PdA #5 Urban wounds and scars

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COVER #5 SPECIAL GUEST

CREDITS

Dimitrios Sotiropoulos is a registered architect in the Netherlands and in the United Kingdom and has worked in architecture firms in Greece, in the United States and in the United Kingdom. He received his Bachelor in Architecture from University of Bath where he was exposed to interdisciplinary nature of architecture. In 2007 Dimitrios joined Onuma inc in Los Angeles and became part of a team developing Building Information Modelling software. For his second internship he worked for ISV architects and associates, a leading architecture firm based in Athens and participated in projects ranging from residential to public facilities. After completion of his undergraduate studies, Dimitrios was hired as lead architect for a residential project in Kalavrita, Greece being also responsible for coordinating the design process and for supervising the construction of the property.

FOUNDING

In 2014 Dimitrios received his Master degree from Technical University of Delft in the Netherlands. With his graduation thesis he studied the contemporary urban conditions of the city of Athens and proposed an alternative urban logic based on porosity, mobility and accessibility. The project was nominated for the Archiprix National Competition and Dimitrios was one of the finalists. In March 2015 he was one of the main speakers of the University of Bath TEDx event and his talk discussed the changing role of the architect. Dimitrios argues that architects should not be considered as designers of buildings but as thinkers of a much bigger scale, that of the city. He believes that architects should study the history of the urban growth of the city before they propose their intervention. This process takes the form of an analysis that presents how the city changes through time and how it responds to three key forces, the political, the economic and the social forces. In this way, the architectural proposal responds to the key problems of the city. Dimitrios is currently working at Foster and Partners, an architectural firm based in United Kingdom. He has participated in the development of a major project which is under construction in London and he is currently working on a design competition in Israel. http://issuu.com/dim_sot

Orazio Caruso, Sebastian Di Guardo

EDITORIAL STAFF

Orazio Caruso, Sebastian Di Guardo, Davide Luca

ADDRESS

Via Pio VII 64, 00167 Rome, ITALY

CONTACTS

architettandocontacts@gmail.com

ISSN 2421-7239 (since 15/09/2015)

NUMBER FIVE DATE

Autumn 2015

COLLABORATORS

Mirco Bianchini, Vincenzo Labellarte, Emmanuele J. Pilia

TRANSLATIONS

Laura Dumbrava, Luigi Cavallo, Orazio Caruso, Davide Luca, Emmanuele J. Pilia

www.paroladarte.altervista.org The independent blog of Parola d’Arte follow us

What is Parola D’Arte? A collection of articles , essays and / or interviews selected by the publishers , divided into thematic and structured in the form of a magazine . These collections are organized into booklets , they have periodic nature nor any profit. The sale of all or part of the material is forbidden. Each image or track is shown citing the author . Each interview is presented with the express permission of the intervieweed. Reproduction of any material , including texts and images contained in this report is forbidden except with the express consent of the authors or citing the author himself more explicitly.


CONTENTS issue #5 / urban wounds and scars / autumn 2015

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Cronache della cittĂ contemporanea: ferite e sacrifici rituali.

Das Gewebe; ovvero, il tessuto.

#Peoplenotpigeons.

editorial

Contemporary city chronicles: Wounds and ritual sacrifices.

article #1

Das Gewebe; or else, the cloth.

Orazio Caruso

translation: O. Caruso e L. Cavallo

Sebastian Di Guardo

article #2

#Peoplenotpigeons.

Emmanuele J. Pilia

translation: E. Pilia, O. Caruso, L. Cavallo

translation: L. Dumbrava

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Scar architecture.

Architettura cicatriziale.

Vincenzo Labellarte: Roma sotto assedio.

Cicatrici urbane: diagnosi e cura

translation: L. Cavallo

Sebastian Di Guardo

article #3

Mirco Bianchini

interview #8

article #4

Rome under the siege.

Epidermic scars and vascular sclerosis. Diagnosis and therapy of an urban body.

translation: L. Dumbrava

translation:D. Luca

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+ Literature Bonus Track: Frankenstein

Jeffrey Lebowski

translation: L. Cavallo

Davide Luca


CITTÀ CONTEMPORANEA ferite e sacrifIci rituali

C RO N AC H E D E L L A

Su un pianeta sconosciuto dotato di acqua allo stato liquido, un alieno umanoide beve un viscoso liquido nero. Subito il sacrificando inizia a scomporsi in milioni di brandelli di DNA che, cadendo in acqua, formeranno la vita tra decine di milioni di anni. Si tratta, per chi non lo sapesse, della sequenza iniziale del film Prometheus, regia di Ridley Scott prequel del più famoso lavoro dello stesso regista, Alien, 1979: quello con i mostruosi alieni che nascono squarciando il ventre delle loro vittime. Le sequenze citate esprimono l’idea che la vita nasce in genere con dolore, e da ferite profonde: e può apparire di natura meravigliosa o terribile. L’alieno umanoide di Prometheus svolge un rito di fecondazione della terra che somiglia da vicino a quelli di diverse antiche civiltà citate nel film; è un sacrificio estremo, pienamente accettato dal sacrificando. Ci siamo chiesti se possa esistere una corrispondenza tra ciò che avviene ad un tessuto biologico e l’evoluzione della città, allo stesso modo di come esiste una relazione viscerale tra la città e l’uomo-cittadino: tema quest’ultimo oggetto di interessanti dibattiti, basti citare il concorso “Beijing: Evolution. L’architetura dell’umanità futura” indetto da Cityvision magazine nel 2014. La nostra risposta è che certamente queste corrispondenze esistono ed è utile approfondire che cosa comporta vivere durante la crisiferita e dopo essa, oppure, ancora, ragionare per prevenire i momenti di rottura. Questo tema è stato scelto osservando le sanguinanti “ferite urbane” di Roma, città caratterizzata da una trama di connessioni fisiche e significati storici che si sviluppano non solo in orizzontale sulla superficie ter-

restre, ma anche in verticale (catacombe, percorsi sotterranei, tessuti archeologici); tali trame, simili a quelle di un tessuto cutaneo, sono spesso spezzate da eventi “traumatici” come vie barocche, viali fascisti e non ultimi gli interminabili lavori in corso ormai parte del paesaggio urbano. Interruzioni improvvise e innaturali dei sistemi di scambio tra le persone appaiono continuamente anche a scala geografica: il muro di confine tra Ungheria e Serbia è la più attuale. Le ferite provocate dall’interruzione dello stato di diritto in Siria a causa dell’organizzazione “Stato Islamico” comportano un dissanguamento della società locale, una diaspora araba verso l’Europa centrale e settentrionale. Parlando in generale, ogni ferita/scontro, per quanto si possa raccontare solo usando termini quali “asportare”, “taglio”, “trauma”, “rottura” - o anche “dolore-osa”, “disagio” – provoca nel tempo dei processi che hanno valore persistente: la cicatrizzazione o la mutazione del tessuto primigeneo, fenomeni interessanti il cui valore è incomprensibile a breve termine, ma generalmente positivi nel lungo periodo. La cicatrice assume importanza perchè testimonia la fine di una crisi e fissa il ricordo della realtà precedente, interrotta e non pienamente recuperabile. Essa ci rammenta una verginità ormai perduta, un’organizzazione che, a causa della sua scarsa elasticità e resilienza non ha resistito ad un evento inatteso che ha prodotto un diverso significato, una vita nuova e in qualche modo diversa. La cicatrice è un segno che rimane ben riconoscibile nel tempo e che prevede un’organizzazione sua personale che ibrida quella del contesto in cui è inclusa con strategie diverse. Riferendosi

Following page: Image from Andreas Vesalius’s De humani corporis fabrica (1543), page 194.

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all’architettura potremmo citare il Museo della Storia Militare di Dresda (2011) di Daniel Libeskind come il lavoro di Lebbeus Wood. La mutazione, che possiamo intendere come una contaminazione quando il trauma provoca una compenetrazione reciproca, è senza dubbio l’arma principale della natura, perchè permette la nascita del maggior numero di individui diversi e quindi l’aumento delle probabilità di sopravvivenza di fronte alle diverse avversità; per questo si può dire che la mutazione è un processo sempre positivo, anche se a volte i risultati finali non lo sono. L’immagine odierna delle città di Beijing e Shangai sono mutazioni genetiche delle città degli anni ‘50, prodotte dal radicale cambiamento del sistema culturale ed economico cinese. Ancora più eclatante la trasformazione della città di Dubai da piccolo borgo di case modeste al Burj Khalifa, l’edificio più alto al mondo. La piega (spesso citata in architettura da Deleuze, Eisenmann o Kokkugia per esempio) è invece un cambio volontario (quasi autolesionista) di rotta, il cui scopo è prevenire il disastro o la stasi. Essa agisce modificando un tessuto o una superficie secondo un principio ri-ordinatore irreversibile: se il tessuto è il risultato di un ordine dato a degli elementi, la piega ottiene un ordine al quadrato che ha per risultato forme complesse. Questa strategia non è dissimile a quella “dell’armonia” del kung fu, secondo la quale chi riceve una sollecitazione non deve opporsi né subirla del tutto, ma integrarla per guidarla verso un risultato voluto. Quello che vi proponiamo è insomma un percorso ibrido, ricco di false piste, mistero e di sangue, come un romanzo giallo. Stiamo cercando di lavorare sulle ferite urbane/socia-

li/economiche come in una scena del crimine e di interpretarne il significato per arrivare alla soluzione del caso. Perchè questo è sempre stato il nostro istinto, sbirciare oltre gli ostacoli; oltre la barriera artificiosa del “cielo delle stelle fisse” per vedere cosa, in fondo, muove le dinamiche che ci coinvolgono. CONTEMPORARY CITY CHRONICLES: WOUNDS AND RITUAL SACRIFICES. On an unknown planet gifted with water in liquid state, a humanoid alien is drinking a black sticky liquid. Immediately the sacrificing starts to decompose itself in million DNA shreds which, by falling into the water, will shape life in ten million years. For those who do not know, it is about the initial sequel of the movie “Prometheus”, directed by Ridley Scott - a prequel of the most famous work of the same director, “Alien”, 1979: the one with monstrous aliens which are born by ripping the stomach of their victims. The quoted scenes express the idea that life is born within pain, and profound wounds: and it may appear as marvelous or terrible. Prometheus’ humanoid alien carries on a ritual of fertilization of earth which is alike of the ones of different ancient civilizations quoted in the movie; it is an extreme sacrifice, fully accepted by the sacrificing. We were wondering if it could have existed a correspondence between what it happens to a biological material and evolution of a city, in the same way as in the existence of a visceral relationship between city and human-citizen: this last theme had interesting debates; it is enough to mention the “Beijing: Evolution. The architecture of the future humanity” competition, declared by Cityvision magazine in 2014. Our answer is that these correspondences certainly exist and it is useful to deepen what a thing is during the wound-crisis and after, or, still, to think in order to prevent humanity from moments of deep crisis.

Following page: Anonymous, “A medieval missionary tells that he has found the point where heaven and Earth meet…” from Camille Flammarion, L’Atmosphere: Météorologie Populaire, Librairie Hachette, p. 163, 1888 Paris

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This theme was chosen by observing the bloody “urban wounds” of Rome, city characterized by a story of physical connections and historical meanings which have developed themselves not only horizontally on the ground surface, but also vertically (catacombs, underground paths, archeological materials); such stories, similar to those of cutaneous material, are often broken by “traumatic” events such as Baroque streets, fascist avenues and lastly, the never-ending works in progress which, by now, are part of the urban scenery. Sudden and unnatural interruptions of the systems of change among persons continuously appear appear at territorial scale as well: the border wall between Hungary and Serbia is the most actual. The wounds provoked by the interruption of the right state in Syria because of “Islamic State” organization cause a bleeding status to the local society, an Arabic diaspora towards the Central and Northern Europe. Generally speaking, each wound/confrontation, as much as how it can be told by using terms such as “remove”, “cut”, “trauma”, “break” – or “pain”, “discomfort” – causes in time processes which have a persistent value: the healing or mutation of the primigenial material, interesting events of which value is incomprehensible in a short period of time, but generally positive in a long period of time. The scar is important because it witnesses the end of a crisis and it fixes the memory of the previous reality, interrupted and not fully recoverable. It reminds us a virginity lost by now, an organization which, because of its poor elasticity and resilience, did not resist at an unexpected event which produced a different meaning, a new life and in some way different. The scar is a sign which remains well recognizable through time and it supposes an own personal organization which hybridizes the context in which it is included through various strategies. Referring to architecture, we could quote the Museum of Military History

of Dresda (2011) by Daniel Libeskind, as with the Lebbeus Wood’s work. The mutation, which we can interpret as a contamination when the trauma causes a mutual interpenetration, is undoubtedly nature’s main weapon, because it allows the creation of a major number of different individuals and therefore the raise of survival opportunities for survival in front of the different adversities. For this, it can be said that mutation is a process always positive, although sometimes the final results are not. Today’s image of the city of Beijing and Shanghai are genetic mutations of the cities from the 50’, produced by the radical change of the Chinese cultural and economic system. More striking is the transformation of the city of Dubai, from a small village of humble houses to Burj Khalifa, the world’s highest building. The crease (often quoted in Deleuze, Eisenmann or Kokkugia’s architecture for instance) is instead a volunteer change (almost self-defeating) of route, which purpose is to prevent the disaster or the stasis. It functions by modifying a material or surface according to an irreversible unscramble principle: if the material is the result of an order given to the elements, the crease obtains a squared order which has, as results, complex shapes. This strategy is not different from the one of kung fu “harmony” according to which who receives a solicitation, he cannot oppose nor accomplish it fully, but integrate it in order to guide it towards a wanted result. What we want to suggest you is, in short, a hybrid route, rich of fake tracks, mysteries and blood, as in a thriller. We are looking forward to work upon the urban/social/economic wounds as in a crime scene and to interpret the meaning in order to arrive at the solution of the case. Because this was always our instinct, to peek over the obstacles; above the artificial hedges of the “fixed stars sky” in order to see what, in the end, moves the dynamics which imply us.

Following page: Rembrandt Harmenszoon van Rijn, The Anatomy Lesson of Dr. Nicolaes Tulp, 1632. Oil on canvas 216.5 cm × 169.5 cm. Mauritshuis, The Hague

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DAS GEWEBE

OVVERO, IL TESSUTO Si dice tessuto ogni insieme di filamenti intrecciati che formano un sistema compatto, elastico e resistente nel tempo. Ed esistono varie tipologie di tessuto: dal tessuto di vimini alla tessitura materica che compone una grande muraglia, dal tappeto di casa, alla calza della nonna, dall’intreccio narrativo di una storia fino al tessuto urbano. Ecco: vorremo parlare proprio del tessuto narrativo di un luogo, facendo qualche esempio per chiarezza e capire di che tipo di tessuto stiamo parlando. E’ utile innanzitutto spiegare in maniera semplice la differenza concettuale che c’è tra tessuto e superficie. Basta prendere un’area piatta ed omogenea come il deserto del Sahara o di un mega parcheggio vuoto e confrontarla con un luogo carico di presenze ed elementi di diversa natura: Manhattan o Parigi per esempio. Quando ci troviamo in un luogo molto ampio, nel primo caso del deserto o del parcheggio vuoto, non abbiamo riferimenti stabili, siamo in assenza di un orizzonte visivo che ci racchiude e ci protegge, il nostro occhio inizierà a vagare imperterrito e magari, nei più deboli di stomaco, le gambe a vacillare e la testa a girare. Ci troviamo in un luogo assimilabile ad una superficie. Nel caso di Parigi o Manhattan, ma anche Carcassonne o il Campo Marzio a

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Roma, viceversa l’essere umano si troverà più a proprio agio perché all’interno di un ambiente che alimenta curiosità, mistero, direzione e ritmo. In base a questa premessa, diciamo che l’uomo ha bisogno di libertà di movimento ma anche di regole, di mistero ma anche di strategia. Ha bisogno di presenze intorno a se, ha bisogno di fili conduttori. Ha necessità di insediarsi in un tessuto. Nell’ipotesi di nuova costruzione-tessitura di un buon tessuto, con un’alta qualità della vita, non è sufficiente addizionare in fila, cucire insieme i vari tasselli che formano un agglomerato urbano, se a questi non è sotteso un filo narrativo, la voglia di co-

struire un racconto che duri a lungo nel tempo. Anche nel campo dell’architettura e ad una scala ridotta, si può fare l’esempio di un qualsiasi muro, piatto e liscio, quindi assimilabile ad una superficie, e per contro, di una facciata articolata come quella dell’Oratorio San Filippo Neri di Borromini (per esempio) o la facciata della chiesa dei Santi Martina e Luca del Cortona, nelle quali si percepisce un tessuto energico, fatto di contrazioni, espansioni, subordinazioni, intrecci.. Il discorso si potrebbe in maniera ulteriore ampliare e complicare, con rimandi ad altri esempi inerenti alla micro e alla macro scala dei tessuti, toccando varie discipline e settori. Diciamo comunque che una superficie rappresenta in genere una chiusura, magari impermeabile, neutra, a volte sterile, mentre il tessuto, come una buona pelle, costituisce si una protezione, ma non esclude l’evoluzione, l’apertura verso l’esterno. Un buon tessuto insediativo, per tornare al nostro discorso, dovreb-

be sempre prevedere, attraverso una ricca strategia di tessitura, decennio dopo decennio, delle situazioni urbane significative e prevenire le lacerazioni, le smagliature… E come si fa allora a distinguere un buon tessuto da un cattivo tessuto? Per non confonderci le idee partiamo sempre dalla storia. Un buon tessuto, (ricordando che la nostra metafora è un luogo che racconta

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una storia) così come un sedimento o un fossile, si forma in centinaia o migliaia di anni e viene talvolta distrutto e ricostruito oppure, come di recente, salvaguardato e tutelato come patrimonio (o reliquia). Anche qui possiamo dire, che talvolta si rammenda, talaltra si fa un accurato lavoro di ricucitura o rudimentale rattoppo.. Un borgo cittadino medievale, per esempio è spesso anche un buon tessuto, omogeneo e ben riconoscibile perchè costruito (tessuto) per intero con gli stessi materiali che il territorio limitrofo offre. E’ presente da qualche parte un’intesa collettiva che corre sul filo della necessità dove ogni azione viene ponderata con cura senza alcun fine speculativo (o quasi). Così il luogo, fatto di elementi significanti e caratteristici assume una fisionomia organica, con tutti i propri odori, suoni, colori, materiali, forme.. persone. Ecco: ancora una volta è proprio il fattore umano a fare la differenza e, dove gli uomini vanno e vengono, quindi in presenza di un luogo di grandi flussi come una pianura o una città portuale, spesso c’è un po’ più vivacità di colori, diversità di culture di situazioni e anche conflittualità. Possiamo dire che il tessuto è variopinto, usando la nostra metafora. Le città di mare hanno un po’ rappresentato un’anticipazione della globalizzazione, con i relativi effetti (nel bene e nel male), mentre le città più isolate in genere hanno mantenuto e mantengono tutt’ora un’identità più chiusa e per certi aspetti più riconoscibile, meno multiforme. Ci sono poi i luoghi che ci ha lasciato in eredità l’epoca moderna, che sono in forma e sostanza un altro tipo di tessuto rispetto a quelli storici. Un cattivo tessuto spesso, perché esiste un notevole scarto tra un determinato piano urbano voluto dal progettista, (altra novità, quella del progettista, introdotta in epoca moderna) e la fisionomia reale che il luogo assume di fatto negli anni.

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E’ difficile prevedere e regolare l’evoluzione di un insediamento attraverso un piano urbano, per quanto nobile e ben congegnato. I risultati storici dimostrano che un solo progetto, una sola guida generale, una sola linea direttiva, non bastano. Ci vorrebbe una pianificazione per gradi, forse, una sorta di revisione periodica del lavoro di tessitura.. E quel che, sempre più spesso, manca in un tessuto di recente edificazione è la riconoscibilità: ogni tessuto somiglia troppo a qualsiasi altro per gli effetti uniformanti dell’era moderna della iper comunicazione. La crisi di identità è palese, insomma, ed inoltre, in una società che privilegia l’apparire e l’immagine fine a se stessa, non si riesce a garantire sulla qualità del tessuto di un luogo. E si potrebbe subito fare un parallelo con la musica: non esistono (quasi) più i concept album con un filo conduttore e la voglia di musicare una storia, quelli dove l’artista si prende il tempo giusto per far evolvere la suite (oggi traccia) e dire quello che c’è da dire con la propria personalità. Ci sono invece sempre più album di tracce slegate tra loro e ad uso e consumo delle multinazionali, senza idee, senza storie musicali da raccontare.. E che si somigliano troppo, inseguendo dei mood sonori che livellano tutta la musica ad imitazione di uno standard prestabilito.. Ma torniamo al tessuto urbano. Possiamo riassumere dicendo che esistono: tessuti omogenei o disomogenei che si rifanno a una narrazione, ovvero a dei valori positivi, e altrettanti tessuti omogenei o disomogenei che non hanno una narrazione, ovvero che si rifanno a dei valori negativi. Per evitare che le tradizioni locali e in generale l’arte di tessere un luogo si perda per sempre, non basta tutelare solo i luoghi dalla forte connotazione storica chiamati per legge patrimonio dell’umanità. Si dovrebbe prima di tutto


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operare, in qualsiasi luogo, delle scelte di carattere etico e prendere a modello, non solo per ammirarli, determinati tessuti e contesti storico-geografici; quelli nei quali i vari attori che operano sul e dentro il tessuto si aiutano, pur nelle varie situazioni di difficoltà e conflittualità, in una logica comune di benessere e di lotta ai problemi del quotidiano. Questi inconsapevoli sarti urbani, limitando al minimo i danni prodotti dall’egoismo e dalla paura del nuovo, spesso risolvono con l’ingegno e contrastano le avversità della natura facendo nascere bellezze che ammireremo attoniti anche tra mille anni. Dove si cerca la compattezza, la cooperazione, più che l’isolamento narcisistico - lasciando questo solo agli attori più potenti come governi, caporioni, la Chiesa, i re - sono stati edificati e sempre si edificheranno dei veri, autentici e resistenti tessuti, capaci di superare il dramma del tempo e, a volte, a rinascere dalle distruzioni.

The Fabric Fabric is said each set of twisted filaments that form a compact system, flexible and durable. There are various types of fabric: a woven wicker, a material weaving which makes up a great wall, a house carpet, a grandmother’s handmade weaving work, a plot of a tale, up to the urban fabric. What we really want to talk about is the narrative plot of a place, with a few examples, understanding what kind of fabric we are talking about. First of all it’s useful simply to explain the conceptual difference that exists between the

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fabric and the surface. You can take for example a flat and homogeneous area like the Sahara desert or a mega empty parking comparing it to a place full of appearances and elements of different nature, such us Manhattan or Paris. When we are in a very large place, in the case of the desert or the empty parking, we do not have stable references, we are without a horizon that encloses and protects us, our eyes begin to wander unperturbed and maybe, in the most weak stomach, legs faltering and head turning. We are in a place similar to a surface.


Conversely in the cases of Paris or Manhattan, as well as Carcassonne or the Campus Martius in Rome, the human being feels at ease in an environment that feeds curiosity, mystery, direction and pulse. Having said that, we say that man needs freedom of movement but also rules, mystery, strategy. It needs presences around himself, themes, establishing himself into a fabric. In the event of new construction - texture of a good fabric, with high quality of life, it isn’t enough to add in a row and stitch together the

various pieces that make up an urban area, if they have not a narrative plot, the willing to build a long time tale. Also in the field of architecture and to a smaller scale, you can take as an example any flat and smooth wall, similar to a surface and conversely a structured facade like the one of the Borromini’s St. Filippo Neri Oratory (for example) or the facade of Cortona’s Saints Martina and Luca Church, in which we perceive a strong fabric, made of contractions, expansions, subordinations, plots... you could

This and previus page: 1870 Knapp Map of Northern Manhattan ( New York City), Harlem, Washington Heights, Inwood -GeographicusNorthern Manhattan knapp, 1870

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could further expand and complicate the speech, referring to other examples related to micro and macro scale fabric, touching various disciplines and sectors. Let’s say, however, that a surface is typically a closing maybe waterproof, neutral, sometimes sterile, while the fabric, such as a good skin, constitutes a protection, but doesn’t exclude the evolution, the opening towards the outside. Getting back to our discussion, a good urban fabric should always predict, through an extensive weaving strategy, decade after decade, significant urban places and prevent lacerations, stretch marks... So, how do you distinguish a good fabric from a bad one? Not to confuse us, let’s always start from the History. A good fabric (remembering that our metaphor is a place that tells a story), as well as a sediment or a fossil, grows over hundreds or thousands of years and sometimes gets destroyed and rebuilt, or, as recently, safeguarded and protected as heritage (or relic). We can still say, that sometimes you mend, sometimes you do a thorough restitching job or rudimentary patching. For example, a medieval village citizen, is often a good, homogeneous and easily recognizable fabric because it was fully built (weaved) with the same materials that the surrounding area offers. Somewhere there is a collective agreement that runs on the edge of the needs, where every action is carefully weighted almost without any speculative purposes. So the place, made of significant and characteristic elements gets an organic physiognomy, with all its smells, sounds, colors, materials, shapes… people.

Here you are: once again the human factor makes the difference and where men come and go, so if there is a great flows place such us a plain or a port city, there is often a little bit more color vivacity, diversity of cultures, of situations, even conflict. We can say that the fabric is colorful, using our metaphor. Seaside towns have represented somehow an advance of the globalization, with its effects (for better or for worse), while the most isolated cities in general have maintained until now a more closed identity and in some aspects more recognizable, less varied. Moreover there are places bequeathed by the modern era, who are in form and substance another type of fabric than the historical ones. Often a bad fabric, because there is a considerable gap between a particular urban plan wanted by the designer (other character, the designer, introduced by modern era) and the real shape that the place actually takes over the years. It’s hard to predict and regulate the evolution of a settlement through an urban plan, however noble and well thought out. Historical results show that only one project, one general guide, one guideline are not enough. We need a step by step planning, perhaps, a sort of periodic review of the weaving work... What more often is missing in a recent building fabric is the recognition: each fabric looks too much like any other ‘cause of the smoothing effects of the hyper communication modern era. The crisis of identity is evident, in short, and moreover, in a society that favors the appea-

This and previus page: A representation of Rome in the P.R.G. (general city planning), 1885

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rance and the image culture, you cannot guarantee the quality of the fabric of a place. You could immediately compare it with the music: there are no more (almost) concept album with a theme and the desire to set to music a story, those ones in which the artist takes the right time to evolve the suite (now track) and say everything with their own personality. There are actually more and more unconnected album tracks for the consumption of the multinationals, without ideas, without musical stories to tell… Which they look alike each other, chasing sound moods leveling all the music in imitation of a predefined standard... But let’s back to the urban fabric.

resolve the natural disasters giving birth to the beauty which we’ll admire astonished even for the next one thousand years. Where we look for the compactness in true union and cooperation rather than narcissistic isolation, leaving this only to the most powerful actors: the various authorities like governments, the lords, the Church, the kings (as it should be), where all this happens real, authentic and resistant fabrics have been built and will be built more. These are able to overcome the drama of the time and, sometimes, to rise from the destruction.

We can summarize by saying that exist: homogeneous or inhomogeneous fabrics which refer to a narrative, or else to positive values and other homogeneous or heterogeneous fabrics that do not have a narrative, or else with negative values. To prevent local traditions and in general the art of weaving a place to be lost forever, is not enough to protect only places with a strong historical connotation considered by law a world heritage site. First of all you should take, in any place, ethical choices and take as a model certain fabrics and historical and geographical contexts, not only to be admired. Those contexts in which the various actors upon and inside the fabric help each other, even in situations of difficulty and conflict, in a common well-being logic and fighting the everyday life problems. These unaware urban tailors, minimizing the damage caused by selfishness and fear of the new, with ingenuity and contradict often

This and previus page: A representation of Paris in 1615. Plan de Mérian, XVII century.

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#Peoplenotpigeons Nel 2003 UN-Habitat diffuse uno studio dall’emblematico titolo The Challenge of Slums: global report on human settlements, nel quale si prendeva atto che ormai «un terzo della popolazione urbana mondiale, oltre un miliardo di persone, viveva in quelli che chiameremo genericamente slums». Il periodo analizzato da UN-HABITAT è racchiuso nel decennio che conclude il millennio, con una piccola fuga nel nuovo: i dati raccolti ci forniscono così una cartina tornasole del trend avuto tra il 1990 ed il 2001. Un trend che, seguendo le proprie linee di evoluzione, porteranno al dramma di una demografia degli slums ad una cifra superiore ai due miliardi di individui nel 2030, per lo più concentrati nel sud del mondo. Eppure, nonostante il catastrofismo dei numeri riportati in The Challenge of Slums, queste proiezioni hanno finito col risultare addirittura ottimistiche, se consideriamo l’accelerazione che la storia ha avuto a partire dal 2001: la così detta Primavera Araba e le tensioni create dalla reazione militare in seguito all’11 Settembre hanno spostato sempre più verso occidente il baricentro delle ondate migratorie, mentre il crollo finanziario che ha messo in ginocchio il mondo occidentale e l’applicazione

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di leggi sulla prevenzione dei crimini urbani hanno dato vita ad una nuova e più aggressiva forma di gentrificazione, capace di ripulire le strade (per riprendere un blasonato motto politico-poliziesco) anche da quella popolazione invisibile nascosto nelle pieghe della città. Non è più semplicemente la grande città la valle dove questo gorgoglio umano va a riversarsi, ma la città occidentale, dal cui cuore viene estratta la parte indesiderata del corpo urbano. I nuovi rifiuti urbani vengono spinti dove risultano meno visibili, lasciando i centri sicuri e protetti dalla CPTED. La dimensione securitaria che la città-carcere occidentale sta acquistando è lo specchio delle insicurezze che il crollo della modernità positivista ha portato con sé. Londra si è dimostrata all’avanguardia in questa lotta al crimine: le impurità portate dal sozzume umano devono essere estirpate dai marciapiedi, ogni possibile giaciglio decorato con borchie appuntite in attesa di mordere le membra del già sfortunato in cerca di riparo. L’alternativa: andare a rinfoltire altrove le fila di quell’esercito che come divisa non ha altro che un insieme di stracci, ultima difesa contro il freddo inglese. Ma la corazza di spine che difende angoli nascosti, vetrine e davanzali, sono

in breve tempo colmati dall’indignazione e dall’umanità dei cittadini più fortunati: la vergogna degli uomini, un tempo cittadini, esposti all’unica scelta di una migrazione spinta dalla violenza di una città che non tollera più la debolezza. Secchi di cemento hanno vinto contro la minaccia delle punte, coprendo la vergogna di un capitalismo ormai sempre più propenso all’autoconsevazione, più che all’assolvimento di un qualsiasi compito. A queste spinte verso la periferia delle città occidentali, ce n’è da aggiungerne un’ultima, forse quella che con maggior pressione cerca di accatastare materiale umano negli interstizi della modernità. Ciò di cui si sta parlando è forse l’ultima, sicuramente la meno sospettabile, conseguenza dei cambiamenti climatici. Secondo un rapporto rilasciato da Legambiente, intitolato Profughi Ambientali: Cambiamento climatico e migrazioni forzate, «i cambiamenti climatici diventeranno nel prossimo futuro la maggiore causa di spostamento delle popolazioni sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali». Era il 2012, anno in cui furono calcolati flussi migratori per un totale di più di 32 milioni di individui costretti ad abbandonare le loro case a causa di calamità naturali. Tali


numeri hanno fatto sì che i rifugiati climatici surclassassero i cinque milioni dei profughi fuggiti dalle loro terre per salvarsi da guerre, epidemie e persecuzioni politiche che hanno ricevuto asilo da paesi ospiti. Ma è proprio qui che nasce un paradosso burocratico degno del più ispirato Terry Gilliam: non esiste alcuno statuto giuridico per il rifugiato climatico. Mentre chi fugge da una guerra o da una persecuzione può, di fatto, richiedere di essere ospitato in un campo

Sempre Legambiente riporta stime che vedono circa 1.000.000.000 di individui esposti a crisi climatiche entro il 2050, dei quali 250.000.000 si trasformeranno in eco-profughi transnazionali, pronti Questa condizione cambia comple- a cercare di farsi strada in luoghi tamente la situazione dei rifugiati più ospitali. Le coste strappate alle maree torneranno ai loro legittimi climatici, che non avendo altra prospettiva che il nulla giuridico, possessori, così come centinaia sono condannati a vivere in clan- di ettari adibiti a terreni agricodestinità pur di fuggire da una terra li torneranno ad essere polvere, non appena le fortune finanziarie che si scrolla di dosso l’infezioabbandoneranno l’attenzione di ne umana ardendo o affogando. profughi allestito per l’occorrenza, nulla di tutto ciò è previsto né dalla Convenzione di Ginevra del 1951, né dal suo Protocollo supplementare del 1967.

This page: Wall graffiti Palestine. Photo by “Wall in Palestine”, from https://www.flickr.com/photos/43405897@N04/ The CC BY-SA license is compatible with our policy on the use of images and texts.

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quella determinata area. Sarebbe sciocco pensare che l’intera quota ipotizzata si sposterà in blocco verso occidente, ma è comunque necessario riflettere attentamente sulla portata di tali numeri, soprattutto rapportandoci alla situazione attuale. L’Europa è un ottimo laboratorio per riuscire a comprendere, su scale ridottissime, quali saranno i problemi che dovranno risolvere i pianificatori alla data del 2050, ipotizzata da Legambiente. Se da questo laboratorio liquido, estraessimo il solo vetrino rappresentato dai rifugiati in fuga dalla Siria e dal Nord Africa, vedremo una situazione in cui profughi di diversa natura si imbarcano in pericolose traversate su imbarcazioni al limite della precarietà, o tentano la fuga a piedi verso lontanissime mete, verso un’unica meta, con in tasca la speranza di riuscire ad approdare verso uno scoglio con un apparato burocratico che ne riconosca l’esistenza giuridica. Ma questa sparutissima avanguardia ha già messo in crisi un intero continente per nulla preparato alla sfida lanciata dalla stessa umanità, trovando come unica risposta credibile quella comunicativa, salvo poi attivare una intensa attività muraria per tutto l’est Europa, incentivando alla costruzione persino paesi asiatici come la Turchia, governata

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da una delle più controverse amministrazioni del mondo occidentale (l’aggettivo “occidentale” qui è utile per riaffermare la vocazione dello stato turco). Il governo italiano, ha dovuto creare nel 2006 l’istituzione di particolari strutture chiamate Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza per dover fronteggiare al crescente numero di profughi che fuggivano dalle guerre del Medio Oriente e dalle condizioni umane vissute in molte nazioni africane. In questo caso, la meta principale per un profugo partito dal Nord Africa, sarebbe il Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza di Lampedusa, progettato per una capienza di 381 individui, espandibili all’occorrenza ad 804. Numeri lasciati sugli appunti del collaudatore, dato che l’emergenza è continua, e che la capienza è stata spesso superata anche di cinque volte la massima capienza ipotizzata, generando spirali di proteste trasformatesi in assalti allo stesso centro, come accadde nel 2011, dove un’ala del centro dovette arrendersi alle fiamme. È evidente quanto l’attuale politica, italiana ed europea, sia impotente e cieca di fronte a questo fenomeno: da un lato, la proposta italiana è avvitata attorno ai due

estremi dell’accoglienza e del rifiuto, dall’altro, in sede europea, il problema viene rinviato a data da destinarsi. Gli Stati Uniti hanno a loro tempo evitato il problema, preferendo l’aiuto in loco: ma nessun campo profughi può essere attrezzato nei luoghi dove la crisi climatica infligge la propria verga, stimolando anche verso le mete più a Ovest; queste persone hanno uno statuto di clandestinità e andranno a depositarsi irrimediabilmente nei margini urbani, che quindi raccoglieranno un miscuglio di individui appartenenti alle più diverse classi di reietti. Questi interstizi stanno sempre più allargando i loro confini; da semplici linee diventano dense aree di pattume abitativo, circondando quelle che un tempo erano chiamati “centri”, ma che ora sono aree protette in cui i bravi cittadini sono costretti a nascondersi, protetti da alte mura e da vigilantes armati e pagati dagli abitanti il cui principale problema da risolvere consiste proprio nel proteggere da azioni esterne la propria comunità. È la stessa città a dover essere sacrificata all’altare della sicurezza: nelle metropoli del nord, come quelle del sud del mondo, vengono cancellati gli spazi pubblici e tracciati i nuovi confini che le sezionano secondo criteri razziali e di classe. La trasformazione è già in atto: a Padova, dove


un muro alto tre metri e lungo ottanta divide una sezione di città, a Parigi, dove i senza tetto sono dissuasi a permanere nel centro della città tramite l’arredo urbano, a New York, dove il piano POPS rende gli spazi pubblici inaccessibili fuori dagli orari concessi. La segregazione non è ovviamente una strada percorribile, ma cosa fare altrimenti? Questa, sarà una delle sfide che l’architettura dovrà affrontare nel brevissimo futuro. Come architetti siamo chiamati a combattere una battaglia, usando le armi dell’architettura. Siamo soldati, dobbiamo solo scegliere con quale esercito schierarci. #Peoplenotpigeons In 2003 UN-Habitat published a research emphatically called The

Challenge of Slums: global report on human settlements. This book notes that «a third of the world’s urban population, more than one billion people lived in what we may call the slums». UN-HABITAT, in this book, examines the trends and tendencies of the period between 1990 and 2001. According to this trend, by 2030, people who live in slums will be more than two billion, mostly concentrated in the south of the world. But despite the pessimism of the numbers in The Challenge of Slums, these projections got even optimistic, if we consider the sprint that History had since 2001: the Arab Spring and the military response to 9/11 have moved to the west the gravity of the migrations. At the same time, the financial crisis that has devastated the western world and the enfor-

cement of laws on the prevention of urban crime have created a new form of gentrification. The valley where this human gurgling goes to spill is no longer just the “big city” but the “western city”. The unwanted part of the urban body is removed from the heart of the western city. The new “urban waste” are pushed where they are unseen, so that the city centers are protected by CPTED. This new dimension of the western city-prison is the mirror of the insecurities that the collapse of the positivist modernity brought with it. London has been at the forefront in this fight against crime: the impurities carried by the outcasts of society must be eradicated from the sidewalks, each hypothetical bed is decorated with pointed

This page, from left to right: The Berlin wall, 9 November 1989. Unknown photographer. Some migrants attempt to cross the barrier of Melilla. EDITORIAL USE - CREDIT “AFP PHOTO/ PRODEIN” AFP PHOTO/ JOSE PALAZON OSMA / PRODEIN

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studs waiting to bite the limbs of those who seek a shelter. The alternative is to go to replenish the ranks of the army that has a set of rags as uniform. But the armor of thorns defending the hidden corners, windows and sills, are quickly filled with indignation and humanity from the most fortunate citizens: these men who were once citizens, are now forced to migrate because of violence of the city that no longer tolerates weakness. Buckets of cement won against steel spikes covering the shame of a capitalism inclined just to self-preservation.

must be solved by planners within 2050. In this laboratory, we can observe a clear and straightforward situation in which refugees from North Africa embark on dangerous journeys to reach the South of Italy, and then continue their travel to the North Europe. In 2006 the Italian government had to create special structures called “Center of First Aid and Shelter” in order to cope with the growing number of refugees fleeing war in the Middle East. The “Center of First Aid and Shelter” in LampeThis condition completely changes dusa, a small island in the South the situation of climate refugees, of Italy, is the first destination for refugees and is designed for a who have no legal perspective, capacity of 381 people, expandaand therefore they are condemble to 804 if necessary. But these ned to live in hiding. In addition, Legambiente estimates that appro- numbers are left on the sheet test ximately one billion people will be of the building, since the capacity exposed to climate crisis by 2050. has been exceeded for more than five times its maximum. This ge250 million of them will become nerated protests and violence, so transnational eco-refugees, who flee from their homeland in spite that in 2011 the “guests” set fire to the structure. of the Geneva Convention.

who fled their homeland because of war, epidemics and political persecutions. But these numbers hide an absurd bureaucratic paradox: there is no legal status for the climate refugee. Those who flee from wars or persecutions may request to be housed in a refugee camp set up for the occasion, but the Geneva Convention of 1951 (or the Additional Protocol of 1967) does not provide this option for climate refugee.

Another push towards the demographic increasing of the big cities’ suburbs is the least suspected, the climate change. According to a report released by Legambiente, entitled Profughi Ambientali: Cambiamento climatico e migrazioni forzate, « in the next future climate change will become the major cause of population displacement, both within and beyond national It would be foolish to think that 1,000,000,000 people borders». (250,000,000) will move to the The report was published in 2012; West, but the problem is obvious in that year it was estimated that and we need to think carefully more than 32 million people were about the consequences of such forced to flee their homes due to numbers, especially considering natural disasters. The climate refu- the current situation. The Meditergees therefore exceed more than ranean Sea is an excellent laboratory to figure out what problems six times the refugees (5 million)

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It is clear that the Italian and European politics is inappropriate: on the one hand, the Italian proposal is locked in contradiction between acceptance and rejection, on the other hand, at the European level the issue is postponed. The United States have avoided the problem by sending “aid”


in the homelands, avoiding migrations within its territory. But no refugee camp can be set up where the climate crisis threatens human settlements. The only hope for these people is the west, and if the bureaucracy does not allow their entry, hiding in the urban fringe is still a preferable choice to the constant risk of death. These fringe are expanding their boundaries and become solid blocks of trash building, surrounding the heart of the city. The center is transformed into a “secure area” in which the “good citizens” are protected by high walls and armed vigilantes. In fact, the main pro-

blem of this “good citizens” is precisely to protect their community from external invasions. The city is sacrificed at the altar of security; the metropolis delete public spaces and draw new boundaries, creating districts according to criteria of race and class. Segregation is not a viable option, but what alternatives do we have?

This page: Giorgio Vasari, The battle of Lepanto 1573. Fresco, Royal Hall in Vaticano, Rome.

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SCAR ARCHITECTURE anche di esoscheletri metallici, strutture complesse per la guarigione del Gli eventi trautrauma, ma al contempo, espressione di un cambiamento in atto. matici non sono necessariamente L’evento traumatico quindi attiva il processo verso il nuovo, e questo negativi. processo di assorbimento e rigenerazione, prende il nome di resilienLa parola trauma za. incorpora una connoLa resilienza descrive l’abilità di muoversi all’interno di due poli: il tazione sfavorevole o primo di continuità e ripetizione e il secondo di discontinuità e avversa, specifica un partrauma, che formano due tendenze asintotiche in cui la resilienticolare episodio naturale o za si colloca. sociale avvenuto inaspettaResilienza è l’abilità del sistema di rigenerarsi dopo aver astamente ed improvvisamente, sorbito lo shock. spesso fuori controllo, che ha L’immediato tentativo è quello di recuperare la condizione prodotto condizioni disagiate a di stabilità originale, ma tutto ciò non è possibile: per chi l’ha dovuta subire. quanto la rigenerazione conduca verso una stabilità, Perché un trauma è solitamente questa nuova condizione è diversa da quella preun’azione subita, se considerato cedente e, per quanto con il passare del tempo si all’interno degli eventi naturali ed possa considerare raggiunta nuovamente la vecchia eventi sociali. condizione, tutto ciò non è assolutamente veritieUn terremoto, un tornado, una guerra, ro. sono eventi che ledono una comunità e Dopo aver assorbito lo shock, il sistema resifisicamente segnano un tessuto urbano, liente crea, ricerca e prova nuove forme di portano una rottura improvvisa e determinastabilità. no il mutamento di una condizione stabile. Come accade nei territori segnati da un confine artificiale, un muro che divide Per questo motivo il trauma accompagna inevidue nazioni, due paesi o una stessa tabilmente “il nuovo”. In alcuni sensi si può dire città. che gli eventi traumatici sono l’imminente, la futura Uno degli esempi più conosciuti è il prospettiva. muro che divide Tijuana e San Diego I tagli di Lucio Fontana erano la manifestazione di un’ae continua per chilometri nell’enzione distruttiva, il taglio delle tele, nella trasformazione troterra da una parte e nel mare di uno spazio bidimensionale in uno spazio tridimensionadall’altra; una divisione che nel le, che incorporava l’azione traumatica modificandosi in un tempo è diventata sempre nuovo stato. più elemento simbolico di Questa trasformazione verso il nuovo, mediante un evento divisione di due culture che lesivo, viene visualizzata in uno dei film più discussi di Crovera e propria barriera nenberg, Crash. Lo slancio distruttivo nella ricerca dell’incidente invalicabile. in macchina diventa momento della nascita di una nuova forma, Il confine è diventato di una nuova estetica piuttosto che evento devastante e nulla più. la ferita da rimarginaL’incidente generava il nuovo, le ferite che il corpo subiva diventare, molteplici sono vano parte di una nuova mutazione, di una nuova estetica, in cui il i progetti di micro trauma lasciava un segno visibile, indelebile. interventi a bordo La ferita diventa simbolo del nuovo, ma questa “nuova carne” si circonda

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del muro di lamiera che hanno rigenerato un nuovo tessuto sociale dove era stato drasticamente distrutto. Il muro in alcuni casi è diventato la tela per dipingere una nuova realtà dove lasciare immagini di speranza, o semplicemente è stato abbellito, come qualsiasi persona farebbe con il proprio giardino di casa, perchè per alcune persone è diventato anche lo spazio esterno dove vivere e condividere con il vicinato.

Le realtà di bordo sono tutte quelle zone in cui avvengono le maggiori rimarginazioni sociali all’interno di una città; non tutto deve avvenire per forza da eventi distruttivi, basta anche essere semplicemente in una posizione borderline per attivare azioni rigeneranti dovute ad un mescolamento culturale, linguistico e di pensiero che può avvenire solo in quelle zone promiscue dove non esiste un’appartenenza radicata, ma dove c’è un continuo mutare, rigenerare o addizionare. Inevitabilmente nella natura dell’uomo il primo pensiero è la ricerca della stabilità persa, ma il processo rigenerativo di un tessuto urbano si scontra con un sistema complesso

This (half) page: To the right lies Tijuana, Baja California, Mexico, and on the left is San Diego, California, U.S.A. ”Border Mexico

USA” by Sgt. 1st Class Gordon Hyde - http://www.ngb.army.mil. Licensed under Public Domain via Commons

di relazioni, una nuova serie di temi dominanti e di richieste che non possono più ricreare la stabilità passata. Ecco perchè dopo un evento traumatico un sistema resiliente può perseguire solamente la generazione di un nuovo equilibrio, e questo si traduce come l’occassione di discussione e di miglioramento di un sistema, che era stabile, e proprio questa condizione era ottimale per non perseguire una trasformazione.

La rigenerazione avviene spontaneamente, in un processo, spesso, di carattere bottom up, in cui piccole parti (quartieri, gruppi, idee spontanee) iniziano a generare una nuova forma che accoglie l’evento traumatico, ricordandolo e usandolo come memento per il miglioramento. L’aspetto di questo fermento dal basso è estremamente interessante perchè attiva il sistema resiliente direttamente nel punto del bisogno, in cui la complessità della stratificazione sociale è tangibile e di conseguenza riconoscibile, comprensibile nel tentativo di introdurre la novità all’interno del sistema.

This (half) page: Memorial coffins on the US-Mexico barrier for those killed crossing the border fence, Tijuana, México. Photo by Thomas Castelazo via Wikimedia Commons

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SCAR ARCHITECTURE Traumatic events are not necessarily negative. The word trauma entails adverse or unfavorable connotations, specifies a particular social or natural episode occurred unexpectedly, often out of control, which produced difficult conditions to those who have been subjected to it. Trauma indeed is usually a sudden action if considered within the natural and social events. An earthquake, a tornado, a war, are events that affect a community and physically mark urban fabric, bringing a sudden break and determining the change of a stable condition. For this reason, the trauma inevitably accompanies “ the new”. Somehow you can say that traumatic events are the imminent, the future perspective. Lucio Fontana’s cuts showed a destructive action. Canvas cutting transforming a twodimensional space in a threedimensional space entailed the traumatic action modifying itself in a new state. This transformation to the new, with a damaging event, appears in one of the most discussed Cronenberg films, Crash. The destructive momentum in the car accident searching becomes the beginning of a new form, a new aesthetic rather than a devastating event and nothing more. The accident generated the new, those wounds suffered by the body became part of a new mutation, a new aesthetic, where the trauma

left a visible, indelible sign. The wound becomes a symbol of the new, but this “new body” is also surrounded by metal exoskeletons, complex structures for the healing of trauma, but at the same time, expression of an ongoing change. The traumatic event so activates the process towards the new, and this absorption and regeneration process gets the name of resilience. Resilience describes the ability of moving within a continuity and repetition pole and a

discontinuity and trauma pole, which form two asymptotic tendencies in which resilience is placed. Resilience is the ability of the system to regenerate itself after having absorbed the shock. The first attempt is to recover the condition of original stability, but all this is not possible: although regeneration, leads towards a stability, this new condition is different from the previous one. Even though the old condition can be considered over time reached again this is not absolutely true. After having absorbed the shock, the resilient system creates, researches and tests new forms

This and following page: Crash is a 1996 Canadian-British psychological thriller film written and directed by David Cronenberg based on J. G. Ballard’s 1973 novel. Alliance Comm. Corp., TMN the Movie Network, RPC Rec. Picture Company, Téléfilm Canada.

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of stability. Just like in the territories marked by an artificial boundary, a wall which divides two nations, two countries or the same city. One of the best known examples is the wall between Tijuana and San Diego which continues for kilometers inland and towards the Ocean on the other side; over time that division has become increasingly symbolic element of division of two cultures that real impassable barrier. The border has become the wound to heal,

there are many micro-projects along the plate wall that have regenerated a new social fabric where it had been drastically destroyed. The wall in some cases become the canvas to paint a new reality where you can leave images of hope, or simply it was embellished, like anyone would do with his own backyard, because for some people has become even outer space to live and share with neighbors. The border realities are all those areas within a city in which the major social healings happen. Not necessarily everything is due to destructive events; it’s enough just to be in a borderline location to trigger regenerating actions due

to a cultural, linguistic and thinking blending that can occur only in those promiscuous areas where there is no marked identity, but where there is a continuous changing, rebuilding or adding. Inevitably, in the human nature the first thought is the search of the lost stability, but the urban fabric regeneration process collides with a complex system of relations, a new set of dominant themes and demands which cannot recreate the past stability anymore. That’s why after a traumatic event a resilient system can only pursue the generation of a new balance, which is the opportunity to discuss and improve a system which was stable, and just this condition wasn’t optimal to pursue a transformation. Regeneration occurs spontaneously, often in a bottom-up process in which small pieces (neighborhoods, groups, spontaneous ideas) begin to create a new form that includes the traumatic event, remembering and using it as a memento for improvement. The appearance of this ferment from below is extremely interesting because it activates the resilient system straight at the point of need, in which the complexity of social stratification is tangible and consequently recognizable, comprehensible trying to introduce the novelty within the sys

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VINCENZO LABELLARTE ROMA SOTTO ASSEDIO le sanguinanti ferite di una cittĂ paradossale 31


SDG - Perchè hai scelto come tema del tuo lavoro i cantieri, le cesure urbane? VL - È stata una scelta dettata dal luogo dove abitavo quando cercavo l’idea per il progetto fotografico: Re di Roma. Si potrebbe dire che il tema si quasi è imposto da sé, vicino casa stavano costruendo un parcheggio interrato mentre la zona limitrofa di S. Giovanni era in buona parte occupata, come tutt’ora, dai cantieri della Metro C . Le talpe e i vari macchinari di scavo e sollevamento di tutti quei cantieri mi sembravano, soprattutto di notte, delle macchine d’assedio medievali. SDG - Ti sentivi “assediato”? VL - Era una sensazione comune nel quartiere, forse proprio a

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causa di quei macchinari alieni, il cui scopo e funzionamento per chi non è del settore è in buona parte sconosciuto. A Roma ci sono molti cantieri aperti, che si distinguono per materiale e colore delle barriere con cui sono delimitati, dal giallo della Metro al grigio del cantiere della Nuvola passando per il rosso degli ex-mercati generali, recinzioni, barriere e impalcature sono comuni denominatori di tutti i cantieri.

e il malessere generati da quelle presenze ingombranti in maniera troppo diretta; privilegiando gli aspetti paradossali e surreali che ne derivano, nel silenzio della notte, col traffico ridotto al minimo, i cantieri illuminati mi sembravano quasi entità con una propria identità estetica, presenze piu’ simili a delle opere di Land Art che criticità difficilmente sostenibili per chi ci vive vicino.

SDG - Quindi a Roma questo SDG - Cercavi un tema inconsue- “’assedio” trovi sia diverso rispetto ad un altro posto? che faccia parte to? della “Grande bellezza” di questa VL – Più che altro cercavo un pun- città? to di vista inconsueto, non credo sia la prima volta che qualcuno VL – Non si può negare che i fotografa i cantieri di Roma e chi cantieri “eterni” siano una caratteci vive conosce molto il problema ristica peculiare italiana e soprattutto romana considerando che, dei lavori in corso ad oltranza, quello che ho provato a fare è sta- accanto ai vari problemi di tipo to evitare di raccontare il degrado politico e burocratico, la comples-


sità geologica ed archeologica del sottosuolo della capitale non aiuta. Quanto all’aspetto surreale notturno sicuramente è un elemento comune a tutte le città, mi vengono in mente i cantieri di Porta Nuova a Milano per esempio, ma certamente ci sono luoghi dove questo aspetto diventa ancora piu’ accentuato: penso alla Cina fotografata da Peter Bialobrzeski oppure al lavoro su Shangai di Greg Girard, pubblicato con la prefazione di William Gibson, in cui l’immagine fotografica della città che ne deriva ricorda piu’ quella di un romanzo cyberpunk o di un film di fantascienza. SDG - Ho notato alcune scelte da parte tua, come la totale assenza di persone e il fatto che tutte le foto sono fatte di notte. Perché queste scelte?

VL - Di notte ogni tipologia di luce ha una propria temperatura colore, differenze che l’occhio tende a uniformare ma che la fotografia evidenzia, trasfigurando la realtà che normalmente conosciamo, inoltre la Roma notturna mi ricorda diverse suggestioni cinematografiche, penso a Fellini ma anche a Garrone. Trovo che anche di notte a Roma sia difficile sentirsi soli, la presenza umana si percepisce costantemente anche quando non è manifesta anche se chiaramente mi riferisco ai quartieri con una forte identità storica. Difficile non sentirsi isolati nell’estrema periferia che non a caso tende a sembrare identica in tutte le città.

HO CERCATO DI COMPORRE LE INQUADRATURE IN MODO FORMALE, RIGOROSO, QUASI GRAFICIZZANDO LA REALTÀ.

SDG - Però “Caro diario” di Moretti è ambientato solo di giorno.. VL – Vero, ma Fellini a differenza

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di Moretti nel raccontare Roma privilegia il suo aspetto surreale e grottesco, riuscendo forse a raccontarla in maniera piu’ profonda, il che è poi l’aspetto che piu’ mi affascina: un insieme di paradossi e contrasti umani e urbani quelli sì tipicamente romani. Quando parlo di immagine surreale non penso a qualcosa di puramente estetico fine a se stesso, anzi, credo che quel tipo di approccio possa essere uno strumento utile ed efficace per raccontare le criticità di una città.

mio lavoro è solo una metafora i cui segni nonostante i disagi che provocano prima o poi sono destinati a scomparire lasciando al loro posto nuove opere che almeno nelle intenzioni sono destinate a migliorare la vita delle persone. L’assedio di Sarajevo invece è stato un evento totalmente nefasto che ha solo prodotto morte e distruzione e i cui segni sono destinati a restare nel tempo, oltre che sul territorio anche e soprattutto nella vita degli abitanti di un intero paese.

che viviamo si tratta di ferite che tardano a rimarginarsi finendo spesso per logorare chi ci vive vicino e facendo passare in secondo piano le opere per cui sono stati allestiti. Certamente fa ancora più male la brutta cicatrice, il quartiere costruito male: una saturazione imperfetta che non si rimargina mai.

SDG - Personalmente trovo le tue foto interessanti perché mi viene voglia di scoprire cosa mi viene precluso; ma è un qualcosa che volevi ottenere o piuttosto un SDG - Però queste “ferite urbane” effetto collaterale? SDG - Lebbeus Wood scrisse hanno per te degli aspetti positivi? “Guerra e architettura”. Ci comVL – Piu’ un effetto collaterale menti questa affermazione? Sembra avere qualcosa a che fare con VL – Nel caso dei cantieri al di là di direi. In realtà ascoltando le imil tuo assedio.. un personale interesse fotografico pressioni dei visitatori alle mocredo che l’unico aspetto positivo stre in cui il lavoro è stato finora sia che prima o poi (troppo spes- esposto, ho scoperto che si tratta VL – Non sono sicuro si possa di un interesse ricorrente; per me stabilire una relazione, per nostra so poi) i lavori finiscono e quindi fortuna l’assedio che racconto nel scompaiono, anche se nella realtà che fotografavo era chiaro cosa ci

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fosse oltre le recinzioni. Una delle prime fotografie del progetto fu scattata in via dei Fori Imperiali: lì le barriere gialle del cantiere della metropolitana erano state appena installate e il giallo lucido e quasi abbagliante, insieme alla dimensione enorme dell’opera (occupavano tutta la lunghezza della strada) mi ricordavano quasi un’installazione di Christo, da lì ho quindi cercato di comporre le inquadrature in modo formale, rigoroso, quasi graficizzando la realtà. Visti da fuori i cantieri avevano una loro “bellezza” pur essendo evidente il disagio quotidiano che generavano.

anche se non ho mai pensato a quest’aspetto; ma è anche giusto che ognuno possa interpretare un lavoro secondo il proprio punto di vista, credo sia molto importante lasciare all’osservatore un proprio spazio di lettura. SDG - Il mio allora è un interesse macabro, secondo te? VL - non credo, di sicuro trovo positivo che un progetto si presti a differenti interpretazioni, il confronto è un elemento fondamentale per scoprire anche altri aspetti del nostro lavoro.

SDG - Barriere, cartelli minacciosi ROME UNDER THE di divieto di accesso, nastri a striSIEGE sce colorate: siamo in una scena del crimine? SDG - Why did you choose as VL – Interpretazione interessante theme of work the yards, the urban

caesurae? VL - It was a choice dictated by the place where I lived when I was searching the idea for the photographic project: Re di Roma. It could be said that the theme was almost imposed by itself. Nearby home, the constructors were building a basement parking while the neighboring area of S. Giovanni was widely occupied, as yet, by the C subway’s yards. The moles, the various excavations machines and the lifting of all those yards seemed to me, especially by night, medieval siege machines. SDG - Did you feel yourself “besieged”? VL - It was a common sensation in the neighborhood, maybe because of those alien machines which purpose and functionality for the people who are unaware of this

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field is mostly unknown. In Rome, there are many opened yards which distinguish themselves from material and barrier colour with which they are delimited, from the silver of the subway to the Nuvola yard passing by the red of the ex general markets, enclosures, barriers and scaffolds, these are common denominators of all yards.

in such a direct manner; by privileging the resulted paradoxal and surreals aspects, in the silence of the night, with the traffic reduced at minimum, the illuminated yards seemed to me almost an entity with an own esthetic identity, presences similar to Land Art pieces of art which the critical issues are unlikely for who lives nearby.

SDG - Were you searching for an unusual theme?

SDG - So, in Rome you find this “siege” different compared to another place? It is that part of the “Grande bellezza” of this city?

VL - More than anything else I was searching for an unusual point of view, I do not think that it is the first time when someone snaps a picture of Rome’s yards and those who live there know well the problem of the works in progress till the end. What I wanted to try to do was to evitate to tell the deterioration and the malaise generated by those cumbersome presences

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VL - It cannot be denied that the “eternal” yards are an Italian peculiar characteristic and mostly Roman by taking into consideration that next to the various political and bureaucratic problems, the geological and archeological complexity of the capital’s soil do not help. Regarding the surreal noctur-

nal aspect, it is surely a common element of all cities. It comes in my mind the yards of Porta Nuova, in Milan for instance, but certainly there are places where this aspect becomes more highlighted: I think of China photographed by Peter Bialobrzeski or of the work on Shanghai by Greg Girard, published with Wiliam Gibson’s preface in which the photographic image of the city recalls more a city of a cyberpunk novel or science fiction movie. SDG - I have noticed some of your choices such as the total absence of persons and the fact that all the images had been taken by night. Why these choices? VL - By night, each typology of light has its own colour temperature, differences which the human eye is inclined to fit but which the


photo highlights by transfiguring the reality which normally we know. Furthermore, the nocturnal Rome reminds me different cinematographic suggestions; I think of Fellini but also of Garrone. I also find that by night, in Rome, it is difficult to feel alone, the human presence is constantly perceived even when it is not expressed even though I clearly refer to the neighborhoods with a strong historical identity. It is difficult not to feel isolated in the extreme suburbs which, not by chance, seem identical in all the cities.

manner which is then, the aspect that fascinates me more: a whole of human paradoxes and contrasts, typically Roman. When I talk about the surreal image, I do not think of something purely esthetic, on the contrary, I think that type of approach could be an useful and efficient tool to tell the critical issues of a city. SDG - Lebbeus Wood wrote “War and Architecture”. Would you comment this statement? It seems to have something to do with your siege...

intentions are designed to improve the persons’ life. Sarajevo’s siege, on the other hand, was a totally inauspicious which produced only death and destruction and of which signs are designed to resist through time above the territory and especially in the inhabitants’ life of a whole country. SDG - But for you, do these “urban injuries” have positive aspects?

VL - In case of the yards beyond a personal photographic interest, I think that the unique positive SDG - But “Caro Diario” by Mo- VL - I am not sure that it could be aspect is, sooner or later (too often retti takes place only by daytime. established a relation, fortunately then), that the works are finished for us the siege about which I talk and therefor they dissapear alVL - True, but Fellini, unlike in my work is only a metaphor in though in the reality we live deals Moretti, while talking about Rome, which signs are designed to vanish, with injuries which delay to broin spite of the incoveniences that he favours its surreal and groteod themselves by often ending to sque aspect succeding, perhaps, to they create, by letting in their pla- wear out who lives nearby and ces new pieces of work of which talk about it in a more profound by putting on the second plan the

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the subway’s yard had been just installed and the bright and almost dazzling yellow together with the enormous dimension of the work (they were occuping all the street lenght) almost reminded me a SDG - Personally I find your pho- Christo installation. From there, I tographs interesting because I have therefor tried to compose the shots in a formal way, rigorous, almost the will to discover what is foredrawing the reality. The yards seen closed to me; but it is something which you wanted to obtain or it is from the outside had their own “beauty� despite the fact that the more a collateral effect? daily uneasiness generated by them was evident. VL - I would say that it is more than a collateral effect. In reality, by listening the impressions of the SDG - Barriers, threatening signboards of access denied, coloured visitors during the exhibitions in which the work have been exposed stripes tapes: are we in a crime till now, I have discovered that it is scene? about a recurrent interest; for me, who photographs, it was clear what VL - An interesting interpretation although I have never thought of is more than an enclosure. One such an aspect; but it is also fair of the first image of the project that each person interpretes a work was taken on Via dei Fori Imperiali: there, the yellow barriers of according to his own point of view. pieces of work for which they had been prepared. Certainly, the bad scar harms more, the neighborhood built bad: an imperfect saturation which does not ever heal.

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I think it is very important to let to the observer an own lecture space. SDG - Mine, therefor, is a gruesome interest, in your opinion? VL - I do not think so, I surely find positive the fact that a project has different interpretations, the confrontation is a fundamental element to discover also the other aspects of our work.


C I C AT R I C I U R B A N E . DIAGNOSI E CURA Roma Un’anziana e nobile signora, un po’ vanitosa, finalmente si decide a curare i mali che la acciaccano, su consiglio del suo medico di fiducia (un medico appunto, di questi tempi...). Inizia allora una penosa ed estenuante peregrinazione attraverso tutti i centri ospedalieri, interrogando dotti, medici e sapienti sulla natura del proprio male. Dopo averla sottoposta a visita, molti ritengono che il problema siano le numerose cicatrici e smagliature che hanno segnato con il tempo la bellezza della sua epidermide. “Vedrà, con qualche ritocco di chirurgia estetica qua e là ritornerà come nuova”, le dicevano. “E poi potrà tornare a guardarsi allo specchio con soddisfazione. Perchè, si sa, vedersi bella allontana tutti gli altri mali”. Prenotata una seduta di lifting, Roma esce fiduciosa dalla clinica e cerca affannosamente di guadagnare l’altro lato della strada, sfilando nel traffico delle macchine accompagnata da un concerto di clacson assordanti. Cominciava ad avvertire già dei dolori alle gambe, come dei gonfiori che le appesantivano il passo. Stanca si mette seduta sulla panchina della fermata ad aspettare l’autobus... Nell’attesa un dottore la riconosce. Era stata una sua paziente molto tempo fa, anche se non ricorda bene in quale occasione. Anche Roma lo riconosce ma finge di ignorarlo, esibendo con ostentata indifferenza il suo tatuaggio floreale snodato lungo la gamba che nascondeva il segno di qualche

cicatrice. Il medico, per nulla in soggezione rispetto alla bellezza altera di Roma, esordisce netto. “Signora Roma, lei continua a coprire il suo bellissimo corpo di tatuaggi, ma ha fatto qualcosa per quel suo vecchio problema...?” Il medico era un angiologo e omeopata. Era diventato nel frattempo esperto di medicina orientale impiegando il vari casi la tecnica dell’agopuntura. La situazione clinica di Roma, a suo parere, era chiara. Il problema di Roma non è estetico, non riguarda l’epidermide. O meglio, si, ma come effetto indotto da cause più profonde, in qualche modo “invisibili” allo sguardo dei medici comuni. Al termine dei suoi studi il dottore era arrivato ad una conclusione: il problema di Roma è circolatorio. Riguarda quindi il sistema dei flussi all’interno del proprio corpo, che per cause genetiche, adesso appare come congestionato, sclerotizzato. Quando Roma è diventata consapevole che il suo ruolo e la sua forza andavano ben oltre i confini fisici dell’urbe, dichiarando la sua vocazione a dominare su un palcoscenico territoriale vastissimo, essa ha sviluppato una rete radiocentrica di strade consolari che la mettevano in comunicazione con il mondo (orbis). A parte l’Appia antica che assunse un carattere celebrativo e maestoso, le altre consolari avevano una funzione puramente militare. Ciò non ha consentito nel

This page: Rome, San Giovanni; pedestrian crossing in front of the gate and the walls. Photo by Davide Luca.

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tempo l’attecchimento di una cultura urbana “della strada” tipica invece delle città mercantili che si sono sviluppate nel medioevo e che, evolvendosi con i dovuti adattamenti formali negli organismi della città “borghese” che noi oggi comunemente viviamo, hanno dato vita alla nostra cultura urbana dello spazio pubblico. A parte il tridente di via del Corso e qualche viale di epoca umbertina, Roma non offre “luoghi” in cui sia possibile passeggiare, fare shopping, conversare in modo confortevole, senza discontinuità, interferenze e fratture di ogni tipo che rendano lo spostamento una avventura urbana. Poco male. Anzi, Roma è una città speciale, proprio per questo. Ci hanno provato a cambiarla, dai papi a Napoleone a Mussolini. Per renderla attraversabile dalle carrozze ammorbidendola e raccordandola con virtuosismi barocchi. Per darle il respiro e la dignità di capitale europea, fatta di viali moderni che inglobavano le folies antiche. Per aprirla alle masse e alle parate militari del regime. Con risultati poco soddisfacenti. Perchè Roma è e rimane essenzialmente una città antica classica, fatta di fori, di terme, di teatri, di stadi. Di recinti cioè, che delimitavano uno spazio in cui si svolgeva la vita, sociale, culturale, economica. Un palcoscenico per i

cittadini. Se non si coglie questo aspetto fondamentale, qualunque tentativo di ricucitura, connessione, pedonalizzazione, riqualificazione del sistema della viabilità su scala umana pedonale risulta vano. Si rischia di sbagliare ogni volta la terapia per la città. E’ una città in cui si spazia soprattutto con lo sguardo, passando dalla compressione del centro alle aperture sul paesaggio inquadrato dai belvedere. Una città fatta più per la contemplazione e il movimento lento che per l’attraversamento. Per quanto riguarda proprio le strade consolari, queste sono delle arterie che continuano a pompare autoveicoli dall’esterno verso il centro e viceversa, in una difficile convivenza con il pedone, In una situazione in cui le aree archeologiche e monumentali che dovrebbero essere fruite liberamente da tutti come spazi collettivi vengono invece transennate e sottoposte a sfruttamento turistico, al cittadino comune non rimane che essere segregato nei parchi, quale ennesima specie in via di estinzione ad alimentare la insensata richiesta di verde come panacea di tutti i mali della Roma contemporanea.

This and following pages: Brazil is a 1985 film directed by T. Gilliam and written by Gilliam, C. McKeown, and T. Stoppard. Embassy Inte. Pict. Alma Terrain is an old lady; throughout the film her health is deteriorating because of cosmetic surgery.

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Quali le terapie quindi per coniugare le necessità dei flussi con la vivibilità degli spazi? Le risposte possono essere due. Una che rivaluta il potenziale archeologico monumentale rendendolo un elemento attivo della struttura pubblica della città. E in questo caso il tentativo è stato fatto ipotizzando una ridefinizione progettuale dell’Appia antica e del suo parco regionale in relazione con la città. L’altra, forse più efficace, che offre un nuovo tipo di cura, fatta questa volta non di ristrutturazioni sistematiche e lineari, che sarebbe utopistico e irreale proporre rispetto all’attuale situazione, oltre che inefficace considerando le dimensioni della città. Non è possibile infatti risanare in maniera integrale tutto il sistema arterioso a meno di costi ingentissimi. Ma si può lavorare su un sistema arterioso parallelo e invisibile, basato su un flusso positivo che non sclerotizza i tessuti, anzi li innerva e li rivitalizza dall’interno. Quello delle reti metropolitane del trasporto pubblico locale. In questo modo si può mettere in campo una strategia non invasiva, che agisce localmente, sollecitando punto per punto i nodi principali, corrispondenti alle stazioni della metro e a quelle di interscambio tra i mezzi di trasporto,

riqualificando gli spazi circostanti. Un campo, questo del progetto della città del movimento e del trasporto pubblico, che se sviluppato in modo capillare e sistematico, includendo e coordinando anche gli interventi di “street art” (appunto arte di strada e “per” la strada sarebbe da aggiungere), può diventare una cura efficace ai mali cronici della signora Roma.

EPIDERMIC SCARS AND VASCULAR SCLEROSIS. DIAGNOSIS AND THERAPY OF AN URBAN BODY. Rome. An old and noble lady, a little vain, finally decides to take care of her ills, reccomanded by her doctor. So she starts a troubled tour throughout the many clinical offices spread in the city, asking the doctors for the origin of her pains. They tell her the problem is the scars that altered the beauty of her skin. “You’ll see, thanks to few plastic surgery interventions you will recover your original beauty. Because we know: to look beautiful helps to feel fine”. After taking an appointment for a facelift, Rome goes out the clinic with a sense of proud

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optimism. But while she is crossing the road, parading in the middle of traffic, she feels a pain in her legs. Hardly reached the bus stop, her legs have become swollen and heavy. Waiting for the bus, a doctor who examined her in the past, addresses to her with no awe for her haughty beauty. “Lady Rome, you are always beautiful. But did you do anything for your old problem?”The doctor was an angiologist and homeopath, experienced in acupunture therapy. To him the nature of Rome’s illness is vascular, regarding the circulatory system, that is congested and sclerotic. When Rome understood that her role and power would have exceeded the physical limit proper of a city (urbs), looking at the big dimension of the world (orbis), she started to build a radiocentric network of roads for military purposes. This fact caused that Rome did not developed a “culture of the street” typical of the merchant town grown in the Middle Age and restructured in the next centuries to fit the needs of the middle class society. It is not a surprising matter that, apart the trident area of via del Corso and few axes from the Umbertinian period, Rome does not have adequate, confortable and easy-to-use spaces for open air activities, like having a stroll, shopping, chatting and all the other kind of pedestrian

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activities that enpower the civic life of a city. No matter. Rome is particular just for this. Popes and men of power they tryed during the past to change the structure of the city, giving their own vision of the dignity of the street - making the movement an aesthetic experience thanks to baroque moulded shapesal and illusionistic devices; integrating archeological remains into a magniloquent landscaping design, dreaming a status at the level of the other national capitals; opening up the spaces and demolishing built areas to accomodate the needs of the mass society. With few results. Because Rome is essentially a “classic town” made of precincts, like Fori, stadi, theaters. Stages and scenarios where the civic life of the classic man can be performed. If we do not catch this peculiar and radical character of Rome, each attempt of a therapy for her public space will go into a failure. The idea of the “city of flow” does not suit to Rome, at least in traditional terms. One one side we have the consolar roads that draw up vehicular traffic inside out with a difficult coexistence with pedestrians functions. On the other the most beautiful archeological areas are either captured, fenced and exploited for massive tourism or protected for the antiquarian vivisection of few specialists. This


deprives Roman citizens of a large amount of possible public spaces. At this point, what can be the therapy for combining the need of flux with the liveability of urban spaces in Rome? Probably a double strategy. The one that should be based on a general rehabilitation of the big amount of historic monuments, integrating them into the pattern of the contemporary practices. The other that should face seriuosly the problem of smart movement in a sprawled and fragmented city like Rome, working on the connections and synapsis of public transportation system. Being irrealistic to make an integral redesign of the road network, the most effective strategy can be that of puntual interventions on the nodes of metro, tramvia and train, for instance. The objective should be to make the experience of movement pleasant and sustainable. This can be a rising field for town design in the next years. And also a possible therapy for the cronic illness of Rome.

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Nel 1816, l’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia provocò un anno piovoso e senza estate. Questo insolito clima portò diversi amici a radunarsi e organizzare una gara letteraria, alla quale Mary Shelley presentò Frankenstein o il moderno Prometeo. I personaggi di questa storia sono entrati nell’immaginario collettivo, con varie distorsioni; a risaltare su tutti per notorietà, non è il dottor Frankenstein quanto la sua creatura, un super-uomo creato assemblando porzioni di cadaveri. Il dottor Frankenstein conduce arditi esperimenti sull’elettricità e sul sistema nervoso; la sua creatura vive, e si mostra intelligente e sensibile, ma di aspetto insolito e ripugnante. La creazione mal riuscita, un diverso che la società rifiuta, diviene corrotto e violento, e vaga nell’ombra come minaccia perenne e misteriosa al proprio “padre” come all’umanità che l’ha allontanato. La Shelley ha infuso nella trama paure e angosce comuni a tutti, anche a lei stessa, non preoccupandosi di innescare una lotta tra bene e male o di svelare i meccanismi della vita, ma osservando come la sofferenza possa nascondersi dove meno ce l’aspettiamo e come la cultura e la scienza non portino necessariamente alla felicità. Un creatore, preso dall’eccitazione del “poter fare”, agisce pensando solo alla correttezza matematica di ogni passaggio, ma la somma finale dei suoi sforzi sarà un qualcosa di più di un insieme di organi, tessuti, ossa. Secondo l’autrice, Frankenstein merita una punizione, che non sarà divina ma arriverà come un naturale svolgersi di causa ed effetto (anche se questa punizione coinvolgerà degli innocenti), senza che alcun deus ex machina intervenga a punire o sanare: e per questo la storia risulta vera, e ci atterrisce. Non possono spaventare le cicatrici della “creatura”, più volte infatti ritratta in parodie. Frankenstein rappresenta la paura di creare qualcosa che sarà rifiutata dagli altri e per questo anche da noi stessi, qualcosa di cui ci pentiremo per sempre: e per questo ci impaurisce. Ispirata da un incubo, Shelley ci trasmette l’ansia di chi sta partecipando ad una gara letteraria, ma soprattutto, l’ansia di chi sta per creare, per divenire madre, per dare la vita a qualcosa che non potrà controllare.

In 1816, the Mount Tambora eruption in Indonesia caused a rainy year without summer. This unusual climate incited several friends to gather and organize a literary contest, in which Mary Shelley introduced Frankenstein or the Modern Prometheus . The characters of this story have entered in the collective unconscious, with various distortions; the one who stands out on all the others for notoriety is not Dr. Frankenstein properly but his creature, a super-man created by assembling portions of corpses. Dr. Frankenstein conducts daring experiments on electricity and nervous system ; his creature lives, and appears intelligent and sensitive, even if with an unusual and repugnant appearance. The botched creature, an odd man refused by society, becomes corrupt and violent, walking in shadow as a mysterious and perennial threat for his “father” and for the humanity which has rejected him. Shelley has infused into the plot fears and anxieties which are common to all, even to herself, not caring to trigger a fight between good and evil or to reveal the mechanisms of life, but observing how suffering can hide itself where we least expect it and how culture and science don’t necessarily lead to happiness. A creator, excited to be into the “I can do”, acts just thinking about mathematical correctness of each step, but the final sum of its efforts will be something more than a set of organs, tissues, bones. According to the author, Frankenstein deserves a punishment, which will not be divine but it will come as naturally cause and effect occur (although this punishment will involve some innocents), without any deus ex machina intervenes to punish or heal: that’s why the story is true, and frightens us . The scars of the “creature” cannot scare, several times in fact it is portrayed in parodies. Frankenstein is the fear of creating something that will be rejected by others, and for this also by ourselves, something we will regret forever: and this frightens us. Inspired by a nightmare, Shelley gives us the anxiety of those who are participating in a literary contest, but above all, the anxiety of those who are about to create, to become a mother, to give birth to something that they can not control.

This and previus page: Aurora’s first Universal monster model was a 1/12 scale figure model of Frankenstein’s Monster in 1961.

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PDA#2 | Winter 2014 The (new) popular city editorial #2 – The city is our habitat #2.1 – Cities of Damaste #2.2 – Rediscovering the working class district #2.3 – Tokonama interview #2-4 – Prometheus is needed! Enzo Masci, stage director

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PDA#4 | Summer 2015 Innovative traditions editorial #4 – What is fixed is also still, without development, non-vital #4.1 – The space of the body #4.2 – Notes for a trip in Sicily #4.3 – Original quotes interview #4-7 – Enrico Stassi, MACRO museum coordinator

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