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QUARESIMA - PASQUA 2015

Vedere fatti e metterci una croce sopra

A P P U N T A M E N T I LODI (lunedì-venerdì) ore 8:30 a S. Silvestro ore 9:00 a Montanara VESPRO (lunedì-venerdì) ore 18:00 a S.Silvestro ore 18:00 a Levata ROSARIO (lunedì-venerdì) ore 17:30 a S.Silvestro ore 17:30 a Levata ore 17:30 a Montanara (solo sabato)

ADORAZIONE EUCARISTICA Martedì, ore 9 - 10 a Montanara Giovedì, ore 18 - 21 a Levata Venerdì, ore 17:30 18:30 a S. Silvestro LECTIO DIVINA in quaresima è sostituita dalla catechesi

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O G N I

S E T T I M A N A

MESSE FERIALI Lunedì, ore 16:30 a Eremo Martedì, ore 18:00 a Levata Mercoledì, ore 9:00 a Montanara Giovedì, ore 18:00 a San Silvestro Venerdì, ore 16 a Eremo (UGR) ogni giorno, ore 7:30 presso le Clarisse

MESSE FESTIVE Sabato ore 18:00 a Levata ore 18:00 a Montanara Domenica ore 8:30 a Levata ore 9:00 a Montanara ore 9:30 a S. Silvestro ore 10:00 a Levata ore 10:30 a Montanara ore 11:00 a S. Silvestro ore 18:00 a S. Silvestro

PA RR OCC HI E D I L E VATA, M ON TA NARA, S AN S ILVES TRO - QUAR E S I MA 2015

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Q U A R E S I M A

VIA CRUCIS venerdì 27 febbraio ore 20:30 a Levata

venerdì 6 marzo ore 20:30 a Montanara

CATECHESI QUARESIMALI “PREGARE I SALMI, PER VEDERE FATTI” al posto della Lectio per giovani e adulti

venerdì 13 marzo ore 20:30 a Grazie

Martedì, ore 21 a San Silvestro

(seguita dalle confessioni)

(seguita dalle confessioni)

venerdì 20 marzo ore 20:30 a Eremo venerdì 27 marzo ore 20:30 a S. Silvestro (seguita dalle confessioni)

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FE B B R AIO:

M ERC OLEDÌ

DELLE

CENERI

“vedere fatti” Dio vede nel segreto

Giovedì 19 febbraio

RA GHIE

NO GIUG

PRE

DI

Gli adulti sono tenuti al digiuno il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo; tutti sono tenuti all’asti-nenza dalle carni ogni venerdì di quaresima

Questo fascicolo offre spunti di riflessione e preghiera personale e in famiglia; rimangono gli appuntamenti di preghiera comunitari nelle parrocchie

A IMAN SETT DEL DONO PER

INA MOS

ELE

L’elemosina o la carità viene raccolta in modo particolare il mercoledì delle ceneri, il giovedì santo e il venerdì santo come frutti del digiuno

Dal Vangelo secondo Matteo
 
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 
 Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
 E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
 E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

In base ai tempi liturgici, viene proposta una Settimana nella quale i sacerdoti sono a disposizione per le confessioni; in quaresima anche dopo le Vie Crucis

Venerdì 20 febbraio

ASSEMBLEA DI TUTTE LE COMUNITA’ PARROCCHIALI presso l’oratorio di Montanara ore 21

Sabato 21 febbraio

IGLIO CONSTORALE PAS

Sapevi che il Consiglio Pastorale di Unità Pastorale è la prima espressione dell’unità delle nostre comunità che vi sono rappresentate per il discernimento del cammino comune?

PRESENTAZIONE DI QUESTO FASCICOLO Il tempo della quaresima di quest’anno vuole essere una occasione per imparare a “vedere fatti”, cioè a saper vedere quanto già si sta vivendo e costruendo nelle nostre comunità e a impegnarsi perché diventino sempre più “fatti” le parole che ci siamo detti nelle assemblee parrocchiali. La prima forma di testimonianza che diamo è quello che siamo e facciamo come cristiani: “da come vi amerete gli uni gli altri sapranno che siete miei discepoli”, dice Gesù. Tante realtà positive sono già presenti e attive: le scopriremo giorno per giorno, “mettendoci una croce sopra”, cioè riconoscendo di conoscerle già o impegnandoci a conoscerle. Sono esperienza di preghiera, di formazione, di carità, di incontro e lavoro insieme ... Infatti non sempre sappiamo nemmeno quello che già c’è, prima di pensare o fare cose nuove. Se Dio, dice il Vangelo, vede nel segreto, impariamo a vedere con i suoi occhi che non si fermano alla superficie ma sanno andare al cuore. Non prendiamoci impegni nuovi, ma apriamo gli occhi per saper vedere il bene che già c’è, le iniziative, le possibilità che ogni singola parrocchia o nel loro insieme offrono. E di tutto questo ringraziare il Signore e impegnarsi a partecipare o a sostenere quanto viene fatto. E’ troppo poco? Sono le solite cose? Vorremmo vedere di più? Allora insieme diamoci da fare, cominciamo a metterci del nostro. E insieme “mettiamo una croce sopra” alle cose che non vanno: al nostro peccato, ai peccati delle nostre comunità, alle iniziative e alle proposte che magari non sono più necessarie e sono asfittiche, alle pesantezze, alle chiusure, al non coordinamento, alle

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L’IMPEGNO DI QUESTA QUARESIMA: PREGARE IN FAMIGLIA CON I SALMI PERCHE’? Non è troppo difficile pregare con i salmi? Non sono preghiere lontane da noi? Forse il linguaggio e lo stile non sono sempre facili e immediati, ma i Salmi sono preghiere nate dai “fatti” della vita, dai sentimenti che provocano le situazioni quotidiane, dalle speranze che la fede suscita nella fatica e nelle gioia del vivere. Per questo la scelta di proporre anzitutto il Salmo della Parola di Dio di ogni domenica di quaresima, per mettere nel cuore ad ognuno, grande o piccolo, il desiderio di continuare a pregare i Salmi andando a cercarli nella propria Bibbia o nei momenti di celebrazioni nelle nostre parrocchie alle Lodi mattutine o al Vespro serale (dove verremo aiutati a pregare i Salmi) La CATECHESI per giovani e adulti di ogni MARTEDI’ di quaresima (ore 21 a San Silvestro) permette di entrare nel mondo dei salmi e di imparare a “vedere fatti” attraverso la preghiera dei salmi

PREPARARE UNA FOTO O UN SALMO DA PORTARE LA DOMENICA Un buon esercizio può anche essere quello di arrivare a “scrivere” i nostri Salmi, cioè partendo dai “fatti” vissuti nella settimana, comporre una preghiera di lode, di ringraziamento, di supplica di aiuto, di richiesta di perdono ... da portare la domenica a Messa in modo che diventi preghiera condivisa. Oppure, portare una foto di un “fatto” che ci ha colpito durante la settimana, che ci ha fatto ringraziare il Signore o ci ha fatto riflettere e vogliamo condividerlo.

INTRODUZIONE AI SALMI «Si rimane sorpresi a prima vista che nella Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è infatti tutta una parola di Dio rivolta a noi? Ora le preghiere sono parole umane e perciò come possono trovarsi nella Bibbia? Se la Bibbia contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche «quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi» (Dietrich Bonhoeffer) Proprio perché parola dell'uomo i salmi sono intrisi di lacrime e di sorrisi, di sofferenza e di speranza, di supplica e di ringraziamento. In questo spirito si può dire che, per il credente, il libro dei Salmi sia «nella vita come un santuario che non è separato da nessuna grata rispetto alla strada e alla casa». È per questo che la stessa definizione dei «generi letterari», cioè dei modelli fondamentali entro cui l'incandescenza dei sentimenti e della fede si ordina e si esprime, corrisponde ai grandi itinerari della vita. Le «suppliche» occupano un terzo dei Salmi proprio perché nella vita il colore della miseria domina su quello della gioia e forse anche perché la stessa fede conosce più spesso il silenzio e l'oscurità che non l'abbandono gioioso e la festa. Gli «inni» parlano a Dio dell'orizzonte cosmico, delle sue aurore, delle notti in cui vagano cani rabbiosi (Salmo 59), delle primavere (Salmo 65), del mare spazioso solcato da navi e da balene (Salmo 104). Gli inni parlano anche di Sion, «la città del nostro Dio, monte santo, splendida vetta» (Salmo 48), parlano della storia d'lsraele, una storia che non, è «un groviglio arruffato di fili di cui non si vede il bandolo» come diceva un antico inno sumerico -, ma è il terreno su cui Dio si rivela e in cui agisce. Il libro dei Salmi è la testimonianza delle crisi di fede (Salmo 73) ma anche dei vertici luminosi della mistica (Salmo 16), è la registrazione autobiografica delle disperazioni più tenebrose (Salmo 88) ma è anche la dolce certezza dell'essere come «un bimbo svezzato» tra le braccia di un Dio che sa essere padre e madre (Salmo 131): «Padre e madre mi hanno abbandonato, il Signore -lui solo -mi raccolse!» (Salmo 27,10). Proprio perché «canto di ogni giorno e canto per ogni giorno», secondo

la definizione di uno dei grandi maestri giudaici del I-II sec. d.C. rabbì Aqiba, il libro dei Salmi spalanca le sue poesie sul brusio delle strade, sulle opere e sui giorni, sulle piccole e grandi cose che i sapienti d'Israele cercavano di comprendere. Ma il libro dei Salmi si schiude anche sulle tragedie della coscienza, sul dramma interiore del peccato: il Miserere (Salmo 51) e il De profundis (Salmo 130) sono due simboli letterari e spirituali che ormai appartengono a tutta l'umanità. Sì, perché se il libro dei Salmi è nato nella fede ed è stato cantato nella fede, è anche testimonianza dell'umanità, del suo respiro di gioia e di dolore, di bellezza e di amarezza. Relegati troppo spesso solo su libri di pietà, imprigionati in commenti religiosi e vagamente spiritualistici, i Salmi chiedono di uscire dalle aree sacre, per ritornare nel rumore delle città ed essere ascoltati e magari pronunziati anche da chi non ha nessun Dio. Perché essi sono il microcosmo dell'umanità: nello specchio dei loro simboli e delle loro intuizioni ogni uomo che cerca può forse trovare qualcosa, ogni uomo che ama può forse incontrare una parola suprema. Nel suo commento al Salterio il grande maestro alessandrino Origene (III sec.) racconta che un dotto ebreo, gli aveva paragonato le Sacre Scritture ad un grande palazzo con molte, moltissime stanze. Davanti ad ogni stanza c'è una chiave, ma non è quella giusta. Le chiavi di tutte le stanze sono scambiate: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è compito di chi prega e spiega la Bibbia. Alcune camere saranno modeste, quotidiane, con le impronte della vita semplice, altre saranno simili a saloni affrescati e sontuosamente arredati; in alcune si respira atmosfera di gioia, si celebrano nozze, si fa festa, in altre gli strumenti musicali sono velati in segno di lutto, come si faceva in Israele durante le calamità, e si ode il lamento e il pianto. Ma in tutte c'è la possibilità di un incontro, c'è il rischio gioioso di vedere nella luce altra luce (Salmo 36,10). Ed allora sarà bello restare a lungo come il passero e la rondine che qui hanno posto i loro nidi perché «un giorno in questi atri più vale più di mille nelle ospitali tende dell'empio» (Salmo 84,4.11). (Gianfranco Ravasi)


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Papa Francesco: non globalizzare l'indifferenza messaggio per la

“Cari fratelli e sorelle,
 la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone. Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza.

L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano. Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo.

Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra. E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.
 Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento,

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per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento. 1. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) – LA CHIESA
 La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo.
 La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26).
 La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo 4 "


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legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza. 2. “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) – LE PARROCCHIE E LE COMUNITÀ
 Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31).
 Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni.
 In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lettera 254 del 14 luglio 1897).
 Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed

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essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore.
 D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini.
 Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere. La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At 1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera.
 Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza! 3. “Rinfrancate i vostri cuori !” (Gc 5,8) – IL SINGOLO FEDELE
 Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?
 In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera.
 In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità,

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raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità.
 E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli.
 Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro.
 Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: “Fac cor nostrum secundum cor tuum”: “Rendi il nostro cuore simile al tuo” (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza.
 Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca”. Papa Francesco 5 "


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F E B BR AIO:

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per “vedere fatti” guardati dentro Lunedì 23 febbraio

I CHES CATETIRI per e RI LTI ADU Sapevi che durante l’anno, soprattutto nei tempi forti, vengono proposti alcuni incontri di formazione e di spiritualità per gli adulti sia nelle singole parrocchie che per l’unità pastorale?

Martedì 24 febbraio

IO LECTNA I DIV Sapevi che ogni martedì, alle ore 21, presso l’oratorio nuovo di San Silvestro, si tiene la Lectio divina, incontro di approfondimento, studio e condivisione sulla Parola di Dio ?

Mercoledì 25 febbraio Giovedì 26 febbraio

NE AZIO ADORARISTICA EUC

EI RIO NI A S O R RTIER QUA Sapevi che durante il mese di maggio, nei quartieri delle nostre parrocchie - ogni giorno o una volta la settimana - ci si riunisce per pregare insieme il Rosario?

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; c o nve r t i t e v i e c r e d e t e n e l Vangelo».

S RUCI

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Sapevi che nelle singole Sapevi che ogni parrocchie viene proposta venerdì di quaresima l’adorazione eucaristica: ruotando tra le varie - il mercoledì mattina,dalle frazioni - viene 9 alle 10, a Montanara proposta la preghiera - il giovedì sera, dalle 18 alle della Via Crucis 21 a Levata itinerante per le vie (e - il venerdì pomeriggio, in caso di brutto tempo dalle 17:30 alle 18:30 a nelle chiese) ? San Silvestro ?

I N FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL SALMO 24

Dal Vangelo secondo Marco

Venerdì 27 febbraio

“VEDERE FATTI”: SE INTERPELLATO, DIO TI AIUTA A SCOPRIRE LA VIA GIUSTA DA SEGUIRE Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
 insegnami i tuoi sentieri.
 Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
 perché sei tu il Dio della mia salvezza. 
 
 Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
 e del tuo amore, che è da sempre.
 Ricòrdati di me nella tua misericordia,
 per la tua bontà, Signore.
 
 Buono e retto è il Signore,
 indica ai peccatori la via giusta;
 guida i poveri secondo giustizia,
 insegna ai poveri la sua via.

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Sabato 28 febbraio

O FOTO UNA ALMO UN S

Il sabato è il momento in cui puoi ripensare a che cosa hai “visto” durante la settimana, portando se vuoi - una foto significativa alla Messa o un salmo che hai pregato o che hai scritto a partire da quanto vissuto

E’ una preghiera in cui l’autore si mette di fronte a Dio e riconosce di aver smarrito la strada e chiede il sostegno per ritornare sulla retta via. Chi ha peccato sa che Dio non lo abbandona, anzi insegnerà strade migliori, quelle che portano alla vita e al benessere e alla prosperità già in questa vita. Chi però non approfondisce il suo rapporto con Dio e vive una fede superficiale, resta confuso perché da una parte penserà di essere a posto ma dall’altra, alla prima difficoltà della vita, non saprà più come muoversi. Se noi ci dimentichiamo di Dio, Egli non si dimentica di noi. Il senso della parola “peccato” nella Bibbia è “aver sbagliato il bersaglio”, “aver sbagliato obiettivo”, “aver sbagliato direzione nel cammino”. E’ come una freccia che invece di colpire nel segno va fuori tiro, va fuori direzione. La preghiera, il nostro rapporto con Dio, ci educa a scoprire anzitutto qual è il bersaglio da raggiungere, ci insegna a vedere i “fatti” che dobbiamo realizzare per essere felici; ma la preghiera ci dona anche la forza per poter raggiungere l’obiettivo prefissato. Preghiamo questo salmo nella prima settimana di quaresima ogni giorno, con costanza.

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Occhi agili Gesù inizia la sua vita pubblica nel deserto. C'è molta Bibbia, dietro questa scelta: i quarant'anni nel deserto di Israele, il deserto luogo di incontro dei Profeti, da Isaia a Osea, il Battista... Gesù va nel deserto dopo il battesimo, sospinto dallo Spirito. Solo i credenti, i battezzati, coloro che cercano ancora e meglio Dio, sanno sentire lo Spirito e spingersi nel deserto. Lo Spirito ci spinge nel deserto, quando la nostra vita di credenti scricchiola, vacilla, si stanca, o, peggio, si siede. Il credente va nel deserto, perché nel deserto si riscopre fuggiasco, pellegrino, viandante. Il deserto è nel nostro cuore, perché nel deserto possiamo avvertire la sottile e silenziosa presenza di Dio. Marco ha una curiosa annotazione: stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Nel deserto, quando gettiamo le maschere, quando ci mettiamo in gioco, quando siamo tentati dall'avversario, siamo assaliti dalle fiere. L'orgoglio, l'invidia, la rabbia, la blasfemia, la violenza abitano in noi, sono accovacciati in un angolo della nostra interiorità. È ingenuo pensare di non esserne sedotti, è cristiano scegliere di lasciarli fuori dalla porta. Il discepolo sa di non essere migliore dei non credenti, vuole solo essere più vigile. (Paolo Curtaz)

Non rendiamo più triste il nostro già triste cristianesimo, rendiamolo più agile, più vero, più temprato, più cattolico. Questo, certo, vorrà dire abbandonare l'uomo vecchio, ma per qualcosa di ben più prezioso di una medaglia d'oro.

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TUTTO VIENE DA LUI Con questo vangelo inizia la Quaresima. Le tentazioni sono sempre il vangelo che la liturgia ci propone nella prima domenica di ogni quaresima. Il vangelo inizia dicendo: "Lo Spirito condusse Gesù nel deserto" (4,1). Gesù aveva appena ricevuto lo Spirito un attimo prima. Prima di questo vangelo c'è il Battesimo di Gesù. In quell'episodio si aprono i cieli e lo Spirito di Dio scende su di lui (Mc 1,9-11). Lo Spirito qui è amore: "Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto". Ma è quello stesso Spirito che nel versetto successivo (Mc 1,12) spinge Gesù, lo manda e lo conduce nel deserto. Il verbo passivo indica che è lo Spirito che vuole questo. E' lo stesso Dio di prima che lo manda qui. Questo ci aiuta a capire che la nostra immagine di Dio è falsata. Per noi se una cosa è bella, buona e soprattutto se non ci fa soffrire, allora vuol dire che viene da Dio. Se una cosa, invece, è dura, ostica, dolorosa, difficile, allora viene dal diavolo, dal male. Ma qui non è così: è lo stesso Spirito-Dio che lo spinge nel deserto con i demoni. La parola tentazione (Mc 1,13: peirasmos) vuol dire "mettere alla prova, verificare, fare un test". In Deuteronomio 8,2 Dio dice a Mosè: "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi". La tentazione non è Dio che vuol "farti sbagliare". No, ti mostra ciò che tu hai nel cuore. Un uomo, una volta la settimana, va dal suo terapeuta a parlare di sé. La moglie è furiosa, furente con questo terapeuta, perché da quando suo marito va a parlare non è più lui, non è più lo stesso. Prima lui era il suo "cagnolino", adesso invece inizia ad avere una personalità e a farsi rispettare. Allora non è che gli psicologi rovinano le famiglie, come dice lei, ma che lei non vuole guardarsi dentro: la sua tentazione di possedere suo marito perché lei è così insicura e così gelosa che "se l'è mangiato"! Un uomo nel suo lavoro è gentile, sorridente e stimato da tutti. Ma quando torna a casa è un altro. Cerca di controllarsi ma spesso "scatta", urla e i suoi figli hanno paura di lui. Non è il diavolo che lo tenta ma l'altro lato di sé che non vuole vedere. Nel lavoro gioca il ruolo del "uomo bravo e sorridente" e questa strategia l'ha adottata fin da piccolo per essere accettato dalla sua famiglia. Tutta la rabbia che reprime nel lavoro e tutta quella del bambino se la vive a casa e con i suoi figli. Non è la casa maledetta: è che lui è tentato di nascondere la rabbia che oggi e ieri ha mandato giù. La tentazione non è allora il male ma il "tuo lato opposto", quello che non vuoi vedere, che preferisci allontanare

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definendolo "male" solo perché pescarlo cambia la tua immagine di te. Ogni uomo ha un lato che non vuol vedere, che si nasconde. E' la grande tentazione: lasciare un lato di sé nascosto. La tentazione ti costringe a vederlo e a prendertene cura. Tutto questo vuol dire che io devo entrare nella mia ombra (cosa che ferisce) per far uscire il dono che vi è dentro. Se guardate, quando Gesù esce dall'esperienza delle tentazioni, non lo ferma più nessuno. Il "dono" delle tentazioni è una forza irresistibile, perché Gesù lascia cadere ogni aspettativa della gente e segue imperterrito la sua strada e missione. Per questo bisogna entrare nel deserto, bisogna essere tentati, bisogna affrontare i propri demoni. Ogni entrata nell'ombra, anche se all'inizio ci fa paura, ha un dono da portare alla luce. Una donna di trent'anni ha una paura terribile di lasciare i suoi genitori; ha paura di perderli, che muoiano e pensa di non poter vivere senza di loro. Chi vuole affrontare tutto ciò? Ma nessuno, ovvio. Qual è il dono di tutto questo? L'autonomia. Un'altra donna ha sempre vissuto facendo la "forte": nelle relazioni lei si dà ma mai del tutto, perché, dice lei, non ha così tanto bisogno dell'altro, anzi può farne anche a meno. Solo che così non è mai del tutto dentro ad un rapporto. La sua grande paura è di essere ferita: "Se mi apro poi sono vulnerabile". E chi vuol entrare dentro a tutto questo? Nessuno! Eppure il dono, se lo farà, sarà l'amore e l'essere amati. C'è un uomo che fa', fa e fa ancora. Lui è sempre in azione. Lui dice che "non ha tempo per fermarsi". In realtà ha paura di fermarsi, perché se si fermasse potrebbe sentire le voci lontane del suo bambino (che ha sofferto ed è stato molto umiliato). Chi lo vuole fare? Nessuno, ma bisogna farlo. Il dono sarà la gioia, perché finalmente qualcuno si prenderà cura di quel bambino. I grandi regali non ce li danno gli altri per il compleanno ma ce li facciamo noi quando abbiamo il coraggio di entrare nel deserto, nel buio, e nella nostra ombra. I tesori sono nascosti; le perle sono nel fondo del mare e dentro le ostriche, le cose più belle di noi sono nascoste dentro di noi. Per questo lo Spirito spinge Gesù nel deserto: deve "scovare, pescare" questo lato nascosto di sé. Se Dio ci chiede qualcosa è proprio quello di entrare nella tentazione per vedere chi siamo realmente. Il deserto è duro, difficile, impegnativo; per questo ti mette di fronte a quello che sei davvero. Gesù conosce il pericolo: seguire quello che tutti aspettano o seguire ciò che è riposto nel suo cuore? Nel deserto non c'è niente e nessuno, allora emergono le grandi domande: "Cosa voglio dalla mia vita? Cosa sono disposto a rischiare? Quanto? A che livello voglio vivere? Quali sono le paure che mi frenano? Quali sono le bugie che mi racconto? Mi va di ascoltare le voci che ho dentro?". Perché si può sfuggire a tutti ma non a se stessi. Perché la si può raccontare a tutti ma non a se stessi. don Marco Pedron 7 "


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DOM ENI CA

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QUAR ES IMA

per “vedere fatti”

cambia sguardo Lunedì 2 marzo

O CORSNZATI A D FI

Martedì 3 marzo

Sapevi che da alcuni anni, proponiamo il percorso di preparazione al matrimonio cristiano insieme come parrocchie, al quale partecipano circa 15-20 coppie ed è organizzato dai sacerdoti e da coppie di sposati ?

PI GRUPDALI O SIN Sapevi che quest’anno, in occasione del Sinodo Diocesano, si sono costituiti dei gruppi di studio e riflessione per rispondere alle richieste del Vescovo e avviare un cammino di discernimento ?

Mercoledì 4 marzo

I RO D CENTOLTO e ASC ITAS CAR Sapevi che sono attivi nelle un centro di ascolto (martedì dalle 9:30 alle 12 e venerdì dalle 16 alle 18:30 a San Silvestro; giovedì dalle 15 alle 17:30 a Levata) e un centro Caritas a San Silvestro, il venerdì dalle 15:30 alle 16:30 ?

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. 
 Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Giovedì 5 marzo

Venerdì 6 marzo

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I CHES CATE RAM

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Sapevi che la programmazione dei cammini di catechesi viene fatta insieme come parrocchie: questo permette ai catechisti di confrontarsi, scambiarsi esperienze, avere cammini comuni e condivisi ?

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Sapevi che da 5 anni viene proposto il Grest (GRuppi ESTivi), cioè le iniziative estive dei ragazzi, insieme come parrocchie, coinvolgendo circa 450 bambini e ragazzi e più di 100 animatori ?

I N FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL S A L M O 11 5 “VEDERE FATTI”: ANCHE NELLA FATICA E NELL’INFELICITA’ RIMANGO “AGGRAPPATO” AL SIGNORE E NON SONO SOLO Ho creduto anche quando dicevo:
 «Sono troppo infelice».
 Agli occhi del Signore è preziosa
 la morte dei suoi fedeli. 
 
 Ti prego, Signore, perché sono tuo servo;
 io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
 tu hai spezzato le mie catene.
 A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
 e invocherò il nome del Signore.
 
 Adempirò i miei voti al Signore
 davanti a tutto il suo popolo,
 negli atri della casa del Signore,
 in mezzo a te, Gerusalemme.

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Sabato 7 marzo

O FOTOO A N U ALM UN S

Il sabato è il momento in cui puoi ripensare a che cosa hai “visto” durante la settimana, portando se vuoi - una foto significativa alla Messa o un salmo che hai pregato o che hai scritto a partire da quanto vissuto

L’autore del salmo ricorda la fiducia avuta in passato, ricorda le prove da cui il Signore lo ha liberato, ricorda di aver chiesto aiuto e di essere stato esaudito. Non ha mai perso la fiducia in Dio, anche nell’infelicità più grande, anche di fronte alla paura della morte. Se in passato Dio gli è stato vicino, continuerà anche adesso che sta vivendo un’altra situazione difficile in cui è a rischio la sua stessa vita. E Dio lo esaudisce: “tu hai spezzato le mie catene”.: per questo non sa come esprimere il proprio ringraziamento, anzi si impegna ad assolvere ad un “voto”, cioè ad un impegno che si è preso verso il Signore Dio. L’esperienza della prova, della difficoltà, della sofferenza, rischia di far perdere la fe d e a l l e p e rs o n e : i n v e c e p r o p r i o nell’infelicità, nella fatica, proprio quando non si vede nulla di buono davanti a sé, non deve venire meno la fede nel Signore, non deve venire a mancare il rapporto con Lui e la speranza in Lui. Pregando questo salmo durante la settimana, proviamo a raccontarci, in famiglia, quali sono le esperienze in cui possiamo dire: “davvero il Signore mi ha aiutato”? Possiamo raccontarci i “fatti” in cui Dio “ha spezzato le catene” che ci impedivano di essere liberi, felici, realizzati? Di che cosa possiamo ringraziare il Signore? Dobbiamo “sdebitarci” con Lui di favori e aiuti ricevuti? oppure la nostra vita non ha mai visto “fatti” concreti di disponibilità di Dio nei nostri confronti? oppure l’infelicità ha preso il sopravvento su di noi e non sappiamo vedere nulla di buono da parte di Dio?

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D'una bellezza inconsueta. C'è un'ora nel Vangelo in cui il nostro Amico ci fa il regalo più sorprendente: non è un oggetto, nemmeno un beneficio. Potremmo chiamarla confidenza, ma una confidenza così totale e profonda che non è solo una parte intima di lui, ma è il suo tutto, l'essenza ultima e trasparente di Se stesso. In quell'ora, infatti, l'Amico si fa per noi d'una bellezza insopportabile, si trasforma tutto in un'armonia, ci sorride come non era mai avvenuto e forse basta quel suo splendore, quel suo farsi trasparente rinunziando alle parole perché dentro il cuore dell'uomo nasca l'impulso di dirGli: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e un per Elia". Tre uomini, non dodici, devono ricevere quell'anticipazione del Regno, devono sapere come Lui è davvero. Perché non è uguale come tutti gli altri giorni. Per un istante vuole deporre la sua camuffatura d'uomo, fare le prove per vedere se, gettata la maschera, la loro amicizia resiste o si traduce in paura. E l'amicizia resiste. Agli occhi di quei tre beduini che si risvegliano dal sonno in cui la stanchezza della marcia li aveva gettati, quel Gesù smagliante come il principe di una favola non è uno straniero, neppure il personaggio di un sogno che continua. È finalmente, in tutta la sua credibile naturalezza, il Signore. Quell'ebreo vestito d'un povero mantello, stinto dal sole e dalla pioggia, con la faccia sbattuta dalla stanchezza e dai digiuni ora cancella i dubbi sulla sua figliolanza divina. Nessuna paura, nessun ripudio figurarsi. Davvero bello: ha ragione Pietro. È buona cosa, è tentazione di noi che siamo fatti per gli incanti, fermarci dove si è felici, dimenticare giù nel caos della valle le tribolazioni e il destino degli altri che non sono stati prescelti, nasconderci in quel pugno di miseria dove il cielo sembra accarezzare la terra. Invece la grammatica di Dio conosce un solo verbo: camminare. "Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!" (Teresa di Calcutta). don Marco Pozza

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Il vangelo inizia dicendo: "Sei giorni dopo" (Marco 9,2). I numeri nella Bibbia sono importanti. I sei giorni richiamano altri sei giorni (Esodo 24,16): "La Gloria del Signore venne a dimorare sul Monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni". Mosè era stato faccia a faccia con Dio per sei giorni sul Sinai. Allora ridicendo "sei giorni" Marco sta dicendo: "Dio, come allora, qui si sta svelando: accoglilo!". "Sei giorni" era dire "rivelazione di Dio" e qui Dio, di nuovo, si rivela. Ma la Bibbia ricorda anche altri sei famosi giorni: l'inizio della creazione (Genesi 1,1-2,1). In sei giorni Dio creò il mondo e il settimo giorno Dio si riposò. Il settimo giorno è il giorno di Dio, quello a lui consacrato. "Sei giorni" allora vogliono dire due cose. 1. Vivi la vita, genera, espanditi, crea e sii fecondo. E qui tutti noi dovremo farci delle domande: "Io cosa sto creando? La mia vita crea? A cosa sto dando la luce? Perché una vita che non genera, che non dà vita, che non dà luce a qualcosa, a cosa serve?". 2. E poi: "Sei giorni sono la vita umana. Trova il settimo giorno, il giorno che valica la morte". Cioè: "Cos'è che ti fa vivere? Per cos'è che vale la pena, per te, di vivere e di morire?". Il tesoro della vita è quella cosa per cui saresti disposto a dare la tua vita: vivi per quello.

Poi il vangelo dice che Gesù "li condusse sopra un monte, in un luogo appartato, in disparte" (Marco 9,2). Il monte non è tanto un'indicazione topografica, ma teologica. Cos'era il monte nell'antichità? Il monte, nell'antichità, era il luogo della terra più elevato verso il cielo, quindi il luogo più vicino a Dio (che stava nei cieli). Poiché Dio si manifesterà a loro, devono essere sopra un monte elevato. "In disparte", nei vangeli, ha sempre una valenza negativa. Vuol dire, significa, che questi discepoli hanno combinato qualcosa che non andava bene. Infatti un po' prima Pietro rimprovererà Gesù (Mc 9,31-33). Poco prima Gesù annuncia la possibilità di essere rifiutato e addirittura ucciso: Pietro si ribella (e si dice che anche Pietro lo prese in disparte, Mc 9,32) e Gesù gli deve rispondere: "Lungi da me satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mc 9,33). Pietro pensa a Gesù come un Messia potente, forte, che otterrà successo e non vorrà saperne di vedere Gesù per quello che è e per quello che annuncia. Per questo Gesù adesso li deve prendere in disparte: fa vedere loro che Lui non è quello che loro pensano; Lui non è Elia e non è Mosè, come loro avrebbero voluto e come credevano. Amare significa vedere le persone per quello che sono e non per quello che noi vorremmo che fossero. Il vangelo poi dice che Gesù si trasfigurò (Mc 9,2) e si usa il verbo meta-morfeo, metamorfosi. Il verbo è passivo e dice che non è Gesù ad agire, ma Dio stesso. Poi Marco dice che "prese con sé Pietro, Poi Marco fa un esempio un po' strano: Giacomo e Giovanni" (Mc 9,2). "Nessun lavandaio sulla terra potrebbe Gesù mai si rivolge a Simone renderle così bianche" (Mc 9,3). Non è un chiamandolo Pietro, ma gli evangelisti bell'esempio. Avrebbe potuto dire, ad invece sì. E loro hanno questo stratagemma esempio, che "le sue vesti divennero per dirci le intenzioni di Pietro. Quando lo splendenti come le vesti del sommo chiamano Simone allora l'apostolo è in sacerdote". Infatti si diceva che la vestizione accordo con Gesù; quando lo chiamano del sommo sacerdote fosse un avvenimento Simon Pietro allora vuol dire che è paradisiaco, tanto i suoi vestiti erano pieni di dubitante; quando lo chiamano Pietro allora scintillii. vuol dire che è contrario, nemico, di Gesù. Cosa vuol dire Marco, allora? Vuol dire: Quindi qui Pietro è nemico, ostile, contrario per quanto tu faccia (anche il miglior alle idee di Gesù. lavandaio) non puoi raggiungere lo A questi tre Gesù ha messo un splendore di questa condizione. Questo soprannome: Simone è Pietro, cioè "testa splendore lo può raggiungere solo chi si dura"; Giacomo e Giovanni invece sono i lascia invadere da Dio, solo chi lascia che Boanerghes, cioè "i figli del tuono". Erano Dio lo trasformi. cioè dei fanatici, degli irosi, dei violenti, dei Vi ricordate Madre Teresa? Il suo viso resistenti. era pieno di rughe e scavato, ma aveva un Questo è meraviglioso: Dio ti cambia il volto splendido. Perché? Perché in lei Dio si carattere. Sappiamo dagli Atti che Pietro faceva visibile, splendente; in lei Dio cambiò radicalmente il suo modo di pensare traspariva. Quando tu la guardavi vedevi e Giovanni divenne il "discepolo amato, qualcosa di oltre, di più in là del suo volto: quello che posava il capo sul petto di in lei risplendeva Lui. Gesù" (per dire l'amore, la dolcezza, la La parola splendore viene dal greco e tenerezza): cambi radicali, totali, definitivi, vuol dire cenere. Lo splendore ha sempre a permanenti, rivoluzioni. che fare con una trasformazione, con un La conversione è questo: tu non sei più bruciare il vecchio per essere qualcosa di tu. Cioè: tu sei sempre te stesso, ma non nuovo, con un morire perché qualcosa di senti, non pensi, non vivi e quindi non agisci nuovo possa rinascere. più come prima perché hai fatto Poi si dice: "E apparve loro Elia con un'esperienza che ti ha cambiato tutto. Mosè e conversavano con Gesù" (Mc 9,4). Gli orientali la chiamano "illuminaE' il massimo del massimo. Sono i due più zione": prima ero cieco e adesso ci vedo. I grandi personaggi della tradizione d'Israele. cristiani "conversione": vivere con Lui. Mosè il grande legislatore, il grande Mentre il "peccato" è vivere lontani da Lui. condottiero liberatore del popolo dalla

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schiavitù d'Egitto. Elia è il riformatore religioso, che attraverso la violenza aveva imposto la legge di Mosè. Mosè ed Elia sono quindi: 1. i più grandi personaggi di Israele; 2. quelli che non erano, secondo la tradizione, neppure morti, ma erano stati rapiti in cielo; 3. entrambi avevano incontrato Dio (nel roveto o nel vento); 4. entrambi avevano parlato con Dio al Sinai. Allora: prima, nell’Antica Alleanza, Mosè ed Elia parlavano direttamente con Dio, adesso invece parlano, non più con Dio, ma con Gesù. E' chiaro cosa si vuol dire: Gesù è Dio! Fin qua tutto bene. Ma adesso succede l'incidente e capiamo così perché Marco parla di "Pietro". A questo punto Pietro reagisce. L’evangelista ci mette addirittura l'articolo: "Il Pietro" (Pietro=testardo, duro; Mc 9,5). E cosa gli dice Pietro: "Rabbì=maestro" (Mc 9,5). Pietro lo chiama rabbì, ma chi era il rabbì? Il rabbì era colui che si atteneva alla tradizione degli antichi. In Mc solo due persone chiamano Gesù "rabbì": i due traditori, Pietro e Giuda. Sono coloro che vogliono l'uomo della tradizione e che non accettano questa novità. Pietro gli dice: "Eh no! Tu non puoi essere così. Tu devi essere diverso; tu devi attenerti a quello che è la regola, la tradizione, a quello che i nostri padri ci hanno insegnato". Dicendogli così Pietro rifiuta Gesù e gli dice: "Noi così non ti vogliamo". Pietro ha in mente la sua idea di "maestro, rabbì" e vuole che Gesù si conformi alla sua idea, invece di conformare le sue idee a Gesù. Ci sono due modi di rapportarsi alle cose, alle persone e agli eventi. Il primo dice: "Questo non è come quello che io so (ho in testa, credo): quindi non vale". E così si riduce tutta la realtà al proprio cervello. Se una cosa non è come quella che uno sa, allora viene eliminata, scartata. Il secondo dice: "Questo non è come quello che io so, ma può essere. Verificherò, cercherò, studierò e se sarà vero lo accetterò anche se non è come ciò che io credo". La mente qui si adatta alla realtà. Nel primo si identifica tutto a sé: tutto è come me, come penso io. Nel secondo ci si apre alla realtà: la realtà è più grande di me. Vivere, imparare, vuol dire aprire la propria mente alla realtà e non ridurre la realtà alla nostra mente. 1. Non ridurre l'universo alla tua mente. Nasruddin (simbolo in Oriente del saggio stolto) divenne primo ministro del re. Una volta, mentre gironzolava per il palazzo, vide, per la prima volta in vita sua, un falcone reale. Nasruddin non aveva mai visto questo tipo di piccione. Così tirò fuori un paio di forbici e spuntò gli artigli, le ali e il becco del falcone. "Adesso sì che sei un uccello decente - disse - il tuo padrone ti aveva trascurato". 2. Anche se ti sembra impossibile non è detto che lo sia.

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In India vive un santone Prahald Jani, chiamato Mataji, che dal 1940, così sostiene lui, non mangia e non beve (e non mangiando e non bevendo anche non evacua). Ora, questa sembra una leggenda metropolitana o una storiellina per bambini. Fatto sta che questo uomo è monitorato, 24 ore al giorno dall'esercito indiano ed è stato tenuto in osservazione da telecamere per diverso tempo 24 ore al giorno: ed è così come dice. Ora nessuno sa come questa cosa sia possibile, ma lo è. Sembrerebbe trattarsi di un'antica tecnica yoga che si rifà al respiro dove a livello biologico l'urina verrebbe non riespulsa ma rimandata in circolo (i valori di questo uomo sono quelli di un venticinquenne!). Sia quel che sia, in ogni caso, anche se sembra impossibile, invece, è così. 3. Una cosa evidente non è detta che sia vera. Un uomo salì sull'autobus e si sedette accanto ad un giovane che aveva tutta l'aria di essere un hippy. Il giovane aveva una scarpa sola. Allora l'uomo, in atteggiamento giudicante gli dice: "Evidentemente hai perso una scarpa, ragazzo?". "Nossignore", fu la risposta, "ne ho trovata una". Cosa dice allora Pietro: "Rabbi è bene per noi stare qui; facciamo tre capanne" (Mc 9,5). Perché tre capanne? Nella tradizione ebraica si sapeva tutto del Messia. E alla domanda: "Quando verrà il Messia?", la risposta era chiara: "Durante la festa delle capanne", tra settembre e ottobre. All'inizio era una festa agricola, alla fine della vendemmia, poi dopo fu trasformata in festa religiosa. Per una settimana alla fine della vendemmia, si viveva sotto le capanne e naturalmente si beveva e si faceva festa. Ma cosa ricordavano le capanne, le tende? Ricordavano i quarant'anni di deserto e tenda dopo la liberazione, grazie a Mosè, dagli Egiziani e dalla schiavitù. Fare tre capanne vuol dire: "Caro Gesù, tu devi essere come loro". Non solo: che fa Pietro? Dice: "Una per te, una per Mosè, una per Elia" (Mc 9,5). Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Ma, per Pietro, non c'è Gesù, c'è Mosè. Pietro dice a Gesù: "Caro Gesù, il Messia che io voglio è questo: 1. Un rabbino dell'A.T., cioè attieniti alla tradizione; 2. un Messia che si manifesta durante la festa delle Capanne (come la tradizione vuole); 3. Un Messia legislatore come Mosè. Infatti poiché la legge era diventata un guazzabuglio e nessuno ci capiva più niente si diceva: "Quando verrà il Messia, lui ce la spiegherà". Pietro rifiuta totalmente Gesù: lui non lo vuole per quello che lui è. Cosa succede quindi? Gesù si manifesta nella sua gloria (cioè per quello che Lui veramente è). Solo che Gesù non è affatto come gli apostoli volevano che lui fosse. Pietro, prima di qui, aveva ricevuto un rimprovero feroce da Gesù: "Lungi da me satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mc 8,33). Giovanni stesso ha delle beghe con Gesù. Un giorno infatti voleva impedire ad uno che

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non era dei loro di scacciare i demoni (Mc 9,38-39). E Gesù gli dirà: "Chi non è contro di noi, è per noi". Cioè: tutto ciò che è bene, da dovunque venga, se è bene, viene da Dio. Nessuna gelosia, nessun possesso di Dio. Allora: quando vedono che Gesù non è come loro lo pensavano, lo vedevano, lo avrebbero voluto e se lo immaginavano, hanno paura della sua punizione e del suo castigo. Nell'A.T., infatti, Dio punisce i disobbedienti e i traditori. Vedono, ancora, Gesù con i loro "vecchi" occhi. Tutto ciò che segue spiega questo: "Maestro è bello per noi stare qui" (Mc 9,5): cercano di tenersi buono Gesù! "Non sapeva cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento" (Mc 9,6): ma non è lo spavento di ciò che hanno visto, ma delle conseguenze di ciò che hanno visto (della punizione di Gesù/Dio). "La nube" (Mc 9,7): segno della presenza di Dio. "Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo" (Mc 9,7). Lui dovete ascoltare e non Mosè o Elia, come voi avete sempre fatto e come voi vorreste continuare a fare, attaccati al vecchio, alla tradizione e a ciò che è stato. "E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro" (Mc 9,8). Ci rimangono male: "Ma come, noi credevamo in Mosè, in Elia e invece dobbiamo credere solo in Gesù, eliminando tutto ciò che prima credevamo?". Gli apostoli per accettare Gesù hanno dovuto abbandonare, lasciare, rigettare, tutto ciò che prima credevano. Non fu per niente facile... e possiamo ben capirli! Per questo quando tornano giù Marco dice (9,9-10) che non ci hanno capito niente. Capiranno, ma molto più tardi, solo dopo la resurrezione. Cosa dice a me allora questo vangelo? Pietro non accettava Gesù: lui lo voleva diverso. Solo che amando il Gesù che aveva nella sua testa, non amava il Gesù reale, carne ed ossa, com'era veramente. Amava la sua idea di Gesù, non Gesù. Accetta le persone per quello che sono e non per quello che tu vorresti che loro fossero. Ama la realtà perché è l'unica cosa che veramente esiste. Se ami le persone perché sono come te, perché pensano come te, perché fanno quello che tu vuoi, perché sono identiche a te, non stai amando nient'altro che te stesso (te in loro). Accetta le persone per quello che sono. Accetta che gli altri siano diversi da te. Accettare che gli altri facciano una strada che non è quella che noi vorremmo per loro. Lo accettiamo perché è la loro strada e non la nostra. Accetta ciò che accade. Accetta questo mondo. L'amore è accettazione. Dag Hammarskjold scrive. "A tutto ciò che è stato, grazie e a ciò che sarà, sì". Questa è l'accettazione. Questo è l'amore. Come Maria: "Sì a tutto". L'accettazione dà la pace vera. (don Marco Pedron)

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M AR ZO: TE RZ A

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QUAR ES IMA

“vedere fatti”

occhio ai segni

Lunedì 9 marzo

Martedì 10 marzo

NE AZIO OLICA T CAT

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Sapevi che gli scout sono presenti a Montanara, a San Silvestro e a Buscoldo e da qualche anno stanno collaborando insieme, stanno condividendo un progetto educativo e coordinando le forze ?

Sapevi che l’Azione cattolica è stata la prima associazione di Unità Pastorale, proponendo ora attività per i bambini e i ragazzi dell’ACR il sabato pomeriggio dalle 15:30 a Montanara ?

Mercoledì 11 marzo

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Sapevi che le Compagnie di Montanara, di San Silvestro, di Levata, organizzano stand gastronomici alla Fiera delle Grazie per raccogliere fondi per le parrocchie: una belle occasione per lavorare insieme e conoscersi ?

Giovedì 12 marzo

Venerdì 13 marzo

Sabato 14 marzo

PO GRUPRGICO LITU

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O FOTOO A N U ALM UN S

Sapevi che a fine maggio, di sabato sera, le nostre parrocchie vivono il pellegrinaggio a piedi al Santuario delle Grazie per concludere insieme le attività di catechesi e di gruppo affidandoci a Maria ?

Il sabato è il momento in cui puoi ripensare a che cosa hai “visto” durante la settimana, portando se vuoi - una foto significativa alla Messa o un salmo che hai pregato o che hai scritto a partire da quanto vissuto

Sapevi che lettori, animatori del canto, ministri dell’eucarestia, gruppi pulizie e arredo, ... vivono incontri di formazione e preparazione insieme sia per le celebrazioni nelle parrocchie che unitarie al Palasigla.com ?

Dal Vangelo secondo Giovanni

IN FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL SALMO 18

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». 
 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 
 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

“VEDERE FATTI”: DIO CI PARLA E ABBIAMO UNA GUIDA CHIARA PER IL NOSTRO CAMMINO La legge del Signore è perfetta,
 rinfranca l’anima;
 la testimonianza del Signore è stabile,
 rende saggio il semplice. 
 I precetti del Signore sono retti,
 fanno gioire il cuore;
 il comando del Signore è limpido,
 illumina gli occhi. 
 
 Il timore del Signore è puro, 
 rimane per sempre;
 i giudizi del Signore sono fedeli,
 sono tutti giusti.
 
 Più preziosi dell’oro, 
 di molto oro fino,
 più dolci del miele 
 e di un favo stillante.

PA RR OCC HI E D I L E VATA, M ON TA NARA, S AN S ILVES TRO - QUAR E S I MA 2015

Legge, testimonianza, precetto, comando, timore, giudizio sono le parole che ricorrono in questo salmo: Dio ci parla, ci insegna, ci dà le indicazioni per capire il cammino da compiere, ci esprime con chiarezza la sua volontà, i suoi sogni, le sue aspettative. Abbiamo la possibilità di avere nelle nostre case la Parola di Dio, il Vangelo, che - se letto con costanza - ci permette di essere illuminati, di essere rinfrancati, di diventare saggi, di avere la gioia nel cuore. Abbiamo la possibilità di ascoltare questa Parola ogni domenica, di approfondirla nella Lectio Divina, di pregarla insieme nelle celebrazioni comunitarie o anche nelle nostre case e nel segreto della nostra stanza. Tante parole invadono la nostra vita, ma occorre scoprire la preziosità e la dolcezza della Parola che sola rimane per sempre. Il Salmo quindi parte dall’esperienza di un ascolto della Parola che ha fatto la gioia del Salmista. Come Gesù, che mosso proprio da una passo di un Salmo (“lo zelo per la tua casa mi divora” Salmo 69,10) agisce scacciando i venditori dal tempio. Pregando questa settimana questo Salmo siamo invitati ad aprire il Vangelo, a leggere e pregare la Scrittura, a riprendere il Vangelo della domenica, a “ruminare” la Scrittura perché diventi forza, guida, gioia del nostro vivere.

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saluti a fine Messa

Finita la messa domenicale mi piace molto scendere in mezzo alle persone invece di passare velocemente dall'altare alla sacrestia. Di solito, durante il canto finale mi dirigo alle porte della chiesa e cerco di intercettare prima possibile le persone che escono. E' un momento molto prezioso, secondo me, questo della fine della celebrazione, perché mi fermo a salutare e scherzare un po' con i fedeli. Mi piacerebbe che la stessa cosa coinvolgesse tutti e non scattasse la voglia di "scappare" il prima possibile a casa. E di fatto vedo che molti rimangono dentro e fuori chiesa a chiacchierare e salutarsi. E' una cosa che trovo molto bella! Ricordo la reazione di un parroco di una parrocchia dove ero andato a celebrare la messa, il quale, alla vista di questo mio fermarmi, mi riprese subito in modo deciso, usando più o meno le parole di Gesù del Vangelo: " la chiesa non è un mercato!", invitandomi così ad uscire e chiacchierare fuori sul sagrato. E lo stesso invito fu rivolto a coloro che si erano fermati a parlare tra di loro in vari angoli della chiesa. Ma quale mercato? Non stavo comprando e vendendo nulla... Al contrario sentivo fondamentale per me avere un contatto umano e fraterno con coloro con i quali avevo appena celebrato l'Eucarestia, il sacramento più grande della comunità e fratellanza cristiana. Non metto in discussione la buona fede, ma personalmente, non credo che sia questo il mercato che spesso si rischia di consumare tra le pareti delle nostre chiese. Spesso il "mercato" è proprio durante la messa stessa, e inizia nel momento in cui noi pensiamo che Dio si possa comprare con qualche liturgia, preghiera o offerta: più prego più ottengo, più messe faccio celebrare più assicuro a me e ai miei cari la benevolenza di Dio... Gesù, con l'azione clamorosa e chiassosa, di cacciare i mercanti dal tempio, vuole far capire ai suoi contemporanei che la mentalità "mercantile" non è più valida. Dio è gratuità assoluta che niente può comprare.

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Siamo in Giovanni 2 e l'evangelista scrive: "Si avvicinava intanto la Pasqua dei giudei" (Gv 2,13). Perché la Pasqua dei Giudei? Nell'A.T. si dice sempre la Pasqua del Signore, che ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana. La denominazione tecnica di Pasqua era la "Pasqua del Signore". Il termine "giudei" in Gv non indica mai il popolo giudaico, ebraico, ma i capi, le autorità religiose. Quindi "dei giudei" non vuol dire "del popolo ebraico", ma "dei capi, delle autorità, dei capi religiosi". Quindi sono i capi che fanno la festa di Pasqua, mentre il popolo, in nome di questa festa, veniva sfruttato. In che senso il popolo veniva sfruttato? Ogni maschio adulto dal tredicesimo anno di età era obbligato a salire al tempio di Gerusalemme e ad offrire un agnello per la Pasqua. Le feste religiose, quindi, erano un'occasione di grande guadagno per la casta sacerdotale (soprattutto per la casta del sommo sacerdote). Ma non è questa la verità! La verità, infatti, è che gli agnelli non venivano offerti al Signore, gli agnelli andavano a ingrassare le pance dei sommi sacerdoti. Anche perché mica si poteva offrire un agnello qualunque. Uno pensa: "Beh, ne offro uno di vecchio, lo offro al tempio". No! L'agnello doveva essere perfetto, senza alcun difetto, quindi venivano offerti i migliori. E poi: se io parto da Nazaret mica posso portarmi dietro un agnello per centinaia di chilometri. Per cui lo dovevo comprare lì: sulle pendici del Monte degli Ulivi c'era un recinto dove dovevano essere acquistati gli animali per essere offerti al tempio. E sapete chi era il proprietario di questo recinto di animali? Era Ananìa, cioè il sommo sacerdote. Come funzionava la cosa? Si prendeva l'agnello, lo si portava al tempio, lo si offriva, attraverso il sacerdote, al Signore. L'agnello veniva macellato, le pelli, che erano molto costose e ricercate, prese (vi erano a volte lotte mortali tra i sacerdoti per spartirsi le pelli); un po' di carne serviva per i sacerdoti e i funzionari del tempio (sacerdoti, leviti, duecento poliziotti sempre in servizio, ecc.) e il resto rivenduta alle macellerie di Gerusalemme. Dobbiamo tener presente che in certi giorni si arrivava a sacrificare qualcosa come 18.000 animali! Per cui accadeva che il pellegrino, non solo portava la sua carne al tempio, ma poi per mangiare doveva anche pagarsela. Quindi in nome di Dio vi era un bello sfruttamento, molto costoso e remunerativo.

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unico Tempio, quello di Gerusalemme, perché solamente nel Tempio Dio si manifestava. Per questo c'erano tutte le liturgie, l'incenso, i paramenti meravigliosi del sommo sacerdote e la bellezza straordinaria della costruzione (distrutta poi nel 70 d.C.). Quindi quando Gesù va al tempio, che cosa si aspetta di trovare? Persone che adorino, che preghino questo Signore. E invece cosa vi trova? Vi trova i venditori di buoi, di pecore, di colombe e i cambiavalute. I più ricchi offrivano buoi; quelli né ricchi né poveri, pecore; i poveri, colombe. Il tempio non era più un luogo di preghiera ma di interesse, di mercato e di profitto. Cos'avevano astutamente fatto i sommi sacerdoti, d'accordo con gli scribi (i teologi del tempo)? Perché vi fosse sempre un introito di denaro continuo avevano istituito, oltre alle feste tradizionali dove si doveva andare a Gerusalemme, tutta una serie di offerte (alimentari o di animali) da fare per ogni colpa. Avevi fatto peccato? Facevi la tua offerta ed estinguevi il tuo peccato. L'avevi combinata grossa? Dovevi impetrare aiuto? Dovevi guarire da una malattia? Un'offerta e ottenevi il benestare di Dio. La Legge era impossibile da osservare ed essendo impossibile da osservare eri sempre peccatore; per quanto tu ti comportassi bene, eri sempre in peccato di fronte a Dio e per cancellare il tuo peccato dovevi fare offerte a Dio, che tradotto era al tempio. Pensate che c'era un medico in servizio 24 ore su 24 nel tempio che doveva curare il mal di pancia dei sacerdoti da quanto questi si ingozzavano di carne! Quindi da una parte i sacerdoti predicavano contro il peccato, ma più la gente peccava più loro ci guadagnavano. Ma ciò che era più grave era che davano un'immagine di Dio sfalsata: perché un Dio che si "offende" per ogni cosa, anche per la più piccola fesseria, come puoi sentirlo amico? Come puoi sentire l'amore di un Dio che ti fa sempre sentire in colpa per tutto? C'è anche un'altra cosa che dobbiamo considerare. Se io ero ricco, dov'è che avrei potuto portare il mio denaro o il mio oro o le mie pietre preziose? Qual'era il posto più sicuro? Il tempio! 1. Vi erano ben 200 poliziotti sempre in servizio. 2. Chi avrebbe mai osato andare a rubare a Dio? Per cui il tempio era diventato la più grande banca del Medio Oriente. Il vero Dio adorato nel tempio non era Jahwè, il Dio di Israele, ma era Mammona, il Dio del profitto.

E cosa fa Gesù? Gesù si fa una "sferza di cordicelle" (Gv 2,15). Cosa vuol dire "E Gesù salì a Gerusalemme" (Gv 2,13). quest'espressione? Il Messia era Anche Gesù, che il Battista ha già presentato rappresentato con un flagello in mano e con come il vero Agnello di Dio (Gv 1,35) questo flagello avrebbe dovuto castigare i poiché obbligato, sale al tempio di peccatori. Gesù fa proprio così e caccia i Gerusalemme per offrire il suo agnello al peccatori: i dirigenti e le autorità del tempio! Signore. Il tempio non era sinonimo della nostra "E scacciò tutti fuori dal tempio" (Gv chiesa. Il tempio era il luogo più santo della 2,15). A volte questo vangelo viene terra: non esisteva al mondo un luogo più chiamato come: "La purificazione del sacro del tempio di Gerusalemme. Quindi tempio" o "la cacciata dei venditori dal potevano esistere tanti templi ma vi era un tempio". Ma qui si dice una cosa diversa:

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Gesù non purifica niente e non caccia qualcuno. Gesù non purifica il tempio, lo elimina; Gesù non caccia qualcuno ma tutti, quelli che vendono e quelli che comprano. Dio distrugge il tempio perché presenta un Dio nuovo, sconosciuto alle religioni. Dio non ha bisogno di offerte né di sacrifici per lui. Nell'A.T. (e in molte religioni) si dice: "Nessuno osi presentarsi al mio santuario a mani vuote" (Es 34,20). Allora la gente andava da Dio e faceva la sua offerta, solo che Dio non voleva offerte. Con Gesù è finito il tempo di fare offerte a Dio perché è Lui che si offre a te. Non è più l'uomo che si toglie il pane per offrirlo a Dio, ma Dio che si fa pane per nutrire l'uomo. Quelli che offrono, che danno il meglio a qualcun altro, sono i servi, ma con Gesù Dio non vuole più essere servito; anzi sarà Lui stesso a servire l'uomo. Quand'ero piccolo dovevo fare i fioretti perché così Gesù era contento: ma io quel Gesù non lo amavo affatto perché mi impediva di guardare la tv, di giocare a calcio con i miei amici, mi toglieva il gelato, ecc. Saranno stati anche fioretti, ma a me stava antipatico un Dio così. Sembrava che ce l'avesse con me: tutto ciò che era bello, lo voleva lui! Questa cosa è rimasta in certe forme di voti: per avere una cosa (o perché succeda una evento) io rinuncio a qualcos'altro. Allora Dio diventa un banchiere che in cambio di qualcosa ti richiede qualcos'altro. Ma Dio non è così; e non fate voti a Dio, perché Dio ha bisogno del vostro amore non dei vostri voti. Per prima cosa scaccia via le pecore (Gv 2,15). Nel capitolo 10 di Giovanni, Gesù si presenta come il buon pastore che si offre e offre la vita per le pecore (Gv 10,11-18). Le pecore rappresentano il popolo: Dio, Gesù, sono i veri pastori e non i sacerdoti. Cosa era accaduto lungo tutto l'A.T.: i sacerdoti del tempio erano ostili a Dio e così Dio cercava di comunicare con il popolo attraverso i profeti, che proprio per questo furono sempre perseguitati. Tutto il libro del profeta Osea è una denuncia di Dio contro le offerte e i sacrifici: "Che mi importa dei vostri numerosi sacrifici; io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate, il sangue dei tori, degli agnelli, dei capri, io non lo gradisco; quando venite a presentarvi davanti a me chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili? Smettete di portare offerte inutili". E poi Dio se la prende con tutto l'incenso, i sabati, le riunioni false in nome di Dio, le liturgie, ecc.: Dio non le sopporta (se non le sopporta Dio figuriamoci il popolo!); Dio non vuole e non ha chiesto tutto questo. Osea 6,6 dice: "Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio e non gli olocausti". E molte volte nel suo vangelo

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Gesù citerà proprio questa frase: "Misericordia io voglio e non sacrificio" (Mt 9,13; 12,7). Gesù si situa lungo la tradizione dei profeti dell'A.T.: "Misericordia io voglio, non sacrificio, offerte". Ma misericordia non è verso Dio ma verso il prossimo. Solo che c'è una differenza fra Gesù e i profeti: i profeti speravano nella purificazione del tempio, che potesse tornare cioè alla sua essenza: "Il tempio è corrotto, purifichiamolo". Gesù, invece, elimina il tempio: "Prima Dio lo si incontrava nel tempio, adesso, invece, lo si incontra in Gesù". Gesù è il santuario, il tempio, di Dio. In Giovanni 4 c'è il dialogo fra Gesù e la samaritana. La samaritana gli dice: "Dio va adorato sul Garizim o al tempio di Gerusalemme?". E Gesù: "Né qui né lì: è giunto un momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito

e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,23-24). E Gesù se la prende in particolare con i venditori di colombe: "Portate via queste cose e non fate della casa del padre mio un luogo di mercato" (Gv 2,16). Perché l'unico rimprovero è per i venditori di colombe? In fin dei conti avrebbe dovuto prendersela di più con i venditori di mucche, se non altro per lo sporco che facevano! Per due motivi: 1. La colomba, da sempre, era immagine dell'azione creatrice di Dio, del suo Spirito e del suo amore. L'amore di Dio è gratuito. Ma se l'amore viene comprato ha nome soltanto una parola: prostituzione. La casta sacerdotale ha prostituito l'amore di Dio per i propri vantaggi. 2. Le colombe erano l'offerta dei più poveri per il perdono delle loro colpe. Gesù non accetta che proprio i più poveri e bisognosi debbano svenarsi per conquistare ciò che è già loro (l'amore di Dio). Poi ci sono le reazioni di quelli che non hanno compreso. I discepoli non capiscono. Loro s'aspettano un riformatore e infatti citano il Salmo 69,10: "Lo zelo per la tua casa mi divora". Dal termine zelo sono nati gli zeloti, un movimento che voleva imporre con la violenza la legge di Dio. I discepoli travisano Gesù e non vedono un'azione di eliminazione del tempio ma

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un'azione di purificazione, come già aveva fatto il profeta Elia. Elia aveva detto: "Sono pieno di zelo per il Signore" (1 Re 19,10). E cos'aveva fatto questo profeta? C'era una divinità pagana, che si chiamava Baal e che aveva i suoi sacerdoti. Elia non li sopportava e li sfida. Fa una prova per vedere qual è il vero Dio. Fanno una catasta di legna, ci mettono le offerte e dice: "Dove scende il fuoco dal cielo, quello è il Dio vero". Vince lui. Non poteva bastare? No. Perché in nome di questo zelo ne scannò personalmente 450! Saulo, un altro pieno di zelo, perseguitava i cristiani. Attenti a quelli pieni di zelo! Chiamano "zelo divino" la loro aggressività e il loro risentimento interno. Ma neppure i Giudei capiscono: "In nome di cosa fai questo? Quale segno ci dai?" (Gv 2,18). Gesù: "Questo tempio che voi distruggerete io lo costruirò in tre giorni" (Gv 2,19). Naturalmente loro banalmente pensano alla costruzione di pietre: "Ma se è stato costruito in 46 anni!". Mentre per i Giudei il culto a Dio è solo esteriore (le pietre del tempio) per Gesù il culto a Dio è interno: Dio non vuole cose da te, vuole solo te. Cosa dice a me, allora questo vangelo? 1. Il vero culto è l'amore. E forse invece di essere continuamente preoccupati di quanta gente viene o non viene in chiesa, dovremo chiederci: "Ma chi viene nelle nostre liturgie, si sente amato da Dio? Va fuori pieno di vitalità, di voglia di vivere?", oppure: "Qui la gente trova l'amore? Qui la gente impara ad amare? Qui la gente impara ad essere misericordiosa, compassionevole?". La gente che si sente migliore perché prega, perché è fedele ai comandamenti, perché non è come gli altri, perché non fa quello che gli altri fanno, Gesù li chiama "ipocriti" (cioè commedianti, attori). Lui non si lascia ingannare: esibiscono le loro opere solo per sentirsi migliori (Mt 6,2). E Gesù dirà: "Se presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5,23-24). Cioè: tutte le tue offerte, le tue preghiere, le tue liturgie, non servono a nulla se hai odio, risentimento, rancore, giudizio per tuo fratello. 2. Il tempio sono io: dentro di me ci sono i mercanti e i cambiavalute, le pecore, i buoi e le colombe e c'è Gesù. Gesù dice ad ognuno di loro: "Fuori di qui! Questa non è casa vostra!". Dentro di me ci sono i cambiavalute: sono quelli che mi danno se io gli do qualcosa. "Se obbedisci, noi ti accettiamo. Se fai come noi, sarai dei nostri. Se mi ami, ti amerò. Se fai il bravo e non sei in peccato, Dio ti accetta". Ma si può comprare l'amore? 1 " 3


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M AR Z O:

QUARTA

D OME NICA

DI

QUARESIMA

per “vedere fatti”

alza lo sguardo

Lunedì 16 marzo

Martedì 17 marzo

Mercoledì 18 marzo

NTRI INCOIANI ANZ

PO GRUPSIONARIO S MI

PI GRUPIGLIA FAM

Sapevi che gli anziani hanno la possibilità di incontrarsi nei nostri oratori il giovedì pomeriggio sia a Montanara che a San Silvestro e che vengono proposti anche gite e pellegrinaggi ?

Sapevi che esiste un gruppo di persone che si prende a cuore il sostegno e il contatto con i missionari, in varie parti del mondo, raccogliendo abiti e materiale didattico, sostenendo a distanza famiglie ?

Sapevi che esistono alcune esperienze di gruppi famiglie, sia giovani che con più esperienza, che si incontrano mensilmente per pregare insieme e confrontarsi?

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 
 «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 
 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Giovedì 19 marzo

PEL

Venerdì 20 marzo

ATIVE INIZI TORIO ORA

GGI

INA LEGR

Sapevi che vengono proposti insieme ogni anno esperienze di pellegrinaggio: in Terra Santa, nei luoghi di San Paolo, a Roma, a Lourdes ... è una esperienza per conoscere, pregare e fare comunità ?

Sapevi che i nostri oratori organizzano momenti di festa (Carenvale, TuttiSanti, eventi musicali), sagre in ogni frazione, gruppi teatrali, percorsi cinematografici... e ciò che vuoi proporre anche tu ?

I N FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL SALMO 136 “VEDERE FATTI”: IN UN MONDO SEMPRE MENO CRISTIANO SIAMO ORGOGLIOSI DELLA FEDE Lungo i fiumi di Babilonia,
 là sedevamo e piangevamo
 ricordandoci di Sion.
 Ai salici di quella terra
 appendemmo le nostre cetre. 
 Perché là ci chiedevano parole di canto
 coloro che ci avevano deportato,
 allegre canzoni, i nostri oppressori:
 «Cantateci canti di Sion!». 
 
 Come cantare i canti del Signore
 in terra straniera?
 Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
 si dimentichi di me la mia destra. 
 
 Mi si attacchi la lingua al palato
 se lascio cadere il tuo ricordo,
 se non innalzo Gerusalemme
 al di sopra di ogni mia gioia.

PA RR OCC HI E D I L E VATA, M ON TA NARA, S AN S ILVES TRO - QUAR E S I MA 2015

Sabato 21 marzo

O FOTOO A N U ALM UN S Il sabato è il momento in cui puoi ripensare a che cosa hai “visto” durante la settimana, portando se vuoi - una foto significativa alla Messa o un salmo che hai pregato o che hai scritto a partire da quanto vissuto

L’esperienza da cui parte l’autore del salmo è la situazione di deportazione. Nel 587 a.C. Gerusalemme viene conquistata e la popolazione viene obbligata ad andare a Babilonia, la capitale del popolo conquistatore. Per circa 40 anni gli ebrei sono ridotti in schiavitù lontani dalla loro patria. Il rischio è rassegnarsi, abituarsi alla nuova situazione, adeguarsi alle divinità del posto. Dio ci ha abbandonati e ci ha dimentica? No, anche in mezzo a tanta tristezza, anche in mezzo a tanta nostalgia per la terra di origine, anche quando non si ha voglia e fiato per cantare e distrarsi, anche quando si viene presi in giro e provocati a cantare i canti della tradizione, il salmista non rinuncia a restare fedele al proprio credo, a restare attaccato al proprio Dio, a credere di poter un giorno ritornare a Gerusalemme. Quante volte anche oggi siamo scoraggiati come cristiani. I nostri figli, pur educati in modo cristiano, non frequentano più e non credono più ... quanti amici ci dicono che non vale la pena credere e continuare a vivere le tradizioni e le pratiche cristiane ... quante persone delle nostre comunità provengono da altre zone dell’Italia, hanno dovuto lasciare i loro paesi di origine e le loro tradizione, facendo fatica a inserirsi nella nostra realtà ... quante volte ci diciamo che non si capisce più niente, le cose sono cambiate, non è più come una volta e tutto sembra aver perso gusto e significato ... Come il salmo possiamo allora pregare Dio: dammi forza, costanza, perseveranza. Piuttosto di rinunciare alla mia identità di cristiano, la morte. 1 " 4


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la luce è venuta nel mondo

E' notte quando Nicodemo, capo dei Giudei, si reca da Gesù. La collocazione temporale che l'evangelista sottolinea non è affatto casuale, ma aiuta anche ad entrare nello stato d'animo di Nicodemo e nella sua situazione di fede. Forse nel suo desiderio di conoscere meglio Gesù possiamo riconoscere il nostro desiderio; forse nel suo "buio interiore" possiamo riconoscere anche le nostre oscurità d'animo. Ci sono tante esperienze della vita che tendono a "spegnere la luce" della nostra fede e a farci apparire la fede e Dio come qualcosa di spento e oscuro. Leggere questa pagina del vangelo è come seguire Nicodemo e metterci ad ascoltare le sue domande e le risposte di Gesù, che sono scritte anche per noi oggi. A Nicodemo Gesù ripropone una immagine biblica che il capo dei Giudei aveva ben presente: Mosè innalza su un palo un serpente di rame perché chiunque del popolo è morso dai serpenti nel deserto non muoia ma trovi immediata guarigione. Per un conoscitore della Scrittura come lo era Nicodemo, quella era una immagine di perdono e di misericordia. I serpenti segno di punizione per il popolo infedele durante l'Esodo, sono sconfitti dal serpente innalzato da Mosè. Gesù si lega a questa immagine per dare un senso alla sua storia, e soprattutto un senso a quello che sta per vivere, cioè la sua morte sulla croce e la sua resurrezione. Gesù innalzato sulla croce ed elevato sulla morte, è guarigione della vita, è segno concreto di un amore che non è mai oscurato dalla morte, è invito a credere in Dio e nell'amore che Dio ha messo nell'uomo. Fede è credere che non c'è notte così oscura da non poter trovare alla fine la luce della pace e dell'amore. Fede è credere che possiamo amare, per quanto oscura possa essere a tratti la nostra vita e le nostre incoerenze. Queste sono parole che non sono solo da leggere e ragionare, ma prima di tutto sono da pregare, da far entrare proprio la dove ci sentiamo oscurati e soli.

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Ci sono momenti nella vita nei quali l'uomo è costretto a prendere coscienza della sua fragilità e a confrontarsi con la paura di perdersi. La sua storia assume contorni quasi drammatici e sembra svanire ogni orizzonte. Mai, come in questi momenti, l'uomo rivela se stesso e le paure che porta nel cuore fanno emergere pensieri, emozioni e sensazioni che si pensava estranei al proprio mondo. Anche il popolo di Israele si è confrontato con tutto ciò quando, nell'esperienza dell'esilio, sperimenta la lontananza di Dio e tocca con mano la morte che annulla ogni progetto e allontana ogni speranza. L'uomo non riesce a guardare in faccia la morte, eppure, solo se imparerà ad avere a che fare con essa, senza volgere altrove lo sguardo, sarà salvato. Nel deserto dovrà guardarla nelle sembianze del serpente per essere salvato dal morso mortale; ma in Cristo crocifisso potrà guardarla nella sua crudele verità ed essere salvato dal morso del peccato. Là dove l'uomo sperimenta il proprio limite e la propria vulnerabilità, Dio rivela la sua forza e realizza la sua promessa. La morte di Cristo non è solo un gesto d'amore, ma è l'Amore stesso nel quale ogni uomo può tornare a rivivere. Contemplando i tratti dell'Amore sul volto del Cristo Crocifisso, l'uomo può sentirsi accompagnato

nell'affrontare ogni paura. Gesù parla di una necessità ("bisogna") che non sta in Dio, ma in me. È necessario, perché io mi convinco che qualcuno mi vuole bene solo quando verifico che egli è disposto a morire per me. Gesù innalzato è la dimostrazione della sua disponibilità nei confronti dell'uomo, non solo a darci tempo, energia e vita, ma anche ad essere rifiutato e ucciso. Il discorso che Gesù fa a Nicodemo va al cuore del Vangelo: Dio ha tanto amato il mondo da mandare in mezzo a noi il suo Figlio sapendo bene quale fine avrebbe fatto. In mezzo a noi uomini non sarebbe stata una passeggiata, in mezzo agli uomini Gesù non avrebbe riscosso un successone, non avrebbe incontrato la gratitudine, la benevolenza, l'accoglienza che pure meritava. Eppure Gesù ha accettato, in obbedienza a Dio, suo Padre, e per amore nostro, suoi fratelli, di venire a condividere la nostra condizione e accettare di consegnarsi nelle nostre mani, senza farsi mai uscire una parola di giudizio, di condanna, ma solo di perdono. La salvezza sta tutta nell'accogliere il suo servizio. Contrariamente a quanto pensiamo solitamente, la salvezza non sta nel fare noi qualcosa per Dio, quanto piuttosto nell'accogliere quanto Lui fa per noi. Il Figlio è il grande dono del Padre, Egli è la luce che viene nelle tenebre. don Luca Orlando Russo

Questo brano si trova nel vangelo di Giovanni ed è un pezzo di un brano molto più lungo. Infatti per capire questo brano bisogna capire a chi si rivolge Gesù e ciò che accade prima, altrimenti non si può comprendere ciò che qui si dice. Nel vangelo di Giovanni ci sono solo due personaggi che sono chiamati "maestri". Sono questi due qui, Nicodemo (Gv 3,10) e Gesù (Gv 13,14). Entrambi sono maestri, ma il loro insegnamento è quanto di più differente si possa immaginare. E quando i due maestri si incontrano nasce la polemica. Nicodemo (Gv 3,1) è un fariseo e fra farisei, sacerdoti, scribi, cultori della legge e Gesù c'è totale incompatibilità. Già il suo nome, Nicodemo, è tutto un programma: vuol dire infatti "vincitore del popolo". Allora: questo è un uomo che non sbaglia, che quando parla ha sempre ragione, che ha studiato e nessuno riesce a tenergli testa; questo è un uomo di scienza e di sapienza, e lui lo sa! Questo è un uomo che basa sulla sua capacità di parola, di studio, la sua superiorità. Ma non è tutto nella vita! Anzi, a volte, ciò che sai è il più grande impedimento per la Vita. L'incontro avviene di notte (Gv 3,2). Forse c'è andato di notte per non farsi vedere da nessuno.

Ma "notte" in Giovanni indica la tenebra che tenta di soffocare la luce di Gesù. Notte è quando tu non hai riferimenti e non sai dove andare; notte è quando la confusione è tale che sei perso; notte è quando non c'è nessuna luce e nessuna speranza dentro di te. Allora è notte. Og Mandino aveva fin da piccolo un sogno: diventare scrittore. Pochi giorni dopo il diploma gli muore la madre e non può più frequentare l'università. Il sogno sembra infrangersi. E' costretto a iscriversi in aereonautica e comanda un bombardiere durante la guerra. Finita la guerra ci riprova: compra una macchina da scrivere e scrive, ma nessuno gli compra niente. La sua vita va a rotoli, fino a diventare un ubriacone, barbone, senza lavoro né casa. Un giorno vede una rivoltella in un negozio: costo 29 dollari! Lui ha in tasca 30 dollari; è tutto quello che gli rimane. Gli sembra un segno: porre fine alla sua miserabile e insignificante vita. Questa è la notte: quanto tutto sembra finito, quando vivere non ha più senso, quando tra vivere e morire non c'è più differenza, quando ci si trascina stancamente. Una donna ha chiuso ogni tipo di rapporto con sua figlia, perché sua figlia si è trovata un altro uomo. Notte. Un

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uomo ha picchiato suo figlio perché ha rotto il bicchiere. Notte. Una donna ha impedito a sua figlia la scuola superiore perché a lei non piaceva. Notte. Ad un uomo hanno diagnosticato un tumore in metastasi, cinquant'anni! Notte. Ma è in quel momento preciso che Og Mandino sente riaffiorare il suo incredibile sogno: scrittore. E sente la voce dentro di sé: "Non è mai troppo tardi". E' il momento della luce di Dio: lui la prende e la accoglie. Sembra impossibile, eppure lui ci crede. E' diventato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, vendendo più di trenta milioni di copie. E Nicodemo dice a Gesù: "Sappiamo (parla a nome dei farisei) che sei un maestro venuto da Dio; nessuno può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui" (Gv 3,2). Nicodemo inizia a parlare ma parla di altro. Non parla del suo reale problema. Eppure a lui manca qualcosa. Ma lui non sa cosa. Nicodemo neppure ha idea di quale sia il suo problema e la sua vera sete. Questo succede spesso quando le persone vengono a parlare: ti portano un problema di superficie, ma il vero problema sta sotto, è nascosto, non è evidente, ed è molto più doloroso di quello di superficie. Gesù allora lo centra: "Nicodemo se tu non rinasci "anothen" non puoi vedere il regno di Dio" (Gv 3,3). Anothen vuol dire sia "dall'alto" che "di nuovo". 1. Di nuovo vuol dire: "Tua madre ti ha fatto nascere. Non hai scelto tu di nascere. Lei ti ha messo al mondo e tu ci sei. Che tu lo voglia o no, adesso ci sei. Sei nato. Questo non lo hai scelto tu". Questa è la prima nascita. Ma poi c'è la seconda nascita, la rinascita: "Adesso decidi tu di partorirti; adesso decidi tu di nascere, di vivere, di espanderti, di realizzare il potenziale che sei, di venire fuori, di emergere. Adesso ti partorisci tu". Questa nascita dipende da te e da nessun altro. Nessuno può costringerti a rinascere, a vivere cioè in prima persona la tua vita e a viverla secondo la tua forma. Tu vuoi essere te? La seconda nascita è dolorosa (soprattutto per te) perché devi mettere fine ad un mondo (il mondo della dipendenza dagli altri) per nascere al mondo dello Spirito (il mondo della libertà). Tutti esistono, alcuni anche vivono. Nicodemo è un uomo dominato dalla legge, da ciò che gli altri si aspettano, dal buon senso comune. Rinascere è far morire tutto ciò che prima sembrava vitale. Nicodemo qui non ci capisce niente e infatti dice: "Ma dai Gesù, come può uno rinascere quando è vecchio?" (Gv 3,4). Ma dopo la morte di Gesù anche lui rinascerà. Già una prima volta si era schierato a favore di Gesù quando sommi sacerdoti e farisei avevano mandato le guardie per arrestare Gesù, ma queste non lo fecero

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giustificandosi: "Nessun uomo ha mai parlato così" (Gv 7,46). Al che reagirono dicendo: "Ma vi siete lasciati ingannare anche voi? Questa gente (le guardie), che non conosce la Legge è maledetta" (Gv 7,47-49). Allora intervenne Nicodemo dicendo: "La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?" (Gv 7,51). Ma questi gli risposero: "Sei forse anche tu della Galilea? Studia! E vedrai che dalla Galilea non sorge profeta" (Gv 7,52). Ma dopo la morte di Gesù sarà proprio lui a provvedere alla sepoltura di Gesù (Gv 19,38-42): il fatto che sia lui a provvedere indica che non è d'accordo con l'ingiustizia commessa e l'aver toccato un cadavere non gli consentirà di celebrare la festa imminente di Pasqua. Nicodemo, maestro d'Israele, trasgredisce la Legge. Non ha seguito Gesù da vivo, ma lo ha seguito da morto. Nicodemo è rinato. 2. Dall'alto vuol dire: "Ci serve una prospettiva più ampia, spirituale, per vivere". "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito" (Gv 3,3). Se non hai questa prospettiva, rimani radicato nella materialità della vita. Milton Erickson, famoso psichiatra, a 19 anni rimase completamente paralizzato, colpito da poliomelite. Il dottore disse alla madre: "Non arriverà a domani". Milton, che sentiva tutte le parole ma che non riusciva a muoversi, si disse: "Supererò tutto questo e farò della mia vita un dono per tanti altri". E così fu. E' morto a 79 anni. (Quando a 70 anni gli chiesero quanto sperava ancora di vivere, lui ironicamente disse: "I medici mi dicono che arriverò a 20 anni!"). Questa è una visione, un motivo spirituale, una missione per cui vivere. Se si ha una missione, una visione forte, un motivo per l'umanità per cui vivere, allora tutto è possibile, allora si ha una forza irresistibile. Alessio Tavecchio ci ha raccontato la sua esperienza: a 23 anni ha avuto un terribile incidente in moto ed è stato paralizzato alle gambe. Lì in sogno ha una visione dove una donna gli dice: "Vuoi venire con me o vuoi tornare indietro?". E lui dice: "Torno indietro e farò della mia vita una missione". Ha imparato a sciare, ha partecipato alle paraolimpiadi, ma soprattutto gira l'Italia testimoniando quanto sia importante credere in se stessi e in Dio. Abbiamo bisogno di una prospettiva dall'alto della nostra vita, cioè di vederci in un piano, in un'ottica più grande. Altrimenti ci attacchiamo ai soldi, al successo, ai figli, al coniuge e facciamo di loro la nostra missione e il nostro scopo. Ma noi siamo qui per vivere e realizzare un sogno, una visione, qualcosa che sia utile per il mondo. Quando si serve un valore grande ci si

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sente utili, importanti e si è disposti a tutto. Io vengo dall'Alto e sono qui di passaggio per annunciare un messaggio. Non mi devo mai dimenticare chi sono (figlio di Dio), da dove vengo (dall'Alto) e dove vado (nell'Amore di Dio). Non sono qui per caso o per sbaglio: sono qui per un motivo preciso e specifico. Il libro dei Proverbi 29,18 dice: "Quando manca una visione, il popolo è senza freno". Anche per le nazioni e i popoli è così: quando una comunità non ha un valore da inseguire, si perde in sciocchezze. E per ricordarci chi siamo e da dove veniamo (dall'Alto) Gesù cita un esempio (Numeri 21,1-9). Durante l'esodo il popolo ebreo si ribellò a Mosé e a Dio, e venne punito da Dio con la piaga dei serpenti velenosi. Accortisi del loro peccato, gli ebrei chiesero perdono a Dio. Dio accettò il loro ravvedimento e disse a Mosé: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita", E così avvenne. Allora: il serpente segno di pericolo, di morte, di disperazione, di rovina diventa segno di vita. Così la croce, segno di paura, di morte, di terrore, di fallimento, di sofferenza diventa segno di vita. La croce indica tutto ciò che fa paura, che è pericoloso, che è mortale (come il serpente lo era). E la paura più grande è la paura di morire. La grande verità è che i tuoi figli, tua moglie o chi ami ti abbandoneranno e tu rimarrai senza di loro. La grande verità è che anche tu morirai e abbandonerai chi ami. Allora: ciò che prima faceva paura e terrore (la croce, la morte, il serpente) adesso, da quando Gesù ha vinto questa paura, l'ha affrontata ed è stato risorto da suo Padre, non fa più paura (Gv 3,15). Per questo "bisognava" che Gesù finisse in croce, non per "pagare per noi", ma per mostrarci, per farci vedere, che di Dio non c'è motivo di aver paura, che Dio non abbandona, che Dio non lascia, che con Dio non ci si perde. Dio, infatti, non ha mandato suo Figlio per condannarmi, giudicarmi, per vedere quanto io sia stato bravo: se ho "il sei", entro nella vita eterna, altrimenti rimango fuori, nell'inferno eterno e non sono degno di Dio. Dio ha mandato suo Figlio, cioè ciò che aveva di più caro, perché ci ama, perché vuole che tutto viva per sempre e senza fine. Tutto quello che Dio fa', lo fa per me e perché io viva per sempre. Dio e il suo Figlio sono venuti per darmi la vita (Gv 3,16): la vita vera, profonda, intensa. Allora posso osare, rischiare, vivere, perché la morte, la fine, non fa più paura con Lui. Prima se il serpente della morte ti mordeva morivi; ma ora non più. Per questo si può vivere e si può morire, perché la morte non ha più potere su di noi. don Marco Pedron 1 " 6


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M A RZ O:

QUI NTA

DOM ENICA

DI

QUARESIMA

per “vedere fatti”

guarda in profondità Lunedì 23 marzo

Martedì 24 marzo

NE IAZIO C O S AS DALE I

SAN ENZO LOR

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Sapevi che a San Lorenzo è stata ristrutturata dall’omonima associazione una corte che ospiterà la Comunità Giovanni XXIII che è composta da famiglie che accolgono persone con gravi disagi o handicap ?

Sapevi che a Levata si sta strutturando una associazione che lavorerà un terreno preso in affitto che coinvolgerà persone con disagio o in difficoltà lavorative ?

Mercoledì 25 marzo

Giovedì 26 marzo

Venerdì 27 marzo

Sabato 28 marzo

DI CASAOGLIENZA C AC

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O FOTOO A N U ALM UN S

Sapevi che a Levata verranno messe a disposizione due piccoli appartamenti vicino alla Chiesa per accogliere, in accordo con Caritas Diocesana, famiglie o persone in difficoltà ?

Sapevi che i ministri dell’eucarestia delle nostre parrocchie non solo portano la Comunione ai malati nelle case, ma cercano di diventare punti di riferimento e di contatto nei nostri quartieri ?

Sapevi che nelle nostre parrocchie è attivo il servizio di doposcuola, sia nel periodo scolastico che nel periodo estivo, sia per i bambini delle elementari che per i ragazzi delle medie, coinvolgendo volontari ?

Il sabato è il momento in cui puoi ripensare a che cosa hai “visto” durante la settimana, portando se vuoi - una foto significativa alla Messa o un salmo che hai pregato o che hai scritto a partire da quanto vissuto

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvici-narono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 
 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». 
 Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
 La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

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UOLA

I N FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL SALMO 50 “VEDERE FATTI”: ESSERE PERDONATI Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
 nella tua grande misericordia
 cancella la mia iniquità.
 Lavami tutto dalla mia colpa,
 dal mio peccato rendimi puro. 
 
 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
 rinnova in me uno spirito saldo.
 Non scacciarmi dalla tua presenza
 e non privarmi del tuo santo spirito.
 
 Rendimi la gioia della tua salvezza,
 sostienimi con uno spirito generoso.
 Insegnerò ai ribelli le tue vie
 e i peccatori a te ritorneranno. Il “fatto” che fa sgorgare questa preghiera è un grave peccato: il Re Davide ha fatto uccidere uno dei suoi migliori amici e soldati per poter conquistare la moglie. Una ingiustizia grave, un peccato grave, che non resta nascosto a Dio. Può una situazione così essere cambiata? Può essere perdonata e riscattata? Il Re Davide si rivolge a Dio, inizia un cammino penitenziale molto rigido e serio. Desidera con tutto il cuore che il suo peccato sia cancellato, i suoi sensi di colpa siano attenuati. Non si giustifica, non cerca di attenuare la gravità della situazione: solo Dio può renderlo una persona nuova, solo Dio può cambiare il suo cuore. E l’esperienza di essere perdonato diventa occasione di testimonianza verso gli altri. Pregare questa settimana questo salmo è una occasione per prepararsi a celebrare il sacramento della Confessione, riconoscendo non solo il nostro peccato ma soprattutto la misericordia di Dio. 1 " 7


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Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che sento mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, due immagini come sintesi ardente dell'evento Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: morire, non morire. Ipotesi o necessità, pare oscurare tutto il resto, mentre invece è l'inganno di una lettura superficiale. L'azione principale, lo scopo verso cui tutto converge, il verbo che regge l'intera costruzione è «produrre»: il chicco produce molto frutto. L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un guscio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma ma rinasce in forma di germe, non uno che si sacrifica per l'altro - seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa ma tutto trasformato in più vita: la gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale come in quello spirituale «la vita non è tolta ma trasformata», non perdita ma espansione. Ogni uomo e donna sono chicco di grano, seminato nei solchi della storia, della famiglia, dell'ambiente di lavoro e chiamato al molto frutto. Se sei generoso di te, di tempo cuore intelli-genza; se ti dedichi, come un atleta, uno scienziato o un innamorato al tuo scopo, allora produci molto frutto. Se sei generoso, non perdi ma moltiplichi la vita. La seconda icona è la croce, l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (K. Rahner). Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita indistruttibile, e ci trascina fuori, in alto, con sé. padre Ermes Ronchi

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Ritorna, in questa quinta domenica di quaresima, la parola Alleanza. La prima lettura di oggi infatti parla di una alleanza nuova che Dio vuole stringere con il suo popolo. La prima cosa che mi colpisce è che questa è una esigenza di Dio o per lo meno a me pare così. Dio non può fare a meno di questa relazione con il suo popolo, che già si è allontanato una volta, che già si è dimenticato, che già ha rotto una prima alleanza. Dio sembra quasi fare ammenda per un suo errore quando dice che nella precedente alleanza aveva preso per mano il suo popolo e si rende conto che prendere per mano non è sufficiente, è necessario prendere per il cuore. Mi sembra davvero bellissima la prima lettura che la chiesa ci consegna questa domenica e nella sua semplicità, anche illuminante, provo a condividere l'dea che mi sono fatto: un Dio che prende per mano un popolo e dona una legge scritta su tavole di pietra è un Dio che rimane all'esterno. Trovo una conferma di questo nell'espressione: hanno infranto l'Alleanza benché fossi il loro Signore... Parafraso: ero io che comandavo, ero io che davo gli ordini, ero io il capo e loro non mi hanno obbedito. La relazione con chi si pone come capo è sempre una relazione difficile. Le cose cambiano perché Dio stesso parla della necessità di una nuova alleanza dove Egli non sarà più il nostro capo, colui che comanda, ma semplicemente sarà il nostro Dio e noi il suo popolo (v. 33) Che bello! Dio parla il linguaggio dell'appartenenza reciproca. Don Nicolini scrive a questo proposito una cosa bellissima: Sembra quasi che Dio voglia porre una differenza nel suo modo di essere con noi, non più secondo un dominio, un comando, ma secondo un'intimità. Sarà una situazione di straordinaria bellezza, dove ognuno avrà una sua relazione ricca e piena con Dio, senza "dipendenze" da altri, ma in una condizione di piena comunione fraterna, "dal più piccolo al più grande" (questa è un'altra perla di bellezza, perché non dice "dal più grande al più piccolo"!). La nostra esperienza di fede, che è sempre esperienza pasquale (fatta cioè di tante morti e altrettante resurrezioni) sarà immersa totalmente nella misericordia di Dio: perdonerò la loro iniquità, non ricorderò il loro peccato. Ognuno di noi può conoscere Dio nella misura in cui si abbandona alla Sua misericordia, ossia si riconosce bisognoso di amore, vicinanza, perdono. E' un cammino bello questo, perché è un cammino per cuori poveri, umili, mendicanti, solamente un cuore povero può aprirsi a Dio, accoglierlo, riceverlo, lasciarsi scrivere sopra da Lui. C'è un punto in comune, secondo me, tra le letture di questa domenica che sintetizzo così: nel fallimento, la salvezza. Il brano di Geremia infatti si colloco nel "disastro generale" di Gerusalemme, quando la città viene

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distrutta. In questo momento di profonda crisi Geremia dice che c'è una possibilità nuova per vivere, una opportunità nuova per conoscere il volto di Dio. E' necessario fallire per conoscere la bontà e la misericordia di Dio. Dio stesso desidera qualcosa di diverso, di più profondo, è necessaria una maggiore intimità, è necessario per lui entrare nel cuore ed è necessario per noi (lo ripeto), lasciarsi scrivere nel cuore. Se volete, anche la seconda lettura parla di un fallimento (agli occhi degli uomini): quello di Gesù che fa della sua vita terrena un grido al Padre, una supplica (chi è disperato supplica...), un pianto, un patire. Tutto questo a me pare invece di una bellezza straordinaria: la lettera agli Ebrei mi racconta di un Dio vicino, dipinge il volto di un Dio che una volta di più è amore. In poche righe la seconda lettura ci regala il volto di un Dio umanissimo, perché non tutto nella sua vita è stato splendente come nel giorno della Trasfigurazione. Non possiamo non sentirlo alla nostra portata, perché anche la nostra relazione con il Padre è spesso grido, lacrima, supplica. Ringraziamo l'anonimo autore della lettera agli Ebrei perché ci dice che per Gesù, più della sua stessa vita conta l'obbedienza al progetto del Padre, la fede (per il suo pieno abbandono a Lui), l'amore ad ogni donna e uomo che provano a camminare e a crescere (divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono...). Dio Padre ascolta il grido di Gesù e nel grido di Gesù quello di ogni persona che si rivolge a Lui e lo libera dai lacci della morte: ancora una volta, nel fallimento, la salvezza, che è quel frutto che la vita di Gesù porta, proprio perché è una vita donata ci dice il vangelo. Il primo cuore che si è lasciato scrivere da Dio allora è quello di Gesù. Trovo bella l'intuizione della comunità di S. Egidio che in un commento alla Parola di Dio di questa domenica scrive: in Gesù si compie questa nuova alleanza, perché lui stesso rievocherà, nell'Ultima Cena, la profezia di Geremia, quando, parlando del suo sangue versato dice: questo è il calice della nuova ed eterna alleanza. Una alleanza non più scritta su tavole di pietra, ma nel cuore stesso degli uomini. Il primo cuore su cui essa è scritta è quello stesso di Gesù: sulla croce, squarciato dalla lancia, quel cuore effonde tutto il suo sangue fino all'ultima goccia. Il brano di vangelo ci chiede, a mio avviso, di sostare su quella richiesta che i greci fanno a Filippo: Vogliamo vedere Gesù! Intuisco che è una richiesta sbagliata, perché il cristiano non è l'uomo della visione, e quindi delle certezza, ma è l'uomo dell'ascolto, e quindi della fiducia; ma trovo che in quella richiesta ci sia il desiderio legittimo di un incontro, al quale, forse inconsciamente, tutti aspiriamo, un incontro che tutti desideriamo fare: quello con Colui che salva la nostra vita dandole un senso e una direzione. don Maurizio Prandi 1 " 8


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PALME

vedere “il” fatto Davvero era Figlio di Dio! Domenica 29 marzo

Lu-Ma-Me 30-31-1

Giovedì 2 aprile

Venerdì 3 aprile

LE PALME ore 830 Messa a Levata ore 9 Messa a Montanara ore 9:30 Messa a San Silvestro ore 10:30 Benedizione dell’Ulivo a Eremo presso i giardini di via Francia; quindi processione verso il Boschetto dove ore 11:00 Santa Messa (Palasigla.com)

QUARANTORE

MESSA CRISMALE

CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE E MORTE DI GESU’

Sabato 4 aprile

Domenica 5 aprile

ore 9 - 12 e 15 - 19 PASQUA DI Confessioni presso la RESURREZIONE chiesa di San Silvestro orari Sante Messe VEGLIA PASQUALE ore 14:30 per i ore 8:30 Levata ore 9 - 12 e 15 - 19 Sacri Olii bambini e i ragazzi ore 21:30 e 20:30 - 22:30 ore 9:00 Montanara andando a Mantova Eremo, Palasigla.com ore 9:30 S.Silvestro presso ogni parrocchia MESSA in COENA in pullman ai Sacri DOMINI con il rito della Vasi partendo da ore 10:30 Boschetto (Palasigla.com) lavanda dei piedi ogni parrocchia Se vuoi puoi portare anche questa domenica ore 17:00 Grazie ore 21 ore 21 per tutti Eremo, Palasigla.com Eremo, Palasigla.com una foto o un salmo ore 18:00 S.Silvestro frutto della riflessione e Adorazione Eucaristica ore 9:30 e tempo per le Mantova, S.Andrea confessioni con la benedizione dei

Dal vangelo di Giovanni Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
 Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
 Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

della settimana

I N FA M I G L I A P R E G H I A M O CON IL SALMO 21 “VEDERE FATTI”: PERSEGUITATI MA NON VINTI Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
 storcono le labbra, scuotono il capo:
 «Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
 lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,
 mi accerchia una banda di malfattori;
 hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
 Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,
 sulla mia tunica gettano la sorte.
 Ma tu, Signore, non stare lontano,
 mia forza, vieni presto in mio aiuto.

«Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono pane. Così fan tutti, tutti. I cristiani invece stanno vicino a Dio nella sua sofferenza» (Bonhoffer)

Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
 ti loderò in mezzo all’assemblea.
 Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
 gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
 lo tema tutta la discendenza d’Israele. Sulla croce, Gesù prega con il salmo 21. E’ la preghiera che parte dall’esperienza di essere perseguitati, ostacolati, messi alla prova della propria fede. E Dio non può restare lontano, non può tacere, non può non difendere il suo eletto: questa è la certezza di chi è messo alla prova, tanto da sapere che arriverà il momento in cui verrà annunciato a tutti la grandezza e la fedeltà del Signore nel sostenere il suo popolo. Il cristiano, come Gesù, lotta contro il male avendo fiducia nell’aiuto di Dio.

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La Passione di Gesù è la storia di un uomo innamorato perdutamente di Dio. Questo suo amore e la fedeltà a quest’amore lo portarono fino all’esito estremo della morte. Possiamo capire quello che accade in questi eventi solo rifacendoci alla passione che quest’uomo ebbe per le persone, per chi era lebbroso, per le donne, per gli ultimi, per tutto ciò che era piccolo, insignificante e rigettato dagli uomini. Gesù era innamorato dell’uomo, perché lì vi trovava una ricchezza più profonda: Dio. Nel racconto della Passione questo amore e questa passione sono la forza, la scelta di percorrere fino in fondo il suo cammino in fedeltà al suo cuore, alla sua anima e al suo Dio. Ciò che qui Gesù compie è nient’altro che la continuazione estrema di tutta la sua vita. Tutta la sua vita è stata vissuta con passione, con intensità, bruciando, amando, piangendo, non passando indifferente vicino a niente, infuocato ora d’amore e ora di sdegno. Una vita vibrante, appassionata, ricca di tutti i sentimenti che un uomo può provare. Gesù pensa: “Sono stato accompagnato per tutta la vita da una Mano che mi ha indicato la strada e che mi ha condotto con amore. Sono stato condotto dalla mia coscienza a mettere in discussione tante norme, leggi e usi consolidati per secoli, preso per eretico e per pazzo. Sono stato spinto a fidarmi di ciò che sentivo, a non aver paura di chiamare Dio con il nome di Padre, a credere nella forza che c’è in me, a credere nella forza degli uomini. Sembrava incredibile, ma non lo era; sembrava impossibile e, invece, si è verificato. Mi sono fidato e la Vita mi ha condotto. Sono stato fedele a questa Voce e lei è stata fedele a me. Non mi ha mai tradito. In tutti questi momenti sembrava di essere di fronte a qualcosa d’impossibile. Ma io le ho creduto e lei mi ha dato ragione. Adesso mi trovo di fronte a qualcosa di incomprensibile, di inspiegabile, di non ragionevole, di atroce. Non capisco, ma mi fido. Dio non mi ha mai tradito. E, se è Dio, non lo farà neppure ora”. Così Gesù rimane fedele alla sua vita, al suo amore per l’uomo e per tutto ciò che vive, e soprattutto alla sua unica e vera passione: Dio. E quando tutto sembrò finire, concludersi; quando tutto sembrò chiudersi Dio non lo tradì. La Passione è la storia di quest’uomo fedele a se stesso e al proprio profondo, innamorato di questo Dio che non lo lasciò, ma che confermò con la resurrezione che tutto ciò che Gesù viveva era Dio. In Gesù possiamo anche noi acquisire la forza per compiere il nostro viaggio, fino in fondo, e per vivere con

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passione la nostra vita. In tutti questi personaggi ci possiamo rispecchiare per capire come noi viviamo nella vita di ogni giorno, con quali atteggiamenti e con quale fiducia o paura. In loro possiamo rivederci e ritrovarci, e comprendere meglio più in profondità la nostra vita. Non sono altro che simboli profondi che vivono in ciascuno di noi e in ogni uomo. La liturgia di quest’anno propone la passione secondo Marco 14, 1-3: il complotto contro Gesù “e non se ne sono accorti!” Sacerdoti e scribi tentano di ucciderlo, ma la cosa dev’essere silenziosa e ingannevole. Non si deve sapere, non dev’essere pubblica, deve rimanere un affare privato. Il male ama l’inganno e il nascondimento. Il male si insinua pericolosamente nella vita delle persone e del mondo, e queste non se ne accorgono. Il male manipola le notizie, gestisce le informazioni, falsifica la realtà e quasi nessuno se ne accorge. Il Figlio di Dio è stato condannato e ucciso come un impostore e tutto è stato costruito sulla falsità. E’ successo 2000 anni fa. Succede ancora. E non se ne sono accorti! 14, 3-9: l’unzione di Betania. “Non ci resta che amare”. Due giorni prima della crocifissione Gesù partecipa ad una cena a Betania. Una donna gli si accosta e gli unge il capo con un unguento prezioso. Non era un gesto insolito, ma si usava, in genere, solo in occasioni solenni. Il valore dell’unguento è molto elevato, stimato quasi quanto il salario annuo di un lavoratore. A 15 anni si ha l’illusione e l’afflato idealistico di credere che si potranno risolvere tutti i problemi umani. A 20 anni si crede che le guerre potrebbero finire, basterebbe che le parti accettassero il disarmo, e che sia colpa solo di alcuni stupidi politici se le cose vanno così. A 25 anni si scopre che i dittatori non si creano da sé, ma vengono generati dalle circostanze storiche e che sono il frutto di un sistema molto più ampio, accettato e voluto. A 30 anni si capisce che in quel sistema ci siamo anche noi, e che non sono le armi fanno le guerre, ma sono l’odio, l’angoscia, la paura e la disperazione che abitano dentro i nostri cuori che producono i conflitti, creando il bisogno di difendersi, di attaccare, di distruggere il pericolo prima che il pericolo distrugga noi. Si capisce che in casa nostra ci sono guerre mondiali. L’unica differenza è che si combattono tra 3-4 persone; che sangue, vendette e odio scorrono a piene mani nelle nostre case, con i nostri vicinanti e nei nostri rapporti. Si capisce che i duci e i dittatori li abbiamo al lavoro, in casa nostra, nelle nostre vie.

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Allora si comprende che non resta altra cosa da fare che cambiare noi stessi. Non cambieremo il mondo, ma potremmo cambiare il nostro mondo. Allora si capisce che il vero e unico territorio su cui siamo sovrani è il nostro cuore e che lì possiamo decidere se fare della nostra vita un campo di battaglia o di pace. Questo è quello che fa Gesù. Non è riuscito a cambiare il mondo, non è riuscito a portare il regno di Dio sulla terra, e in questo ha fallito. Ma ciò che ha potuto fare è stato portare il Regno di Dio nella sua vita e con la sua vita. Anche noi viviamo l’impotenza di Gesù quando di fronte a certe situazioni, dopo aver lottato con tutte le nostre forze e con tutta la passione che abbiamo dentro, non ci resta che stendere la mani perché ci ritroviamo impotenti. E’ a questo punto che si fa avanti questa donna con un gesto di assoluta bontà. Che cosa può fare questa donna per Gesù? Niente. In che modo lo può aiutare? In nessun modo. Può togliergli la delusione, il senso di fallimento, di fine che Gesù vive? No. Questa donna non può fare più niente, non può cambiare o togliere niente dal corso che hanno preso gli avvenimenti con Gesù. Non può fare nulla. Ma può amarlo. E così le sue mani delicate e tenere, curano, accarezzano e sollevano il capo di Gesù. “Lasciatela stare, lasciatela che mi ami, lasciate che mi conforti, lasciate che si prenda cura di me”. E’ l’amore! Quando non si può fare più niente, possiamo sempre amare, stare vicini, stare a fianco, prenderci cura, stare silenziosamente presenti. Quando più nulla è possibile fare, non ci resta che amare. E questo è tutto il nostro potere. 14, 10-21: Giuda “L?illusione del denaro”. Come è stato possibile che uno di quelli che seguivano, che amavano Gesù lo abbia tradito? Come è stato possibile che uno di quelli che per Lui avevano lasciato tutto lo abbia consegnato ai nemici? Rimane un mistero. Marco fa un accenno al denaro. Cosa non si fa per denaro? Chi non si vende per denaro? Per il denaro si vende ciò che si ha di più prezioso, di più caro, di più importante: il proprio cuore, la propria anima, l’affetto e il proprio tempo. E quando noi abbiamo perso tutto questo per il denaro, cosa ci rimane? Chi insegue il denaro finisce come Giuda, che disperato s’impicca. Il denaro è un’illusione affascinante che ti conduce alla disperazione quando ti accorgi che, credendo di aver tutto, di poter tutto, in realtà, non hai niente, non hai amato, non hai vissuto, hai solo inseguito un’illusione, un’apparenza e un sogno. E’ la morte. 14, 22-25: l’eucarestia

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“Che io sia come il pane e come il vino” Il sinedrio ha già deciso di condannarlo. Gesù, come ogni buon ebreo, ogni anno celebra la Pasqua. Tutto si svolge secondo lo schema solito, rituale. Da tanti anni, fin da quando erano bambini i Dodici avevano celebrato così la Pasqua, il passaggio del Mar Rosso, la liberazione dalla schiavitù. Ma adesso Gesù aggiunge alla preghiera due frasi: “Prendete questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”. Gesù si chiede il senso della sua vita, di ciò che ha detto e di ciò che ha fatto. Tutto sembra crollare, svanire, dissuadersi. Cosa rimane? Che senso ha la sua vita? Gesù si identifica nel popolo ebreo: lui è solo, reietto e perseguitato come il popolo ebreo in Egitto. Lui è pieno di angoscia per quel passaggio. Gli sembra che tutto sia finito, che il mare della morte sia invalicabile (così sembrò il Mar Rosso agli ebrei). Lui è quell’uomo che vaga nel deserto, tra pericoli, serpenti, nemici, e che crede in una terra promessa che Lui chiama “regno di Dio”. Lui è quel Mosè che celebra la Pasqua. Lui è quel Mosé che invita gli uomini a credere in un regno davvero diverso, nuovo, inaspettato, e che per questo si prende tutto l’odio e la rabbia degli uomini stessi. Ma adesso con l’immagine del pane e del vino, Gesù fa della sua vita un dono. Gesù dice: “Sì, sono io quel pane che viene spezzato. Sì, sono io quel vino che viene versato. La mia fedeltà mi sta portando verso quest’estrema conseguenza della mia vita. Ma se deve succedere così, perché non può compiersi come il morire del grano del campo, come il morire dell’uva sui colli, che nella morte ringiovaniscono e nel morire risorgono? Desidero che la mia vita sia come il grano, che si dona e diventa alimento, vita, per molte persone. Desidero che dal mio morire, che dal mio andare fino in fondo, altri gustino la vita. Desidero che la passione della mia vita, il mio vibrare e il mio sangue siano ebbrezza, gusto, fuoco per altre persone. Vorrei essere per tutti voi un po’ di pane e un po’ di vino. Vorrei che la mia vita, che sta per finire, diventasse per voi e per il mondo alimento, vita, sapore, gusto, senso e felicità. Con queste parole Gesù affronta la sua sofferenza. Non gli sarà tolta: niente esternamente cambierà. Ma tutto sarà diverso, perché adesso c’è una preghiera, un senso su ciò che sta per accadere. Nonostante tutto, al di là di tutti i motivi razionali, il tuo dolore sarà qualcosa di buono. Saprai, come nel pane e nel vino, che ciò che è frantumato crea nuova vita. La tua sofferenza diverrà nuova vita; anche se perdi la vita non morirai e, se ti lascerai portare, dalla tua morte tu meravigliosamente risorgerai a nuova vita. Cosa poteva

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donarci di più Gesù? Gesù non ci ha donato solo delle belle parole, dei bei miracoli, dei bei discorsi. Gesù si è donato lui stesso a noi. Questo è il vertice della vita. Quando non ti dono più delle cose, dei regali, alcune parti mie (l’intellligenza, la mia simpatia, i miei soldi, il mio fascino), ma ti do, ti dono, tutto me stesso. L’amore è donarsi. L’amore vuole darsi e darsi del tutto, fino alla fine, completamente. La vita che c’è in noi vuole darsi fino a viversi tutta. In ogni eucaristia noi celebriamo questo: l’eucaristia è un amore donato. E in ogni amore donato noi celebriamo un’eucarestia. 14, 26-42: il Getsemani “Ho paura di morire e di morire da solo” Marco ci presenta Gesù che prega: il Getsemani (“frantoio per l’olio”). Gesù avrebbe potuto fuggire, ma decide di andare fino in fondo alla sua missione. Gesù non viene descritto come lontano da Dio, s-fiduciato, senza la fiducia in suo Padre. Anzi, Gesù lo prega. C’è molta comunicazione tra lui e suo Padre. Marco descrive la paura di Gesù, che è terribilmente angosciato di fronte a ciò che sta per accadere. E’ l’angoscia di finire nel nulla: “E se non ci fosse niente?”. E’ l’angoscia della lotta per la vita: “Non voglio morire, proprio io che porto misericordia, unità, salvezza; proprio io che guarisco e apro i cuori e le anime; proprio io che sono il vento che fa riscoprire agli uomini il loro cielo; proprio io?”. E’ l’angoscia per un supplizio che gli si prospetta terribile: “La croce! Lo scherno! L’essere svergognati! Il dolore! Oddio, salvami!”. L’angoscia per sentirsi tradito: “Ma tu Dio dove sei? Ma se permetti questo, fai vincere il male, l’odio, i cattivi! Ma che Dio sei! Non eri mio Padre? Mi hai abbandonato? Non ti riconosco più!”. E’ la paura del fallimento: “Ho sbagliato tutto? Mi sono ingannato? Mi sono illuso?”. L’angoscia del dubbio terribile: “Ho parlato di un Dio che non c?è?”. Gesù continua ad essere in comunicazione con Dio, ma dall’altra parte tutte le paure, tutti i mostri interiori si materializzano. Da questo momento, per vivere come Gesù, ci dovremo confrontare con la paura della morte, della fine, del fallimento. Chi ha paura di morire ha paura di vivere. Per vivere bisogna aver guardato in faccia la paura della morte, esserci entrati dentro, averla affrontata e aver trovato ancoraggi più profondi. In queste righe c’è, poi, tutta la solitudine di Gesù. Nessuno dei suoi amici, neanche i più intimi, Pietro, Giacomo e Giovanni, riescono a stargli vicino. Dormono. Cioè, non capiscono, non colgono la profondità, il dramma, cosa sia in questione. Vivono nella superficie, non si accorgono di ciò che

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sta accadendo. Sono addormentati, anestetizzati, sono così presi dalle loro cose e da tanto altro che non “vedono” la tragedia che si sta per compiere. Ma come si fa a dormire, ad essere tranquilli in momenti simili? Bisogna proprio essere assenti nel cuore, per poter dormire! Gesù, ed è così umano qui!, chiede loro: “State con me; ho paura, so che non potete far nulla, ma almeno vegliate, non lasciatemi solo e in balia”. Ma essi dormono. Gesù si accorge che non può contare su nessuno. E’ solo. Tutti lo hanno abbandonato o dormono. Nessuno gli è vicino; nessuno lo comprende; nessuno lo consola. Gesù non può contare su nessuno. Eppure un giorno Gesù si “farà vedere” a questi amici che lo hanno tradito; si consegnerà a loro; non smetterà di credere nella bontà e nella loro possibilità di fare il bene e di vivere la verità e la libertà. Gesù, qui abbandonato da tutti quelli che dicevano di amarlo, ha fiducia in quei suoi amici. L’uomo, nel profondo, è buono; l’uomo nel profondo ama la verità, la libertà, la vita. E se può vincere le sue paure e la sua angoscia, vivrà senza tradire la sua vita. Gesù “vede” tutto questo: adesso lo tradiscono, ma lui vede più in profondità. Per questo è possibile con-fidare nell’uomo, nonostante tutto! 14, 26.-31. 66-72: il tradimento di Pietro. “Non so cosa vuoi dire!”. A Gerusalemme, probabilmente, nessun gallo poteva cantare perché era proibito dai rabbini tenerli. Forse, nessun gallo ha mai cantato! Ma non è questo il punto! Pietro è la roccia (Cefa', Pietro, roccia); è l’uomo che ostenta sicurezza: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. E’ l’uomo istintivo, d’azione, un uomo che, dice lui, non ha paura. Ma non è che Pietro non abbia paura; Pietro non la sente, la reprime, ignora totalmente alcuni sentimenti, che lo faranno agire, poi, così. Pietro rappresenta la nostra rettitudine morale, religiosa, il nostro credere di essere fedeli, la nostra esuberanza che ci fa dire: “Capiteranno agli altri queste cose, non di certo a me!”. Pietro rappresenta la banalità con cui la gente si conosce, un idealismo e una superficialità che si dissolve di fronte alla vita. Gesù perdona Pietro prima ancora che lo tradisca. Come a dire: “Pietro non presumere troppo da te. Sii cosciente di ciò che sei. Sii cosciente che i tuoi alti ideali non sono radicati nella tua anima. Si, tu parli tanto, ma sono ancora parole Pietro: prima o poi, tutto verrà a galla!”. E finché Pietro non si rende per davvero conto di ciò che lui è, di ciò che ha potuto fare, non può percepire che l’amore di Gesù e di Dio è più grande del nostro fallimento, del nostro sbaglio (e che sbaglio!) e del

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nostro errore. Dio non ci chiede di essere perfetti; ci chiede solo di essere umani, consapevoli di ciò che abbiamo dentro, dei nostri sentimenti, delle nostre paure e delle nostre fragilità. Perché ogni volta che presumiamo di noi allora, anche noi, spinti dalle nostre paure inconsce lo tradiremo dicendogli: “In verità, non ti conosco; non so cosa vuoi dire”. E non ci accorgeremo dei nostri tradimenti! Pietro, in quanto primo Papa, rappresenta la chiesa, i cristiani. Di fronte al pericolo si defila. Finché le cose vanno bene, sono facili, allora è semplice seguire Gesù. Quanti lo hanno seguito finché predicava, finché guariva. Qualche giorno prima era entrato a Gerusalemme tra canti, palme e ulivi. Ma adesso? Quando c’è da mettersi in gioco, da mettere in gioco quello che si è, da cambiare, da convertirsi, da trasformarsi, quando c’è il pericolo delle proprie scelte, allora la chiesa può agire come Pietro: rinnegare la verità, far finta di niente, tradire la propria strada. Quante volte si impreca, si spergiura, quante volte ci si difende con tutte le forze e ci si ribella quando seguire Gesù è pericoloso, è compromettente, doloroso, controcorrente! Quando Gesù ci chiama a testimoniare di persona, con la nostra vita, allora com’è facile tirarsi indietro! “Non so, non capisco cosa vuoi dire” Quant’è facile nascondersi dietro a questa frase! E il gallo? Il gallo è la voce della coscienza che richiama Pietro una, due, tre volte. E’ la voce della coscienza che ti urla: “Ma come fai a nasconderti, a tirarti indietro, a rinnegarlo per paura? Che uomo vigliacco che sei! Ma che uomo sei? E tu ti definisci uomo: dov’è la tua consistenza? Tu ami la verità: guarda qui”. La coscienza dentro il nostro cuore continua ad urlare: “Sii fedele a te stesso, al tuo profondo, alla vita”. E’ solo quando ci rendiamo conto di quanto vigliacchi ci fa il non ascoltarla, di come ci deforma la paura di fare la nostra strada, di come ci riduce l’angoscia delle nostre scelte, per cui ci nascondiamo e rinneghiamo la verità (il pianto di Pietro), solo allora, tra lacrime e consapevolezza di quanto ci fa male tradire la nostra coscienza possiamo ascoltare la sua voce e seguirla. 14, 43-52: l’arresto di Gesù. “L’infamia e la falsità” Osserviamo semplicemente come si scagliano contro Gesù. Va da lui “una folla con bastoni e spade”. Giuda, uno degli apostoli, lo bacia e lo tradisce, chiamandolo “Rabbì, maestro”. Gli mettono “le mani addosso e lo arrestano”. “E tutti, poi, abbandonandolo, fuggirono”. E’ l’infamia, il giudizio, della folla, della gente; del detto per sentito dire; di chi si scaglia e attacca per cose riportate da altri; del perché sembra, perché

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qualcuno ha detto. E’ l’infamia di chi ti ferisce e ti bastona senza motivo. E’ la falsità di chi ti sembrava amico. Di chi ti bacia (certi baci sono proprio come quelli di Giuda!), di chi ti sorride, di chi ti incensa e poi ti tradisce. E’ la meschinità di chi nel pericolo se ne va: “Che si arrangi, non sono affari miei”. 14, 53-65: Gesù davanti al sinedrio. “Il mio male lo vedo in te” I capi del sinedrio e i sacerdoti cercano, e non li trovano, motivi per metterlo a morte. Molti attestano testimonianze contro di lui, ma sono così false e distorte dalla verità che non concordano. Alla fine trovano qualcosa, un qualche motivo per accusarlo. E’ la distorsione della verità. Quando l’odio, la rabbia e tutto il sentimento interno scoppia e sfocia in un’aggressività che giudica, che vuole ferire, che vuole punire. E non importa chi ci sia davanti; non importa cosa l’altro abbia detto o fatto. Quando l’anima è piena di odio e di rabbia allora bisogna trovare qualcuno da infangare con il nostro male. Allora non esiste più l’altro nella sua verità, non esiste più l’obbiettività, esiste solo l’odio che esce, giudica, uccide e si scaglia contro l’altro. Quante persona insultano, schiaffeggiano, sputano addosso agli altri tutto il loro male. E non si accorgono che non sono gli altri a produrre quel male, ma è il loro male, il loro negativo, il loro marcio. Combattono negli altri il loro male. E facendo così, continuano ad uccidere e crocifiggere in nome di una verità falsa. 15, 1-15: Pilato. “Il vero potere” Gesù è stato giustiziato dai Romani. Ma quale ruolo hanno avuto nella morte di Gesù? Difficile dire quanto Pilato abbia influito. Pilato coglie la forza, la profondità dell’uomo che ha davanti e anche l’inganno che stanno per tendergli. Pilato coglie “l’invidia”, l’odio con cui glielo hanno consegnato. Potrebbe lasciarlo andare. Lui sì che potrebbe fare qualcosa. Lui decide, lui può decidere per la vita o per la morte di Gesù. Fa anche un flebile tentativo: “Volete che vi rilasci il re dei Giudei?”. Ma sa già la risposta: perché altrimenti non glielo avrebbero consegnato. Cerca di acquietare la sua coscienza, di dire: “Io ho fatto quello che potevo. Di più non mi era possibile”. Ma prendere le parti non sarebbe una decisione politicamente saggia. Sarebbe compromettersi, e con un popolo come quello ebreo non è bene. Saggio è, invece, accontentarli. E lo fa. L’unica cosa che gli interessa è il potere, aver meno problemi possibili e non incrinare i rapporti politici. Pilato sembra comandare, essere il potente, e, invece, è intrappolato nel gioco del consenso, dell’approvazione, del successo, del possesso, del detenere il potere. Sembra

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comandare, sembra essere il re e, invece, Marco ce lo rappresenta come l’impotente, colui che non può agire. Gesù, invece, è il vero re: è l’uomo libero, liberato dalla paura della morte, del giudizio e dell’apparire. Pilato, invece, non può deludere; non può manifestare il suo dissenso; non ha il coraggio di prendere una posizione chiara; cerca un compromesso, ma cede subito; è l’uomo che si omologa, che va dove vanno tutti. E si crede il re. Si crede il governatore, si crede di avere il potere. Quale potere? 15, 16-23: Gesù ancora oltraggiato “L’odio è senza fine” Gesù non solo è condannato, torturato, flagellato, ma è anche umiliato, deriso e svergognato. Cosa si poteva fargli ancora? Lo rivestono di porpora, gli mettono una corona di spine per dirgli: “Oh, guarda il re d?Israele; non sei il figlio di Dio; dì che venga ad aiutarti adesso tuo Padre”. Lo percuotono, gli sputano addosso, si inchinano e lo prendono in giro. Poi lo conducono sulla via della croce. Ma cosa è davvero più orribile: stare là nudi, esposti, essere sputati, frustati come un cane, picchiati, esposti al ludibrio di tutti come uno zimbello oppure è più terribile poter agire così, vivere una vita falsa, d’illusione, sotto la spinta dell’angoscia, della dipendenza, della paura? E’ più terribile soffrire ingiustamente o vivere e continuare a “sputare” male, giudizi, rovina addosso agli altri (è il nostro male che sputiamo addosso agli altri!)? E’ più terribile vivere una vita autentica anche se conquistata nel dolore e nel travaglio o lasciarsi vivere, vivere una vita senza senso, nella difensiva e nella paura? E’ più terribile osare, rischiare di perdere la vita, ma vivere oppure non vivere mai per paura di perderla? 15, 24-38: la crocifissione e la morte “Guardare la croce per capire” Guardiamo la croce per capirne il senso profondo. Qual è il senso della croce, della crocefissione e della morte di Gesù? Ho bisogno di sostare per entrare nel suo mistero. Dio viene appeso ad una croce. Con Gesù muoiono tutte le speranze, chi aveva lottato con lui, chi aveva coltivato il desiderio e l’attesa di qualcosa di nuovo, di diverso, di vero, per lui e per questo mondo. Cos’avranno vissuto le persone che Gesù aveva guarito? Cos’avrà vissuto la Maddalena guarita da 7 demoni? Cos’avrà vissuto Zaccheo, i sordi che tornavo a sentire, i muti che tornavano a parlare, i ciechi che tornavano a vedere, i morti che tornavano a vivere? Cos’avranno vissuto, cos’avranno provato nel vedere che chi gli aveva dato la vita, adesso è appeso, attaccato come il peggiore dei farabutti ad una

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croce? Sapere che quell’uomo è proprio Dio (“Per davvero mi ha guarito; per davvero mi ha ridato la vita; per davvero mi ha risorto”), che quell’uomo viene in nome della verità, che quell’uomo parla perché ispirato da Dio, e vederlo in croce: cosa si prova? Dove finiscono tutte le nostre sicurezze nel vedere ciò? Cosa si può provare nel vedere chi si ama appeso ad una croce? Di chi è la colpa della morte di Gesù? Nessuno, è chiaro! Tutti avevano buoni motivi: Caifa', “la necessità storica”; Pilato “la ragione politica e il mantenimento dell’ordine”; Pietro “la mia semplice sopravvivenza”; i sadducei “la legge”; i farisei “la religione”; le persone rispettabili “la morale”; i soldati “l’obbedienza”. Ognuno aveva i suoi validi motivi, ma erano sufficienti? O non era un tentativo di tranquillizzare la propria coscienza? Di laversene la mani? “Non si può fare niente per questa cosa?” La croce è l’abbandono totale di Gesù nelle mani del Padre e della vita. Quando, cioè, tu vivi l’esperienza dell’impotenza, del non poter fare più niente per te e dell’affidarsi a Qualcosa o a Qualcuno. Viene un momento in cui più niente né noi, né altri, possiamo agire. Allora dobbiamo solo lasciarci andare, fidarci, rimetterci. E’ quando più niente è sicuro ma tutto è vacillante: la vita, la fede, l’esistenza stessa di Dio. Si smette di voler capire, di voler sapere, di trovare ragioni o giustificazioni, e semplicemente ci si abbandona. La croce è lo scontro fra due religioni: quella di Gesù e quella degli ebrei. La religione dei farisei e degli scribi è la religione della forma, della maschera. Qui contano i grandi numeri, l’istituzione, l’ordinamento e l’obbedienza. Non importa se le leggi distruggono le persone o li appesantiscono di sensi di colpa o di fardelli insopportabili. Ciò che conta è la legge, il rispetto ossequioso alla norma. Più cose fai e più sei bravo. Gesù, invece, amava la vita, non la sofferenza. Gesù dava voce alle persone, le ascoltava, dava attenzioni ai bambini, alle donne, a chi era escluso dalla società; nessuno era impuro per Gesù, lebbroso, prostituta o pagano che fosse, perché tutti per lui erano figli dell’unico Padre. Gesù non faceva molti sacrifici, non digiunava, non si comportava scrupolosamente rispetto alle regole. Era molto libero, mangiava e banchettava spesso, faceva festa e amava la compagnia e la felicità. Perché sapeva che il vero sacrificio, il vero digiuno, la vera croce non era fare qualcosa, ma fare della propria vita qualcosa di vero, di importante e di significativo. Non cercava sacrifici o sofferenze. Anzi se le evitava. Gesù non reprimeva l’amore, il contatto con le donne, gesti equivoci come le donne che lo accarezzavano o

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che lo baciavano. Gesù piangeva. Gesù si arrabbiava. Come era dentro, così era fuori. Gesù si stupiva e si commuoveva. Talvolta era così felice da toccare il cielo e da trasfigurarsi. Altre volte piangeva per l’incomprensione o perché non sentiva i suoi amici appoggiarlo o capirlo. Gesù non voleva che nessun uomo si reprimesse o vivesse la sua vita al di sotto delle sue possibilità. Gesù voleva e diceva a tutti che molti mali possono essere guariti, che tante infermità del cuore e dell’anima possono essere risanate, perché noi viviamo e siamo fatti per la felicità profonda e vera. Gesù voleva che fossimo umani. Che non c’è niente di ciò che viviamo che sia indegno agli occhi di Dio, da nascondersi. Che davanti a Dio possiamo presentarci per quello che siamo, senza falsi teatrini o belle maschere. In croce finisce tutto questo. Questa era la religione di Gesù. Questa religione hanno tentato di crocifiggere, di eliminare, di distruggere e di far morire. Ma la verità può essere nascosta, ignorata, ma mai distrutta. 15, 38-41: il centurione e le donne “Chi non vede e chi vede”. Di fronte a ciò che sta accadendo sotto la croce c’è un centurione, un soldato, uno che ha obbedito agli ordini. E’ l’uomo che ha sempre obbedito, che non ha riflettuto per conto suo. Ha eseguito ciò che altri avevano stabilito. Fà quello che tutti fanno. E’ l’uomo che ha rinunciato a pensare, che ha delegato le sue responsabilità alla tv, ai sistemi, agli esperti. Ha appaltato il suo cervello ad altri. Non ha voluto faticare: si è adattato, omologato, ha seguito il pensiero dei più, quello comune, quello già digerito da altri. E adesso si rende conto di aver preso, inconsapevolmente, parte ad un dramma e ad una tragedia di cui anche lui, senza saperlo, ne è stato colpevole. “Davvero quest’uomo era figlio di Dio”. Vivere senza pensarci, trascinati dagli altri, senza consapevolezza, senza ragione critica produce nuove crocifissioni. Ognuno è responsabile della sua vita, delle sue scelte, e anche di non aver scelto. Sotto la croce ci sono queste donne che guardano da lontano. E’ un caso che ci siano solo delle donne a stare con Gesù? Dove sono gli uomini? Dove sono gli apostoli, i suoi fedeli amici? E’ un caso che le prime testimoni della resurrezione, in tutti i vangeli, siano delle donne? O non è un messaggio forte per noi. E’ la donna, solo la parte femminile di ogni persona che può cogliere la resurrezione. Chi non conosce la tenerezza, l’amore, l’affetto, lo stupore, il pianto, i sentimenti, la disperazione, il dolore, l’impotenza, la paura, non può “vedere” nessun Gesù. Solo chi conosce la vita, la vive, la sente (pensate ad una madre); solo chi conosce

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quanto sia doloroso partorire, far nascere la vita; solo chi conosce l’amore, chi sa provare qualcosa nel cuore e percepire l’altro, solo costui potrà “vedere” il risorto, che la vita non ha fine, e che l’amore è più forte di tutto. 15, 42-46: Giuseppe d’Arimatea “Fai la tua scelta” E’ un uomo membro autorevole del sinedrio, quindi, complice della morte di Gesù. D’altra parte, però, è un simpatizzante di Gesù, è uno che sogna, che ha desideri grandi, uno che sa che in quell’uomo è stata compiuta un’ingiustizia, tanto che va a prenderne il corpo. E’ l’uomo che non ha saputo schierarsi quand’era ora. E’ rimasto, membro autorevole, nel sinedrio. Ma amava e intuiva la verità della pretesa di Gesù. Non si è compromesso. E adesso, adesso che più niente può, va coraggiosamente da Pilato a chiedere il corpo. (Le salme dei giustiziati dovevano essere deposte in cimiteri appositi solo con altri malfattori. Lì rimanevano decomponendosi per un anno. Dopo di che la colpa poteva dirsi espiata e le ossa potevano essere raccolte nelle tombe della famiglia. In ogni caso il lutto era vietato). Adesso si rende conto e offre la sua tomba. Adesso vive il peso del rimorso di non aver osato, forse, a far di più. Adesso lascia ogni compromesso, ogni equilibrio e si schiera apertamente. Adesso si mette apertamente dalla parte di Gesù. Perché ogni volta che non ci schieriamo, che non prendiamo una posizione, come Giuseppe d’Arimatea, ci rendiamo colpevoli di ciò che accade, in balia della nostra paura di comprometterci, riempiendoci di sensi di colpa e di rimorsi per ciò che avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto. Bisogna prendere una posizione. Bisogna schierarsi, non si può essere neutrali, con un piede di qua e uno di là. “Fai la tua scelta”. 15, 46: le donne continuano ad osservare “L’amore è più forte”. L’amore non si arrende, l’amore non può credere alla fine, alla morte. Chi vive nell’amore conosce l’eternità. Anche quando tutto sembra dire il contrario, anche quando tutto sembra finito, l’amore conosce l’eternità. L’amore vuole “per sempre”. Queste donne non si arrendono all’evidenza dei fatti perché conoscono l’evidenza del cuore, dell’anima, della vita e di Dio. E proprio per questo sperare al di là di ogni speranza; per questo credere al di là di ogni ragionevole credenza; per questo amare al di là della fine, proprio loro saranno le prime testimoni della resurrezione. Avevano visto bene: l’amore è più forte. don Marco Pedron

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AP R ILE :

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RES URREZIONE

per “vedere fatti”

Andate in Galilea! Dal Vangelo secondo Marco
 Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome comperarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: “Chi ci farò rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”.
 Il vangelo di Marco termina così come era iniziato, con un messaggio da parte di Dio (1,3; 16,7) che punta ad un incontro con Gesù il Messia e Figlio di Dio. Come il lieto annunzio di Gesù affondava le sue radici in Isaia (vedi Isaia 40,3 citato in Marco 1,3), così il comando finale del "giovane" ricorda ancora Isaia, con la sua alternanza ritmica di cadute e di perdono e reintegrazioni dopo la caduta: "Farò camminare i ciechi per vie che non

IN FA M I G L I A PREGHIAMO CON IL S A L M O 11 7 “VEDERE FATTI”: DIO ALL’OPERA Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Dica Israele: “Il suo amore è per sempre”. La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze. Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore; una meraviglia ai nostri occhi.

conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre in luce, i luoghi aspri in pianura" (Isaia 42,16). La cecità che ha caratterizzato i discepoli lungo tutto il racconto (vedi 8,18) e che viene vinta per primo dal centurione sotto la croce (“vedendolo spirare in quel modo disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”) sarà dissipata definitivamente dalla visione del Gesù risorto in Galilea. Solo riprendendo il cammino, solo ritornando in Galilea dove tutto aveva avuto il suo inizio, solo non stancandosi di ricominciare e ricercare, è possibile

PA RR OCC HI E D I L E VATA, M ON TA NARA, S AN S ILVES TRO - QUAR E S I MA 2015

Nella prima strofa del salmo, ritorna il ritornello “amore per sempre”: l’esperienza del salmista è di un Dio affidabile, che non viene meno al suo amore per noi. Nella seconda strofa ritorna la parola “destra del Signore”: è la forza di Dio, è l’operatività di Dio capace di fare meraviglie. Nella terza strofa ritorna la parola “pietra”: l’esperienza è quella di vedere una pietra scartata perché ritenuta inadatta che diventa addirittura angolare, cioè pietra fondamentale nella struttura. Gesù che sembrava scartato, diventa invece il centro della storia e il fondamento della fede. Tutto il salmo è un grande “grazie” a Dio perché, spinto dall’amore, interviene, fa, costruisce, recupera lo scarto, valorizza. E’ l’esperienza di Gesù, ma può essere anche la nostra esperienza. Possiamo allora chiederci: quando ho sentito forte l’amore di Dio per me? Cosa posso dire sta facendo il Signore nella mia vita? Di cosa mi posso stupire? Posso scrivere un salmo che riassuma il mio cammino di quaresima: esprime scoperta, gioia, conferme, indifferenza, delusione, fallimento? chiede a Dio oppure lo ringrazia di questa Pasqua? Pasqua significa “passaggio”: quale passo ho compiuto in questo tempo? Quale grazia mi ha dato il Signore in questo tempo?

arrivare a vedere il “fatto” più grande della storia: la vita ha vinto la morte. E Dio è sempre da “inseguire”, ci “precede” sempre, è davanti ad aprire la strada e ha segnare il percorso. Ma tanti “fatti” sono segni e testimonianza del suo passaggio e indicazioni preziose per non perdere la strada. E’ faticoso ritornare in Galilea, è faticoso ricominciare, è faticoso rimettersi in discussione, ma adesso abbiamo una metà, abbiamo visto che ha senso farlo, abbiamo visto un Volto che ci attira continuamente a sè.

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