Versi caduti a terra e sparsi di Paolo Pascucci
Tutti i giorni.
Tutti i giorni mi guardo esce il muro l'asfalto il nero pietrame della sera cui stanca camminare, i sassi e non guarda gli occhi ma parla venissero i tuoi giochi e alle corte uscite dai corpi e nelle menti che fantastiche nel grido della notte stanno allacciate a questi prominenti e le lotte, il contrario di tutto un servo e un padrone indifferenti.
Ancora mi ricordi.
Ancora mi ricordi se mi sciolgo nei giorni come la neve o piangi nelle sere dimenticate ai fiori sospesi ai davanzali a prati dove sedendo baci le frasi dette sulle piastrelle o nelle giornate lumache alle pareti snelle e intanto noi siamo come quando un corpo di lontano subito incontra un altro.
Infine mi coglie. Infine mi coglie la vertigine la bianca follia notturna rauca come uno sciame di preghiere pensare all'aggrottarsi o alla lotta infinita e alla bella che sveste la sera sulla ghiotta amaca e intanto si scantona sin dietro l'esistenza al riparo da ogni inclusione finchè non si separi.
Non dire niente. Non dire niente o almeno nel lampo dell'estate menti dal dente al mare sulla sabbia indolente e nei vestiti con niente addosso, ti guardo andare sotto le scarpe che rapide tempestano le strade son formule che in forme hanno fissate sono le alghe ai cuori mentre solleva l'organo un circolo che rapidi segna i passi al suo destino.
Non parlarmi di viole. Non parlarmi di viole col sospiro di chi alita vento nel giudice momento delle streghe s'affina l'esistente il collo sospeso sulla testa un niente che vaga alla ricerca e una bestia trattenuta allo stento d'un altro giorno oscuro di tempesta.
Non mi lasciare. Non mi lasciare mio turbamento rabbia che sale erramento e andare per le piane con le isole in testa credo, in ciò che vedo male sentire male volere agli altri a te che sospiri fanno un vento le ore mi spiace, l'elefante vuole mangiare la mia testa il tormento e infine nel sotterfugio la notte è il suo momento.