Il nuovo assetto dei rapporti Stato-Islam nella Costituzione egiziana del 2012 di Gianluca P. Parolin
Nella nuova Costituzione egiziana sono state introdotte disposizioni in grado di alterare significativamente il precedente assetto dei rapporti Stato-Islàm. Sino al 2012, le istituzioni dello Stato avevano sempre affermato con determinazione la propria competenza su qualsiasi questione giuridica (in linea con il noto principio di esclusività del diritto), e avevano esteso il proprio controllo sulla più autorevole istituzione religiosa del Paese: al-Azhar. Dal 1971 la Costituzione aveva tuttavia disposto che i princìpi del diritto musulmano fossero fonte principale della legislazione, anche se il Parlamento manteneva la propria capacità di legiferare senza particolari restrizioni, e alla Corte costituzionale suprema spettava l’ultima parola sul rispetto di tali princìpi da parte del Parlamento1. In alcune circostanze, il Parlamento aveva nondimeno deciso di sottoporre ad alAzhar disegni di legge aventi importanti profili di diritto musulmano per ottenere pareri diretti più a garantirne una più ampia legittimazione, che per verificarne la conformità ai princìpi del diritto musulmano: le nomine di al-Azhar, infatti, erano tutte nomine politiche, a cominciare dal vertice, lo shaykh al-Azhar. La distanza ideologica e politica tra Parlamento e alAzhar era dunque limitata, grazie al continuum tra esecutivo, legislativo, la Corte costituzionale e l’istituzione religiosa. Durante la transizione che è seguita alle dimissioni di Husnî Mubârak nel febbraio 2011, tuttavia, le nomine di al-Azhar hanno cessato di essere politiche e il rinvio ad al-Azhar è divenuto obbligatorio, anche se solo per un parere consultivo. Le nomine sono ora regolate da un Decreto-Legge emanato nel gennaio 2012 dal Consiglio supremo delle Forze armate (SCAF), e il rinvio è stato introdotto nella Costituzione approvata nel Per un’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale suprema egiziana, v. G.P. Parolin, La sharîca nella giurisprudenza della Corte costituzionale suprema egiziana. La sentenza del 15 gennaio 2006, n. 113/xxvi, in M. Papa, G.M. Piccinelli, D. Scolart (a cura di), Il libro e la bilancia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, pp. 929-948. 1
QUADERNI DI DIRITTO E POLITICA ECCLESIASTICA
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novembre 2012 dalla Costituente dominata dai partiti ‘islamisti’ (art. 4). Nonostante il nuovo assetto non si sia ancora stabilizzato, le recenti controversie intorno ai prestiti senza interesse e i sukûk di Stato (obbligazioni conformi alle norme sciaraitiche) suggeriscono un potenziale cambiamento di paradigma. L’ultima parola resta ancora alla Corte costituzionale suprema, ma diminuiscono l’autorevolezza e il capitale politico su cui la Corte può contare per permettere alle istituzioni dello Stato di ignorare il parere di al-Azhar. Le conseguenze del nuovo assetto costituzionale non si possono evincere semplicemente dall’analisi delle negoziazioni in seno alla Costituente, tuttavia queste ultime fanno capire più cose: innanzitutto la scarsa utilità della distinzione tra partiti ‘islamisti’ e ‘laici’, ma soprattutto l’ampia – e spesso insospettata – divergenza di vedute all’interno del campo ‘islamista’, nonché la scarsa familiarità dei membri ‘islamisti’ della Costituente con concetti basilari del diritto musulmano. 1. I retroscena Dopo aver approvato in gran fretta l’accordo sulle nuove disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah, gli ‘islamisti’ hanno iniziato a dividersi circa la loro portata e a rivaleggiare per assicurarsi il controllo delle istituzioni chiamate a interpretarle. Entrambe le parti nel campo ‘islamista’ (Fratelli musulmani e Salafiti) sono convinte di aver negoziato un accordo in proprio favore, ma le disposizioni frutto del nuovo compromesso sono altrettanto ambigue che quelle della precedente Costituzione, e paradossalmente pongono minori vincoli di quanto avessero proposto i ‘laici’ sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale suprema. Tuttavia, un rinvio apparentemente innocuo ad al-Azhar per un parere consultivo sembra in realtà proiettare un’ombra più fosca sul moderno assetto dei rapporti Stato-Islàm, con significative conseguenze per la sovranità statale. Con ‘disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah’2, mi riferisco a quelle disposizioni costituzionali che regolano i rapporti tra il diritto dello Stato e il diritto musulmano, e che sono comparse per la prima volta in Egitto nel 1971 nella versione: «i princìpi del diritto musulmano sono fonte principale della legislazione» (art. 2). L’Egitto aveva nel frattempo sviluppato un sistema giuridico particolarmente sofisticato e complesso in cui anche il diritto musulmano aveva cittadinanza (e non solo in materia Per un inquadramento globale della problematica in prospettiva comparatistica, v. G. P. Parolin, Religion and the Sources of Law: Sharî‘ah in Constitutions, in C. Cianitto, C. Durham, S. Ferrari e D. Thayer (a cura di), Law, Religion, Constitution, Farnham, Ashgate, 2013. 2
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di statuto personale), ma aveva altresì deciso di assorbire all’interno di un sistema giudiziario unificato le competenze giurisdizionali dei tribunali confessionali sia per i musulmani che per i non-musulmani. La competenza giurisdizionale dei tribunali sciaraitici era stata progressivamente erosa e negletta già nel corso del diciannovesimo secolo fino ad essere completamente assorbita dai tribunali statali nel 1955, ma la legge applicabile era rimasta per lo più invariata in diverse aree, in particolare per quanto riguarda il diritto di famiglia. A partire dal 1971, la giustizia costituzionale si è trovata a dirimere questioni di presunto conflitto con il diritto musulmano in quasi tutti i settori del diritto, funzione attribuita fino al 1979 alla Corte suprema e dal 1979 alla Corte costituzionale suprema. La giurisprudenza di entrambe le corti è stata ritenuta estremamente insoddisfacente da parte dei ricorrenti, i quali tuttavia hanno perseverato nel proporre ricorsi di illegittimità costituzionale per conflitto con il diritto musulmano contro disposizioni di qualunque genere e ambito del sistema giuridico egiziano. Nel 1980 è stata poi introdotta in Costituzione una disposizione più stringente, che ha reso i princìpi del diritto musulmano «la» fonte principale della legislazione (art. 2, come appunto emendato nel 1980). L’orientamento giurisprudenzale della Corte costituzionale suprema è rimasto tuttavia immutato. La maggior parte dei ricorrenti si riconosceva politicamente nell’opposizione ‘islamista’ al regime, e si attendeva che la redazione delle nuove disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah rispecchiasse il programma proprio di quella parte del panorama politico egiziano, soprattutto considerando che il processo costituente è stato interamente dominato da forze che si richiamano a un più significativo ruolo dell’Islàm nella vita pubblica. L’Islàm è forse stato, però, l’assente più eccellente nel dibattito sull’architettura istituzionale, mentre ha imperversato in quello sui fondamenti dello Stato e della società, e sui diritti fondamentali3: nella discussione sui fondamenti dello Stato e della società sono state proprio le disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah ad essere le più controverse e vivacemente dibattute in Costituente. I partiti collegati ai Fratelli musulmani (il Partito della Libertà e Giustizia, FJP) e al Salafismo (al-Nûr) hanno trionfato nelle elezioni politiche 3 In particolare per la redazione della disposizione sulla libertà religiosa, dove la tradizione islamica è stata spesso richiamata allo scopo di perseguire un programma socialmente reazionario. La libertà religiosa è attualmente interpretata restrittivamente come libertà di credenza (hurriyyat al-i‘tiqâd, art. 43), e, contrariamente ai testi precedenti, è limitata alle tre religioni celesti (al-adyân al-samâwiyyah, così come riconosciute dall’Islàm: Ebraismo, Cristianesimo e Islàm). Inoltre, solo le pratiche e i luoghi di culto delle religioni celesti sono protetti e regolati dalla legge (art. 43(2)).
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celebrate tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, e hanno utilizzato la leva parlamentare per essere sovrarappresentati in Costituente. I primi hanno storicamente costruito il proprio programma politico intorno ad una onnirisolutiva politica di «applicazione della sharî‘ah» (tatbîq al-sharî‘ah, volgarizzato come al-catalog) accompagnata dallo slogan «l’Islàm è la soluzione» (al-islâm huwa al-hall), invecde i secondi sino al febbraio 2011 prevalentemente affermavano di disprezzare la politica per concentrarsi sull’osservanza religiosa. Mentre i ‘laici’ gridavano all’occupazione della Costituente da parte degli ‘islamisti’, il dibattito all’interno dell’Assemblea ha mostrato come la polarizzazione fosse non tanto tra ‘laici’ e ‘islamisti’, quanto tra opposte visioni del mondo all’interno del campo ‘islamista’. Ciò che è emerso dal dibattito è la significativa distanza sull’apprezzamento del ruolo che lo Stato e le sue istituzioni giocano nella creazione del diritto musulmano contemporaneo: le accese negoziazioni tra i Fratelli musulmani e i Salafiti sulle disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah hanno mostrato l’ampiezza di tale divario ideologico. La formulazione finale (che include, oltre all’art. 2, anche una disposizione relativa ad al-Azhar: l’art. 4, e una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 2: l’art. 219) svela il clima di reciproca diffidenza in cui il compromesso è maturato e indica le probabili aree di futuro scontro. Mentre la lotta per il controllo di al-Azhar e della Corte costituzionale suprema procede sotterranea, un primo scontro è già divampato dentro e fuori il Parlamento sulla portata delle disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah, tra l’FJP, al-Nûr, la Presidenza e al-Azhar. 2. Le negoziazioni Per decenni in Egitto le disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah sono state al centro del dibattito politico, mentre sullo sfondo un prisma di alleanze politiche venivano forgiate e riforgiate senza sosta, anche superando barriere ideologiche. Dopo le dimissioni di Mubârak, il fenomeno è divenuto ancor più palese, mostrando al contempo la capacità di questo tema di mobilitare l’elettorato, e la sua irrilevanza nella maggior parte delle battaglie politiche combattute in suo nome. La campagna per gli emendamenti costituzionali del marzo 2011, ad esempio, è stata giocata in larga misura sull’art. 2, che pure non figurava tra le disposizioni interessate dagli emendamenti. In gioco vi era però il corso della transizione («prima le elezioni» o «prima la costituzione», nell’abbreviazione comune), e le forze che potevano contare su rodate strategie di mobilitazione dell’elettorato preferivano celebrare prima le elezioni (per poter così meglio controllare il processo costituente con la forza della legittimazione elettorale). In quel momento le forze a favore di
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questa soluzione erano il Partito nazionale democratico (NDP, non ancora sciolto dalla Corte amministrativa suprema) e i Fratelli musulmani (non ancora costituiti in partito, l’FJP). L’establishment del vecchio regime e la sua tradizionale forza di opposizione hanno quindi serrato i ranghi e organizzato (separatamente) una campagna a favore degli emendamenti costituzionali. I Fratelli musulmani si sono serviti del tradizionale arsenale di al-catalog, mentre l’NDP ha fornito il proprio contributo attraverso il muftî della Repubblica, ‘Alî Jum‘ah, il quale ha agitato lo spettro di una nuova costituzione priva dell’art. 2. Gli emendamenti sono stati approvati così dal 77 percento dei votanti. La campagna per le elezioni presidenziali del maggio-giugno 2012 è stata anch’essa giocata in buona misura sull’art. 2, in particolare durante il ballottaggio tra Muhammad Mursî, candidato dei Fratelli musulmani (ora FJP), e Ahmad Šafîq, figura di spicco del vecchio regime (ora indipendente). In questa campagna il vecchio regime e i Fratelli musulmani hanno enfatizzato le reciproche differenze e i candidati si sono presentati come agli estremi opposti dello spettro ideologico relativo all’applicazione della sharî‘ah, con Mursî che cercava di guadagnarsi il voto salafita, e Šafîq il voto copto. Anche per la configurazione della Costituente il tema dell’art. 2 ha svolto un ruolo non indifferente. Basata su un’elezione di secondo grado, la composizione della Costituente è stata però più il risultato di un accordo post-elettorale che di un’aperta campagna di fronte all’elettorato. Nelle elezioni parlamentari del novembre 2011-marzo 2012, l’FJP ha ottenuto ottimi risultati, e – con gran sorpresa di molti – lo stesso ha fatto il salafita al-Nûr, che ha raccolto quasi un quarto dei voti. Le due maggiori forze parlamentari, l’FJP e al-Nûr, hanno quindi serrato i ranghi e sulla base della consolidata retorica dell’art. 2 hanno dato vita ad una Costituente in cui le correnti dell’Islàm politico sono state ampiamente sovrarappresentate. Forte di una maggioranza superiore ai due terzi in entrambi i rami del Parlamento, infatti, l’alleanza FJP/al-Nûr è riuscita a far passare la propria lista di membri per la Costituente. Una significativa distanza tra le posizioni di FJP e al-Nûr è però emersa ben presto nel corso dei lavori della Costituente, in particolare durante la discussione sulle disposizioni in tema di sharî‘ah. Al-Nûr si è trovato sempre più politicamente isolato, grazie anche alle alleanze anti-Nûr che l’FJP intesseva con le altre forze politiche (sinistra, liberali, …) e i rappresentanti delle istituzioni (al-Azhar, la Chiesa, …). Sin dalla prima ora, è risultato ben chiaro che l’FJP non aveva alcuna intenzione di variare l’assetto preesistente delle disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah (l’art. 2 così come emendato nel 1980), per ragioni molto simili a quelle che stavano indirizzando il germano movimento al-Nahdah in Tunisia verso il mantenimento nella nuova costituzione della previsione dell’Islàm come religione di Stato, senza introdurre una disposizione co-
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stituzionale in tema di sharî‘ah. Confidando di ottenere ampie e durature maggioranze nei futuri parlamenti, sia il tunisino al-Nahdah che l’egiziano FJP non desideravano introdurre ulteriori limitazioni alla sovranità del Parlamento, foss’anche in nome della sharî‘ah. Di fronte alla campagna dell’FJP per mantenere invariato l’art. 2, alNûr si è mostrato però diffidente e non disponibile a trattare la consegna del diritto di stabilire e definire cosa dovesse intendersi per sharî‘ah ad un Parlamento dominato dall’FJP. Considerando le scarse probabilità di poter controllare da solo istituzioni come il Parlamento o la Corte costituzionale suprema, al-Nûr ha scelto di puntare su al-Azhar. Al-Azhar è certamente al momento sotto lo stretto controllo del suo shaykh, Ahmad al-Tayyib (una delle ultime nomine di Mubârak nonché ex membro dell’NDP), ma le possibilità di una penetrazione salafita sono comunque più alte che in qualsiasi altra istituzione dello Stato. Al-Nûr ha pertanto proposto una formulazione più stringente delle limitazioni dell’art. 2 e un forte ruolo di controllo per al-Azhar. Quasi tutte le forze politiche e le istituzioni hanno preso posizione nel dibattito sulle disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah, ma occorre tenere presente che il negoziato cruciale si è svolto tra FJP e al-Nûr. I liberali e la sinistra – per principio non particolarmente favorevoli a tali disposizioni – si son presto arresi alla Realpolitik e hanno di conseguenza articolato una strategia di contenimento con i seguenti obiettivi: mantenere le disposizioni esistenti, introdurre una disposizione di garanzia per i cittadini non-musulmani, riservare alla Corte costituzionale suprema il monopolio della loro interpretazione, e possibilmente arginare future deviazioni dalla giurisprudenza attuale attraverso una disposizione di interpretazione autentica. Al-Azhar si è trovata invece a dover ponderare attentamente la propria posizione tra il desiderio dell’attuale vertice di servire come elemento di moderazione sullo scenario politico interno egiziano e il timore che un cambio al vertice potesse mutare repentinamente la funzione di moderazione dell’istituzione. La Chiesa (copta), formalmente contraria a disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah, ha preteso però una disposizione gemella per i non-musulmani che garantisse alla Chiesa il mantenimento della propria posizione di preminenza e allontanasse lo spettro sia di un’ingerenza progressiva dei tribunali dello Stato in questioni di statuto personale dei copti sia della possibile introduzione di una legge sullo statuto personale non-confessionale. Le negoziazioni si sono aperte con una prova di forza sull’art. 2, con i Salafiti determinati a sostituire il termine «princìpi» (mabâdi’) con «qualificazioni» (ahkâm). Al posto di un concetto a-tecnico, induttivo e indeterminato, potenzialmente passibile delle più varie interpretazioni (mabâdi’), i Salafiti volevano in Costituzione il termine tecnico per identificare le qualificazioni degli atti giuridici derivate deduttivamente dai dottori della legge (ahkâm). Non è chiaro se i Salafiti intendessero restringere la rosa
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delle qualificazioni accettabili a quelle dedotte dai dottori della legge nel periodo classico perché desiderosi di maggiore autenticità, e non è mai stata fornita spiegazione di cosa si dovesse intendere per ahkâm (secondo quale tradizione (madhhab), per quali autorità, …). I Fratelli musulmani, forti del sostegno di tutte le altre forze politiche, di al-Azhar, e della Chiesa, si sono arroccati sul mantenimento della formulazione corrente dell’art. 2, ma hanno acconsentito all’introduzione di una disposizione di interpretazione autentica sul significato di «princìpi» (mabâdi’), e di una disposizione sul ruolo di al-Azhar. I Salafiti hanno rilanciato con una definizione stringente di «princìpi» ed un ruolo importante per al-Azhar su ogni questione di rilevanza sciaraitica. I Fratelli musulmani hanno allora suggerito per la disposizione di interpretazione autentica un testo saturo di terminologia del diritto musulmano classico: «i princìpi del diritto musulmano comprendono le sue fonti generali (aladillah al-kulliyyah)4, i suoi princìpi teorici e massime pratiche (al-qawâ‘id al-usûliyyah wa-l-fiqhiyyah)» (art. 219). Questo testo è molto distante dalla stringente richiesta dei Salafiti di ahkâm: reca solo un generico riferimento alle fonti generali da cui una qualificazione (hukm) può essere dedotta e si limita ad identificare una serie di ampie regole procedurali sul come pervenire a tale hukm. Per quanto concerne la disposizione relativa ad alAzhar, i Fratelli musulmani hanno proposto l’introduzione della richiesta di un parere al Consiglio dei Gran Dottori (hay’at kibâr al-‘ulamâ’) su questioni di rilevanza sciaraitica (art. 4). Il parere richiesto è solo consultivo e non vincolante, ma i Fratelli musulmani sono stati in grado di forzare la mano dei Salafiti ottenendo preventivamente l’accordo dello shaykh di al-Azhar (a cui è stata garantita l’inamovibilità nella medesima disposizione): lo shaykh ha infatti annunciato pubblicamente il proprio sostegno al nuovo assetto – rappresentato dall’art. 2, dalla disposizione di interpretazione autentica e dalla disposizione relativa ad al-Azhar – definendolo una «linea rossa», invalicabile. I Salafiti si sono trovati costretti ad accettare la disposizione di interpretazione autentica, ma hanno insistito affinché vi fosse aggiunto un ulteriore elemento: «le fonti riconosciute dalle tradizioni sunnite» (al-masâdir al-mu‘tabarah fî madhâhib ahl al-sunnah wa-l-jamâ‘ah, art. 219). A parte la preoccupazione settaria della proibizione di riferimenti a fonti non-sunnite (soprattutto in chiave anti-sciita), la definizione di «fonti riconosciute» si sovrappone perfettamente con quella delle «fonti generali» (al-adillah al-kulliyyah) fornita dai redattori della bozza. I Salafiti sono inoltre convinti di aver strappato ai Fratelli musulmani altre due concessioni su articoli che, tramite l’attivismo delle corti, 4 Traduzione basata sulla spiegazione fornita dai membri dell’Assemblea costituente, in conflitto con l’interpretazione convenzionale di questi termini nel diritto musulmano.
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dovrebbero garantire il medesimo effetto dell’art. 2 così come da loro originariamente proposto. Nella sezione generale sulle garanzie dei diritti e delle libertà, (1) la massima nullum crimen et nulla poena sine lege è stata adattata in un «nessun crimine e nessuna pena senza un (precedente) testo costituzionale o legislativo» (illâ bi-nass dustûrî aw qânûnî, art. 76), mentre (2) l’esercizio dei diritti e delle libertà «non deve porsi in conflitto con i fondamenti dello Stato e della società definiti in Costituzione [artt. 1-30]» (art. 81(3)). Con questi due emendamenti, i Salafiti ritengono di riuscire (1) a introdurre surrettiziamente nel sistema giuridico egiziano il complesso di fattispecie e pene del diritto musulmano classico, e (2) limitare diritti e libertà secondo una interpretazione conservatrice della sharî‘ah. 3. Il compromesso Il nuovo compromesso costituzionale in tema di sharî‘ah si estende oltre l’art. 2, ma resta comunque imperniato sull’art. 2 e sulla disposizione per la sua interpretazione autentica (art. 219); la Corte costituzionale suprema mantiene la propria giurisdizione circa l’interpretazione di questo combinato disposto (art. 175), mentre il parere consultivo di al-Azhar previsto dall’art. 4 non è limitato né dai princìpi, né dalla disposizione di interpretazione autentica. La disposizione principale, l’art. 2, prevede che: «i princìpi del diritto musulmano sono la fonte principale della legislazione» (mabâdi’ al-sharî‘ah al-islâmiyyah al-masdar al-ra’isî li-l-tashrî‘). Il testo della Costituzione del 1971, così come emendato nel 1980, viene quindi riprodotto letteralmente e senza alcuna variazione nella Costituzione del 2012. Le tradizionali tecniche ermeneutiche hanno dimostrato una certa incapacità nell’orientare le corti nell’interpretazione dell’art. 2. Non dovrebbe sorprendere, dal momento che si è sempre trattato (già nel testo del 1971) di una disposizione di compromesso su di una questione con una significativa storia di contrapposizioni; problemi simili hanno incontrato le corti che si sono trovate ad interpretare con le tradizionali tecniche ermeneutiche la «funzione sociale della proprietà» in molte Costituzioni del Secondo Dopoguerra. Esattamente come per la «funzione sociale della proprietà», anche l’art. 2 non può essere compreso senza considerare l’interpretazione e l’applicazione che ne hanno fatto le istituzioni dello Stato, e in particolare la giurisprudenza delle corti che, a partire dalla Costituzione del 1971, sono state chiamate a verificare la legittimità costituzionale della legislazione (ordinaria e secondaria). La linea giurisprudenziale di interpretazione dell’art. 2 è stata iniziata dalla Corte suprema, ed è stata mantenuta e sviluppata dalla Corte costituzionale suprema (SCC) dopo la sua creazione nel 1979. La Corte – criticata in Egitto per la sua posizione timida ed esitante, ma applaudita all’Estero per la sua giurisprudenza liberale – ha cemen-
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tato una linea giurisprudenziale che è più conservatrice di quanto possa apparire. Certamente, la Corte ha limitato la natura potenzialmente espansiva dell’art. 2 restringendone la portata al moderno dominio della sharî‘ah, interpretando la disposizione come una proibizione di legislazione in conflitto con i princìpi del diritto musulmano e impedendo così l’emersione di una giurisprudenza in linea con la teoria della siyâsah shar‘iyyah, che avrebbe richiesto una rivisitazione di tutti i campi del diritto per impregnarli di normatività islamica. Nell’interpretare il termine «princìpi» (mabâdi’), tuttavia, la Corte ha fatto ricorso all’ermeneutica islamica classica – impedendo così anche la possibilità per le istituzioni dello Stato di ritornare alle fonti su tutta una serie di questioni ritenute ‘definitivamente risolte’. Senza riconoscerlo, la Corte ha utilizzato una distinzione propria del diritto hanafita tra diversi livelli di obbligazione per ridefinire il confine tra un ritorno alle fonti accettabile e uno che accettabile non è. La teoria del diritto hanafita distingue infatti tra obbligazioni fondate su testi che sono assoluti (o certi) quanto a origine e significato (qat‘î al-thubût wa-l-dalâlah), e quelle che sono fondate su testi relativi (o speculativi) quanto a origine o significato (zannî al-thubût aw al-dalâlah). La Corte ha sostenuto che la legislazione non può essere in conflitto con le qualificazioni del primo tipo (in diritto hanafita: sia fard che harâm), ma che può ritornare alle fonti in caso di qualificazioni del secondo tipo (in diritto hanafita: wâjib o makrûh tahrîman) o minori (makrûh (tanzîhan) e mandûb (o sunnah, mustahabb, …)5. La libertà di tornare alle fonti è inoltre inquadrata in termini moderni come una forma di neo-ijtihâd, ed è quindi vincolata al perseguimento degli «obiettivi del diritto musulmano» (maqâsid al-sharî‘ah): la preservazione della religione, della persona, della ragione, della dignità e della proprietà. La Corte ha quindi interpretato i «princìpi del diritto musulmano» dell’art. 2 come un nucleo duro di obbligazioni e proibizioni che non consentono di ritornare alle fonti, e cinque generici obiettivi che devono guidare il legislatore in ogni altro caso. Nella sua attività, la Corte non ha mai dichiarato costituzionalmente illegittime per conflitto con l’art. 2 disposizioni che non perseguono gli obiettivi del diritto musulmano, ma ha invece dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni in conflitto con il nucleo duro di obbligazioni e proibizioni del diritto musulmano classico (in particolare in un caso relativo ad una tassa sulla quota ereditaria dopo la divisione 5 I giuristi musulmani qualificano gli atti giuridici su una scala che va dall’obbligatorio al proibito. La maggior parte di essi utilizza cinque gradazioni: obbligatorio (wâjib), raccomandato (mandûb), indifferente (mubâh), riprovevole (makrûh), proibito (harâm). I giuristi hanifiti, però, operano una distinzione all’interno di ciò che è qualificato come obbligatorio o proibito sulla base del testo che ha ispirato la qualificazione; l’obbligatorio è pertanto fard o wâjib a seconda che sia basato su di un testo assoluto (o certo) quanto a origine e significato o meno, mentre il proibito è harâm o makrûh tahrîman sempre sulla base della stessa considerazione.
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(darîbat al-aylûlah, SCC 5 Luglio 1997, 82/xvii) e in un caso sulla limitazione della prova del ripudio disconosciuto (talâq ‘ind al-inkâr, SCC 15 Gennaio 2006, 113/xxvi). La disposizione di interpretazione autentica aggiunta nel 2012 – l’art. 219 – prevede, nella sua formulazione definitiva, che: «i princìpi del diritto musulmano comprendono le sue fonti generali, i suoi princìpi teorici e massime pratiche, e le fonti riconosciute dalle tradizioni sunnite» (mabâdi’ al-sharî‘ah al-islâmiyyah tashmul adillatahâ al-kulliyyah, wa-qawâ‘idahâ al-usûliyyah wa-l-fiqhiyyah, wa-masâdirahâ al-mu‘tabarah fî madhâhib ahl al-sunnah wa-l-jamâ‘ah). L’idea di una disposizione di interpretazione autentica non è nata in Costituente, ma durante la prima fase della transizione iniziata con le dimissioni di Mubârak. Essa riconosce implicitamente l’ambiguità del testo dell’art. 2, e suggerisce che la giurisprudenza della Corte costituzionale suprema non è che una delle possibili interpretazioni da sovrapporre al testo. Da quando il corso della transizione è stato deciso in favore del «prima le elezioni» (con il referendum del marzo 2011), bozze di costituzioni sono state stilate e fatte circolare senza sosta da forze che non si attendevano un buon esito elettorale con il malcelato obiettivo di imbrigliare la futura redazione della costituzione: il disegno è stato ovviamente respinto dalle forze che invece si attendevano un buon esito elettorale, e che effettivamente lo hanno ottenuto. Tutti i governi succedutisi durante la transizione e numerosi gruppi indipendenti hanno cercato di influenzare il dibattito pubblico con bozze dai titoli sempre più ambiziosi, sino a «princìpi generali» e «princìpi sovra-costituzionali» (in un maldestro tentativo di riprodurre il modello della transizione del Sud Africa). Nessuno di questi testi è mai stato seriamente considerato, ma è in essi che l’idea di una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 2 è stata generata e testata, allo scopo di impedire ad una nuova Corte costituzionale suprema sotto controllo ‘islamista’ di abbandonare la linea giurisprudenziale corrente – evidentemente ritenuta desiderabile dalle forze ‘laiche’ impegnate nella redazione di questi testi. Un buon esempio di questa tendenza è la «Dichiarazione dei princìpi costituzionali» firmata dal sedicente Consiglio nazionale egiziano nel maggio 2011: la Dichiarazione cerca di articolare in forma di disposizione costituzionale la giurisprudenza della Corte, e in una nota cita l’approvazione del testo da parte dell’ex muftî della Repubblica, Nasr Farîd Wâsil, «sulla base di ventisette anni di costante giurisprudenza della Corte costituzionale suprema»6. Quando l’idea di una disposizione di Ma‘a ta’kîd hâdhâ al-mabda’ bi-l-damânât al-dustûriyyah al-lâtî takful haqq ghayr al-muslimîn fî ’l-istinâd li-mabâdi’ sharâ’i‘ihim al-khâssah ka-masdar li-tashrî‘ât al-ahwâl al-shakhsiyyah lahum; ta’kîd anna mabâdi’ al-sharî‘ah al-islâmiyyah hiya al-mabâdi’ alkulliyyah, al-ghayr mukhtalaf ‘alayhâ, qat‘iyyat al-thubût qat‘iyyat al-dalâlah – annahâ 6
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interpretazione autentica è stata introdotta in Costituente, è divenuto inevitabile che tale disposizione si ponesse in dialogo con l’attuale orientamento giurisprudenziale della Corte. La disposizione di interpretazione autentica elaborata in Costituente non ha tentato di riassumere l’attuale orientamento della Corte, anche se si è servita in larga misura di un comune vocabolario. Il desiderio di svincolarsi dall’attuale orientamento della Corte è quindi segnalato chiaramente dai costituenti, ma la misura e la direzione di questo allontanamento vanno verificati sul testo. Il primo elemento che l’art. 219 ha incluso tra i princìpi del diritto musulmano sono «le sue fonti generali» (al-adillah al-kulliyyah). La traduzione come «fonti generali» si basa sulla spiegazione dell’espressione fornita dai membri della Costituente (sia FJP che al-Nûr), che rivela una notevole discrepanza rispetto all’uso comune di questa locuzione in diritto musulmano. Dalîl (plur. adillah) è termine filosofico impiegato per tradurre in arabo il greco per «segno» (se¯meiˇon). In arabo è stato successivamente impiegato in varie locuzioni tecniche, tra cui: [1] le regole generali di deduzione (adillah kulliyyah o ijmâliyyah), [2] le fonti particolari di una certa qualificazione giuridica (adillah tafsîliyyah o juz’iyyah), e anche, per metonimia, [3] le fonti generali (adillah shar‘iyyah). Le regole generali di deduzione (adillah kulliyyah or ijmâliyyah) – menzionate nell’art. 219 – costituiscono la struttura portante della teoria generale del diritto musulmano (usûl al-fiqh), al punto che vengono spesso utilizzate, come sineddoche, per indicare la teoria generale del diritto tout-court. Consideriamo un esempio: il versetto «Eseguite la preghiera!» (uqîmû ’l-salât, Corano 2:43…) è ritenuto la [2] fonte della qualificazione giuridica (dalîl khitâb li-l-musharri‘ wa-laysa li-ghayrih, wa-tubîh lahu al-intiqâ’ min al-fiqh dûn isbâgh al-qudsiyyah ‘alá aqwâl al-fuqahâ’, wa-haqq al-musharri‘ fî ’l-ijtihâd li-tahqîq al-masâlih al-mursalah al-latî yatawakhkhâhâ fî itâr ahdâf al-tashrî‘ wa-‘alá hady min riqâbat almahkamah al-dustûriyyah al-‘ulyâ dûn ghayrihâ ‘alá maqâsid al-musharri‘ wa-murâqabat al-inhirâf al-tashrî‘î – anna al-wilâyah fî ’l-mujtama‘ hiya li-sulutât al-dawlah dûn al-afrâd aw al-jamâ‘ât. [Redazione piuttosto maldestra]: Questa disposizione [nella forma di principio, ndt] conferma le garanzie costituzionali che proteggono il diritto del nonmusulmano a che i princìpi del proprio diritto confessionale siano fonte della legislazione del proprio statuto personale, e conferma che i princìpi del diritto musulmano sono i princìpi generali, su cui non vi è divergenza di opinione, [basati su testi] assoluti [o certi] quanto a origine e significato. Questi princìpi sono indirizzati unicamente al legislatore e (a) gli consentono di selezionare [liberamente] soluzioni nelle opere di fiqh a condizione di non intaccare la sacertà delle opere dei giuristi, e (b) gli riconoscono il diritto di ritornare alle fonti per realizzare gli interessi generali che persegue nel quadro degli obiettivi della legislazione [divina] e alla luce del sindacato di legittimità costituzionale della sola Corte costituzionale suprema sugli obliettivi del legislatore [divino] e la dissonanza della legislazione [positiva] da questi. L’autorità nella società spetta ai poteri dello Stato, non ad individui né a gruppi [il termine per ‘gruppi’ rimanda a molte formazioni ‘islamiste’]. Al-Majlis al-watanî al-misrî, Wathîqat i‘lân mabâdi‘ al-dustûr al-misrî al-qâdim ba‘d thawrat 25 Yanâyir 2011, 7 maggio 2011.
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tafsîlî or juz’î) della preghiera. Tale qualificazione si deduce applicando la regola generale di deduzione (dalîl kullî o ijmâlî): «[Il modo verbale] imperativo impone l’obbligo» (al-amr li-l-wujûb). Dunque, sulla base del versetto, la preghiera è obbligatoria: la fonte (il versetto coranico 2:43), infatti, con un verbo al modo imperativo («Eseguite!») indica al giurista che l’oggetto («la preghiera») del verbo deve essere qualificato come obbligatorio (applicando la regola che: «[il modo verbale] imperativo impone l’obbligo»). La definizione fornita dai redattori della Costituzione per l’espressione adillah kulliyyah sembra invece essere più in linea con il significato classico dell’espressione [3] le fonti generali (adillah shar‘iyyah), impiegata peraltro dalla Corte nella giurisprudenza sull’art. 2. Secondo i redattori, infatti, adillah kulliyyah includerebbe: «il Corano, la tradizione del Profeta dell’Islàm (Sunnat al-nabî), il consenso dei dottori (ijmâ‘) e l’estensione analogica (qiyâs)». Adillah shar‘iyyah, tuttavia, includerebbe anche, secondo la dottrina classica, fonti non riconosciute da tutte le tradizioni giuridiche sunnite, come la preferenza giuridica hanafita (istihsân), o la considerazione dell’interesse generale mâlikita (istislâh or ri‘âyat al-masâlih). Oltre a mostrare un uso improprio di un termine tecnico (i redattori hanno confuso le regole di ermeneutica con le fonti), con il nuovo testo – accettando la definizione dei redattori – diminuirebbero (seppur di poco) i casi di possibile conflitto tra princìpi del diritto musulmano e legislazione statale rispetto all’attuale orientamento giurisprudenziale della Corte, che riconosce un più ampio numero di fonti di obbligazione (istihsân e istislâh, ad esempio). Il secondo elemento che l’art. 219 ha incluso tra i princìpi del diritto musulmano sono «i suoi princìpi teorici e massime pratiche (al-qawâ‘id al-usûliyyah wa-l-fiqhiyyah)». Qawâ‘id – tradotto come princìpi o massime – rappresentano un genere letterario piuttosto autonomo sia nell’ambito della (1) teoria generale del diritto (usûl al-fiqh), sia nell’ambito del (2) diritto sostanziale (furû‘ al-fiqh). Generalmente il prodotto di uno sforzo induttivo dei giuristi, le qawâ‘id convenzionalmente esprimono in forma concisa (1) i princìpi teorici della metodologia utilizzata per giungere ad una certa qualificazione di un certo atto (qawâ‘id usûliyyah), o (2) le massime pratiche che regolano ampie aree del diritto (sia sostanziale che procedurale) oltre i ristretti limiti delle qualificazioni di singoli atti (qawâ‘id fiqhiyyah)7. «[Il modo verbale] imperativo impone l’obbligo» (al-amr li-l-wujûb) – appena citato come esempio di una [1] regola generale di deduzione (dalîl kullî o ijmâlî) – può anche essere incluso tra i princìpi teorici o qawâ‘id usûliyyah (1): le due categorie sono in larga misura intercambiabili. Tra le massime pratiche o qawâ‘id fiqhiyyah (2), «il dubbio non soppianta la certezza» (al-yaqîn lâ yazûl bi-l-shakk) è un 7 V. I.Rabb, voce: Legal Maxims, in J. Brown et al. (a cura di), Oxford Encyclopedia of Islam and Law, Oxford, Oxford University Press, 2013.
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esempio di una massima pratica ad alto contenuto procedurale. Come genere, le qawâ‘id sono state sviluppate all’interno di una determinata tradizione giuridica (madhhab) al fine di offrire la complessa articolazione della teoria generale del diritto e del diritto sostanziale di quel particolare madhhab in una forma più accessibile e pratica8. Come genere collegato ad un madhhab, quindi, la menzione delle qawâ‘id all’interno della disposizione di interpretazione autentica senza identificare il madhhab di riferimento non consente alla Corte di individuare una precisa limitazione alla legislazione statale. Nell’attuale giurisprudenza della Corte, le espressioni al-usûl al-kulliyyah e al-qawâ‘id al-fiqhiyyah ricorrono spesso, ma la Corte non ha mai dichiarato l’illegittimità costituzionale di legislazione ordinaria o secondaria su tali basi. L’unica indicazione che questo secondo elemento sembra fornire è che la definizione dei princìpi del diritto musulmano non può che fondarsi nei modi di produzione del diritto classico. Il terzo elemento che l’art. 219 ha incluso tra i princìpi del diritto musulmano sono «le fonti riconosciute dalle tradizioni sunnite» (wamasâdirahâ al-mu‘tabarah fî madhâhib ahl al-sunnah wa-l-jamâ‘ah). Fonti (masâdir, sing. masdar) non è termine tecnico impiegato dal diritto musulmano classico. L’espressione è stata inserita nella disposizione di interpretazione autentica su richiesta dei Salafiti dopo aver accettato che il rinvio ad al-Azhar fosse solo per un parere consultivo. Un celebre commentatore di orientamento ‘islamista’ (ma più vicino ai Fratelli musulmani), Fahmî Huwaydî, ha addirittura denunciato dalle colonne del quotidiano al-Šurûq l’«odore di Salafiti» (râ’ihat al-salafiyyîn) proveniente dall’aggiunta, e in particolare dalla sua nota settaria9. Accettando la spiegazione fornita dai membri della Costituente sul primo elemento della disposizione (al-adillah al-kulliyyah, ma più propriamente: aladillah al-shar‘iyyah), questo terzo elemento (al-masâdir al-mu‘tabarah fî madhâhib ahl al-sunnah wa-l-jamâ‘ah) risulta una mera replica. Le fonti (adillah shar‘iyyah nella locuzione più classica o masâdir nella locuzione più contemporanea) vengono convenzionalmente distinte tra (a) unanimemente riconosciute da tutte le tradizioni giuridiche sunnite (madhâhib), o (b) non riconosciute unanimemente da tutte. Il testo non offre spunti per interpretare il terzo elemento nel senso più restrittivo di solo (a) o di (a+b) ad esclusione delle fonti riconosciute dalle tradizioni giuridiche non-sunnite (c). Anche qualora si interpretasse questo elemento in senso espansivo, si tratterebbe di un ulteriore restrizione dei casi di possibile conflitto tra princìpi del diritto musulmano e legislazione statale rispetto
V. W. Heinrichs, voce: “Kawâ‘id fikhiyya”, in Encyclopedia of Islam2. F. Huwaydî, “khawf ‘alá al-sharî‘ah min ansârihâ qabla khusûmihâ”, in al-Shurûq, 13 novembre 2012. 8 9
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all’attuale orientamento giurisprudenziale della Corte, che non esclude alcuna fonte di obbligazione. In nome della sharî‘ah, i membri della Costituente desideravano prendere le distanze dall’attuale orientamento giurisprudenziale della Corte, ma alla luce della disposizione di interpretazione autentica risulta chiaro come quest’ultima utilizzi riferimenti più accurati e coerenti al diritto musulmano rispetto ai costituenti. La disposizione di interpretazione autentica non richiama la libertà per le istituzioni dello Stato di ritornare alle fonti (la teoria del neo-ijtihâd), ma non fa neppure riferimento a quel nucleo duro di obbligazioni e proibizioni del diritto musulmano classico sulla base delle quali la Corte ha dichiarato in due occasioni l’illegittimità costituzionale di disposizioni legislative. Ne risulta che il nuovo parametro istituito dal combinato disposto degli art. 2 e 219 è meno stringente di quello dell’attuale giurisprudenza della Corte, e se, per ipotesi, il nuovo parametro fosse stato applicato alla disamina dei casi già giudicati, non vi sono ragioni per ritenere che la Corte avrebbe deciso diversamente; anzi, si potrebbe addirittura ritenere che con una benigna interpretazione del nuovo parametro le due norme dichiarate costituzionalmente illegittime per conflitto con l’art. 2 avrebbero potuto essere dichiarate costituzionalmente legittime (la Corte egiziana si pronuncia anche in tal senso). Ipotesi speculative a parte, applicandosi il convenzionale principio di successione di leggi nel tempo (art. 222), il ‘vecchio’ parametro continuerà ad essere applicato alla legislazione (ordinaria e secondaria) promulgata tra il 1980 e il 2012, mentre il ‘nuovo’ parametro verrà applicato alla legislazione (ordinaria e secondaria) promulgata dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 2012. 4. Le conseguenze L’affannosa approvazione in Costituente della bozza è stata seguita dalla ratifica referendaria e dalla promulgazione della Costituzione il 26 dicembre 2012. Immediatamente le opposte visioni di Fratelli musulmani e Salafiti sulle disposizioni costituzionali in tema di sharî‘ah hanno iniziato a emergere sia nel confronto parlamentare, sia nel tentativo di influenzare le due istituzioni coinvolte nel dibattito sulla sharî‘ah: la Corte costituzionale suprema e al-Azhar. Secondo la nuova Costituzione, la Corte mantiene il controllo di legittimità costituzionale della legislazione (ordinaria e secondaria), anche rispetto al parametro del combinato disposto degli art. 2 e 219 (art. 175(1)). La nuova Costituzione ora previene possibili tentativi di cambiare l’orientamento della Corte con la nomina di giudici aggiuntivi fissando il numero dei giudici a undici (art. 176), e congedando tutti i
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giudici con minore anzianità di servizio (art. 233). Le modalità di selezione e le garanzie d’indipendenza sono però state lasciate alla legislazione ordinaria (art. 176). La Legge sull’organizzazione di al-Azhar, invece, è stata emendata dal Consiglio supremo delle Forze armate pochi giorni prima che si insediassero le nuove Camere (Decreto-Legge 13 del 19 gennaio 2012). L’operazione è stata ampiamente criticata10, ma ha consentito all’ultimo sheikh di Mubârak di nominare il primo Consiglio dei Gran Dottori: un ente che, a partire dalla sua prima composizione, si auto-perpetua tramite cooptazione. Il controllo di al-Azhar era stato correttamente individuato come uno degli obiettivi più sensibili e ambiti della transizione11, e – dopo la prima e cruciale mossa dei militari – la lotta per la penetrazione e il controllo dell’istituzione si sta svolgendo, con una parziale copertura da parte della stampa locale12. Il parere consultivo del Consiglio dei Gran Dottori di al-Azhar deve essere sollecitato su ogni questione di rilevanza sciaraitica (art. 4). La disposizione è formulata al passivo (wa-yu’khadh ra’y…), suggerendo che l’obbligo di richiederlo ricade su tutte le istituzioni dello Stato ogniqualvolta venga discussa una questione inerente al diritto musulmano. Tale obbligo ricadrebbe dunque, potenzialmente, anche sulla Corte. Qualora la disposizione venga interpretata in tal senso, alla Corte spetterà la decisione definitiva sui casi di conflitto tra diritto musulmano e diritto positivo, ma l’autorevolezza della decisione della Corte che fosse in contrasto con il parere espresso da al-Azhar dipenderà dalla sua capacità di articolare ragioni più convincenti di quelle della più prestigiosa istituzione religiosa dell’Islàm sunnita. Il parere ex art. 4, su cui i Fratelli musulmani hanno transatto di buon grado, rischia di avere un impatto ben maggiore sulla complessa articolazione dei rapporti Stato-Islàm rispetto al discusso art. 2 e la sua disposizione di interpretazione autentica. La generale reverenza nei confronti di al-Azhar su questioni di diritto musulmano induce a credere che i suoi pareri avranno grande peso nel dibattito. Se il combinato disposto degli art. 2 e 219 può avere un effetto sulla strutturazione del
10 Cfr. al-Mubâdarah al-misriyyah li-l-huqûq al-shakhsiyyah, Mawqif min al-qânûn al-jadîd li-tanzîm al-Azhar. 11 V. N. Brown, Post-Revolutionary al-Azhar, Carnegie Paper, 2011. 12 L’istituzione di un Fronte nazionale per la Protezione di al-Azhar e del [Ministero delle] Fondazioni Pie non è che un esempio. Il Fronte è stato fondato dall’imâm della moschea dedicata a ‘Umar Makram nei pressi di Piazza Tahrîr allo scopo di proteggere queste due istituzioni dalla penetrazione dei Fratelli musulmani (akhwanah). Al-Ahrâm, 30 marzo 2013. Mazhar Shâhîn, l’imâm di ‘Umar Makram, è stato sollevato dal proprio incarico da una Decisione del Ministero delle Fondazioni Pie, ma reintegrato da un Ordine del Tribunale disciplinare. Egypt Independent, 10 aprile 2013, e Ahram Online, 30 aprile 2013.
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dibattito su questioni inerenti al diritto musulmano13, il potenziale cambiamento di assetto dei rapporti Stato-Islàm sarà convogliato dall’art. 4 in assenza di un dibattito pubblico capace di articolare ragioni alternative rispetto a quelle fondate sul diritto classico. Inoltre, la Costituzione non vincola né specifica secondo quali criteri il Consiglio dei Gran Dottori formuli i propri pareri.
Appendice Le recenti controversie intorno a prestiti senza interesse e i sukûk di Stato. Dall’entrata in vigore della Costituzione a fine dicembre 2012, il dibattito parlamentare egiziano ha già registrato due episodi di conflitto tra le opposte letture di FJP e al-Nûr circa il ruolo della sharî‘ah nel nuovo Egitto, e la centralità dell’art. 4 per la loro risoluzione. Entrambi gli episodi hanno interessato programmi di alto profilo per la Presidenza Mursî nel contesto di una perdurante crisi economica e finanziaria: nel primo episodio, un grosso prestito dell’Unione europea (particolarmente rilevante perché capace di sbloccarne successivi a cascata) è stato messo a rischio, mentre nel secondo, un tentativo di raccogliere finanziamenti stranieri con l’emissione da parte del Governo di prodotti finanziari compatibili con la sharî‘ah (i sukûk di Stato) è stato significativamente ritardato. (1) Durante il dibattito parlamentare sul prestito internazionale offerto dall’Unione europea, al-Nûr ha proposto di richiedere ad al-Azhar un parere circa la conformità con le regole sciaraitiche degli interessi che l’Egitto avrebbe dovuto pagare accettando il prestito. In aula, il VicePresidente dell’FJP, ‘Isâm al-‘Uryân, ha lanciato un’accorata invettiva contro la mozione sostenendo che la Costituzione avesse chiaramente stabilito che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita tramite i rappresentati in Parlamento; quindi la decisione spetta a questi ultimi e non ai dottori di al-Azhar14. Le negoziazioni per il prestito internazionale si sono successivamente arenate, ma non è possibile ricondurre la responsabilità del fallimento unicamente al dibattito parlamentare. (2) Nel 2012 la Presidenza Mursî e il Governo Qandîl hanno ripetutamente annunciato la speranza di superare la profonda crisi economica e finanziaria che interessa l’Egitto con l’emissione da parte del Governo di obbligazioni conformi alle norme sciaraitiche (i sukûk di Stato), capaci 13 V. C. Lombardi e N. Brown, Islam in Egypt’s New Constitution, in Foreign Policy, Middle East Daily Brief, 13 dicembre 2012. 14 Verbale del Consiglio consultivo, 10 febbraio 2013.
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di attrarre investitori interessati a prodotti finanziari islamici. Lungo tutto il corso del dibattito extra-parlamentare, al-Nûr ha ripetutamente chiesto che venisse sollecitato il parere di al-Azhar, mentre lo stesso Consiglio dei Gran Dottori ha dichiarato pubblicamente che il Disegno di Legge non era il linea con le previsioni della sharî‘ah, senza tuttavia articolarne le ragioni15. Quando il Governo Qandîl ha finalmente presentato in Parlamento (il Consiglio consultivo, unica camera in funzione) il Disegno di Legge sui sukûk di Stato, al-Nûr ha formalmente proposto una mozione per sollecitare il parere consultivo di al-Azhar, ma la mozione è stata sconfitta e si è direttamente passati all’esame del Disegno di Legge, poi votato a maggioranza dall’FJP. Dopo l’approvazione, una delegazione di al-Nûr si è recata in visita allo shaykh di al-Azhar per averne un parere sul testo approvato16. Alla prima riunione del Consiglio dei Gran Dottori dopo l’approvazione del testo, il Consiglio ha lamentato la lesione del proprio ruolo costituzionale, e ha rimarcato come il proprio parere sarebbe dovuto essere stato sollecitato secondo quanto disposto dall’art. 4 della nuova Costituzione17. Il portavoce del gruppo parlamentare di al-Nûr ha allora esortato il Presidente a sottoporre ad al-Azhar il testo approvato prima di promulgarlo, minacciando in caso contrario un ricorso alla Corte costituzionale suprema per violazione dell’art. 418. Dopo breve esitazione, il Presidente Mursî ha deciso di sottoporre il testo ad al-Azhar, sottolineando tramite un portavoce della Presidenza che: «il ruolo del Consiglio dei Gran Dottori è solo consultivo e ha come obiettivo la verifica della rilevanza sciaraitica del testo»19. Nonostante lo shaykh di al-Azhar avesse precedentemente dichiarato la sua intenzione di non pronunciarsi sul testo dopo l’approvazione da parte del Parlamento, il Consiglio dei Gran Dottori (hay’at kibâr al-‘ulamâ’) e l’Accademia delle Ricerche islamiche (Majma‘ al-buhûth al-islâmiyyah) hanno fissato una riunione per discutere il testo20. Dopo una seconda riunione, il Consiglio ha redatto un parere in cui ha enumerato gli emendamenti richiesti perché il testo dei sukûk di Stato si potesse dire conforme ai princìpi e alle previsioni (mabâdi’ wa-ahkâm) del diritto musulmano: il parere è stato indirizzato al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio consultivo con parole di apprezzamento per la considerazione del ruolo costituzionale del Consiglio dei Gran Dottori. Il contenuto del parere non è mai stato divulgato ufficialmente, ma fonti di al-Azhar hanno menzionato la necessità che l’organo di controllo sui sukûk di Stato dipendesse da al-Azhar Al-Misrî al-yawm, 2 gennaio 2013. Al-Shurûq, 25 marzo 2013. 17 Egypt Independent, 29 marzo 2013. 18 Al-Ahrâm, 31 marzo 2013. 19 MENA News Agency, 1 aprile 2013. 20 Riunione fissata per l’8 aprile 2013. Al-Shurûq, 1 aprile 2013. 15 16
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e non dal Ministero delle Finanze, che venisse assicurata l’identità degli investitori, e che non si intaccasse il demanio dello Stato21. Il Presidente ha allora deciso di rinviare il testo in Parlamento, e la Commissione Finanze del Consiglio consultivo ha redatto emendamenti al testo «in linea con le raccomandazioni del Consiglio dei Gran Dottori». Durante la discussione in aula del testo emendato, il Presidente Ahmad Fahmî ha proposto di rinviare nuovamente il testo al Consiglio dei Gran Dottori. La mozione è stata sconfitta una prima volta, ma Fahmî ha insistito per una seconda votazione, che ha causato un tumulto che lo ha costretto a sospendere la seduta. Alla ripresa, il Consiglio consultivo ha approvato all’unanimità il testo emendato: la prima Legge approvata dal ‘Parlamento della Rivoluzione’22. Il Presidente Mursî ha poi promulgato la Legge il 7 maggio 2013 come Legge nr. 10 del 2013. Il dibattito sui sukûk di Stato fissa un precedente importante per i rapporti Stato-Islàm sotto la vigenza della nuova Costituzione, ed è difficilmente sovrastimabile l’impatto della maldestra gestione da parte dell’FJP e della decisione di al-Azhar di ingaggiare il confronto. In gioco vi sono sia i rapporti istituzionali tra lo Stato e al-Azhar, sia la definizione dei parametri secondo cui al-Azhar emette i propri pareri: una questione che la Costituzione con negligenza trascura. Post-scriptum La Costituzione del 2012 è stata sospesa con Dichiarazione del Comando generale delle Forze armate il 3 luglio 2013. Il Presidente della Corte costituzionale suprema, divenuto Presidente della Repubblica ad interim, ha sciolto il Consiglio consultivo (Dichiarazione costituzionale del 5 luglio 2013), e emanato una Costituzione provvisoria il cui art. 1 è la composizione dei precedenti artt. 2 e 219 (Dichiarazione costituzionale dell’8 luglio 2013). Tra i 33 articoli della Costituzione provvisoria non figura il rinvio ad al-Azhar.
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Al-Ahrâm, 12 aprile 2013. Al-Hurriyyah wa-l-‘adâlah (versione telematica), 30 aprile 2013.