giorno più di un altro; l'altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. 6 Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio” (Romani 14:1-6).

L

a fede in Cristo è una fede liberante che rende audaci nello sfidare pregiudizi, scrupoli e superstizioni, quelli che rendono asserviti alla paura così tanti uomini e donne ancora oggi. La fede cristiana infonde certezze basate sulle oggettive dichiarazioni e promesse della Parola di Dio. La salvezza eterna è dono di Dio per chiunque affidi sé stesso alla Persona ed opera di Cristo. Essa non dipende da ciò che facciamo o non facciamo e nulla la potrebbe pregiudicare. “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio” (5:1,2); “Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (8:1).

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Quanta gente, però, nonostante abbia udito ed accolto il messaggio dell'Evangelo, ancora non osa del tutto rinnegare, come dovrebbe, le tradizioni, i cerimoniali e le “autorità religiose” che prima seguiva perché ...“non si sa mai che avessero ragione, dopo tutto”. Quanta gente vive nel timore che se si discosta da certe pratiche o “manca di rispetto” a certe autorità religiose che vantano “sacralità” e “potere”, potrebbero subirne “un castigo” o perdere la salvezza! Quanta gente, pur conoscendo la verità, non osa distinguersi dal “così fan tutti” per timore delle “possibili conseguenze” a diversi livelli! Si tratta della “fede debole” di cui qui parla l'Apostolo, coloro la cui fede in Cristo ancora non è così salda ed ampia da permettere loro di superare infondati scrupoli e paure, quelli che spesso rasentano per loro la superstizione. Questa “fede debole” è certamente reprensibile, ma chi ha superato queste cose, chi ha abbracciato Cristo e la libertà che Egli dona, non dovrebbe dileggiare e condannare chi si trova in quella condizione, imponendo la propria libertà, ferendo indebitamente la loro coscienza e pretendendo che essi abbandonino, di punto in bianco, le loro persuasioni e paure. Questi scrupoli e paure, infatti, possono essere molto radicati e richiedere molto tempo per superarli. Bisogna avere con essi, quindi, pazienza e tanto amore, appunto la tolleranza di cui qui parla l'Apostolo. In questo capitolo e in parte del prossimo, Paolo tratta, così, di problemi originati dalla particolare situazione in cui si trovavano i cristiani di Roma. Fra di loro, infatti, vi erano ebrei che, pur avendo accolto l'Evangelo di Cristo, ancora ritenevano di dover seguire i cerimoniali religiosi tradizionali della legge mosaica. Osservavano diligentemente il sabato e le altre “feste comandate”, non mangiavano certi cibi e si premunivano di cucinarne altri secondo “le regole stabilite”, si sottoponevano a particolari cerimonie religiose e riti di purificazione, facevano Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 191


uso di formulari di preghiere da recitarsi in particolari occasioni. Tutto questo e altro ancora, però, non era richiesto da Cristo, anzi, Cristo li avrebbe sollevati da tutte queste usanze. La loro coscienza, però, imponeva loro di continuare a fare in questo modo e condannavano, per altro, coloro che così non facevano come persone profane che disprezzano la legge di Dio. Nella comunità, d'altro canto, vi erano cristiani che provenivano dal mondo pagano, che nulla sapevano delle regole dei primi e che comunque Cristo non chiedeva d'osservare. Avevano compreso la libertà donata da Cristo e consideravano gli altri ignoranti e superstiziosi, rifiutandosi d'aver parte con loro. Paolo si propone di conciliare questi gruppi, affermando sì la libertà cristiana ma anche l'amore che porta necessariamente ad aver pazienza e tolleranza di coloro che, in queste questioni, hanno scrupoli e paure. Perché dobbiamo “accogliere” i deboli nella fede con tolleranza e pazienza? Nessun paternalismo o presunzione di superiorità. Perché sia noi che loro siamo stati “accolti” da Cristo per grazia di Dio mediante la fede indipendentemente da quel che facevamo o non facevamo, indipendentemente dalla dignità o meriti che comunque non avevamo. Inoltre dobbiamo accogliere “i deboli nella fede” perché sono servi con noi (conservi) dello stesso Signore e non siamo noi a dover essere i loro giudici. È “il padrone” che valuta e giudica i propri servi, e i servi non hanno alcun diritto o privilegio sugli altri servi. Se sbagliano e cadono, scivolando indietro dalla giustificazione per fede alla giustificazione per opere, saranno “rimessi in piedi”dal Signore (se essi sono contati veramente fra i Suoi eletti). Iddio non solo è potente da rimetterli in piedi, ma da Lui solo dipende la “stabilità” di ciascuno nel Suo favore. Potranno anche coltivare l'idea errata, ad esempio, che siano stati loro stessi a “decidersi” per Cristo, che da loro e dall'osservanMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 192


za di regole e precetti, dai loro sforzi, dipenda la loro salvezza. Non è così, e lo scopriranno a suo tempo. Nulla però giustifica noi, che lo abbiamo capito, a “sentenziare” a loro riguardo, a riprenderli aspramente, perché ciascuno, nelle proprie persuasioni, nelle “convinzioni della propria mente”, fa quel che fa per il Signore, e questo è ciò che più conta. In ogni caso sono i responsabili della comunità a dover valutare come affrontare nel modo migliore incoerenze ed errori. Tutto questo non significa assolutamente una relativizzazione della dottrine evangeliche, come se andasse bene tutto e il contrario di tutto. La verità va detta, predicata ed insegnata senza comprometterla, ma nel farlo “c'è modo e modo”, c'è gradualità e pedagogia e, soprattutto è essenziale “dire la verità con amore” tollerando temporaneamente anche espressioni della fede che non siano del tutto in linea con quanto sappiamo essere giusto e vero. Quanta pazienza e tolleranza Iddio deve avere per noi. Non dovremmo noi averla pure per gli altri? Preghiera. Signore Iddio, insegnami che cosa voglia dire, in tutti i rapporti che intrattengo con i miei fratelli e sorelle in fede, dire la verità con amore. Insegnami la pazienza e la tolleranza di Cristo che, pur senza mai compromettere la verità, sapeva prendere ciascuno nel modo giusto per correggerne la rotta tenendo conto della persona e del contesto in cui si trovava. Impediscimi, nel mio zelo per la verità, di essere “un rullo compressore” che non guarda in faccia nessuno. Dammi umiltà e soprattutto fiducia che Tu sei l'attore di ogni cosa ed io solo un servo. Amen.

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57 Vivere per il Signore “7 Nessuno di noi infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; 8 perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. 9 Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi” (Romani 14:7-9).

V

ivere per sé stessi e per la propria gloria, vivere per compiacere sé stessi, arricchirsi, acquisire notorietà, potere, influenza... con ogni mezzo, senza alcuno scrupolo... ecco il tipico stile di vita di questo mondo decaduto, in cui persino Dio deve essere (per chi ha inclinazioni religiose) al nostro servizio! Lo raccomandano e lo promuovono anche “esperti” consulenti della “salute mentale”: vivi per “realizzare te stesso”, pensa a te stesso prima di tutto, tu sei la cosa più importante, gli altri verranno eventualmente dopo... Così molti insegnano a fare ai propri figli fin da piccoli (senza tanto sforzo perché non c'è nulla quanto l'egocentrismo che ci venga spontaneo fin dalla culla). Benché vi siano anche molti presunti cristiani che vivono in questo modo, non è questo che impariamo dal Signore e Salvatore Gesù Cristo, il quale viveva per Dio e per gli altri, rinunziando del tutto a Sé stesso. I Suoi discepoli Lo seguono lasciando ogni cosa e vivendo per Lui. Ecco un altro motivo per il quale, come abbiamo visto nel testo di ieri, stare a fare tante questioni sugli scrupoli di chi vive il suo impegno religioso comunque per Cristo non è utile, perché vivere per Cristo è la cosa più importante!

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 194


Quando si è sotto l'influenza salvifica della grazia di Dio, si vive in modo “estroverso”. Noi non “contempliamo il nostro ombelico” come alcune religioni orientali insegnano. Non ci concentriamo né sul nostro peccato, né sulla nostra giustizia, non viviamo in funzione né del “dovere”, né del servizio. Il cristiano non attribuisce la propria vita, giustizia e salvezza a sé stesso e per sé stesso. Il cristiano non ha cura della carne per soddisfarne i desideri (13:14) né tanto meno vive per soddisfare i desideri, passione e volontà altrui. Il cristiano nemmeno si sottopone a mortificazioni per sé stesso, per guadagnarsi alcunché, né sono fine a sé stesse, ma sono “per Cristo”. Potrebbe anche succedere che, a causa della sua fede, i suoi avversari gli tolgano la vita. Non si tratta, però, di una morte che egli contempla per la propria salvezza e per la propria gloria. Il cristiano che soffre e che muore a causa della sua fede non lo fa per “conquistarsi l'aureola” ed essere “onorato sugli altari”, ma per la gloria di Cristo, per onorare Lui e magnificare il Suo nome. Certo potrebbe considerare la morte un vantaggio, una liberazione dalle sue sofferenze per entrare nella eterna pace e gioia del cielo, ma il punto non è questo: in quel momento pensa a Cristo e lo fa per Cristo, non per sé stesso. Vale anche a livello naturale: nessuno ha potere sulla propria vita o morte. Come non è stata sua decisione nascere, egli non si attribuisce alcuna facoltà di prolungare o di accorciare la sua vita, né di impedire o di affrettare la morte. La sua esistenza appartiene al Suo Signore e padrone. Vita o morte è da Lui, con Lui, per Lui e con Lui. Se viviamo, viviamo per il Signore. Come la vita naturale, così la vita spirituale deriva dal Signore ed i credenti vivono per fede a causa Sua e secondo la Sua volontà rivelata nella Parola, per il Suo onore e per la sua gloria – almeno questo è il loro desiderio. Se moriamo moriamo per il Signore. Affidiamo a Lui la noMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 195


stra vita affinché ne faccia ciò che Gli sembra meglio. Se decide di far cessare la nostra vita terrena, così sia: significherà morire con Lui per essere con Lui e risorgere a nuova vita eterna con Lui. Vivere è dono del Padre che ci ha acquistati per Cristo. È la Sua grazia che ci rende volenterosi ad affidarci a Lui, in vita ed in morte, per la Sua gloria. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. Tutta la carriera di Cristo in terra, vita, morte e risurrezione è stato per rivendicare ed affermare quest'unico principio e realtà. Cristo è il legittimo Signore di ogni vita e dell'universo intero. Infatti: “...bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi” (1 Corinzi 15:25). Quanto è difficile imparare questa lezione fondamentale: Gesù è il Signore: tutto dipende da Lui e deve essere in funzione Sua. A Lui deve andare ogni onore e gloria! Spesso lo si afferma e confessa a parole soltanto. Di fatto, dietro alle parole più pie e religiose di tanti cristiani e chiese, c'è solo il servizio di noi stessi. Ecco perché pochi sono coloro che davvero sono e saranno salvati: quanti, infatti, sono disposti veramente a dare a Cristo il primato in ogni cosa rinnegando qualsiasi loro interesse personale! “E' ingiusto!” risuonano solo le solite obiezioni del mondo, la patetica voce dei soliti vermetti presuntuosi... Chi è, però, il Signore e quali debbono essere le conseguenze della Sua signoria sulla nostra vita? Preghiera. Signore Iddio, insegnami a vivere ed a morire per Te e per il Tuo Cristo, com'è giusto che sia. Piega in me ogni arroganza, presunzione e quel maledetto egocentrismo che contamina, guasta e corrompe ogni cosa. Scuotimi e riportami alla realtà ogni qual volta metto me stesso al centro, facendo magari finta o illudendomi di vivere e di operare per Te. Amen.

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58 Non giudici degli altri, ma di noi stessi!

I

“10 Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; 11 infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio». 12 Quindi ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio. 13 Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta” (Romani 14:10-13).

l discorso che l'Apostolo ha iniziato con il capitolo 14 sulla tolleranza che dobbiamo avere verso quei cristiani non del tutto in linea con la dottrina evangelica, porta nel testo di oggi all'affermazione categorica: “Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri” (13). Quello del “giudizio” è oggi un tema scottante, perché facilmente si può cadere in due estremi: quello del “liberalismo” che tutto “benevolmente” tollera e la reazione dei rigoristi dell'ortodossia, sempre pronti a denunciare ed a scomunicare. Così come non ci è lecito “farci giustizia” da soli, ma dobbiamo lasciare questo compito a Dio ed agli organismi da Lui a questo preposti (12:19), così non ci è consentito ergerci a giudici dei nostri fratelli e conservi. Il cristiano vive per Cristo ed è soggetto a Lui soltanto (questo l'Apostolo lo ha affermato proprio prima). Il Padre ha conferito a Cristo podestà in cielo e sulla terra. Allo stesso modo: “Egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti” (Atti 10:42). Se è così, non è Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 197


forse una presuntuosa audacia, per chiunque, assumerci il diritto di giudicare il fratello, dato che, così facendo, egli deruberebbe il Signore Gesù Cristo della prerogativa che Lui solo ha ricevuto dal Padre? Paolo usa qui il termine “fratello” (10) proprio per sottolineare che tutti noi (nella comunità cristiana) siamo allo stesso livello e non ci è consentito ergerci al di sopra degli altri usurpando una funzione che non ci compete. È lo stesso principio stabilito da Cristo: “Voi non vi fate chiamar 'Maestro'; perché uno solo è il vostro maestro, e voi siete tutti fratelli. E non chiamate alcuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è ne' cieli. E non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra guida, il Cristo” (Matteo 23:8-10). Lo stesso afferma Giacomo: “Non parlate gli uni contro gli altri, fratelli. Chi parla contro un fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei un osservatore della legge, ma un giudice. Uno soltanto è il legislatore e il giudice, Colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?” (Giacomo 4:11). Non dobbiamo giudicare come i nostri fratelli servono il Signore, ma dobbiamo giudicare ...noi stessi! Infatti: “Non ci giudichiamo dunque più gli uni gli altri, ma giudicate piuttosto che non dovete porre pietra d'inciampo sulla via del fratello, né essergli occasione di caduta” (13, Riv.). L'Apostolo ci chiama all'umiltà e soprattutto alla considerazione: dobbiamo tendere a guadagnare, non a perdere il fratello con atteggiamenti e parole che potrebbe non capire, che lo feriscono, lo turbano, lo confondono e lo alienano. Devo giudicare se il mio zelo per la verità è controbilanciato da autentico amore. Spesso, infatti, ci autoproclamiamo profeti e strenui difensori della verità... In breve: giudichiamo prima di tutto noi stessi se ciò che diciamo e facciamo davvero riflette il carattere di Cristo, più disposto pedagogicamente a tollerare che a condannare. Spesso infatti siamo molto beMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 198


nevoli e tolleranti verso noi stessi, ci giustifichiamo troppo facilmente e non lo siamo verso gli altri. Nella comunità cristiana, dunque, dobbiamo fare molta attenzione a non sostituirci a Dio ed agli organi competenti di controllo (i legittimi responsabili della comunità). Tocca ai responsabili della comunità il sovraintendere alla crescita spirituale dei suoi membri, eventualmente intervenendo (con sapienza pedagogica) qualora effettivamente uno o più credenti si sviasse dalla fede. Tocca a loro insegnare, correggere ed eventualmente riprendere. La questione del “giudizio” ha a che fare, in ultima analisi, con la disciplina e l'ordine della comunità, cosa che tutti sono chiamati a rispettare. Preghiera. Signore Iddio, ti chiedo perdono perché spesso sono molto più tollerante con me stesso di quanto lo sia con gli altri miei fratelli e sorelle nella fede. Aiutami, Te ne prego ad avere verso di loro la considerazione che Gesù aveva per i Suoi e a verificare se ciò che faccio e dico davvero edifica e non distrugge indiscriminatamente. Amen.

59 Amore e considerazione per l'altro vengono prima di ogni altra cosa “14 Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in sé stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura. 15 Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! 16 Ciò che è bene per voi

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non sia dunque oggetto di biasimo; 17 perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. 18 Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. 19 Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione. 20 Non distruggere, per un cibo, l'opera di Dio. Certo, tutte le cose sono pure; ma è male quando uno mangia dando occasione di peccato. 21 È bene non mangiar carne, né bere vino, né far nulla che possa essere occasione di caduta al fratello. 22 Tu, la fede che hai, serbala per te stesso, davanti a Dio. Beato colui che non condanna sé stesso in quello che approva. 23 Ma chi ha dei dubbi riguardo a ciò che mangia è condannato, perché la sua condotta non è dettata dalla fede; e tutto quello che non viene da fede è peccato” (Romani 14:1423).

a fede cristiana, quando è fedele alla rivelazione biblica, si differenzia nettamente da quelle che sono le caratteristiche tipiche delle religioni di questo mondo. Non è fatta di “affascinanti rituali” e liturgie da eseguire, paramenti sacri, gesti, formule e lingue misteriose. Essa non ha luoghi sacri da visitare, immagini e sacerdoti dal potere magico, né complicate regole alimentari da seguire, particolari feste o strani precetti da osservare. La fede cristiana è essenzialmente “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (17). Indubbiamente la fede cristiana fedele alla Bibbia, com'è promossa dal Protestantesimo, favorisce la secolarizzazione, ma questo suo carattere “non religioso” è irrinunciabile. La fede cristiana ci libera dall'armamentario religioso delle religioni e da pratiche superstiziose che stabiliscono, secondo i loro discutibili criteri, ciò che è puro o impuro, benedetto o maledetto... Non è sempre facile, però, soprattutto per chi giunge a Cristo dalla religione, liberarsi seduta stante di tutto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 200


ciò a cui era abituato prima. Se prima era stato persuaso, per esempio, che mangiare carne di maiale fosse peccato, cominciare a mangiare liberamente, ora che è diventato cristiano, salame e porchetta... può essere per lui un problema ed avere scrupoli di coscienza. Lo stesso può avvenire per chi, diventato cristiano, ha timore nel liberarsi, come dovrebbe, di statue, immaginette e simboli religiosi perché privi di legittimità e potere, così come temere in modo superstizioso del presunto potere di personaggi religiosi vivi o morti che siano. Ecco così che l'apostolo torna a sottolineare con forza il principio secondo il quale camminare (comportarsi) secondo l'amore di Cristo significa tollerare chi ha scrupoli religiosi che riguardano la purezza rituale, anche se oggettivamente nulla sia impuro in sé stesso (14). Se lui pensa che una certa cosa sia impura o disdicevole, lascia per il momento che lo creda, non insistere, non scandalizzarlo, non imporgli qualcosa che ancora non può capire, non creargli problemi che potrebbero tenerlo lontano da Cristo (che è ciò che più importa). A suo tempo, crescendo nella fede, maturando, capirà e magari anche giungerà a ridere degli scrupoli e delle paure che prima aveva. Il “liberalismo” di Cristo rispetto agli scrupoli religiosi di questo mondo, non dev'essere ostentato ed imposto. Non è costruttivo deridere o condannare chi non lo condivide. Questioni rituali non devono essere oggetto di polemica non necessaria, soprattutto se si tratta di conquistare una persona al Signore e Salvatore Gesù Cristo. Ecco così ciò che sopra ogni altra cosa deve stare a cuore per un cristiano: camminare secondo amore e considerazione (15a), la priorità che ha il guadagnare una persona per Cristo (15b), contribuire sempre alla pace ed alla reciproca edificazio-

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 201


ne (19), non fare nulla che possa essere occasione di scandalo per un fratello (21). In tutto questo discorso, però, bisogna evitare tre fraintendimenti. (1) La tolleranza non riguarda le dottrine fondamentali della fede, ma le questioni secondarie che, per comprenderle e vivere, esigono una maturità che non tutti hanno; (2) L'espressione “non perdere con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto” (15) non riguarda la perdita della salvezza, ma la perdita della comunione con lui, che deve essere il più possibile preservata; (3) Questo discorso non relativizza o rende soggettiva la verità, come se qualunque cosa si credesse andasse bene, basta esserne convinti... La verità è una ed è oggettiva. Ciò che qui viene raccomandato è un approccio pedagogico alle persone che deve tenere conto di “dove siano” nel cammino di crescita nella fede e nella conoscenza. Preghiera. Signore Iddio, ti chiedo perdono per tutte quelle volte che non ho avuto amore e considerazione per gli altri e non ho avuto come obiettivo primario quello di guadagnarli per Cristo. Aiutami a contribuire sempre alla pace ed all'edificazione affinché io non faccia nulla che possa essere motivo di scandalo per qualcuno. Nel nome di Gesù. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 202


60 Le implicazioni della grazia

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1 “Or noi, che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli e non compiacere a noi stessi. 2 Ciascuno di noi compiaccia al prossimo, nel bene, a scopo di edificazione. 3 Infatti anche Cristo non compiacque a sé stesso; ma come è scritto: «Gli insulti di quelli che ti oltraggiano sono caduti sopra di me». 4 Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza. 5 Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, 6 affinché di un solo animo e d'una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. 7 Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Romani 5:1-7).

n questa sezione della lettera ai cristiani di Roma, Paolo conclude la sua argomentazione sui deboli e sui forti nella chiesa, attirando la nostra attenzione sul Signore Gesù Cristo come modello di comportamento anche in questo campo. Parafrasando, l'Apostolo dice: Noi che siamo forti nella fede, ben radicati e sicuri nelle dottrine della grazia, abbiamo l'obbligo di tollerare le incoerenze di coloro che sono “deboli”. Vi sono spesso, infatti, nelle comunità cristiane fratelli che, benché abbiano accolto Gesù come loro Signore e Salvatore, sono instabili nella fede, non abbastanza eruditi su tutte le dottrine cristiane e le loro implicazioni, spesso molto suscettibili alle seduzioni di varie tentazioni ed incoerenti in alcuni loro comportamenti. Dovremmo forse ergerci a loro giudici sempre Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 203


rimproverandoli e condannandoli, aspettandoci da loro inflessibilmente ciò che probabilmente non sono ancora in grado di fare? No, dobbiamo essere pazienti con i deboli, accompagnandoli piuttosto al loro passo, anche se lento. E poi, siamo sicuri che, rilevando costantemente queste loro debolezze, noi non lo facciamo veramente per amor loro e della verità, ma solo per noi stessi, per compiacere noi stessi? Sì, questo nostro “zelo” potrebbe essere una copertura per il nostro desiderio di metterci in mostra, per farci lodare dagli altri, per compiacerci di non essere “come loro”? Non potremmo essere così identificati nel personaggio del fariseo nella parabola di Gesù che diceva: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano” (Luca 18:11). Dovremmo verificare bene noi stessi quando critichiamo ed accusiamo ergendoci a giudici e maestri. Certo, i “deboli” non sono coerenti, ma lo siamo noi, per altro, sotto altri aspetti? Noi che magari ci consideriamo “forti”, maturi, magari proprio nel nostro atteggiamento non paziente, non amorevole, manchiamo proprio di essere “all'altezza” di Gesù, in linea con lo spirito con il quale Egli si rapportava agli altri? Sì, dovremmo pensare a come aiutarli, a come promuovere ed edificare in loro ciò di cui sono carenti, mirare al loro bene. Questo è il modo cristiano di fare. Dovremmo sempre cercare veramente ciò che edifica la comunità. Non dobbiamo cercare (come spesso avviene in questi casi in modo più o meno esplicito) le lodi per noi stessi... Dovremmo seguire Cristo, il quale, pur avendo diritto alla lode, spesso era rimproverato e non cercava nemmeno di difendersi. Dobbiamo seguire l'esempio degli uomini e delle donne di Dio dei quali ci parla la Bibbia, la cui testimonianza scritta è stata intesa per noi, per la nostra istruzione ed incoraggiamento, per Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 204


infonderci la speranza che tutti i propositi di Dio avranno certo compimento. È una vera medicina contro l'ansia e lo zelo malinteso. È l'atteggiamento della fiducia costruttiva. Dovremmo prendere particolarmente a cuore la crescita qualitativa della nostra comunità cristiana. Essa, infatti, non cresce con le critiche indiscriminate o con atteggiamenti, da parte di alcuni di pretesa superiorità, ma con il nostro paziente ed amorevole contributo. Dovremmo promuovere l'armonia della vita comunitaria affinché Dio ne sia glorificato. Dovremmo accogliere gli altri come Cristo ci ha accolto, accettandoci immeritevoli come eravamo ed accompagnandoci nel cammino della fede in modo paziente ed amorevole. Quanti difetti noi stessi avevamo quando Cristo ci ha chiamato per la prima volta ad appartenergli, e quanti ne abbiamo ancora che devono essere aggiustati! Di fatto noi e le nostre comunità, benché ci si possa vantare di tante cose (e non abbiamo difficoltà a pensarlo ed a farlo) non abbiamo abbastanza compreso in che modo la grazia, e le dottrine che la riguardano, sia qualcosa che veramente deve determinare il modo che abbiamo di considerare noi stessi e di trattare con gli altri. La nostra crescita spirituale può essere ancora un lungo cammino. Preghiera. Signore Iddio, fammi vedere chiaramente in me stesso, dove io sbaglio, dove io non sono all'altezza di Cristo nel Suo modo di essere, di pensare, di parlare, di comportarsi. Aiutami a comprendere e praticare ciò che è di reale edificazione della comunità cristiana. Aiutami a comprendere ed a praticare tutte le dimensioni dell'amore. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 205


61 L'Evangelo dell'accoglienza di Dio

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8 “Infatti io dico che Cristo è diventato servitore dei circoncisi a dimostrazione della veracità di Dio per confermare le promesse fatte ai padri; 9 mentre gli stranieri onorano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti celebrerò tra le nazioni e canterò le lodi al tuo nome». 10 E ancora:v«Rallegratevi, o nazioni, con il suo popolo». 11 E altrove: «Nazioni, lodate il Signore; tutti i popoli lo celebrino». 12 Di nuovo Isaia dice: «Spunterà una radice di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni; in lui spereranno le nazioni». 13 Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo” (Romani 15:8-12).

'esortazione che l'Apostolo fa al versetto 7: “Accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” trova la sua migliore illustrazione nel modo in cui Dio ha accolto presso di Sé, come Suoi figli adottivi, prima gli ebrei e poi gente d'ogni nazione. Tutto questo è l'espressione della stupefacente grazia di Dio verso i peccatori, cosa che l'Apostolo non cessa di rilevare e che noi non dovremmo prendere per scontata. Esaminiamo noi stessi attentamente per vedere quali pregiudizi e discriminazioni noi stessi tolleriamo apertamente o coltiviamo nel nostro cuore. Sono essi compatibili con quanto affermiamo al riguardo della grazia di Dio e con il modo in cui Dio stesso ci ha accolto? Consideriamo Cristo, che si è umiliato tanto da diventare il servitore di Dio per la salvezza di Israele (“i circoncisi”), dimostrando la veracità di Dio nell'adempire fedelmente alle proMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 206


messe che erano loro state fatte ai loro padri nella fede. Consideriamo come molti siano coloro che, provenendo da altre nazioni, ora onorino Dio a causa della Sua misericordia verso di loro in quello stesso Cristo. Tutto questo è ben documentato nell'Antico Testamento, e Paolo ne cita diversi esempi tratti dai Salmi e dai profeti. È a questo punto che Paolo eleva a Dio una Preghiera affinché Egli dia loro quelle benedizioni (gioia e pace) che provengono proprio dalla fedele applicazione pratica, nella loro comunità, del principio della grazia: “Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo” (13). Per questo è essenziale, Paolo se ne rende conto, dell'intervento potente di Dio in loro. Semplici esortazioni, infatti, non sarebbero sufficienti, lascerebbero il tempo che trovano. Se Dio non intervenisse direttamente sfidando i nostri pregiudizi e portandoci a ravvedercene e ad abbandonarli, le nostre comunità cadrebbero ben presto in conflitti tali da renderne impossibile la sopravvivenza. Quando questo avviene, è perché di fatto Egli n'è stato estromesso. Da notare come nella Preghiera (questo non risulta bene nella traduzione che usiamo) di fatto si dica: “Credendo [nell'esercizio della nostra fede] il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede”. È agendo sollecitati dallo Spirito Santo, sulla base della grazia ricevuta che noi otteniamo il risultato che Dio si aspetta da noi, “i frutti dello Spirito” (“Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” Galati 5:22). Preghiera. Signore Iddio, che io giammai cessi di stupirmi per la grazia che mi hai elargito in Cristo. Ti lodo e ti benedico perché le Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 207


Tue antiche promesse sono fedeli e veraci. Sospingimi ad essere sempre meglio Tuo testimone e fedele servitore. Amen.

62 La competenza dell'Apostolo rivendicata “14 Ora, fratelli miei, io pure sono persuaso, a vostro riguardo, che anche voi siete pieni di bontà, ricolmi di ogni conoscenza, capaci anche di ammonirvi a vicenda. 15 Ma vi ho scritto un po' arditamente su alcuni punti, per ricordarveli di nuovo, a motivo della grazia che mi è stata fatta da Dio, 16 di essere un ministro di Cristo Gesù tra gli stranieri, esercitando il sacro servizio del vangelo di Dio, affinché gli stranieri diventino un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17 Ho dunque di che vantarmi in Cristo Gesù, per quel che concerne le cose di Dio. 18 Non oserei infatti parlare di cose che Cristo non avesse operato per mio mezzo allo scopo di condurre i pagani all'ubbidienza, con parole e opere, 19 con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito Santo. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria ho predicato dappertutto il vangelo di Cristo, 20 avendo l'ambizione di predicare il vangelo là dove non era ancora stato portato il nome di Cristo, per non costruire sul fondamento altrui, 21 ma com'è scritto: «Coloro ai quali nulla era stato annunziato di lui, lo vedranno; e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno»” (Romani 15:14-21).

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a lettera che l'apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma, si sta avviando qui alla sua conclusione. Nell'inizio di questo suo epilogo notiamo come ancora egli risponda alle possibili obiezioni dei suoi lettori, qui rivolte, in modo particolare, alla sua persona. Qualcuno avrebbe potuto Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 208


dirgli: “Come ti permetti, tu che neppure ci conosci, intervenire in questo modo nella vita della nostra comunità, sindacando sul comportamento dell'uno e dell'altro, comandando, consigliando, giudicando ed usando espressioni spesso pure piuttosto dure?”. Ecco così che Paolo si giustifica, legittimando il proprio operato. (1) “Io sono un ministro di Cristo, stabilito da Dio per diffondere l'Evangelo tra i non ebrei (“gli stranieri”, i “Gentili”) e per sovraintendere alla vita delle comunità cristiane nate fra di loro, consolidandole per la Sua gloria”. La mia funzione è ampiamente riconosciuta e sanzionata. Egli chiama questo “il sacro servizio del vangelo di Dio” (16). (2) “Voi di Roma siete una fra le tante comunità di cui io, partendo da Gerusalemme, mi sono occupato ed ho visitato (19), non mi occupo, quindi, solo di voi, anche se occupate, dimorando nella capitale dell'impero, una posizione chiave e quindi di particolare responsabilità”. (3) “Non intendo minimamente sostituirmi ai vostri legittimi conduttori, tant'è vero che preferisco di solito operare in zone in cui ancora non è stato portato il nome di Cristo, proprio per non interferire indebitamente con il loro lavoro “costruendo sul fondamento altrui”. In quanto dico e faccio io rimango nei limiti delle mie competenze”. La sua “ambizione” primaria è far conoscere Cristo là dov'è ancora sconosciuto (20, 21). (4) “Quando affermo la mia identità e funzione di Apostolo, non è per vantarmene o per imporre un potere personale. A questo servizio io sono pienamente qualificato. Non oserei, in-

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fatti, parlare di cose che Cristo non avesse operato per mio mezzo … con la potenza di segni e di prodigi e dello Spirito Santo (18,19). (5) “Vi ho scritto su alcuni punti 'in modo ardito', duro, non perché certo siate tutti da condannare. Ho trattato di alcune questioni problematiche della vita della vostra comunità, ma sono persuaso che la maggior parte di voi sia veramente esemplare quanto a bontà e conoscenza, 'capaci anche di ammonirvi a vicenda'”. L'apostolo non ignora quel che di positivo c'è fra di loro, anzi, lo loda e valorizza. Le lezioni che noi possiamo trarre dalle argomentazioni che l'Apostolo fa in questo testo sono diverse. (1) La sua umile fermezza: sa chi è e quale sia il compito che deve svolgere. Non lo afferma con arroganza, ma intende farsi rispettare senza lasciarsi intimidire. (2) Le comunità cristiane non possono essere intese come completamente autosufficienti ed indipendenti. Hanno indubbiamente la loro autonomia che deve essere rispettata, ma la loro opera e testimonianza è interconnessa e comune con le altre comunità cristiane. L'idea di sovraintendenza e vigilanza su di esse è del tutto legittima. Esse non sono responsabili solo verso Dio e verso sé stesse, ma devono rimanere in coordinamento anche con le altre. (3) Le comunità cristiane devono conservare un atteggiamento costruttivamente critico verso sé stesse. Del tutto legittima è “l'ammonizione vicendevole”, benché essa debba essere condotta nello spirito e secondo la legge di Cristo. Obiettivo deve essere l'edificazione, da portarsi avanti in modo “strategicamente appropriato”. (4) Nessuno deve presumere di parlare senza averne titolo e la necessaria competenza per farlo. Conoscenza ed esperienza sono gli indispensabili requisiti di chi vorrebbe intervenire soprattutto per quanto riguarda l'Evangelo, la dottrina cristiana e la vita di altri credenti. Troppo spesso, fra i cristiani, c'è chi parla Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 210


a sproposito e senza averne diritto e sanzione. Arrogarsi dei diritti che non competono loro, spesso sulla base di presunte rivelazioni private è da biasimare, benché indubbiamente vi siano persone che riescono legittimamente ad assurgere a posizioni di responsabilità e potere senza avere avuto alcuna esperienza della potenza dello Spirito Santo in loro. Preghiera. Signore Iddio, piega in me ogni presunzione affinché io mi sottometta volentieri alla Tua autorità, quella che Tu esprimi attraverso gli scritti degli apostoli e dei profeti canonici ed attraverso il servizio legittimato di coloro che Tu hai chiamato per prendersi cura del Tuo gregge. Che io accetti, o Signore, come proveniente da Te, la riprensione di chi dà prova di competenza ed esperienza. Amen.

63 Debiti di riconoscenza 22 “Per questa ragione appunto sono stato tante volte impedito di venire da voi; 23 ma ora, non avendo più campo d'azione in queste regioni, e avendo già da molti anni un gran desiderio di venire da voi, 24 quando andrò in Spagna, spero, passando, di vedervi e di essere aiutato da voi a raggiungere quella regione, dopo aver goduto almeno un po' della vostra compagnia. 25 Per ora vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi, 26 perché la Macedonia e l'Acaia si sono compiaciute di fare una colletta per i poveri che sono tra i santi di Gerusalemme. 27 Si sono compiaciute, ma esse sono anche in debito nei loro confronti; infatti se gli stranieri sono stati fatti partecipi dei loro beni spirituali, sono anche in obbligo di aiutarli con i beni materiali. 28 Quando dunque avrò compiuto questo servizio e consegnato il frutto di questa colletta, andrò in Spagna passando da voi; 29 e so che, venendo da voi, verrò con la Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 211


pienezza delle benedizioni di Cristo” (Romani 16:22-29).

N

ella parte finale della lettera ai cristiani di Roma, non troviamo più discussioni ma riferimenti personali, biografici, dell'Apostolo. Informa loro dei viaggi missionari che sta facendo e dei luoghi che ancora intende visitare. Passa poi a una lunga lista di saluti per persone che risiedevano a Roma e che egli conosce personalmente. Spunti di riflessione, però, non sono per noi assenti e quelli cercheremo di evidenziare oggi e nei prossimi giorni. Al versetto 25 egli menziona che deve recarsi a Gerusalemme “a rendere un servizio ai santi”. Il “servizio” di cui parla è di tipo pratico e la cosa è non meno importante del servizio che egli rende evangelizzando, predicando ed insegnando. Ai cristiani di Gerusalemme (i “santi” di cui qui parla, intesi come persone consacrate a Dio) egli porta il denaro che ha raccolto durante i suoi viaggi missionari, generosamente offerto dai credenti per i poveri di Gerusalemme. Egli considera questo un “debito di riconoscenza” che i cristiani di origine pagana devono agli Israeliti. Essi “sono ... in debito nei loro confronti; infatti se gli stranieri sono stati fatti partecipi dei loro beni spirituali, sono anche in obbligo di aiutarli con i beni materiali” (27). I cristiani d'origine pagana [ancora noi oggi] si avvalgono di inestimabili beni spirituali che appartengono, o comunque provengono, da Israele. La storia di Israele con i personaggi che ne sono stati protagonisti, ancora Dio sceglie di usarla come esempio (in positivo ed in negativo) per nostra istruzione. I tesori di spiritualità come i Salmi rimangono per i cristiani al centro delle loro espressioni di culto. La sapienza delle leggi e dei proverbi di Israele guida la nostra vita. Il messaggio degli antichi profeti di Israele continua a portarci, inalterata e Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 212


rilevante, la Parola di Dio. Il dono più grande che ci è stato fatto attraverso Israele, è ovviamente Gesù di Nazareth, il Cristo, il nostro Signore e Salvatore. Abbiamo indubbiamente di cui essere riconoscenti. Per dimostrare riconoscenza, però, non basta dire “grazie” con la nostra bocca, ma dobbiamo farlo concretamente anche con il nostro denaro, se questo ci è possibile. I primi cristiani, benché spesso con scarse risorse materiali essi stessi, contribuivano generosamente al sostentamento dei poveri di Gerusalemme. Molti cristiani hanno continuato ad aiutare e sostenere gli ebrei quando, lungo la storia, erano ingiustamente perseguitati. Ancora oggi l'opportunità di essere riconoscenti verso gli ebrei non manca. In che modo continuiamo a farlo? In ogni caso, sostenere i poveri ed i bisognosi fa parte integrante della vita cristiana, al cui cuore stesso sta il concetto di condivisione. Non solo i cristiani “si compiacciono” di aiutare i bisognosi (non è un peso, ma un piacere), ma lo considerano loro preciso dovere. L'amore, per il cristiano, non è qualcosa di astratto o sentimentale, ma si concretizza in atti sostanziali di solidarietà. Il Signore Gesù stesso, come vediamo nei vangeli, era costantemente impegnato “nel sociale” per sovvenire ai bisogni materiali della gente. La vita cristiana certo non si riduce alla solidarietà sociale, ma certamente la include. La buona notizia dell'Evangelo non è fatta soltanto dell'annuncio delle benedizioni spirituali che ci provengono dal Cristo, accolto con fede, ma si manifesta ogni qual volta vi sono persone che, dopo aver accolto nella loro vita Gesù di Nazareth come loro Signore e Salvatore, Lo seguono imitandolo nel beneficare il loro prossimo. Questo può e deve essere fatto condividendo con i bisognosi le nostre risorse materiali, ma anche impegnandoci nel volontariato per sostenere in vario modo, bambini, malati, invalidi ed anziani. Le opportunità per manifestare Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 213


concretamente l'amore di Cristo intorno a noi sono infinite, basta avere occhi per vedere, quella sensibilità che Dio acuisce in noi quando ci rigenera spiritualmente. Il “volere” ed il “fare” che Dio suscita in noi quando giungiamo alla conversione a Cristo, non riguarda soltanto “l'impegno religioso” (strettamente parlando), ma anche “l'impegno sociale” che potrebbe altresì assumere dimensioni politiche. Si potrebbe così dire che “la pienezza delle benedizioni di Cristo” la si ottiene non solo quando di tutto cuore ci affidiamo a Lui per la nostra salvezza, ma quando lo seguiamo praticando tutti i valori di cui Egli era e rimane espressione. Infatti: “In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"" (Atti 20:35). Preghiera. Signore Iddio, perdonami: quante scuse e giustificazioni spesso trovo per non occuparmi fattivamente per i bisognosi che incontro sulla mia strada. Tante volte nemmeno li vedo o faccio finta di non vederli! Acuisci in me, te ne prego, la sensibilità ad essere non soltanto impegnato “a livello religioso”, ma anche a livello sociale. Darò quindi maggiore evidenza, oltre alle mie parole, di essere veramente tuo discepolo. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 214


64 Combattere nelle preghiere 30 “Ora, fratelli, vi esorto, per il Signore nostro Gesù Cristo e per l'amore dello Spirito, a combattere con me nelle preghiere che rivolgete a Dio in mio favore, 31 perché io sia liberato dagli increduli di Giudea, e il mio servizio per Gerusalemme sia gradito ai santi, 32 in modo che, se piace a Dio, io possa venire da voi con gioia ed essere confortato insieme con voi. 33 Or il Dio della pace sia con tutti voi. Amen” (Romani 15:30-33).

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esù passava molto del Suo tempo in Preghiera, così facevano uomini e donne di Dio, quelli più attivi, efficaci, rilevanti... Che la Preghiera, allora, sia importante nella vita del cristiano? Ovviamente. È una lezione che ancora dobbiamo imparare e, dopo averla imparata, continuare ad approfondirla. Temo infatti che molti fra noi moderni ancora non abbiamo sufficiente consapevolezza dell'importanza della Preghiera e spesso non sappiamo come pregare. “Gesù era stato in disparte a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: 'Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli'” (Luca 11:1). L'apostolo Paolo, nel testo di oggi parla della Preghiera come di un combattimento e presuppone che la Preghiera fatta insieme ad altri fratelli e sorelle nella fede sia essenziale per poter prevalere contro le potenti forze di opposizione che vorrebbero pregiudicare la sua missione, l'opera dei servitori di Dio in questo mondo per l'avanzamento del Suo regno.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 215


“...vi esorto... a combattere con me nelle preghiere che rivolgete a Dio”. Dall'originale termine “combattere” derivano i nostri concetti di “agonia” ed “agonismo”, concetti che pochi oggi forse assocerebbero alla Preghiera. La Preghiera, allora, diventa espressione di una “strenua resistenza” contro le forze spirituali della malvagità che si avvalgono degli empi e degli increduli per sferrare i loro attacchi contro i figli di Dio. Siamo di fronte ad un fenomeno simile a quello che spesso accade in politica. È come quando una forza di opposizione politica usa ogni mezzo, lecito ed illecito, per distruggere chi sta al potere e chi lo appoggia. Al potere c'è Dio e i Suoi servitori operano con Lui e per Lui. Credete forse che le forze spirituali avverse a Dio si lascino impressionare per questo? Non si danno pace, non tollerano di vedere Dio agire e prevalere. No, sono pronte a tutto pur di infliggere a Dio ed a chi Lo serve i maggiori danni possibili. Notate come l'arma che Paolo usa ed esorta ad usare contro “gli increduli di Giudea” che attentano alla sua persona ed all'efficacia della sua azione, sia la Preghiera e non tanto la polemica verbale o strategie di altro tipo (benché gli avversari di Paolo non esitino ad usare contro di lui la diffamazione, la violenza fisica e persino i complotti per assassinarlo). Sì, perché, “il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Efesini 6:12). Si tratta essenzialmente di potenze spirituali quelle che operano in questo mondo per pregiudicare e distruggere l'opera di Dio e dei Suoi servitori e ministri: per questo esse non possono che essere avversate attraverso altrettanta potenza spirituale, quella della Preghiera, che si rivela più forte ancora. Non sappiamo spiegare molto bene come, ma evidentemente la Preghiera libera e mette in azione energie spirituali tali da Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 216


contrastare efficacemente le forze del male, crea un'atmosfera che rende “irrespirabile” la loro aria. Le forze spirituali della malvagità, infatti, vivono della “aria mefitica” che esse stesse producono. Non a caso la Scrittura parla di Satana come del “principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli” (Efesini 2:2). Evidentemente siamo qui di fronte a quella realtà che solo chi è spiritualmente cieco nega. Di essa, però, oggi i figli di Dio hanno spesso una consapevolezza alquanto limitata. Per questo è quanto mai opportuno che noi chiediamo al Signore: “Insegnaci a pregare” e “rendici meglio consapevoli della realtà delle cose spirituali, della potenza di Satana e, soprattutto della potenza della Preghiera come l'arma che Tu ci metti a disposizione e vuoi che usiamo per agire in questo campo”. Da sottolineare, poi, sulla base di quanto l'Apostolo ci dice oggi, come il combattimento spirituale non debba essere condotto in modo solitario, ma insieme ai nostri fratelli e sorelle nella fede. Si tratta, infatti, di un combattimento da fare assieme: allora sarà particolarmente efficace. È vero: questo tipo di realtà fa sorgere nella nostra mente ogni sorta di domande e per alcuni è particolarmente “problematico”. Che importa, però, se non riusciamo a capire tutto, che importa se non riusciamo ad inquadrare la realtà della Preghiera e della dimensione spirituale della realtà in categorie “razionali”? Non facciamoci troppe domande sulla Preghiera, ma preghiamo come ci esorta a fare l'Apostolo, anzi, come egli ci scongiura a farlo “per il Signore nostro Gesù Cristo e per l'amore dello Spirito”. È come se dicesse: “Se amate e seguite il Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo, combattiamo insieme nella Preghiera. Se amate Dio e volete che il Suo regno venga e Satana sia sconfitto, preghiamo insieme. Se amate me e credete che la mia opera per il Signore sia importante e debba avanzare per il mondo, pregaMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 217


te!”. “Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Matteo 18:20); “E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (Matteo 18:19). Preghiera. È quanto mai opportuno e necessario, o Signore, non solo che io termini questa mia riflessione quest'oggi con la Preghiera, ma che io ti chieda di poter avere maggiore consapevolezza della sua importanza ed effetti. Signore, io non so pregare come si conviene, insegnamelo, Te ne prego. Fa che io utilizzi, insieme ai miei fratelli e sorelle nella fede, tutte le risorse spirituali che Tu ci metti a disposizione non solo per sopravvivere spiritualmente in questo mondo, ma per prevalere. Te lo chiedo nel nome e per i meriti del Tuo Figlio Gesù Cristo, mio Signore e Salvatore. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 218


65 Non solo saluti... 1 “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, 2 perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi, e le prestiate assistenza in qualunque cosa ella possa aver bisogno di voi; poiché ella pure ha prestato assistenza a molti e anche a me. 3 Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù, 4 i quali hanno rischiato la vita per me; a loro non io soltanto sono grato, ma anche tutte le chiese delle nazioni. 5 Salutate anche la chiesa che si riunisce in casa loro. Salutate il mio caro Epeneto, che è la primizia dell'Asia per Cristo. 6 Salutate Maria, che si è molto affaticata per voi. 7 Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia, i quali si sono segnalati fra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me. 8 Salutate Ampliato, che mi è caro nel Signore. 9 Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. 10 Salutate Apelle, che ha dato buona prova in Cristo. Salutate quelli di casa Aristobulo. 11 Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli di casa Narcisso che sono nel Signore. 12 Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore. Salutate la cara Perside che si è affaticata molto nel Signore. 13 Salutate Rufo, l'eletto nel Signore e sua madre, che è anche mia. 14 Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma, e i fratelli che sono con loro. 15 Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpa e tutti i santi che sono con loro. 16 Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Tutte le chiese di Cristo vi salutano” (Romani 16:1-16).

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 219


Q

uali insegnamenti e riflessioni si potrebbero trarre dall'elenco di saluti finali di una lettera? Indubbiamente diversi, perché nulla nelle Sacre Scritture è stato lasciato al caso e da considerarsi superfluo. Possiamo notare, prima di tutto, il ruolo di pari dignità delle donne nell'ambito della chiesa cristiana, considerate sia singolarmente che in coppia con un uomo. Non troviamo in questo elenco alcuna indicazione di un ruolo subordinato delle donne, che qui occupano, al contrario, anche ruoli di protagoniste nell'opera del Signore e di conduzione di comunità. Febe (diaconessa), da ricevere “in modo degno dei santi”, Prisca (collaboratrice di Paolo, menzionata prima di Aquila, suo marito, che hanno rischiato la vita per la loro fede), Maria “che si è molto affaticata” per i cristiani di Roma, Giunia (che, con Andronico, si è segnalata come apostolo), Trifosa e Perside (che pure si sono “affaticate” nel Signore, Giulia, e Olimpa. Questa particolare dignità della donna cristiana non è stata spesso gradita ed apprezzata da molti cristiani nel corso della storia. Ancora oggi vi è ancora chi, ostinatamente legato a stereotipi culturali subordinazionisti, “si affatica” non tanto, come dovrebbe, a sostenere la pari dignità cristiana ed evangelica della donna con l'uomo, ma a torcere in tutti i modi le Scritture stesse per giustificare i suoi pregiudizi. Testimonianza ne è il nostro testo stesso: durante il Medioevo, infatti, al versetto 7, si trasforma il nome Andronico e Giunia in “Andronico e Giuniano” non sopportando che una donna fosse considerata allora “apostolo”, secondo la migliore traduzione: “Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me” (CEI). Il concetto, infatti, “Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28), implica non soltanto pari dignità, ma anMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 220


che pari opportunità nel ministero cristiano. È una lezione che ancora oggi molti devono imparare. Un secondo concetto che mi sembra importante in questo brano si trova nel versetto 5: “Salutate anche la chiesa che si riunisce in casa loro”. Per essere chiesa non è essenziale il tradizionale “edificio ecclesiastico”. Sempre di più oggi giustamente si apprezzano i vantaggi del gruppo di cristiani che si riunisce in una casa privata per pregare, studiare la Bibbia e per sviluppare quella comunione fraterna che le grandi assemblee o la “partecipazione anonima al culto” non permettono. Vi sono oggi comunità cristiane con molti membri che intenzionalmente si suddividono in gruppi locali proprio per perseguire una qualità maggiore della vita cristiana individuale e comunitaria. In molte situazioni di persecuzione della fede cristiana, sono le “chiese domestiche” a garantire la continuità della chiesa. In una società sempre più secolarizzata, inoltre, la trasmissione della fede può avvenire in modo molto più efficace allorché un singolo od una famiglia cristiana invita in casa propria amici, parenti e vicini per condividere con loro l'Evangelo. Le paure di coloro che con le “chiese domestiche” temono l'insorgere del “settarismo”, sono totalmente infondate se esse rimangono aperte verso l'esterno, in comunione con altre chiese e gruppi, condotte con competenza e, quel che più importa, radicate nella sana dottrina biblica. Le “chiese domestiche” sono completamente legittimate dalla pratica dei cristiani riflessa negli scritti del Nuovo Testamento che, anche in questo caso, deve esserci di esempio. Non si può, infine tralasciare di considerare, nel nostro testo, il ripetuto riferimento ad uomini e donne che “si affaticano” nell'opera del Signore, che vi si impegnano con diligenza. È una lezione importante: l'opera della promozione della fede cristiaMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 221


na non era e non deve essere affidata soltanto alle persone a questo “specializzate”, a ministri di culto ordinati soltanto. Apostoli, pastori, evangelisti, dottori... non erano i soli ad impegnarsi nell'opera della chiesa. A Roma c'era chi aveva preceduto l'Apostolo nell'opera evangelistica e che continuavano ad essere responsabili. I “semplici credenti” non solo sono importanti nell'opera della chiesa, ma essenziali. Nella chiesa siamo tutti “laici” ed impegnati, ciascuno secondo i doni ricevuti. Preghiera. Ti ringrazio, Signore Iddio, dei talenti e delle responsabilità che Tu hai affidato a uomini e donne; anche a me! Tu mi chiami ad essere attivamente al Tuo servizio nel luogo dove mi trovo e mi fornisci di tutte le risorse adatte a portare avanti efficacemente il mio ministero insieme ai miei fratelli e sorelle nella fede. Voglio aprire la mia casa affinché diventi altresì il Tuo tempio per promuovere il Tuo Regno. Aiutami a realizzare questo nel modo migliore e con impegno, secondo l'esempio di tanti cristiani nel corso della storia ed ancora oggi che non hanno avuto paura di affaticarsi per Te. Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 222


66 Attenzione agli agenti provocatori!

L

17 “Ora vi esorto, fratelli, a tener d'occhio quelli che provocano le divisioni e gli scandali in contrasto con l'insegnamento che avete ricevuto. Allontanatevi da loro. 18 Costoro, infatti, non servono il nostro Signore Gesù Cristo, ma il proprio ventre; e con dolce e lusinghiero parlare seducono il cuore dei semplici. 19 Quanto a voi, la vostra ubbidienza è nota a tutti. Io mi rallegro dunque per voi, ma desidero che siate saggi nel bene e incontaminati dal male. 20 Il Dio della pace stritolerà presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi” (Romani 16:17-20).

'apostolo Paolo, nel terminare la sua lettera ai cristiani di Roma, passa in rassegna, salutandoli uno per uno, diversi fra loro che egli conosce personalmente. Improvvisamente, però, interrompe questa lista di saluti come se si rendesse conto che, nonostante siano una comunità sana ed esemplare, devono essere avvertiti sulla concreta possibilità che, se non vigilano diligentemente, “persone problematiche” la possano turbare e danneggiare. Potrebbe trattarsi di problemi caratteriali di alcuni fra i loro membri, o addirittura, persone che con malizia si insinuano consapevolmente fra di loro con l'intenzione di danneggiare la comunità. Indubbiamente l'avversario di Dio, Satana, non se ne sta tranquillo a guardare l'opera di una comunità cristiana. Non può sopportare, infatti, che essa diligentemente promuova il regno di Dio e addirittura si distingua per le sue virtù. Ecco così che Satana manipola “le persone giuste” per guastare l'opera della comunità . I suoi responsabili non possono permettersi di “abbassare la guardia”, devono pastoralmente vigilare, pronti, all'occorrenza, a Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 223


conservare la disciplina della comunità, quella stabilita dalla Parola di Dio. L'Apostolo qui identifica due tipi di “potenziali piantagrane”: (1) le persone contenziose e settarie, sempre pronte a litigare, a polemizzare, coloro che “provocano le divisioni”, e (2) le persone che “provocano scandali” atti a discreditarla, ad infangare il buon nome della comunità. Sembra persino impossibile, ma ci sono “in giro” veri e propri “agenti provocatori”, “mine vaganti” che si nascondono sotto apparenze religiose e “rispettabili” e che, quando non si insinuano proditoriamente nella comunità stessa, attraggono abilmente a sé “il cuore dei semplici”, con discorsi suadenti, un “lusinghiero parlare”. Presentandosi, magari, come (apparenti) difensori della verità, calunniano singoli credenti e ministri di Dio con accuse palesi o insinuazioni, tendono tranelli, “mettono in giro voci”, inducono sospetti, ecc.. Perché lo fanno? I motivi possono essere tanti: per gelosia, per malanimo, per vendicarsi, per spirito di parte, per dare corda a pregiudizi, per loro idee fisse che vorrebbero far prevalere o perché hanno un'idea del tutto personale di come debbano essere le cose, oppure “semplicemente” perché “la testa non gli funziona”. L'Apostolo indica come la motivazione del loro comportamento: “servono il loro ventre”, cioè lo fanno per i loro interessi privati, egoistici. Non si tratta necessariamente di un profitto economico, ma di un qualche loro vantaggio, fosse anche solo il proprio autocompiacimento, la soddisfazione del proprio io, la fama, il proprio nome. È necessario, così, allontanarsi da questi “agenti provocatori”, non bisogna loro “dare corda”, devono essere emarginati, neutralizzati, bisogna “gettare acqua sul loro fuoco”, rifiutare di Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 224


ascoltarli per essere saggi e rimanere “incontaminati dal male”, fedeli all'insegnamento ricevuto. Le tecniche usate da questi “piantagrane” possono essere molto sottili. Potrebbero tentare di pregiudicare l'unità della fede, ma anche, in una situazione di frammentazione come quella attuale, presentarsi come fautori di pace e di unità! Su quale base, però? Non sulla verità (“l'insegnamento che avete ricevuto” v. 17), ma, magari, su un “vangelo” ridotto ai minimi termini che relativizza le dottrine, sulla base dell'autorità di uomini, su esperienze mistiche, su dottrine non bibliche. In entrambi i casi (provocando divisioni, o promuovendo unità su basi errate) il loro scopo è quello di sovvertire la chiesa e neutralizzarne l'opera. Ecco quindi, la necessità della vigilanza (“tener d'occhio”) da parte dei cristiani ubbidienti alla verità e dei legittimi responsabili delle comunità cristiane, sicuri che “Il Dio della pace stritolerà presto Satana sotto i vostri piedi” secondo la promessa di Genesi 3:15 “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno”, dove Gesù, la Parola di Dio, è “progenie di lei”. Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio degli avvertimenti che mi dai attraverso la Tua Parola. Che io non sia ingenuo ma vigilante in un mondo dove ancora Satana si aggira come un leone famelico in cerca di chi poter sbranare. Tienimi lontano dalle seduzioni di coloro che cercano di provocare divisioni e scandali. Conservami nell'ubbidienza dell'insegnamento ricevuto dai Tuoi profeti ed apostoli, Amen.

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 225


67 A Dio sia la gloria per ogni cosa

L

“21 Timoteo, mio collaboratore, vi saluta e vi salutano anche Lucio, Giasone e Sosipatro, miei parenti. 22 Io, Terzio, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore. 23 Gaio, che ospita me e tutta la chiesa, vi saluta. Erasto, il tesoriere della città e il fratello Quarto vi salutano. 24 [La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Amen.] 25 “A colui che può fortificarvi secondo il mio vangelo e il messaggio di Gesù Cristo, conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, 26 ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio, a tutte le nazioni perché ubbidiscano alla fede, 27 a Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Romani 16:21-27).

a lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma ora veramente giunge alla conclusione. Dopo i saluti “a”, abbiamo i saluti “da”. L'apostolo Paolo non opera da solo: è accompagnato da valenti collaboratori. Questa stessa lettera è stata dettata ad un segretario, Terzio, perché probabilmente (come risulta anche da altre lettere), Paolo ha problemi di vista ed allora non esistevano occhiali. La lettera chiude con quella che, in termini tecnici, si chiama “dossologia”, l'attribuzione di ogni cosa, della lode e della gloria a Dio. Non può esservi migliore conclusione per una lettera che ha esposto a così chiare lettere una dottrina che ancora oggi molti fanno fatica ad accettare, persino in campo cristiano. Tutto deriva da Dio ed è finalizzato a Dio. Egli è l'artefice di ogni cosa ed il sostenitore di ogni cosa. Anche la salvezza Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 226


della creatura umana dal peccato che pregiudica la sua vita, temporale ed eterna, appartiene a Dio, dipende da Lui, dal principio alla fine, e non da noi. Sebbene le creature umane abbiamo, relativamente parlando, spazi di libertà e di autonomia, tutto ciò che siamo, facciamo, decidiamo dipende da Dio. È insensato pretendere che sia altrimenti. Possiamo e dobbiamo mettere Dio davanti a tutto il campionario delle preposizioni che usiamo in italiano: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra... Difatti, il significato grammaticale stesso di “preposizione” è “Parte invariabile del discorso che unisce due unità sintattiche in un rapporto di subordinazione” e, nel nostro caso, la parte subordinante è Dio. Si tratta davvero di una grazia stupefacente, da parte di Dio, renderci partecipi della luce dell'Evangelo, noi che, come i cristiani di Roma di quel tempo, apparteniamo alle “nazioni” e siamo così giunti all'ubbidienza della fede. Questa dossologia magnifica ed esalta una tale grazia per rafforzare la nostra fiducia affinché, con il cuore rivolto a Dio, noi possiamo pienamente attenderci tutte quelle cose che qui sono attribuite a Lui e possiamo confermare la nostra speranza in ciò che verrà contemplando i benefici ricevuti nel passato. L'Apostolo attribuisce ogni gloria a Dio soltanto e poi, per mostrare come giustamente Gli sia dovuta, menziona alcuni dei Suoi attributi, attraverso i quali appare come Egli solo sia degno di ogni lode. Dio è “unico in saggezza”: confidare, infatti, per questo in noi stessi o in chiunque altro, prima o poi ci deluderà. Aggiungendo nel v. 25 che Dio può fortificarci (letteralmente: “Egli ha il potere di renderci stabili nella fede”), questo ci rende ancora più certi della nostra perseveranza fino alla fine. Affinché, poi, ancor meglio possiamo trovare la nostra pace nel Suo potere, l'Apostolo aggiunge che questo è abbonMeditazioni sull'epistola ai Romani, p. 227


dantemente confermato “nel vangelo e nel messaggio di Gesù Cristo.” L'Evangelo, infatti, non solo ci promette la grazia per l'oggi, ma ci dà la sicurezza che essa durerà per sempre. Essa non ci sarà mai tolta, perché nell'Evangelo Dio ci è annunciato come Padre, non solo al presente, ma fino alla fine. La nostra adozione come figli di Dio si estenderà persino oltre la morte, perché ci condurrà ad un'eredità eterna. Altre cose, poi, qui sono menzionate per raccomandare la potenza e la dignità dell'Evangelo. Egli chiama l'Evangelo “la predicazione di Gesù Cristo” (nella Riveduta, qui “il messaggio”), in quanto l'intera somma e sostanza dell'Evangelo è senza dubbio contenuta nel conoscere Cristo e nello stabilire un rapporto personale con Lui. La Sua dottrina è rivelazione di un mistero, di un sublime segreto, “nascosto fin dai tempi più remoti”, eppure esso ci è stato fatto conoscere: non dovrebbe solo questo suscitare la nostra riconoscenza e la nostra lode? Se poi questo ci crea qualche dubbio su come possa essere che questo mistero, nascosto per così tanto tempo, abbia potuto emergere così improvvisamente, l'Apostolo ci insegna che questo non è stata una scoperta fatta per caso o trovata per l'umano ingegno, ma è avvenuta attraverso la divina preordinazione. Quel che accade, infatti, non è mai per caso ed in modo inatteso, come se le opere di Dio fossero basate su ciò che improvvisamente a Dio “Gli salta in testa di fare”. Quel che sembra essere apparso improvvisamente, in realtà era stato decretato “per ordine dell'Eterno Dio” prima della stessa fondazione del mondo, così come era stato preannunciato dalle Scritture profetiche. È la stessa prospettiva dell'apostolo Pietro: “...fu loro rivelato che non per se stessi ma per voi ministravano quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno evangelizzato per mezzo dello Spirito Santo mandato dal cielo; nelle quali cose gli angeli desiderano riguardare bene addentro” (1 Pietro 1:12). Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 228


Sia quindi lode e gloria a Dio per sempre per la grazia che Egli ci ha manifestato in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore. “A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue, e ci ha fatti essere un regno e sacerdoti all'Iddio e Padre suo, a lui siano la gloria e l'imperio nei secoli dei secoli. Amen” Apocalisse 1:56). Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio per avermi parlato in modo così meraviglioso attraverso la testimonianza di questa lettera ai cristiani di Roma. Ho appreso ed approfondito tante cose. Ho imparato a confidare ancor di più in Te, nel Tuo amore e nella Tua giustizia, ripudiando ogni umana presunzione. Ho appreso quegli eterni misteri che Ti sei compiaciuto ora di rivelarmi. Fa sì, Te ne prego, che sempre meglio io viva la fede in Cristo e continuando a meditare la Tua Parola, io partecipi ad altri quanto Tu mi insegni. Grazie che mi confermi la Tua benedizione e provvidenza, in Cristo Gesù. Amen.

Indice generale La sua e la nostra identità .............................................................7 Le aspirazioni dell'Apostolo e le nostre ......................................9 La nostra giustizia e la giustizia di Dio .....................................12 Impresse ma soppresse.................................................................15 Inescusabili....................................................................................18 Inevitabili disfunzioni, corruzione e morte...............................21 Il giusto giudizio di Dio...............................................................24 La legge di Dio la conosciamo bene!...........................................27 Non vanagloria ma onestà di fronte a Dio.................................31 Le formalità religiose non rendono giusti..................................35 La fedeltà di Dio, ciononostante..................................................37 Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 229


Gli effetti della grazia di Dio in Cristo.......................................41 Tutti bocciati..................................................................................44 Non la nostra giustizia ma la Sua................................................47 Colui che giustifica l'empio..........................................................51 Ricevere per grazia mediante la fede..........................................54 Gli effetti della grazia di Dio in Cristo.......................................57 Senza forza, ma sostenuti.............................................................60 Qual è la nostra genealogia?.......................................................63 Morire alla vecchia vita e risorgere alla nuova..........................67 Vivere nell'ambito della grazia di Dio........................................71 Le inevitabili conseguenze delle nostre scelte...........................75 L'affrancamento del cristiano dal legalismo..............................77 Concupiscenza: il peccato fondamentale...................................80 Convivere con le contraddizioni del presente...........................85 Non piÚ condannati......................................................................89 Il vero cristiano vive secondo lo Spirito di Cristo.....................92 Vivere come figli adottivi di Dio.................................................95 Conforto e certa speranza............................................................98 Sospiri ispirati, sostenuti e giunti a destinazione!...............................................................101 Una questione di prospettiva....................................................103 Certezze incrollabili....................................................................106 Sentimenti d'amore e di tristezza verso Israele.................................................................................110 Uno scomodo messaggio...........................................................113 Obiezioni a Dio............................................................................116 Il residuo eletto............................................................................124 Una grazia che travalica le frontiere.........................................127 La Sua giustizia, fatta nostra per fede.......................................131 L'esperienza della salvezza........................................................135 Un messaggio efficace................................................................138 Fino agli estremi confini del mondo.........................................141

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 230


La sovrana libertà di Dio e le minoranze significative.......................................................145 L'importanza di allargare i nostri orizzonti.............................149 Quando Dio taglia via i rami secchi..........................................153 La salvezza futura d'Israele.......................................................157 Accettare le limitazioni della nostra mente..............................161 Consacrazione a Dio...................................................................164 Anticonformismo........................................................................167 Il nostro posto nella comunità cristiana...................................171 Una comunità cristiana “di qualità”!........................................174 Vendette.......................................................................................177 I cristiani: cittadini responsabili................................................181 Il debito dell'amore.....................................................................184 Il momento cruciale del risveglio..............................................187 Saggezza nei nostri rapporti con gli altri.................................190 Vivere per il Signore...................................................................194 Non giudici degli altri, ma di noi stessi!...................................197 Amore e considerazione per l'altro vengono prima di ogni altra cosa..........................................................................................199 Le implicazioni della grazia.......................................................203 L'Evangelo dell'accoglienza di Dio...........................................206 La competenza dell'Apostolo rivendicata................................208 Debiti di riconoscenza................................................................211 Combattere nelle preghiere........................................................215 Non solo saluti.............................................................................219 Attenzione agli agenti provocatori!..........................................223 A Dio sia la gloria per ogni cosa................................................226

Meditazioni sull'epistola ai Romani, p. 231


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