#21 june 2010

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stampato su carta riciclata

anno 5 numero 21 giugno 2010

PASS IL MAGAZINE DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA


PASSATENEO POST ELEZIONI STUDENTESCHE Qualche dato, riflessioni e interviste a quattro rappresentanti........ 4/5 BESTIARIO AAA Crediti a scelta cercasi (anche usati) + Dissenso...................... 6 IL CANTO DELLE SIRENE La voce delle donne....................................................................... 7 NIENTE FOTO, GRAZIE, SIAMO WU MING Incontro in Univesrità con il collettivo di scrittori............................... 8

PASSWORLD PIRATI IN DIFESA DI DARWIN Pastafarianesimo, Flying Spaghetti Monster e appendice.................. 9 SENZA TANTI GIRI DI PAROLE Il Bel Tempo................................................................................. 10 MORIRE PER RACCONTARE LA VERITÀ La tragica vicenda di Fabio Polenghi............................................. 10 GIOVANI E PRECARIATO Come andrà a finire?...................................................................... 11 CARAVAN PROJECT Un viaggio alternativo................................................................... 12 NEXT SUMMER Hey let's go to...Telaviv................................................................. 13 L'ALTERITÀ Il contatto con l'altro............................................................... 14/15 MURCHÍA E TRECIA Una storia vera scritta da Idata..................................................... 16

PASSATEMPO ESTATE AMERICANA + THE TEMPLE OF THE KING + BLUE NOTE Musica, musica, musica............................................................... 17 ROCK ON BABE! + UN CANNONE NEL CORTILE Litfiba + De Andrè........................................................................ 18 IL SAPER "INUTILE" Alcune osservazioni sull'importanza di far nulla............................. 19 IL CIRCOLO VIRTUOSO DELL'ARTE Pensieri parole suggestioni........................................................... 20 ALZO LA PISTOLA: SPARO Illusione di una rivoluzione........................................................... 20 DIALOGO D'ARTE Con Rodolfo Hernandez................................................................ 21 DI UN POMERIGGIO DEL MESE DI MAGGIO Giuliana Sgrena in Università........................................................ 22 ELIAS CANETTI La coscienza delle parole............................................................. 22 NERO REVOLVER Ammazza il tempo....................................................................... 23

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EDITORIALE

SOMMARIO

Per quest' anno non cambiare stesso sPASSo stesso mare! Ed ecco la solita storia: all'inizio ed alla fine non si sa mai cosa scrivere; le parole sono allergiche ai limiti della carta, dell'inchiostro o del tempo. Il numero al gusto di limone che avete tra le mani, è l'ultimo per quest'anno accademico. Un ventaglio polifonico di suggestioni, viaggi, creatività, arte, musica, letteratura, riflessioni ed il consueto occhio attento e curioso rispetto alla vita universitaria e al mondo strambo che ci circonda. Pass vuole dirvi che si sente felice: sa bene che con la sua voce non può risollevare gli animi a volte un po' troppo intorpiditi di noi tutti, di non poter “cambiare le cose”. Le “cose” sono ostinate, dure e non camminano da sole, non si muovono, non parlano. Eppure siamo qui, cercando la pellicola al negativo dei nostri piccoli mondi e provando a dipingerla, ognuno con i propri colori. Qualcuno si muove. Qualcuno parla. E non lo fa con Facebook, non lo fa con un cellulare. Lo fa con la carta. Lo fa attraverso un progetto animato dalla volontà di comunicare davvero, di autorappresentarsi e di rappresentare attraverso le idee. Quindi grazie: ai lettori, ai redattori, all'Ateneo, al Prof.Re Claudio Gallo e a tutti i docenti e persone che hanno collaborato. In bocca al lupo per la sessione, buone vacanze e...speriamo di ritrovarci ad Ottobre cari passisti!!! Marta Poli

PASS

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PRODOTTO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA Copyright: Le condizioni di utilizzo di testi e immagini, laddove è stato possibile, sono state concordate con gli autori. Tutti i diritti sono riservati, testi, grafiche e fotografie sono coperte da copyright. Ogni copia degli stessi è illecita. Si ricorda che il contenuto del singolo articolo non definisce il pensiero della redazione e dell’editore. Grazie a tutti coloro che hanno collaborato, ma che sono stati dimenticati nei ringraziamenti.

Registrazione Tribunale di Verona N° 1825 R.S. del 27/02/2009 Direttore responsabile: Claudio Gallo Proprietario: Juliette Ferdinand Redazione chiusa il: 9 Giugno 2010 HANNO SCRITTO: Marta Poli, Carolina Pernigo, Sara Creta, Sara Ferri, Michele Cavejari, Lara Zoppini, Nadia Zandomeneghi, Paolo Perantoni Clara Ramazzotti, Francesco Greco, Simone Rega, Antonella Sartori, Federica Rosa, Anna Pini, Federico Longoni, Valentina Pizzo, Roberto Torricelli, Matteo Bellamoli, Fabrizio Capo, Katia Bonini. FOTOGRAFIE E ILLUSTRAZIONI (OVE NON INDICATO): Flickr.com, Sxc.hu PROGETTO GRAFICO: Eugenio Belgieri (www.whatgrafica.com) e Giuliano Fasoli FOTO DI COPERTINA: "Omaggio a Jeff Koons" 2010, di Rodolfo Hernandez (hernandezrodolfo.com) Stampa: Tipografia CIERRE - Sommacampagna (VR)


PRIMO PIANO Dopo il corpo delle Donne… Dopo il corpo delle Donne… intervista di: antonella sartori

Durante la prima metà di Maggio si sono tenuti, presso l’Università di Lettere e Filosofia, due interessanti incontri intitolati Il corpo delle donne. L’uso e la rappresentazione del corpo femminile nei mass media, organizzati in collaborazione con il Comitato Pari Opportunità dell’Ateneo da Ludmila Bazzoni, studentessa presso la facoltà di Filosofia. Gli incontri hanno dato parecchi spunti di riflessione e hanno suscitato nella sottoscritta alcune curiosità riguardo al tema trattato; molte sarebbero le domande, Ludmila ha risposto ad alcune: Qual è stata l’idea alla base dei due incontri Il corpo delle donne? Le motivazioni in sintesi sono due. La prima è legata all’università che vorrei: riuscire a creare dei momenti di interazione, di condivisione e di creazione di un sapere critico, che vadano oltre la normale vita universitaria. La seconda esigenza è legata agli eventi del Giugno 2009 che hanno visto coinvolto il nostro presidente del consiglio; scandali che considero emblematici e significativi di un dato clima culturale, che non si riducono a un fatto politico (questo per me è poco importante), ma vanno oltre il personaggio, interrogando soprattutto noi giovani donne. Come tale, sono stata toccata da quello che succedeva, perché le veline, come immagine e fenomeno, possono essere (e talvolta sono) nostre compagne di università. Essere toccata da questa immagine della velina vuol dire anche non porsi con un occhio giudicante nei suoi confronti: io non disprezzo quest’immagine, ma mi interrogo. Di questo si è parlato molto durante il primo incontro, con la proiezione del documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo: quelle immagini (veline, o comunque sensuali ragazze poco vestite, di cui la televisione è piena, nda) ti fanno riflettere, perché quell’immagine sei in parte anche tu, ci devi fare i conti. Oltretutto, penso che da uno scandalo (che può

essere politico, mediatico o culturale) si debba imparare a riflettere e non dimenticare; ciò di cui c’è necessità, ora, è la creazione di un sapere critico; creare dei momenti di confronto, soprattutto all’interno dell’università, che facciano i conti con il mondo reale che abbiamo davanti. Durante gli incontri si è parlato di un gruppo di lavoro, all’interno dell’Ateneo, appoggiato dal Comitato di Pari Opportunità. Di che cosa si tratta? Innanzitutto c’è da premettere che il progetto Il corpo delle donne è stato finanziato e sostenuto dal Comitato Pari Opportunità di Ateneo, di cui io faccio parte. Purtroppo, questo comitato è poco conosciuto – quasi un’entità fantasmatica - ma esiste, lavora e ha in ballo progetti cospicui; cerca di favorire il contatto con gli studenti e le studentesse con un’ attenzione alla questione di genere; sostiene anche progetti molto più concreti come l’asilo d’Ateneo o un progetto di telelavoro per la conciliazione della figura della donna tra lavoro e sfera domestica. Perché, secondo te, quello della situazione femminile (e della sua rappresentazione) è un argomento che viene considerato “superato” soprattutto dalle generazioni più giovani? Me lo chiedo da anni, e non sono ancora arrivata ad una risposta che mi soddisfi. Diciamo che, le generazioni un po’ più vecchie hanno avuto un percorso personale e una coscienza politica diversa, formatasi in un’altra epoca storica in cui si cercava di creare un’altra possibilità; mi riferisco in particolare agli anni Settanta e alla nascita della seconda ondata femminista. Evidentemente c’è stato un problema generazionale di trasmissione, non saprei però dirti qual è stato l’inghippo tra loro e noi! La situazione che ora vedo è complessa: è un problema poco sentito, e sempre relegato a una minoranza; forse perché in questo paese la questione di genere è stata poco codificata, nel senso che politicamente è sempre stata un discorso accessorio anche se, paradossalmente, alla base di ogni categoria - politica e non - c’è la differenza di genere. O forse anche perché è una tematica in cui ti devi mettere in gioco, perché quando parlo di questione di genere, sto parlando di me stessa e delle mie relazioni. L’intento degli incontri infatti era proprio questo, non fare un’analisi teorica del fenomeno veline, ma quanto quest’immagine ci tocca e quante e quali sono le nostre paure; penso sia questo il terreno fertile, ma anche quello più complicato da affrontare, per noi giovani donne.

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federica rosa

Post elezioni studentesche Qualche dato, una piccola riflessione e quattro chiacchere con alcuni rappresentati Anche quest'anno le elezioni studentesche, tenutesi il 12 e il 13 di maggio, non hanno riscosso un grande successo: si parla di un'affluenza pari al 12,23%: su 23.046 studenti si sono recati alle urne in 2.586. Scienze MM.FF.NN. è la facoltà che vanta l'affluenza più alta, 24,33%, mentre Lingue si ferma al 5,14%. Possiamo dire, con Carlotta Cena, presidente uscente del Consiglio degli Studenti, che le elezioni si sono tenute in un momento in cui i corsi per molti si erano già conclusi (dichiarazione rilasciata al quotidiano veronese L'Arena), e poi certo, molti studenti non sono frequentanti... ma questo non può giustificare un'affluenza così desolante. Perché allora? Forse perché molte liste erano fortemente schierate politicamente e non tutti se la sono sentita di prendere posizione. Magari molti studenti sono indifferenti a questo sistema democratico per cui ad ognuno è data la possibilità di scegliere un proprio portavoce presso i consigli in cui si decidono le sorti della loro università, pensano che non sia nulla di necessario, che tutto vada bene così. Può darsi che alcuni non sapessero nemmeno che ci fossero le elezioni o per cosa si votasse, certo, potrebbe essere. In realtà gli stessi candidati hanno sottolineato la scarsa incisività di certi organi, cito dal programma per il CNSU dell'UDU: "Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari così come è strutturato non funziona e non garantisce una rappresentanza ed una difesa dei diritti degli studenti realmente incisiva" e anche questa

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percezione può essere una delle cause della demotivazione dell'elettorato. Dopo questo tentativo di capire il motivo per cui l'affluenza è stata così bassa mi rivolgo ad alcuni rappresentati, scusandomi con le liste che non ho potuto contattare per questioni di spazio. Ho scelto quelle che hanno avuto più successo. I primi tre che vado a presentare sono stati eletti nel Consiglio di Amministrazione: per Student Office, la lista che esce meglio da questa tornata (in totale raccoglie il 46% delle preferenze), ho intervistato Giulia de Guidi, iscritta al secondo anno di Scienze dell'educazione (eletta anche nel Consiglio degli Studenti e nel Consiglio di Facoltà di Scienze della Formazione); per UDU - Dialogo e Partecipazione ho intervistato Angela Murari, iscritta al terzo anno di Medicina; per Azione Universitaria - Studenti per le Libertà ha risposto Omar Rahman, studente al secondo anno di Economia e management delle imprese di servizi. Infine è Walter Riviera (detto Wudy) il portavoce di Debug, eletto per il Consiglio degli Studenti e per il Consiglio di Facoltà di Scienze MM.FF.NN., iscritto al terzo anno di Informatica multimediale. Qual è il tuo commento delle elezioni? Giulia - Student Office Noi siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti e crediamo che le elezioni siano state una grande occasione per costruire proposte concrete: mi sento di dire che la vera novità che gli studenti hanno notato è la presenza


viva di persone che sono disposte ad assumersi responsabilità e ad investire energie, esponendosi in prima persona per difendere l'Università. Angela - UDU Potevano andare meglio, fin dall'inizio sapevamo che sarebbe stato difficile competere con altre forze consolidate e presenti da più tempo in Università. Comunque siamo stati la seconda lista più votata e abbiamo ottenuto un numero significativo di membri nel Consiglio degli Studenti. Omar - Azione Universitaria Sono soddisfatto del nostro risultato, considerando che il nostro simbolo compariva alle elezioni universitarie veronesi per la prima volta. Walter detto Wudy - Debug Sono entusiasta di come siano andate qui a Scienze MM.FF.NN, perché la percentuale degli elettori rispetto allo scorso mandato è aumentata parecchio e mi piace pensare questo sia dovuto al nostro lavoro. Voglio tuttavia rimanere con i piedi per terra, perché a livello di Ateneo so bene che si parla di una percentuale esigua.

Cosa ne pensi della forte politicizzazione che caratterizza le liste? La tua lista si inserisce in un movimento più ampio, al di fuori dell'università? Giulia - Student Office La rappresentanza studentesca in Università si sta sempre più politicizzando e rischia purtroppo di perdere di vista il contatto diretto con le situazioni e i problemi degli studenti. Student Office è una lista apartitica presente nell'Università di Verona da molti anni, e, insieme ad altre liste provenienti da tutta Italia, fa riferimento al Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio (CLDS), un'associazione di studenti fondata nel 1995 al fine di coordinare le esperienze di rappresentanza studentesca nate dal desiderio di affrontare da protagonisti la vita universitaria. Angela - UDU Con UDU per Dialogo e Partecipazione non è nata una lista, ma un progetto. Il nostro programma e le nostre idee sono aperte a tutti quelli che credono in un'università che possa meglio soddisfare le necessità degli studenti. Siamo una forza apartitica. Alcuni sostengono che siamo una lista di sinistra. Se questo vuol dire facilitare la vita dello studente con armonizzazione delle tasse universitarie, incentivare la pubblicazione dei libri di testo on line, ampliare le agevolazioni Cartateneo per lo studente e per la calmierizzazione di mensa e alloggi, allora siamo ben lieti di essere di sinistra. Omar - Azione Universitaria Penso che sia un fatto che ha portato chiarezza e che ha indirizzato i vari elettorati verso le proprie case madri. Il mio movimento si inserisce nel panorama giovanile del Popolo della Libertà. Walter detto Wudy - Debug Sono assolutamente contrario a qualsiasi forma di politicizzazione delle liste, soprattutto in un ambiente come l'università, perché ai bisogni degli studenti non si può rispondere con loghi o stemmi, ma con soluzioni concrete, a prescindere dalla proprio appartenenza politica. Una lista politica (l'Italia, il mondo, la storia ci insegnano..!) ha spesso come nemico primario la/le lista/e avversarie, anzi-

chè i problemi di chi dovrebbe rappresentare. La mia lista non si inserisce in alcun movimento più ampio.

Uno dei problemi che mi sembra incontrino i rappresentanti degli studenti è la difficoltà di comunicare con gli studenti stessi una volta eletti e di decidere con loro quali lotte portare avanti. Come ha pensato di rimediarvi, se lo ha fatto, la lista per cui sei candidato? Giulia - Student Office Io e la mia lista non intendiamo trascurare il problema del disinteresse degli studenti, credo che il vero punto di partenza sia interrogarsi sul perché l'interesse degli studenti non vada oltre alla banale lamentela da corridoio del “è tutto uno schifo”. Noi non possiamo che offrire la nostra presenza, la nostra amicizia e metterci a disposizione di tutti coloro che hanno davvero interesse a proporsi in modo costruttivo per dare il loro contributo, con la consapevolezza che i grandi cambiamenti nascono dalle piccole conquiste quotidiane. (studentofficevr@gmail.com) Angela – UDU E' vero, la difficoltà di comunicazione esiste, e dobbiamo batterci per ripristinare un giusto equilibrio. Con che mezzi? Con tanta presenza, disponibilità e confronto. Omar - Azione Universitaria Non penso che per comunicare servano strategie e programmi, basta l'entusiasmo e l'amore per quello che si fa, che poi è anche quello che ho detto agli altri candidati della mia lista: ascoltate il vostro cuore quando parlate con la gente e quando vi sveglierete tutte le mattine ricordate che ci sono studenti là fuori che credono in voi e che non aspettano altro che un vostro semplice gesto che possa trasmetter loro entusiasmo e voglia di lottare per i loro diritti. Walter detto Wudy - Debug La scarsa capacità di comunicazione credo rappresenti il problema più grande. Attualmente gli studenti ed i loro rappresentanti hanno più mezzi di comunicazione da poter sfruttare che però vengono spesso trascurati, atteggiamento favorito da concorsi di colpa delle precedenti generazioni di rappresentanti e di studenti. Debug sta da tempo cercando di stimolare l'interesse degli studenti attraverso una costante presenza in Facoltà, utilizzando spazi e mezzi già esistenti e proponendo iniziative volte a sviluppare la voglia d'aggregazione.

Ringrazio sentitamente Giulia, Angela, Omar e Walter per la disponibilità dimostrata in questa intervista, ma più ampiamente per il loro lavoro di rappresentanza in cui io credo profondamente, nonostante tutto.

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BESTIARIO

rubrica sul_ nostro_ ateneo: _osservazioni_ lamentele_ aneddoti..

L'Università che forgia, o che cerca di forgiare, le nostre caparbie menti ha più di una pecca. Mi ero ripromesso, leggendo Pass durante gli svariati viavai in autobus da e per la facoltà in questi cinque anni da studente, che se mai avessi trovato la voglia di scrivere sulle preziose pagine dell'informazione studentesca, non mi sarei mai messo a criticare l'Università direttamente. Studenti, comportamenti, scene diffuse e tutto il resto potevano anche starci, ma contro l'Ateneo non era certo un corretto stile di informazione, specie per il sottoscritto e le sue ferree regole deontologiche. Ma goccia dopo goccia il vaso si riempie, il livello raggiunge il bordo e il contenuto trabocca, obbligandomi questa volta a dedicare qualche riga ad uno dei problemi più odiosi, più inspiegabili e più “notti insonni” degli studenti studiosi: i crediti a scelta! Salviamo subito le triennali che prevedono qualche credito di questo tipo. Molto fastidioso, certo, ma giustificabile col fatto che, sebbene le triennali dovrebbero già dare nozioni piuttosto specifiche, è giusto permettere agli studenti di cimentarsi in qualche esame un po' più esterno rispetto al percorso di studi stabilito dal proprio piano, anche per farsi un'idea su come proseguire la propria carriera universitaria. In alcuni corsi inoltre, i crediti a scelta triennali possono sostituire il tirocinio che, soprattutto per chi intende proseguire nella magistrale/ specialistica, sarebbe più un impedimento che un aiuto. Ma i crediti a scelta in una laurea magistrale/specialistica non hanno senso alcuno. Già il loro nome è incompatibile con il corso stesso. Un corso specialistico/magistrale

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non può avere crediti a scelta e difatti Medicina e Giurisprudenza, ad esempio, non ne hanno. Se all'interno di una realtà aziendale, qualunque essa sia, un giorno della settimana fosse dedicato ad “attività a scelta” qualcosa di strano ci sarebbe. Immaginate le segretarie: shopping, telefonate alle amiche, amanti, smalto... Al di là degli scherzi, e all'Università? Non ci veniamo per imparare delle professioni, o per studiare in vista di corsi e concorsi? E questi santissimi crediti a scelta a cosa servono se non a farci smadonnare per trovare un corso decente dove racimolarli? Eh sì, lettori impavidi che avete resistito fino a qui, perché i crediti a scelta in alcuni corsi possono essere accumulati solo tramite esami di profitto, e quindi con voto. Non valgono quindi corsi per crediti F, esami del CLA, ulteriori tirocini oltre a quello già previsto dal piano che vale per un'altra serie di crediti. Alla luce di tutto questo ora ditemi voi per quale motivo un ragazzo o una ragazza che hanno studiato per cinque anni, sono entro i termini del loro piano di studi e non sono fuori corso (e così abbiamo ridotto di parecchio il campione d'analisi) debbano vedere slittare la data della laurea finale per colpa di una manciata di crediti a scelta. Ma non sarebbe più opportuno inserire un esame come si deve, un esame pertinente e stimolante con il proprio corso di studi che non sia Filosofia della Scienza in un corso di Veterinaria? (non me ne voglia il prof. Giaretta, [nda]). Oppure permettere anche alle esperienze lavorative direttamente connesse agli studi in corso di contare qualcosina in più di un paio di righe sul curriculum vitae? Mi sembrerebbe un vantaggio per tutti: per noi studenti, che potremmo così dedicarci in pace agli ultimi orali (non si sa perché, ma quelli restano sempre alla fine...) e alla redazione della tesi che necessita di molti sforzi, rinunce, notti insonni e montagne di bozze. Sarebbe parimenti un vantaggio per l'Ateneo, che potrebbe dimostrare come sia effettivamente attento ai problemi di tutti gli studenti, e non solo a quelli dei corsi più blasonati. Sarebbe un vantaggio per dottorandi e ricercatori, perché potrebbero aprirsi dei nuovi corsi molto belli, e delle nuove opportunità di insegnamento. Sarebbe poi un vantaggio per quei santi e pazienti “centocinquantaoristi” dell'ufficio tutorato, che

devono ascoltare con pazienza le lamentele di tutti coloro che oramai cercano i crediti a scelta anche nelle mutande della fidanzata, e credetemi che quando se ne accorgerà non sarà per niente contenta. *Perciò faccio un appello* , attraverso queste pagine, che ho dovuto obbligatoriamente condire con dell'ironia per non annoiare i lettori, *a tutti i presidi di facoltà, e in particolare ai professori responsabili dei corsi specialistici/magistrali di Lettere*. Evitiamo di riempire i piani di studio con 9, 12 o più crediti D che sono solamente degli escamotage per fare impazzire gli studenti volenterosi e risparmiarsi le fatiche nell'imbastire pochi corsi in più. Quelli come me ormai ci sono dentro fino al collo, ma i prossimi studenti potrebbero ringraziare di tanto zelo migliorativo. Ora non mi si dica che sono un rivoluzionario anti-ateneo di quelli che si sono iscritti per fare polemica e che si fermano in chiostro a chiacchierare con quelli di “Lotta Comunista” due volte la settimana, perché anche io, come tutti, li evito facendo il giro largo ed entrando dal Polo Zanotto.

• DISSENSO • CAROLINA PERNIGO

MATTEO BELLAMOLI

AAA Crediti a scelta cercasi (anche usati)

Signor preside di lettere, mi scusi, ma mi permetto di dissentire: personalmente ritengo che i crediti a scelta siano l’unica maniera con cui noi studenti possiamo evitare che la nostra laurea 3+2 diventi una 3+3 o una 3+4, se non una 3+5. I fantomatici crediti D, infatti, ci consentono di mettere in piano almeno una parte di quegli esami che il Ministero richiede per l’insegnamento e che non sono previsti dal piano stesso. Quindi, se proprio non è possibile inserire nel percorso formativo dello studente di Lettere tutti gli esami che gli servirebbero per un presunto futuro lavorativo, almeno lasciateci i crediti a scelta! Cordiali saluti, Carolina Pernigo.


Intervista doppia di CAROLINA PERNIGO e ANTONELLA SARTORI

Il canto delle sirene: la voce delle donne Olivia Guaraldo è ricercatrice e docente di filosofia politica nel corso di laurea in Filosofia dell’Università di Verona; appassionata della sua materia e del suo lavoro – che è prima di tutto lavoro di ricerca -, rivela che per il prossimo anno accademico non sarà disponibile all’insegnamento a causa del blocco della didattica da parte dei ricercatori, come protesta contro alcuni punti del ddl Gelmini. Maria Clara Rossi è anch’essa una ricercatrice e insegna Storia della chiesa medievale nel nostro Ateneo. I suoi temi di ricerca sono le istituzioni ecclesiastiche, ma negli ultimi anni si è aperta alla vita religiosa delle donne, non solo le monache, ma anche quelle che lei chiama “le donne non eroiche”, le donne di tutti i giorni. 1) Tre parole per definire l’Università di Verona. OG: Bella, efficiente, ma un po’ troppo isolata dalla città e dal resto del mondo. MCR: Abbastanza vivace, priva di una tradizione, ma aperta alle sfide del futuro. 2) Pensa che si faccia discriminazione sulle donne nel campo della carriera universitaria? OG: Non mi sento di dire che ci sia una discriminazione attiva, c’è però una discriminazione passiva, una specie di costante dissuasione nei confronti delle donne dal perseguire una carriera di ricerca in autonomia. Se come donna vuoi sopravvivere all’interno dell’università, devi avere un carattere forte, altrimenti rischi di essere sopraffatta. In più c’è sempre un vecchio pregiudizio nei confronti delle donne che fanno le filosofe. C’è da dire però che qui a Verona abbiamo un ottimo gruppo di donne filosofe; se dovessi aggiungere un altro aggettivo sull’università di Verona, direi che è un’università femminista, nel senso che ha un gruppo di pensatrici femministe e di produzione femminista che è, secondo me, l’elemento più qualificante dell’ateneo umanistico veronese. MCR: Io credo di sì, il che non vuol dire che si faccia qui, ma lo vedo declinato ad alto livello. Mi dispiace vedere che i rettori sono tutti uomini. Magari è una discriminazione non volontaria, ma nei fatti è così, basta guardare gli organigrammi delle più importanti cariche universitarie. 3) Tre motivi per cui una docente donna è meglio di un uomo. OG: La “donna intellettuale” non perde, a differenza dell’uomo, il legame con la realtà [in proposito riporta il famoso aneddoto della Servetta di Tracia]. La donna ha una maggiore concretezza, la capacità di portare ciò che studia nella propria esperienza e quotidianità, scendendo così dalla torre d’avorio del pensiero. Inoltre, le donne che come me, si occupano di discipline umanistiche, hanno una sensibilità poetica e letteraria che fa in modo che anche la filosofia non sia un sapere freddo, astratto, semplicemente logico-deduttivo. Tutte le grandi pensatrici del Novecento sono state anche romanziere o poetesse. MCR: Non so dire se una docente donna sia meglio di un uomo, ma credo profondamente che una donna sia più attenta al campo delle relazioni (con i colleghi, con gli studenti...) e all'ascolto degli altri. Le donne sono meno narcisiste e più attente alla

concretezza, inoltre hanno maggior capacità di collaborazione. Forse perché hanno meno autoreferenzialità, sono abituate dalla vita di tutti i giorni a prendersi cura degli altri, a mettersi in un'ottica di servizio (cosa che personalmente mi gratifica molto e che non trovo affatto svilente!). 4) Sveli qualche luogo comune della filosofia/ della storia. OG: Il luogo comune per antonomasia è che “la filosofia sia quella cosa con la quale o senza la quale il mondo resta uguale”. Questo non è vero, perché la filosofia è una scienza del pensiero che rimette in costante discussione il pensiero stesso ed è perciò la precondizione del sapere scientifico. Per non parlare poi della filosofia come esercizio di giudizio critico rispetto alla realtà che ci circonda e questo vale soprattutto per la filosofia politica, che è sempre rivolta alla comunità e alla riflessione sulla vita associata e dei suoi pericoli. La filosofia allora è ciò di cui c’è, mai come ora, un impellente bisogno. MCR: Da sfatare è che la storia sia [magistra vitae]. Se così fosse, infatti, avremmo imparato qualcosa, mentre invece non abbiamo imparato niente. Inoltre c'è un pregiudizio che riguarda la storia della chiesa, che viene vista sempre come una disciplina apologetica, mentre invece è la storia di un aspetto importante del nostro paese e viene affrontata con metodo rigoroso e scientifico. 5) Chi è secondo lei la più grande donna della storia? OG: É una domanda difficile a cui rispondere, anche perché le donne non sono protagoniste in quella maniera individuale in cui lo sono gli uomini, non ci sono tante eroine quanti eroi. Mi viene da pensare a tutte quelle donne che lottano costantemente per i loro diritti; per esempio ora penso ad Azar Nafisi, che ha scritto lo splendido [Leggere Lolita a Teheran]. Ecco, lei è una grande donna, perché si è messa in gioco personalmente. MCR: La prendo dalla materia che studio. Io sono fortemente appassionata dalla figura di Chiara d'Assisi, perché ha avuto il coraggio di lottare fino alla morte contro le istituzioni per difendere le proprie idee. Ma come lei ce ne sono molte altre: la storia del mondo è piena di donne straordinarie che bisognerebbe ricordare più spesso. 6) Chi è il più affascinante tra i suoi colleghi? OG: Tommaso Tuppini, che insegna a Scienze della Formazione, è indubbiamente il più bello. Ma direi che anche Leonida [Tedoldi] è carino. MCR: [ride] Secondo me è affascinante per il suo eloquio (mi raccomando, scrivete che è per il suo eloquio!) il dottor Bassetti. E poi a me piacciono le persone schiette e che dicono pane al pane, anche se in ambiente accademico se ne trovano poche. [qualche tempo dopo] E adesso chi glielo dice a Bassetti che ho detto che è il più affascinante?! 7) Libro preferito. OG: [È molto indecisa, ci nomina Guerra e Pace e I Fratelli Karamazov, poi cambia idea] Ritratto di Signora di Henry James. MCR: I demoni di Dostoevskij.

runner, anche se sono un po' scontati. MCR: Casablanca, senza alcun dubbio, mi piace sin da quando ero giovane. 9) Cosa pensa di Facebook? OG: Lo uso. A volte penso sia uno strumento efficace di comunicazione e di aggregazione anche su temi importanti, politici e sociali. Purtroppo è infestato da cose triviali come le fattorie, o il biscotto della fortuna. Mi rendo conto che tanta gente, anche di un certo livello, usa FB esclusivamente per queste cose, è totalmente assorbita dalla sua parte più anestetizzante. Un mio amico diceva che FB è il luogo dove puoi scoprire che quelle per cui sbavavi al liceo sono diventate delle grassone. MCR: Non mi interessa e non mi sono iscritta. Se ho bisogno di comunicare con qualcuno lo faccio direttamente, scrivo, chiamo, mando una mail. Io tengo molto alla mia privacy e preferisco le relazioni vis à vis. 10) Tre parole per definire il suo metodo di insegnamento. OG: ...che non ho un metodo [ride]. Cerco sempre di essere il più chiara possibile, fino all’ossessione. Faccio sì che il sapere che trasmetto non sia solo specialistico, ma accessibile a tutti. Un altro aspetto del mio insegnamento è che molto appassionato, non tratto mai temi che non m’interessino; inoltre penso sia interattivo. MCR: Chiarezza, preparazione di ogni lezione fin nel minimo dettaglio, ma anche apertura al dialogo. 11) Tre parole per definire la sua collega Maria Clara Rossi/Olivia Guaraldo. OG: La conosco poco, ma mi sembra una persona molto simpatica. Immagino che sia anche una persona seria e preparata. Ci siamo conosciute più da vicino grazie a questa lotta comune dei ricercatori: queste forme di protesta sono utili anche come forme di aggregazione alternativa rispetto alle occasioni ufficiali. MCR: Non la conosco benissimo, ma nelle relazioni vado molto “a pelle”. Penso che sia intellettualmente molto vivace; inoltre mi sembra una donna poco timorosa e simpatica. 12) Se le dico estate che cosa le viene in mente? OG: Mare! MCR: Famiglia. L'estate è il momento in cui sto di più con i miei cari. Ho appena adottato un bambino e c'è bisogno di stare tutti insieme. 13) Com'è il suo studente ideale? OG: È una persona appassionata della filosofia, ma soprattutto appassionata di politica. E una qualità che apprezzo molto, anche se la trovo raramente, è l’autonomia di giudizio, l'originalità del pensiero. MCR: È una persona curiosa, che non ha paura di esporsi, ma che non millanta conoscenze che non ha e che non dice cose soltanto per compiacermi. 14) Legge Pass? Che cosa ne pensa? OG: Devo dire che non l’ho mai incrociato, ma d'ora in poi lo leggerò. MCR: Qui mi dovete scusare, non l'ho mai letto... ma d'ora in poi lo farò!

8) Film preferito. OG: Sono indecisa tra Apocalypse Now e Blade

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Niente foto, grazie, siamo Wu Ming. Incontro in Università con il collettivo di scrittori Si presentano in due, all’incontro organizzato da Pagina13 il 12 maggio in Università, e parlano esattamente come scrivono: fluidi, convinti, essenziali e, soprattutto, innovativi. L’editoria italiana ha avuto momenti migliori, ma piangere sugli anni d’oro in cui Calvino, Bassani e Vittorini erano editor ormai non serve più. É tempo di dare una svolta, di chiudere i conti con la voragine mediatica e di occuparsi delle parole, dei testi, delle storie. I Wu Ming sono un collettivo di scrittori, il che significa che, prima in cinque e oggi in quattro, scrivono insieme i loro libri, non li firmano coi nomi originali (Wu Ming si traduce dal cinese mandarino in Senza Nome) e non appaiono mai in tv, sui giornali, su Internet. Una loro fotografia, infatti, non esiste. Questo perché ciò che conta è cosa si scrive rispetto alla forma del personaggio, alla trasformazione mediatica di un autore che diventa un divo, con la conseguenza frequente che non ci si ricorda il titolo del libro o il suo contenuto (e in certi casi, meglio così), ma la faccia dello scrittore X. Vogliono trovarsi al di sopra dell’essere qualcuno, del fare un’apparizione, dell’esistere massmediaticamente, e le opere devono contare di più in questo vortice di notizie e cataloghi editoriali, altrimenti non si capisce “di cosa parliamo quando parliamo di libri”. Lo stato della letteratura contemporanea è ben esplicato in NIE, acronimo di New Italian Epic, un manifesto esplicito di ciò che i Wu Ming ritengono oggetti narrativi non identificati, ovvero quei libri che proprio non esistono in un genere, non li puoi spiaccicare nel fantasy, nello storico, nel

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clara ramazzotti

noir e chiudere così la discussione sulla qualità dell’opera stessa. Si è così portati a chiedersi cos’è Gomorra, dove lo trovo in libreria, ma è romanzo o reportage, ma è questo o quello. E allora il tempo scorre sulle copertine dei libri, che siano narrativi o saggistica, e il piccolo timido lettore non ha ricevuto alcun tipo di spiegazione su cosa, invece, voglia dire Saviano oggi. Sottolineano i Wu Ming che è necessaria la ricerca di una voce che corrisponda al proprio stile e alla libertà espressiva che dovrebbe caratterizzare un autore, perché senza una creatività interiore non si dice nulla, o lo si fa male. Così ho pensato, mentre li ascoltavo, a certi casi editoriali che esistono per un lasso di tempo relativamente breve e insulso, eppure pregno di guadagni faraonici. Mi basta citare Cento colpi di spazzola per risvegliare il ricordo di quella ragazzina che si vantava di una vita sessuale che neanche Rocco Siffredi. Forse è inutile prendersela, è un giochino di soldi non di cultura, non di voce. Non esiste la voce in queste pagine tristemente incollate assieme o in Costanzo che invita “l’autrice” oscurandone il volto. Poi, pubblicità. E tu sei ancora lì a sorbirti qualche spot aspettando che Melissa P. riveli se l’ha fatto o non l’ha fatto. Chi vuole scrivere davvero, al di là del voler essere pubblicato, se ne può anche fregare. Perché la narrazione ci appartiene come specie e qualunque cosa raccontiamo diventa un atto fisico, per chi sa coglierlo e buttarla su carta. Siamo storie e chissà quanto ancora si può dire su questo mondo.


paolo perantoni

Pirati in difesa di Darwin

Pastafarianesimo, Flying Spaghetti Monster e la sua pastosa appendice Sono passati centocinquant'anni da quando il mondo occidentale ha conosciuto una vera rivoluzione, scientifica dapprima, ma culturale poi, che ha cambiato tutta la nostra esistenza. Era il 1859, infatti, quando Darwin dopo vent'anni di titubanza dava alle stampe il The origin of Species nel quale enunciava la sua teoria evoluzionistica. Questa teoria, è utile ricordarlo, si basa sull'esistenza di variazioni spontanee nelle nuove generazioni (mutazioni genetiche), vagliate dal meccanismo della selezione naturale: se queste mutazioni sono utili alla sopravvivenza dell'individuo esse lo aiuteranno nella lotta per l'esistenza garantendogli prole. Quando le varietà incipienti divengono tali per cui gli individui “mutati” non possono più riprodursi con la specie di partenza (o, se ci riescono, non nascono figli fecondi) nasce una nuova specie. Non si deve pensare però che una rivoluzione nasca e si diffonda in poco tempo, l'ipotesi darwiniana portava con sé la prova evidente che la Creazione, descritta nel libro biblico della Genesi, non poteva più essere considerata come un racconto accettabile agli occhi della verità. Si andava a scardinare un'idea che durava millenni, sulla quale si fondano in qualche modo le stesse religioni del Libro; tutta la cultura occidentale per secoli ne era stata intrisa, quando politica e religione sono andate di pari passo aiutandosi l'una con l'altra nella creazione della forma mentis dell'uomo moderno. Il creazionismo non è certo scomparso dopo la pubblicazione del The origin of Species e ancor oggi nel XXI secolo se ne possono scoprire le tracce non poi così velate sia dai pulpiti che dalle cattedre. Un caso che ha fatto scalpore è avvenuto nel marzo del 2005 quando il Consiglio per l'Istruzione dello stato del Kansas avvia l'iter per affiancare, nell'ambito delle ore di scienze/biologia, alla teoria evoluzionistica di Darwin, anche il creazionismo, detto ora teoria del Intelligent Design. Questo neocreazionismo, anche detto creazionismo scientifico o evolutivo, ritiene che vi sia nella natura una complessità tale che non si può spiegare attraverso il caso o la selezione naturale, ma che sia frutto di una intelligenza divina. Comunque sia, la decisione di assegnare pari ore di insegnamento sia all'evoluzionismo che al creazionismo scatena negli States pesanti critiche da parte di atei e agnostici mentre solleva il plauso delle varie associazioni di credenti che vedevano finalmente riconosciute le proprie ragioni: come si può educare i propri figli nei dettami del Cristianesimo se poi a scuola si insegna che la Genesi è solo un racconto fantastico? Passano tre mesi di polemiche quando ai membri del consiglio giunge una lettera firmata da Robert “Bobby” Henderson, laureato in fisica all'Oregon State University: «Vi scrivo dopo aver appreso della vostra decisione di insegnare, insieme alla teoria dell'evoluzione, anche quella del disegno intelligente. Bene, è importante avere diversi punti di vista su queste cose. Prendiamo però in

considerazione anche altre teorie. Io e molti amici nel mondo per esempio, crediamo che l'universo sia stato creato dal Flying Spaghetti Monster. Vi scrivo quindi, per sottoporre alla vostra attenzione questa teoria che vorrei fosse insegnata a scuola». La lettera provocatoria porta ad alcune risposte ironiche da parte dei membri del consiglio, nel frattempo Bobby crea un sito affidando alla rete il messaggio della sua nuova religione: il pastafarianesimo. Nei mesi successivi il sito di Bobby viene preso d'assalto, il messaggio del FSM si diffonde in internet in tutto il mondo, nascono vere e proprie chiese pastafariane. Ma cos'è il pastafarianesimo? Si tratta di una religione parodistica che nasconde, dietro un velo humoristico, la difesa della teoria evoluzionistica di Darwin. I pastafariani credono che tutto sia nato dal Flying Spaghetti Monster il quale ha costituito tutto quanto con la sua pastosa appendice, ma poiché era sbronzo ha creato un mondo imperfetto. Successivamente avrebbe innestato volontariamente prove a sostegno dell'evoluzionismo solo per mettere alla prova i propri adepti, quando sono effettuati test scientifici sull'evoluzionismo egli interviene con la propria pastosa appendice a modificarne i risultati. Egli avrebbe anche rivelato i suoi 8 comandamenti/condimenti, che in realtà sono dei “Io preferirei davvero che tu evitassi”, al capitano pirata Mosey durante il vagare di quest'ultimo sul Monte Sugo. I pastafariani, deboli nella loro moralità in quanto Mosey nel far ritorno alla propria ciurma perse due tavole di comandamenti, credono che dopo la morte spetti loro un paradiso in cui troveranno una fabbrica di spogliarelliste/i (parodia delle vergini islamiche) e un vulcano che erutta birra, vi è naturalmente anche un inferno dove la birra è stantia mentre le/i spogliarelliste/i hanno malattie veneree. I pastafariani hanno come giorno di festività il venerdì, al termine delle preghiere dicono “Ramen” mentre sono tenuti ad indossare un abito da pirata. Nel 2007 uno studente di nome Bryan Killian, è stato sospeso dalla sua scuola nella Contea di Buncombe (North Carolina) perché indossava un abito pirata, lui ha ricacciato la sospensione sostenendo il principio di libertà di culto. Un interessante dogma dei pastafariani prevede che tutti i disastri naturali degli ultimi anni siano dovuti alla carenza di pirati dalla fine dell'Ottocento. Questa simpatica affermazione, supportata da grafici inventati, reca con sé la critica nei confronti del principio di correlazione che non implica una causalità come invece credono i creazionisti. Insomma dietro la chiesa del Flying Spaghetti Monster si nascondono in realtà i sostenitori del darwinismo sempre più minacciato dai promulgatori del Intelligent Design; se dopo centocinquanta anni ci si deve vestire da pirata per ricordare l'insegnamento di Darwin, beh, che la Sua pastosa appendice vi protegga.

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MORIRE PER RACCONTARE LA REALTÁ LA TRAGICA VICENDA DI FABIO POLENGHI, REPORTER MORTO SUL FRONTE DI BANGKOK SARA FERRI

È morto così Fabio Polenghi, ucciso da un proiettile al cuore, mentre tentava di immortalare una realtà d’ordinaria violenza sulle barricate di Bangkok. Inutile il giubbotto anti-proiettile, inutile il casco con la scritta Press, inutili i soccorsi all’ospedale, una volta partito il colpo mortale. Una tragica perdita la sua, per un paese straziato e dilaniato dalla guerra civile tra esercito e Camicie Rosse, che da ora avranno un giornalista in meno a documentare le violenze e i massacri perpetrati a loro danno; ma una perdita anche per la società civile. Polenghi aveva 45 anni, metà dei quali passati in giro per il mondo a fare quello che più amava: immortalare con uno scatto la vita e le storie che voleva raccontare, fotografare la ferocia e la disperazione del mondo. Una professione, la sua, sempre meno riconosciuta e sempre più malpagata. Perché ci vuole passione, certo, per svolgere questo lavoro, ma soprattutto coraggio, tanto coraggio. Il fotografo che decide di raccontare il mondo, le sue vittime, il fuoco, la rabbia, la violenza, la speranza, deve sempre essere in prima linea, accanto e insieme alle persone e alle situazioni che vuole mostrare. Secondo un rapporto di Reporters sans frontieres, con Fabio, i giornalisti morti sul campo dall’inizio del 2010 ammontano a dodici; 163 quelli imprigionati, più 9 collaboratori. È una scelta di vita quella che accomuna i reporters free lance; la curiosità, la voglia e la passione di narrare i fatti, anche a prezzo della vita, da un senso al mestiere. A patto però, io credo, che il rischio non si riveli inutile, che con la testimonianza di foto, articoli, filmati, e non con la morte, il giornalista riesca a smuovere la coscienza collettiva, a trasmettere quello che sente, una piccola percentuale delle motivazioni, delle idee che l’hanno spinto a documentare situazioni limite, che lo spingeranno ancora in futuro. Tanta è l’indifferenza di un pubblico che ha poco interesse per ciò che succede all’estero, per quello che non lo riguarda in prima persona. Fabio Polenghi è morto svolgendo il suo lavoro, ma il suo lavoro era rivolto a noi. Siti utili: http://en.rsf.org

S E N Z A TA N T I G I R I D I P AR O L E

il bel tempo

Quando ho saputo che il vulcano islandese era esploso gettando nubi grigiastre su mezza Europa ho pensato: “E’ fatta, Giacobbo e i Maya c’avevano preso, l’Islanda è affondata portandosi giù crisi e aurore boreali”. E invece nisba. Le cronache ci raccontano che una mattina il signor Jökull Hårfager, cittadino eccellente dell’isola e affabile mangiatore di aringhe, si è destato, è andato in cucina per la colazione a base di marmellata di mirtilli e succo di pomodoro e lì ha sentito un sonoro sbadabum. Il signor Jökull, a quel punto, si è domandato se l’inquilino piuttosto in carne del piano di sopra fosse caduto dal letto, e come lui molti altri isolani si chiesero, in diversi punti dello Stato, se quel rumore fosse dovuto a uno sparo dei cacciatori, ad un pneumatico scoppiato d’improvviso, ad una tubatura impazzita. Alla stessa ora, nello stesso tiepido mattino, più di un cittadino europeo non poteva né volare né tornare a casa propria o arrivare in orario al brunch slow food alla City. Tragedie quotidiane che hanno portato comunque un qualche contributo: il Ministro Del Turismo islandese si è infatti detto soddisfatto di cotanta pubblicità (sebbene tradotta dalla lingua d’origine fossero perlopiù bestiemme) e che per l’anno prossimo prevede un meteorite sulla capitale per movimentare un po’ la voglia d’avventura dei turisti. Di contro, in Italia, si è prevista una clara ramazzotti dura campagna anti-Reykjavik per attirare il maggior numero di bagnanti sulle nostre belle spiaggie, adducendo scuse alla Totò per spiegare la carenza di estate nel 2010 e il fallimento dell’Algida dovuto ai 5°C che ancora si segnano a maggio inoltrato, per non parlare di Rimini che produce stalattiti sotto gli ombrelloni. Su Internet si parla già di complotto islandese per congelare il pianeta e soggiogarlo ai mobili Ikea della vicina Svezia, e sebbene io non creda a queste storie catastrofiste mi è parso di leggere un sadico sorriso sulla faccia del signor Jökull.

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GIOVANI & PRE-CARIATO nadia zandomeneghi

Come andrà a finire? Ormai questo famigerato precariato è entrato nella vita dei giovani. Ognuno di loro deve scontrarsi con questa realtà. La cosa sconcertante è che non sono solo under 30 i precari, ma anche molti quarantenni e cinquantenni... la domanda che nasce naturale è: “Si riuscirà ad avere una sicurezza e un'indipendenza economica senza sentirsi una sottospecie di molla che è obbligata a saltare da un lavoro all'altro per vivere?”. La prima volta che ho sentito il termine precariato ero una bambina, e non conoscendo ancora il significato, l'ho inteso come qualcosa di cariato, marcio già in partenza. Crescendo ho capito che la mia intuizione non era poi così distante dal significato reale: precario è un termine utilizzato soprattutto dalla politica e dai media per definire la flessibilità. “Oggi sono 49 le forme di contratto in Italia e normalmente chi lavora ha sempre pagato la pensione a chi ha smesso.”( Cit. M. Gabanelli conduttrice di Report - puntata sul Precariato e le pensioni). Ma allora, se tutti questi contratti comportano flessibilità e non danno contributi (o, se proprio il minimo del minimo..!), le ultime generazioni che pensione potranno maturare? Rischiano di non avere una sicurezza di lavoro per gran parte della loro vita, e devono vivere consapevoli che la loro pensione è precaria quanto il lavoro? Allora sì, è giusto intendere il precariato come pre-cariato. Siamo marchiati da questo nome prima ancora di cominciare la nostra vita lavorativa e sembra che finiremo allo stesso modo. ETERNI APPRENDISTI, con questa carie che difficilmente ci lascerà; dobbiamo imparare, imparare e ancora imparare, per gran parte della nostra vita. Ma per diventare che cosa? Attualmente sembra che alle nuove generazioni sia chiesto di “Accettare questa condizione senza disturbare”, come dice Paolo Nori in un'intervista sul suo nuovo libro de “I malcontenti”. Sentiamo ora due voci, faccia a faccia con questa realtà lavorativa (per loro richiesta, il nome dei due ragazzi non lo citerò, li chiamerò semplicemente “X e Y”)

X:

In cosa ti sei diplomato e quando? Settore programmatore nel luglio 2003. Hai iniziato subito a cercare lavoro? Nell' ottobre 2003 sono andato all'Ufficio Collocamento senza ottenere niente. Poco dopo la mia scuola superiore ha proposto dei lavori come programmatore per i neo diplomati e ho accettato l'offerta.

In questo lavoro che tipo di contratto avevi? Contratto di apprendistato della durata di 2 mesi, terminati, non mi hanno assunto. Quanto tempo hai impiegato per trovare un altro lavoro? Non molto, nel gennaio 2004 ho trovato lavoro come magazziniere in una ditta di integratori alimentari, sempre con contratto di apprendistato. Il lavoro in quel periodo lo trovavi, era il contratto il problema. Quanto sei rimasto con quel tipo di contratto? Fino al 2008, poi sono passato a contratto tempo indeterminato ed è stato un sollievo. Ma nel 2009 la crisi si è fatta sentire e di punto in bianco, il 15 ottobre 2009 il mio direttore mi ha chiamato in ufficio 5 minuti prima del timbro di fine giornata lavorativa e mi ha licenziato con la motivazione di ridurre il personale. Da poco ho

traguardo difficile da raggiungere, idea che mi sono fatto dopo il licenziamento senza preavviso con contratto a tempo indeterminato! Da quello che hai potuto vedere, la laurea serve? Nei lavori che ho svolto ho conosciuto pochissimi laureati, ma noto che rispetto ad anni fa le offerte delle imprese ne richiedono sempre di più.

Y:

In cosa ti sei diplomata e quando? Perito aziendale corrispondente in lingue estere nel 2008. Hai iniziato subito a cercare lavoro? Mi sono recata al Centro per l'Impiego e qui ho notato un volantino che proponeva un corso post-diploma per Addetta alla promozione del turismo enogastronomico, mi sono informata e ho deciso di partecipare. È servito professionalmente e personalmente? Da un punto di vista personale sicuramente sì, professionalmente non mi è servito a niente... era previsto uno stage alla fine, ma in realtà non era compreso nel corso e ho dovuto arrangiarmi a trovarlo. Quando l'ho trovato, non ho avuto buoni rapporti con il direttore. Un' esperienza inutile. Dopo lo stage hai cercato lavoro nell'ambito dell'enogastronomia o no? Ho fatto diverse richieste, ma non ho trovato niente al di fuori di corsi o stage, tra l'altro la crisi cominciava a farsi sentire e la richiesta lavorativa era diminuita. Fortunatamente dopo un po' ho trovato lavoro come postina (tutt'altro settore) con contratto a tempo determinato lavoratore subordinato per due mesi. E' stata una bella esperienza.

saputo che al mio posto c'è la sua nuova moglie... Ora sei disoccupato? Al momento ancora sì, ma ho fatto domanda come macchinista di treni ad una società privata che fa tratto fino al Brennero. Mi hanno chiamato per fare la visita oculistica e mi hanno selezionato come veicolista invece di macchinista, ma mi va bene anche questo. Inizierò un corso di preparazione tra breve. Speriamo che sia un'azienda più seria di quell'altra. Data la tua esperienza lavorativa, che visione hai del tuo futuro e della tua generazione da un punto di vista di soddisfazione personale e sicurezza economica? Ora che sto conoscendo meglio quest'ultima azienda, sono più sicuro di poter fare carriera perchè ci sono molti più dipendenti rispetto all'azienda di integratori alimentari, e la meritocrazia c'è. Se lavori bene hai buone possibilità di crescita. In generale, per la mia generazione vedo il lavoro sicuro come un

Dopo i due mesi, hai cercato di rimanere alle Poste o ti è stato impossibile perchè non avevano più bisogno di personale? No, non ho potuto rimanere lì. Ho notato che avrebbero molto bisogno di personale, ma preferiscono risparmiare perchè i contratti a tempo determinato costano meno. Dopo mesi di ricerca ho trovato un lavoro come impiegata con contratto a progetto - Lavori Socialmente Utili. Non mi danno contributi, non ho diritto a ferie e a malattie. Data l'esperienza lavorativa che ti sei fatta, che visione hai del tuo futuro e della tua generazione da un punto di vista di soddisfazione professionale e sicurezza economica? Sinceramente al momento non ho neanche la certezza di avere un posto di lavoro fra 3-4 mesi, figuriamoci un posto sicuro. Non so cosa aspettarmi, non è un bel periodo e le speranze di un futuro sicuro non sono molte. La mia generazione non vedrà molti contratti a tempo indeterminato e credo che il livello di insoddisfazione sarà sempre più alto.”

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Caravan project Un viaggio alternativo Sara Creta

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iaggiare e scoprire il mondo ha sempre affascinato anche gli antichi. Oggi, inutile dirlo, il modo di spostarsi è cambiato. Questa evoluzione ha fatto sì che partire per un paese lontano, sia più semplice, più immediato. Probabilmente quell’essenza che solo i luoghi sconosciuti riescono a regalare si sta perdendo a causa di questa frenesia di vedere sempre di più, senza fermarsi sui piccoli istanti. Il tempo scorre velocemente sui tabelloni ai check-in e in poche ore si riesce a raggiungere un luogo a migliaia di chilometri di distanza, senza tanta fatica e denaro. Di questo si è occupato anche il festival che si è svolto a Berlino alla fine di Maggio “The Road Junky Travel Film Festival”, concentrandosi sui cambiamenti circa il modo di viaggiare ed entrando ad esplorare il significato della scoperta. Una freschezza ed un taglio più soggettivo, incoraggiando le persone ad assumere il controllo dei media e dare la loro personale visione della realtà. Sono stati presentati documentari e storie che filtrano il mondo attraverso una prospettiva scevra dai soliti pregiudizi e interessata ad una più profonda conoscenza delle culture che si incontrano. Lo spirito del viaggio riesce ad affascinare e incoraggiare i personaggi più fantasiosi, può spingerli in luoghi insoliti ed incredibili, trasportarli verso nuove mete, renderli partecipi e dipendenti dalle vite e decisioni altrui. Riuscire a fare autostop attraverso l’Europa con un caravan e senza un mezzo di trasporto, è una storia vera. I protagonisti di questa bella follia sono 3: un musicista di Utrecht Tjerk Ridder, il suo cane Dachs ed un altro viaggiatore, un giornalista freelance olandese che vive a Berlino, Peter Bijl. Il

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loro obiettivo è di fare hitchhike con il loro caravan, ma senza un’auto. Attraversare le 3 capitali europee della cultura, per riuscire ad arrivare a Istanbul in poco martapiù di un mese. Questo percorso estremo, che conta più di 3000 chilometri è una metafora per dimostrare che si ha sempre bisogno di qualcuno per andare lontano. La prima parte del progetto è iniziata in Inverno, il 3 gennaio, quando Tjerk è partito da Utrecht e grazie all’aiuto di circa 30 ganci di traino è riuscito ad arrivare fino a Pècs, in Ungheria. Il 10 giugno Tjerk Ridder and Peter Bijl, continueranno il secondo stage, lasceranno la capitale della cultura ungara, per arrivare a quella turca, l’antica Costantinopoli. La riuscita di questo intento, confida nell’aiuto altrui e loro sono certi che attraverso i Balcani vivranno momenti ed emozioni davvero uniche. È un occasione per Tjerk di creare musica e pensare al suo nuovo disco, una condivisone continua con l’esterno, con chi li segue e con chi gli sta davanti. “The Caravan Hitchhiking Project”, si può seguire online, in facebook ed attraverso il loro blog. Il loro caravan innovativo ha le migliori attrezzature per produrre energia: pannelli solari sono posizionati

sul tetto e una mappa d’Europa a scala naturale è disegnata sulla vettura. Durante la loro avventura, hanno affrontato anche momenti duri, come aspettare per 3 giorni in un autogrill senza riscaldamento e con parecchi metri di neve fuori, ma per questa seconda versione, il caldo dovrebbe accompagnarli. Attraverso messaggi alle radio ed alle televisioni riescono a comunicare con gli automobilisti e con coloro che vogliono dargli una mano. Sicuramente non passano inosservati. Lungo il cammino, chiederanno a chi incontrano di entrare nel caravan, di sedersi e di dare loro impressioni su cosa vorrebbero vedere realizzato nella loro vita. Questi desideri vengono chiusi in una lattina su cui è inscritta la data che renderà il loro volere realtà. É una messaggio di speranza quello che lanciano, l’importanza di inseguire le proprie ambizioni e vedere i propri sogni avverarsi. In particolare, confidare sull’appoggio degli altri per arrivare lontano, a destinazione. Non ci resta che augurargli un in bocca al lupo e aspettare il loro arrivo alla Capitale europea della cultura del 2010, Istanbul. “You need others to get further!”


NEXT TEL-AVIV! SUMMER hey let’s go to…

foto di BernieCB da Flickr

foto di Danndalf da Flickr

Lara Zoppini

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ccola! La collina della primavera, la Bolla, la Notte, la città che non si ferma mai, la città bianca, eccola! È Rio, è New York, è Miami, è Ibiza, è Berlino. Salutate la nuova Barcellona: Ave Tel-Aviv ! Tel-Aviv è il giorno ed è la notte perché è una città che non si ferma mai, nessuno va a dormire e se alle quattro di mattina hai voglia di uscire a fare due passi non ti troverai solo, persino alcuni hairsaloon sono aperti 24 h su 24. Tel-Aviv è il giorno ed è la notte anche perchè è un contrasto vivente: la spiaggia gay confina con quella ultra ortodossa e poco lontano ebrei in bikini e musulmani in burqa passeggiano sulla stessa battigia, ma l’emblema delle antitesi esistenti è sicuramente il Dolfinario, una delle discoteche più cool, prima che nel 2001 vi morissero 21 giovani ebrei per un attentato firmato da un palestinese e, mentre fuori campeggia la lapide commemorativa, dentro ci si continua a divertire perché “noi non smetteremo mai di danzare”, come recitava uno striscione ostentato fuori dal locale dopo la strage. È sempre stata definita una città sull’orlo della crisi, ma qui

la guerra, sempre imminente, non ha smorzato l’effervescenza e la vitalità dei suoi abitanti, che credono nel divertimento terapeutico; è come se la guerra ne eccitasse gli animi ricordando un carpe diem troppo spesso sotterrato nella frenetica quotidianità occidentale. A Tel-Aviv si usa un siero di adrenalina per sfuggire ai problemi e, mentre a soli ottanta km Gerusalemme prega, qui dal tramonto all’alba il volume non si abbassa, le luci non si spengono e fiorisce sempre più la nuova capitale mondiale dello sballo. Happy Bday city! E’ giovane la Bolla: solo l’anno scorso i festeggiamenti per il centenario dalla fondazione, l’11 aprile 1909, ad opera di 66 famiglie che risiedevano nella antica città di Jaffa. Nacque così la prima città ebrea moderna dai tempi di re Salomone, con l’ideale della Città Giardino ma in realtà, guardandola, non le si dà un’identità ben definita, e forse, data l’età, ne è ancora alla ricerca. Sperimenta, accogliendo genti e culture diverse venute da ogni parte del mondo: solo stando seduti a bere un caffè ci si immerge in un’atmosfera straordinariamente cosmopolita. Tel-aviv è come un giovane artigiano alle prese con mille correnti diverse, uno studio che porterà, forse, ad una rielaborazione di stile proprio. La spiaggia, il lungomare salutato dai grattacieli, ricorda Rio o Miami, il vecchio porto, con la sua lunga promenade sulla quale si affacciano i locali più in, Barcellona, lo spirito e il clima libertino, Ibiza. Io ho già fatto le valigie.. quest’estate nella capitale israeliana della finanza, degli affari e foto di mockstar da Flickr del divertimento, fra le boutique di Dizangoff Street, correndo sul lungo mare o in equilibio su una tavola a Hilton beach, sorseggiando aperitivi sulla spiaggia o al Banana Beach bar e programmando serate al MOVE, al porto vecchio o nel Neve Tdezek, l’upper east side di Tel-Aviv, io ci sarò! E Voi?

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L’ALTERITA’

Michele Cavejari

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ell’era della globalizzazione, dell’universo in cui tutto è costantemente a portata di tutti e l’incontro/scontro tra culture lontane è divenuto il più valido strumento/spauracchio per garantirsi l’assenso degli elettori, possiamo ancora permetterci di rifiutare l’Altro, di non conoscere l’Altro? Quell’individuo, per così dire, che non appartiene al ‘nostro gruppo’? È realmente desiderabile trincerarsi in un silenzio ostile davanti al problema dell’Integrazione -stimando forse che la sua risoluzione spetti in maniera unidirezionale alla ‘politica’- sguinzagliando così il paradosso di un sociale che a livello teorico è senza confini, ma a livello di prassi si chiude nel gelido abisso del Solipsismo1? Insomma, si può ancora pretendere di rifiutare qualsiasi contatto con l’Altro per la paura di dimenticare chi siamo noi? La risposta è ovvia: No. Proprio in questi giorni mi sono ritrovato tra le mani due illuminanti ed entusiasmanti documenti. Apparentemente lontani nel tempo e non solo, si sono rivelati in realtà due preziose interpretazioni di un unico vero problema. Si tratta di un saggio di A. Rigobello, tratto dal libro Linguaggio Verità Persuasione (CEDAM, 1984); e del secondo capitolo inerente alla Parte I de La Società è un uomo in grande di E.M. (MARIETTI, 2010). L’affascinante e potentissima domanda che si trova proprio in quest’ultimo, del resto, impone fin dalle prime righe un silenzio carico d’attesa nell’animo del lettore: Come si può generare l’Uguaglianza a partire dalle Differenze? E come il Bene Comune a partire dalla Libertà? Posto che per uguaglianza e libertà – cardini della cultura non solo democratica, ma Occidentale- si intende rispettivamente relazione tra le parti ed essere liberi da e liberi per raggiungere fini ed obiettivi, voglio cominciare esattamente da qui e rendervi partecipi della trattazione sviluppata dall’autore. Sono consapevole che il pensiero risulterà estremamente sintetico e riduttivo, ma per motivi di spazio non posso fare altrimenti. La risposta alla domanda del Bene Comune prevede due alternative; e cioè da una parte quella Totalitaria: eliminare le differenze, e dall’altra quella Relativistica: tutelarle. Il fatto è che in quest’ultima, a nome di un’indistinta libertà, solo gli individui più influenti darebbero voce alla loro verità. Pertanto è evidente che, sebbene per motivi diversi, entrambe risultano inadeguate, conseguenze eclatanti dell’anomia che minaccia le istituzioni democratiche. Per creare la necessaria mediazione tra bene privato e quello di interesse generale bisogna al contrario che Differenza e Disuguaglianza entrino nei circuiti della reciprocità e della donazione –due delle quattro modalità di orientamento dell’azione sociale individuate da Donati nel suo modello del PrivatoSociale-. E precisamente, se la reciprocità nasce dall’attivazione, da parte dell’attore sociale, delle relazioni con altre persone scoprendone l’intrinseco valore; la donazione invece si esprime nel donare –appunto- qualcosa senza esigere nulla in cambio. Dunque è il riconoscere l’alterità dell’altro e dargli qualcosa (tempo, spazio e risorse umane) unicamente per il suo bene. Ecco così che i beni privati possono divenire Beni Relazionali e questi Bene Comune in senso concreto tramite la relazione società-istituzioni democratiche. In questa maniera differenze e disuguaglianze si scoprirebbero perciò mediate dal bene che generano, e ritroverebbero nell’inter-personalità vissuta l’uguaglianza insuperabile della Persona. Appartenenza e Identificazione diverrebbero in quel modo prodotti di un agire generativo di beni -dove generare implica propriamente la libera adesione dei generanti e del fatto che tanto il generato quanto il generante non rimangano più gli stessi, ma si trasformino-. Tirando le fila: il sociale, che qui non è semplice amalgama di individui ma capacità generativa di società e beni sociali, dovrebbe orientare la decisione politica delle istituzioni democratiche. Relativizzare il bene o imporne una definizione da manuale non serve a niente, giacché esso è una pratica qualificante le relazioni sociali di reciprocità e donazione. Ed ecco spuntare la Comunità: ossia non la mera appartenenza ad un gruppo che condivide una tradizione

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dal latino: solus ipse, solo se stesso; ossia convinzione che la spinta ad agire e l’azione in sé dell’individuo originino da un perché motivante auto-riferito. Inevitabile conseguenza di ciò viene ad essere la completa relativizzazione della prassi, giacché l’Io -essendo diverso dagli altri e dunque non potendo provare veramente ciò che gli altri provano- non arriverà mai a condividere con alcuno la propria esperienza di realtà. Gli individui smettono di esistere l’uno per l’altro poiché ogni possibile rapporto autentico è abortito a priori. Ecco perché solipsismo significa ritrovarsi soli (nell’accezione più tragica e alienante del termine) con se stessi.


culturale, ma l’attuarsi di una relazione generativa che (proprio per questo) rimane sempre aperta e fa dell’appartenenza e dell’identità un motore inclusivo di partecipazione. Ora, tornando al tema da cui eravamo partiti, cioè l’Alterità, voglio invece prendere in considerazione alcuni snodi chiave dell’altro testo in esame così da poter concludere. Rigobello afferma che Platone, in un passo dell’Alcibiade Primo, insegna all’uomo a riconoscersi attraverso il rapporto con l’Altro. Altro che arriva dunque ad esercitare una funzione maieutica (metafora della levatrice usata da Socrate: attraverso la dialettica vengono portate alla luce le ricchezze del mondo interiore) con la sua stessa presenza, rompendo il solipsismo nel quale saremmo altrimenti relegati. L’estraneità, è evidente, non è vista nell’ottica di radicale negazione del proprio, ma in qualità di momento costitutivo dell’autocoscienza dell’Io. La presenza dell’Altro, in sostanza, porta dalla Soggettività Individuale alla Persona. Questo è il punto. Abbiamo bisogno di un Altro per auto-comprenderci veramente, necessitiamo di un interlocutore a cui relazionarci e a cui manifestarci; poiché senza l’Alter non esisterebbe nemmeno l’Ego nella sua viscerale connotazione. Facendo adesso un passo avanti e sforzandoci di interpretare il tutto alla luce della questione multi-culturale da cui ero partito, risulta importantissima la figura dell’Altro/“Straniero” con la sua religione e la sua Identità che venga a contatto con la nostra esperienza di Italiani. Solo così possiamo capire Profondamente chi siamo, qual’è la nostra storia, la nostra tradizione. Da qui la conseguenza che Integrare non deve assolutamente essere confuso con Assimilare od Omologare, perché se il primo termine rimanda alla negazione della propria cultura in vista di un contatto con un altro gruppo, il secondo è ben peggiore giacché viene a determinare la caduta di ogni differenza, peculiarità e ricchezza culturale in nome di un non-luogo asettico privo di segni, colori, storia, identità, futuro… e di conseguenza privo di consapevolezza, dal momento che se non abbiamo cognizione del nostro Vero Io non sapremo tanto meno chi vogliamo essere e dove vogliamo andare. Ecco dunque l’importanza di promuovere un Dialogo costruttivo, lo Scambio culturale, così come la tutela della Tradizione: impedire, per esempio, che il crocifisso esca dalle scuole. Indipendentemente dalla fede, infatti, questo “pezzo di legno” è l’emblema del nostro passato, la religione del nostro paese, la radice della nostra storia. Per questo dovrebbe essere difeso strenuamente, a maggior ragione dagli atei. Storia e religione sono si autonome, in parte, ma certo non indipendenti. Attenzione quindi a sottrarre l’Italia dalla verità del cristianesimo, perché le conseguenze cadrebbero con un tocco niveo ma terribile. Promuovere una sbiaditissima omologazione porta inevitabilmente ad allontanare un paese, qualsiasi esso sia, dalle proprie origini, dalla sua storia, da ciò che ha permesso alla gente di essere ciò che è. Concludendo: così come non serve chiudersi in una torre d’avorio illudendosi di tenere lontano lo Straniero per paura di conoscerne le tradizioni e di venire in qualche modo

‘contagiati’ smarrendo così la nostra identità; allo stesso modo è sbagliato ritirare tutte le poste in gioco, dimenticare le caratteristiche che ci rendono Diversi, far sprofondare nell’oblio il perché della Diversità – conditio sine qua non della ricchezza antropologica- promovendo la clonazione di uomini e donne senza un tratto dominante, senza un Ego che sia emanazione delle speranze e dell’agire degli avi. Bisogna altresì promuovere il Dialogo, a tutti i livelli, poiché solo questo, oltre ad essere il più nobile segnale di democrazia, sa essere uno strumento indispensabile per unirci pienamente all’Altro salvaguardando e privilegiando le differenze. Ma senza Comunicazione non esiste contatto, senza contatto non ci si potrà mai scoprire uniti pur nella diversità, protesi verso un unico obiettivo che è il Bene Comune; senza unità non ci sarà né dono né reciprocità, senza un obiettivo non ci sarà mai Progresso in quanto senza una meta non esiste futuro… ma solo guerra e odio tra parti che odiano e guerreggiano perché animate dall’intolleranza verso uno stereotipato sconosciuto. Ecco il male certo non incurabile del nostro tempo, ovvero la conseguenza di una paura folle originante spettri e minacce tali unicamente perché posti nell’assenza di confronto… nel gelo del silenzio di chi teme di essere convertito nell’Altro anziché emergere e aiutarlo ad emergere tramite le reciproche diversità.

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Murchia e Trecia Una storia vera scritta da Idata, ragazzo Murco che ora vive a Verona L’autore del testo vuole rimanere anonimo Traduzione di Sara Creta

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gire con la razionalità della mente umana, riuscire a identificare e categorizzare ogni cosa intorno a noi. Rendere le cose più facili, più pratiche in alcuni casi. Ma siamo in grado noi di pensare cosa può succederci quando ci scontriamo faccia a faccia con il lato freddo della burocrazia e delle istituzioni? Si riescono ad eliminare in maniera così veloce gli sguardi, i volti, le emozioni. Tutto è ridotto a forma razionale, rendendo gli individui persone anonime. Un vecchio e pazzo uomo con la sua barba bianca, iniziò a raccontare a quello più giovane che gli sedeva affianco: “Migliaia di anni fa, nel periodo dei grandi stati-nazione, c’era un ragazzo che nacque in un paese chiamato Murchia. Questo giovanotto si chiamava Idata, questo nome era stato dato lui dalle persone che aveva intorno. Questo paese, Murchia, ha un territorio che è chiaramente delimitato da confini. Ha una bandiera ed un inno che riesce a unificare tutti i Murchi insieme, all’interno dello stesso territorio. Le persone intorno a Idata, continuavano a chiamarlo Murco. Lui apparteneva a questo stato-nazione, ma nessuno mai chiese nulla a Idata, tutto sembrava così normale. Un giorno, ci fù un cambiamento radicale nella sua vita. Idata, ebbe l’opportunità di andare fuori dai confini della Murchia, andò in Erasmus. Quando Idata, passò dall’altra parte della frontiera, arrivò in Trecia. Iniziò a guardarsi intorno e si accorse che tutto era così simile alla Murchia, fu sorpreso del fatto che ci fossero tante similitudini. Era scioccato perché nonostante i due paesi confinanti, Murchia e Trecia, avessero tante cose in comune, c’era un confine a dividerli. Durante il suo viaggio in Trecia, Idata incontrò tantissimi giovani come lui, e condivise con loro momenti felici e unici. Ridevano, urlavano, piangevano e si abbracciavano tutti insieme..alla fine, dopo sei mesi lui dovette ritornare in Murchia per continuare i suoi studi, dovette dire “ciao” ai suoi buoni amici, sperando di rimanere in contatto con loro in futuro. Dopo il suo ritorno in Murchia, Idata non era felice come prima. Sentiva la mancanza dei suoi amici in Trecia e voleva ritornare da loro. Per rientrare in Trecia, nel territorio dove i suoi amici vivevano, lui aveva bisogno assolutamente di una carta chiamata Visto, legittimata da entrambi gli stati, Murcia e Trecia. Per avere questo documento, Idata andava ogni giorno al consolato, una rappresentanza della Trecia all’interno dello stato della Murchia. Durante i suoi incontri con gli ambasciatori Treci, lui era costretto a parlare attraverso un microfono dietro ad un vetro. Durante quei freddi incontri cercava di spiegare le motivazioni che lo spingevano a ritornare in Trecia e rivedere i suoi amici. Fu molto difficile far credere agli ambasciatori Treci che lui non sarebbe andato a dormire per strada, ma c’erano amici che aspettavano il suo ritorno. Dietro a questo muro di vetro a cui era costretto a parlare, Idata perdeva lentamente il suo senso di umanità e iniziava a diventare un carattere anonimo, la sua stessa voce diventava giorno dopo giorno sempre più meccanica. Ancora una volta, cercò di spiegare la situazione per riuscire ad avere il permesso di vedere i suoi amici in Trecia, ancora una volta si recò al consalato Trecio in Murchia. Mostrò tutti i suoi documenti, le lettere che attestavano che il suo amico Miki lo avrebbe ospitato, che si sarebbe preso cura di lui. Amarezza lo attraversava, nessuno lo considerava una persona sincera. Il primo giorno, il secondo giorno e anche il terzo arrivò. I rappresentanti

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chiedevano sempre più documenti. Lui doveva scrivere così, spedire per fax, poi per posta, poi con un timbro di una certa istituzione ed infine di un’altra. Il terzo giorno, Idata tornò di nuovo al consolato Trecio con nuovi documenti, ma l’ambasciatore non soddisfatto, voleva che la polizia in Trecia autentificasse la richiesta di ospitalità. La sua vita diventava sempre più difficile e le continue delusioni lo stavano abbattendo. Si stava pian piano arrendendo di fronte alle incessanti richieste burocratiche. Il suo amico in Trecia andò alla stazione di polizia e chiese per quei famosi documenti. In quel momento l’agente di polizia Trecio iniziò a controllare nello zaino di Miki, la situazione non era delle migliori e nessuno era contendo che Idata tornasse in Trecia, ospitato nella casa di Miki. Non ci fu nulla da fare, Miki uscì dalla stazione di polizia senza i documenti necessari a Idata. Le condizioni psicologiche di Idata peggioravano. Per cinque giorni andò al consolato che continuava a chiedergli sempre più documenti. Quel giorno impazzì. Iniziò a piangere nel consolato. Quelle lacrime commossero una donna all’interno che si avvicinò a lui e gli sussurrò in un orecchio: -“Torna con una prenotazione di un hotel in Trecia e sono sicura avrai il tuo visto”-. Idata, corse a casa e fece una prenotazione per 4000 euro, sapendo che la sua famiglia non avrebbe mai potuto permetterselo. Prenotò un hotel in Trecia solo per avere quel visto, sapeva bene che sarebbe stato a casa del suo amico Miki. Quello stesso pomeriggio Idata ottenne il visto sul suo passaporto, era di soli dieci giorni. Partì per la Trecia, dall’altra parte del mare, per divertirsi e rilassarsi dopo tutte queste battaglie burocratiche affrontate. Rimase in Trecia per dieci giorni e poi dovette ritornare ancora in Murchia. Ora Idata si sta battendo per incontrare una sua amica in Pitalia, un altro stato vicino al mare. Lui ha appena cominciato il processo per avere un nuovo visto.” Alcune persone stavano parlavano di diritti umani. Dopo tutte queste storie, Idata rideva quando sentiva pronunciare questa parola, diritti umani. -Questa è una storia vera, scritta da Idata, ragazzo Murco che ora vive a VeronaCosa è Idata? Puoi richiedere i moduli per ricevere il visto. Devi completare tutti i documenti necessari, il modulo di richiesta visto, e spedire tutto all’ufficio di iDATA di competenza. Si prega di presentare tutta la documentazione richiesta. Cosa è l’Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo? Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese. Cosa è la verità? ...


ESTATE AMERICANA federico longoni federico.longoni@yahoo.it

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Chicago è una calda mattinata. L’estate è iniziata da poche settimane, eppure la temperatura inaspettatamente alta degli ultimi giorni fa sembrare quasi di essere in pieno agosto. Amy è pronta: occhiali da sole sul naso, shorts di jeans e maglietta dei Ramones. La sorella Kate arriva con lo zaino in spalla, due valigie piene e un cappellino dei White Sox in testa. Tutto è pronto per il viaggio più lungo che le due ragazze abbiano mai fatto, con meta l’assolata Santa Monica, dove trascorreranno l’intera estate nella casa sulla spiaggia ereditata dai genitori. La vecchia Camaro nera del 1979 è pronta a macinare le oltre duemila miglia di quella che una volta era la Route 66, sostituita oggi da un gigantesco groviglio di superstrade. Dopo alcune ore dalla partenza, Kate estrae dal suo zaino una pila di cd pronti per fare da colonna sonora al viaggio. Il primo che inserisce nel lettore dell’auto, installato proprio da lei l’anno precedente, è il nuovo album omonimo degli Stone Temple Pilots, riunitisi dopo una decina d’anni di silenzio. La musica che parte ha un gusto molto americano, quel rock’n’roll graffiante e diretto che piace a tutti. Canzoni come Between The Lines e Hickory Dichotomy sembrano registrate negli anni settanta, anche se sotto si scorge una vaga influenza grunge. La freschezza e la solarità di Cinnamon invece fa dimenticare alle due sorelle la calura che, una volta superato il confine del Missouri, comincia a farsi sentire. Attraversando immense praterie da un lato e vecchie stazioni di benzina e fast-food decadenti dall’altro lato, arriva la sera, e con essa la voglia di fermarsi in un motel per mangiare e riposare. All’alba però si riparte in fretta, dopo aver gustato i migliori pancakes con salsa ai mirtilli di tutti gli Usa. Decise ad arrivare a destinazione il più presto

TO THE TEMPLE OF THE KING anna pini

17 maggio ore 07.45. Houston, Texas. Ci ha lasciati per sempre Ronnie James Dio. Non si è mai preparati alla morte di una leggenda. Specie se è la tua. Fin dal ’63 , quando con Ritchie Blackmore, padre dei Deep Purple fonda i Rainbow, Ronnie ci ha accompagnati con la sua scoppiettante personalità. Poi viene la militanza nei Black Sabbath, col difficile, ma non disatteso compito di rimpiazzare Ozzy Osbourne . Infine la nascita dei suoi DIO, e il progetto Heaven & Hell. Ronnie è stato un padre per tutti noi figli (e non) dell’heavy metal. Classe 1942, senza dubbio il cantante più amato della sua generazione. Figlio di immigrati italiani negli Stati Uniti, Ronald James Padavona ha dato il suo immenso contributo nella creazione di uno tra i generi più complessi della musica moderna, quando tutto era ancora confuso e informe. E come se questo non fosse già sufficiente, ha rivoluzionato il modo di stare su un palco, di calcare la scena. Se oggi assistendo a un concerto, in segno di approvazione alzate le braccia e con le mani fate l’ormai classico gesto delle “corna”, sappiate tutti che lo dovete a lui. A questo piccolo grande uomo. Tutto il mondo dell’heavy metal è in lutto. Dai semplici ammiratori ai rockers più affermati. La sua voce calda e graffiata ha colorato le vite di così tanta gente in questi anni……Devo ammettere che ho provato una certa dolcezza leggendo i commenti dei fans, tanti messaggi d’amore per una persona mai vista forse, eppure che sentiamo di conoscere così a fondo…. Non so cosa dire. Sono triste. La prima volta che l’ho sentito fu nell’album Ritchie Blackmore’s Rainbow. Sulla copertina c’era disegnato un castello sospeso su una nuvola e un grandissimo arcobaleno che lo attraversava. Una grafica molto anni settanta, colorata e rassicurante. Ricordo che quell’album l’aveva comprato mio fratello a Parma, c’erano ancora le lire. Fu

possibile, le due ragazze si fermano raramente durante il giorno, solo per sgranchirsi le membra stanche. Dopo un’altra notte di riposo in un motel molto più moderno dell’altro, e per giunta anche con la tv via cavo, si torna in marcia. Ed ecco il Texas. L’afa è opprimente, la sete è sempre più forte, e Kate ed Amy sono costrette a fare più tappe del previsto. Nel lettore dell’auto oggi gira a gran velocità un cd grezzo e potente, Brothers dei Black Keys. Il duo ha inciso un album radicato nel blues, ma con molte influenze suol e r’n’b, come dimostrano Everlasting Light e Next Girl, pezzi così energici da far vibrare i finestrini. Soprassando le aspre rocce e i canyon texani, arriva la perla del disco, Never Gonna Give You Up con uno stile che ricorda i grandi artisti black della storica Motown. La notte passa veloce, e con essa anche il confine con l’agognata California. Ci sono voluti cinque giorni per arrivare, poche ore di sonno e tante ore di viaggio in auto. Costeggiando l’oceano si può percepire il sapore dell’estate. Ora sta partendo To The Sea, l’album nuovo di Jack Johnson. Il cantautore australiano regala freschezza e pace a ogni nota delle sue canzoni. Si sente il gusto della salsedine e il caldo della sabbia sotto i piedi in You And Your Heart e The Upsetter, mentre la ballata Only The Ocean accompagna dei surfisti che affrontano le alte onde all’orizzonte. Santa Monica si apre su un ampio viale con le palme ai lati. Kate e Amy scendono dall’auto, si guardano intorno estasiate e si dicono che questa sarà l’estate più bella della loro vita.

È

Blue Note

quasi impossibile ritrarre in poche righe la grandezza di una musicista come Diana Krall: si cadrebbe facilmente in frasi banali come è brava, è bella, è la moglie di… (Elvis Costello, un noto musicista inglese, ndr). Nell’immaginario comune il jazz si è fossilizzato a carismatici personaggi di colore, oppure ha la sua Antonella Sartori versione attuale –ma limitata- in artisti jazz-pop troppo interessati a cavalcare le classifiche di Mtv. Diana Krall invece, si mantiene discretamente lontana dall’idea di diventare un’icona di notorietà. Sebbene c’è chi è disposto a giurare che l’intera carriera della Krall può essere sintetizzata nella pubblicità di una nota marca di orologi di cui è stata sponsor, Diana ha alle spalle una decina di dischi, tutti di grande successo (almeno negli Stati Uniti). Il suo primo disco, Stepping out, risale al 1993, ma è nel 2004 con The girl in the other room, che avviene la svolta: la sua conturbante voce da contralto fa da accompagnamento anche a brani propri. Diana Krall non abbandona comunque la sua dote interpretativa: Temptation di Tom Waits, A case of you di Joni Mitchell fino a The boy from Ipanema, interpretazione dal titolo ironico, presente nell’ultimo cd, Quiet nights del 2008, della più nota The girl from Ipanema di Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes, che insieme alla Bossa Nova in generale, hanno influenzato Diana Krall nella creazione del suo ultimo album.

assuefazione. Dal primo ascolto. Non avevo mai sentito una voce più emozionante, perché Ronnie non era uno di quei cantanti bravissimi magari, ma che non riescono ad andare aldilà della tecnica; Ronnie cantava col cuore, con l’anima. Tutto in lui era musica. Eppure, nonostante fosse praticamente uno dei padri fondatori del genere, mi ha sempre colpito la sua grande disponibilità con i fans, con i gruppi emergenti. Questa è una grande perdita. Il vuoto che ci lascia doloroso. Ma la sua voce, quella ci apparterrà sempre, anche ora che è arrivato (ne sono sicura) To the temple of the king. “Someone’s screaming my name Come and make me holy again”

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RoCk On BaBe! M Anna Pini

entre l’era post Beatles ha spalancato le porte della sperimentazione musicale in tutto il mondo, noi siamo inspiegabilmente rimasti fermi al minuetto. Gli inglesi hanno avuto i loro Pink Floyd. Gli Stati Uniti hanno salutato Aerosmith e Guns ‘n Roses. La Germania ci ha regalato gli Scorpions. Mentre il resto del mondo si sollazzava a colpi di birra e hard rock, qui il massimo della trasgressione era Celentano che dava le spalle in diretta alla RAI. Non è proprio la stessa cosa. Dov’erano in Italia quei gruppi mitici, quei concerti di cui poter dire ai nipotini io c’ero? Scommetto che siete senza argomenti. Tranne quelli di voi a cui è istintivamente venuto in mente un nome: LITFIBA. Nessun altro gruppo nostrano è mai volato alto come loro. Forse starete pensando: “ Ah sì, i Litfiba.....certo. Saranno secoli che non

li sento più nominare, che fine hanno fatto?” Rallegratevi gente. Dopo una separazione di 10 anni, Piero Pelù e Ghigo Renzulli tornano insieme. Dal 1985 con l’album Desaparecido, fino al 2000, ci hanno regalato canzoni strepitose. Chissà cos’altro hanno in serbo per noi.. Come periodicamente mi capita sono in piena fase Litfiba, fase che prevede ascolti in loop delle mie canzoni preferite e visione fanatica della registrazione in VHS (sì, avete capito bene) de El Diablo Tour. Dicono che ci piace chi riesce a esprimere quello che noi pensiamo. È per questo che li trovo fantastici. Riconoscerei i riff di Ghigo tra mille, con quella Gibson acuta e la rara capacità di rendere un assolo una parte del tutto. Grezzi nella loro vocazione hard rock, ma estremamente di classe nella

cura degli arrangiamenti. E poi c’è Piero. Anima bestiale, irriducibile animale da palcoscenico, selvaggio, indomabile e cinico scandagliatore delle ipocrisie del nostro tempo. I Litfiba sono dinamite pura. TNT. Perfino Elio e le storie tese avevano composto una canzone Litfiba tornate insieme. Hanno la travolgente capacità di essere immediati e, rarità assoluta di questi tempi, hanno qualcosa da dire. Ma come spesso capita ai profeti, gridano cose che non vorremmo sentire, ci ricordano che l’Italia vive ancora nell’ombra di troppi mostri, e che non possiamo più far finta di niente. I Litfiba di Tex, Paname, Maudit, Il Vento, Prima Guardia, sono entrati di diritto nell’Olimpo del rock, anche se non posso fare a meno di chiedermi, ogni volta che li ascolto, dove sarebbero arrivati se fossero nati oltreoceano. “ Trasforma il tuo fucile in un gesto più civile”

UN CANNONE NEL CORTILE LEZIONE SPECIALE SU FABRIZIO DE ANDRÈ Sara Ferri

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ercoledì 28 aprile, in aula T3, si è tenuta una lezione diversa dal solito. Protagonista assoluta dell’incontro, il cui tema verteva su soggetti di desiderio, amore libero e prostituzione, era la figura femminile, in particolar modo quella della prostituta, nei testi di Fabrizio de Andrè. Organizzata dai ragazzi del collettivo Studiareconlentezza, la lezione ha visto la partecipazione di Lorenzo Bernini, ricercatore di filosofia politica presso l’università di Verona, e Francesca Musitano, recentemente laureatasi proprio con una tesi sull’immagine della donna nelle canzoni di De Andrè. Durante l’incontro si è scelto di concentrarsi in particolare su quattro testi: Bocca di Rosa, via del Campo, la canzone di Marinella e Prinçesa; le prime tre vertono sulla prostituzione eterosessuale, mentre l’ultima racconta una storia di prostituzione transessuale. Ma oltre alle parole, anche tanta musica: ogni pezzo, prima di addentrarsi a capirne il significato, veniva eseguito dal vivo da musicisti ‘nostrani’. Così, dopo una breve introduzione di Bernini, ha preso il via la lezione vera e propria. Primo pezzo suonato, cantato ed analizzato è Bocca di Rosa, la canzone che più somiglia all’autore (per sua stessa definizione). Qui De Andrè punta sul divertito ribaltamento della morale comune, mettendo in scena un paesino ipocrita, ridicolizzato dal trionfo dell’amor profano. Segue via del Campo, il cui titolo prende il

nome da una via di Genova frequentata da prostitute, spacciatori e trans. Nonostante la figura centrale sia quella di una prostituta, il testo è cosparso di parole che indicano purezza: infatti, al contrario di quello che ritiene la società ‘perbene’, anche una ‘puttana’ è in grado di donare amore. Con l’indimenticabile frase conclusiva, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori, in cui i diamanti

MA…COSA ASCOLTA LA REDAZIONE? THEOGONIA Rotting Christ

MIDNIGHT TALKS A Toys Orchestra

LET IT RAIN Tracy Chapman

SURFER ROSA

Ludovico Einaudi

ANIME SALVE Fabrizio De André

THE CLASH The Clash

Unplugged in NY Nirvana EXILE ON MAIN STREET The Rolling Stones 21st Century breakdown A SANGUE FREDDO Green Day Pixies

Il Teatro degli Orrori

BIBLE BELT

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DIVENIRE

o

Diane Birch

Lungs

Florence & The Machine

sono metafora della borghesia, mentre il letame simboleggia la bassa società, De Andrè vuole suggerirci che spesso è nella povertà che nascono i sentimenti migliori. Man mano che ci si addentra nella visione del cantautore, Francesca coglie l’occasione per spiegarci che, al di là del duplice atteggiamento della società verso la prostituzione (di morale o di pena), il merito di De Andrè è stato quello di aver saputo leggere nel mestiere della prostituta un ruolo di emancipazione nei confronti dell’uomo. La canzone di Marinella è ispirata ad un fatto di cronaca realmente accaduto, di una ragazza che per motivi familiari fu costretta a prostituirsi. Marinella è una donna ingenua, fragile e vittima della sua condizione; De Andrè ne ricostruisce la storia, tentando di reinventarle la vita e addolcirle la morte. In conclusione, in Prinçesa, forse la più complessa delle quattro da un punto di vista psicologico-interpretativo, si narra di Fernanda, una trans brasiliana, del suo, a poco a poco, scoprirsi diversa, delle sofferenze mentali e fisiche per diventare ciò che essa sentiva di essere e per farsi accettare. L’incontro si è concluso con un breve dibattito e una nuova esecuzione, a grande richiesta del pubblico, di Prinçesa. Appuntamento in Piazza Dante la sera stessa per buona musica dal vivo. Per saperne di più su iniziative simili: http://studiareconlentezza.noblogs.org


Il Saper “Inutile” Con alcune osservazioni sull’importanza di far nulla Francesco Greco

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“Tutta l’arte è completamente inutile” Oscar Wilde

CENA: Un appartamento qualunque, di una qualsiasi città, in uno dei tanti pomeriggi di noia

Calibano: Non capisco come tu possa startene

sere ipocriti, senza macchine e tecnologie varie la vita sarebbe certamente più difficile ... la grande differenza sta nel fatto che la maggior parte della cultura è stata integrata nella tecnica: il sapere che ha come unico scopo l’esercizio delle facoltà contemplative dell’uomo si sta perdendo! Non affermava forse Freud che come il bimbo l’uomo necessita di giocare, cioè ha bisogno di periodi di attività senza altro scopo che il godimento momentaneo?

lì in ozio a fumare, quando c’è così tanto da fare!

Prospero: Aggiungici troppo! L’ossessione moderna di essere sempre indaffarati è una vera noia; si fosse poi realmente impegnati! Come disse Pessoa, da “un pensare ben articolato si può tornare più stanchi che da un’intera giornata di lavoro”. Senza criticità o pensiero e senza creatività a-mercantilista, non ci sarà più letteratura ...

C: Questo è vero ... ma cosa avrebbe tutto ciò a che fare con la letteratura?

C: Ancora con questa letteratura ... ti ho detto

P: Ebbene, mentre il cosiddetto sapere “utile”,

più volte: la letteratura è inutile! A confronto con la matematica, l’economia e lo studio della legge non vale nulla ...

P: Esattamente! Proprio questo suo dis-valore la rende la più utile!

C: Smettila di dire sciocchezze! P: E’ quel che fanno tutti. Poi, l’economia è la religione del risparmiatore.

C: Ah! La solita scusa: noi siamo tutti sporchi

materialisti e voi letterati ... delle anime pure! P: Posso almeno dimostrarti perché la letteratura non è inutile?

C: (Accendendosi una sigaretta) Avanti: istruiscimi! P: Se partiamo dal concetto di utile, noterai

come la società moderna abbia distorto il vero significato di tal parola: utile, non è ciò di cui una persona abbisogna, ma solitamente ciò che si ritiene più adatto all’uso del mercato; in poche parole la destinazione della parola è stata spostata dall’individuo al mercato. Quando si dice che qualcosa è utile s’intende solitamente che quel qualcosa ha valore di mercato o di scambio. Piuttosto Bacone Sir Francis Bacon affermava: “sapere è potere”, ma il sapere a cui si riferiva lui era chiaramente quello scientifico. Ciò non è vero per altre forme di sapere: la letteratura come la storia non ti permettono certo di assurgere ai livelli più alti della branca politica o economica ... eppure nel Rinascimento il farsi una cultura

fu parte integrante della joie de vivre, quanto il bere o l’amoreggiare. Il motivo principale del rinascimento fu il diletto dello spirito. Al contrario, oggi gli uomini si sono posti con sempre maggior impegno il problema della “inutilità” del sapere e sono giunti alla conclusione che l’unica forma di conoscenza desiderabile sia quella applicabile a una qualsiasi area della vita economica.

C: Non è forse tutto ciò molto più coerente che perdersi in voli pindarici?

P: Ti sbagli: il sapere tecnico punta alla dimo-

strazione dei fenomeni della vita. E’ referenziale. Al contrario, la letteratura, come le altri discipline contemplative, crea la vita, non la copia. Hai commeso come molti l’errore di ascrivere all’Arte le stesse regole della Scienza. Mi spiego, non sto invocando una lotta strenua tra i due saperi, che porti infine all’annientamento dell’uno sull’altro; il sapere “utile” è certamente utile, ha fatto il mondo moderno: Sigmund Freud non possiamo es-

che io chiamerei utilitaristico, ha valore per il qui e adesso, ben altro valore ha la letteratura: essa è in rapporto con i mali più gravi dell’esistenza. E con le gioie. La morte, la sofferenza e la crudeltà, nonché la transitorietà del piacere, sono cose su cui l’uomo si interrogherà sempre e perciò solo la letteratura può dare una risposta plausibile! Nessun trattato scientifico può spiegare cosa sia Erich Fromm la malinconia, così profondamente quanto la Anatomy of Melancholy di Burton. In breve, l’Arte e il Bello sono il supremo bene, di cui nemmeno la tecnica è riuscita a impadronirsi; questo perché la lettura o la visione di cose belle non intaccano il carattere di un uomo (come al contrario l’accumulo di tecniche), bensì consentono all’individuo di restare se stesso.

C: Ma il fatto che la letteratura non abbia un fine, non la rende comunque inutile?

P: Inutile nel tuo senso: dì piuttosto non spendi-

bile sul mercato. La sua utilità sta nell’additare all’uomo una vita diversa dall’accumulo di cose; una vita basata sull’essere. Di puro piacere estetico. Per dirla con Erich Fromm: “Sono ciò che io sono” e non “Sono ciò che io ottengo con l’azione”.

C: Sei uscito di senno ... senti, finiamola qua: ho bisogno di uscire! Mi serve dell’azione!

P: Vai pure. Io resterò qua a contemplare quel bel tramonto.

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Il circolo virtuoso dell’Arte Pensieri, parole e suggestioni Fabrizio Capo

L’

Arte non è la vita, come avrebbero voluto i grandi esteti del nostro tempo (D’Annunzio, Wilde...), che tentarono di trasformare, con risultati più che discutibili, le loro stesse vite in opere d’arte. Il “tentare di trasformare” non appartiene alla categoria dell’Essere, ma alla categoria dell’apparire. Ha in sostanza ben poco a che fare con l’essenza della vita, che non è nè essere nè apparire, ma essere in divenire. E’ un pendolo continuamente altalenante non tra noia e dolore, come sosteneva Schopenhauer, ma tra azione e amministrazione. In alcuni momenti si passa dall’azione all’amministrazione, in altri si torna dall’amministrazione all’azione. Squarciata ogni maschera, tolto ogni velo, crollato ogni cielo stellato, riflettiamo su quali siano i pilastri che rendono la vita tale, unica e irripetibile. Sono la morte e il tempo. O meglio: la percezione del suo scorrere inesorabile. Se non esistessero la morte e il tempo non ci sarebbe un senso, e l’unico senso sarebbe il piacere senza scopo. Soprattutto non ci sarebbe emozione, perchè l’emozione è la precisa percezione che in quell’attimo del divenire ho rubato tempo alla morte. La morte e il tempo divengono continuamente, trasformandosi l’una nell’altro, in uno scambio che non conosce sosta. La fine del tempo diventa morte, la fine della morte diventa tempo. Il nostro tempo e quello degli altri, la nostra morte e quella degli altri scandiscono costantemente il nostro esistere. Tutto acquista un senso proprio nella precisa consapevolezza che taluni attimi, talune situazioni, talune persone, non torneranno mai più. Se invece si tenta di rendere la vita un’opera d’arte, il suo fine non può che essere il piacere, l’edonismo estetico ed estatico, come il buon Andrea Sperelli di dannunziana memoria, o il Dorian Gray di Wilde ci ricordano. L’Arte invece è bene che entri nella vita solo a tratti, come una folgore

Valentina Pizzo

E’

cosi pesante l’arma nella mia tasca. Sento la gente intorno a me. Inizia a gridare...è la carrozza del re quella laggiù? Da quant’è che sono qui, come è arrivata tutta questa gente attorno a me? Ecco, si avvicina, si avvicina con insopportabile lentezza. La pistola è nella mia mano, il mio palmo è sudato ma la mia mira deve essere sicura, non ho mai sparato ad un uomo, non ho mai sparato ad un uomo.Eccolo, eccolo il grande ingannatore, eccolo l’assassino con i guanti, eccolo il re che calpesta il suo popolo. E’ vicino, lui, lui e la regina. Anche lei è colpevole, anche lei deve morire. Ognuna delle gemme sulle loro corone è una vita. I traditori del popolo devono morire e lo faranno per mia mano. E tutt’ attorno gridano, inneggiano. Perché, perché lo applaudono? Non capiscono che è lui il parassita, lui a succhiare la vita dai loro corpi malnutriti e malati? Cosa trovano in lui se non un’illusione, un sogno romantico? E perché, perché non si distolgono da questa fantasia, perché tutti loro non stringono in mano, come me, una pi-

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che rischiara improvvisamente un cielo cupo durante una tempesta. E’ giusto che ci entri quando c’è bisogno di un’ azione e quindi di un’ emozione che la provochi. L’Arte può essere in un libro, in un film , in un articolo di giornale (...); ma anche in un bacio, in un oggetto, in una frase, in un paesaggio, in un pezzo di vita. C’è Arte laddove c’è emozione. C’è Arte se quel film, quel bacio, quella poesia, quella frase detta da un amico, hanno toccato corde profonde che a loro volta, vibrando, hanno dato origine a emozioni, positive o negative. Emozioni che comunque, di qualunque segno fossero, ci hanno ridestato dall’indifferenza e dal torpore. L’emozione è l’unico stato dell’anima che foto di Reedcat da Flickr può salvarci, perchè si accompagna sempre alla passione, che a sua volta ci spinge all’azione. A volte l’azione può essere materiale, quando ad esempio l’Arte ci mette sotto gli occhi un’ingiustizia che magari non vedevamo, pur “guardandola” tutti i giorni. Se siamo nella posizione per cui una nostra azione materiale possa rimediare a quell’ingiustizia, agire diventa un obbligo morale. Diventa il movimento della com-passione. Com-passione intesa ovviamente nell’originario significato empatico della sua etimologia, non nell’accezione negativa moderna. Da “cum passio”, “soffro assieme”. A volte invece l’azione può essere tutta interiore, rivolta verso noi stessi, volta a migliorare il nostro essere e il nostro rapporto col mondo e con chi lo abita. L’arte è dunque tale se provoca emozione. L’emozione a sua volta non può essere disgiunta dalla passione e la passione spinge all’azione: l’arte quindi non come pura estasi, come effimero piacere dei sensi, ma senso essa stessa, e in quanto tale, primordiale, profondo, grandioso motore dell’azione. Spero di aver chiarito il circolo virtuoso che l’Arte dovrebbe scatenare nella vita, prima che la morte ci porti via il tempo.

Alzo la pistola: sparo Illusione di una Rivoluzione

stola? Giacomo diceva che il popolo deve prendere coscienza della sua condizione. Giacomo diceva che il popolo va istruito. Giacomo diceva che il popolo può fare la rivoluzione. Ma il popolo, il popolo è in festa e Giacomo è morto e tutta la sua fede in esso giace morta sull’acciottolato di Milano, un acciottolato che non potrà più tornare innocente. Eccolo, è davanti a noi, lo vedo, riesco a distinguere le rughe sulla sua fronte, l’anello al suo dito, la forma dei suoi occhi di vecchio, all’ingiù, occhi tristi come una maschera veneziana, il suo viso è una maschera funebre, non è un uomo è un fantoccio, non è forse nemmeno responsabile ma se lui no, allora chi? La vista mi si appanna, devo agire. Estraggo la pistola, è calda, è enorme tra le mie mani, ancora nessuno la vede, è qui, è bassa, prendo la mira. Sono sempre stato un ottimo tiratore. All’improvviso ricordo il viso

di Enrico nel darmi il biglietto di sola andata; era solenne e triste come una statua di San Sebastiano. E ricordo il viso di Giacomo quando hanno iniziato a sparare a Milano! La sorpresa sul volto, le sopracciglia alzate, la bocca aperta: “cosa stanno facendo? Non possono farlo!” gridava. Era inutile l’hanno fatto l’hanno ferito io sono scappato. Potevo salvarlo sono stato un vigliacco ho avuto paura, ora non ce l’ho..sì invece come mentire? Ce l’ho dannazione ma devo superarla lo devo a qualcuno e non è il popolo, lo devo a Giacomo, lo devo a me. Alzo la pistola Ecco SPARO Invece di creare una rivoluzione, l’assassino di Sarajevo creò una tragica guerra, tragica per il popolo..combinazioni della storia.

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Dialogo d’arte

con Rodolfo Hernandez giovane fotografo cubano laureato all’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli, Verona.

a cura di Katia Bonini

Con una laurea in pittura, hai deciso di intraprendere una carriera fotografica. Cosa ti ha spinto a cambiare direzione? Il denaro. Il mondo della fotografia economicamente è in grado di offrire più certezze. Probabilmente se fossi stato ricco avrei continuato con la pittura. Anticamente, l’arte era, generalizzando, strumento religioso, illustrativo o creata su commissione. Nel mondo contemporaneo, con le leggi del mercato, l’arte può davvero definirsi libera? C’è mai stato un momento storico in cui o sia stata? No, assolutamente no. L’arte è soggetta a delle regole, regole imposte dal mercato. Forse solo le avanguardie sono state libere ma sono stati dei colpi di genio, durati comunque pochi anni. Magari gli impressionisti. Ma solo per un certo periodo, poi tutto è stato inevitabilmente condizionato dal mercato. Quanto è importante, per un artista, o per chi vuole intraprendere una carriera artistica, avere i contatti giusti? Lo è al 100%. Come in tutti gli altri mestieri, d’altronde. Conoscere le persone giuste ti può spianare la strada, può farti arrivare in cima più velocemente o può fartici arrivare anche se non sei particolarmente dotato. Ti possono aiutare a costruirti; se il mercato ti riconosce come artista ce l’hai fatta. Essere un artista di successo è sinonimo di arte di qualità? E cos’è l’arte di qualità? No. L’arte di qualità può essere soggettiva anche se, in linea di massima, viene intesa come quella timbrata, autorizzata dalle grandi

Titolo: Ogni forma è illuminata Artista: Rodolfo Hernandez

istituzioni, che sono sei. I sei musei, o le sei sorelle- come le ha denominate Achille Bonito Oliva- sono quelle che definiscono davvero l’arte. Per dare l’etichetta di arte di qualità si ha bisogno di specialisti, di esperti; a mio parere, può essere presuntuoso decidere, senza averne le capacità tecniche e culturali, se un’opera vale o meno. É un discorso molto razionale, lo so, eppure ci sono delle regole. Quindi, in fin dei conti, forse successo e qualità potrebbero essere sinonimi, sì.

mondo dell’arte in sette giorni” scrive, in un’intervista, a proposito del fatto che la gente le chiede spesso se un’opera le piace o meno: “Il gusto è un ostacolo alla comprensione”. Condividi?

Qual è l’artista contemporaneo che è riuscito ad ottenere maggior successo?

Sì, assolutamente. Questo cambiamento rispecchia a pieno i nostri tempi: significa apertura mentale, sensoriale, di gusto. É globalizzazione. E, soprattutto, abbattere i confini, le frontiere. L’uomo ha davvero bisogno di levare le frontiere.

Andy Warhol: oltre ad essere un bravo artista, era un uomo di marketing ed è stato capace di interpretare il nostro tempo ed i nostri meccanismi. Ed era un ottimo uomo d’affari. Qual è l’importanza della poetica in una creazione?

Sì. In fondo a me non piace la pittura astratta ma la capisco e la posso apprezzare a livello qualitativo. Forse perché l’ho studiata. Con il passare degli anni pare che l’arte sia sempre più diretta verso un’ibridazione delle discipline. Pensi che sia un bene?

Quali sono i progetti che stai portando avanti ora? Ho in fase conclusiva due progetti.

Se per poetica intendiamo l’idea in sé, allora direi che una buona opera è composta per un 50% da essa e per l’atro 50% dalla tecnica appropriata. Se per poetica intendiamo il testo esplicativo, allora direi che conta relativamente. In fondo, in molti casi, conta più il firmatario. Cos’è che davvero ti colpisce in un’opera? Mi colpiscono quelle opere che sono in grado di capire, o penso di poter, senza essere costretto a leggere il testo accanto. Titolo: Multiethnic Love Artista: Rodolfo Hernandez

Sara Thorton, autrice del libro “Il giro del

Il primo è una mostra fotografica e di installazioni multimediali con Daniela Rosi. Si intitola “Ogni forma è illuminata”, come il film dove quel ragazzo colleziona tutto quello che trova. Verrà inaugurata il 29 maggio a Palazzo Mutilati, Verona. Il secondo, è un’altra mostra fotografica collettiva, curata da Mauro Fiorese. Si intitola “Talent Show” e verte sul tema dell’arte nell’Accademia. Anch’essa aprirà a breve, l’11 giugno, in piazza Pradaval, sempre a Verona. E poi, chissà; inizierò subito qualcos’altro!

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Di un pomeriggio del mese di maggio* Giuliana Sgrena ospite della Facoltà di Lettere e Filosofia Federica Rosa

V

enerdì 14 maggio Giuliana Sgrena ha presentato il suo ultimo libro Il ritorno Dentro il nuovo Iraq nel nostro Ateneo. Forse non è la scelta più corretta, ma voglio parlarvi di questo incontro in modo molto personale, quindi non state per leggere né la cronaca del dialogo che quel pomeriggio la Sgrena ha avuto con Olivia Guaraldo, Lorenzo Bernini e il pubblico, né la recensione del libro. Voglio scrivere che per me quel giorno è stato importante e illuminante perché ho avuto di fronte una donna che crede fortemente nel suo lavoro di giornalista, che lo fa incurante dei pericoli per amore della verità, per poter informare limpidamente i suoi lettori, per permettere loro di essere liberi nella riflessione intorno ai fatti dal momento in cui questi sono riportati nel modo più fedele e libero possibile. Giuliana Sgrena ha raccontato di non aver mai voluto parlare della guerra in Iraq stando chiusa in albergo come fanno molti giornalisti ma di essere sempre uscita a parlare con la gente, con i civili, per sapere da loro cosa succede davvero, di non aver ma

i voluto scrivere i suoi pezzi osservando l’Iraq al seguito delle truppe americane. Ha raccontato del suo rapimento e di come la sua vita sia cambiata dopo quel momento e di come in Italia altri giornalisti abbiano strumentalizzato questa storia, storpiandola, senza che l’ordine facesse nulla di fronte ad evidenti notizie infondate. Giuliana mi ha stupita con la sua esile voce che mi parlava di come è l’Iraq oggi, di come è cambiato, di quale sia la condizione delle donne irachene e nella quale sentivo come una purezza, una sincera adesione a ideali alti che mi fanno pensare a lei come a una persona a cui guardare in un momento in cui avere degli ideali, credere in qualcosa, riflettere, fare delle scelte che non portino solamente al proprio personale profitto sembrano scelte da illusi, stupidi sognatori che nella vita non potranno far altro che essere fregati. Io la ringrazio per il suo libro e per essere la giornalista che è e chiedo scusa ai lettori per questo mio articolo che più che sembrare tale è un insieme confuso di parole scritte di getto in modo eccessivamente e goffamente emotivo.

Giuliana Sgrena

inviata de “il manifesto”, ha sempre seguito con grande passione l’evolversi della situazione in Iraq, Somalia, Palestina, Afghanistan e Algeria, con particolare attenzione alla condizione delle donne. Collabora anche con RaiNews24, il settimanale tedesco “Die Zeit”, la radio della Svizzera italiana e riviste di politica internazionale. Tra i libri pubblicati: Fuoco amico (Feltrinelli 2005), tradotto in numerose lingue; Il prezzo del velo (Feltrinelli 2008), tradotto anche nei paesi arabi.

il libro

Il ritorno Dentro il nuovo Iraq Giuliana Sgrena 144 pagine, € 13 Milano, Serie Bianca Feltrinelli, 2010

*Titolo ottenuto parafrasando l’ultimo verso della poesia di Jabbar Yassin Hussin “Poema del ritorno” che apre [Il ritorno Dentro il nuovo Iraq]

ELIAS CANETTI LA COSCIENZA DELLE PAROLE Roberto Torricelli

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lias Canetti (1905-1994) fu uno scrittore. Che cosa egli intendesse con questa parola è stato detto magnificamente in una conferenza da lui tenuta a Monaco di Baviera nel 1976: «lo scrittore è il custode delle metamorfosi». Partendo da questa definizione, che sembra già essere una conclusione, tenteremo di sviluppare una serie di risonanze e di voci sul tema della scrittura e sul suo implicito bisogno etico. Cosa significa scrivere? Scrivere significa forse lottare con le parole, tradirne alcune per colpa di altre, più adatte ad esprimere meglio il significato di un’idea o di un concetto, al limite, di un’affezione o di un sentimento. Questo meccanismo del linguaggio si estende così al problema del tradurre: come operare una scelta giusta? Quali parole tenere e quali scartare? All’origine della scrittura c’è sempre una lotta, una battaglia di parole che è innanzitutto una battaglia contro se stessi. Si scrive lottando nel pensiero, con le parole che abbiamo trovato e imparato, con il dono di tutte quelle parti di senso e non senso che hanno il potere di significare una vita totalmente aperta, e con l’imprescindibile scarto verbale che rappresenta come il nostro gioco espressivo, l’incalcolabile responsabilità umana del linguaggio. Esiste dunque un metodo di appropriazione (furto) della lingua che ha sia i caratteri di un gioco, sia i caratteri di una scelta responsabile: chiamo questo gioco responsabile, come sembra sottolineare Canetti in un testo omonimo, la coscienza delle parole. Con questo mi propongo di semplificare l’algoritmo delle lettere all’interno di una legge che Eraclito certo potrebbe approvare: tutte le opere che ci sono state tramandate dall’antichità fino ad oggi sono la lotta dell’intera umanità.

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Sorgono allora numerose domande, tra le quali queste: non è tutto ciò che è rimasto ciò che doveva rimanere necessariamente? Non è tutto ciò la vittoria dell’uomo su se stesso nella lotta essenziale con le parole, cioè con se stesso? Si tratta dunque di pensare qui se esiste una componente aleatoria della scrittura che implica una certa filosofia della storia e, inoltre, di capire se la categoria positiva di progresso possa ancora appartenere alla Storia in quanto produzione dei testi. Potremmo allora adattare, forse, a stregua di risposta, una frase che Canetti scrisse in un saggio su Karl Kraus: «le vittorie ci appaiono oggi sospette… Perfino i gesti che indicano vittoria suscitano il nostro disgusto». Certo il contesto in cui questa frase fu scritta è molto diverso dal nostro, ma credo comunque nella sua verità generale, nel suo valore universale. Circa il secondo quesito occorre tenere presente quanto si è detto sopra a proposito del gioco, infatti il gioco mantiene sempre in sé la sua parte aleatoria, porta sempre con sé nel suo grembo il lampo del caso nella forma statistica della probabilità. Come dire, non tutte le scritture sono prodotte da scrittori, da giocatori che fanno uso delle parole assumendone su di sé tutto il loro peso. Si giunge così alla formula che ogni Storia si può raggiungere solo al di là del progresso continuo, secondo un’archeologia della scrittura fondata sul principio filosofico che Benjamin così formula nelle sue Tesi: «per la storia nulla di ciò che è avvenuto dev’essere mai dato per perso…solo a una umanità redenta tocca in eredità piena il suo passato». Non una vittoria, ma una lotta; non un progresso infinito che presuppone la conservazione del meglio, bensì un processo discontinuo alla base del quale è presente una forma di redenzione in primo luogo culturale e civile e, in ultima istanza, etica e antropologica (Canetti la trovò nel tedesco, la lingua “salvata”). La lotta delle parole è così la lotta dell’umanità che, redenta, si è fatta storia delle esperienze e dei fatti che in ogni momento si sono potuti scrivere e produrre poiché qualcuno li ha accolti su di sé e dentro di sé, li ha in qualche modo conservati dando luogo ad una forma di memoria interrotta e autentica. Conservare il mutamento, la discontinuità, la differenza: questo siamo ancora chiamati a fare oggi.


Nero revolver

a cura di MARta poli

ammazza il tempo

LE DIECI REGOLE D’ORO PER UNA SESSIONE ESTIVA (ECO) SOSTENIBILE

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Studio casalingo 1: la regressione primordiale affascina, ma ricordatevi ogni tanto di lavarvi. Studio casalingo 2: detergersi solo le estremità e gli orefizi non vale.

Amore: meglio con l’aria condizionata. Soldi: ne spenderete di più. Salute: bando ai tessuti sintetici per narici più serene.

Citazione

«Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il Potere. Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? […] Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all’idea di essere vicini al Potere, di dare del “tu” al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande. Questo è il giornalismo.» Tiziano Terzani “La fine e’ mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita”

DULCIS IN FUNDO NOTIZIE CURIOSE aperte le iscrizioni per il concorso “La bibliotecaria più acida”. PROPOSTE INDECENTI aboliamo lo stivale d’estate. Sarà pure di moda, ma i vostri piedi non amano l’ humus. SARANNO FAMOSI il guardiano del vaporizzatore rinfrescante all’eucalipto del terzo piano. Non esiste, ma quando esisterà sarà famoso. IPSE DIXIT “No maaaaa, questo esame mi andrà malissimo!!!”= 30. INDOVINA CHI si iscriverà a tutti i Cla possibili e immaginabili per raccattare su crediti f (da quest’anno c’è pure cinese). PAROLA DEL MESE (paghi una, compri tre): CUCURBITACEE LAMELLIBRANCHI CEROPEDUNCOLO

All’ università: non siete dei venditori di cocco in spiaggia, evitate le infradito o almeno ricordatevi di tagliarvi le unghie. Tecniche subliminali: se avete una prima, è inutile presentarsi all’ esame scollate. Appunti: mai farseli passare dai maniaci dell’ordine, sono degli assassini seriali.

Colleghi 1: se mi isolo prima dell’esame e ti guardo con un misto di ferocia e compassione, non mi devi frullare le appendici, chiedendomi di ripetere i concetti fondamentali.

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Colleghi 2: i lamentosi sono persone tristi e noiose, oppure sono già stati segati. Appelli: a quelli che fingono scuse improbabili per fare prima l’esame: smettetela. Professori agli appelli: le iscrizioni telematiche hanno una loro logica, basta seguirla/e. Varie ed eventuali: ricordarsi sempre delle varie ed eventuali. Un esame ne ha tante.

DEL POETA

L’ANGOLO

SUMMER FANTAOROSCOPO

L’autore: Simone Rega

Il muro dei mille passi

Una vita in silenzio

File rosse di formiche carovane di briciole si fermano al mercato dei licheni e nel villaggio di pietra i muschi giocano a carte i secondi a rincorrersi e le ore più lente sono dal parrucchiere e il prezzo più alto è un taglio di ombra

Occhi sdraiati sull’amaca di una ruga che plana sulla pioggia muta come ala di gabbiano

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TATE S ’E LL e d i t n e m appunta MAG

d’Italia, quest’anno tival jazz tra i più importanti PESCARA JAZZ - Fes escarajazz.it Rava e Diana Krall - www.p conta tra gli ospiti: Enrico O - Se amate la musica SICA ANTICAURBIN MU di L IVA ST FE II XL vi questo appuntamento. iginalità, non potete perder classica ma apprezzate l’or www.fima-online.org sta originalissima ONI - 5^ edizione per que LA VALIGIA DEI SU inazione musicale. sulla bellezza della contam rassegna tutta incentrata trini, pos ione Centro Studi Cam ”Cortile dei pavoni”, Fondaz i.it uon eis , 2 - www.valigiad Via Santa Maria in Organo untamenti più attesi allo STIVAL - Uno degli app FE VE LO VE WA ITALIA ta gamma di gruppi, con pone quest’anno una vas pro , rno Livo di chi Pic dio sta rtimentiatalia.com k all’elettronica - www.dive generi che spaziano dal roc certi per tutti i gusti, da L - Un intero mese di con IVA ST FE OD WO ER SH aneo - www.sherwood.it i morti. Padova, stadio Eug Bollani a i Tre allegri ragazz della ormai celebre D’URTO - XIX edizione DA ON O DI RA DI A FEST Anthony B., The ospiterà tra gli altri NOFX, festa della radio, quest’anno i. Gaslight Anthem e Nina Zill w.festaradio.org enissima a Brescia. - ww Ser via 0, 201 sto ago 12 – 28

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MusicaArteGiovan

Arte tra le colline di Sona. Agosto: mese di Musica e egno di un zie all’entusiasmo ed all’imp MAG è un progetto che gra ltà sempre più rea una in to, si sta traducendo gruppo di ragazzi del pos dinamica e tangibile. insegna della concerti ed esposizioni all’ Una due giorni di spettacoli, anizzata dai org e zion sta vi talenti. Una manife libera espressione di nuo ora di fare, anc sia ci lia vog nta ostrare qua note, giovani e per i giovani, a dim rso ave frontarsi. E tutto questo attr o. proporre, stare insieme, con altr to tan e ici tele, colori, palcoscen idee, amplificatori, scatti, amebe o dipinte come eserciti di son i Le nostre generazion contrario: c’è tanto il o ran ost dim sta come que lobomotizzate, ma realtà di più fertile, la Musica e l’ Arte è quanto da dire e da dirci e farlo con erci. efficace e bello possa ess Per chi volesse collaborare orre: sto o fosse interessato ad esp MAG si terrà il 28 e 29 Ago com ail. gm na@ ) ero (VR g.v a ma Son Email: al Parco di Villa Romani di ista.org erv .alt Sito: http://mag2010 Orario esposizioni 18-24 ok! ebo Fac su 21-23 MAG è anche Orario concerti e spettacoli

MUSICA WIVA Quando un uomo con la

a cura di Marta Poli

o con la birra è Rock&Roll

chitarra incontra un uom

perso lo spirito del Per tutti quelli che hanno o e per quelli che si nat izio ond divertimento inc sanno cosa sia: vogliono curare perchè non festa che fa bene!!! una MUSICA WIVA FESTIVAL, manifestazioni musicali Una delle più interessanti ale, una sorta di paese e non solo su scala nazion kiano nel cuore delle toc dei balocchi un po’ woods qui hi chilometri dal mare. E già di Castellina Marittima, a poc

colline pisane, tra le vie scusate se è poco! giovani e non più giovani ci anni il ferragosto di molti izioni acustiche e Musica W riempie da quindi ti, meeting, workshop, esib cer con con ia, Ital ’ tutt da provenienti zioni si sono alternati zze. Nel corso delle varie edi pia le nel e e de stra le per i teatral italiano e internazionale com ma musicale indipendente fit, Out n nso Bro hie artisti importanti del panora Arc ano, degli Orrori, Cristiano God , Liars, Orange Goblin, Teatro Unseen, ZU, Samuel Katarro The ut, mm ma Ufo n, Ma al ion ens a Dim Jak One , rti, ale Mo i Roy azz Casino Tre Allegri Rag The Fire, Franziska, Bugo, Maurizio Solieri, Baustelle, le la Crisi, Julie’s Haircut, ipa nic Mu a nic Basile, Filarmo and the Fire Band, Cesare Canali e Rossofuoco, Les rgio aga Disco Pax, Gio Offl , Flu pie Yup , osa alo App Extrema, erico Fiumani, Disco Drive, olina Mar, Vallanzaska, Fed Ros , ma fram Dia s, iste rch Ana gossip, Ex Otago, Strana Toys Orchestra, Malfunk, Hot Settlefish, Perturbazione, A Velvet Score, Dejlight, , My Awesome Mixtape, Ojm e Officina, Eldritch, The Tunas, Pecksniff, Milaus, Autobam ari, Am stro, Bambole di Pezza, lde Ma co cal nis te. Ma , pos Cut Joy le nuove pro i trascurare l’interesse per ad tanti altri, peraltro senza ma artisti che vi aspetteranno li deg i nom uni alc ovi ecc s Pas n per ta Lio ), olu ass (CAN In anteprima l McKenzies r Blues Explosion, The Rea nce Spe Bud The 35, s, gle ibro Gig Cal : Agosto Heike Has The d, Besnard Lakes (CAN), , D.Ras Tewelde & Livity Ban s Agreements, Brunori Sas en’ tlem Gen g, Gan The se pae del ti vie net le Bar , Cleopatras e tra es, Max Panconi Trio le giuncaie, Riccardo Cer Federico Siriani, I matti del Bros.

rete!? E dopo la musica, vi chiede e gli no ngo spe si i luc le ndo Qua ibel, dec i ano amplificatori abbass o opi osc eid cal un ta Musica W res rie, sto e, son per di re olo multic ta vita. Ma prima di tutto res e io mb sca o, puro divertiment ve nuo iare ecc intr di possibilità tanto e he stic arti i zion ora lab col sale di altro. Declinazione trasver °. 360 laterale a ile van cultura gio o concorso fotografico col o aperte le iscrizioni al prim son ltre ino nno st’a que Da siti). zioni le potete trovare sui alla festa (tutte le informa sica, di una settimana mu la bel e ta tan di voglia Quindi gente, per chi avesse mille facce ed esperienze, ere e insieme e di conosc ben re sta o pur del a egn all’ins anche per tutti gli altri)! Musica W è fatta per voi (e etta Oh bimbi!!! Musica W vi asp tellina Marittima (Pi) dall’ 11 al 15 Agosto a Cas No ticket/ Free Camping Boia deh! Contatti mail.it Email: musicawfestival@hot b we Sito http://www.musicaw.net /musicawfestival http://www.myspace.com eBook! Musica W è anche su Fac

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